l`interprete di tribunale: italia e spagna a confronto
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l`interprete di tribunale: italia e spagna a confronto
ALMA MATER STUDIORUM - UNIVERSITÀ DI BOLOGNA FACOLTÀ DI LINGUE E LETTERATURE STRANIERE Corso di Laurea in Lingua, società e comunicazione Piano Didattico: Lingua e Comunicazione Internazionale L’INTERPRETE DI TRIBUNALE: ITALIA E SPAGNA A CONFRONTO Tesi di laurea in: Mediazione Linguistica Inglese Relatore Presentata da Prof.ssa METTE RUDVIN Correlatore Prof.ssa ANA PANO ALAMAN Sessione: Terza - Marzo 2010 Anno Accademico: 2008/2009 MARIA FALVO INDICE • INTRODUZIONE 6 • CAPITOLO I: LA FIGURA DELL’INTEPRETE 8 1.1 Translation studies vs interpreting studies: evoluzioni 8 1.2 Quando è nata la figura dell’interprete? 10 1.3 Le condizioni lavorative dell’interprete 12 1.4 Dall’interpretazione di conferenza all’interpretazione di comunità 14 1.4.1 Evoluzione dell’interprete di comunità 17 1.4.2 Indagine sull’interprete di comunità: la prospettiva dell’interprete 1.4.3 L’indagine 1.5 Caratteristiche personali e abilità di un buon interprete 20 21 23 1.6 Codici deontologici, standards di qualità e certificazione: gli interpreti di conferenza 24 1.6.1 Elementi comuni ai vari codici deontologici: alcuni esempi 25 1.6.2 Gli standards di qualità 30 1.6.3 La certificazione 31 1.7 L’interprete per i servizi pubblici 31 1.8 Il codice deontologico del PSI 34 1.8.1 La questione della neutralità 1.9 L’interpretazione di trattativa in ambito giudiziario 1.9.1 Le differenze culturali nell’interpretazione legale 35 37 42 1.10 Uno sguardo all’Europa: dal Progetto Grotius I al Progetto Grotius II 1.11 Il diritto alla difesa: normativa internazionale 43 48 • CAPITOLO II: LA FIGURA DEL MEDIATORE 51 2.1 Introduzione alla mediazione: Le varie accezioni 51 2.1.2 La mediazione dei conflitti 52 2.1.3 La mediazione giudiziaria: mediazione dei conflitti 54 2.2 La mediazione in ambito penale 57 2.2.1 Progetto per la costituzione di un Ufficio di Mediazione Penale 58 a Milano 60 2.2.2 Il Centro di Mediazione Penale a Trento e Bolzano 2.3 Dalla mediazione dei conflitti alla mediazione giudiziaria 61 2.4 Quale mediatore? 62 63 2.4.1 Le etichette del mediatore 2.4.2 Il terzo uomo: intermediario, mediatore, gatekepeer o l’uomo 65 invisibile? 2.5 Profilo professionale del mediatore culturale 66 2.6 La mediazione in ambito educativo 67 2.7 Compiti e funzioni del mediatore 68 2.8 Le qualità di un buon mediatore 71 2.9 La deontologia e l’etica professionale 72 2.10 Accenno alla normativa sulla mediazione 75 2.11 La necessità della formazione personale del mediatore linguisticoculturale 77 • CAPITOLO III: L’INTERPRETE DI TRIBUNALE IN ITALIA 3.1 Evoluzione della normativa italiana 81 81 3.1.2 Il principio di obbligatorietà della lingua italiana negli atti processuali penali 84 3.2 L’interprete nel processo penale italiano 85 3.3 Il profilo dell’interprete di tribunale secondo la Corte Costituzionale 89 3.4 Interprete, perito o consulente tecnico? 90 3.4.1 Il perito 91 3.4.2 Il consulente tecnico 92 3.4.3 E l’interprete? 93 3.5 Il traduttore di tribunale 95 3.5.1 Norme generali 97 3.5.2 Obblighi del traduttore-interprete di tribunale 98 3.5.3 I compensi 100 3.6 Le tecniche di interpretazione e le situazioni comunicative in tribunale 101 3.6.1 Le competenze linguistiche e tecniche dell’interprete di tribunale 3.6.2 Attitudini dell’interprete di tribunale 103 105 3.7 La deontologia professionale 106 3.7.1 Norme etiche 108 3.8 La formazione 110 3.9 Il servizio di interpretariato presso l’Ufficio stranieri del Comune di Milano 113 3.10 L’interprete presso la Questura di Bologna 3.10.1 L’interpretariato per l’Autorità Giudiziaria 114 118 3.10.2 Le tipologie di traduzioni e di interpretariati svolti dal personale linguistico della Questura di Bologna 3.10.3 Difficoltà dei vari tipi di servizio 119 121 • CAPITOLO IV: LA FIGURA DEL MEDIATORE IN ITALIA 123 4.1 La necessità della mediazione linguistico-culturale in Italia 123 4.2 Provvedimenti regionali 125 4.3 I percorsi formativi 127 4.4 Il Progetto Bridge: un percorso formativo per i mediatori culturali 131 4.4.1 Il mediatore culturale nella giustizia 134 4.5 Corso di formazione professionale per mediatori interculturali della Provincia Autonoma di Bolzano 4.5.1 La struttura del corso formativo 135 136 4.5.2 Requisiti di accesso, selezione dei candidati e prove di esame di qualifica 4.6 La mediazione e gli aspetti di sicurezza: la realtà di Bologna 137 139 4.6.1 La posizione attuale del mediatore nella Regione EmiliaRomagna 141 4.7 I corsi universitari 143 • CAPITOLO V: L’INTERPRETAZIONE PER I SERVIZI PUBBLICI IN SPAGNA 147 5.1 L’interpretazione sociale in Spagna 147 5.1.2 L’interpretazione per i servizi pubblici 148 5.2 Il problema delle definizioni 149 5.3 I limiti del ruolo dell’interprete sociale 152 5.4 Panorama attuale della mediazione interculturale 154 5.4.1 Il mediatore: nuove necessità nella società spagnola 157 5.4.2 Sfide e tecniche nella mediazione culturale 160 5.5 I&ISSPP come professione 162 5.5.1 Internet: strumento utile per il progresso nella Professionalizzazione della T&ISSPP 164 5.5.2 Principi metodologici della professionalizzazione della T&ISSPP 165 5.5.3 Il codice deontologico: punto di partenza nella professionalizzazione della T&ISSPP 167 5.5.4 L’aspetto culturale, emotivo e psicologico nella professionalizzazione della T&ISSPP 168 5.6 Aspetti specifici della traduzione per i servizi pubblici 171 5.7 L’Ufficio di Interpretariato in Spagna 174 5.7.1 Funzioni dell’Ufficio di Interpretariato 175 5.8 La situazione professionale del traduttore in Spagna 177 5.9 La necessità della formazione dei traduttori-interpreti 179 5.9.1 La formazione degli interpreti per i servizi pubblici: il caso della Comunità Autonoma Canaria 183 5.9.2 La formazione degli interpreti per i servizi pubblici: il caso della Comunità Autonoma Basca 185 5.10 La formazione per i servizi pubblici a Saragozza 187 5.10.1 Il Serpi 189 • CAPITOLO VI: INTERPRETARE PER LA GIUSTIZIA IN SPAGNA 192 6.1 Tradurre e interpretare per la giustizia 192 6.1.2 Aspetti della traduzione nell’Amministrazione della Giustizia: tipi di testi 194 6.1.3 Situazione attuale della traduzione/interpretazione nella Amministrazione della Giustizia 195 6.1.4 Gli interpreti-traduttori dell’Amministrazione della Giustizia 197 6.2 La necessità della lingua araba nella traduzione giuridica 198 6.3 La realtà della traduzione e interpretazione giudiziaria in Andalusia 200 6.4 L’interpretariato nei tribunali nella Provincia di Alicante 202 6.5 Verso la creazione di strutture stabili e professionali in ambito Giudiziario 205 6.6 Ipotesi di intervento dell’interprete in procedimenti giudiziari già avviati 6.7 L’interprete di tribunale in Spagna 207 209 6.7.1 La normativa spagnola 210 6.7.2 Riforme processuali 213 • OSSERVAZIONI CONCLUSIVE 216 • BIBLIOGRAFIA 221 • SITOGRAFIA 228 • APPENDICE A 231 • APPENDICE B 246 • APPENDICE C 258 • RINGRAZIAMENTI 268 INTRODUZIONE Il presente lavoro di ricerca si concentra sull’esame della figura dell’interprete, in particolare in ambito giudiziario, e sulla figura emergente del mediatore linguisticoculturale, realizzando uno studio comparativo tra l’Italia e la Spagna. La scelta dell’argomento è dettata dall’interesse personale di chi scrive verso una figura così tanto affascinante quanto complessa. L’ambito è stato circoscritto a quello legale, visto un profondo e vivo interesse per la giurisprudenza. È utile partire da una premessa: una definizione precisa ed accurata del ruolo e delle competenze della figura dell’interprete non esiste, in quanto ciascun paese, attraverso le proprie normative, gestisce la formazione degli interpreti a suo modo e molto spesso si rileva una totale carenza o inadeguatezza di specifici corsi di formazione. Il lavoro è stato suddiviso per comodità e seguendo una logica ben precisa in sei capitoli. I primi due si concentrano sulla presentazione della figura dell’interprete e del mediatore linguistico-culturale. Si tratta di riflessioni generali sulla condizione degli interpreti e dei mediatori linguistico-culturali e delle relative problematiche. Il primo capitolo, introduttivo, presenta la figura dell’interprete in ambito giudiziario, che rientra nella sfera dell’interpretazione di comunità o per i servizi pubblici, operando una distinzione con il ruolo dell’interprete di conferenza, tradizionalmente riconosciuto come l’unico che storicamente goda di un certo rispetto e prestigio. A discapito di ciò, l’interprete in ambito giudiziario viene considerato una figura secondaria e dunque meno importante. Con il capitolo terzo e quarto penetriamo nel contesto italiano. Nel terzo capitolo, verrà analizzata la figura dell’interprete di tribunale nel dettaglio, anche attraverso l’esame della normativa italiana, mentre nel quarto la nostra attenzione si sposterà sulla necessità della mediazione linguistico-culturale nel nostro paese e sulla condizione attuale del mediatore linguistico-culturale. Il quinto e il sesto capitolo, invece, sono dedicati alla Spagna. Il quinto si focalizzerà sulla figura dell’interprete in ambito giuridico, anche in questo caso avvalendoci della normativa spagnola e il sesto sull’interpretazione per i servizi 6 pubblici, un campo che sta prendendo sempre più piede nel paese e su cui si stanno realizzando interessanti studi. Al fine di realizzare tale studio, si è rivelato più opportuno scegliere due paesi dai sistemi giuridici simili, in quanto è molto più facile confrontare le situazioni giuridiche dei traduttori-interpreti. In presenza, infatti, di sistemi giuridici differenti, sarebbe stato opportuno in una prima fase indagare approfonditamente i rispettivi ordinamenti giuridici, per comprendere poi le differenti situazioni degli interpreti-traduttori. La bibliografia su questa figura professionale in Italia è praticamente inesistente, come in Spagna, dove però troviamo vari lavori sull’interpretazione e la traduzione nell’Amministrazione della Giustizia, data la rilevanza che ha nel paese la figura dell’interprete giurato. Lo stesso dicasi per la figura del mediatore linguistico-culturale dove, al contrario, non vi sono studi in Spagna dedicati specificamente a questa figura, mentre in Italia si parla molto di mediazione, soprattutto in ambito educativo e sanitario. Il ruolo degli interpreti di tribunale non è ancora riconosciuto in tutti in paesi e ancor di meno lo è quello del mediatore linguistico-culturale. Mentre in alcuni paesi, quali gli Stati Uniti d’America ed Australia, la posizione degli interpreti sembra essere regolamentata, l’Europa deve compiere ancora molti progressi. È stato inoltre preparato un breve questionario sottoposto all’attenzione di alcuni mediatori che operano nella regione Emilia Romagna, che si focalizza soprattutto sulle criticità di questa professione e, nel caso della Spagna, il questionario è stato preparato per gli interpreti di tribunale. Le conclusioni dell’elaborato si baseranno su alcune osservazioni dedotte dai capitoli, mettendo in luce i punti salienti della ricerca e le problematicità che la stessa ha presentato e avranno inoltre per oggetto un’accurata analisi dei questionari. 