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THE IDOL
(2016) di Hany Abu-Assad | MATERIALI SCUOLE
TRAILER | https://youtu.be/LOUwu4yATEs
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TRAMA: Gaza. Il giovane Assad ha un sogno: diventare famoso con la propria band, di cui fa parte
anche la sorella. Dopo una tragedia familiare, sembra dover rinunciare alle sue speranze. Un giorno,
però, il talent show Arab Idol gli ridona coraggio, ma c’è un problema: da palestinese, riuscirà a
raggiungere l’Egitto, superando la frontiera, per i provini del programma?
LE PAROLE CHIAVE
TALENT SHOW
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GAZA
FRONTIERA
RICERCA
MATERIALI PER DOCENTI
ISRAELE E PALESTINA: UN RAPPORTO DIFFICILE
RICERCA A CURA DI L.D.F. (FONTE: AGISCUOLA)
La fine delle guerre arabo-israeliane avviò un timido e incerto progresso di normalizzazione dei rapporti
tra lo Stato ebraico e alcuni dei paesi limitrofi, spesso vanificato da irrigidimenti e da nuove crisi. Nel
novembre del 1977 il presidente egiziano Anwar al-Sādāt si reca in visita a Gerusalemme, avviando di
fatto il processo di pace tra Egitto e Israele.
Nel 1978 l'invasione del sud del Libano da parte dell'esercito israeliano indusse l'ONU a creare una zona
cuscinetto, tra i due paesi, presidiata dai "caschi blu".
Nel 1979, dopo lunghe trattative facilitate dagli Accordi di Camp David (settembre 1978), Israele ed
Egitto firmano un trattato di pace (il primo tra Israele e uno stato Arabo) che comporta la restituzione
all'Egitto della penisola del Sinai e il riconoscimento dello stato di Israele. La reazione della Lega araba fu
di isolare l'Egitto e di proclamare il Fronte del rifiuto.
Nel 1980, Israele dichiarò Gerusalemme unificata come unica capitale dello Stato ebraico per poi
annettersi l'anno successivo le alture del Golan siriano già occupate.
Il 6 ottobre 1981 il presidente egiziano Anwar al-Sādāt (Premio Nobel per la Pace con Menachem Begin)
viene assassinato, durante una parata militare, da estremisti arabi membri dell'Organizzazione Jihād
islamica egiziana di Shukrī Muṣṭafā, un fuoruscito del movimento dei Fratelli Musulmani, da lui ritenuti
troppo "moderati".
Nel 1982, Israele avviò l'operazione "Pace in Galilea", che prevedeva la creazione di una zona priva di
insediamenti palestinesi attorno ai confini settentrionali israeliani, con l'obiettivo della distruzione
definitiva dell'OLP.
Nell'ambito di tale operazione Israele invase il Libano spingendosi fino a Beirut, costringendo l'OLP a
trasferire la propria sede in Tunisia. Nel quadro di questa azione militare si ebbero i massacri dei campi
profughi beirutini di Sabra e Shatila, perpetrati dal maronita Elie Hobeika e dalle forze filo-israeliane del
cosiddetto Esercito del Sud-Libano (cristiano). L'inerzia delle forze israeliane che erano responsabili della
sicurezza di quelle aree e che erano a conoscenza di quanto stava avvenendo nei campi profughi (in cui
si contarono da 800 a 2.000 civili trucidati) provocò una severa inchiesta da parte della Corte Suprema in
Israele. Essa si concluse con le dimissioni forzate di Ariel Sharon dalla carica di Ministro della Guerra e
col dimissionamento del Capo di Stato Maggiore israeliano e del responsabile militare israeliano delle
operazioni in Libano.
Nel frattempo l'ONU, che accusava Israele di violare i diritti umani nei confronti dei Palestinesi, formò
una commissione di indagine perché vigilasse sul problema dei mezzi coercitivi messi in atto nei
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confronti degli Arabi affinché abbandonassero le loro terre, come pure sulle disposizioni israeliane in
materia di gestione delle risorse idriche dell'intera area a settentrione dello Stato ebraico e sulla
distruzione di abitazioni arabe da parte dell'esercito israeliano.
