Apocalisse: la bestia e il falso profeta L`idolatria della bestia Per

Transcript

Apocalisse: la bestia e il falso profeta L`idolatria della bestia Per
Pesaro, 14 aprile 2012
7° incontro “Prendi e mangia”
Apocalisse: la bestia e il falso profeta
L’idolatria della bestia
Per essere compresi, gli otto capitoli che vanno da Ap. 8 ad Ap. 16 hanno bisogno di
essere collocati nel loro contesto precedente. Per una minima contestualizzazione
bisogna allora ricordare che in Ap. 1-3 il Cristo appare a Giovanni nell’isola di
Patmos, nel giorno del Signore, e gli detta un messaggio per ognuna delle sette
Chiese della provincia romana d’Asia. In Ap. 4-8 lo scenario cambia e, da piccolo e
ristretto come quello di Patmos e delle sette piccole comunità asiatiche, diventa lo
scenario di tutta la storia umana con i suoi drammi e le sue attese. Salito al cielo,
secondo il comando ricevuto, Giovanni è in grado di contemplare il trono di Dio e la
sua corte, e vede poi sulla mano di Colui che siede sul trono un rotolo, pieno dei
decreti divini circa la storia umana, che però nessuno sa aprire e leggere se non il
Cristo Agnello. Egli dunque è davvero il rivelatore, come dice il primo versetto del
libro: «Rivelazione di Gesù Cristo: a Lui Dio la consegno per farla pervenire ai suoi
servi».
Dopo avere così proposta una visione di fede della storia umana, in Ap. 8-16,
Giovanni narra l’intervento di Dio nella storia per mostrare come Dio risponde alla
preghiera dei martiri che gridavano a lui: «Quando emetterai il tuo giudizio per
vendicare il sangue che per te abbiamo versato?». La risposta è che Dio fa giustizia
scatenando le piaghe di un nuovo esodo. La storia per noi, insomma, deve essere il
cammino dalla schiavitù alla libertà, dall’esilio alla patria, da ciò che ci irretisce e ci
tiene schiavi, verso la dignità e nobiltà che ci appartiene come figli e servi di Dio. Si
potrebbe dire anzi che l’esodo, in Ap. 8-16, è duplice: Giovanni elenca, infatti, non
una ma due serie di piaghe, cosa che non si riscontra in alcun altro libro biblico. A
prima vista i bersagli delle due serie di piaghe sembrano gli stessi: la terra, il mare, i
fiumi, le sorgenti, gli astri del cielo… ma i veri bersagli sono gli uomini, come,
d’altra parte accadeva nell’esodo dell’AT. Ma non si tratta più dell’unico gruppo
umano che là era rappresentato dal faraone e dagli egiziani. La prima serie di piaghe
si abbatte infatti sugli adoratori di idoli e di demoni (Ap. 9,20-21), e la seconda sugli
adoratori della Bestia «venuta dal mare», il cui nome è un nome d’uomo che si può
identificare facendo calcoli circa il numero 666.
Le piaghe colpiscono dunque non un popolo geograficamente circoscritto, ma due
serie diverse di idolatri: prima gli idolatri dell’idolatria tradizionale che adoravano
Giove, Giunone, Venere o Marte… e poi, soprattutto, gli adoratori della Bestia
«venuta dal mare», probabilmente l’imperatore di Roma, a cui Efeso, proprio in
quegli anni, costruì un tempio e una statua, per un culto che Giovanni avvertiva come
somma bestemmia.
In questi capitoli dunque l’Apocalisse si presenta come il libro del primo
comandamento («Non avrai altro Dio fuori di me»), e quindi come il libro della
liberazione dall’idolatria del potere politico, del potere economico, e dalla religione
che si fa complice della politica e della grande finanza coprendone in modo blasfemo
le ingiustizie e le violenze col mantello del sacro.
Tutte e due le volte la pressione delle piaghe di Dio riscuote come risposta, non la
conversione (Ap. 9,20-21 e 16,9-11), ma l’indurimento: le piaghe erano dunque
piaghe medicinali, di misericordia, perché per Dio la migliore vendetta (quella chiesta
dai martiri) è la conversione del peccatore. E quell’indurimento sfocia nei piani di
guerra contro Dio e contro la città santa: gli eserciti nemici si accampano infatti nel
luogo «che in ebraico si chiama Armagedon» (16,16). In Ap 17-22, seguirà dunque lo
scontro finale e la finale vittoria di Dio.
Nei confronti delle sciagure che colpiscono l’umanità si contrappongono due letture.
Una che viene dall’alto che è la lettura di fede suggerita dalla parola di Dio: scorge
nelle sciagure e nel crollo della grande città l’avverarsi del giudizio di Dio e il
compimento del suo disegno (chi ha versato il sangue dei giusti e dei profeti raccoglie
il frutto della sua malvagità).
Ma totalmente opposta è la lettura dal basso che ne danno gli empi: non negano che
le sciagure vengano da Dio, ma negano che si tratti della logica conseguenza delle
loro azioni e dando la colpa a Dio non capiscono che l’unico modo di salvarsi è la
conversione. Di fronte alla violenza che essi stessi hanno scatenato si ostinano nel
loro peccato e lo giustificano.
La comunità messa a confronto con queste due letture deve vigilare e non lasciarsi
fuorviare dalle apparenze ma cogliere il senso di ciò che succede ed esser pronta ad
agire (Ap. 3,3).