7 CAPITOLO I LA FIGURA DELL’INTERPRETE 1.1 TRANSLATION STUDIES VS INTERPRETING STUDIES: EVOLUZIONI Nella fase iniziale di affermazione della disciplina nota come “Translation Studies”, la riflessione sulla traduzione si è focalizzata quasi esclusivamente sugli aspetti linguistici e testuali, ponendo il problema della traduzione in termini di fedeltà al testo di partenza e concentrandosi sul prescrittivismo del “come si traduce” (Garzone 2002). Secondo quanto afferma Garzone, con il paradigm shift degli anni Ottanta del secolo scorso è emersa una concezione più aperta e flessibile della traduzione che deve essere intesa sì come riscrittura, ma creatrice di testi non solo intersistemici, ma anche intrasistemici, ovvero funzionali alla cultura destinataria. La dimensione culturale viene dunque ad assumere una posizione primaria. In tale contesto si colloca il “cultural turn”, secondo cui la traduzione non deve essere più vista come linguistic transcoding, ma come un processo che implica un’operazione di “cultural transfer” Nel campo degli Interpreting Studies si sono verificati alcuni cambiamenti di eguale importanza, favoriti dai mutamenti avvenuti nei Translation Studies e da spinte di tipo politico e sociale epocali. Fino a poco tempo fa, le uniche attività di interpretazione considerate degne di merito erano la consecutiva e la simultanea, ovvero le due modalità dell’interpretazione di conferenza. Anche da un punto di vista della formazione si riteneva che il training in tali modalità potesse essere sufficiente per affrontare qualsiasi forma di traduzione linguistica orale. In passato, gli interpreti erano presenti nelle aziende, nei tribunali, nella diplomazia, ma non godevano di ottima reputazione e le retribuzioni erano molto scarse. Pure nel settore degli Interpreting Studies, come nota l’autrice, prevaleva una concezione scientista del fenomeno traduttivo e interpretativo, che si fondava sui processi mentali grazie ai quali l’interprete riesce a riprodurre un testo in tempo reale e si affidava ad approcci empirici basati sull’osservazione e sull’introspezione, oppure 8 attingeva alla neurofisiologia e alla psicolinguistica. La componente culturale rivestiva scarsa o nulla rilevanza (Garzone 2002). I cambiamenti avvenuti nella società hanno reso necessarie delle modalità interpretative al di fuori del contesto di conferenza: primo fra tutti, l’emergenza immigrazione, che ha richiamato l’attenzione sulle modalità di mediazione linguistica orale comunemente denominate “dialogue interpreting", etichetta che mette in evidenza il ruolo attivo dell’interprete nell’interazione comunicativa. Grazie al profondo mutamento nei confronti delle attività traduttive, si è così giunti oggi ad una nuova visione del ruolo del mediatore linguistico e culturale. Il concetto di cultura, in particolare, merita essere analizzato con maggior dettaglio. Garzone ribadisce che tale concetto non è univoco ed è soggetto a numerose definizioni in ambiti diversi. Tentando di semplificare, vediamo ora le varie dimensioni della cultura: a) Culturologica: riguarda aspetti empiricamente osservabili della vita di una nazione, basata su una concezione di cultura in quanto condivisione di conoscenze, di valori, di saperi; b) Antropologica: è più generale e comprende anche gli aspetti descritti in a. Nella sua componente formale, ovvero concreta e descrivibile, questa concezione di cultura riguarda gli usi, i costumi, i valori e le credenze di una data comunità; c) Informale: comprende aspetti invisibili e difficilmente classificabili. Tali aspetti riguardano il modo di pensare, di comportarsi e di esprimersi di un dato gruppo etnolinguistico (Garzone 2002). Garzone sostiene che, ai fini traduttivi, i primi due aspetti della cultura risultano particolarmente interessanti, ma al tempo stesso problematici, sia in fase ricettiva sia nella prospettiva della cultura ricevente. Per quanto riguarda il primo aspetto, quello culturologico, il problema consiste non solo nel riconoscere e valutare il valore e la funzione di un dato “culturema” presente nel testo di partenza, ma soprattutto di trovare modalità adeguate per realizzarne la trasposizione all’interno di una data cultura. Per quanto riguarda il secondo aspetto della cultura, quello formale, si tratta di un tipo di conoscenza che è possibile maturare attraverso l’osservazione e lo studio e di 9 conseguenza deve essere oggetto di attenzione e di apprendimento all’interno di un programma di formazione per mediatori linguistici. Infine la componente informale, ovvero il terzo aspetto, è più difficilmente insegnabile e viene acquisita attraverso l’esposizione e l’esperienza individuale (Garzone 2002). 1.2 QUANDO È NATA LA FIGURA DELL’INTERPRETE? La documentazione storica sulle prime forme di interpretazione è molto scarsa, ma è certo che tale attività si è svolta per lungo tempo in contesti dialogici, in cui l’interprete traduceva “da” e “verso” la lingua straniera con un ritmo cadenzato. L’interpretazione “faccia a faccia” e “frase per frase” è dunque previa all’interpretazione di conferenza. Merlini, nel suo studio, risale all’etimologia del termine “inter” “tra” e “pretium” “prezzo” che ci rimanda specificamente all’ambito commerciale e suggerisce l’idea che l’interpretazione serviva a raggiungere, attraverso l’intermediazione, un accordo sul valore di scambio delle merci oggetto della transazione. In ambito bellico, invece, gli interpreti venivano impiegati sia per negoziare con il nemico durante le guerre, sia per amministrare i territori sottomessi (Merlini 2005: 20-21). Infine, in epoca coloniale, la figura dell’interprete ha svolto un ruolo di primo piano nella disseminazione delle fedi religiose. Gli interpreti erano senza volto e senza un nome, di bassa estrazione sociale, sprovvisti di formazione. La condizione degli interpreti, pertanto, ha originato per lungo tempo un generale disinteresse da parte degli studiosi nei loro confronti. In tempi più recenti, precisamente nel XIX secolo, come ci ricorda l’autrice, la figura dell’interprete emerge in due ambiti: diplomatico (da cui ebbero origine le moderne tecniche dell’interpretazione di conferenza) e industriale. Per quanto riguarda il primo ambito, con il declino del latino furono sempre più i sovrani ad affidarsi ai servizi di “segretari-interpreti”, i quali erano uomini colti e di ceto elevato. Per lungo tempo il francese fu la lingua ufficiale della diplomazia e fu solo nella seconda metà dell’Ottocento che, grazie alla rinascita delle identità nazionali e delle teorie romantiche che esaltavano gli idiomi, i rappresentanti diplomatici tornarono ad utilizzare la loro madrelingua, ricorrendo all’ausilio degli interpreti durante incontri e negoziati. Al 10 tempo stesso, la Rivoluzione Industriale aveva favorito i contatti tra esperti di diversi paesi, i quali ricorrevano all’interprete per necessità (Merlini 2005: 21-22). L’interpretazione di conferenza nacque ufficialmente nel 1919 in occasione dei negoziati di pace di Parigi, durante i quali venne impiegata la tecnica della traduzione “consecutiva”, al fine di rendere i resoconti dei discorsi il più dettagliati possibile. Col tempo, però, questa tecnica venne considerata eccessivamente lenta e fu così sostituita dalla traduzione simultanea, che si affermò in particolare dopo la Seconda Guerra Mondiale con il Processo di Norimberga (1945-1946), fino a divenire la modalità d’interpretazione per antonomasia delle grandi organizzazioni internazionali (Merlini 2005: 21-22). Come sostiene Gaiba, il processo di Norimberga fu un processo “interpretato”, il primo e più grande evento internazionale in cui si ricorreva all’interpretazione simultanea. Questa tecnica di interpretazione catturò presto l’attenzione dei media, ma l’importanza e l’impatto che essa ebbe non ricevette un’adeguata comprensione da parte degli storici, dei giornalisti e dei biografi. I documenti storici sul processo di Norimberga, infatti, fanno menzione dell’interpretazione simultanea, ma la considerano semplicemente come una tecnica tra i vari strumenti tecnici di cui ci si avvalse per lo svolgimento del processo (Gaiba 1999: 1-2). Come ci ricorda l’autrice, la decisione di condurre il processo in quattro lingue (tedesco, francese, russo e inglese) generò stupore e inquietudine tra i partecipanti, i quali si sarebbero trovati a comunicare in lingue diverse dalla loro madrelingua. La necessità di ricorrere alla traduzione era ovvia e per tale ragione, gli organizzatori del processo, nell’incontro preliminare esplorarono i vari metodi di interpretazione esistenti, ma non ne furono soddisfatti. La scelta così ricadde sull’interpretazione simultanea, nonostante non tutti i membri del processo fossero d’accordo. Si passò così alla fase della selezione e del reclutamento degli interpreti. La Francia, la Gran Bretagna e l’Unione Sovietica incontrarono non poche difficoltà in questa fase, a causa delle condizioni in cui versavano dopo la guerra. Gli Stati Uniti adottarono invece un metodo di selezione originale: le persone che prestavano il loro servizio come interpreti/traduttori presso il Pentagono a Washington D.C. furono sottoposti ad un test. I candidati che superavano il test venivano mandati a Norimberga, dove le loro abilità venivano testate in contesti ricreati artificialmente. Alcuni erano interpreti di 11 consecutiva professionisti, mentre altri non avevano alle spalle alcuna esperienza di interpretazione/traduzione. Solo pochi fra di essi erano interpreti di simultanea. Molti interpreti di consecutiva e traduttori furono scelti per l’incontro preliminare, mentre coloro che non possedevano le competenze necessarie furono relegati in un’area denominata “Siberia”, in cui erano costretti a compiere lavori umili prima di essere rispediti a casa. Altri interpreti furono scelti dalla delegazione degli Stai Uniti in Europa, in particolare in Belgio e Olanda, a Parigi e presso l’Università di Ginevra (Gaiba 1999: 2-4). 1.3 LE CONDIZIONI LAVORATIVE DELL’ INTERPRETE Le condizioni lavorative di un interprete, detto in maniera molto semplicistica e generica, sono determinate da: a) un preciso luogo fisico, che include spazio e tempo; b) da fattori legati al compito da svolgere quali preparazione, carico di lavoro, abilità cognitive e c) da fattori interpersonali (Pöcchacker 2004: 171). Molti di questi fattori sono stati analizzati in varie ricerche, soprattutto in relazione agli interpreti di conferenza. Il più rilevante studio compiuto in tal senso è il Workload Study, commissionato dall’AIIC (Association Internationale des Interprètes de Conférence) nel 2002 per misurare fattori fisici come qualità, temperatura e umidità delle cabine degli interpreti nel corso della giornata di lavoro e per poter porre eventuali rimedi. Risultò infatti che i livelli di CO2 non rispettavano i parametri ISO e pertanto era necessario intervenire tempestivamente. Come sostiene Pöcchacker, il Workload Study che analizzava parametri fisici, fisiologici e psicologici del lavoro degli interpreti di conferenza, era pensato soprattutto per misurare il livello di stress degli interpreti e i possibili effetti negativi che questo potesse avere sulle performances. Gli ideatori del Workload Study esaminarono attraverso dei test seicento interpreti freelance membri dell’AIIC e le loro risposte mostrarono un alto grado di stress fisico e mentale, esaurimento, inadeguatezza delle cabine di lavoro, difficoltà dei testi da tradurre e preparazione insufficiente. Il 40-60% degli intervistati affermava che lo stress da lavoro incideva molto sulla qualità del servizio prestato, ma tale dato non fu confermato dai risultati ottenuti dall’esame di 12 alcuni campioni che testavano le performances degli interpreti in termini di correttezza linguistica, scelta delle equivalenze semantiche più adeguate, dizione. Tuttavia, bisogna precisare che è scientificamente provato che lo stress causato da lunghi turni di interpretazione simultanea ha delle evidenti conseguenze sulla performance di un interprete (Pöcchacker 2004: 171-172). Pöcchacker riporta che i tipi e i livelli di stress avvertiti dagli interpreti sul lavoro dipendono da fattori situazionali e personali. Sebbene il Workload Study analizzasse le condizioni degli interpreti di conferenza, fu sottoposto anche agli interpreti di videoconferenza, il 61% dei quali affermò di avere la stessa esperienza sul lavoro. Le stesse considerazioni valgono per gli interpreti della lingua dei segni, i quali sostennero di avere alti livelli di stress da lavoro. Infine, non sono da sottovalutare i rischi per la salute connessi al posto di lavoro per gli interpreti di comunità, che includono le infezioni (in ambito medico) e le minacce all’incolumità personale (in ambito legale) (Pöcchacker 2004: 172-173). Per quanto riguarda il prestigio della professione di interprete di conferenza, da varie ricerche, compreso il Workload Study, è emerso che esso è scemato nel corso degli anni, nonostante ciò non incida in maniera decisiva sull’alto grado di soddisfazione lavorativa degli interpreti. In relazione allo status dei singoli interpreti, vi sono alcuni dibattiti su questioni importanti quali l’accesso alla professione, la posizione lavorativa, le opportunità di lavoro, la parità tra i due sessi, di cui pochi dati emergono al di fuori delle associazioni professionali. Tale mancanza di dati all’interno delle associazioni è particolarmente evidente nel caso della interpretazione di comunità, che in molti paesi non è riconosciuta ed ha un basso livello di organizzazione. Una questione ancora più urgente, secondo Pöcchacker riguarda l’identità culturale. Storicamente sappiamo che si diventava automaticamente interpreti attraverso l’esperienza in varie comunità culturali e ciò valeva anche per i pionieri dell’interpretazione di conferenza agli inizi del XX secolo. Le conseguenze dell’istituzionalizzazione sono note e apprezzate per gli interpreti di conferenza e sono altrettanto desiderabili per gli interpreti di comunità. Tuttavia, il fatto che l’accesso alla professione sia regolato per via accademica piuttosto che attraverso la ”immersione culturale” e l’interazione faccia a faccia, può risultare problematica ad esempio per gli 13 interpreti della lingua dei segni, i quali sono visti dai sordi come membri della maggioranza nella società, responsabile della loro marginalizzazione, mentre nel caso degli interpreti di comunità, l’appartenere alla stessa minoranza etnica del proprio utente potrebbe aumentare il grado di considerazione nei loro confronti da parte della società (Pöcchacker 2004: 173-174). Un ulteriore fattore da tenere presente, secondo Pöcchacker è la sempre più crescente presenza delle donne tra gli interpreti. La spiegazione più plausibile secondo l’autore è da ricondurre alla loro maggiore predisposizione verso le lingue e la comunicazione. L’elevata percentuale di donne che per la prima volta superò gli uomini all’interno dell’AIIC nel 1967 è legata probabilmente al declino del prestigio nei confronti di una professione che veniva vista più come un servizio che come una vera e propria professione. Questa considerazione è particolarmente valida per gli interpreti di comunità e per gli interpreti della lingua dei segni, ove le scarse retribuzioni costituiscono un disincentivo per intraprendere la professione (Pöcchacker 2004: 174). 