Nel novembre del 1984, il re saudita Fahd lanciò, con la conferenza di Fez, un'ipotesi aperturista di
negoziato, chiedendo all'Occidente di fare appello a Simon Peres mentre Riad avrebbe lavorato per
convincere Arafat ad una Confederazione giordano-palestinese: "un obiettivo decisivo che venne fallito
nel febbraio dell'anno dopo, nel 1985, ad Amman, per le mancate, modeste concessioni che venivano
richieste a Simon Peres, allora Primo Ministro di Israele, per costruire una delegazione giordanopalestinese che non facesse perdere la faccia ad Arafat".
Per lungo tempo l'OLP rifiutò di assumere come base per il dialogo la risoluzione 242 dell'ONU (che
prevedeva il ritorno ai confini di prima della "guerra dei sei giorni", legittimando così le conquiste
territoriali israeliane del 1948-1949), finché nel 1988 la sua linea si ammorbidì consentendo l'avvio di un
cauto e non sempre coerente avvicinamento fra le opposte posizioni.
Nel frattempo, nel 1987, era cominciato un moto popolare di sollevazione chiamato Intifada (in arabo
"brivido, scossa"), che tentava di combattere l'occupazione israeliana dei Territori Occupati per mezzo di
scioperi e disobbedienza civile, oltre a ricorrere a strumenti di lotta volutamente primitivi quali il lancio
di pietre contro l'esercito invasore, suscitando così grande impressione nel mondo occidentale.
Sempre in questo periodo, però, gruppi estremistici di matrice islamica tradizionalista che non si
riconoscevano nell'OLP si organizzarono trovando come punto di riferimento il movimento Hamas (nato
a Gaza nel 1987) che, pur limitando la sua azione al quadro strettamente palestinese, con l'impiego di
tecniche di lotta terroristica, decisamente alternativa rispetto a quella più diplomatica dell'OLP, è
riuscito a erodere parte del consenso fin lì goduto dalla "laica" OLP.
Nel 1993, ci fu a Washington un importante vertice di pace tra lo Stato Israeliano e l'OLP, riconosciuta
finalmente come unica rappresentante del popolo palestinese, mediato dallo stesso presidente USA Bill
Clinton. In esso si giunse a un accordo in base al quale Israele si sarebbe ritirata dalla striscia di Gaza
entro il 1994, lasciando quei territori sotto la guida palestinese. I termini dell'accordo si rivelarono in
ultima analisi molto ambigui, tanto che gli scontri ben presto ripresero.
Nel 1995, il premier israeliano Yitzhak Rabin, laburista, premio Nobel con Arafat e Shimon Peres per aver
sottoscritto gli storici Accordi di Oslo con l'OLP, venne ucciso da Yigal Amir, esponente dell'estrema
destra religiosa israeliana.
Questo provocò grande impressione nell'opinione pubblica israeliana, tanto da spingere il nuovo
premier del Likud, Benjamin Netanyahu, a stringere un nuovo accordo con l'OLP, che prevedeva
l'apertura di un aeroporto a Gaza e la liberazione di vari prigionieri politici palestinesi, sempre grazie alla
mediazione del presidente USA Bill Clinton. Tuttavia le tensioni tra le parti non finirono.
La prosecuzione della politica di creazione di nuovi insediamenti agricoli israeliani nei Territori Occupati
non si arrestò e a nulla servì che gli Israeliani, spaventati dagli attacchi terroristici arabi, facessero
vincere il partito laburista del MAPAM di Ehud Barak.
Questi infatti, in un nuovo vertice per la pace a Washington, non riuscì a convincere con le sue proposte
il suo antagonista Arafat sui termini della pace e le trattative conobbero così un cocente fallimento.
Nell'ultimo periodo, la nuova strategia di Hamas di ricorrere ad attentati suicidi contro i civili ebrei ha
ulteriormente acuito la tensione, facendo irrigidire le posizioni degli Israeliani e questo sentimento ha
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trovato una facile sponda nell'amministrazione statunitense, tradizionalmente predisposta a
condividere le tesi israeliane.
