Per un progetto di rilancio dell`agroalimentare italiano
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Per un progetto di rilancio dell`agroalimentare italiano
■ Ricerche Per un progetto di rilancio dell’agroalimentare italiano* Massimiliano D’Alessio** 1. Lo scenario del sistema agricolo ed agroalimentare Lo scenario competitivo di fronte al quale si colloca il sistema agricolo ed agroalimentare italiano risulta caratterizzato da un elevato grado di complessità. Le principali variabili che concorrono a definire il quadro riguardano: T L’evoluzione dei mercati internazionali delle commodity agricole. Dal 2007 si registra un andamento crescente nei prezzi dei prodotti agricoli (+47% del Fao index price). Fattori congiunturali (andamenti climatici avversi, attività speculative, domanda a fini energetici sul mercato dei cereali, prassi di tassazione dell’offerta assunte da alcuni paesi produttori) e strutturali (l’emersione dal sottosviluppo della Cina, dell’India, del Brasile, del Sud-Est asiatico e il raddoppio della domanda alimentare soprattutto a carico dei prodotti alimentari proteici) fanno ritenere che non si tratti di un fenomeno temporaneo. L’impennata dei prezzi agricoli alla stessa stregua di tutte le principali produzioni di materie prime assumerà in prospettiva un carattere permanente che caratterizzerà i futuri scenari agricoli ed agroalimentari mondiali. Lo scenario appare ulteriormente condizionato dalle incertezze sugli esiti finali del negoziato Doha Round del Wto che potrebbero contribuire alla governance dei mercati agricoli mondiali definendo un sistema di regole nelle relazioni commerciali internazionali. T L’andamento dei mercati dei fattori della produzione e i costi dell’approvvigionamento energetico. Negli ultimi anni si registra un fenomeno di generalizzata lievitazione dei prezzi della maggior parte delle materie prime (+52,2% Indices of Primary Commodity Prices del Fmi 2005-2010). Questa impennata ha riguardato, in particolare, i prodotti petroliferi (+47,1% Indices of Energy Prices del Fmi 20052010) ponendo al centro dell’attenzione collettiva la questione energetica. L’impennata dei prezzi dei prodotti energetici influenza l’agricoltura determinando * Tratto da Tra crisi e «grande trasformazione», a cura di Laura Pennacchi, Ediesse, Roma, 2013. ** Fondazione Metes. a e 145 15/2013 a e 146 da un lato la crescita dei costi di produzione e dall’altro investendo il settore del ruolo di produttore di bio-energie in sostituzione di quelle fossili. In quest’ultimo campo le peculiarità che caratterizzano l’agricoltura europea ed italiana (orografia, idrografia, densità demografica, ecc.) rendono molto svantaggioso il confronto in termini di competitività con i settori bio-energetici di massa dei paesi tropicali (Brasile e Sud-Est asiatico). Migliore è la sostenibilità del contributo energetico che può fornire l’agricoltura europea ed italiana considerando l’introduzione di prassi di autosufficienza energetica (impianti aziendali di piccola taglia) e di valorizzazione di sottoprodotti, scarti e rifiuti. Non bisogna infine dimenticare il contributo che le scelte esposte in precedenza possono fornire nell’ottica della mitigazione degli effetti del cambiamento climatico e della gestione sostenibile delle risorse idriche. T Il fenomeno del landgrabbing. Negli ultimi anni si registrano ingenti investimenti realizzati da soggetti economici dei paesi più sviluppati finalizzati all’acquisizione di superfici coltivabili nei paesi in via di sviluppo. Queste scelte sottendono una strategia finalizzata a garantire la sicurezza degli approvvigionamenti alimentari per quegli Stati in crescita economica e demografica ma privi di grandi risorse agricole e idriche. Contemporaneamente l’acquisizione di terreni coltivabili è diventata oggetto delle operazioni economiche di molti operatori finanziari nella convinzione che l’alimentazione possa essere «l’oro nero del futuro». Secondo molti, da qui al 2050, la produzione di alimenti dovrà raddoppiare per soddisfare le esigenze mondiali e ciò apre interessanti occasioni di business economico nel prossimo futuro. L’acquisizione di terre coltivabili è anche finalizzata a cogliere l’occasione offerta dallo sviluppo delle agroenergie. George Soros, definito «il più grande investitore del mondo», ad esempio scommette anche sui biocombustibili ed ha acquistato recentemente enormi superfici agricole in Argentina. Investimenti eccezionali sono stati anche condotti dalle potenze petrolifere del Medio Oriente e dalle nuove economie orientali. La Corea del Sud, ad esempio, ha acquistato 2.306.000 ettari; la Cina 2.090.000 ettari; l’Arabia Saudita 1.610.000 ettari; gli Emirati Arabi Uniti 1.280.000 ettari, il Giappone 324.000 ettari. Un’ampia fetta, quindi, di superficie coltivabile è ora sotto il controllo di paesi stranieri. Si tratta di un processo che alcuni ritengono allarmante perché prefigura un fenomeno di «accaparramento di terre a livello mondiale». T Sicurezza, qualità e commercializzazione dei prodotti agricoli. L’agricoltura italiana è dotata di ampio patrimonio di produzioni agroalimentari tipiche e di qualità. Attualmente sono, infatti, 231 i prodotti agroalimentari italiani che possono fregiarsi di una denominazione di origine comunitaria (Dop, Igt, Stg). Questi prodotti trovano però consistenti difficoltà a trovare adeguati sbocchi di mercato (Commissione Europea, Directorate General for Agriculture and Rural Development, Ricerche 2007). Il miglioramento di queste performance passa necessariamente attraverso il conseguimento dei necessari progressi in sede di negoziati internazionali del commercio internazionale Wto (accordi multilaterali sul riconoscimento delle denominazioni di origine e l’eliminazione di barriere tecniche) ma anche mediante politiche specifiche, mirate e sistematiche di informazione, divulgazione e garanzia che permettano la penetrazione dei prodotti di qualità del made in Italy agroalimentare in nuovi mercati emergenti (Cina, India, ecc.). In questo contesto non bisogna dimenticare che la questione della valorizzazione della qualità si connette strettamente a quella dei controlli e delle garanzie. T L’innovazione nel settore agricolo e le aspettative dei consumatori moderni. I profondi cambiamenti che hanno riguardato negli ultimi anni le scelte e le abitudini di consumo alimentare spingono sempre più gli operatori del settore verso l’adozione di percorsi di innovazione. Negli ultimi anni il settore agroalimentare è continuamente chiamato ad uno sforzo innovativo per cercare di andare incontro alle sollecitazioni dei consumatori sempre più esigenti, curiosi e critici. In questo quadro si assiste allo sviluppo di produzioni in grado di rispondere a specifiche esigenze di consumo (biologico, equosolidale, quarta gamma, functional food, ecc.). Questi prodotti innovativi sono peraltro il risultato della collaborazione di settori produttivi diversi. Ne risultano, infatti, processi di integrazione tra settori (chimico, farmaceutico e agro-alimentare) guidati dalla domanda e spinti dalla continua ricerca di innovazione che rappresentano uno degli elementi di scenario più rilevanti per il futuro dei sistemi agroalimentari. T La valorizzazione del carattere multifunzionale dell’agricoltura nell’ottica delle «nuove sfide». Le istituzioni e la