I cosiddetti 144.000 sono citati nel testo sacro in due occasioni

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I cosiddetti 144.000 sono citati nel testo sacro in due occasioni
I cosiddetti 144.000 sono citati nel testo sacro in due occasioni, entrambi nella rivelazione di Dio a
Giovanni apostolo, (l’Apocalisse). Nella prima occasione, (capitolo VII), sono sulla terra e vengono
segnati sulla fronte dal sigillo di Dio; nella seconda, invece, (capitolo XIV), sono sul monte di Sion
insieme all'Agnello, redenti dalla terra, e portano sulla fronte il nome di Dio. Vi sono diverse
interpretazioni scritturali, e, purtroppo, molte di essi sono divergenti.
Secondo alcuni i 144.000 sarebbero un residuo dell'Antico Israele, costituito da un numero limitato
di giudei, convertitisi al cristianesimo e riscattati come una primizia per Dio, grazie al loro
comportamento irreprensibile durante le persecuzioni del I secolo, perpetrate dall’Impero Romano.
Un fatto risulta chiaro al di sopra di ogni ragionevole dubbio: la Bibbia li accosta alle dodici tribù di
Israele. Questo ci lascerebbe pensare che non ci sono dubbi interpretativi di sorta, ma il vero
problema sta nel fatto che, benché si parli di Israele, non tutti pensano però che la visione debba
essere interpretata in modo letterale.
Infatti:
1.
per l'apostolo Paolo i cristiani sono l'Israele di Dio (Galati 6,16);
2.
per l'apostolo Giacomo i cristiani sono le 12 tribù disperse nel mondo (Giacomo 1,1);
3.
nel VII capitolo dell'Apocalisse manca la tribù di Dan e al suo posto è menzionata la tribù di
Manasse (che dovrebbe essere compresa nella tribù di Giuseppe, essendo Giuseppe padre di
Manasse).
Molti sono pertanto convinti che i 144.000 siano cristiani redenti tra gli uomini come primizie per
Dio e per l'Agnello: sono infatti vergini, non si sono contaminati con donne, sulla loro bocca non è
stata trovata menzogna e seguono l'Agnello dovunque vada (Apocalisse 14,4-5). In pratica si
tratterebbe di cristiani (gentili e giudei) non contaminati con l'apostasia ed il culto imperiale ai
tempi delle persecuzioni romane.
In cielo, vicino a Dio, si trovano poi i martiri ed una grande moltitudine di redenti. Giovanni vede
infatti sotto l'altare di Dio le anime di coloro che sono stati immolati a causa della parola di Dio e
della testimonianza resa al Vangelo (Apocalisse 6,9). Ai martiri è data una veste candida e vien
detto di pazientare ancora un poco finché sia completo il numero dei fratelli destinati ad essere
uccisi per il vangelo (Apocalisse 6,11). Davanti al trono e davanti all'Agnello, troviamo quindi una
moltitudine immensa che nessuno può contare, proveniente da ogni nazione, razza, popolo e lingua.
Sono cristiani passati attraverso una grande tribolazione ed hanno lavato le loro vesti rendendole
candide col sangue dell'Agnello. Stanno davanti al trono di Dio con gli angeli, i vegliardi e i quattro
viventi e prestano un sacro servizio giorno e notte (Apocalisse 7,9-17).
È opinione diffusa che esista una netta distinzione tra i martiri e la moltitudine immensa.
Martiri e confessori della fede hanno vinto Satana, l'accusatore dei loro fratelli, per mezzo del
sangue dell'Agnello e grazie alla testimonianza del loro martirio, poiché hanno disprezzato la vita
fino a morire (Apocalisse 12,11). Dopo la battaglia di Harmarghedon, il castigo su Babilonia la
grande, la distruzione della bestia e del falso profeta e l’incatenamento di Satana per mille anni, le
anime dei decapitati a causa della testimonianza di Gesù e della parola di Dio e quanti non hanno
adorato la bestia e la sua statua (e non ne hanno ricevuto il marchio) riprendono vita, prendono
parte alla prima resurrezione e regnano con Cristo per mille anni. (Apocalisse 20,1-6).