La morte del leader dell'OLP Arafat (primavera 2004) e l'elezione del suo successore Mahmūd ‘Abbās
(Abū Māzen) hanno portato, tra innumerevoli azioni di guerriglia e di contro-guerriglia, di attentati
terroristici palestinesi e di "uccisioni mirate" e dure ritorsioni israeliane contro civili palestinesi, allo
sgombero (unilateralmente disposto nel 2005 dal premier israeliano Ariel Sharon) della Striscia di Gaza,
consegnata in novembre all'Autorità Nazionale Palestinese, sui cui valichi è stata chiamata a vigilare una
forza di polizia della Comunità Europea.
Il 16 luglio 2007 il presidente statunitense George W. Bush annuncia l'intenzione di convocare una
conferenza internazionale a sostegno della soluzione a due stati del conflitto. La conferenza si tenne ad
Annapolis il 27 novembre 2007, preceduta da intensi negoziati condotti dal segretario di stato
Condoleezza Rice. Intervennero 49 delegati, compresi i rappresentanti delle nazioni del G8 e i membri
permanenti del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Parteciparono molti membri della Lega araba
(Algeria, Bahrein, Egitto, Giordania, Libano, Marocco, Qatar, Arabia Saudita, Sudan, Siria, Tunisia e
Yemen). Parteciparono anche il segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon, il ministro degli
esteri russo Sergej Lavrov, il rappresentante ufficiale del Quartetto Tony Blair, oltre allo stesso Bush. Le
delegazioni israeliane e palestinese erano guidate dal premier israeliano Olmert e dal leader dell'OLP
Mahmūd ‘Abbās. Al termine il presidente Bush lesse una dichiarazione congiunta di Israele e OLP, le
quali concordavano sull'intenzione di compiere ogni sforzo per raggiungere un accordo entro la fine del
2008 e di mettere in pratica gli impegni assunti con la roadmap del 2003 in direzione di una soluzione
che prevedeva la costituzione di due stati.
Nel 2013, Israele prosegue la politica degli insediamenti civili, da sempre fonte di tensioni con la
popolazione araba. Viene dato il via libera alla costruzione di 90 nuovi insediamenti vicino a Ramallah.
L'estate del 2014 segna un acuirsi del conflitto tra Israele e Hamas nella Striscia di Gaza. Il 12 giugno di
quest'anno tre ragazzi israeliani, Eyal Yifrah, Gilad Shaar e Naftali Fraenkel, che facevano l'autostop nei
pressi di Hebron, vengono rapiti e ritrovati morti il successivo 30 giugno a poca distanza dal luogo del
rapimento. Il governo israeliano presieduto da Benjamin Netanyahu accusa subito i militanti di Hamas di
aver eseguito il rapimento e l'uccisione. Dal canto suo, uno dei leader di Hamas, Khaled Meshaal,
intervistato da Al Jazeera, pur dichiarando di non sapere a chi attribuire l'azione, si "congratula",
mettendola in relazione con la situazione dei prigionieri palestinesi. Il 21 agosto successivo arriverà la
prima rivendicazione formale dell'uccisione dei tre ragazzi da parte di un altro leader di Hamas, Salah
Arouri. L'8 luglio, Israele dà inizio all'operazione Protective Edge, con l'obiettivo di arrestare i lanci di
razzi da parte di Hamas e di distruggere i tunnel utilizzati dai combattenti palestinesi per raggiungere i
kibbutz israeliani nella Striscia di Gaza. L'operazione Protective Edge andrà avanti per i mesi di luglio e
agosto sinché, il 26 agosto 2014, il capo negoziatore di Hamas al Cairo, Moussa Abu Marzouk, annuncia
il raggiungimento di una tregua duratura con Israele. Anche Abu Mazen, presidente dell'ANP conferma il
raggiungimento dell'accordo di tregua al Cairo. L'annuncio della tregua arriva dopo 51 giorni di guerra
che hanno causato 2.136 morti tra i palestinesi (la gran parte civili, compresi quasi 500 bambini) e 69 tra
gli israeliani (di cui 64 militari) e oltre 11.000 feriti.