collettività sono ormai concordi nel riconoscere il carattere multifunzionale dell’attività agricola. L’agricoltura unisce infatti alla vocazione tradizionale legata alla produzione di merci (le classiche quattro «F»: food, feed, fiber e fuel) quella connessa all’offerta di beni e servizi comuni (salvaguardia e valorizzazione dell’ambiente e del paesaggio, conservazione della biodiversità, difesa idrogeologica, conservazione dei presidi storico-culturali) il cui valore non può essere sempre completamente internalizzato dai normali meccanismi di funzionamento del mercato. La multifunzionalità dell’agricoltura viene addotta a principale giustificazione della spesa e delle agevolazioni pubbliche riservate all’agricoltura. Negli anni a venire, questa giustificazione dovrà pesare ancora più di oggi se si vogliono trovare motivazioni credibili a difesa delle risorse della politica agraria. In questo contesto non bisogna dimenticare il processo di riforma della Politica Agricola Comune tuttora in atto che dovrebbe condurre all’approvazione di un nuovo quadro regolamentare comunitario per il post 2013. a e 147 2. La congiuntura del settore agricolo 15/2013 Con l’economia italiana in piena recessione (secondo le stime dell’Istat, il Pil è sceso nel II trimestre 2012 dello 0,8% sul trimestre precedente e del 2,6% rispetto al II trimestre 2011), il valore aggiunto agricolo è l’unico a mostrare nel secondo trimestre 2012 una crescita reale su base annua, seppure lieve (+1,1%), che prosegue la serie positiva partita nel primo trimestre. A valori correnti il settore agricolo registra un debole incremento del +0,4%, ma nel contesto nazionale rappresenta l’unico settore che regista una crescita del valore aggiunto, mentre per i servizi, per l’industria in senso stretto e per le costruzioni la contrazione su base annua raggiunge rispettivamente lo 0,6% e il 5,7% (tabella 1). a e 148 Tabella 1. Valore aggiunto ai prezzi base per branca (II trimestre 2012). Dati destagionalizzati e corretti per gli effetti di calendario. Valori concatenati (milioni di euro, anno riferimento 2005) Branche Valori concatenati Variazioni % II trim. ’12 II trim. ’12 I trim. ’12 II trim. ’11 • Agricoltura, silvicoltura e pesca 7.060 -2,1 1,1 • Industria 75.838 -1,5 -5,8 in senso stretto 59.725 -1,4 -5,6 Costruzioni 16.240 -1,6 -6,5 • Servizi 233.106 -0,5 -1,1 commercio, alberghi, trasporti e comunicazioni 79.742 -1,1 -3,5 credito, attività immobiliari e servizi professionali 87.306 -0,3 0,2 altre attività dei servizi 65.886 -0,2 0,0 Valore aggiunto ai prezzi base 315.955 -0,8 -2,3 IVA, imp. ind. nette sui prodotti e importazioni 32.912 -1,2 -5,2 Pil ai prezzi di mercato Fonte: Istat, 2012 348.748 -0,8 -2,6 A confronto con l’Ue, l’agricoltura italiana si presenta più dinamica, se si considera che nel secondo semestre del 2012 il valore aggiunto agricolo reale dell’Ue 27 è diminuito del -0,5% su base annua, quello dell’Ue 15 è cresciuto solo dello 0,1% (tabella 2). Tabella 2. Valore aggiunto agricolo (II trimestre 2012). Dati destagionalizzati e corretti per gli effetti di calendario Variazione % II trim. ’12 I trim. ’12 II trim. ’12 II trim. ’11 Germania -2,0 -4 Spagna -0,1 +2,5 Francia 0,7 +3,6 Italia -2,1 +1,1 Regno Unito -2,6 -7,8 Unione Europea (15 paesi) -0,7 +0,1 Unione Europea (27 paesi) Fonte: Eurostat, 2012 -0,4 -0,5 Anche sul piano occupazionale il settore agricolo sembra mostrare una maggiore reattività alla crisi economica rispetto agli altri settori dell’economia nazionale. La tabella 3 mostra infatti che il settore agricolo registra un incremento occupazionale su base annua (+3,3%) molto più consistente di quello rilevato per l’intera economia nazionale (+0,1%). Tabella 3. Numero occupati (II trimestre 2012). Dati destagionalizzati Branche Numero occupati Agricoltura, silvicoltura e pesca 867.068 -0,04 3,3 4.655.446 -0,30 -0,3 Industria escluse costruzioni Costruzioni Variazione % II trim. ’12 II trim. ’12 I trim. ’12 II trim. ’11 1.811.008 0,20 -5,1 Servizi 15.668.505 0,30 0,7 Totale Fonte: Istat, 2012 23.002.026 0,10 0,1 Anche nel confronto con l’Ue, l’agricoltura italiana presenta performance occupazionali migliori di quelle registrate negli altri paesi europei. Nel secondo semestre del 2012 infatti gli occupati agricoli dell’Ue 27 sono diminuiti del -0,8% su base annua, mentre quelli dell’Ue 15 sono cresciuti solo dello 0,3% (tabella 4). Ricerche Paese a e 149 Tabella 4. Numero occupati (II trimestre 2012). Dati destagionalizzati Paese Germania Spagna Francia Italia Regno Unito Unione Europea (15 paesi) Unione Europea (27 paesi) Variazione % II trim. ’12 I trim. ’12 1,2 -8,7 -9,0 0,3 -11,2 -7,0 -5,1 II trim. ’12 II trim. ’11 -0,4 -1,3 -2,3 3,4 3,3 0,3 -0,8 Fonte: Eurostat, 2012 15/2013 3. I caratteri strutturali dell’agricoltura italiana a e 150 3.1. Le aziende agricole Sulla base dei dati definitivi del 6° Censimento Generale dell’Agricoltura dell’Istat, in Italia sono presenti circa 1 milione e 672 mila aziende agricole con una dimensione media di 7,9 ettari di superficie totale. Il confronto intercensuario (2000-2010) permette di evidenziare la consistente riduzione nella numerosità aziendale (-47,8%). Questo fenomeno parallelamente all’incremento registrato nella SAU (Superficie Agricola Utilizzata) determina un consistente incremento nella SAU media aziendale (+30,6%). Questo dato testimonia il processo di ristrutturazione strutturale che continua a caratterizzare il tessuto aziendale dell’agricoltura italiana anche sotto la spinta delle modifiche introdotte con le riforme della Politica Agricola Comune (Riforma Fischler del 2004 ed Health Check del 2009) che si sono susseguite negli anni. Ulteriori informazioni sulle caratteristiche strutturali dell’agricoltura italiana possono essere desunte dalla tabella 5 che riporta i dati della distribuzione della numerosità aziendale per classe di superficie agricola utilizzata. In particolare l’agricoltura italiana appare caratterizzata da uno spinto fenomeno di polverizzazione aziendale considerando che ben il 73% del totale delle aziende ha una superficie inferiore a 5 ettari. Le aziende agricole appaiono, quindi, ancora caratterizzate da criticità strutturali dovute alla ridotta dimensione che non permettono l’attivazione di processi di razionalizzazione produttiva per la capitalizzazione di adeguate economie di scala. Tabella 5. Aziende con superficie agricola utilizzata per classe di superficie agricola utilizzata (superficie in ettari). Anno 2010 Classi di superficie Meno di 1 1-2 2-5 5 - 10 10 - 20 20 - 50 50 ed oltre Totale Italia N. 498.620 326.032 357.668 186.145 120.115 87.602 44.702 1.620.884 % 31 20 22 11 7 5 3 100 La prevalenza delle aziende agricole è condotta direttamente dal coltivatore (93,9%). I dati riportati in tabella 6 evidenziano l’elevata incidenza delle aziende condotte con il ricorso esclusivo della manodopera familiare (78%). Ridotto è, invece, il peso delle aziende familiari che manifestano la necessità di fare ricorso a manodopera extrafamiliare per la gestione delle attività di impresa (15,6%) e di quelle condotte con il ricorso esclusivo a manodopera salariata (5,8%). Ricerche Fonte: Nostra elaborazione su dati Istat a e 151 Tabella 6. Aziende agricole per forma di conduzione. Anno 2007 Forma di conduzione Solo manodopera familiare Manodopera familiare prevalente