1.4 DALL’INTERPRETAZIONE DI CONFERENZA ALL’INTEPRETAZIONE DI COMUNITÀ I profondi mutamenti economici, sociali e politici collegati alla globalizzazione e alla maggiore mobilità delle persone, portano con sé sempre più intensi contatti interetnici e interculturali. Tali situazioni di contatto tra comunità linguistiche e culturali diverse hanno riportato al centro dell’attenzione l’atto di mediazione linguistica orale denominato anche “interpretazione dialogica”, che prevede la partecipazione diretta dell’interprete all’interazione comunicativa e “l’interpretazione di comunità”, che comprende diverse tipologie di servizi linguistici di tipo intrasociale in ambito medico, giudiziario, istituzionale. Queste due modalità di interpretazione vedono l’interprete come “attore” protagonista all’interno del complesso situazionale e culturale degli eventi nei quali opera (Garzone 2009: 97).1 Come sostiene Garzone, gli ultimi anni hanno visto la moltiplicazione e la diversificazione dei profili professionali nell’ambito dell’assistenza interlinguistica. 1 “L’interprete e il mediatore”. Giuliana Garzone. Atti di Convegno Ceslic; “LA GEOGRAFIA DELLA MEDIAZIONE LINGUISTICO-CULTURALE” a cura di Donna R. Miller e Ana Pano. Bologna: 2009. 14 Alla figura dell’interprete di conferenza, si sono affiancate nel tempo, le figure dell’interprete di trattativa e dell’interprete di comunità in tutte le sue varie sfumature: interprete giuridico, interprete di tribunale, interprete in campo medico, ecc. Vi è poi la figura del mediatore linguistico-culturale, figura ibrida che sul piano internazionale ingloba in un’unica denominazione la formazione alla traduzione, all’interpretazione dialogica (dall’interpretazione di trattativa in vari ambiti: aziendale, politico, diplomatico, istituzionale), all’interpretazione in campo sociale (community interpreting) e giudiziario e a volte anche all’interpretazione di conferenza nella modalità consecutiva. Questa diversificazione ha avuto un notevole impatto sugli Interpreting Studies, affiliata ai Translation Studies, che indaga a livello sia teorico che applicativo sull’interpretazione come attività umana in tutti i suoi aspetti. In questo settore, come già detto, fino ad una ventina di anni fa, le uniche attività considerate degne di rispetto nell’ambito della professione e di attenzione a livello di ricerca erano la simultanea e la consecutiva, le due modalità canoniche dell’interpretazione di conferenza. La svolta, come ci ricorda l’autrice, avvenne nei primi anni Ottanta del Novecento, allorquando si è verificata una crescita dell’importanza e dell’interesse verso altre forme di interpretazione al di fuori del contesto di conferenza (Garzone 2009: 98-100). Il ruolo dell’interprete cambia radicalmente allorché si comprende la natura dialogica di un testo, ovvero quando il discorso consiste in una “comunicazione mediata dall’interprete in una spontanea interazione faccia a faccia”(Garzone 2003: 11-12)2. Questa situazione si verifica in molti ambiti distinti dalla conferenza, quali il settore commerciale, nei servizi per l’immigrazione, nelle stazioni di polizia, negli ospedali. In tutti questi ambiti l’interprete è fisicamente presente ed ha un ruolo attivo nello scambio comunicativo. Così può contare su una serie di elementi di natura paralinguistica, cinesica e prossemica, quali gesti, espressioni facciali, espressioni corporali. Si tratta di elementi della comunicazione interpersonale assenti nell’ambito della conferenza. L’autrice ribadisce che, sebbene l’interpretazione dialogica non sia stata considerata in ambito istituzionale e di ricerca, è stata sempre praticata informalmente come componente necessaria della comunicazione ordinaria, all’interno di società bilingue o 2 Citazione di Mason 1999: 147. 15 multilingue. I cambiamenti intervenuti nella società, infatti, hanno posto in contatto individui di lingue e culture differenti. Come naturale conseguenza di ciò, si è avvertita l’esigenza di una più sistematica mediazione linguistica e culturale. Tuttavia, nota Garzone, nonostante il bisogno crescente di avere professionisti specializzati, gli sforzi compiuti nel campo della formazione sono stati ostacolati da una serie di problemi. Infatti, se la formazione degli interpreti di liaison per le lingue maggiormente diffuse e parlate è contemplata in numerosi programmi educativi a vari livelli, tale formazione è d‘altro canto ostacolata dalla necessità di offrire corsi per le lingue meno diffuse e minoritarie, per andare incontro alle esigenze dei vari gruppi etnici presenti (Garzone 2003: 12-14). Garzone ci ricorda che uno dei primi contributi importanti all’interpretazione dialogica suggeriva di distinguerne due tipi: 1) community-oriented interpreting e 2) business oriented interpreting. Maggior attenzione è stata però dedicata ad un’altra etichetta, quella di community interpreting o Public Sevice Interpreting (PSI) che comprende: everyday and emergency situations which refugees, other immigrants, and migrant labourers may encounter in their communication with bureaucrats, officials, police, employment counselors, school, public assistance and health care personnel of all kinds (Garzone 2003: 15)3. Tale etichetta generica comprende al suo interno distinzioni più sottili, che ricorrono spesso nel caso dell’ interpretazione per servizi offerti in settori specifici, ad esempio in campo medico si parla di “interpretazione medica” e nell’amministrazione della giustizia di “interpretazione legale” e “interpretazione di tribunale”(Garzone 2003: 15-16). La figura dell’interprete per i servizi pubblici è emersa chiaramente in Europa, Australia, Canada, Gran Bretagna e Stati Uniti come professione indipendente a partire dagli anni Sessanta del secolo scorso e come disciplina accademica indipendente più tardi (Rudvin 2003a: 124). Gli interpreti per ragioni pratico-logistiche e soprattutto finanziarie lavorano spesso in vari settori e diventa così molto complicato distinguere tra interpreti in ambito legale, sociale, commerciale, socio-sanitario, per i servizi pubblici, ecc. Inoltre fino a poco tempo fa, gli interpreti reclutati non erano 3 Citazione di Schweda Nicholson N., 1994:80. 16 professionisti, bensì persone di fiducia o occasionali (familiari, compresi bambini, volontari, amici, personale delle pulizie, e quant’altro). Alcune istituzioni quali ambasciate e agenzie private organizzano dei corsi di formazione, mentre le istituzioni pubbliche continuano a ricorrere ad interpreti freelance non qualificati, sulla base del principio che conoscere la lingua è condizione sufficiente per poter svolgere tale attività. L‘autrice puntualizza che lo scarso riconoscimento di questa figura e le retribuzioni molto basse non favoriscono la qualità del servizio prestato. Una retribuzione inadeguata, infatti, produce un servizio scadente per ovvi motivi: non è possibile reclutare dei veri professionisti se non vengono remunerati adeguatamente e, d’altro canto, gli interpreti sono poco motivati se vengono pagati poco. Infine Rudvin ribadisce che l’interpretazione per la comunità ha una forte connotazione di “servizio sociale” e “assistenza”; infatti gli interpreti formati principalmente nella comunità per i servizi sociali e le istituzioni che si occupano di immigrazione, ritengono di svolgere un ruolo più attivo, sono maggiormente coinvolti nella situazione, si definiscono degli “helpers” e “carers” rispetto agli interpreti che hanno una formazione esclusivamente linguistica (Rudvin 2003a: 125-127). 1.4.1 EVOLUZIONE DELL’INTERPRETE DI COMUNITÀ L’interpretazione di comunità diventa centrale negli Interpreting Studies a partire dal 1990. La prima conferenza internazionale sull’interprete di comunità si svolse a Geneva Park vicino a Toronto, in Canada, nel 1995. Inoltre è significativo il fatto che Interpreting, il giornale internazionale della disciplina, cita l’interpretazione di comunità nella descrizione dei suoi scopi e pubblicò a tal proposito un saggio molto importante sull’interprete di comunità quale figura emergente. Come ricorda Pöchhacker, il termine “community interpreting” venne usato per la prima volta in Australia nel 1970 accanto ad espressioni quali “ethnic interpreting” e “community health”. In Europa, invece, il termine si affermò in Gran Bretagna nel 1980 dove è stato poi sostituito da “public service interpreting” (Pöchhacker 1999: 125-126). Ecco la definizione personale dell’autore in merito all’interprete di comunità: 17 In contrast to interpreting for International contacts in conference-like situations or negotiations between interacting parties of (more or less) equal standing, community interpreting facilitates communication within a social entity (society) that includes culturally different sub-groups. Hence, the qualifier community refers to both the (mainstream) society as such and its constituents sub-community (ethnic or indigenous community, linguistic minority, etc.), which may be one reason why the expression is difficult to render into other languages (Pöchhacker 1999: 127). Una questione urgente riguarda lo status professionale dell’interprete di comunità. L’autore cita González et al. (1991: 29) in “Foundamentals of Court Interpreting” i quali sostengono che “Community interpreting refers to any interpretation provided by non-professional interpreters”. Questa sottile distinzione tra interpreti professionisti da un lato ed interpreti dilettanti dall’altro può essere ricondotta all’analogia semantica che propone Bowen (1998: 319) con “servizio di comunità” (volontario) e “lavoro di comunità (non pagato)”. Tra i vari criteri che possono essere usati per definire un’attività professionale, i più importanti sono: 1) il principio dell’onorario per il servizio prestato e 2) l’esistenza di alcuni standards che regolano lo svolgimento dell’attività. Ma, quali sono gli standards e quali compensi spettano ad un interprete di comunità che si può definire “professionista”? (Pöchhacker 1999: 128). L’interpretazione di comunità risale all’antichità, a quando per esempio gli interpreti venivano impiegati per gli ebrei che parlavano l’aramaico dopo l’esilio dalla Babilonia o nelle province del vasto Impero Romano o, più recentemente, nelle colonie al tempo delle grande dominazioni degli europei. Tuttavia, l’interpretazione di comunità è più comunemente associata all’accesso ai servizi pubblici nel welfare state del XX secolo. Uno dei gruppi a cui si è prestata maggiore attenzione a partire dagli anni Sessanta del Novecento nel garantire tale accesso è rappresentato dai sordi, in modo particolare nell’ambito degli sforzi compiuti dagli Stati Uniti, che hanno promosso la riabilitazione delle persone affette da disturbi dell’udito per la loro reintegrazione nel lavoro. Altri tentativi sono stati compiuti in altri Paesi quali Svezia, Regno Unito, Germania, Svizzera (Ginevra), Austria (Graz). Il Paese per eccellenza in cui si è affermato l’interprete di comunità è senza dubbio l’Australia, a seguito della massiccia immigrazione di persone di madrelingua 18 diversa dall’inglese dopo la Seconda Guerra Mondiale. Il cambiamento della politica governativa verso il multilinguismo e il multiculturalismo si ebbe nel 1970. Nel 1973, il Dipartimento per l’Immigrazione creò un’iniziativa, il Telephone Service Interpreter e una serie di iniziative seguirono nei decenni successivi. L’Australia è inoltre la pioniera nell’aver creato degli standards nazionali e un sistema di accreditamento per gli interpreti, il NAATI (National Accreditation Authority for Translators and Interpreters) nel 1977. Il sistema di accreditamento australiano è unico, poiché comprende tutte le modalità di interpretazione e traduzione ed include sia la lingua scritta che parlata, mentre in altri Paesi i sistemi di accreditamento si concentrano solo su alcune modalità interpretative e su alcuni tipi di linguaggio (Pöchhacker 1999: 129-132). Vediamo nel dettaglio come è strutturato il NAATI. Esso è l'unica autorità riconosciuta ufficialmente per l'accreditamento di interpreti e traduttori e riconosce quattro livelli di capacità in ogni disciplina: • Paraprofessional Translator/Paraprofessional Interpreter (notocome livello 2); • Professional Translator/ Interpreter Professional (noto come livello 3); • • Advanced Translator/ Interprete di conferenza (noto come livello 4); Advanced Translator (Senior)/ Interprete di conferenza (Senior) (noto come livello 5). Vi è poi un ulteriore categoria “Language Aide”, che non è considerata una categoria di interpreti o traduttori, ma come riconoscimento che viene concesso alle lingue che NAATI attualmente non testa. Tale riconoscimento non si basa sul livello di competenza (http://www.naati.com.au/ accesso 04/10/2009). Per quanto riguarda la formazione, vi è stato un tentativo fallimentare negli anni Ottanta da parte del NAATI di organizzare corsi per interpreti paraprofessionisti e professionisti. A metà degli anni Novanta, vi erano due corsi a livello professionale, uno presso la University of Western Sydney e l’altro presso la Deakin University, che però ha presto chiuso i battenti (Pöchhacker 1999: 132-133). Attualmente, l’importanza di questa professione è stata riconosciuta dalla FIT (Fédération Internationale des Traducteurs) che ha organizzato un Congresso Mondiale in Australia nel 1996 e nel 1999 e ove ha eletto Adolfo Gentile presidente, per i suoi notevoli contributi allo studio dell’interpretazione di comunità. La definizione di interpretazione di comunità che dà la FIT è: 19 CBI encompasses any interpreting which takes place in everyday or emergency situations in the community. Possible settings include health, education, social services, legal and business.4 L’AIIC, dal suo canto, si è interessata in particolare al ruolo dell’interprete di tribunale e ha tentato di estendere i suoi standards professionali all’ambito legale. Infine, ricordiamo la serie di conferenze The Critical Link iniziata in Canada (Toronto 1995, Vancouver 1998, Montreal 2001) che hanno promosso la ricerca e la cooperazione nel campo dell’interpretazione di comunità su scala internazionale (Pöchhacker 1999: 137). 