striding® e periodizzazione

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striding® e periodizzazione
Numero 2
febbraio 2014
L’ Agenda del Direttore
STRIDING® E PERIODIZZAZIONE
(di Vito Iozzo)
In questo articolo, senza ovviamente pretendere di
esaurire un argomento così vasto, vorrei cercare di
spiegare agli allievi cosa si intende per periodizzazione,
per quali motivi può avere un senso anche nel fitness e
perchè gli insegnanti migliori sono così attenti a modulare i
periodi di allenamento e scegliere di proporre al loro
interno certe lezioni invece che altre. Lungi da me in
questa sede il pensiero di addentrarmi in inutili tecnicismi ma alcune definizioni
vanno necessariamente date per poter comprendere il ragionamento.
Consideriamo:

Il Macrociclo di allenamento come la grande fase allenante, coincidente
spesso con l’intero anno oppure con una parte di esso (es. sei mesi) che abbia
un senso compiuto, ad esempio portare un atleta da un periodo di inattività a
disputare una gara.

I Mesocicli di allenamento come sottoperiodi di un Macrociclo (spesso
coincidenti con il mese) che messi insieme secondo una catena logica rendono
vincente lo sviluppo del macrociclo, realizzando specifici aspetti intermedi della
preparazione (es. mesociclo di capacità aerobica, mesociclo di forza speciale,
mesociclo di potenza lattacida ecc.).

I Microcicli (spesso coincidenti con la settimana), analogamente,
rappresentano le unità costituenti il mesociclo ed alternano carichi di lavoro più o
meno voluminosi in relazione alla logica con cui viene redatto il piano di
allenamento.
®
Applicare la periodizzazione ad un universo Fitness è tutt’altro che semplice.
Prendendo come esempio concetti tratti dalla periodizzazione Striding®,
cerchiamo di capirne il perché.
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Innanzitutto notiamo che in una palestra gli allievi sono totalmente disomogenei
come storia sportiva e sviluppo delle capacità motorie e questo pone per
l’insegnante un grande problema iniziale di diversificazione nelle intensità dei
workout.
Gli allievi divergono inoltre per abitudini alimentari, età, composizione
corporea, allenamento specifico, tempo di frequentazione del Centro, tutte cose
che in parte si possono anche gestire parallelamente allo specifico corso di
fitness che abbiamo deciso di periodizzare, ma che non vanno mai trascurate.
In mancanza di una forte attenzione alle caratteristiche specifiche di ciascun
allievo, una stessa lezione (alla quale non si offra almeno una possibilità di
differente interpretazione) potrebbe avere effetti estremamente allenanti per un
allievo, poco allenanti per un altro e sovrallenanti per un altro ancora.
Aldilà di quest’ultima, che può costituire una fattispecie davvero pericolosa, ci
possono essere tanti errori di periodizzazione che si ripercuotono assai
negativamente sull’apprendimento motorio (condizionale e coordinativo)
dell’allievo. Lezioni troppo blande, prive totalmente di stimolo allenante, non
innescheranno mai quell’effetto supercompensativo necessario per poter
crescere di condizione, lezioni troppo intense rispetto alle possibilità dell’allievo o
del gruppo generano quasi sempre un “blocco tecnico e metabolico”, lezioni
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L’ Agenda del Direttore
nuove che vengono introdotte solo per divertimento le privano del loro specifico valore allenante, lezioni
poco variate o messe li senza le conoscenze base della teoria dell’allenamento possono svuotare
parzialmente o del tutto il risultato dei mesocicli ecc.
Riportando più specificamente questi concetti nella preparazione Striding® notiamo quanto segue.
I PRINCIPALI OBIETTIVI DI UNA PERIODIZZAZIONE STRIDING® SONO:
Aumento dei meccanismi di efficienza cardiovascolare (potenziamento sistema aerobico e,
successivamente, anaerobico).
Miglioramento della tecnica di esecuzione.
Rafforzamento della capacità mentale di resistere alla fatica.
Le tre cose sono estremamente interconnesse.
Solo gli allievi che hanno sviluppato i tre obiettivi ad ottimi livelli si possono considerare AVANZATI
(pensiamo dunque a quanti avanzati non sono!).
Gli altri invece…..e cioè:
Chi non ha ancora un metabolismo aerobico ed aerobico\anaerobico ottimale.
Chi non esegue tutti i gesti in modo economico e valido sotto l’aspetto biomeccanico.
Chi non è ancora capace di gestire al meglio la fatica.
li consideriamo principanti, medi o medio-avanzati a seconda del grado di distanza dal pieno
raggiungimento degli obiettivi suddetti.
Le principali caratteristiche limitanti di un principiante sono: a) una bassa capacità di reclutamento
inter ed intra-muscolare b) un’inefficienza nell’utilizzo delle fonti di energia c) elevati meccanismi di difesa
d) una bassa capacità di concentrazione e) bassa capacità di resistere mentalmente allo sforzo e di
tollerare carichi lattacidi.
Il medio-avanzato (che però, attenzione, non è un avanzato a tutti gli effetti) ha portato ad un livello medio
queste carenze del principiante.
La crescita del principiante dovrebbe essere estremamente graduale perché lo sviluppo del sistema
aerobico ha dei tempi che devono essere rispettati.
Molto spesso un principiante si viene a trovare in una classe composta di allievi di medio livello, questa è la
ricorrenza più frequente. Per questo motivo l’insegnante deve avere la capacità di diversificare il modo di
interpretare la singola lezione e, contemporaneamente, averne sempre un paio di scorta da impiegare
qualora si venisse a trovare in un rapporto inatteso principianti/avanzati.
Non tutti sono d’accordo sulle varie definizioni, e sulle interpretazioni dei dati scientifici. La teoria
dell’allenamento, per fortuna è una scienza in evoluzione continua fatta per chi ama confrontarsi e che non
sa che farsene di Guru e Santoni. A noi dello Striding®, da questo punto di vista, piace definirci una
comunità aperta. Volendo qui cercare di rendere il più semplice possibile l’interpretazione della teoria
tradizionale partiremo dicendo che, analogamente ad un un atleta, l’allievo Striding® può allenare:
la soglia aerobica/resistenza aerobica di lunga durata, ossia l’intensità alla quale il valore del
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lattato nel sangue si mantiene costante a valori molto bassi;
la soglia anaerobica/potenza aerobica, ossia l’intensità alla quale il lattato si mantiene costante, ma
su valori massimi (oltre i quali incomincerebbe a crescere sempre di più);
la capacità aerobica cioè la quantità di tempo in cui si riesce a mantenere un’intensità il più vicino
possibile alla soglia anaerobica
la potenza anaerobica, cioè l’intensità che si riesce ad esprimere in un tempo molto breve, per lo
Striding® possiamo azzardare tra i 30 ed i 90 secondi;
la capacità anaerobica o tolleranza al lattato, cioè il picco di concentrazione di acido lattico che
l'atleta riesce a tollerare per intensità di durata maggiore, diciamo tra 90 e 120 secondi.
Il concetto che accomuna tutti i punti citati è quello della supercompensazione, ossia il postulato della
teoria dell’allenamento che spiega come non c’è crescita di prestazione se non viene somministrato
all’organismo uno stimolo che allo stesso tempo vada leggermente oltre le possibilità di sostenerlo ma non
sia eccessivamente intenso da non essere sopportato. Per produrre allenamenti efficaci le diverse
necessità hanno bisogno di differenti stimoli. In altre parole, se voglio migliorare la potenza aerobica
(presupponendo di avere già sviluppato la base aerobica) dovrò lavorare con carichi leggermente superiori
o uguali alla soglia anaerobica perché se no stimolo un’altra cosa, se analogamente voglio aumentare
l’intensità di soglia aerobica dovrò allenarmi alla velocità di soglia aerobica, se voglio allenare la tolleranza
al lattato dovrò esercitarmi su sforzi massimali di breve durata, e così via.. E’ pur vero che i metabolismi
non sono compartimenti stagni in cui c’è un inizio ed una fine precisa per allenare questa o quella qualità,
però è altrettanto vero che l’insegnante deve avere ben chiaro come impiegare le diverse intensità per
connotare i differenti mesocicli della preparazione, perché se no si perde qualsiasi possibilità di risultato.
