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LABORATORI
DELLA
FEDE
Giovani in cammino
verso Cristo
ANNO C
scheda 4 - 12/15 anni
APPROFONDIMENTI
Diocesi di Forlì-Bertinoro
Centro di Pastorale Giovanile
LE R
D EL L A G I O N I
AF
EDE
FEDE E MISTERO DEL DOLORE
INTERROGATI ...
Peccato e malattia. E’ questo certamente il rapporto più “scabroso” posto già dalle Scritture e che ha avuto i maggiori, e forse anche maggiormente
nefasti, influssi sulla storia della spiritualità. Il rapporto è visibile a molteplici livelli: dalla credenza presente nella Bibbia per cui una malattia è
spiegabile con il peccato, alle valenze attribuite nella tradizione cristiana alla sofferenza come espiazione dei peccati, purificazione dai peccati,
riparazione dei peccati del mondo... Anzitutto occorre dire che la presenza nella Bibbia della concezione del legame tra peccato e malattia non è
dovuta a un elemento della rivelazione, ma è un dato culturale diffuso anche al di fuori dei confini di Israele. Inoltre Gesù ha posto alcune parole
molto nette per distruggere il meccanismo di causa-effetto che, nella mentalità religiosa, all’interno della teoria della retribuzione, lega la malattia a un
peccato e dunque spiega la malattia come punizione del peccato.... Le parole di Gesù di fronte al cieco nato e alla domanda dei discepoli, che rifletteva
la mentalità ricorrente: “chi ha peccato, lui o i suoi genitori?” (Gv 9,2) sono molto chiare: “Nè lui ha peccato, nè i suoi genitori, ma è così perchè si
manifestassero in lui le opere di Dio” (Gv 9,3). Il Vangelo non solo non autorizza, ma esclude dichiaratamente letture colpevolizzanti della malattia.
Offrire a Dio la sofferenza? Che senso può avere questa espressione così spesso ripetuta e ritenuta altamente spirituale? Come può dire gradire
l’offerta di ciò che disumanizza e sfigura? Che immagine di Dio suppone una tale “offerta”? Non certo quella del Dio rivelato da Gesù Cristo!
L’esempio di Gesù Cristo, che non ha offerto le sue sofferenze al Padre, ma ha vissuto la sua sofferenza e anche la sua morte facendone un atto di
amore, ci mostra che a noi non è chiesto di “offrire le nostre sofferenze” a Dio, ma di vivere nell’amore la situazione dolorosa che si sta traversando.
Ciò che è gradito a Dio è l’amore, non il sacrificio, ci ricorda il profeta Osea (6,6; cf. Mt 9,13; 12,7). La spiritualità della croce deve essere compresa
alla luce dell’amore che ha portato Gesù a morire in quel modo e a fare di tale morte l’atto dell’ “amore fino alla fine” (Gv 13,1) per i suoi. No, noi non
offriamo a Dio le nostre sofferenze, ma ciò che siamo arrivati a farne, o meglio ancora ciò che noi siamo divenuti passando attraverso la sofferenza.
Dando un senso alla sofferenza con l’amore. Non è nell’ “offerta della sofferenza” che noi raggiungiamo il desiderio di Dio, ma quando la nostra vita
diviene dono di sè nell’amore.
(E. Bianchi - L. Manicardi, Accanto al malato, Qiqajon, 2000, pp. 43-45; 49-50)
IL FILM
“TUCK EVERLASTING - VIVERE PER SEMPRE”
Genere: Favola
Regia: Jay Russell
Interpreti: Alexis Bledel (Winnie Foster), William Hurt (Angus Tuck), Sissy Spacek (Mae Tuck), Jonathan Jackson (Jesse Tuck), Scott Bairstow
(Miles Tuck), Ben Kingsley (l’uomo col vestito giallo), Amy Irving (sig.ra Foster), Victor Garber (Robert Foster), Richard Pilcher (Constable).
