NASHVILLE
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NASHVILLE
NASHVILLE regia di Robert Altman, USA, 1975, 159’ «Nashville sembra il risultato di una gigantesca trasmissione live con 24 cineprese nascoste e un virtuoso alla regia» Peter W. Jansen Nessun altro regista ha rivisitato in maniera sistematica i film di genere come Robert Altman: ha reinterpretato il film di guerra con M*A*S*H, il western con I compari, il noir con Il lungo addio e il gangster movie con Gang. Ma la sua opera più provocatoria e, insieme, una delle analisi critiche più spietate sulla società americana è senza dubbio Nashville. Il ritmo incalzante, la repentinità degli stacchi, l’accavallarsi delle parole e dei suoni ne fanno uno dei capolavori assoluti del cinema degli anni ’70. Nell’imminenza del bicentenario della nazione, la capitale del Tennessee ospita il grande festival nazionale del country: l’anima dell’America tradotta in musica. Durante i cinque giorni della rassegna si svolge anche la campagna per le elezioni che indicheranno i candidati alla Casa Bianca. A Nashville si presenta un politico sconosciuto, che sbandiera un programma di grandi riforme: la città è letteralmente invasa dalla sua propaganda e per lui parla la voce diffusa ovunque dagli altoparlanti di un furgone. Politica e spettacolo si alleano nel reciproco interesse, fino a diventare la stessa cosa: la popolarità dei cantanti può giovare al candidato, che promette di restituire il favore concedendo incarichi a chi lo aiuterà. Ma su questi americani così orgogliosi di sé e del proprio paese incombe una sorta di stordimento e tra loro serpeggia la frustrazione. Nashville è un progetto preciso e rigoroso che s’incardina sulle vicende di 24 personaggi principali (e una miriade di “spettatori”) e si sviluppa mostrando in successione tutti i possibili palcoscenici della città, dai teatri ai parchi, ai cabaret, alle arene, alle chiese. Con grande maestria Altman riesce a catturare e trattenere l’attenzione raccontando una serie di piccole vicende che si sfiorano continuamente. La vera rivoluzione consiste però nel mettere insieme un gruppo di attori ai quali il regista chiede di scrivere i dialoghi. Altman crea dunque (insieme ai suoi personaggi) una serie di eventi e li documenta, strutturando il film su alcuni nuclei che raccolgono di volta in volta i diversi frammenti dell’affresco. Il risultato è un caos apparente che produce un mosaico di piccoli spettacoli quotidiani apparentemente slegati tra loro. L’overdubbing (la tecnica che consiste nell’inserire una determinata serie di suoni all’interno di una session pre-registrata) e l’overlapping (il “parlarsi sopra”, utilizzato per confondere le conversazioni e dare un’impressione più rappresentativa della realtà) raggiungono con Nashville la loro massima espressione: in alcune scene, infatti, si arriva a sovrapporre anche sedici tracce audio diverse contemporaneamente. Attraverso cantanti senza talento che sognano la fama, intermediari del potere e fans adoranti, il regista rompe gli schemi e mostra il vuoto d’identità di un’intera nazione. Altman rende così esplicita la ricerca della celebrità e della realizzazione personale ad ogni costo, ma allo stesso tempo evita di soffermarsi sull’egocentrismo dei personaggi e gli nega quello spazio privilegiato che vorrebbero disperatamente occupare. testo: Marco Alesci