Manodopera extrafamiliare prevalente Conduzione con salariati (in economia) Conduzione a colonia parziaria appoderata Altra forma Totale generale Italia N. 1.314.922 183.208 78.562 98.078 537 4.132 1.679.439 % 78,3 10,9 4,7 5,8 0,03 0,2 100,0 Fonte: Nostra elaborazione su dati Istat L’analisi delle specializzazioni produttive dell’agricoltura italiana può essere effettuata considerando la distribuzione delle aziende per orientamento produttivo (tabella 7). Circa il 74% delle aziende agricole italiane svolgono la coltivazione di colture arboree permanenti. Tra le aziende italiane con colture erbacee si evidenzia, inoltre, una elevata diffusione di aziende cerealicole (29,2%), con prati e pascoli permanenti (17%) e con coltivazioni foraggiere (15,7%). Minore diffusio- ne manifestano, invece, le aziende che realizzano colture di ortive (6,9%), di patate (1,8%) e di piante industriali (3,5%). Marginale infine è la presenza di aziende che negli ordinamenti produttivi comprendono colture di barbabietole (0,5%) e di fiori e piante ornamentali (0,9%). Tabella 7. Numerosità aziendale per tipo di utilizzazione dei terreni. 2010 Italia 15/2013 Aziende di cui a e 152 Cereali Patate Barbabietola da zucchero Piante industriali Ortive Fiori e piante ornamentali Foraggiere Prati e pascoli permanenti Colture permanenti di cui Vite Boschi N. 473.257 29.220 8.379 57.285 111.682 14.093 253.794 274.486 1.192.081 388.881 328.358 % (a) 29,2 1,8 0,5 3,5 6,9 0,9 15,7 17,0 73,6 24,0 20,3 (a) La somma è superiore a 100% perché le aziende possono avere contemporaneamente più forme di utilizzazione del terreno. Fonte: Nostra elaborazione su dati Istat Per quanto riguarda la consistenza del patrimonio zootecnico del sistema agricolo italiano, ci si può riferire alla tabella 8. L’Italia manifesta una elevata diffusione di aziende con allevamenti bovini (60% del totale delle aziende con allevamenti). Significativa appare anche la presenza di aziende con allevamenti ovini (24,7% del totale) e quelle con allevamenti equini (21,9% del totale). Presenta infine carattere più marginale la presenza delle aziende con allevamenti cunicoli (4,5% del totale), bufalini (1,2% del totale) e di struzzi (0,1% del totale). Si noti che il totale delle aziende con allevamenti non corrisponde alla somma delle aziende per singola tipologia, data la presenza di aziende che praticano il poliallevamento. Anche il settore zootecnico italiano appare caratterizzato da un fenomeno di spinta polverizzazione aziendale. Come si può rilevare dalla tabella 9 più del 67% delle aziende con allevamenti presentano una consistenza del patrimonio zootecnico inferiore alla 20 Uba (Unità di Bestiame Adulto). Tabella 8. Consistenza del patrimonio zootecnico italiano. 2010 Bovini Bufalini Equini Ovini Caprini Suini Avicolo Conigli Struzzi Totale aziende con allevamenti Aziende 124.210 2.435 45.363 51.096 22.759 26.197 23.953 9.346 244 206.781 Peso % 60,1 1,2 21,9 24,7 11,0 12,7 11,6 4,5 0,1 100,0 Capi 5.592.700 360.291 219.159 6.782.179 861.942 9.331.314 167.512.019 7.194.099 5.246 Tabella 9. Aziende con allevamenti per classe di Uba (Unità di Bestiame Adulto). Anno 2010 Classi di UBA Meno di 5 UBA Tra 5 e 19,99 UBA Tra 20 e 99,99 UBA Tra 100 e 499,99 UBA Più di 500 UBA Totale Numero aziende 83.423 56.193 50.366 13.889 2.910 206.781 Peso % 40,3 27,2 24,4 6,7 1,4 100,0 Fonte: Nostre elaborazioni su dati Istat 3.2. Lavoro in agricoltura Secondo i dati forniti dall’Inps nel 2010 sarebbero complessivamente 1.510.982 i lavoratori1 impegnati nel settore agricolo in Italia. I lavoratori dipendenti in Italia sono complessivamente 1.032.666 e rappresentano circa il 68% del totale degli occupati in agricoltura. Le regioni con maggiore presenza di lavoratori agricoli dipendenti sono la Puglia (17,3% del totale nazionale), la Calabria (13,2% del totale nazionale) e la Sicilia (13,0% del totale nazionale). Considerando i lavoratori dipendenti per categoria di contratto si osserva la netta prevalenza dei lavoratori a tempo determinato che costituiscono circa il 90% del totale dei lavoratori dipendenti in agricoltura. I lavoratori indipendenti sono, invece, 478.316. 1 Questo dato riguarda la numerosità delle persone che hanno lavorato nel settore agricolo. Ricerche Fonte:Nostre elaborazioni su dati Istat a e 153 Si tratta in prevalenza di coltivatori diretti (94% del totale degli indipendenti) mentre molto contenuta appare la presenza di imprenditori agricoli professionali (5% del totale degli indipendenti). Del tutto marginale è oramai la presenza dei coloni e dei mezzadri (0,2%) che nel dopoguerra caratterizzavano la gestione di parti consistenti del patrimonio agricolo meridionale (tabella 10). 15/2013 Tabella 10. Gli occupati in agricoltura. 2010 a e 154 Numero lavoratori dipendenti Peso % Lavoratori a tempo determinato Peso % Lavoratori a tempo indeterminato Peso % Coltivatori diretti Coloni e mezzadri Imprenditori agricoli professionali Numero lavoratori autonomi Peso % Totale Nord 285.485 27,4 232.039 25,9 56.832 51,0 246.947 225 6.027 253.199 52,8 538.684 Centro 120.286 11,7 100.610 10,8 21.371 19,1 78.195 210 4.946 83.351 17,5 203.637 Mezzogiorno 626.895 60,7 596.587 64,2 33.323 29,9 128.001 359 13.406 141.766 29,6 768.661 Totale 1.032.666 100 929.236 100 111.526 100 453.143 794 24.379 478.316 100 1.510.982 Fonte: Nostre elaborazioni su dati Inps In questa sede è infine opportuno svolgere un approfondimento su alcune caratteristiche dei capi azienda. Dalla tabella 11 si può osservare come le imprese agricole italiane siano caratterizzate da capi azienda con un basso grado di formazione. Solo 13,6 capi azienda su cento hanno, infatti, beneficiato di una qualche formazione di tipo agricolo. L’agricoltura italiana si caratterizza inoltre per la marcata senilizzazione dei capi azienda. In Italia infatti l’indice di ricambio generazionale – misurato dal rapporto tra imprenditori agricoli con meno di 35 anni sugli over 65 – è pari ad appena il 6,6 per cento, a fronte del 18 per cento della media comunitaria, del 51 per cento della Francia e del 104 per cento della Germania. Tabella 11. Caratteristiche dei capi azienda in agricoltura Ripartizione territoriale Nord Centro Mezzogiorno Italia % di capi azienda con formazione agricola completa o di base (2005) 19,8 9,6 8,5 13,6 Fonte: Nostre elaborazioni su dati Istat Indice di ricambio generazionale (2007) 8,40 5,49 6,19 6,63 3.3. Commercializzazione e multifunzionalità Le modalità di commercializzazione delle produzioni aziendali hanno importanti ripercussioni sulle performance di redditività di impresa. Come si può osservare nella tabella 12 la prevalenza delle imprese agricole italiane commercializza le proprie produzioni senza vincoli contrattuali instaurando rapporti informali con i soggetti industriali o commerciali. Solo 8 imprese su cento stipulano contratti formali per la commercializzazione delle proprie produzioni. L’agricoltura italiana presenta, inoltre, una ridotta diffusione delle forme di commercializzazione mediante organismi associativi. Ripartizione territoriale Vendita con vincoli contrattuali ad imprese industriali o commerciali Valore assoluto % Nord 52.583 11,7 Centro 18.589 6,9 Mezzogiorno 63.059 6,6 Italia 134.229 8,0 Vendita ad organismi associativi Valore assoluto % 146.658 32,6 44.537 16,6 139.468 14,5 330.664 19,7 Vendita senza vincoli contrattuali Valore assoluto % 226.798 50,4 85.645 31,9 433.605 45,1 746.050 44,4 Fonte: Nostre elaborazioni su dati Istat Le occasioni di integrazione del reddito aziendale mediante l’attivazione di attività remunerative alternative costituiscono un importante fattore di competitività per le imprese agricole. La figura 1 dimostra l’elevata diffusione in Italia di conduttori aziendali agricoli con attività connesse. Figura 1. Conduttori di aziende agricole con attività remunerative alternative. 