Gli allenamenti pienamente aerobici (base, endurance, fartlek facili, interval facili con bassi tempi di
recupero) vengono svolti ad una intensità attorno alla soglia aerobica e sono caratterizzati da:
un livello fatica da basso a medio;
un minimo aumento della frequenza respiratoria;
battito cardiaco che si mantiene entro l’80% (spesso aldisotto) della frequenza cardiaca
massima;
lattato che si mantiene approssimativamente entro le 2-2,5 mmol/l.
Gi allenamenti che potenziano la soglia anaerobica (weight – fartlek medio-alta intensità – interval
medio-alta intensità con bassi tempi di recupero) sono quelli che per un periodo di tempo piuttosto
lungo (15-30 minuti) mantengono un’intensità specifica per questo metabolismo.
Questi allenamenti sono caratterizzati da:
un livello di fatica medio-alto;
una ventilazione medio-alta (è richiesto un discreto aumento della frequenza respiratoria);
il battito cardiaco che si mantiene, mediamente, fra l’80% e l’85%
il lattato che si mantiene approssimativamente tra 3 e i 5 mmol/l.
Gli allenamenti per aumentare il massimo consumo di ossigeno, che in parte allenano anche la capacità
lattacida (fartlek ad alta intensità, interval ad alta intensità con tempi di recupero medi, weight
estreme), costringono ad un lavoro fisico e mentale molto intenso. Teniamo conto che il massimo
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consumo di ossigeno si verifica quando il sistema aerobico viene utilizzato al 100% e quando questo
avviene siamo già in una situazione lattacida importante.
Tali allenamenti sono caratterizzati da:
un livello fatica alto;
una ventilazione intensa (è richiesto un apprezzabile aumento della frequenza respiratoria);
il battito cardiaco che si mantiene fra l’85% ed il 92%;
il lattato che si mantiene approssimativamente tra 4/5 e 8 mmol/l.
Gli allenamenti, infine, che stimolano prettamente i meccanismi anaerobico-lattacidi puri (interval ad
altissima intensità con alti tempi di recupero, s.h.i. training) si caratterizzano per:
un livello di fatica al limite;
una ventilazione molto intensa
il battito cardiaco massimo possibile
produzioni di lattato tanto più alte quanto più efficienti sono i meccanismi glicolitici
dell’allievo.
Ai nostri fini, la cosa più rilevante da tenere in considerazione è che (tranne in parte l’ultimo) i diversi
metabolismi e dunque i relativi allenamenti sono tutti collegati. Per poter passare produttivamente a
metabolismi più intensi, abbiamo bisogno di aver allenato bene i metabolismi che precedono. Non
si può sviluppare un lavoro di soglia anaerobica senza aver sviluppato una buona preparazione aerobica
di base e non si può lavorare per l’aumento del vo2max senza aver consolidato un adattamento ai lavori
di soglia anaerobica. Non rispettare questo e costringere gli allievi a lezioni pesanti senza criterio equivale
a condannarli ad un esercizio di fatica improduttiva e pericolosa per la salute. Alla stessa stregua,
teorizzare “l’allenamento della facilità” rimanendo per dei lustri a soglie medio-basse senza mai forzare un
po’ significa privare la disciplina di tutte le sue potenzialità allenanti ed imporre all’allievo un allenamento
mediocre e scarsamente produttivo.
Vito Iozzo
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Fiere – Eventi – Corsi ed Orari
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Sommario
L’Agenda del Direttore
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La Periodizzazione Striding® (di Vito Iozzo)
Fiere ed Eventi
Striding Shift 2014
First Lazio Regional Event 2014
Kom
Sommario
pag. 6
Notizie e Curiosità:
I Suoni delle Dolomiti pag. 7
Perché la Maratona si chiama così? pag. 7
Perché non si può pattinare sui ghiacci dell’Antartide?
pag. 8
Pianeta Striding®
La mia strada (di Marco Belli) pag. 9
Lo Striding® una professione ma anche un percorso (di Marco Claudio Tavazzani) pag. 10
Diamo i numeri – seconda parte - (di Sara Giavante) pag.12
Pillole di Anatomia, Tecnica e Ricerca:
Camminare in montagna seconda parte (di Fabio Beolchi) pag. 14
Lombosciatalgia o “Sindrome del Piriforme?”(di Giovanni Postiglione)
pag. 16
Il Centro Sportivo
Viva la Sicilia – Palestre Newfit
pag. 18
(Intervista a Giuseppe Musmarra)
Dalla parte dell’anima….
Chi si somiglia si piglia
Osho: Essere se stessi
pag.
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Altri percorsi del corpo e della mente
La Floatation Tank
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Notizie e curiosità
I Suoni delle Dolomiti
Ogni anno da fine giugno a fine agosto, sulle omonime montagne si svolge la manifestazione “I Suoni delle Dolomiti”. Parliamo di una manifestazione unica nel
suo genere, che raduna musicisti da tutto il mondo sulle montagne più belle
dell’arco alpino. L’idea di fondo è semplice e affascinante: unire le grandi passioni
per la musica e la montagna, per l’arte e l’ambiente in un ciclo di concerti
all’insegna della libertà e della naturalità. La formula prevede un’escursione a
piedi dal fondovalle fino a radure e conche nei pressi dei rifugi, teatri naturali in cui
la musica viene proposta in piena sintonia con l’ambiente circostante. Agli appuntamenti del primo pomeriggio si
sono aggiunte nel tempo le suggestioni dell’alba.
Quasi un festival nel festival che propone l’incontro con artisti, attori, uomini di cultura che, nelle atmosfere uniche
del sorgere del sole in alta montagna, danno vita a spettacoli, recital, monologhi. Al Festival partecipano artisti di
fama internazionale che nel rispetto dell’ambiente si uniscono al pubblico e raggiungono a piedi i luoghi dei concerti,
strumento in spalla.
Perché la Maratona si chiama così?
La Maratona, ovvero la gara di corsa sulla distanza di 42,195 km, si chiama così perché rievoca un evento epico
dell'antica Grecia: la corsa di Fidippide dalla città di Maratona all'Acropoli di Atene per annunciare la vittoria dei
greci sui persiani nel 490 a.C.
La leggenda vuole infatti che Milziade, a capo degli eserciti di Atene, incaricò Fidippide di recare la notizia della vittoria ad Atene. Fidippide percorse l'intero tragitto, circa 40 km, di corsa senza mai fermarsi. Giunto a destinazione
riuscì a gridare "Nenikékamen" ("abbiamo vinto"), ma subito dopo crollò al suolo morto, stremato dallo sforzo.
L'idea di organizzare una corsa del genere venne al filologo francese Michel Bréal, amico di Pierre de Coubertin, il
fondatore dei moderni Giochi Olimpici. La prima maratona fu così introdotta nel programma dei Giochi di Atene del
1896, per una distanza di 40 km. Fu vinta dall'atleta greco Spiridon Louis, che completò il percorso in 2 ore, 58 minuti e 50 secondi.
Successivamente la distanza fu portata agli attuali 42,195 km.
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Notizie e curiosità
PERCHÉ NON SI PUÒ PATTINARE SUI GHIACCI
DELL'ANTARTIDE?
Nonostante l'immensa distesa di ghiaccio che ricopre il Polo Sud sia per larghi tratti liscia e ben levigata, una persona che volesse provare ad utilizzare dei pattini per muoversi più velocemente rimarrebbe molto delusa dal risultato. Infatti, il principio fisico che consente ai pattini di scivolare sul
ghiaccio, consiste nello scioglimento dello strato più superficiale del ghiaccio a causa della pressione
delle lame dei pattini. L'aumento di pressione causato del peso del pattinatore fonde l'acqua ghiacciata che passa quindi allo stato liquido. Proprio questo sottile velo di acqua liquida permette alla
lama di scorrere velocemente quasi senza attrito.
In Antartide però fa talmente freddo (le temperature medie si attestano intorno ai 40-50 gradi centigradi) che la pressione della lama non risulta sufficiente a far fondere lo strato superficiale del
ghiaccio. Pertanto, la lama non riesce a scorrere e l'utilizzo dei pattini non porta nessun giovamento
rispetto ad una normale camminata.
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Pianeta Striding®
La mia strada (di Marco Belli)
Luglio 2010, inizia tutto per caso, come in fondo accade spesso per le cose più belle, così per caso che la prima volta in cui sono salito sul tappeto, non sapevo nemmeno come si “accendesse”! Poi ho capito che il tappeto sicuramente, almeno per le prime volte, non mi avrebbe dato una mano e che se non mi “accendevo” io, difficilmente si sarebbe mosso qualcosa.
