Babilonia, Gerusalemme - Arcidiocesi di Pesaro

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Babilonia, Gerusalemme - Arcidiocesi di Pesaro
Pesaro, 12 maggio 2012
8° incontro “Prendi e mangia”
Apocalisse: le due città Gerusalemme e Babilonia
Nell’Apocalisse la storia umana con tutto il suo carico di bene e di male, con le
ingiustizie e gli assurdi, riceve luce dalla rivelazione dell’Agnello e dalla preghiera
dei santi. Prima di leggere la parte finale del libro è utile uno sguardo retrospettivo.
La preghiera dei martiri chiedeva a Dio che emettesse il suo giudizio e che, contro gli
abitanti della terra, vendicasse il sangue da loro versato (Ap 6,9-11). Come risposta,
Dio aveva mandato una prima serie di piaghe dell’esodo sugli adoratori di idoli e
demoni che però, invece di convertirsi dagli idoli e dalle loro opere, si erano induriti
(Ap 8-11), come l’antico faraone.
I capitoli 12-13 avevano poi narrato il sorgere di una seconda idolatria, quella della
Bestia venuta dal mare, simbolo del potere politico ed economico. Una seconda
bestia, quella venuta dalla terra, chiamata poi ripetutamente «falso profeta», si
affannava a promuovere l’adorazione dalla prima bestia con segni e prodigi, con
l’inganno e anche con la violenza. Anche sulla seconda idolatria si erano abbattute le
piaghe del nuovo esodo, anch’esse intese non a condannare, castigare o distruggere,
ma a portare a conversione (Ap 15-16). Ma la risposta era stata la stessa:
l’indurimento e la ribellione. La coalizione dei re di tutta la terra si era infatti
radunata ad Armageddon in vista dell’ultima battaglia, quella del grande giorno di
Dio Onnipotente (Ap 16,16).
L’ultima parte del libro dell’Apocalisse narra dunque lo scontro finale: è la sezione
del giudizio, sia negativo, sia positivo. I giudizi negativi sono tre. Il primo è quello
di Babilonia, «capitale» del regno della Bestia, la città violenta e corrotta che con il
suo stile di vita e con la sua idolatria corrompe popoli e re. Dopo essere stata
presentata con una descrizione piena di simboli, profezie ed enigmi, di essa un angelo
annuncia la caduta e la sua degradazione a luogo impuro e immondo: «È caduta!, è
caduta!, Babilonia la grande». Poi, stando a distanza, al vedere il fumo del suo
incendio, fanno su di lei il lamento funebre i re della terra (noi diremmo: il potere
politico – Ap 18,9-10), i grandi impresari e i mercanti di terra (noi diremmo: l’alta
finanza e il commercio internazionale – Ap 18,11-16), e infine i ricchi armatori e
commercianti di mare (noi potremmo dire: le multinazionali – Ap 18,17-19). Ma tutto
si è fermato in un solo giorno (18,8), anzi in una sola ora (18,10.17.19).
Con tutto ciò Giovanni esorta a non mettersi dalla parte di una città su cui poi si
dovranno intonare lamenti funebri.
Il secondo giudizio è quello delle due Bestie. Contro di loro combatte e vince «con
giustizia» il Cavaliere che ha nome: «Parola di Dio» (19,13), che è dunque il Cristo,
il quale combatte con la spada che esce dalla sua bocca: la spada della sua parola, del
suo vangelo. Il terzo giudizio è quello del Drago: dopo una carcerazione di mille
anni, potrà scatenare l’ultimo attacco, seguito dai suoi eserciti, ma «un fuoco scese
dal cielo e li consumò» (20,9).
Segue poi il giudizio positivo: Giovanni contempla la discesa dal cielo, da Dio, della
nuova Gerusalemme. Sorprendentemente, la discesa della città santa è narrata due
volte, quindi con compiacimento e con enfasi. La prima volta è caratterizzata con il
calore delle relazioni umane: è la tenda sotto la quale Dio ospiterà i suoi popoli; è la
città dove sono vinti il pianto, il lutto e la morte, e dove Dio asciugherà ogni lacrima.
La seconda volta è caratterizzata architettonicamente: sono descritte le mura, le porte
(delle dodici tribù d’Israele), i fondamenti (dei dodici apostoli dell’Agnello), e la
piazza, tutta d’oro purissimo. Verso di essa va la carovana dei popoli che, come
contributo umano alla città discesa dal cielo, portano la propria «gloria» e il proprio
«onore». Là scorre il fiume di acqua di vita e lussureggia l’albero di vita. Al centro
s’erge il trono di Dio e dell’Agnello e tutt’attorno i servi di Dio contemplano e
regnano per i secoli dei secoli.
Giovanni ha così messo i suoi lettori davanti all’alternativa: devono scegliere se farsi
cittadini della città su cui si intonerà un canto di lutto o, non piuttosto, della città in
cui si serve Dio, ma dove servire Dio è regnare.