2007 Fonte: Nostre elaborazioni su dati Eurostat Ricerche Tabella 12. Commercializzazione contrattuale e non contrattuale. 2010 a e 155 Per analizzare il grado di diffusione di attività multifunzionali in Italia si può fare riferimento alla tabella 13. L’Italia si caratterizza, in particolare, per l’elevata diffusione di aziende con vendita diretta e di quelle che applicano il disciplinare biologico per la produzione o trasformazione delle produzioni aziendali. In Italia viceversa si rileva una minore diffusione di attività agrituristiche autorizzate e di imprese che realizzano produzioni a marchio comunitario Dop e/o Igp. Tabella 13. L’agricoltura multifuzionale in Italia e nel Mezzogiorno. 2010 15/2013 Vendita diretta (2007) a e 156 Produttori Superfici Dop Aziende Operatori Superfici di Dop e Igp e Igp (ha) agrituristiche biologici biologico (2008) (2008) autorizzate (2010) (2010) (ha) (2010) Nord 64.234 38.117 37.412,02 12.386 10.735 158.469 Centro 60.383 18.175 67.405,74 15.455 12.041 221.688 Mezzogiorno 246.162 19.671 27.432,30 4.118 27.289 691.469 Italia 370.782 75.963 132.250,06 19.973 47.663 1.113.742 Fonte: Nostre elaborazioni su dati Istat e SINAB 4. I caratteri strutturali dell’industria alimentare italiana Il settore della trasformazione dei prodotti agroalimentari rappresenta un comparto particolarmente significativo all’interno del sistema produttivo nazionale sia per la sua dimensione quantitativa sia per il ruolo che esso assume nell’assetto sociale, ambientale e culturale del paese. Sotto il profilo quantitativo esso rappresenta il secondo comparto manifatturiero italiano, dopo la meccanica, e contribuisce in misura determinante all’affermazione del made in Italy nel mondo. Nel 2010, infatti, l’industria alimentare nazionale ha realizzato complessivamente un fatturato di 124 miliardi di euro (Federalimentare, 2011) contribuendo per il 15% al totale del fatturato del settore manifatturiero italiano (figura 2). Fonte: Nostre elaborazioni su dati Istat, 2011 Le imprese attive nell’industria alimentare, delle bevande e del tabacco sono 59.7992. Si tratta in particolare di 56.432 imprese del comparto dell’industria alimentare, di 3.298 del comparto dell’industria delle bevande e di 69 imprese del comparto dell’industria del tabacco. Le imprese dell’industria alimentare, delle bevande e del tabacco rappresentano l’1,1% del totale delle imprese attive in Italia e il 10,9% delle imprese del settore manifatturiero. A livello regionale la maggiore numerosità delle imprese dell’industria alimentare, delle bevande e del tabacco si rileva in Campania (12% del totale), Sicilia (11,9%), Lombardia (9,9%) ed Emilia-Romagna (8,2%). Una maggiore specializzazione nel settore delle imprese alimentari si registra, invece, in Calabria (26,2% delle imprese manifatturiere e 2,2% del totale), Molise (23,4% delle imprese manifatturiere 1,7% del totale) e Sicilia (23,2% delle imprese manifatturiere 1,9% del totale). Nel 2009 gli occupati nel settore dell’Industria alimentare delle bevande e del tabacco erano 434.5203. Gli occupati nell’industria alimentare, delle bevande e del tabacco rappresentano il 2,9% del totale degli addetti in Italia e l’11,6% degli occupati nel settore manifatturiero. A livello regionale la maggiore numerosità degli addetti nell’industria alimentare, delle bevande e del tabacco si rileva in Lombardia (16,2% del totale), Emilia-Romagna (12,1%), Campania (9,9%) e Veneto (9,8%). 2 3 Infocamere (2011). Inps (2011). Ricerche Figura 2. L’industria alimentare nel contesto delle attività manifatturiere in Italia (2009) a e 157 Box 1. Investimenti e costo del lavoro L’industria alimentare presentava nel 2008 un valore del rapporto tra il fatturato e le ore lavorate dai dipendenti pari a 207 euro. Si tratta di un dato superiore a quello registrato per l’intero settore manifatturiero dove il rapporto si attesta sui 156 euro. Anche il rapporto tra il valore della produzione e le ore lavorate dai dipendenti dell’industria alimentare (197 euro) risulta superiore a quello relativo all’intero settore manifatturiero (151 euro). Prospetto 1. Indicatori caratteristici dell’industria alimentare e del settore manifatturiero (1a parte) 15/2013 Settore a e 158 Fatturato – Migliaia di euro Fatturato/ ore lavorate Valore della produzione – Migliaia euro Valore della produzione/ ore lavorate Numero di ore lavorate dai dipendenti – Migliaia euro Industria manifatturiera 978.130.059 156 948.297.472 151 6.289.118 Industria alimentare 103.119.607 207 97.992.917 197 498.386 Fonte: Nostre elaborazioni su dati Istat, 2008 L’industria alimentare presentava nel 2008 un rapporto tra il valore dei salari e stipendi e le ore lavorate dai dipendenti pari a 14 euro. Si tratta di un dato inferiore a quello registrato per l’intero settore manifatturiero dove il rapporto si attesta sui 16 euro. Il rapporto tra il valore degli investimenti lordi in beni materiali e le ore lavorate dai dipendenti dell’industria alimentare (9 euro) risulta, invece, superiore a quello relativo all’intero settore manifatturiero (6 euro). Prospetto 2. Indicatori caratteristici dell’industria alimentare e del settore manifatturiero (2a parte) Settore Salari e stipendi Salari e – Migliaia stipendi/ euro ore lavorate Investimenti lordi in beni materiali – Migliaia euro Investimenti/ ore lavorate Numero di ore lavorate dai dipendenti – Migliaia euro Industria manifatturiera 97.840.736 16 38.363.915 6 6.289.118 Industria alimentare 7.072.330 14 4.272.918 9 498.386 Fonte: Nostre elaborazioni su dati Istat, 2008 Figura 3. Il fatturato nei comparti dell’industria alimentare (2009) Ricerche L’industria alimentare è composta da 9 comparti principali. Del settore fanno parte, infatti, comparti tipici del sistema industriale italiano come quello della lavorazione delle carni e dei suoi derivati, della pasta, delle conserve alimentari vegetali, del riso. Gli altri comparti del vino e dell’olio di oliva forniscono prodotti essenziali del made in Italy alimentare. Del settore fanno parte, infine, comparti in cui il nostro paese è importatore netto dall’estero come quello dell’olio di semi, dell’industria lattiero-casearia e dell’industria mangimistica. La categoria «altri prodotti alimentari» costituisce il più grande sottosettore dell’industria alimentare e delle bevande italiana rappresentando il 41% del fatturato totale. Si tratta di un gruppo eterogeneo che comprende prodotti da forno, pasticceria, cioccolato e prodotti dolciari, pasta e alimenti per bambini. Il comparto delle carni, quello delle bevande e quello lattiero-caseario sono invece i comparti chiave del settore e, insieme con la categoria «altri prodotti alimentari», contribuiscono per l’83% alla formazione del fatturato (figura 3). a e 159 Fonte: Nostra elaborazione su dati Federalimentare, 2010 L’export dell’industria