Nazionalità: Stati Uniti
Anno di uscita: 2003
Durata: 92’
Soggetto: Agli inizi del 1900, Winnie Foster, un’adolescente che sogna una vita lontana dal controllo della madre, si perde nel bosco vicino casa e
incontra il coetaneo Jesse Tuck, un ragazzo molto diverso da quelli finora conosciuti. Oltre che da lui, Winnie è conquistata anche dalla sua famiglia,
il padre Angus, la madre Mae, il fratello più grande Miles. Così finisce per restare con loro, al punto che il padre Robert comincia ad organizzare le
ricerche della figlia, che si dice rapita. In realtà la famiglia Tuck nasconde un segreto: dopo aver bevuto l’acqua di un ruscello, è rimasta vittima di
un incantesimo che ha reso i quattro componenti immortali, destinati cioè a non invecchiare mai. Sulle tracce dei Tuck c’é anche un misterioso uomo
in giallo, che vuole farsi dire qual é il ruscello magico. In paese quando si parla del Tuck, molti li indicano come dediti alla stregoneria e alla magia
nera. Quando l’uomo in giallo arriva per affrontare Angus, Mae lo colpisce a morte. Ora i Tuck vengono arrestati per omicidio, e Winnie torna in
famiglia. Ma per i Tuck la prigione non ha più un senso. Ed ecco oggi, nel 1999, Winnie a 100 anni riflette sulla propria vita: “Non è necessario vivere
per sempre, basta semplicemente vivere”.
Valutazione Pastorale: Tratto da un romanzo di Natalie Babbitt, il film si muove con le cadenze di una favola lungo i percorsi della vita, della
morte, del senso da attribuire al Tempo. Sono argomenti, certamente ‘alti’, che la cultura (narrativa e cinema) americana affronta da sempre con
quell’approccio filosofico nel quale si confondono concretezza materialista, richiami ultraterreni, accenni di trascendenza. E’ merito del copione saper
rinunciare a trattazioni profonde o speculazioni intellettuali pretenziose a favore di un racconto piano e di facile approccio: magari ingenuo in certi
passaggi, ma in questa maniera in grado di stimolare maggiormente lo spettatore. Alcuni spunti utili infatti (il funerale della nonna, la morte come
passaggi verso la resurrezione) non mancano e sono ben delineati i temi dell’Amore, dell’incomprensione, del ‘diverso’ , della verità contrapposta
alla menzogna. Film quindi interessante, adatto per affrontare la tematica della morte con un pubblico di ragazzi e adolescenti.
MUSICA
“IL
GIORNO DI DOLORE CHE UNO HA” ligabue
Quando tutte le parole sai che non ti servon più
quando sudi il tuo coraggio per non startene laggiù
quando tiri in mezzo Dio o il destino o chissà che
che nessuno se lo spiega perché sia successo a te
quando tira un pò di vento che ci si rialza un pò
e la vita è un pò più forte del tuo dirle “grazie no”
quando sembra tutto fermo la tua ruota girerà.
Quando indietro non si torna quando l’hai capito che
che la vita non è giusta come la vorresti te
quando farsi una ragione vora dire vivere
te l’han detto tutti quanti che per loro è facile
quando batte un pò di sole dove ci contavi un pò
e la vita è un pò più forte del tuo dirle “ancora no”
quando la ferita brucia la tua pelle si farà.
Sopra il giorno di dolore che uno ha. Tu tu tu tu tu tu...
METTITI IN GIOCO!
I MIEI DOLORI... E QUELLI DEGLI ALTRI
Alcuni stralci del testo di Giovanni Paolo II “La divina provvidenza e la presenza del male e della sofferenza nel mondo” (udienza generale
del 4 giugno 1986)
3. Dobbiamo (però) prima di tutto intenderci sul male e sulla sofferenza. Essa è in se stessa multiforme. Comunemente si distingue il male in
senso fisico da quello in senso morale. Il male morale si distingue da quello fisico prima di tutto per il fatto che comporta una colpevolezza,
perché dipende dalla libera volontà dell’uomo, ed è sempre un male di natura spirituale. Esso si distingue dal male fisico, perché quest’ultimo
non include necessariamente e direttamente la volontà dell’uomo, anche se ciò non significa che esso non possa essere causato dall’uomo
o essere effetto della sua colpa... Ma si deve aggiungere che esistono nel mondo molti casi di male fisico, che avvengono indipendentemente
dall’uomo. Basti ricordare per esempio i disastri o le calamità naturali, come anche tutte le forme di minorazione fisica oppure di malattie
somatiche o psichiche, di cui l’uomo non è colpevole,
4. La sofferenza nasce nell’uomo dall’esperienza di queste molteplici forme di male.... è un’esperienza terribile, dinanzi alla quale,
specialmente quando è senza colpa, l’uomo pone quei difficili, tormentosi, a volte drammatici interrogativi, che costituiscono ora una
denuncia, ora una sfida, ora un grido di rifiuto di Dio e della sua Provvidenza. Sono interrogativi e problemi che si possono riassumere così:
come conciliare il male e la sofferenza con quella sollecitudine paterna, piena d’amore, che Gesù Cristo attribuisce a Dio nel Vangelo?