E vai di piccola andatura, di maledizioni alla manopola della resistenza (chi di voi non l’ha mai fatto?), di power
che all’inizio sembra tutto tranne che l’espressione di una qualsivoglia potenza (curare i movimenti è fondamentale per sviluppare potenza), di grande andatura che diventa grande solo dopo molte hike. Durante le prime
lezioni ti chiedi spesso se ce la farai mai ad arrivare alla fine, perché quando hai il cuore in gola e sei allo stremo delle forze inizi a farti un mare di domande.
Poi ti guardi intorno e vedi persone che non mollano mai, che mentre camminano sorridono o addirittura canticchiano sottovoce mentre l’istruttore propone un tratto di strada cadenzato da un brano conosciuto e allora prendi forza dal gruppo e vai avanti, ti lasci trascinare da “quell’onda anomala”, fino a che non diventi padrone dei
tuoi passi, delle tue emozioni. Così arrivi a percorrere Km e Km su quel nastro che a volte “scorre liscio come
l’olio…di vaselina” (molti di voi sanno a cosa mi riferisco), mentre altre non ne vuole proprio sapere e devi fare
leva su tutta la tua forza interiore per spostarlo; talvolta dopo una giornata “no” ti ritrovi ad usare il tappeto per
sfogarti e ritrovare la grinta giusta, mentre può capitare che in una giornata “sì” ti sorprendi quasi a “volare” sulle ali della musica.
Dopo un po’ che cammini, acquisisci una consapevolezza diversa, il tuo fisico abbandona quelle difese naturali
che intervengono quando da neofita intraprendi questa attività e allora inizi a sentire i primi miglioramenti, fai le
scale senza affanno, le gambe sono sempre sgonfie e toniche, riesci a goderti ogni tipologia di lezione che lo
Striding® ti propone e finalmente il tuo cuore inizia a battere un po’ meno insistentemente.
Arriva anche il momento delle scelte: continuare a vivere questa disciplina da allievo oppure fare un piccolo
salto di qualità e iniziare il cammino da istruttore nell’Accademia Striding®?
Ed è proprio qui che arrivano gli interrogativi seri e ti chiedi: sei pronto a fare le ore piccole per preparare le lezioni? Te la senti di smontare e rimontare decine di volte le lezioni, “perché a pelle c’è qualcosa che non ti quadra”, finché stremato ti arrendi e inserisci “Fin che la barca va”?
Ma cosa più importante: sei pronto a trasmettere emozioni ad altre persone? A trasmettere quelle sensazioni
che riesci a provare mentre cammini? Questa è la cosa più difficile a mio avviso. C’è chi ci riesce in maniera
naturale (che invidiaaaa), chi invece con l’esperienza e l’impegno cerca in qualche modo di compensare.
Infine, non posso non menzionare la Formazione: sei pronto a studiare e ad impegnarti per acquisire competenze e professionalità? Per costruire lezioni varie, strutturate e tecniche, per rendere valida e solida la propria
preparazione, soprattutto per chi come me non proviene direttamente al mondo del fitness, è fondamentale
puntare sul percorso formativo dell’Accademia.
Formazione, Esperienza, Passione ed Umiltà, sono le caratteristiche che personalmente cercherei in un valido
istruttore e che ritrovo in molti insegnanti Striding® miei colleghi.
Alla fine quindi ho fatto la mia scelta e sono diventato insegnante, anche se non nascondo che trovo molto divertente e costruttivo fare l’allievo ogni tanto. Eventi, fiere, master class o special class, sono i momenti che
condivido sul tappeto con la mia famiglia, Sara, e con tutti gli amici che ho conosciuto in questi anni dal Nord al
Sud dell’Italia.
In fondo cosa serve? …bastano uno sguardo e un sorriso, la mano sulla resistenza per sbloccare il tappeto e
passo dopo passo inizia il viaggio.
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Pianeta Striding®
Lo Striding® una professione ma anche un percorso (di Marco Claudio Tavazzani)
“E’ lontano solo ciò che non ci interessa veramente raggiungere” (P.M.)
Non è facile per me iniziare un articolo come questo. Perché tante sono le sensazioni, i pensieri, i ricordi, le suggestioni..più in generale le “cose” successe in quasi 4 anni..e cioè da quando mi sono certificato come istruttore di
Striding®. Ricordo di aver provato per la prima volta la disciplina a mondofitness nel 2008 e poi nel 2009...e nonostante il “mezzo” utilizzato sia allora che oggi è sempre un tappeto meccanico, ripensandoci ora mi sembra sia
passato un secolo, tante sono le cose che sono successe e cambiate al riguardo. A Mondofitness 2010, dopo oltre
30 ore di lezione come allievo, presi la decisione di intraprendere il percorso formativo per diventare istruttore; si
trattava per me della seconda disciplina in quanto dal 2004 ero già certificato come istruttore di Spinning®. Durante quelle 30 ore scoppiò dentro di me una vera e propria PASSIONE. Litri e litri di sudore (..come direbbe il nostro
Direttore!) lasciati su quei tappeti.. Mi avvicinai allo Striding® un po’ perché mi piaceva come disciplina in se, un
po’ perché in quell’estate in particolare mi stavo allenando molto in sala pesi e ho trovato nella novità dello Striding® il connubio perfetto dell’allenamento aerobico/anaerobico cardiovascolare che cercavo insieme
all’allenamento in sala pesi. E quindi a settembre iniziai il percorso di certificazione. Se ripenso oggi (febbraio
2014) a quando iniziai questo cammino, mi vengono in mente alcune cose che sono cambiate, o meglio che sono
state inserite, innanzitutto a livello “tecnico” (l’inserimento del “change position” piuttosto che i profili di
“fusion”..tanto per citare due cose). Ma oltre alle cose tecniche mi vengono in mente tanti volti di persone incontrate, con alcune delle quali è nata una vera e propria amicizia oltreché un rapporto professionale di lavoro. Mi vengono poi in mente le primissime lezioni da istruttore, soprattutto i primi sbagli e le prime “delusioni” (magari quando
mi hanno tolto qualche ora nelle palestre..); mi vengono in mente lezioni fatte con una/due persone, che per quanto possano sembrare poco motivanti per un istruttore, hanno invece lasciato in me un ricordo positivo indelebile
che mi riviene in mente ogni qualvolta mi trovo davanti 30 o 50 persone sui tappeti! Mi viene infine in mente
l’accoglienza che ho avuto all’inizio, dai Master e dai colleghi più “anziani”; ho trovato un ambiente sereno che mi
ha messo a mio agio e soprattutto un ambiente stimolante con un percorso formativo che mi interessava e mi affascinava. E mi sono buttato a capofitto in questo percorso. Ho cercato di seguire le giuste tappe che mi indicavano i
Master con gradualità e senza eccessiva fretta e, dopo aver frequentato e assimilato i vari corsi, mi sono ritrovato
a dare prima l’esame “Stage 1” e successivamente quello di “Stage 2”. Mi fermo un attimo sul discorso relativo ai
corsi e agli esami, perché per quanto riguarda la mia esperienza personale sono stati momenti davvero molto importanti, anche in ottica di altre discipline. Corsi come “Interval”, “Heart Rate”, “Teoria e metodologia
dell’allenamento” e “Anatomia e fisiologia” (quelli istituzionalmente necessari per dare gli esami), sono stati corsi
davvero arricchenti. Argomenti base e altri decisamente più avanzati che per quanto mi riguarda sono rientrati in
quel bagaglio tecnico/culturale che mi torna decisamente utile, sia quando “cammino” che quando “pedalo”.. (tanto
per usare i due verbi!). La sensazione che avevo ogni volta che terminavo un corso era sempre quella di aver decisamente ampliato il mio bagaglio culturale! E soprattutto tornavo a casa con la voglia di approfondire!
“L’unico limite a quanto in alto possiamo andare, è quanto crediamo di poter salire” (anonimo)
Sicurezza ed umiltà, due parole che per alcuni aspetti sembrano inizialmente “scontrarsi” tra loro, ma che invece
secondo me sono complementari e mi vengono in mente come atteggiamenti che sento “cresciuti” in me da quando ho intrapreso questo percorso. Sicurezza perché man mano che il tempo passa mi sento sempre più sicuro di
quello che propongo ai miei allievi e da parte loro percepisco che riesco a trasmettere quanto mi prefiggo. Umiltà
perché anche quando in certi momenti il “successo ti arride”, cerco di non perdere mai la testa e di mantenere
quella semplicità di fondo, quel non sentirmi mai “arrivato”, quel continuare a mettermi in discussione sempre e
comunque, e soprattutto cerco di osservare ed ascoltare quello che gli altri hanno da comunicarmi e insegnarmi.