alimentare italiana, nel 2010, ha raggiunto i 22,2 miliardi di euro registrando un significativo incremento rispetto all’anno precedente (+10,7%). In particolare, i prodotti dell’industria alimentare contribuiscono per il 6,6% al totale dell’export nazionale. Germania, Francia, Stati Uniti d’America, Regno Unito e Svizzera sono i principali paesi di destinazione delle esportazioni di prodotti alimentari italiani. Sul piano merceologico le esportazioni riguardano in particolare la pasta, le conserve di pomodoro, i vini, i prodotti dolciari e l’olio d’oliva (figura 4). Anche le importazioni nazionali sono cresciute considerevolmente nell’ultimo anno (+11,5%) raggiungendo il valore di 25,2 miliardi di euro. Il risultato di questo trend è stato un ulteriore peggioramento del valore del saldo commerciale dei prodotti alimentari che ha raggiunto un disavanzo di 3,1 miliardi di euro. Germania, Francia, Spagna, Paesi Bassi e Austria sono i paesi da cui provengono in prevalenza prodotti alimentari importati in Italia. Sul piano merceologico, infine, le importazioni riguardano prevalentemente i seguenti prodotti: pesci lavorati; panelli, farine e mangimi; carni suine semilavorate; crostacei e molluschi congelati e olio di oliva vergine ed extravergine. 15/2013 Figura 4. Composizione dell’export alimentare italiano (2010) a e 160 Fonte: Nostra elaborazione su dati Federalimentare, 2011b Box 2. Produttività del lavoro Il valore della produttività del lavoro dell’industria alimentare italiana nel 2010 era pari a circa 70 mila euro per addetto. Si tratta di una performance superiore a quella registrata a livello europeo dove si registra un valore della produttività del lavoro di circa 38 euro per addetto. Prospetto 3 – Evoluzione nella produttività del lavoro dell’industria alimentare italiana Anno 2006 2007 2008 2009 2010 Valore aggiunto (milioni di euro) 24.977,6 25.044,1 24.921,0 24.468,8 25.044,3 Fonte: Nostre elaborazioni su dati Istat, Inps Occupati (migliaia di persone) 328,2 338,6 346,1 348,4 354,8 Produttività (mila euro/addetto) 76,1 74,0 72,0 70,2 70,6 Il prospetto 3 permette però di rilevare il trend decrescente che caratterizza la produttività del lavoro dell’industria alimentare in Italia che nel periodo 2006-2010 è diminuita del 7,3%. Nel 2011 l’Italia ha registrato oltre 30 miliardi di euro di esportazioni agro-alimentari, a fronte di oltre 40 miliardi di euro di importazioni, con un disavanzo di oltre 10 miliardi di euro. L’export italiano di prodotti agroalimentari è aumentato dell’8,5% nel 2011 e del 12,8% nel 2010, trainato soprattutto dalle esportazioni extra Ue che negli ultimi anni, ad eccezione del 2009 quando hanno registrato una riduzione, sono aumentate ad un tasso maggiore di quelle comunitarie (tabella 14). Il 68% delle esportazioni agroalimentari italiane sono dirette verso i paesi Ue e solo il 32% nei paesi terzi. Negli ultimi dieci anni le aree di destinazione sono rimaste pressoché le stesse (tra il 2001 e il 2011 l’export comunitario è aumentato del 5% medio annuo, quello extra Ue del 5,4% medio annuo). I principali paesi clienti (Germania, Francia, Regno Unito, Stati Uniti, Svizzera, Spagna, Austria), hanno perso parte del loro peso, continuando tuttavia a ricevere il 59% del prodotto italiano (nel 2001 ricevevano complessivamente il 67%). Hanno invece aumentato il loro peso relativo altri paesi clienti quali la Cina, la Romania, la Russia, la Repubblica Ceca, la Polonia, l’Austria e i Paesi Bassi. Si tratta tuttavia di mercati ancora piuttosto marginali per l’Italia (ricevono una percentuale delle esportazioni italiane compresa tra il 3,6% dei Paesi Bassi e lo 0,6% della Cina) (tabella 15). Tabella 14. Interscambio commerciale con l’estero mln € Peso % (a) Export Totale, di cui: 375.850 Agroalimentare, di cui: 30.160 8,0 Agricoltura 5.770 19,1 Industria alimentare 24.390 80,9 Import Totale, di cui: 400.480 Agroalimentare, di cui: 40.463 10,1 Agricoltura 12.980 32,1 Industria alimentare 27.483 67,9 Saldo Totale, di cui: -24.630 Agroalimentare, di cui: -10.303 41,8 Agricoltura -7.210 70,0 Industria alimentare -3.093 42,9 (a) Il peso % si riferisce agli scambi totali per la voce «Agroalimentare» e agli scambi di prodotti agroalimentari per le voci «Agricoltura» e «Industria alimentare» Fonte: Ismea, 2012 Ricerche 5. Bilancia commerciale a e 161 15/2013 Tabella 15. Interscambio commerciale con l’estero del settore agroalimentare italiano a e 162 Export Agroalimentare, di cui: Ue, di cui Germania Francia Regno Unito Extra Ue, di cui Stati Uniti Svizzera Giappone Import Agroalimentare, di cui: Ue, di cui Francia Germania Spagna Extra Ue, di cui Argentina Brasile Stati Uniti Saldo Agroalimentare Ue Extra Ue Fonte: Ismea, 2012 mln € Peso % (a) 30.160 20.543 5.706 3.608 2.475 9.618 2.478 1.197 608 100,0 68,1 18,9 12,0 8,2 31,9 8,2 4,0 2,0 40.463 28.407 6.086 5.884 3.800 12.057 1.003 914 747 100,0 70,2 15,0 14,5 9,4 29,8 2,5 2,3 1,8 -10.303 -7.864 -2.439 100 76,3 23,7 Tra i gruppi di prodotti agroalimentari, quelli per cui l’Italia ha presentato nel 2011 un livello di export nettamente superiore all’import sono stati: «bevande alcoliche e non alcoliche e aceto» (che comprende il vino), «pasta, pane e prodotti della pasticceria e biscotteria» e «preparazioni di ortaggi, legumi e frutta». Quelli per cui, invece, è stata particolarmente deficitaria sono stati: «animali vivi», «tabacchi», «pesci, molluschi e crostacei freschi, congelati, secchi, salati e affumicati», «zucchero e prodotti a base di zucchero», «cereali», «panelli, farine e mangimi», «semi e frutti oleosi», «carni fresche, congelate, conservate, stagionate, secche e salate», «grassi e oli animali o vegetali» e «latte e derivati, uova, miele». Nel 2011, tra i principali prodotti esportati, è aumentato in misura più consistente l’export di caffè, mele e pere fresche, formaggi e latticini, succhi di frutta, carni bovine fresche, acqueviti e vini e mosti (soprattutto spumanti e vini sfusi). Al contrario hanno subito una contrazione delle esportazioni alcuni prodotti ortofrutticoli freschi Tabella 16. Bilancia commerciale agroalimentare italiana per gruppi di prodotto (milioni di euro) Gruppi di prodotto Export Import Saldo 4.586 2.293 Exp. 20,3 11,6 Peso % Imp. 3,9 3,1 Bevande alcoliche e non alcoliche Pasta, pane e prodotti della pasticceria e biscotteria Preparazioni di ortaggi, legumi e frutta Frutta fresca e secca Preparazioni alimentari diverse 6.110 3.485 1.524 1.192 2.883 2.864 1.408 1.066 2.207 861 1.617 658 547 8,9 9,5 4,7 2,8 5,7 2,2 Ricerche quali: albicocche, ciliegie, prugne, pesche e nettarine, agrumi e kiwi tra la frutta, e pomodori, cavoli, cavolfiori, cavoli ricci, cavoli rapa e simili, lattughe e cicorie tra gli ortaggi. Stabili o in crescita più contenuta sono risultate le esportazioni degli altri prodotti dell’agroalimentare. Relativamente alle importazioni sono aumentate moltissimo quelle di caffè (+44,1%), di cerali (+40,9%), in particolare di mais (+65%), di zucchero e prodotti a base di zucchero (+36,9%), anche in relazione al forte aumento dei prezzi internazionali. Consistente è stato anche l’incremento delle importazioni di molluschi, cacao in grani, latte e crema di latte, formaggi e latticini, preparazioni e conserve di pesce. L’import di alcuni tipi di ortaggi, di acqueviti e liquori, di fiori, di animali vivi e di