Come conciliarli con la trascendente sapienza e onnipotenza del Creatore? E in forma anche più dialettica: possiamo noi, di fronte a tutta
l’esperienza del male che è nel mondo, specialmente di fronte alla sofferenza degli innocenti, dire che Dio non vuole il male? E se lo vuole,
come possiamo credere che “Dio è amore”? Tanto più che questo amore non può non essere onnipotente?
6. ... nel piano provvidenziale del Creatore riguardo al mondo, il male è in definitiva subordinato al bene. Dio non ha creato la morte e non
gode per la rovina dei viventi. Egli infatti ha creato tutto per l’esistenza” (Sap 1, 13-14). Quanto alla permissione del male nell’ordine fisico,
ad esempio di fronte al fatto che gli esseri materiali (tra essi anche il corpo umano) sono corruttibili e subiscono la morte, bisogna dire
che esso appartiene alla stessa struttura dell’essere di queste creature. D’altra parte sarebbe difficilmente pensabile, allo stato odierno del
mondo materiale, l’illimitato sussistere di ogni essere corporeo individuale.
7. Ma se si tratta del male morale, cioè del peccato e della colpa nelle loro diverse forme e conseguenze anche nell’ordine fisico, questo
male Dio decisamente e assolutamente non lo vuole. Il male morale è radicalmente contrario alla volontà di Dio. Se nella storia dell’uomo
e del mondo questo male è presente e a volte addirittura opprimente, se in un certo senso ha una propria storia, esso viene solo permesso
dalla divina Provvidenza per il fatto che Dio vuole che nel mondo creato vi sia libertà. L’esistenza della libertà creata (e dunque l’esistenza
dell’uomo, l’esistenza anche di spiriti puri come sono gli angeli, dei quali parleremo più avanti), è indispensabile per quella pienezza della
creazione, che risponde all’eterno piano di Dio (come abbiamo già detto in una delle precedenti catechesi). A motivo di quella pienezza di
bene che Dio vuole realizzare nella creazione, l’esistenza degli esseri liberi è per lui un valore più importante e fondamentale del fatto che
quegli esseri abusino della propria libertà contro il Creatore, e che perciò la libertà possa portare al male morale.
LA PARABOLA DEL BUON SAMARITANO
Alcuni brani della Salvifici Doloris di Giovanni Paolo II
28. .... La parabola del buon Samaritano appartiene al Vangelo della sofferenza. Essa indica, infatti, quale debba essere il rapporto di
ciascuno di noi verso il prossimo sofferente. Non ci è lecito « passare oltre » con indifferenza, ma dobbiamo « fermarci » accanto a lui. Buon
Samaritano è ogni uomo, che si ferma accanto alla sofferenza di un altro uomo, qualunque essa sia. Quel fermarsi non significa curiosità, ma
disponibilità. Questa è come l’aprirsi di una certa interiore disposizione del cuore, che ha anche la sua espressione emotiva. Buon Samaritano
è ogni uomo sensibile alla sofferenza altrui, l’uomo che « si commuove » per la disgrazia del prossimo. Se Cristo, conoscitore dell’interno
dell’uomo, sottolinea questa commozione, vuol dire che essa è importante per tutto il nostro atteggiamento di fronte alla sofferenza altrui.
Bisogna, dunque, coltivare in sé questa sensibilità del cuore, che testimonia la compassione verso un sofferente. A volte questa compassione
rimane l’unica o principale espressione del nostro amore e della nostra solidarietà con l’uomo sofferente.
Tuttavia, il buon Samaritano della parabola di Cristo non si ferma alla sola commozione e compassione. Queste diventano per lui uno stimolo
alle azioni che mirano a portare aiuto all’uomo ferito. Buon Samaritano è, dunque, in definitiva colui che porta aiuto nella sofferenza, di
qualunque natura essa sia. Aiuto, in quanto possibile, efficace. In esso egli mette il suo cuore, ma non risparmia neanche i mezzi materiali.
Si può dire che dà se stesso, il suo proprio « io », aprendo quest’« io » all’altro.....
30. La parabola del buon Samaritano, che — come si è detto — appartiene al Vangelo della sofferenza, cammina insieme con esso lungo
la storia della Chiesa e del cristianesimo, lungo la storia dell’uomo e dell’umanità. Essa testimonia che la rivelazione da parte di Cristo
del senso salvifico della sofferenza non si identifica in alcun modo con un atteggiamento di passività. E’ tutto il contrario. Il Vangelo è la
negazione della passività di fronte alla sofferenza.