1.4.2 INDAGINE SULL’INTERPRETE DI COMUNITÀ: LA PROSPETTIVA DELL’INTERPRETE È parso opportuno a chi scrive dedicare un paragrafo esclusivamente agli interpreti di comunità (CBI), ed in particolare ad un’interessante indagine a cui furono sottoposti nel biennio 1998-1999 dalla FIT australiana, il cui obiettivo era far luce sulla natura dell’interpretazione di comunità e sulla prospettiva dell’interprete. Gli interpreti che vi hanno partecipato appartenevano a varie associazioni sparse per il mondo. Ad essi venne chiesto di fornire dettagli sul loro lavoro, le lingue utilizzate, l’esperienza professionale, la formazione e di esprimere la loro opinione in merito alle condizioni lavorative, ruolo e status. Dovevano inoltre specificare le qualità e le abilità necessarie ad un interprete di comunità e i principi guida del loro lavoro. L’indagine è di tipo qualitativo. Le domande a riposta multipla erano considerate troppo restrittive, così molte domande erano aperte per dare l’opportunità agli intervistati di esprimere le loro opinioni. Il campione finale era composto da 92 interpreti provenienti da 7 diversi paesi ed impegnati maggiormente nel settore pubblico (Chesher et al. 2001: 273-274). 1.4.3 L’INDAGINE Come riferiscono gli autori, gli scopi dell’indagine erano: 4 Citazione di Chesher et al. 2001: 276. 20 • Esaminare le caratteristiche della CBI e il profilo dell’interprete; • Discutere le opinioni degli interpreti sul loro lavoro nella CBI; • Far luce sulle esperienze professionali vissute dagli interpreti; • Chiedere agli interpreti di dare una definizione della loro professione. Il questionario includeva domande sulle percezioni che i CBI hanno del loro ruolo e in quale misura potevano essere stabiliti dei parametri universali atti a definire questa modalità particolare di interpretazione. Esso era suddiviso in 9 sezioni: A. Please give a few details about yourself B. Context or settings-range of situations where CBI takes place5: C. Bookings and payments D. Standards and training E. Qualities and skills F. Your role and expectation of clients G. Mode of interpreting H. Working conditions, status I. Finally, could you give some thought as to how we can define the kind of interpreting work you do in the community? (Chesher et al. 2001: 276-280). Per quanto riguarda la sezione A, i Paesi di provenienza degli intervistati erano in ordine: 1) Australia; 2) Canada; 3) USA; 4) Regno Unito; 5) Nuova Zelanda; 6) Sud Africa; 7) Belgio. Per quanto riguarda la sezione B, alcuni risposero di lavorare nel settore pubblico (68%), altri specificarono l’ambito, per esempio medico (92%), educativo (48%), uffici di immigrazione o per rifugiati politici (35%) e altri (39%). La maggior parte lavorava in più settori. La tipologia di utenti includeva: medici e altri professionisti sanitari, pazienti, insegnanti, genitori, operatori del settore dell’immigrazione, centri per l’impiego, settori privati quali banche, chiese, associazioni. Per quanto riguarda la sezione C, il 72% degli intervistati dichiarò che veniva sempre retribuito in qualità di CBI per il servizio prestato, il 17% che veniva abitualmente retribuito e il 4% che solo qualche volta riceveva il compenso. Alcuni poi 5 L’indagine non comprendeva l’interpretazione di tribunale o in ambiti legali. 21 svolgevano il servizio come volontari, soprattutto in chiesa. In relazione alla modalità di interpretazione, la maggior parte optò per la consecutiva (24%), il 10% scelse la simultanea e il 37% entrambe, indicando un alto grado di flessibilità. Vi era poi un generale consenso sul fatto che i compensi dei CBI sono più bassi rispetto ad altre professioni. Per quanto riguarda la sezione D, solo nel 54% dei casi gli intervistati sostenevano la necessità di una qualifica professionale. Le componenti più importanti nella preparazione e formazione di un CBI secondo gli intervistati erano: 1) la predisposizione linguistica; 2) lo sviluppo delle capacità individuali; 3) competenza ed etica; 4) qualità interpersonali; terminologia, informazioni sugli aspetti culturali e i settori lavorativi. Per quanto riguarda la sezione E, agli intervistati fu chiesto di esprimere un giudizio sulle più importanti qualità per essere considerato un ottimo CBI e di descrivere qualsiasi abilità particolare necessaria nella professione. Si osservano i seguenti risultati: Qualità personali Consapevolezza dell’etica % Abilità particolari % 39% Abilità interpretative 25% 35% Comprensione delle differenze professionale Qualità interpersonali culturali 20% 20% Empatia/ compassione 15% Abilità linguistiche Onestà 9% Conoscenza dei settori e della terminologia specialistica 18% Distacco 8% Flessibilità 7% Professionalità 18% Autoconsapevolezza 5% Risposte nulle 10% Altro 22% Per quanto riguarda la sezione F, in relazione ai principi guida di un CBI, i più importanti erano: la riservatezza; l’imparzialità; la precisione e la condotta professionale. L’etica era menzionata solo dal 13% degli interpreti. 22 Per quanto riguarda la sezione H, si chiedeva agli interpreti di dare delle definizioni di CBI. La maggior parte delle risposte mostravano che gli intervistati erano divisi su due versanti: il 46% considerava la CBI una forma distinta di interpretazione, mentre il 28% no. Il 26% non rispose o diede una risposta non valida. A conclusione di questa indagine, occorre precisare che i paesi in cui gli intervistati lavoravano corrispondono a quei paesi in cui, come dicono Gentile et al., (1996:11) “public provisions for interpreters is made across a range of institutional settings” (Chesher et al. 2001: 276-288). 1.5 CARATTERISTICHE PERSONALI E ABILITÀ DI UN BUON INTERPRETE Interpreti e psicologi sostengono che coloro che intendono intraprendere la professione devono possedere alcuni requisiti psicologici. Pöcchacker cita in particolare Sanz (1931), il quale include abilità cognitive (intelligenza, intuito, memoria), qualità morali e affettive (sensibilità, discrezione, ecc.) (Pöcchacker 2004: 166). L’originale Codice Etico del RID (Registry of Interpreters for the Deaf) adottato nel 1965 richiedeva agli interpreti di essere “of high moral character, honest, conscientious, trustworthy, and of emotional maturity”6 e simili requisiti sono presenti nelle clausole per gli interpreti di tribunale. La lista dei requisiti necessari messi a punto da van Hoff (1952: 59ff) per gli interpreti di conferenza e per gli interpreti di tribunale e di liaison includono qualità fisiche come nervi saldi e capacità di resistenza, qualità intellettuali, in particolare abilità linguistiche, conoscenze di cultura generale e infine abilità mentali quali memoria, capacità critica, concentrazione e attenzione. In riferimento all’interpretazione di comunità, Keiser (1978: 17) enfatizza l’importanza della conoscenza della cultura generale e delle caratteristiche personali quali intuito, capacità di adattamento, concentrazione, memoria. Per l’interprete di liaison, Gentile et al. (1996: 65ff) ribadiscono l’importanza delle abilità linguistiche, conoscenze di cultura generale, tecniche d’interpretazione, memoria ed infine l’etica professionale, quale componente principale della competenza di un interprete. 6 Citazione di Cokely 2000:35. 23 Il punto di partenza cruciale per lo sviluppo della competenza interpretativa, sostiene Pöcchacker è dato dalla competenza bilingue che, d’accordo con le teorie della traduzione, rappresenta un’abilità necessaria alla stessa (Pöcchacker 2004: 167). Il modo in cui questa abilità di base assieme alle altre dà luogo ad un’ottima performance è stato oggetto di studio di una particolare area della psicologia cognitiva, che ha avuto origine dall’elaborazione delle informazioni e dagli studi di intelligenza artificiale a partire dal 1970. Gli esperti si basarono su rappresentazioni integrate di conoscenza ed elaborarono dei modelli mentali utilizzando tecniche di ragionamento complesse per le attività di calcolo e per misurare la percezione. In una fase antecedente erano stati utilizzati numerosi altri approcci metodologici, tra cui interviste strutturate, attività di analisi e l’analisi contrastiva delle performances che erano risultate efficaci. Infine, oltre all’elaborazione cognitiva e alle attività di performance, sostiene Pöcchacker, l’attività di interpretariato include anche le abilità interazionali (per esempio nei briefings o nelle negoziazioni delle condizioni di lavoro) e le strategie per l’acquisizione delle competenze, con o senza l’ausilio delle moderne tecnologie (Pöcchacker 2004: 168). 1.6 CODICI DEONTOLOGICI, STANDARDS DI QUALITÀ E CERTIFICAZIONE: GLI INTERPRETI DI CONFERENZA Molto spesso i professionisti, qualunque sia la loro professione, si ritrovano di fronte ad un dilemma cruciale: professionalità ed etica sono la stessa cosa o è possibile definire la professionalità usando i parametri dell’etica? (Rudvin 2007: 47-69). L’autrice sostiene che: The sense of public duty, a declaration of responsibility, is a core issue in definitions of professionalism. Indeed, the distinction between general ethical behavior and professionalism is not always clear. Professionalism could be defined as gaining and maintaining credibility as an occupational group towards the public and those served (the general public, patients or customers, business clients) whilst ethics would be more closely related to how the professional group connects with and is bound by the wider community and its current moral values, obviously dictated by socio-political and cultural paradigms. 24 E’ possibile rintracciare i primi standards scritti di norme di buona condotta per gli interpreti tra il XVI e il XVII secolo, precisamente si tratta delle quattordici leggi emanate dalla Corona Spagnola tra il 1529 e il 1630 per regolamentare la condotta degli interpreti nelle interazioni tra i funzionari delle colonie e le popolazioni indigene (Pöchhacker 2004: 164). In contrapposizione a queste norme emanate dalle autorità, sostiene Pöchhacker, gli interpreti di conferenza internazionali quattrocento anni dopo hanno deciso di autoregolarsi adottando il Codice di Etica Professionale AIIC nel 1957. Nel cuore di tale codice, vi è il “Codice Deontologico” che contiene cinque articoli, il più importante dei quali concerne il segreto professionale. I rimanenti articoli riguardano le “Condizioni di Lavoro”, che rimandano agli “Standards Professionali” formulati da AIIC per regolare l’esercizio della professione. Nella letteratura sull’interpretazione di conferenza la questione etica ha ricevuto poca attenzione fino al 1990. Una conquista importante nella professionalizzazione degli interpreti di conferenza, come ci ricorda l’autore, fu l’adozione nel 1965 del Codice Etico del RID. Nonostante i membri del RID fossero poco interessati nel promuovere la loro professione, il loro Codice Etico rivisto e aggiornato negli anni ‘70, contribuì a definire il profilo professionale degli interpreti della lingua dei segni nel Nord America. Seguendo l’esempio del Codice Etico del RID, sono stati compiuti molti sforzi in ambito legale e medico, per codificare la professione degli interpreti di comunità (Pöchhacker 2004: 164-165). 