Il 31 dicembre 2014 il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha respinto la risoluzione, presentata
formalmente dalla Giordania, che chiedeva entro il 2017 la fine dell'occupazione dei territori palestinesi
da parte di Israele, con una ripresa dei negoziati che avrebbero dovuto portare a un accordo sulla
soluzione dei due stati con i confini del 1967 e capitale Gerusalemme est. Hanno votato a favore Russia,
Cina, Francia, Argentina, Ciad, Cile, Giordania e Lussemburgo, contro Stati Uniti e Australia, astenuti
Regno Unito, Lituania, Nigeria, Repubblica di Corea e Ruanda.
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Non ci fu alcun risultato alla proposta della Giordana e la Palestina continuò a essere divisa tra la parte
del territorio, riconosciuta come stato dagli altri paesi, con a capo Abu Mazen e la striscia di Gaza
governata da Hamas un gruppo considerato terrorista non solo da Israele ma da molti altri Stati sia di
religione musulmana che cristiana.
Nel luglio del 2014 tra Israele e Hamas scoppiò un altro conflitto a causa degli omicidi di tre giovani
israeliani avvenuto il 10 giugno dello stesso anno.
Anche se i membri dell'organizzazione hanno agito indipendentemente, i vertici hanno pubblicamente
elogiato il triplice assassinio. È iniziata così un'escalation di violenze, da una parte e dall'altra, che è
costata la vita - al 22 luglio - a 605 palestinesi (circa il 70% sono civili) e 27 militari israeliani. L'obiettivo
dell'operazione, via terra, di Tel Aviv è la chiusura dei tunnel che consentono ai membri di Hamas di
entrare e uscire da Gaza e rifornirsi, tra le altre cose, di armi.
La dedizione di Hamas al terrorismo e quella di Israele alla distruzione, imprigiona Gaza in un conflitto
che si ripercuote innanzitutto sui civili palestinesi. Sia in termini di morti, sia in termini di condizioni di
vita, con l'embargo che strangola l'economia della Striscia e crea terreno fertile per gli estremisti.
Molti palestinesi scelgono la linea dura. Diversa la situazione nella Palestina dell’est dove esiste uno
Stato, riconosciuto dall’ONU e guidato da Abu Mazen in cui i leaders sono più inclini alla negoziazione e
al compromesso.
Una politica che ha portato a uno stato di occupazione continua e che spiega come tanti palestinesi
possano considerare preferibile la strada della «resistenza» in atto a Gaza.
Per porre termine al conflitto le strade possibili sono tre, di cui una sola è pacifica, benché
estremamente difficile da perseguire.
La soluzione dello Stato unico prevede la cancellazione dei confini interni e la creazione di un Paese
pluralista in cui convivano israeliani e palestinesi. Un'ipotesi complicata, innanzitutto per una questione
demografica: la popolazione araba sarebbe nettamente superiore, in termini numerici, a quella ebraica
e, visti i trascorsi storici, farebbe di tutto per affermare la propria identità.
Gli israeliani da parte loro non accetterebbero mai di essere messi in minoranza e perdere quanto
ottenuto, giustamente o meno, negli ultimi decenni.
La seconda 'soluzione', sostenuta dalle fazioni più estremiste (tra cui Hamas e le frange di destra dei
coloni israeliani), sarebbe la distruzione di una delle due parti in causa.
La terza, l'unica in grado di garantire la pace, consiste nella creazione di due Stati: uno palestinese e uno
israeliano, ma le tensioni che caratterizzano il conflitto rendono un accordo estremamente complicato.
Quattro sono i fattori che rendono così difficile arrivare alla soluzione dei due Stati.
In primis, Gerusalemme: entrambe le parti considerano la città la loro capitale. E la disposizione stessa
dei luoghi sacri, ebraici e musulmani, fanno sì che una divisione della cosiddetta Old City scontenterebbe
sia israeliani sia palestinesi.