Sia che si tratti di persone più nuove che di colleghi più anziani. Questo in ogni occasione, in palestra o negli
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Pianeta Striding®
eventi/appuntamenti più grandi. E se mi fermo un attimo a pensare ai miei colleghi più appassionati penso di dovere
loro un grandissimo grazie per tutto quello che mi hanno trasmesso! A partire dalla passione e poi dai consigli
più tecnici e umani.
Pensando agli eventi nazionali, potrei citare “Rimini Wellness” come quello che cattura più l’attenzione per tantissimi
motivi che non sto qui ad elencare. Ma se devo citarne uno in particolare che preferisco è lo “Striding® at Sunset
Time”. Intanto perché avviene all’interno di Mondofitness, che è la manifestazione grazie alla quale ho conosciuto
Striding®; ma poi perché avviene in estate, e la magia di iniziare a camminare all’aperto, quando c’è ancora luce e il
sole piano piano tramonta, ha una suggestione per me impagabile!
Concludo ringraziando il nostro Direttore, ma prima di tutto per me grande amico, Vito Iozzo per avermi dato
l’opportunità di raccontare su questa Newsletter questi miei pensieri e queste mie sensazioni e spero che la grande
famiglia Striding®, a partire dal Presidente Fausto Cherubini fino all’ultimo simpatizzante che ne è venuto appena a
conoscenza, si allarghi sempre di più!
E per quanto riguarda il concetto di “CASA” che ospita una famiglia, io ho un bellissimo e grandissimo SCATOLONE
da mettere a disposizione... Tuffatevici dentro, senza indugio, come ho fatto io!!!!
“Non aspettare il momento opportuno. Crealo!” (G.B.S.)
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Pianeta Striding®
Diamo i numeri… (parte 2)
di Sara Giavante
Nella scorsa Newsletter si è parlato dello strider e delle sue caratteristiche (se qualcuno avesse perso l’articolo può rimediare collegandosi al sito dell’Accademia Striding®).
Questa volta si cercherà di capire “chi sono” gli insegnanti Striding®, coloro che
con passione, dedizione e preparazione “accompagnano” gli striders durante la
hike.
La formazione di un istruttore Striding® è in continua evoluzione, inizia con il Corso di
Certificazione, quello che abilita all’insegnamento, e si articola in una serie di momenti formativi suddivisi in Corsi Istituzionali, Corsi Speciali e Workshop, intervallati da
esami, secondo un percorso che mira a fornire tutti gli strumenti utili per svolgere il
mestiere dell’insegnante Striding® con professionalità. La presenza di formatori di alto
livello e l’efficacia del percorso formativo sono confermati dal livello di soddisfazione
di coloro che entrano nel programma di formazione Striding®: si dichiarano molto
soddisfatti e soddisfatti rispettivamente il 72% ed il 24% degli istruttori.
Da un’analisi di genere emerge una prevalenza femminile tra gli insegnanti di Striding®:
La composizione percentuale per età mostra che la maggior parte degli insegnanti appartiene alla fascia d’età 3040 anni (il 44%) e che risulta molto corposa anche la classe 40-50 anni (26%). Il “contingente” degli istruttori Striding® è eterogeneo, gli allievi possono beneficiare del fatto che vi siano neofiti ma anche insegnanti operativi da
tempo in altre discipline, ed infatti anche le classi di età estreme presentano delle percentuali rilevanti
(rispettivamente 19% per la classe 20-30 anni e 11% per la classe 50-60).
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Pianeta Striding®
Diamo i numeri… (parte 2)
di Sara Giavante
Se invece si considera la componente geografica si osserva come la maggior parte degli insegnanti formati provenga dal Centro Italia, con una percentuale pari al 54%. Segue il Nord Italia con un 34% ed infine il Sud con un 12%:
La quasi totalità degli Istruttori formati opera nei tanti Centri Ufficiali Striding® i quali, a loro volta, sono distribuiti per
il 43% al Nord Italia, per il 38% al Centro e per 19% al Sud.
Il quadro complessivo e generale, tenendo conto anche dei “numeri” che ci sono dietro - in termini di striders, insegnanti, centri ufficiali affiliati e organizzazione degli eventi - mostra l’esistenza di un microcosmo variegato ed interessante, nel quale gioca un ruolo fondamentale la passione degli attori che ne fanno parte; il profilo che emerge conferma la vivacità del “movimento” Striding®, la sua forte capacità attrattiva e il grande pregio di sapersi adattare, mantenendo la sua specificità, alla realtà sempre più dinamica del mondo del fitnes
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Pianeta Striding®
Di Fabio Beolchi
(Guida ambientale escursionistica)
IMPARIAMO CAMMINARE IN MONTAGNA (seconda parte)
Su passaggi di sentiero molto stretti, dove si definisce che..per i piedi c’è poco o niente…, spesso noto che per
un’errata sensazione di sicurezza alcuni si “appoggiano” con le mani alla roccia.
Per far riflettere, un semplice concetto di Fisica.
Un corpo inclinato posto su di un piano inclinato, inevitabilmente, comincerà scivolare (specie se il terreno e incoerente).
Se invece questo corpo assume una posizione incidente sul piano inclinato, come stando sugli sci fermi su di un
pendio, esso risulta stabile, in stato di quiete.
Fidiamoci quindi delle gambe e dei nostri piedi, mentre agli arti superiori lasciamo solo il compito del controllo
dell’equilibrio
Illustrazioni tratte da “ Sicurezza e Prevenzione nell’attività Escursionistica” di M. Blatto per L’Escursionista Editore.
Proprio le gambe e la loro resistenza, giocano un ruolo fondamentale in discesa.
La stanchezza del ritorno, la rilassatezza data dalla soddisfazione di aver raggiunto una vetta o l’affrettarsi per un
temporale imminente è causa frequente di incidente.
Concentrarsi sul come si cammina, scendendo, è quasi più importante di come si sale.
Prima di tutto se ci si sente stanchi di gambe, se si comincia a sentire che i muscoli si indolenziscono indurendosi
(acciaiano), effettuare più soste, anche di poche decine di secondi, utili anche a riprendere fiato.
Il nostro passo dovrà essere quindi proporzionato alla solidità delle nostre gambe: esse, nel compiere il passo avanti, appena posato il piede, dovranno ammortizzare leggermente il possibile squilibrio in avanti del peso corporeo e dello zaino.
Questa ammortizzazione serve anche a correggere eventuali movimenti improvvisi, sempre possibili, del terreno/
sasso sotto al vostro piede dandovi almeno la possibilità di correggere l’equilibrio e di non cadere.
L’atto di ammortizzare il passo si compie con l’utilizzo del muscolo della coscia e con le ginocchia leggermente
flesse. E’ anche utile posare i piedi aumentandone leggermente l’ampiezza verso l’esterno (a gambe larghe) rispetto alla linea della direzione di marcia.
Secondo il tipo di terreno e della pendenza, si può provare a posare e trasferire il peso con 2 differenti tecniche di
camminata.
La prima, quella che personalmente preferisco, è, nel primo tempo, di applicare il peso su tutta la pianta con una
leggera prevalenza sulla parte anteriore (palma).
Nel tempo successivo invece carico anche il tallone, fino ad uniformare il mio peso su tutta la pianta.
Questa teoria ha il vantaggio che, in caso di scivolata, l’area tacco/tallone, aderendo bruscamente al terreno, ha
qualche probabilità di fermare lo slittamento in avanti.
La seconda tecnica prevede invece l’appoggio diretto e deciso della zona del tallone, trasferendoci in maniera piuttosto repentina il peso tramite un leggero irrigidimento dei muscoli della gamba. Indubbiamente cosce e caviglie, a
lungo andare, potrebbero risentirne.
Esiste anche un’ulteriore tecnica: è quella di affondare il tallone con un irrigidimento completo della gamba, ma è
un movimento da fare quasi correndo, trasferendo velocemente il peso tra una gamba e l’altra, e che può essere
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Pianeta Striding®
usato solo su discesa marcatamente ripida a fondo estremamente incoerente, o sui ghiaioni dove però, se non volete giocarvi le caviglie, i sassi costituenti il fondo, non devono superare certe dimensioni.