tabacchi è, invece, risultato in contrazione. Le importazioni degli altri principali prodotti sono, invece, aumentate in misura contenuta. Tra i prodotti agroalimentari ve ne sono alcuni che rappresentano l’eccellenza dell’agroalimentare nazionale e costituiscono il cosiddetto made in Italy. Si tratta di prodotti che nel 2011 hanno rappresentato il 65,9% delle esportazioni agroalimentari complessive. I prodotti maggiormente esportati sono i vini e gli spumanti, che costituiscono il 22% del made in Italy agroalimentare, seguiti dalla frutta fresca e secca, dalle preparazioni di ortaggi, legumi e frutta, dalla pasta e dai formaggi e latticini. Nel 2011 le esportazioni del made in Italy agroalimentare sono cresciute del 6,8%, in misura inferiore rispetto al totale agroalimentare (+8,5%). Tassi di crescita a due cifre sono stati registrati per: formaggi e latticini (+15,1%), in particolare formaggi grana e parmigiano (+20,6%), vini e spumanti (+12,4%), soprattutto spumanti (+23,2%), e succhi di frutta e agrumi (+12,7%). In aumento anche le esportazioni di frutta fresca e secca, prodotti della panetteria, biscotteria e pasticceria, pasta, olio d’oliva, prodotti dolciari a base di cacao, preparazioni e conserve suine, aceti e vermut. Tra i prodotti del made in Italy solo gli ortaggi freschi hanno registrato una consistente riduzione delle esportazioni (-10,1%), seguiti da una modesta contrazione delle esportazioni di riso semilavorato e lavorato (-3,4%). Sostanzialmente stabile l’export delle conserve di pomodoro (tabella 16). a e 163 15/2013 Tabella 16 (segue) a e 164 Gruppi di prodotto Export Import Saldo Cacao e sue preparazioni Fiori e piante ornamentali Altri prodotti Ortaggi e legumi freschi e secchi Preparazioni di carni, pesci, molluschi e crostacei Caffè, tè e spezie Semi e frutti oleosi Zucchero e prodotti a base di zucchero Panelli, farine e mangimi Grassi e oli animali o vegetali Animali vivi Latte e derivati, uova, miele Tabacchi Cereali Carni fresche, congelate, conservate, stagionate, secche, salate Pesci, molluschi e crostacei vivi, freschi, congelati, secchi, salati e affumicati Fonte: Ismea, 2012 1.121 678 514 1.214 725 946 901 558 648 1.362 1.243 1.542 220 120 -133 -148 -518 -596 Exp. 3,7 2,3 1,7 4,0 2,4 3,1 Peso % Imp. 2,3 1,4 1,7 3,5 3,2 4,0 382 276 531 1.726 44 2.192 220 758 1.795 1.012 1.163 1.755 3.004 1.551 3.846 2.219 2.883 4.570 -629 -887 -1.244 -1.318 -1.508 -1.654 -1.999 -2.125 -2.775 1,3 0,9 1,8 5,7 0,1 7,3 0,7 2,5 6,0 2,6 3,0 4,5 7,9 4,0 10,0 5,7 7,5 11,8 394 3.503 -3.110 1,3 9,1 6. Distribuzione alimentare Nel 2010 il valore delle vendite nel settore alimentare è stato pari a circa 126 miliardi di euro. Le vendite di prodotti alimentari costituiscono circa il 45% del totale delle vendite realizzate dal settore della distribuzione nazionale (tabella 17). Tabella 17. Vendite nel settore alimentare anno 2010 (milioni di euro) Regioni Altri esercizi Grande distribuzione Nord Ovest 8.985,00 26.550,50 Nord Est 4.960,30 21.727,40 Centro 9.526,00 17.276,80 Sud e Isole 21.591,00 15.341,80 Italia 45.062,40 80.896,50 Fonte: Nostra elaborazione su dati dell’Osservatorio sul commercio, 2011 Totale esercizi 35.535,50 26.687,70 26.802,80 36.932,90 125.958,90 La tabella 18 permette di evidenziare che sono complessivamente circa 122 mila i punti vendita specializzati in prodotti alimentari. Gli esercizi alimentari rappresentano in particolare circa il 16% del totale dei punti vendita specializzati. Tabella 18. Distribuzione al dettaglio per classe merceologica e superficie di vendita dichiarata 2010 Sede Unità locale Esercizi non specializzati 85.120 37.144 Alimentari specializzati 100.691 21.829 Carburante per autotrazione 19095 6.056 Apparecchiature informatiche 9.968 5.308 Prodotti per uso domestico 88.508 28.081 Articoli culturali e ricreativi 55.072 11.433 Altri esercizi specializzati 213.582 94.478 Totale 572.036 204.329 Fonte: Nostra elaborazione su dati dell’Osservatorio sul commercio, 2011 Totale 122.264 122.520 25.151 15.276 116.589 66.505 308.060 776.365 Tra gli esercizi non specializzati che commercializzano in prevalenza prodotti alimentari e bevande (tabella 19) si evidenzia la preponderanza delle strutture commerciali di ridotte dimensioni (minimercati e superette). Viceversa si registra una più ridotta diffusione delle strutture di maggiore dimensioni (supermercati e ipermercati) che rappresentano circa il 15% del totale degli esercizi non specializzati che commercializzano in prevalenza prodotti alimentari e bevande. Tabella 19. Esercizi non specializzati con prevalenza di prodotti alimentari e bevande Esercizi non specializzati 2010 Sede Unità locale Non specificato 14.257 4.148 Ipermercati 49 612 Supermercati 3.773 9.703 Discount di alimentare 154 707 Minimercati e altri esercizi 46.948 13.919 Prodotti surgelati 937 468 Totale 66.118 29.557 Fonte: Nostra elaborazione su dati dell’Osservatorio sul commercio, 2011 Totale 18.405 661 13.476 861 60.867 1.405 95.675 La tabella 20 permette di svolgere un approfondimento sulle caratteristiche degli esercizi alimentari specializzati. Come si può osservare circa il 28% dei punti vendita è specializzato nella commercializzazione di carni e di prodotti a base di carne. Seguono in termini di importanza gli esercizi specializzati nella commercializzazione di Ricerche Gruppo merceologico a e 165 frutta e verdura (17%) e quelli che si occupano esclusivamente della vendita di pane, torte, dolciumi e confetteria. Più ridotta appare, infine, la diffusione sia di esercizi specializzati nella vendita di pesci, crostacei e molluschi (7%) sia di quelli che commercializzano esclusivamente bevande (5%). Tabella 20. Prodotti alimentari, bevande e tabacco in esercizi specializzati 15/2013 Prodotti alimentari, bevande e tabacco in esercizi specializzati a e 166 2010 Sede Unità locale Non specificato 1.579 827 Frutta e verdura 16.484 4.041 Carni e di prodotti a base di carne 29.129 4.805 Pesci, crostacei e molluschi 6.233 2.258 Pane, torte, dolciumi e confetteria 7.597 4.516 Bevande 3.872 1.907 Prodotti del tabacco 29.699 946 Altri prodotti alimentari in esercizi specializzati 6.108 2.529 Totale 100.701 21.829 Fonte: Nostra elaborazione su dati dell’Osservatorio sul commercio, 2011 Totale 2.406 20.525 33.934 8.481 12.113 5.779 30.645 8.637 122.520 7. I consumi La spesa delle famiglie italiane per alimentari, bevande e tabacco, calcolata a valori concatenati, è diminuita nel 2011 dell’1,1% (dopo il +0,5% del 2010); in particolare a risultare in flessione sono i consumi di generi «alimentari e bevande non alcoliche» (-1,3%), mentre è risultata piuttosto stabile la spesa per bevande alcoliche e tabacchi. La tabella 21 riporta questi dati nell’elaborazione Ismea che mette a confronto tutte le voci di spesa per i consumi finali delle famiglie. Tabella 21. Spesa per consumi finali delle famiglie (valori concatenati, anno di riferimento 2005) Alimentari, bevande e tabacco alimentari e bevande non alcoliche bevande alcoliche, tabacco/narcotici Vestiario e calzature Abitazione, acqua, elettricità, gas ed altri combustibili Mobili, elettrodomestici e manutenzione casa Sanità Trasporti e comunicazione Var. % annua 2010-2011 -1,1 -1,3 0,1 -0,4 1,1 1,8 2,1 -1,3 trasporti comunicazione Ricreazione, cultura e istruzione ricreazione e cultura istruzione Alberghi e ristoranti Beni e servizi