C'è poi da considerare la questione della West Bank, sui cui confini non esiste un accordo preciso.
Potrebbero essere utilizzati quelli definiti in occasione dell'armistizio del 1948, ma la presenza delle
colonie israeliane (in espansione continua) all'interno del territorio complica la faccenda.
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Tel Aviv teme una Palestina indipendente. Capitolo rifugiati: come detto, attualmente, sono 7 milioni
circa. La Palestina chiede che sia concesso loro di tornare nella terra che fu dei padri, nell'attuale Israele,
e godere di pieni diritti. Tel Aviv si oppone perché, nel caso in cui questo accadesse, la popolazione
ebraica sarebbe in netta minoranza.
Ultimo, ma non per importanza, il tema della sicurezza. La Palestina altro non chiede che la costituzione
di uno Stato sovrano, mentre per la controparte, le cose sono un po' più complesse.
Israele teme che una Palestina indipendente possa trasformarsi in un Paese ostile e allearsi con i vicini
arabi del Medio Oriente. A preoccupare Tel Aviv è anche il potere che Hamas potrebbe conquistare nella
West Bank, sulla scia di quanto fatto a Gaza.
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BRAINSTORMING
SPUNTI PRE-VISIONE
a. MOTIVAZIONE AL FILM, COMPRENSIONE DEL TRAILER. Mostrare il trailer alla classe (vedi link in
copertina), poi effettuare, anche oralmente, il seguente esercizio di comprensione a scelta multipla,
come occasione di brainstorming.
I trailer sono spesso fatti di scritte, oltre che di immagini. Tra le scritte, compare la parola “sogno”.
Secondo te, qual è il sogno del protagonista di The Idol? (Più di una risposta è possibile).
Comprare i biglietti per un concerto
Vincere un concorso musicale nel proprio Paese
Donare speranza al suo popolo Paese
Lasciare il proprio Paese
Diventare famoso con una band
Fermare la guerra
b. EDUCAZIONE ALL’INTERCULTURALITÀ, COMPRENSIONE SEMANTICA. Riflettere con la classe sul
concetto di talent show e confrontarsi sul tema dei sogni, per sviluppare empatia prima del film.
Dal trailer si capisce che in certe zone del mondo non è facile realizzare i propri sogni.
Confrontati col resto della classe su questi argomenti:
1) Che cos’è un talent show? Qual è la traduzione letterale in italiano di questa espressione
inglese?
2) Sapresti fare esempi di talent show italiani? Secondo te, esistono programmi di questo tipo
anche all’estero?
3) Secondo te, quali sono gli ostacoli che possono impedire al protagonista del film di realizzare i
propri sogni? In tutti i Paesi esistono pari opportunità?
c. CAPIRE LA STORIA CONTEMPORANEA, SENSIBILIZZARE AI DIRITTI UMANI. Mostrare alla classe le
due foto in basso, oppure reperire due foto di Gaza (facilmente reperibili cercando Gaza su Google
Immagini) e far rispondere alle seguenti domande.
1. Cosa mostrano le due foto?
2. Dalle foto in alto, secondo te quali problemi affliggono la cosiddetta striscia di Gaza?
3. Secondo te, quali sono le categorie di persone più in difficoltà in tempi di conflitto?
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SPUNTI OPERATIVI
SPUNTI POST-VISIONE
DI SIMONA MONTISCI (FONTE: AGISCUOLA)
1) The Idol è ambientato, in gran parte, a Gaza, regione costiera rivendicata dai Palestinesi come parte
dello Stato di Palestina, formalmente riconosciuto dall’Onu, per quanto considerato territorio occupato
da Israele che ne opera di fatto un blocco su tutte le sue frontiere, oltre a controllarne lo spazio aereo,
le acque territoriali, l'accesso off-shore marittimo, l'anagrafe della popolazione, l'ingresso degli stranieri,
le importazioni e le esportazioni, nonché il sistema fiscale. Perché l’ONU ha riconosciuto una parte
della Palestina come Stato anche se è sotto il completo controllo di Israele?