Definita comunemente “sghiaionare” o “passo scivolato”, questa tecnica presuppone gambe molto forti, scarponi adatti ed un controllo continuo dell’equilibrio ma è una tecnica da utilizzare solo in caso di necessità perché deturpa
enormemente la montagna.
Ma torniamo a camminare semplicemente: siamo sempre in ripida discesa, dove il baricentro svolge un ruolo fondamentale. Anche qui accade molto di frequente di portare la testa in avanti, ipoteticamente ed inutilmente protesa a
leggere il terreno che sfugge, abbassandosi repentinamente sotto e davanti a noi.
Facciamo questo anche perché il nostro sguardo poco è abituato a punti di vista sfuggenti e lontani, e per di più posti
sotto il nostro orizzonte.
In questo modo rendiamo molto meno sicuro il nostro cammino e più faticoso. Perché?
Avete presente un metronomo per musica: se posizioniamo il peso nella parte inferiore dell’asticella, il meccanismo,
al di là delle successive oscillazioni, farà meno sforzo per riportarlo al centro.
Se invece il peso si colloca nella parte superiore dell’assicella, mi ci vorrà più energia per riportarlo nel centro.
Applicato il concetto del metronomo al nostro escursionista in discesa da qualche monte, la sua testa in avanti costituisce un’ulteriore peso, potenzialmente sbilanciabile nell’area di baricentro. In conclusione sì necessità di più sforzo
per mantenere il controllo durante la camminata.
La testa deve essere quindi eretta, tenuta “a piombo” sulla colonna vertebrale, sono solo gli occhi, lo sguardo, che si
abbassa a prendere di mira, a leggere dove mettere il prossimo passo.
Questa testa, tenuta in posizione, aumenta il peso alternativamente posto sui piedi ad ogni passo, rendendo più stabile, quindi più sicuro, l’appoggio.
In entrambi i casi di progressione, sia in salita che in discesa, la nostra camminata sarà resa più ergonomica e sicura
se il busto assumerà anche e comunque una posizione leggermente piegata in avanti, con le braccia leggermente
allargate, pronte a entrare in azione in caso di scivolata.
Personalmente suggerisco anche di portare il lacciolo dei bastoncini da trekking, se usati, a metà palmo, pronto ad
essere abbandonato in caso di caduta e, ritengo utile, anche un paio di guantini che ci potranno limitare eventuali
escoriazioni.
Queste sono tutte azioni e consigli che da principio sarà necessario applicare in modo cosciente, e ragionato.
E qui entra in gioco il fattore testa (psiche).
Salita e discesa hanno poca differenza in termini di come sono vissute a livello psicologico. La prima è fonte di ripensamenti dovuti specie alla fatica, il classico ma chi me lo fa fare!!. La discesa invece, specie ad obiettivo raggiunto,
può condurre ad una forma di pericolosa deconcentrazione. La messa in atto dei suggerimenti fin qui dati, unita ad
un po’ di allenamento, ci rende sicuri, soprattutto mentalmente, nel nostro procedere.
E’ proprio quando, anche se siamo su di un dirupo, che non abbiamo il timore di cadere e siamo tranquilli, il momento in cui abbiamo il controllo totale del nostro corpo percependolo collocato nello spazio intorno.
Si tratta di uno stato di armonia fisica/mentale che mette in sintonia noi stessi e con l’ambiente posto intorno e le sue
difficoltà. Ci sentiamo parte di esso, ci permea, regalandoci uno stato di serenità. Il cadere, il rischio di scivolare, il
precipitare o la più semplice paura di farsi male deve trasformarsi in uno stato di vigile concentrazione, una serena
ed obiettiva attenzione a quello che l’ambiente richiede per essere vissuto.
Il pensiero di “non farcela” prende a tutti: si tratta allora di compiere, a priori, una valutazione delle proprie capacità,
meglio se coadiuvate da qualcuno che vi conosce e magari è più esperto in materia outdoor.
Va inoltre ricordato che il pensiero negativo è un potente “consumatore” di energie fisiche che invece occorrono per
affrontare difficoltà nel camminare in montagna.
“Dominarsi” mentalmente, la consapevolezza del movimento e la corretta percezione del proprio corpo nello spazio
intorno, concorrono a rendere piacevolmente sicure le nostre escursioni in montagna. Ma bisogna anche saper intuire i propri limiti prima di arrivarci, saper tornare indietro se occorre, anche se per farlo è necessario tentare. Prova
almeno!! e poi potrai dire che …non è per me oppure ce l’ho fatta!!!
In conclusione spero di non essere stato troppo noioso o prolisso. Questi miei suggerimenti hanno come unico scopo, il camminar per monti in maniera per quanto possibile sicura, per permetterci di concentrarci meglio ed apprezzare tutte le bellezze naturali che andremo a visitare, si tratti del K2 o di un semplice bosco.
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Pillole di Anatomia, Tecnica e Ricerca
Sciatalgia o “Sindrome del piriforme?”
(Dr. Giovanni Postiglione)
Il muscolo piriforme è un muscolo piuttosto sottile e piatto costituito da tre fasci che originano dal secondo e
terzo forame sacrale. È posizionato sia all'interno che all'esterno della pelvi (bacino). La parte intrapelvica è posizionata contro la parete laterale e ha di fronte il plesso sacrale e i vasi ipogastrici; la parte extrapelvica decorre
tra il muscolo piccolo gluteo posizionato superiormente e i muscoli gemelli e otturatore interno che sono invece
posizionati inferiormente. Il nervo sciatico origina dai nervi spinali L4-L5 e L5-S1 e passa, in genere, al di sotto
del muscolo
piriforme.
Questo muscolo ha funzione extrarotatoria (ruota in fuori la coscia) con lieve componente di abduzione e di estensione.
In fase di appoggio, stabilizza il femore. Spesso è soggetto a contratture e ipertonie, che possono scatenare la
cosiddetta sindrome del piriforme.
La patologia
La sindrome del piriforme è una patologia che provoca un dolore di tipo sciatalgico ("falsa sciatalgia"). Se fra le
cause di tale dolore si possono escludere patologie quali un'ernia del disco (L4-L5 o L5-S1), una stenosi lombare, una massa neoplastica o un ematoma a livello dei muscoli ischio-crurali è opportuno effettuare indagini a livello del muscolo piriforme; è possibile infatti che una sofferenza del muscolo (dovuta ai motivi più svariati) sia la
causa della dolorabilità sciatalgica. Il primo autore a ipotizzare il ruolo del muscolo piriforme quale causa di dolore di tipo sciatalgico fu W. Yoeman, nel 1928,ma non fu lui a parlare di "sindrome del piriforme", bensì D. Robinson, nel 1947 (Piriformis muscle in relation to sciatic pain).
La sintomatologia deriva o dalla compressione del nervo sciatico contro l'arcata ossea del grande forame ischiatico o, nella maggior parte dei casi, dalla irritazione dello stesso nervo, da parte del ventre del muscolo piriforme,
che in caso di contrattura e ipertonia comprime le fibre nervose adiacenti.
Le cause
L'eziologia della sindrome del muscolo piriforme è multifattoriale; dai dati presenti in letteratura sembra che la
causa più frequente sia di tipo traumatico; altre cause sono le eterometrie degli arti inferiori, i microtraumi, le miositi del piriforme, gli interventi chirurgici all'anca.
I sintomi
- La sintomatologia della sindrome del piriforme è alquanto variegata. Spesso si avverte dolore, talvolta accompagnato da parestesie, al tratto lombare, alla regione dei glutei, nelle zone posteriori della gamba e della coscia e
anche alla pianta del piede; altri sintomi che possono comparire sono deficit di tipo motorio, riduzioni della sensibilità in alcune zone degli arti inferiori e gonfiore esteso nella zona che va dal sacro al gran trocantere. La sintomatologia è accentuata se il soggetto è rimasto a lungo seduto (in particolar modo con il femore intraruotato) oppure se sono state svolte attività sportive o lavorative caratterizzate da notevole intensità.
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Pillole di Anatomia, Tecnica e Ricerca
La diagnosi
La diagnosi della sindrome del muscolo piriforme viene effettuata, di norma, attraverso un esame di tipo clinico; talvolta può essere necessario ricorrere a indagini supplementari (elettromiografia per valutare la conducibilità nervosa
del nervo sciatico, TAC e risonanza magnetica).