1.6.1 ELEMENTI COMUNI AI VARI CODICI DEONTOLOGICI: ALCUNI ESEMPI Occorre innanzitutto precisare che, nonostante molte organizzazioni e associazioni professionali si siano dotate nel tempo di codici deontologici, la maggior parte di essi, sfortunatamente, non include esempi concreti di situazioni particolarmente difficili nelle quali spesso si trovano a lavorare gli interpreti e di comunità e di tribunale. Si osserva che i codici sono piuttosto generici nella maggior parte dei casi e si sforzano più che 25 altro di fissare dei parametri che riguardano soprattutto due aspetti cruciali della professione di interprete: la riservatezza e l’imparzialità. Oltre ai problemi relativi alla terminologia, alle procedure e ai linguaggi altamente specializzati (soprattutto quello legale e medico), gli interpreti devono fronteggiare costantemente una serie di dilemmi etici. Tali difficoltà possono essere associate ai partecipanti, ovvero al loro ruolo e alle loro personalità e/o possono essere legate alla natura di uno specifico contesto (ad esempio un tribunale o una clinica psichiatrica) (Schweda Nicholson 1994: 79). E’ necessario chiarire i limiti dell’azione dell’interprete e del tipo di contributo che può offrire nell’ambito dell’interazione. Vediamo a tal proposito quali sono gli elementi comuni ad alcuni codici deontologici dentro e fuori dall’Europa (Garzone 2009: 102). Per quanto riguarda l’Italia, nel codice deontologico dell’AITI (Associazione Italiana Traduttori e Interpreti), adottato anche dall’ANITI (Associazione Nazionale Italiana Traduttori e Interpreti), si dedica alla questione solo un breve paragrafo all’interno dell’articolo 6, “Dovere di lealtà e correttezza”: Il traduttore e l’interprete devono svolgere la propria attività professionale con lealtà e correttezza. Al traduttore e all’interprete è assolutamente vietato trarre un utile personale da informazioni di cui vengano a conoscenza nell’esercizio della professione. L’interprete deve svolgere il proprio incarico con obiettività ed equidistanza, e l’interprete di tribunale deve tenere sempre presente il fatto che opera nell’interesse superiore della Giustizia. Il traduttore deve seguire a regola d’arte e personalmente l’incarico affidatogli. In questo codice, le parole dedicate al problema sono esigue e si concretizzano in due sostantivi, “obiettività” ed “equidistanza”. Lo stesso dogma dell’imparzialità è presente nel “Draft Code of Professional Practice” della FIT, di cui l’AITI è membro: 1.3 Impartiality Translators and interpreters shall carry out their work with complete impartiality and not express any personal or political opinions in the course of the work (FIT 2008). 26 Queste stesse nozioni si ritrovano in tutti i “Codes of Ethics” riguardanti le attività di interpretazione rintracciabili sui siti delle associazioni professionali nei diversi paesi occidentali, che in alcuni casi sono generici, mentre in altri casi vertono specificamente sulla “community interpreting” oppure su un singolo settore di esso (Garzone 2009: 102-103). Per esempio, specificamente mirato all’interprete di comunità è il “Code of Ethics for Community Interpreters”, pubblicato dall’associazione finlandese degli interpreti della lingua dei segni, Suomen Viittomakielen Tulkit. Nel testo, costituito da 15 punti e 230 parole, due paragrafi sono dedicati alla questione della neutralità dell’interprete: 11. Interpreters are impartial, remain outsider to the situation, and do not let their personal attitudes or opinions affect their work. 12. Interpreters do not function as assistants or representatives to the persons they interpret for. Al di fuori dell’Europa, come nota Garzone, le norme contenute nei vari codici deontologici non variano di molto. A tal proposito citiamo il “Code of Ethics” della principale associazione professionale del settore in Australia, l’Australian Institute of Interpreters and Translators (AUSIT). In questo caso il codice deontologico, che è approvato ed adottato dalla NAATI, l’ente pubblico australiano preposto all’accreditamento dei traduttori e degli interpreti, è molto più dettagliato e specifico. Contiene tutta una serie di norme ancillari che danno indicazioni sul corretto rapporto con il cliente e le altre parti in causa: 1a.iii (Professional conduct) Interpreters and translators shall be unobtrusive, but firm and dignified, at all times. 1b.iii (Honesty, integrity and dignity) Interpreters and translators shall not exercise power or influence over their clients. 4b.i e 4b.ii (Objectivity) A professional detachment is required for interpreting and translation assignments in all situations. If objectivity is threatened, interpreters and translators shall withdraw from the assignment. Si tratta in questi casi di requisiti di assoluto distacco e imparzialità, tanto da prevedere la rinuncia all’incarico da parte dell’interprete in caso dubbio sulla propria obiettività (Garzone 2009: 102-104). 27 Non cambia neanche la sostanza nei codici specificamente rivolti ad interpreti in uno specifico ambito, come quello giuridico o medico. Per esempio il “Code of Ethics and Professional Responsabilities” della National Association of Judiciary Interpreters and Translators (NAJIT) degli Sati Uniti, tratta queste questioni nel Canon 2: Canon 2. Impartiality and Conflicts of Interest Court interpreters and translators are to remain impartial and neutral in proceedings where they serve, and must maintain the appearance of impartiality and neutrality, avoiding unnecessary contact with the parties. Court interpreters and translators shall abstain from comment on cases in which they serve. Anche in questo caso si pongono dei limiti all’esercizio della professione dell’interprete. Disposizioni simili, adattate però al contesto sanitario, sono contenute nel “National Code of Ethics for Interpreters in Healthcare”, emesso dal National Council on Interpreting in Health Care degli Stati Uniti: The interpreter strives to maintain impartiality and refrains from counseling, advising or projecting personal biases or beliefs. The interpreter maintains the boundaries of the professional role, refraining from personal involvement. In un limitato numero di casi si ammette una qualche eccezione, lasciando un certo margine di libertà all’interprete. Per esempio, nel codice britannico dell’Institute of Translation & Interpreting si concede all’interprete la possibilità di intervenire in caso di probabile fraintendimento e/o malinteso culturale: Members shall interpret impartially between the various parties in the languages for which they are registered with the Institute and, with due regard to the circumstances prevailing at the time, take all reasonable steps to ensure complete and effective communication between the parties, including intervention to prevent misunderstanding and incorrect cultural inference. Qualcosa di simile si riscontra in alcuni codici di associazioni di interpreti specializzati, per esempio nel codice deontologico della IMIA (International Medical Interpreters Association), un ente che ha sede negli Stati Uniti, sorto su iniziativa privata, che si occupa della professionalizzazione dell’interpretazione nel settore 28 sanitario, aspirando ad un’armonizzazione professionale su base internazionale. Anche in questo codice si lascia all’interprete un margine di libertà: Interpreters will engage in patient advocacy and in the intercultural mediation role of explaining cultural or differences/practices to health care providers and patients only when appropriate and necessary for communication purposes, using professional judgment. Interpreters will use skillful unobtrusive interventions so as not to interfere with the flow of communication in a triadic medical setting. Ancora più esplicito è il “Code of Ethics del Kitchener-Waterloo Multicural Centre”, ente locale canadese preposto specificamente all’assistenza degli immigrati, in cui si dice: The interpreters may be aware of the special circumstances surrounding the violent situation in which the woman is being or has been subjected to and how those circumstances are perceived culturally. Where appropriate the interpreter may interject to help professional/worker and client understand cultural differences or sensitivity. […] The interpreter will not counsel, advise or interject personal opinions related to the interpreting assignment, unless: a) She is asked to do so by the client and/or the professional worker b) She feels that it is appropriate or necessary to provide cross cultural information or personal assessment in order to ensure effective communication; and counseling, advice or personal assessment has to be communicated to the professional/worker c) The interpretation contravenes the values and attitudes in the philosophy statements. A parte alcune rare eccezioni, il quadro si presenta abbastanza omogeneo e si può notare che i principi esposti nei vari codici deontologici si possono sintetizzare nel modo seguente: • oggettività • non intrusione • astensione dall’espressione di opinioni personali • richieste o non richieste • non coinvolgimento personale • equidistanza • astensione dalla advocacy (Garzone 2009: 105-107). 29 1.6.2 GLI STANDARDS DI QUALITÀ In merito agli standards di qualità, associazioni quali l’AIIC avvertono la necessità di definire standards di qualità per gli interpreti ed infatti adottano un sistema di scrematura per l’ammissione di un nuovo interprete nell’associazione. Tuttavia non vi è accordo generale su quali siano i principali criteri di qualità da adottare (Messina 2002: 103). Nonostante questa urgenza di standards di qualità, Messina ci ricorda che la traduzione e l’interpretazione sono servizi spesso visti da coloro che ne fanno uso esclusivamente come un fattore di costo. Inoltre, il peso politico del settore linguistico è modesto e lo status delle professioni linguistiche è basso. Per esempio, in Italia e in altri paesi, non esiste un “Registro nazionale di traduttori e interpreti” che richiedono professionisti qualificati e con esperienza sul campo. Una bozza di legge in Italia (Bozza Mirone) fu redatta e proposta da un gruppo di associazioni professionali, quali AIIC, Assointerpreti e AITI assieme ad alcuni membri del Parlamento. Tuttavia, tale legge non è stata ancora messa in atto e ciò significa che è abbastanza difficile per l’utente verificare la qualità del servizio e per i professionisti poterla assicurare. La FIT, alcune associazioni di interpreti e traduttori a livello nazionale e varie agenzie di traduzione chiedono costantemente la garanzia della qualità e meccanismi di controllo della stessa nell’esercizio della professione (Messina 2002: 104-105). In Italia, la necessità di standards di qualità fu accolta nel 1994, attraverso la creazione di una organizzazione che raccoglieva agenzie italiane di traduzione e interpretazione (Federcentri). Questa organizzazione incoraggiò l’UNI, l’ente Nazionale Italiano di Unificazione, a fornire uno standard per le attività di traduzione e interpretazione. Il risultato fu la creazione dello standard UNI 10574. Tuttavia, UNI 10574 tende ad assicurare una qualità “esterna”, ovvero tale standard stabilisce gli elementi base necessari in uno scambio tra cliente e venditore, ma non riguarda le caratteristiche qualitative dell’attività di traduzione/interpretazione. Come osserva Messina, gli sforzi compiuti dall’AIIC e organizzazioni simili sono lodevoli, in quanto esse cercano costantemente di stabilire degli standards di qualità per 30 gli interpreti. I bisogni dell’utente finale rappresentano certamente l’elemento principale su cui i criteri di controllo della qualità dovrebbero essere basati e questa, in effetti, è la via che si sta seguendo nella elaborazione degli standards di qualità. Anche il rivisto standard 9000 per l’anno 2000 sottolineava da un lato l’importanza della soddisfazione dell’utente e del modo in cui questa viene misurata e dall’altro l’importanza di avere un processo di qualità efficiente ed effettivo che vada incontro alle necessità dell’utente (Messina 2002: 105-107). 1.6.3 LA CERTIFICAZIONE Per quanto riguarda la certificazione, Pöcchacker sostiene che, mentre vi sono degli standards precisi in merito a principi fondamentali quali riservatezza, integrità e professionalità, non è ancora chiaro quali siano gli obblighi di un professionista verso la società, gli utenti, i colleghi. Un modo per certificare la conformità con gli standards professionali è l’affiliazione ad una organizzazione che ha adottato un codice deontologico (Pöcchacker 2004: 165). Nel campo dell’interpretazione di conferenza, la ristretta politica delle ammissioni dell’AIIC ha favorito la creazione di un sistema di certificazione ed esiste un elenco dei membri dell’organizzazione che può essere considerato una sorta di “registro” di professionisti qualificati. Nel caso degli interpreti di tribunale, invece, alcune giurisdizioni, ad esempio quella americana, richiedono semplicemente un giuramento da parte dell’interprete. In alcuni paesi, nei settori in cui la formazione professionale è carente o non ben definita, Pöcchacker afferma che si ricorre a procedure di certificazione che includono prove di accertamento delle abilità e delle competenze linguistiche, tale è ad esempio il sistema di certificazione del RID o del NAATI australiano (ibidem). 