vari Totale sul territorio economico Totale beni beni durevoli beni semidurevoli beni non durevoli Servizi Fonte: Ismea, 2012. Var. % annua 2010-2011 -1,7 0,6 2,7 3,2 -1,2 2,0 -0,7 0,4 -0,9 -1,8 -0,3 -0,8 1,8 Secondo i dati provenienti dal panel famiglie Ismea, la contrazione della spesa nazionale è ascrivibile a tutti i comparti alimentari, ad eccezione degli aggregati «olio di oliva» e «carni suine e salumi». In particolare, come si evince dalla figura 5, nel 2010 la spesa delle famiglie italiane si è concentrata su latte e derivati, altri alimenti e bevande analcoliche e derivati dei cereali. Figura 5. Composizione della spesa domestica agroalimentare in Italia per aggregato di prodotto gennaio-dicembre 2010 (%) Fonte: Ismea, 2012. Ricerche Tabella 21 (segue) a e 167 Con riferimento alle aree geografiche, tutte le regioni hanno visto un calo della spesa agroalimentare domestica nel corso del 2010 con una leggera ripresa negli ultimi tre mesi dell’anno. Dalla figura 6 si evidenzia uno scarto importante nei consumi tra Nord-est (19,4%) e Sud, dove, nonostante il calo dei consumi, si sono registrati acquisti in valore per oltre il 30% della spesa totale delle famiglie. Rispetto ai canali di vendita, i preferiti dalle famiglie restano iper e supermercati che pure hanno risentito del calo della spesa. Gli unici esercizi a non aver sofferto nel 2010 sono i liberi servizi e discount che hanno presentato risultati particolarmente positivi nella prima metà dell’anno. Figura 6. Composizione della spesa domestica agroalimentare per area geografica e canale di vendita gennaio-dicembre 2010 (%) Fonte: Ismea, 2012 Tabella 22. Dinamica tendenziale delle quantità acquistate e dei prezzi per i prodotti con le migliori e peggiori performance I migliori Quota % in valore gen.-dic. 2010 Ortaggi IV gamma 0,8 Quantità Var. % gen.-dic. 2010 / gen.-dic. 2009 8,0 I peggiori Sostituti del pane 1,7 4,3 Olio di oliva extravergine Prodotti prima colazione e dolciumi Pollo Grana padano Latte fresco Yogurt Uova 1,1 4,1 3,6 3,1 Quota % in valore gen.-dic. 2010 / gen.-dic. 2009 Tonno al naturale 1,4 e sott’olio Vino (Doc-Docg, 2,8 comuni e IGT) Conserve di 0,8 pomodoro Ortaggi e legumi 5,8 1,9 1,0 2,3 2,8 0,9 2,7 2,2 2,2 1,8 1,0 Pasta di semola Pane Salumi Dop Mele Parmigiano reggiano 1,7 4,2 0,8 0,9 1,0 Quantità Var. % gen.-dic. 2010 -0,5 -1,3 -1,7 -1,8 -1,8 -2,7 -2,7 -3,1 -5,2 I migliori Quota % in valore gen.-dic. 2010 Latte UHT 2,2 Quantità Var. % gen.-dic. 2010 / gen.-dic. 2009 0,9 I peggiori Ortaggi e legumi surgelati Carne suina Fonte: Ismea, 2012 1,1 0,4 Carne bovina naturale Pere 2,2 0,3 Tacchino Quota % in valore gen.-dic. 2010 / gen.-dic. 2009 6,0 Quantità Var. % gen.-dic. 2010 -5,3 0,5 -6,3 0,5 -8,1 La tabella 22 evidenzia le categorie di prodotti che hanno subito una riduzione dei consumi e quelle che invece ne hanno visto un aumento. Sulla base del confronto tra questi dati, l’Ismea trae alcune considerazioni, di cui riportiamo qualche esempio: al calo nel consumo di formaggi convenzionali e Dop (v. parmigiano nella colonna di destra) fa corrispondere un aumento nel consumo di latte fresco e yogurt; si riduce il consumo di carne bovina e tacchino, ma aumenta, seppure in misura inferiore alla riduzione, quello di carne suina e pollo; nell’ambito degli ortaggi cresce la richiesta dei prodotti di IV gamma (i freschi confezionati), mentre per i prodotti freschi il 2010 si è chiuso in flessione. Ricerche Tabella 22 (segue) a e 169 8. Catena del valore agroalimentare Negli ultimi anni, i meccanismi di funzionamento delle filiere agroalimentari sono tornati al centro dell’interesse dell’opinione pubblica. In una comunicazione del 20094 la Commissione Europea aveva identificato innanzitutto negli squilibri a livello di potere negoziale e nell’iniquità di ripartizione dei margini di profitto lungo la catena alimentare le cause di malfunzionamento delle filiere agroalimentari europee. Il problema dell’efficienza e dell’equità rappresenta una criticità per la filiera agroalimentare del nostro paese. Una indagine condotta nel 2008 dall’Autorità Garante della concorrenza e del mercato5 aveva evidenziato l’eccessiva lunghezza che caratterizza la filiera agroalimentare contando in media più di 2,5 intermediazioni tra produzione e consumo finale. Il risultato di questa organizzazione farraginosa finiva per tradursi in prezzi finali in media superiori del 200% rispetto a quelli pagati alla produzione (figura 7). 4 5 Com(2009)0591. Indagine conoscitiva sulla distribuzione agroalimentare (Ic/28). 15/2013 Figura 7. La catena del valore dei prodotti dell’agricoltura a e 170 Fonte: Ismea, 2012 Uno studio condotto dall’Ismea6 pubblicato nel luglio 2012 evidenzia che, considerando i prodotti agricoli freschi o non soggetti a trasformazione industriale, «in un decennio la remunerazione della fase agricola si è ridotta di quasi 6 euro su ogni 100 spesi dal consumatore. In altre parole la quota di valore ‘trattenuta’ dall’agricoltura è passata dal 25,6% del 2000 al 20% del 2009, mentre è aumentato nello stesso periodo il margine di tutte le attività che intervengono tra il ‘cancello’ dell’azienda agricola e il punto di vendita dove si registra l’acquisto finale. In sostanza, il cosiddetto marketing share, che remunera logistica, distribuzione e vendita e che include il pagamento delle imposte sul consumo, ha raggiunto nel 2009 una quota pari al 73% del valore di filiera, mentre rappresentava il 68% nel 2000. Nel caso dei prodotti trasformati, la quota agricola scende ulteriormente, passando dall’8,5% nel 2000 al 6% nel 2009. Cede valore anche la fase industriale (dal 45,8% al 42,2%), mentre passano dal 39 al 42 per cento i margini degli attori distributivi» (figura 8). 6 Check up 2012: la competitività dell’agroalimentare italiano. Ricerche Figura 8. La catena del valore dei prodotti dell’industria alimentare Fonte: Ismea, 2012 9. Alcune proposte I risultati dell’analisi condotta in precedenza evidenziano lo scenario complesso e articolato in cui attualmente si trovano ad operare i soggetti del sistema agroalimentare. Allo stato attuale molte sono le incognite su quello che sarà il reale impatto che la crisi economica mondiale avrà sul settore agricolo mondiale. D’altronde i fenomeni di neocolonialismo agricolo denunciati in precedenza, la crescente globalizzazione dei mercati agroalimentari, il consolidamento di posizioni dominanti nel controllo dei mezzi di produzione da parte di grandi multinazionali evidenziano la necessità di adottare immediatamente misure di concreto governo del settore agroalimentare mondiale. In tal senso è necessario chiamare le autorità sovrannazionali preposte (Fao, Wto) ad assumere, immediatamente, un maggiore ruolo adottando decisioni che garantiscano un governo più sostenibile del settore agroalimentare a livello mondiale. Anche il sistema agroalimentare italiano necessita di una maggiore e più incisiva governance. Il consolidamento del settore agroalimentare nazionale può avvenire solo attraverso l’implementazione di una strategia organica che facendo leva sulle vocazioni produttive territoriali punti al conseguimento dei seguenti obiettivi strategici: a e 171 15/2013 a e 172 T L8BEH@PP8P@ED<;<B:8F@J8B<KC8DE@CF<>D8JED<BI<JJEH<8JJH8L<HIEB@CFB<C<DJ8 zione di adeguate azioni di ricambio generazionale e di formazione degli addetti