Fra i test clinici maggiormente usati per la diagnosi della patologia in questione ricordiamo il test di Freiberg, il test
di Pace e Nagle e il test dei rotatori esterni del femore.
Nel test di Freiberg,
il paziente è in posizione prona, flette in modo passivo il ginocchio a 90° e porta la gamba all'esterno allo scopo di
imprimere una rotazione interna al femore; Il test viene ritenuto positivo in caso di dolore e di sintomi da compressione del nervo sciatico.
Nel test di Pace e Nagle il paziente, in posizione seduta, compie un'abduzione-extrarotazione isometrica delle
anche contro le mani del medico. L'aumento del diametro del muscolo unito alla tensione causata dalla contrazione
scatena, in caso di positività, dolori miofasciali.
Il test dei rotatori esterni del femore
si effettua col paziente supino sul lettino, il terapeuta prende le caviglie ed effettua delle rotazioni interne degli arti
inferiori distesi determinando uno stiramento dei muscoli piriformi; dal lato della contrattura la gamba ruoterà di meno
e il paziente può riferire dolore.
Il trattamento
– Esistono diverse modalità di trattamento di questa patologia sia di tipo farmacologico sia di tipo fisico. I trattamenti
di tipo farmacologico comprendono l'assunzione orale di farmaci antinfiammatori non steroidei e di farmaci miorilassanti. Le terapie fisiche consigliate sono gli ultrasuoni, la tecarterapia e i massaggi trasversali profondi. Ottimi risultati
si ottegono con la terapia manuale, lo stretching e il taping neuromuscolare, approcci privi di effetti collaterali.
La ripresa dell'attività sportiva (o lavorativa) deve avvenire in modo graduale. Durante il periodo di trattamento può
essere utile, nelle ore di sonno, posizionare un cuscino tra le ginocchia allo scopo di favorire il rilassamento del muscolo.
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Il Centro Sportivo
Viva la Sicilia – PALESTRE NEWFIT –
(Intervista a Giuseppe Musmarra)
La Sicilia è sicuramente oggi una delle zone più interessanti per lo sviluppo dello Striding® nel sud
Italia. Con i siciliani è nato subito un rapporto speciale. Sarà per il temperamento ed il calore delle persone,
per la loro precisione e la loro intelligenza, sarà per i colori e la vivacità di questa terra “geneticamente” ospitale, cose che rendono tutto più stimolante, che sentire parlare di Sicilia è sempre un piacere. Per la nostra consueta intervista questa volta abbiamo scelto di parlare con Giuseppe Musmarra che oltre ad essere
a tutti gli effetti un rappresentante dell’Accademia, nella sua qualità di Regional Presenter, è anche il proprietario della catena di palestre Newfit che, per ora, si espande da Acireale e Catania.
D: Buongiorno Giuseppe e grazie per questa intervista. Ci puoi tracciare brevemente l’identikit di una palestra Newfit e la mission che la ispira?
R: Le palestre NEWFIT si fondano su un concetto base che é quello del benessere, uso questo termine nonostante
oggi sia estremamente inflazionato per provare a far capire che si deve star bene nel corpo e nello spirito, ed è impossibile lavorare solo su una di queste componenti. La prima la alleni con la professionalità la seconda con il piacere di sorridere di condividere e di stare insieme indipendentemente da quale sia il motivo che ci porti in quel luogo.
D: Con che modalità hai inserito lo Striding® nei palinsesti dei tuoi Centri?
R: Striding® per noi é il marchio che in questi anni ci ha permesso di fare il salto di qualità. Oggi nei nostri Centri
Striding® é presente nel palinsesto in maniera molto forte con punte di 4 lezioni in un giorno. Proviamo ad inserire
Striding® nel programma di allenamento settimanale proponendo 2 lezioni. Questo per evitare che ci si fossilizzi solo
su una disciplina e poi perché secondo noi molto è meglio arrivare "all'appuntamento" desiderandolo un po'!
D: Con che tipo di passione la nostra disciplina è stata accolta dagli allievi presso i tuoi Centri?
R: A questa domanda posso rispondere solo dando dei numeri in entrambi i Centri abbiamo 6 turni settimanali (ogni
turno é composto da due lezioni) ecco ad oggi tutti questi turni sono sempre over-booking, nei nostri Centri tutti vogliono fare Striding®.
D: Sappiamo (e questo è per tutti noi motivo di orgoglio) che Acireale è da tanto tempo ormai un vero e proprio baluardo dello Striding® in Sicilia. Pensi che lo stesso possa o potrà dirsi per il nuovo centro di Catania?
R: Dopo un primo periodo di scetticismo (forse per la forte e storica presenza sul territorio di altre tecniche indoor), oggi siamo riusciti a crearci un piccolo spazio tutto nostro nell'ampio e variegato mercato catanese, fatto questo
che ci fa credere fortemente in una continua e costante crescita. Anzi alla luce di questa tua domanda non posso
nascondere un grande passo che la famiglia NEWFIT sta per compiere. Alla luce di queste nostre certezze di crescita ti annuncio che sta nascendo un nuovo centro NEWFIT dove come pilastro portante sarà presente sempre STRIDING®.
D: Questo ci riempie di gioia…lasciamo allora un po’ di mistero sul nuovo Centro…
Per come ti conosciamo sei un professionista che non lascia nulla al caso. Con quali criteri selezioni il personale per lavorare nei tuoi Centri?
R: Come ho già detto i nostri Centri si fondano sul concetto di benessere. Prima ho provato a far capire cosa inten
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Il Centro Sportivo
diamo noi per benessere dell'anima, ora parliamo del benessere del fisico. Proprio per il benessere del fisico é impensabile mettere un istruttore improvvisato a gestire una lezione. L'esempio che faccio sempre a tutti i miei istruttori
quando capisco che vorrebbero evitare di fare un corso, é questo:" voi vi fareste mai operare di cuore dal più bravo
ortopedico del mondo?". Detto questo vi garantisco che la formazione é la base per diventare un buon istruttore, per
strutturare un buon Centro e soprattutto per avere delle classi affollate e che durino nel tempo. Scusa se mi dilungo
ma la formazione per me é qualcosa di stupendo. Poco tempo fa parlando con un collega mi diceva:"ma come fai ad
avere 30 tappeti sempre pieni, mentre io non riesco nemmeno a raggiungere il numero per fare lezione?"
La mia risposta banale:"ma chi fa lezione?"
Lui:"ma sai un istruttore bravissimo lo conosci...... Quello che fa Spinning®"
Io :" scusa ma fa Spinning® o Striding®?"
Lui:" dai Peppe tanto é la stessa cosa"
Io:" non credo!"… evito di continuare il discorso per non annoiare.
D: In tutta Italia, in questo periodo, stanno fiorendo tante iniziative per organizzare eventi locali (Eventi regionali, Affiliation days ecc.). Tu hai nel mirino delle novità o delle proposte per meglio sviluppare lo Striding® in Sicilia?
R: In realtà noi già da qualche anno stiamo organizzando Eventi Regionali, anzi sarei felice se tutte le forze regionali
riuscissero a convergere verso un unico obbiettivo e magari si riuscisse e a creare un evento solo per professionisti
del settore dove provare a far capire a tanti colleghi la vera essenza dello Striding®….visto che secondo me…
STRIDING® É UNA PASSIONE CHE UNISCE.
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Dalla parte dell’anima
CHI SI SOMIGLIA SI PIGLIA…
La comunicazione empatica non è solo una delle componenti principali della relazione d’aiuto, ma si
tratta uno strumento prezioso in qualunque ambiente di lavoro e nella sfera sociale. Il termine empatia deriva dal
greco e fa riferimento alla capacità di vedere il mondo attraverso gli occhi di un’altra persona. Chi è empatico
riesce a comprendere il mondo interiore di un altro (affetti, pensieri, emozioni, ecc) senza però farli propri. La comunicazione empatica è un’attitudine che si possiede (quando si è fortunati) o si può acquisire grazie a percorsi formativi. Ciò che si apprende è il modo di aprirsi un varco verso il prossimo evitando gli errori che chiudono
la comunicazione. Gli elementi chiave della comunicazione empatica sono la comprensione e l’ascolto attivo.