1.7 L’INTERPRETE PER I SERVIZI PUBBLICI Una delle differenze principali che distingue l’interprete di conferenza dall’interprete per i servizi pubblici (PSI) consiste nella differente modalità di interpretazione utilizzata: mentre il primo impiega la modalità simultanea o consecutiva, il secondo 31 utilizza una particolare forma di modalità consecutiva denominata chuchotage o interpretazione sussurrata, in entrambe le lingue, cioè “da” e “verso” la lingua straniera e la madrelingua (Rudvin 2003a: 142). Come nota l’autrice, molte delle abilità richieste ad un interprete per i servizi pubblici sono comuni a tutti i tipi di interpretazione: presa di appunti, buona memoria, conoscenza della terminologia, fluidità e abilità linguistiche, capacità d’ascolto, concentrazione. Tuttavia, l’interprete di trattativa deve: a) Essere consapevole che gli aspetti culturali possono provocare delle vere e proprie rotture nella comunicazione e pertanto devono essere trattati secondo le norme culturali e comunicative vigenti nelle culture rispettivamente dello “utente”(colui che ha bisogno di un servizio fornito da un’istituzione di cui non conosce per nulla o sufficientemente la lingua) e dell’operatore di servizi (sanitario, giuridico, ecc.); b) L’interprete per i servizi pubblici deve evitare di identificarsi con l’utente o con l’operatore. Una delle difficoltà maggiori per un interprete è capire esattamente qual è il suo ruolo e quali sono i limiti da porre tra la sua professione e il desiderio di aiutare chi è in difficoltà; c) L’interprete per i servizi pubblici deve essere pertanto consapevole del suo ruolo, di quali sono le sue responsabilità e i suoi limiti. Gli stati emotivi, lo stress psicologico, la rabbia, la paura, l’emozione sono aspetti che un buon interprete deve imparare a gestire; d) Un interprete per i servizi pubblici deve essere in grado di comprendere il linguaggio non verbale di ogni singolo individuo (esitazione, imbarazzo, silenzio, ecc.) perché spesso i messaggi non verbali sono fondamentali per la comunicazione; e) Un interprete per i servizi pubblici deve conoscere la terminologia e l’organizzazione del sistema sanitario, legale, amministrativo, ecc. e le differenze che vi sono tra i sistemi nella cultura di partenza e in quella di arrivo (Rudvin 2003a: 142-143). Mentre un interprete di conferenza è ben retribuito e lavora in ambiti di prestigio (scientifico, accademico, politico, ecc.), gli interpreti per i servizi pubblici che lavorano 32 in ambito medico, legale, commerciale, ecc. sono spesso associati agli strati più vulnerabili della società, gli immigrati, i poveri, i criminali, i disagiati. Spesso accade poi che questi interpreti si ritrovino a svolgere compiti non di loro competenza, per esempio registrare i pazienti, contattare le compagnie assicurative o le ambasciate straniere e quant’altro. Infine, un serio problema rimane la mancanza di un’etichetta precisa e valida per questi interpreti, che varia da paese a paese (Rudvin 2003a: 144145). Per quanto riguarda la formazione, Martinsen ci riferisce che, nel contesto europeo, solo la Danimarca e la Svezia hanno creato a livello universitario corsi per l’interpretazione nei servizi pubblici ben articolati, mentre gli altri paesi europei non offrono corsi di formazione per gli interpreti di comunità a livello universitario. In Danimarca, in particolare, un nuovo programma di formazione per gli interpreti per i servizi pubblici è stato creato nel 1996 dalla facoltà di Lingue Moderne dell’Aarhus School of Business (ASB) e dalla Copenaghen Business School (CBS). La ragione principale della mancanza di corsi di formazione universitari potrebbe consistere nello scarso prestigio associato a questa professione. Il prestigio però non può nascere se le istituzioni educative di alto livello non offrono corsi di formazione, né svolgono ricerche sull’interpretazione per i servizi pubblici (Martinsen 2002: 259). Accanto a queste iniziative di ambito nazionale, è necessario secondo Martinsen che le iniziative vengano prese anche a livello internazionale, nella UE, al fine di garantire ai parlanti non nativi di una lingua, gli stessi trattamenti dei parlanti nativi, nelle interazioni con i servizi pubblici. In particolare, a livello europeo sono state adottate strategie per migliorare la qualità dell’interpretazione per i servizi pubblici e per sostenere i singoli paesi. Un esempio molto valido è l’iniziativa presa dalla Commissione Scientifica sulla formazione di Traduttori e Interpreti, all’interno del “Progetto di Rete Tematica nel Settore delle Lingue”, messo a punto dal Consiglio d’Europa. La Commissione Scientifica ha stilato una serie di raccomandazioni per i profili dei corsi sull’interpretazione nei servizi pubblici. Tali raccomandazioni si basano sul principio che ogni singola istituzione educativa, d’accordo con le specifiche esigenze del paese in cui essa opera, ha la possibilità di integrare i contenuti dei corsi previsti dalle raccomandazioni del Consiglio d’Europa, al fine di completare lo specifico profilo di quella particolare istituzione. Un altro esempio interessante è il 33 Progetto AGIS, che mira a stabilire delle equivalenze a livello europeo per i traduttori e gli interpreti di tribunale e che non si focalizza sull’interpretazione per i servizi pubblici, ma su un settore specifico, quello legale (Martinsen 2002: 265-266). 1.8 IL CODICE DEONTOLOGICO DEL PSI Sebbene l’interpretazione per i servizi pubblici sia una disciplina giovane, varie associazioni di interpreti, organizzazioni locali, ospedali, istituzioni giuridiche, hanno adottato un loro codice etico che serve da linea guida per gli interpreti (Rudvin 2003a: 146). Vediamo quali sono i tratti comuni a tutti i codici deontologici: a) legame: il legame si instaura quando un interprete si identifica con il suo utente o vice versa. Tale legame che presenta varie forme dalla simpatia, all’empatia, all’identificazione, è un processo naturale, soprattutto quando l’utente e l’interprete hanno la stessa origine. Se il legame che si instaura è positivo, l’interazione tra le parti sarà agevolata in quanto l’utente si sente a suo agio ed è inoltre un modo per costruire un senso generale di fiducia; b) riservatezza: aspetto fondamentale per gli interpreti di conferenza, di comunità e in ambito legale. E’ assolutamente indispensabile per l’utente esser sicuro che l’interprete non divulghi le informazioni che emergono dall’incontro. Un interprete può iniziare l’incontro chiarendo la sua posizione e i suoi limiti, presentando le sue referenze professionali e precisando il suo rapporto con la minoranza etnica nella comunità ospite; c) dare opinioni o consigli: ancora una volta l’interprete è chiamato a chiarire i suoi limiti e le responsabilità del suo ruolo. A volte la differenza tra il “dare consigli” e l’ “offrire informazioni” sulle differenze culturali o sulle istituzioni può essere difficile da stabilire. Tuttavia, quando durante un’interazione si verifica un fraintendimento sarebbe opportuno da parte dell’interprete prendere la parola e tenere sotto controllo la situazione per chiarire o prevenire eventuali malintesi; d) advocacy vs neutralità: si tratta di un aspetto molto controverso. La maggior parte dei professionisti, nel campo dell’interpretazione per i servizi pubblici o di comunità, sostengono che un interprete non dovrebbe mai essere coinvolto nel 34 processo della mediazione, che dovrebbe rimanere sempre imparziale e oggettivo, non facendo trasparire le sue personali inclinazioni, opinioni, emozioni. Un interprete deve essere professionale, ma è pur vero che gli interpreti sono esseri umani e non è sempre possibile scindere l’uomo dal ruolo che ricopre. Anche se l’approccio di un interprete professionista è quello dell’imparzialità, le sue personali esperienze, opinioni, ideologia e cultura emergeranno comunque in vari modi: espressioni facciali, gesti, tono della voce, grado di cortesia, aspetti molto difficili da camuffare. Piuttosto che reprimere questi elementi interpersonali, l’interprete dovrebbe imparare ad utilizzarli in maniera costruttiva, non divenendo per questo un avvocato, ma un partecipante attivo ed un interlocutore consapevole che possiede le informazioni di cui le due parti necessitano per comunicare in modo efficace (Rudvin 2003a: 147-150). Per risolvere alcuni di questi problemi sarebbe necessario secondo l’autrice un briefing poiché permetterebbe ai fornitori di servizi e agli interpreti di appianare potenziali fraintendimenti e di usare strategie comuni. Gli interpreti e i fornitori di servizi potrebbero sfruttare alcuni minuti prima dell’inizio della sessione per discutere gli aspetti terminologici, tecnici o etici del caso. Se poi l’interprete si rende conto che durante l’incontro sorgono malintesi, dovrebbe richiedere un debriefing con il fornitore di servizi, per discutere i problemi sorti durante l’incontro che non sono ancora chiari o possono provocare malintesi. Il debriefing rappresenta anche un’opportunità per l’interprete per discutere dilemmi etici o questioni complesse con un dottore o un giudice se questi necessita aiuto, di un consiglio o semplicemente di empatia (Rudvin 2003a: 151). 1.8.1 LA QUESTIONE DELLA NEUTRALITÀ L’aggettivo neutro è di per sé evasivo, vagamente inteso come “oggettivo e/o imparziale”, privo di qualunque valutazione o opinione soggettiva. Tuttavia, in tempi recenti numerosi critici, teorici della letteratura, sociologi, antropologi, filosofi, hanno ripetutamente sottolineato l’accezione positiva della neutralità (Rudvin 2002: 219). 35 L’autrice dell’articolo sostiene che la richiesta di neutralità risponde perfettamente alla filosofia individualista della società occidentale, la filosofia dell’essere “liberi da vincoli”, che enfatizza il ruolo e i diritti dell’individuo e le sue responsabilità verso le istituzioni e lo Stato, in netto contrasto con molte società socio centriche in cui la responsabilità principale di un individuo è nei confronti del gruppo. Per lo stesso motivo, in un incontro a tre, i partecipanti appartenenti ad una società dell’Occidente saranno guidati dai doveri del loro ruolo e dal senso di responsabilità verso il paese ospite, mentre questo non è necessariamente il caso in una comunità di interpreti o per un utente non occidentali, dove l’identità di gruppo, sociale, di etnia, possono essere regolate da altre norme. Pertanto, poiché differenti sistemi linguistici e culturali non trovano una corrispondenza in molte situazioni, da quali elementi si può dedurre la neutralità? E’ sufficiente dire che un interprete che non prende posizione in un’interazione e si limita a tradurre parola per parola, frase per frase, è neutrale? In molti casi, il cliente chiede all’interprete un incontro preliminare prima che inizi il processo di interpretazione e prima che la controparte venga inclusa nell’evento comunicativo (Rudvin 2002: 220222). Negli ultimi decenni, studi antropologici hanno sostenuto che l’idea dello ”osservatore silenzioso o invisibile” è in fin dei conti più un mito che un dato di fatto. Criticando la propria metodologia di ricerca, gli antropologi hanno mostrato come la presenza di una terza parte “invisibile” (nel loro caso l’antropologo che osserva l’oggetto della sua ricerca) non può essere mai neutrale, ma necessariamente influenza la situazione. Allo stesso modo, l’interprete non può essere neutrale, né tanto meno può essere completamente invisibile. La sua presenza necessariamente condizionerà l’esito dell’incontro. Per diventare impassibile, un interprete dovrebbe omettere le sue personali esperienze, le sue opinioni, le sue emozioni siano esse positive o negative, la sua cultura, così come le differenze strutturali e socioculturali inerenti alla sua lingua. Il fatto di esprimere in prima persona, come dovrebbe fare un interprete, i pensieri di un altro soggetto, è una prova della sua impassibilità, ogni aneddoto personale non solo deve essere omesso, ma è considerato fuorviante, così come lo è qualsiasi forma di partecipazione o di espressione delle proprie emozioni. Anche la posizione fisica e 36 spaziale dell’interprete deve contribuire a creare un senso di invisibilità (Rudvin 2002: 223-224). Riprendendo per un attimo la dicotomia società occidentale individualista vs società tradizionali socio centriche, tale distinzione pare fondamentale per comprendere il modo in cui la personalità e l’identità riflettono le strutture sociali e come ciò si riflette nei modelli comunicativi. L’autrice riprende il modello di Karmela Liebkind sulla costruzione dell’identità, che considera un fenomeno profondamente legato alla cultura e sostiene che “who share particular concerns are predisposed by social structure to interact in particular situations and bring to bear particular interactional skills and resources” (Liebkind 1992: 158). In tal modo, ciascun interprete trasferisce nell’evento comunicativo modelli comportamentali linguistici e paralinguistici e un diverso modo di intendere la sua personalità e le sue esperienze precedenti in relazione agli altri. Applicando quanto detto all’interprete di comunità, possiamo concludere che la costruzione della personalità di ciascun interprete è unica, in accordo con la sua identità di gruppo. Non solo il comportamento linguistico, che include le formule di cortesia e di saluto sarà regolato dalla reciproca comprensione di questa relazione, ma anche le aspettative dell’interprete sul peso e la funzione delle istituzioni e sul ruolo che i fornitori di servizi hanno nelle stesse (Rudvin 2002: 225-226). 