di settore, e mediante la creazione di una offerta adeguata di servizi e di assistenza tecnica per la diffusione di innovazioni tecnologiche e metodiche produttive sostenibili; T @DJHE;KHH<@;ED<@IJHKC<DJ@;@=KDP@ED8C<DJE;<BC<H:8JE;<BB8LEHE@D8>H@:EB tura che prevedano un adeguato protagonismo dei soggetti pubblici per contenere la diffusione del lavoro nero, dei fenomeni di caporalato e per promuovere una migliore integrazione dei lavoratori migranti del settore; T FHECKEL<H<C8>>@EH<;@==KI@ED<;<BB<FH8II@;<BB8IIE:@8P@ED@ICE<;<BB8:EEF<H8 zione può rappresentare al riguardo uno strumento importante per provare a combattere gli squilibri di mercato causati alle grandi concentrazioni che riguardano sia l’anello dell’industria alimentare caratterizzato dalla presenza di grandi multinazionali sia quello della commercializzazione dove operano grandi player internazionali della grande distribuzione organizzata; T L8BEH@PP8H<B<FHE;KP@ED@8>HE8B@C<DJ8H@;@GK8B@J[:E>B@<D;E8F@<DEB<E::8I@ED@ offerte dalla crescente sensibilità manifestata dai consumatori verso la salubrità e la sicurezza alimentare, la tipicità e la differenziazione dei beni e dei servizi offerti dal settore agricolo. L’Italia conta, infatti, ben 198 prodotti a marchio comunitario (Dop, Igp) che testimoniano la propensione alla qualità e all’eccellenza che caratterizza le produzioni agroalimentari nazionali. Si tratta di una importante leva competitiva per il nostro sistema agroalimentare che potrà dispiegare a pieno i suoi effetti positivi solo garantendo condizioni certe di tutela e di valorizzazione sui mercati internazionali che preservino le nostre produzioni nazionali di qualità dai fenomeni di agropirateria. Lo sviluppo dei prodotti di qualità potrà inoltre avere un positivo effetto di traino anche per le altre produzioni agroalimentari italiane consolidando le posizione acquisite sui mercati internazionali; T FHECKEL<H<KD8P@ED<;@8CCE;<HD8C<DJE;<BB<8P@<D;<8>H@:EB<C<;@8DJ<B8H<8 lizzazione di investimenti finalizzati alla valorizzazione delle produzioni locali, al miglioramento delle condizioni di commercializzazione. In questo campo è necessario porre particolare attenzione ai progetti aziendali che migliorano la sostenibilità economica, sociale e ambientale delle attività agricole. In questo senso è opportuno richiedere al governo la concreta riattivazione dei finanziamenti agevolati erogati mediante i contratti di filiera e di distretto (art. 63 della legge 27/20127) finalizzati alla realizzazione di nuovi investimenti nel settore. Alla sfida dell’am7 Legge 24 marzo 2012, n. 27 «Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, recante disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività» pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 71 del 24 marzo 2012 - Suppl. Ordinario n. 53. Ricerche modernamento e della riqualificazione strutturale del settore agroalimentare dovranno essere indirizzate anche una fetta delle risorse disponibili per il funzionamento degli strumenti operativi previsti nell’ambito delle politiche regionali della Ue (Por Fesr) che dovranno dispiegare la loro azione in maniera integrata e sinergica con gli interventi previsti dalle politiche di sviluppo rurale; T ;@==ED;<H<B<@DDEL8P@ED@J<:DEBE>@:?<D<BI<JJEH<FED<D;EF8HJ@:EB8H<8JJ<DP@ED< a quelle che sono in grado di promuovere una maggiore integrazione di filiera e che permettono di recuperare quote di valore aggiunto all’anello agricolo della catena alimentare. Al riguardo particolare attenzione dovrà essere posta alla nuova iniziativa promossa dall’Ue per la promozione e l’attivazione dei Pei (Partenariati Europei per l’Innovazione). L’approccio Pei potrà dispiegare effetti positivi solo se i «Gruppi operativi» saranno capaci effettivamente di trasformarsi in soggetti capaci di innescare processi di sviluppo con obiettivi misurabili, piuttosto che nuovi partenariati semplicemente indirizzati a chiedere finanziamenti pubblici; T C@>B@EH8H<@B=KDP@ED8C<DJE<BEH>8D@PP8P@ED<;<BB<=@B@<H<8>HE8B@C<DJ8H@$DJ8B senso è opportuno rilanciare gli strumenti previsti nell’ambito del decreto legislativo n. 102 del 2005 (accordo di filiera, intesa di filiera, contratto quadro, contratto tipo) che non hanno avuto finora adeguata diffusione ed utilizzo presso gli operatori agroalimentari e che possono contribuire a migliorare l’organizzazione e la funzionalità degli aspetti connessi alla commercializzazione dei prodotti agroalimentari. In quest’ambito è inoltre opportuno sostenere l’iniziativa del governo di introdurre contratti scritti obbligatori per la commercializzazione dei prodotti agricoli ed alimentari (art. 62 della legge 27/2012). La qualità delle relazioni tra gli operatori della catena agro-alimentare può anche migliorare riservando un’adeguata attenzione alle aree territoriali dove negli anni si sono andati affermando modelli organizzativi di tipo distrettuale. Peraltro le statistiche ufficiali evidenziano le performance economiche positive registrate negli ultimi anni dai distretti agroalimentari in controtendenza con la situazione di profonda crisi che caratterizza il settore manifatturiero italiano. In questo senso è opportuno rilanciare lo strumento del Distretto Agroalimentare di Qualità istituito nell’ambito del d.lgs. n. 228 del 2001 (legge di orientamento) che assumendo un approccio partenariale al governo delle relazioni tra gli attori distrettuali può consentire un adeguato protagonismo alle organizzazioni sindacali; T IEIJ<D<H<B8L@J8B@J[<:EDEC@:8;<BB<8H<<HKH8B@FHECKEL<D;EKD8L8BEH@PP8P@ED< in chiave integrata delle risorse enogastronomiche, ambientali, culturali ampiamente presenti nei nostri territori rurali. In questo senso non bisogna sottovalutare il contributo socioeconomico che può provenire dall’adozione di una strategia di gestione sostenibile del patrimonio forestale. La promozione e la valorizzazione del carattere multifunzionale di nostri boschi (ambiente, paesaggio, a e 173 15/2013 assetto idrogeologico, energie rinnovabili) può fornire un concreto beneficio alle collettività contribuendo al miglioramento delle condizioni socio-economiche delle nostre aree rurali. In proposito bisogna rilanciare il ruolo e il contributo che in questo senso può provenire dalle Comunità montane che dovranno consolidare il loro ruolo irrinunciabile di enti di governo del territorio. a e 174 Per sostenere questo progetto di sviluppo dell’agroalimentare italiano è necessario ridare forza e protagonismo ai luoghi e ai momenti di confronto che possono garantire, in chiave partenariale, un adeguato coinvolgimento dei più importanti attori istituzionali, economici e sociali protagonisti dell’agroalimentare italiano. In questo senso è opportuno promuovere una riflessione sulle finalità e sui meccanismi di funzionamento del Tavolo agroalimentare previsto sulla base all’art. 20 del d.lgs. n. 228 del 2001. Questo organismo che coinvolge le organizzazioni della produzione, della trasformazione e della distribuzione e quelle sindacali può rappresentare, infatti, il luogo per la definizione concertata di provvedimenti efficaci di rilancio del settore agroalimentare nazionale: un disegno politico unitario per il settore che affronti con efficacia e risolutezza i punti critici che lo caratterizzano valorizzando contemporaneamente le eccellenze e punti di forza dell’agricoltura italiana.