La grande tribolazione attraverso cui è passata la grande folla non sembra, invece, essere una vera e
propria prova sopportata da questi giusti. Il sangue ed dolore da cui essi vengono pare essere,
piuttosto, quello dell’Agnello. L’evangelista Giovanni ricorda che: “Essi sono coloro che sono
passati attraverso la grande tribolazione e hanno lavato le loro vesti rendendole candide col sangue
dell'Agnello” (Apocalisse 7,14). In pratica il nuovo popolo eletto, cioè “la moltitudine immensa,
che nessuno può contare, di ogni nazione, razza, popolo e lingua, …”. (Apocalisse 7,9) è frutto
della “grande tribolazione”, cioè ….del sangue, della passione e della morte di Gesù Cristo (Efesini
1,7; Colossesi 1,14; Ebrei 10,19; 1 Pietro 1,19; Apocalisse 1,5). Si tratta pertanto, molto
probabilmente, di tutti coloro che, pur lottando per la propria santificazione e per l’edificazione
della chiesa (Colossesi 1,24; Galati 5,6; Giacomo 2,17), saranno dichiarati giusti non per una
propria giustizia derivante dalla legge mosaica o dal martirio, ma per quella giustizia che deriva
dalla redenzione di Cristo, cioè per la giustizia che viene da Dio e si basa sulla fede (Romani 1,1617; Romani 3,22; Romani 5,19; Filippesi 3,9; Galati 2,16).
Accettare il fatto che i martiri godano in cielo di una posizione privilegiata rispetto a coloro che
non hanno testimoniato la propria fede con spargimento di sangue e sacrificio della vita, non vuol
però dire che esistano due categorie di redenti: i 144.000 in cielo ed la grande folla sulla terra. A ciò
si oppone proprio la visione dell’evangelista Giovanni che vede la grande moltitudine in cielo,
davanti al trono di Dio e all’Agnello con gli angeli, i vegliardi ed i quattro viventi (Apocalisse 7,9).
Di fatto, l’ipotesi che possano esistere due categorie di redenti è stata per la prima volta avanzata da
Ireneo di Lione (Ireneo, Contro le eresie, 31-36). Su influenza di Papia di Gerapoli, Ireneo mostrò
infatti di credere in una prima resurrezione dei giusti, in un regno millenario, in un ritorno glorioso
di Cristo prima del giudizio finale e nella ricostruzione della Gerusalemme terrestre. Dopo la
seconda resurrezione, il giudizio universale e la discesa dal cielo della Nuova Gerusalemme, Ireneo
pensò che alcuni redenti sarebbero stati elevati in cielo, mentre altri avrebbero abitato la terra nella
città santa (Ireneo, Contro le eresie, 36, 2). Le tesi di Ireneo risultarono e risultano difficilmente
accettabili, soprattutto se si considera che alla fine dei tempi non esisteranno più due chiese: la
chiesa dei viventi sulla terra e la chiesa delle anime dei morti in cielo. Nel giorno del giudizio morti
e vivi superstiti andranno incontro a Cristo (1 Tessalonicesi 4,13-18; Atti 1,11) e tutti gli uomini si
ricongiungeranno davanti al grande trono bianco, perché terra e cielo saranno scomparsi senza
lasciare traccia (Apocalisse 20,11). Solo dopo il giudizio appariranno cieli nuovi e terra nuova
(Isaia 65,17; 2 Pietro 3,13; Apocalisse 21,1) e tutti i giusti destinati alla vita eterna dimoreranno con
Dio sulla terra nella città santa, discesa dal cielo (Apocalisse 21,1). Nella Nuova Gerusalemme Dio
dimorerà con gli uomini, asciugando ogni lacrima dai loro occhi ed eliminando la morte, il lutto, il
lamento e l'affanno (Apocalisse 21,3-4). Il trono di Dio e dell'Agnello sarà in mezzo ad essa ed un
fiume di acqua viva scaturirà dal trono (Apocalisse 22,1-3).