1.9 L’INTERPRETAZIONE DI TRATTATIVA IN AMBITO GIUDIZIARIO Nella letteratura sull’interpretazione di trattativa, l’ambito più importante è certamente quello giudiziario (Garwood 2005: 149). Probabilmente tale interesse si spiega con il fatto che, almeno nella cultura occidentale, il diritto fondamentale è che “tutti siamo uguali davanti alla legge”. Ciò significa che ogni persona coinvolta in un processo penale o civile che non sa la lingua in cui questo si svolge, deve essere messa nella stessa condizione di tutti gli altri cittadini tramite l’aiuto di un interprete. Questo diritto è sancito dall’articolo 6 della “Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali” dal titolo “Diritto a un equo processo”. Purtroppo la formulazione di questo articolo è molto generica. 1 Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un tribunale indipendente e imparziale, costituito per legge, il quale sia chiamato a 37 pronunciarsi sulle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile o sulla fondatezza di ogni accusa penale formulata nei suoi confronti. La sentenza deve essere resa pubblicamente, ma l’accesso alla sala d’udienza può essere vietato alla stampa e al pubblico durante tutto o parte del processo nell’interesse della morale, dell’ordine pubblico o della sicurezza nazionale in una società democratica, quando lo esigono gli interessi dei minori o la protezione della vita privata delle parti in causa, o, nella misura giudicata strettamente necessaria dal tribunale, quando in circostanze speciali la pubblicità possa portare pregiudizio agli interessi della giustizia. 2 Ogni persona accusata di un reato è presunta innocente fino a quando la sua colpevolezza non sia stata legalmente accertata. 3 In particolare, ogni accusato ha diritto di: a) essere informato, nel più breve tempo possibile, in una lingua a lui comprensibile e in modo dettagliato, della natura e dei motivi dell’accusa formulata a suo carico; b) disporre del tempo e delle facilitazioni necessarie a preparare la sua difesa; c) difendersi personalmente o avere l’assistenza di un difensore di sua scelta e, se non ha i mezzi per retribuire un difensore, poter essere assistito gratuitamente da un avvocato d’ufficio, quando lo esigono gli interessi della giustizia; d) di esaminare o far esaminare i testimoni a carico ed ottenere la convocazione e l’esame dei testimoni a discarico nelle stesse condizioni dei testimoni a carico; e) farsi assistere gratuitamente da un interprete se non comprende o non parla la lingua usata in udienza (www.echr.coe.int/nr/rdonlyres/Od3304d1-f396414a-a6c1-97b316f9753a/O/italianitalien.pdf). Come nota Garwood, il primo fattore che distingue e rende più complessa l’interpretazione di trattativa in ambito giudiziario rispetto a quello medico o commerciale è il setting, che in ambito giudiziario è fortemente regolamentato e lo è sia per quanto riguarda i comportamenti, che il linguaggio di tutte le persone coinvolte nel processo in tutte le sue fasi. L’autore riprende a tal proposito la citazione di Niska (1995: 294): Legal proceedings are among the most strictly regulated activities in all human societies. From arrest to verdict, from charge to indemnification, the road is 38 meticulously stalked out by laws and regulations. At every stop along the way, people with well-defined professional roles play their different parts and carry out their expected duties. There are strict rules for the linguistic and non-linguistic behaviour of legal profession in court, and the physical setting is, likewise, highly standardized. Everyone, even the lay people involved (defendants, witnesses, litigants) knows his or her place, literally. For parties to a legal proceeding in one country who come from another country with different norms and conventions, the whole procedure may seem an extremely strange and even frightening. Questa forte regolamentazione riguarda anche l’interprete. In contesti differenti da quello italiano, viene stabilito non soltanto dove deve stare, quando deve parlare, come deve comportarsi, ecc., ma viene specificato in codici deontologici, linee guide e norme dei tribunali e quant’altro il modo in cui l’interprete deve tradurre. Anche negli ambiti medico e commerciale il setting è regolamentato, nel senso che esistono dei comportamenti, delle procedure e un lessico ben precisi, ma non hanno lo stesso impatto e le stesse conseguenze dell’ambito giudiziario. Il setting giudiziario, fortemente regolamentato e intimidatorio, crea delle difficoltà maggiori all’interprete (Garwood 2005: 149-150). Riportiamo inoltre la citazione di González et al. (1991: 25) anche se un po’ datata dell’interpretazione in ambito legale: Legal interpretation refers to an interpretation that takes place in a legal setting as a courtroom or an attorney’s office, wherein some proceeding or activity related to law is conducted. Legal interpretation is subdivided according to the legal setting into (1) quasi-judicial and (2) judicial interpreting or what is normally referred to as court interpreting. In tutti e tre gli ambiti (commerciale, medico e giudiziario), come ribadisce l’autore, l’interprete deve avere un’ottima conoscenza della terminologia specifica del settore nelle due lingue per poterla tradurre adeguatamente. Nel campo giudiziario, però, non si tratta solo di trovare delle equivalenze dirette, poiché il sistema giudiziario che sta dietro i vari termini e concetti giudiziari varia da cultura a cultura. All’interno della stessa Europa, vi sono enormi differenze tra il diritto romano e il diritto anglosassone, tra un inquisitional system e un sistema avversativo, ma queste differenze crescono nel caso di sistemi giudiziari di tipo orientale. Perfino in paesi che 39 condividono le stesse lingue, la terminologia usata in campo giudiziario spesso varia da un paese all’altro. L’interprete deve quindi avere una buona conoscenza dei due sistemi giudiziari per poter trovare traduzioni per termini che spesso sembrano intraducibili. Rispetto all’ambito medico e commerciale, la terminologia specifica in campo giudiziario risulta ancora più difficile da tradurre proprio a causa delle differenza nei sistemi giudiziari. Inoltre, secondo Garwood, l’interprete giudiziario non deve soltanto tradurre il linguaggio giudiziario. Esso viene utilizzato di solito soltanto dalle figure professionali nel sistema giudiziario, ovvero giudici, avvocati, magistrati, ecc. Le altre figure, l’imputato, i testimoni, ecc. usano spesso versioni non standard di una lingua. Ma l’interprete deve tradurre fedelmente tutto ciò che viene detto da tutte le persone presenti, rendendo fattori come il livello sociale, livello di istruzione, registro, stile. Esistono numerosi dialetti e sotto-dialetti di una stessa lingua, è necessario dunque che l’interprete in ambito giudiziario, più che negli altri ambiti, abbia un’ottima conoscenza di molte varietà della stessa lingua (Garwood 2005: 151-152). Il linguaggio giuridico si dice da più parti può risultare estremamente ambiguo, equivoco ed inaccessibile. Le caratteristiche principali che accomunano il linguaggio giuridico a quello medico, economico, ecc. così come designate da González et al. (1991: 254-256) sono: • uso di parole comuni dotate di significati specialistici; • uso del gergo professionale; • uso di vocaboli e frasi latine; • uso di parole ambigue; • estrema precisione di linguaggio; • frequente uso di termini formali; • uso della ridondanza. Garwood ritiene che vi sia un’altra differenza tra l’ambito medico/commerciale e quello giudiziario. L’interpretazione è soprattutto un atto di comunicazione ed un principio fondamentale della comunicazione è l’intenzione di comunicare. Di conseguenza, in una situazione dialogica, i partecipanti di solito collaborano tra loro, cercano non solo di farsi capire, ma anche di capire gli altri. Tale collaborazione è 40 scontata in ambito commerciale, entrambe le parti, infatti, sono interessate ad arrivare ad un accordo reciprocamente vantaggioso e le trattative spesso riguardano le condizioni per concluderlo. Per arrivare ad un accordo è necessario che via sia collaborazione (Garwood 2005: 153). In ambito medico la collaborazione è ancora più evidente: il paziente vuole essere curato e il medico vuole curare il paziente. In campo giudiziario, la situazione è differente. In particolare nei sistemi giudiziari anglosassoni, non solo non vi è alcuna collaborazione, ma spesso l’accusa cerca di far dire all’accusato/imputato ciò che vuole l’accusa stessa, utilizzando negli interrogatori tutta una serie di espedienti che possono risultare anche aggressivi. Questo atteggiamento di non collaborazione pone numerose difficoltà all’interprete. Infine, ricordiamo due aspetti molto importanti anche dell’interpretazione giudiziaria: 1) la questione della neutralità e 2) lo stress psicologico. In paesi in cui vi è un codice deontologico per l’interpretazione giudiziaria, viene sempre richiesta la neutralità o imparzialità agli interpreti giudiziari. L’interprete si trova infatti “in mezzo” e ambedue le parti cercano di tirarlo dalla loro. Poiché l’interprete d’ufficio è pagato dallo Stato, le istituzioni tendono a considerarlo di parte, specialmente se lavora spesso con le stesse persone. Ma anche l’imputato, dal suo canto, soprattutto se l’interprete appartiene alla sua stessa nazionalità o al medesimo gruppo etnico, spesso crede o pretende che l’interprete stia dalla sua parte. Per quanto riguarda lo stress, il lavoro già stressante dell’interprete diventa ancora più pesante in ambito giudiziario. Molti interpreti si lamentano di traumi psicologici, ma pare si faccia poco nella formazione per risolvere il problema. L’autore ci riferisce che, uno studio svolto per Babelea, un’associazione europea di agenzie di interpretazione, ha mostrato che solo il 10% dei corsi di formazione per interpreti affrontavano il problema della gestione dello stress. Tale lacuna può avere profondi effetti sulla qualità di vita dell’interprete, ma anche sulla qualità dell’interpretazione (Garwood 2005: 154-155). Concludiamo dicendo che la formazione di un interprete in ambito legale non può essere generica. Oltre allo studio della terminologia specifica e dei sistemi giudiziari, sono necessari moduli specifici per rendere visibili le versioni standard e non standard di una lingua, moduli per affrontare la questione della non-collaborazione e moduli per gestire gli aspetti psicologici, dallo stress alle situazioni emotive delicate. 41 1.9.1 LE DIFFERENZE CULTURALI NELL’INTERPRETAZIONE LEGALE E’ utile soffermarci un attimo sulle conseguenze che inconsapevolmente le differenze culturali possono provocare nell’interpretazione in ambito legale. Su alcuni aspetti ha indagato Rudvin (Rudvin 2003b: 188). Mentre nelle società tradizionali, la forma diretta del dialogo è la norma, ciò non è valido per quelle società in cui la cortesia si esprime attraverso la forma indiretta. Presso gli Aborigeni Australiani, per esempio, per ottenere un’informazione si ricorre a “giri di parole” senza mai usare la forma diretta e si tratta di un duplice processo. Le domande dirette sono considerate scortesi così come lo sguardo fisso negli occhi. L’inglese degli Aborigeni non ha specifiche strutture grammaticali per formulare domande dirette, ma fa ricorso all’intonazione e a formule retoriche a fine della frase. Inoltre, il concetto di verità e l’idea dell’inchiesta/interrogatorio, fondamentali nelle società occidentali, non è universale. L’autrice riprende una definizione data da un noto antropologo, Jan Vansina (1985: 129), il quale afferma che: “historical truth is also a notion that is culture specific.