2) Il film si ispira e narra la storia vera di Mohammed Assaf, un ragazzo palestinese che, da un campo
profughi della striscia di Gaza, arriva al talent show più famoso di tutto il mondo arabo, The Arab Idol,
vincendone l’edizione del 2013 grazie alla sua meravigliosa voce. Perché pensate che il regista
palestinese Hany Abu-Assad abbia scelto di narrare proprio questa vicenda?
3) La storia si sviluppa in tre fasi diverse della vita di Mohammed: l’infanzia a tratti felice a Gaza, la
gioventù frustrata e l’esperienza della partecipazione al talent Arab Idol. Quali sono, secondo voi, gli
eventi più importanti che determinano anche le cesure narrative del film?
4) In che modo si percepisce, nel film, quanto e come l’infanzia di Mohammed, di sua sorella Nour e dei
loro amici sia influenzata dal fatto di vivere in un territorio conteso, al centro del conflitto israelopalestinese?
5) È in qualche modo possibile vivere un’infanzia normale, fatta di giochi, sogni e scherzi anche in un
ambiente così povero e difficile? E la scarsità di mezzi è un ostacolo che si può superare con la volontà
e l’inventiva?
6) Spesso, affrontare grandi difficoltà insieme, cementa e rende più forte il legame tra fratelli/sorelle e
amici/amiche. Cosa pensate renda così speciale il rapporto tra Mohammed e Nour?
7) Quando Nour è all’ospedale e ha saputo di essere gravemente malata, respinge in modo anche un po’
brusco la dichiarazione d’affetto di un suo amico: lo fa solo ed esclusivamente perché lui non le piace,
non vuole essere compatita oppure sa che è meglio che egli non si affezioni troppo a lei?
8) Nel momento in cui ritroviamo Mohammed cresciuto e diventato adulto, la situazione a Gaza è
peggiorata: quali immagini sceglie il regista per farcelo capire senza dover raccontarci cosa è cambiato
in quel lasso di tempo nei territori occupati?
9) Il viaggio di Mohammed a Il Cairo è molto rischioso, come quello che numerosi italiani un tempo
affrontavano per trovare una vita migliore e che migliaia di profughi affrontano oggi per sfuggire dai
luoghi di conflitto: quali sono le analogie e quali le differenze?
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10) La selezione di Mohammed ad The Arab Idol è dovuta tanto al talento quanto a una serie di
circostanze favorevoli, oppure è possibile sfruttare certe situazioni favorevoli solo se si ha davvero
talento e lo si è esercitato?
11) Durante la partecipazione al talent in Egitto, a un certo punto, Mohammed ha una crisi: quali
pensate possano essere le motivazioni più profonde del suo stato?
12) Nel momento di maggiore difficoltà, Mohammed telefona a casa: quanto è importante, anche e
soprattutto in quegli attimi di vita, poter contare sull’aiuto delle persone care?
13) Nel finale, al volto dell’attore che interpreta Mohammed si sovrappone il volto del vero Mohammed
Assaf e sono inserite numerose immagini che documentano le reazioni delle piazze in Palestina alla sua
vittoria ad The Arab Idol: trovate convincente questa scelta registica e quali ne possono essere le
motivazioni?
14) Uno dei messaggi di The Idol è che il canto può attraversare e superare i confini: la musica e le
canzoni presenti nel film emozionano, per quanto non se ne capisca la lingua, e aiutano a provare
empatia con il protagonista e la sua sorte. Siete d’accordo? Esprimete la vostra opinione.
15) “Un vincitore è semplicemente un sognatore che non si è mai arreso”. Queste parole di Nelson
Mandela si adattano perfettamente alla storia narrata dal film: quanto è vero nella vostra esperienza?
16) Il regista ha affermato, in un’intervista a proposito di The Idol che “i Palestinesi non possono che
essere ottimisti”. In che senso il pessimismo può essere considerato un lusso che chi vive in situazioni
di conflitto non si può permettere?
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