La comprensione attivata dalla comunicazione empatica
Quando si comunica con un’altra persona ci sono due vie principali attraverso le quali cercare di comprendere quanto ci sta raccontando. La prima forma è la comprensione intellettuale, tipica di chi vuole comprendere i fatti. Chi
ascolta è quindi concentrato sui fatti accaduti e su come si siano avvicendati. Il focus è sul cosa l’altro sta raccontando. La seconda è la comprensione empatica che invece è centrata sul come il nostro interlocutore stia raccontando. Il focus è quindi sulle sfumature emotive che colorano la narrazione e che forniscono informazioni sullo stato
d’animo del narratore. Spesso ci si sente compresi solo quando chi ci ascolta comprende quello che stiamo vivendo
e non come si sia svolta la vicenda.
I tre elementi chiave della comunicazione empatica
La comunicazione empatica che porta a questo tipo di comprensione si basa su tre elementi principali:

trasparenza: evitare di mascherare le proprie reazioni emotive. Si può non essere d’accordo con qualcuno e glielo si può dire, ma mentire blocca la comunicazione;

autocontrollo: non confondere le proprie reazioni con quelle dell’altro, né far prevalere i propri bisogni.
Non sempre si è a caccia di consigli;

accettazione incondizionata: evitare di giudicare il comportamento dell’altro, ma focalizzarsi su cosa
sente.
L’ascolto attivo per una comunicazione empatica
Per fare in modo che l’altro si apra e ci dia l’opportunità di comprenderlo è necessario dare dimostrazione di saper
ascoltare (in genere la parte interessante di un racconto viene sempre in coda alla conversazione). Ascoltare non
significa stare fermi e non interrompere, è un comportamento proattivo attraverso cui dimostrare di essere in grado di
comprendere l’altro. L’ascolto attivo è tipico di chi evita i blocchi della comunicazione per favorire l’empatia. Vediamo quali sono le caratteristiche di questi blocchi:
• atteggiamento indagatore più attento ai particolari di ciò che è accaduto;
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Dalla parte dell’anima
• imposizione di soluzioni in base alla propria esperienza. Chi offre facili soluzioni ai problemi altrui spesso poi si offende se non viene ascoltato;
• frasi consolatorie generaliste che non tengono conto della specificità della situazione;
• espressione di giudizi personali su cosa sia accaduto.
Favorire la comunicazione empatica
Che fare allora per favorire la comunicazione empatica? Se lo scopo è quello di comprendere l’altro innanzitutto bisogna partire dal presupposto che non è detto che si riesca a comprendere tutto e subito. Il percorso di comprensione deve essere fluido, senza forzature, con i tempi giusti. Questo dà modo all’interlocutore di verificare la nostra
comprensione, tanto come opportunità quanto come vero e proprio processo biochimico.
Lo conferma la scienza
Se fino a qualche decennio fa si era tutti dell’opinione che l’empatia fosse una capacità teorica, da sviluppare grazie
ad una buona dose di sensibilità, oggi la scienza afferma senza mezzi termini che dietro l’empatia c’è molto di più.
Da qualche anno è stata provata la presenza nel cervello umano, di quelli che vengono definiti molto chiaramente
neuroni specchio. Per farla semplice questi inviano impulsi nervosi al cervello sia quando si osserva l’azione
(predisponendoci all’emulazione o all’apprendimento) sia quando l’azione viene compiuta in prima persona.
I neuroni specchio consentono inoltre di “specchiarci” nelle emozioni altrui, e di provare una medesima felicità o un
dolore similare a quello provato da chi ci sta accanto. Improvvisamente l’empatia diventa non più una tecnica costruita o una strategia, ma una vera e propria risorsa del nostro cervello. Scoperti dallo scienziato italiano Giacomo
Rizzolatti, dei neuroni specchio si è occupato anche Marco Iacoboni, scienziato nostrano inserito nel team di ricerca
della University of California di Los Angeles. Nel suo libro “I neuroni specchio, come capiamo ciò che fanno gli altri”
lo scienziato tenta di dare una spiegazione sulla funzione di questi neuroni oramai divenuti famosi.
Iacoboni è convinto che sia stata l’evoluzione a predisporci all’empatia dato che i neuroni specchio consentono al
nostro cervello di simulare quello che fanno gli altri e di comprenderne più o meno a fondo le emozioni.
Chi si somiglia si piglia…
Il grado di empatia aumenta o diminuisce in base alla somiglianza con l’interlocutore, mentre si è registrata una
sorta di resistenza dei neuroni specchio, quando l’altro ci appare diverso per fisionomia, aspetto, cultura, atteggiamento o razza.
Il fatto che queste cellule siano in grado di apprendere ci consola: se stimolate nella giusta maniera, con un poco di
allenamento possiamo capire anche chi è diverso da noi.
Per l’articolo si ringrazia la Dr.ssa Francesca Cilento
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Dalla parte dell’anima
OSHO: Essere se stessi
Veridicità significa autenticità, essere veri, non essere falsi, non usare maschere. Quale che sia il tuo volto reale, lo
mostri… e a qualunque prezzo.
Ricorda, non vuol dire che devi smascherare gli altri. Non metterti a smascherare nessuno, perché è questo che la
gente pensa. Pensa di dover essere sincera, autentica, e che questo significhi che deve andare a mettere a nudo
gli altri.
Ma non è così, ciò che ti devi ricordare è di essere sincero con te stesso. Non c'è bisogno di te per riformare tutti
gli altri a questo mondo. Se cresci tu, è sufficiente. Non fare il riformatore, non cercare di dare lezioni agli altri o di
cambiarli. Se cambi tu, quello è un messaggio sufficiente.
Essere autentici vuol dire rimanere fedeli al proprio essere. Ma come farlo? Ci sono tre cose da ricordare.
Una, ascolta sempre la tua voce interiore, ascolta ciò che tu vorresti essere.
Non ascoltare mai nessuno quando ti dice cos'è bene per te, altrimenti sprecherai la tua vita. Tua madre vuole che
diventi un ingegnere, tuo padre un dottore e tu vuoi essere un poeta. Cosa puoi fare? Certo tua madre ha ragione,
perché dal punto di vista finanziario è meglio essere un ingegnere. Anche tuo padre ha ragione: essere un dottore
ha un buon valore di mercato.
Un poeta? Sei diventato matto?
I poeti sono persone maledette, nessuno li vuole. Non c'è nessun bisogno di loro; il mondo può esistere anche
senza poesia. Il mondo non può esistere senza ingegneri, e se c'è bisogno di te hai più valore; se non servi, non
hai nessun valore.
Ma se vuoi essere un poeta, sii un poeta. Magari dovrai mendicare. Bene! Magari non diventerai ricco. Non preoccuparti, perché puoi diventare un grande ingegnere e guadagnare tanti soldi, ma non ti sentirai mai realizzato. Ti
resterà comunque un desiderio profondo, il tuo essere interiore bramerà essere un poeta.
Ricorda, sii fedele alla tua voce interiore. Può condurti nei pericoli, eppure devi rimanerle fedele perché allora c'è
la possibilità che un giorno arriverai alla condizione di danzare e celebrare la tua realizzazione interiore.
Guarda sempre qual è la prima cosa per il tuo essere, la più importante, e non permettere agli altri di manipolarti e
di controllarti. Sono tanti: tutti sono pronti a controllarti, a cambiarti, a darti un'indicazione che non hai nemmeno
chiesto. Tutti ti vogliono dare una guida per la tua vita. Ma la guida esiste dentro di te; solo tu conosci la formula.
Essere autentici vuol dire essere fedeli a se stessi. È un fenomeno molto pericoloso; solo rari individui ci riescono.
Ma, se ci riescono, si realizzano. Arrivano a una bellezza, a una grazia e soddisfazione che tu non puoi nemmeno
immaginare. Se tutti hanno un'aria frustrata è perché nessuno ha dato ascolto alla sua voce interiore.
Ascolta sempre la tua voce interiore e nient'altro. Sarai circondato da mille tentazioni, perché ci sono tante perso
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Dalla parte dell’anima
ne che vogliono vendere le loro merci. Il mondo è un supermercato, e tutti vogliono vendere le loro cose; sono tutti
dei venditori. Ma se dai ascolto a tutti questi venditori diventerai matto. Non ascoltare nessuno; chiudi gli occhi e ascolta la tua voce interiore. Questo è proprio il senso della meditazione: ascoltare la voce interiore. Questa è la
prima cosa.
