Pomarolo: Racconti e memorie
Transcript
Pomarolo: Racconti e memorie
Un albero speciale In un posto molto lontano da qui,in una valle in mezzo alle montagne,c’era una foresta molto speciale,dove chi ci è stato la definisce “magica”. Era una splendida giornata d’autunno e Matilda con le sue amiche decise di fare una gita proprio in quel posto che aveva sentito nominare e descrivere da molte persone, partirono di buona mattina, con zaino in spalla e pronte a camminare per parecchie ore per raggiungere la meta decisa. Mano a mano che si avvicinavano,sentivano nell’aria qualcosa di irreale,sembrava che tutto intorno a loro avesse un’anima. Arrivate a destinazione stanche e sudate decisero di fermarsi per piantare le tende e fermarsi per la notte. Ogni volta che piantavano un picchetto sentivano un leggero lamento senza capire da dove proveniva. Durante la notte udivano qualcuno che parlava, spaventate rimasero chiuse in tenda fino alle prime luci del mattino. Poi facendosi coraggio l’una con l’altra uscirono e trovarono degli operai indaffarati nel loro lavoro, poco dopo questi ultimi se ne andarono lasciando in mezzo alla foresta uno strano albero. Le ragazze scoprirono così che tutti gli alberi della foresta avevano occhi, naso e bocca per poter guardare, annusare e comunicare fra loro. Le bambine passarono un’incantevole giornata, chiacchierando e ridendo con i nuovi amici. Gli alberi erano preoccupati e spaventati dal nuovo inquilino e chiesero informazioni alle nuove amiche, le quali spiegarono loro che gli uomini avevano messo in mezzo al bosco quel palo strano, che altro non era che un traliccio sul quale passavano i fili del telefono. In quel momento anche il palo si mise a parlare perché lui era stato ricavato da un vecchio abete. Il mio primo giorno di scuola da maestro Quando finii la scuola ed ebbi in mano il tanto sospirato diploma feci, come tutti, domanda di supplenza. In quegli anni però l’organizzazione scolastica era diversa e le supplenze assegnate molto poche. Così, fin da subito, rinunciai all’idea dell’insegnamento, mi cercai un lavoro e continuai a studiare. Per qualche anno di insegnare non ebbi nemmeno la speranza e la mia vita lavorativa aveva preso tutt’altra direzione, ma un mattino squillò il telefono … “Ciao Umberto, sono Bruna …” (sì, proprio la Nostra cara inossidabile Bruna!) “… ci sarebbe una supplenza per qualche giorno …” Ricordo lo stupore di quel momento, il dubbio che ci fosse qualche errore, la voglia di dire di no e poi la decisione di accettare. Accettai per semplice curiosità! Lavoravo in proprio e quindi sistemai con due telefonate i miei appuntamenti e partii. Era una fredda mattina invernale, foschia e brina ai lati della strada stretta. La scuola apparve d’un tratto, isolata dal mondo, quasi sospesa fra le nuvole: sembrava la casa della famiglia Maggio 2007 Gli alberi si tranquillizzarono e divennero tutti amici per la corteccia. Matilda e le amiche tornarono spesso a trovare gli alberi e il traliccio nella “magica foresta.” mia amica domani. Allora vi è piaciuta la mia storia? Sì? Oh! Grazie, siete molto gentili, ora vi devo salutare. Ciao ragazzi, io sono un topo, mi chiamo Mozzarellino de Topis e abito in campagna. Volete ascoltare una storia? Opss, scu sate se non mi sono ancora presentato. Io sono un tipo, anzi un topo piuttosto timido, mi piace raccontare le storie. Io ho 8 anni, voi penserete che sono un po’ piccolo, invece noi topi a 8 anni sappiamo arrangiarci da soli. Io porto sempre con me uno zaino dove metto le mie provviste. Le mie orecchie sono grandi,il mio pelo è folto e grigio. Le mie zampette sono piccole e delicate. Allora volete che vi racconto la mia storia? Va bene ora comincio. Quel giorno di primavera io Mozzarellino de Topis decisi di andare dalla mia amica Formaggina de Granis. Formaggina è una topolina della mia stessa età. Sulla coda porta sempre un fiocco rosa. Formaggina ha la pelliccia grigia e morbida, ma purtroppo io non la vedo quasi mai, perché io abito in campagna, invece lei in città. Io sentivo la sua mancanza e allora andai da lei. Prima di partire presi cinque chicchi d’uva, poi partii verso la città. Ogni tanto mi fermavo per mangiare. Ad un tratto vidi dei fiori e li raccolsi. Erano bellissimi e soprattutto profumavano tantissimo. Quando arrivai suonai il “Squit”, noi lo chiamiamo così il campanello, perché quando suona emette uno squit come noi topi. Formaggina aprì la porta e subito mi disse: “Ciao Mozzarellino, come stai?” Io risposi:” Bene!”