E poi la seconda - solo se hai fatto la prima puoi fare la seconda - non metterti mai una maschera. Se sei arrabbiato, sii arrabbiato. È rischioso, ma non metterti a sorridere, perché allora il tuo sorriso è falso, solo una maschera… un
esercizio delle labbra, e nient'altro. Il cuore è pieno di rabbia, di veleno, e le labbra sorridono; diventi un fenomeno
falso. Quando vuoi essere arrabbiato, sii arrabbiato. Non c'è nulla di male nell'essere arrabbiati.
Se vuoi ridere, ridi. Non c'è nulla di male nel ridere forte. Pian piano vedrai che il tuo sistema ricomincia a funzionare.
E quando questo accade, sentirai un suono armonioso, proprio come una macchina il cui motore, quando tutto funziona bene, fa questo rumore armonioso. Il guidatore che ama la sua macchina sa che ora tutto funziona bene, che
c'è un'unità organica - il meccanismo funziona perfettamente.
Anche in una persona puoi notare quando il meccanismo funziona bene, sentirai questo suono armonioso intorno a
lei. Cammina, e il suo passo è una danza. Parla, e le sue parole portano con sé una sottile poesia. Ti guarda, e ti
guarda veramente; non è tiepida, è calda. Quando ti tocca, ti tocca veramente. Puoi sentire la sua energia che arriva
nel tuo corpo, una corrente di vita che ti viene passata… perché il suo meccanismo funziona bene.
La seconda cosa è: non usare maschere. Sii vero, qualunque ne sia il prezzo.
La terza cosa sull'autenticità: rimani sempre nel presente, perché tutto ciò che è falso arriva o dal passato o
dal futuro. Ciò che è stato è stato, tutto ciò che non è ancora stato, non è ancora stato. Non preoccuparti del futuro,
altrimenti si insinuerà nel presente, distruggendolo. Sii vero rispetto al presente, e sarai autentico. Essere qui e ora
vuol dire essere autentici. Questo momento è tutto, è tutta l'eternità.
Con queste tre cose arrivi a ciò che Patanjali chiama veridicità. Allora tutto ciò che dici è vero. Normalmente pensi di
dover fare uno sforzo per dire la verità. Io non dico questo, io dico che quando crei l'autenticità, tutto ciò che dici sarà
vero. Una persona autentica non può mentire, tutto ciò che dice sarà vero.Quindi non ti dico: "Di' la verità". Ti dico:
"Sii autentico e tutto ciò che dici sarà vero".
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Altri percorsi del corpo e della mente
La Floatation
Tank (Dr. Davide Carbotti)
"Floating Therapy" Restricted Environmental Stimulation Therapy (REST): la tecnica del Galleggiamento in una
Vasca di deprivazione sensoriale.
Il Galleggiamento o "Floating Therapy" come afferma Michael Hutchinson in “The book of Floating" è uno strumento
con caratteristche terapeutiche, educative e di svago che porta benefici a livello fisico, emozionale, intellettivo e spirituale".
Si Galleggia in una Vasca di deprivazione sensoriale (Floatation Tank) dove è presente una soluzione ipersatura di
Solfato di magnesio (Epson salt), mantenuta costantemente alla temperatura di 34,8 °C.
Una volta preso posto all'interno, il corpo umano inizia a galleggiare sulla superficie del liquido che ha una profondità
di soli 26 cm.
All'interno della vasca si ricreano il buio ed il silenzio assoluto, in modo da annullare tutti gli stimoli esterni. Dopo circa mezz'ora di sospensione nel liquido, si iniziano ad avvertire i primi segnali che qualcosa di straordinario sta accadendo
all'organismo.
Il Galleggiamento avviene quindi in assenza di forza di gravità e stimolazioni sensoriali.
Dopo solo 45 minuti di Galleggiamento lo stress mentale e fisico vengono eliminati poiché l'assenza di stimoli esterni
cancella il 90% dei segnali mandati dal sistema nervoso al cervello permettendo un profondo stato di rilassamento
mentale.
A cosa serve la "Floating Therapy"?
Aiuta a ritrovare l'energia, scaricare le tensioni favorendo un rilassamento muscolare migliorando sensibilmente lo
stato di benessere fisico mentale ed emotivo.
La "Floating Therapy" riduce sensibilmente il livello di cortisolo nell'organismo favorendo l'abbassamento del livello di
stress e di stanchezza.
Aumenta il livello di endorfine (che agiscono come analgesici naturali).
Innumerevoli studi scientifici hanno messo in luce come può migliorare l'insonnia, diminuire l'aggressività e favorire il
recupero del proprio ottimale peso corporeo, migliorando la percezione della propria immagine corporea.
Inoltre riduce il dolore muscolare, aiuta ad eliminare l'acido lattico presente dopo un allenamento, migliora la circolazione in quanto l'assenza di gravità permette al sangue di raggiungere con facilità ogni estremità del corpo.
Facilita la mobilità articolare, elimina o riduce i dolori osteo-muscolari ha un effetto immediato sul dolore acuto, cronico e sulla cefalea, riduce la pressione del sangue e la frequenza cardiaca.
Il "Floating" è particolarmente indicato nel trattamento dell'ansia, del jet lag e per migliorare la concentrazione e la
creatività.
Le persone che regolarmente utilizzano la tecnica del "Floating" riscontrano un livello piu' elevato e duraturo nei benefici.
Grazie al "Floating"aumentano le potenzialità sul lavoro e nella vita in quanto migliora la fiducia in se stessi e l'obiettività.
A chi si rivolge?
Il Galleggiamento è un ottimo strumento adatto a tutti che può essere integrato nella vita di tutti i giorni, nella pratica
sportiva sia agonistica che amatoriale.
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Altri percorsi del corpo e della mente
Molti atleti famosi che utilizzano e hanno utilizzato il Galleggiamento sono Carl Lewis, che ha usato le tecniche di
visualizzazione per prepararsi per la sua medaglia d'oro nel salto in lungo alle Olimpiadi del 1988 a Seoul. Nel 1998
Ironman campione Peter Reid, i Dallas Cowboys, la squadra olimpica degli Stati Uniti 2000, e l'australiano Olympic
team nel 2000.
"L'AIS (Australian Institute of Sport): usa il Galleggiamento come parte integrante del regime di preparazione degli
atleti Olimpici. Tre sono gli scopi principali: recupero atletico generale, recupero nelle lesioni e programma di riabilitazione neuro-muscolare." Il Team Inglese di Atleti Professionisti come Philips Idowu, Tasha Danvers (argento/bronzo
a Pechino) e Jade Johnson (oro nel 2008 al CUP Europeo in Francia), hanno utilizzato il Galleggiamento all'interno
di un programma di preparazione atletica ed è stato eccezionalmente favorevole sia per gli aspetti fisici che mentali
delle loro prestazioni individuali.
Molti manager,scrittori ed artisti hanno raggiunto prestazioni d'eccellenza grazie alla tecnica del "Floating".
Quali vantaggi offre?
In assenza di gravità ed in restrizione sensoriale il cervello non deve più codificare ed interpretare gli stimoli ambientali evitando così di dover continuamente pensare a come reagire a tali stimoli, favorendo la sensazione di profondo
rilassamento e inducendo il sistema nervoso ad una risposta "parasimpatica" con conseguente sensazione di defaticamento.
La privazione degli stimoli sensoriali induce il cervello a modificare la sua attività bioelettrica: si passa dalla produzione di onde cerebrali Beta caratteristiche di quando si è coscienti, alla produzione di onde Alfa e Theta tipiche dello
stato di rilassamento senza pensieri e dei primi 2 stadi del sonno Rem.
Lo stato di Galleggiamento induce un naturale equilibrio fra l'emisfero destro e sinistro del cervello, permettendo l'accesso a zone generalmente poco utilizzate del nostro potere cerebrale, e favorendo una completezza del proprio
essere.
In stato di rilassamento profondo l'ipotalamo induce la produzione di neurotrasmettitori associati alla sensazione di
benessere, gratificazione e felicità, inibendo al contrario quelli associati all'ansia, alla paura e all'aggressività.
In assenza di stimoli esterni la soglia della percezione si abbassa, per cui una volta usciti dalla vasca il mondo ci appare più colorato, luminoso, e i suoni più ricchi e intensi. Migliorano le capacità percettive di tutti i nostri sensi.
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