. Poi le porsi il mazzo di fiori. Lei subito li prese nelle sue mani e li annusò. Dopo averli messi in un vaso mi abbracciò e mi offrì una tazza di tè alla menta. Formaggina mi propose di andare con lei a fare una passeggiata. Formaggina strinse la sua coda alla mia, io un po’ mi vergognavo. Ad un tratto lei vide un gelatopo. Formaggina chiese un gelato alla fragola, io invece al cioccolato. Lei pagò sei chicchi d’avena, tre erano miei, invece gli altri suoi. Ad un tratto qualcosa si mosse tra i cespugli e … vedemmo due occhi gialli che ci fissavano. Era un gatto, squiiiiiit. Io e Formaggina ci nascondemmo dietro un sasso. Il gatto fece un salto, ma per sbaglio finì nel laghetto. Io e Formaggina corremmo a casa. Formaggina voleva che cenassi lì ed alla fine mi fermai. Mangiammo pasticcio al formaggio, purè al formaggio, panino con formaggio, torta al formaggio, insomma mangiammo solo formaggio. Formaggina voleva che dormissi da lei perché aveva paura che qualche gatto mi mangiasse. Allora dormii lì. Il giorno seguente Formaggina mi preparò un po’ di latte, per fortuna quello non sapeva di formaggio. Poi salutai Formaggina e partii verso casa. Quando arrivai entrai, ero sfinito e decisi di andare a trovare la Addams e come quella, era per me, terrorizzante. Quella sua unicità di essere appartata da altre case (si trattava della scuola di Sasso-Noarna che, servendo entrambe le frazioni, era stata costruita democraticamente equidistante alle stesse) la rendeva ancor più inquietante. Entrai nell’edificio, apparentemente vuoto, e in un’aula vidi un vecchio maestro che, seduto su una seggiolina, spiegava con dolcezza la matematica a quattro bambini piccolissimi … Mi sembrarono gnomi! “Ciao – mi disse – sono Giuseppe e questa è la tua classe …” Avrei voluto scappare. Cosa ci facevo io lì, fuori dal mondo, con otto occhi di gnomi a fissarmi? Con il mio lavoro ero abituato a viaggiare, incontrare “persone importanti”, progettare, lottare … eppure qui mi sentivo del tutto disarmato! D’un tratto capii che l’Istituto Magistrale che avevo frequentato non mi aveva assolutamente preparato ad affrontare una simile situazione, che se nei miei ricordi sopravvivevano i grandi classici della letteratura, stralci di filosofia e declinazioni latine lì non mi sarebbero serviti assolutamente a nulla. Ed ancora i quattro elfi mi guardavano … Non mi arrivavano alla cintura dei pantaloni e non avevano detto anco- ra una parola: eppure ero già k.o.! Terrore. Era una prima: non sapevano ancora leggere … Non ricordo cosa feci ma in qualche modo arrivai alla ricreazione. Lo ricordo bene quel primo intervallo della mia vita … Ricordo l’odore del latte fresco che veniva allora distribuito, il vociare altissimo dei ragazzini … In cortile le insegnanti si avvicinarono a me, cercarono di mettermi a mio agio e di sostenermi quando dissi loro che era il mio debutto all’insegnamento. Intanto guardavo ammirato il maestro Giuseppe che giocava scatenato a calcio coinvolgendo quasi tutti gli alunni. E’ strano come talvolta certe immagini restino impresse e ci condizionino … Quella partita nella foschia del mattino, giocata in uno squallido piazzale, quelle risate allegre e quel maestro eternamente giovane si sarebbero annidati in qualche angolo della mia mente e un giorno avrebbero influito e pesato su una delle decisioni più importanti della mia vita: insegnare o “fare i soldi”! Tornati in classe non sapevo che fare, nemmeno come relazionarmi. In qualche modo arrivai alla fine della mattina e salutai il campanello di mezzogiorno con un grande sospiro di sollievo. Salii in macchina e corsi a tuffarmi nel mio mondo abituale, nelle mie certezze, fra telefonate e appuntamenti. Non era di certo bastato un giorno di scuola a farmi anche solo considerare la possibilità che quella sarebbe potuta, in futuro, diventare la mia vita. Eppure il mattino dopo accadde una cosa inaspettata: quando suonò la sveglia e realizzai che quattro gnomi mi aspettavano fui preso dall’ansia … ma sorrisi e arrivai a scuola quasi di corsa. Forse se la mia prima esperienza non fosse stata questa la mia vita sarebbe stata diversa e avrei potuto continuare a vivere acquistando con nonchalance cravatte che costavano il doppio dello stipendio quotidiano di un insegnante … Ma, grazie al Cielo, son stato fortunato: non c’è nulla che valga quanto il poter fare un lavoro che ci piace. Di quella prima esperienza rimane anche un ricordo tangibile: una cartolina con Silvestrino (è il figlio di gatto Silvestro) che abbraccia un grande cuore rosso, regalo di una gnoma. “I micetti hanno bisogno di affetto” c’è scritto … e ancora fa mostra di sé sulla mia scrivania. Irene Maffei Il topo di città e il topo di campagna Vucumprà Giada Vitale Una mattina da incubo Ero nel letto, era una notte strana: il vento sbatteva contro gli scuri che cigolavano. Si sentivano rumori sinistri, mi nascosi sotto le coperte, tutto era silenzioso, solo io, nell’oscurità. Per fortuna le prime luci, una grossa ombra copriva i pochi raggi che filtravano dalle tende, stavo tremando. Silenzio e ancora silenzio. Ecco la prima luce, si accese, era forse mamma o papà? Mi alzai, mi misi le pantofole, camminai, ma dove? Camminavo nel buio più buio, cercai di raggiungere quella luce che pochi secondi fa si era accesa, e proprio in quel minimo secondo si era spenta. Andai addosso a una cosa un po’ bagnata, umida e pelosa. Non era mamma, non si era mica comperata un pigiama, così … come dire … peloso. Solo a toccarlo svenni, era buio, solamente buio. Mi svegliai, per fortuna, ero sul divano, la tivù era accesa, e papà la guardava. Mi alzai, guardai fuori dalle finestre, era tutto bianco, come se fossi morta, andata in paradiso, ma no! Non ero un fantasma, almeno credo. Era la neve. E quella specie di mostro che avevo appena toccato, questa notte, era forse realtà? Non credo perché me ne sarei accorta. Ora smetto di scrivere e spero che … sapete cosa spero! Valentina Marra Umberto Cristiano pag 34