[…] In many countries truth is what is being faithfully repeated as content and has been certified as true by the ancestors. But sometimes truth does not include the notion that x and y really happened”. Secondo quanto afferma un altro autorevole antropologo (Foley 1998) “swearing to tell the truth and nothing but the truth” può essere potenzialmente più complesso in una situazione in cui diverse culture si incrociano che in una tradizione occidentale monolingua. Gli interrogatori in cui si susseguono domande e risposte e che costituiscono parte integrante dei tribunali di stampo occidentale, possono trasformarsi in una insofferenza comunicativa per gli imputati e il disagio percepito può essere frainteso e considerato una prova di slealtà dagli attori coinvolti in un processo. Un testimone dovrebbe usare espressioni mitigate o parafrasi durante il controinterrogatorio, che potrebbero però essere giudicate inappropriate dal giudice o, nel caso delle metafore, esse dovrebbero essere usate per esprimere dati reali, ma potrebbero facilmente compromettere la 42 veridicità delle affermazioni nei confronti del giudice o generare fraintendimenti e determinare così un esito sfavorevole del processo. D’altro canto, il silenzio e l’esitazione possono essere interpretati come deviazioni dal discorso o mancanza di collaborazione, mentre in realtà un imputato potrebbe semplicemente star meditando una risposta. Il silenzio, dunque, può essere inteso anche come un segno di rispetto che permette all’interlocutore di riflettere su ciò che viene detto (Rudvin 2003b: 189-190). 1.10 UNO SGUARDO ALL’EUROPA: DAL PROGETTO GROTIUS I AL PROGETTO GROTIUS II Le problematiche relative al traduttore-interprete di tribunale non sono le stesse in tutti gli Stati membri dell’Unione Europea. Per tale ragione, si è avvertita l’esigenza di una omogeneizzazione per giungere ad una standardizzazione del curriculum europeo relativo a questa figura e si è sentita la necessità di creare un codice deontologico uniforme in tutta la UE (Alimenti 2005: 161). In Italia è risaputo che la figura dell’interprete di tribunale è sminuita rispetto ad altre tipologie di interpretazione, a causa di una inadeguata formazione o per la mancanza di informazione relativa a tale figura professionale. Ciò non vale per gli altri stati europei. Ad esempio, in Inghilterra esiste un settore di specializzazione accademica per l’interprete di tribunale denominato legal option, che comprende insegnamenti di diritto, di terminologia, accanto a quelli relativi alla pratiche e alle procedure dei tribunali penali e civili e degli uffici di polizia. In Austria, invece, questa figura è tutelata giuridicamente in quanto esiste una legge emanata nel 1975, che stabilisce i principi giuridici da applicare all’interpretetraduttore di tribunale, che, è bene precisare, in Austria rappresenta un’unica figura. In Germania non vi è una formazione specifica, ma vi sono ottimi corsi di traduzione e interpretariato a livello regionale che, tra l’altro, prevedono l’insegnamento della terminologia giuridica in tedesco (Alimenti 2005: 161-162). In Francia, la figura dell’interprete non è omogenea, presenta numerose sfaccettature. Gli elementi che caratterizzano l’interprete di tribunale sono vari. Il principale è l’appartenenza o meno all’elenco ufficiale degli esperti presso la Corte d’Appello. I magistrati della Corte d’Appello richiedono da parte degli interpreti un 43 buon livello di cultura generale. Gli studenti universitari possono dal loro canto offrire il proprio aiuto per le lingue più rare. La categoria dei traduttori-interpreti è l’unica categoria presente nell’elenco degli esperti presso le Corti d’Appello, per la quale si accetta di ricorrere a dilettanti, ovvero a persone che non svolgono la professione di interprete. E’ l’unica categoria presente anche in elenchi ufficiosi. Spesso gli interpreti entrano nell’ambiente giudiziario per vie traverse. In Spagna, invece, per i traduttori-interpreti che lavorano presso per il Ministero di Giustizia vi sono tre possibilità lavorative: 1) personale stabile di ruolo; 2) personale temporaneo; 3) i collaboratori autonomi, che sono dei professionisti iscritti ad una lista creata dalla Gerencia de las Delegaciones Provinciales del Ministero di Giustizia. Si tratta di specialisti in traduzione e/o interpretariato che lavorano in proprio, di traductores jurados che conoscono una o più lingue straniere. Tali persone entrano nel mondo della giustizia per vie diverse, a volte in modo informale, grazie ad esempio all’ufficio di collocamento, alle ambasciate o presentandosi spontaneamente presso gli uffici giudiziari e dichiarando le proprie capacità in una o più lingue. Per apparire nella lista degli interpreti non vi sono dei criteri chiari. Generalmente è sufficiente conoscere una o più lingue e in certi casi presentare il proprio curriculum. Inoltre, è opportuno tener presente che esiste autonomia di gestione da parte delle province (Alimenti 2005: 162). Per quanto riguarda l’Olanda, infine, il governo è responsabile della fornitura di servizi di interpretariato e traduzione nei processi ed in qualsiasi rapporto tra cittadini e servizi pubblici. A seguito di una serie di lamentele sulla qualità del servizio di interpretariato presso i tribunali e gli uffici per l’immigrazione, nel 1997 venne istituto un gruppo di lavoro nazionale per studiare il problema e consigliare i ministri. Vennero identificate sei aree problematiche: 1) Il sistema remunerativo; 2) La scarsità di interpreti-traduttori per certe lingue; 3) Il coordinamento dell’uso di interpreti-traduttori all’interno del Ministero di Giustizia e del governo; 4) La qualità del servizio; 5) Il controllo delle spesa; 6) L’integrità. 44 Queste proposte prevedono che vengano fissati dei criteri uniformi per decidere sulla qualità e l’istruzione di interpreti-traduttori, introdotte certificazioni della qualità di interpreti-traduttori, fissati standards di qualità e criteri per la qualifica di interpreti e di traduttori in determinate circostanze, creato un sistema di uniformità di tariffe, trasformati i centri per interpreti in un unico centro di coordinamento (Alimenti 2005:163). Questo breve excursus sulle varie realtà europee, così come proposto da Alimenti, mette in luce il fatto che l’interprete penale soffre di una mancanza di riconoscimento, ma ciò è dovuto anche all’assenza di regole chiare. Inoltre non essendo strutturata, la figura dell’interprete-traduttore sfugge ad ogni controllo, ecco perché è un’attività che può esercitare anche un dilettante. E’ per tale motivo che si è sentita la necessità di intervenire sulla formazione dell’interprete-traduttore a livello europeo, per assicurare la coerenza con le effettive necessità con l’ambito in cui presta il suo servizio. Tra il 1996 e il 2000 il Consiglio d’Europa aveva adottato un programma di scambi destinato agli operatori di giustizia, volto a facilitare la cooperazione giudiziaria tra gli Stati membri, mediante una migliore conoscenza reciproca dei rispettivi sistemi giuridici e giudiziari. L’iniziativa era rivolta a tutti gli operatori di giustizia e anche agli interpreti-traduttori presso i tribunali. Le problematiche relative alla formazione, ad uno statuto, all’esistenza di codici deontologici e di buona condotta, ad un eguale standard di servizi, cominciarono ad essere discussi nella conferenza di Tampere in Finlandia e in seguito anche dai partecipanti al progetto Grotius I avviato nel 1998, che inizialmente erano il Belgio, la Danimarca, la Spagna e l’Inghilterra (Alimenti 2005: 163-164). Il principio fondamentale a cui si ispira il progetto Grotius è la possibilità di uguale accesso alla giustizia attraverso la lingua e la cultura. Il programma è finalizzato a incentivare e ottimizzare gli scambi tra gli operatori di giustizia dei vari Paesi. Nel concreto il programma si propone di promuovere la conoscenza, tra gli Stati membri, dei rispettivi ordinamenti giuridici e giudiziari. Il progetto della durata di due anni mira a stabilire delle equivalenze negli standards dell’interprete-traduttore di tribunale nella UE (Corsellis et al. 2003: 294). Gli standards minimi sono: 1) Selezione; 45 2) Formazione; 3) Valutazione; 4) Pratica professionale. Ma anche il contesto professionale e le convenzioni interdisciplinari tra linguisti e altri professionisti che lavorano nel settore legale. Il termine interprete-traduttore è stato scelto per due ragioni: 1) il processo legale è formato da una serie di procedimenti e coinvolge una serie di “attori”; 2) il termine preclude la tentazione di definire linguisti gli interpreti per la polizia o per le carceri. Nel progetto vi erano due partecipanti per ognuna delle cinque istituzioni coinvolte e appartenenti ai quattro Paesi (Belgio, Danimarca, Spagna, Inghilterra) e uno solo della sesta istituzione. Per due anni i partecipanti si incontrarono in paesi diversi. Inoltre vennero organizzati due convegni della durata di 2-3 giorni che coinvolsero un gruppo ampiamente rappresentativo dei quattro paesi: uno dedicato ai formatori e l’altro agli operatori del settore legale. Nel corso del progetto vennero stilate una serie di raccomandazioni, soprattutto di tipo pratico, al fine di promuovere la realizzazione delle equivalenze necessarie. Le raccomandazioni costituivano dei punti di partenza sulla base dei quali valutare i risultati raggiunti in ciascun paese coinvolto. In particolare, si riconobbe che quattro fattori dovevano essere realizzati: 1) riconoscimento ufficiale della professione di interprete-traduttore legale; 2) stabilire un minimo comune di obiettivi da raggiungere in ogni paese; 3) incremento delle risorse e dei finanziamenti nel settore legale; 4) favorire la cooperazione tra i paesi coinvolti (Corsellis et al. 2003: 295298). Analizziamo ora più da vicino gli standards minimi. Il primo è la selezione. I criteri e i processi di selezione sono fondamentali per superare le inevitabili tensioni tra i professionisti del linguaggio da una parte e i servizi pubblici, interessati ad ottenere interpreti e traduttori qualificati, dall’altra. Per quanto riguarda la formazione, sono stati proposti corsi a due livelli per fornire una gamma di opportunità. Il livello più basso è un livello di primo grado. I benefici di questo livello sono doppi: permette di incontrare bisogni immediati e di 46 fornire l’accesso ai livelli più alti. E’ necessario avere dei formatori competenti, pertanto sono richiesti interpreti legali e traduttori con esperienza per trasmettere le loro abilità. È necessario inoltre che anche l’insegnamento sia di qualità. Il team ideatore del progetto considerò attentamente la questione dei livelli di valutazione, cercando di conciliare l’ideale con il possibile. L’ideale richiederebbe abili linguisti laureati in lingue in tutta Europa. Il possibile, invece, prevede la formazione di candidati ritenuti idonei. Per quanto riguarda le tecniche di valutazione, il criterio per valutare la performance dovrebbe essere stabilito sulla base del livello di competenza richiesto ad interpreti-traduttori in ambito legale. Le professioni più vecchie hanno sempre avuto registri nazionali professionali. I servizi legali preferiscono una lista nazionale di interpreti-traduttori legali, organizzata in base a criteri precisi. I criteri di registrazione sono relativamente semplici da stabilire e vanno oltre la questione della qualificazione per comprendere ad esempio l’assenza di precedenti penali. Le liste devono comprendere codici deontologici o di buona condotta. Ovviamente i codici devono essere accessibili a tutti coloro che ne hanno bisogno e devono essere regolarmente aggiornati. Per quanto riguarda l’ultimo standard infine, ovvero la pratica professionale, gli elementi da considerare sono numerosi. Le raccomandazioni, infatti, non includono solo l’osservanza dei codici deontologici, ma anche linee guida di buona condotta per linguisti e personale dei servizi legali (Corsellis et al. 2003: 299-302). Poiché gli interpreti e i traduttori lavorano da soli, essi traggono vantaggio in vari modi. La supervisione è una forma di controllo della qualità. La supervisone può e dovrebbe essere necessaria in ogni fase della vita professionale. Il mentoring è invece un metodo meno formale di supporto, in cui ciascun professionista sceglie uno o più colleghi maggiormente esperti a cui rivolgersi per chiedere un consiglio o una collaborazione professionale. Infine, secondo gli autori, due principali linee di comunicazione dovrebbero essere stabilite: la prima all’interno della professione stessa, per esempio, i requisiti per una buona pratica professionale dovrebbero includere formazione, valutazione e registrazione e la seconda dovrebbe essere stabilita tra professionisti da una parte, 47 singoli individui e strutture rilevanti a livello locale, nazionale ed internazionale non inerenti la professione, dall’altra (Corsellis et al. 2003: 302-303). Tutte le necessità espresse nell’ambito del progetto Grotius I sono state ampliate nel progetto Grotius II a cui hanno partecipato altri Stati membri (Alimenti 2005: 165). Il progetto Grotius II ha gettato le basi per un lavoro interdisciplinare tra le autorità giudiziarie ed i traduttori-interpreti di tribunale, nell’intento di stabilire degli standards sui codici deontologici e di buona prassi, cercando di elaborare dei modelli per creare un percorso qualitativo globale per la traduzione e l’interpretariato presso i tribunali. Si è anche occupato della formazione di interpreti-traduttori giudiziari, ribadendo la necessità di una cooperazione tra interpreti-traduttori ed accademici, che promuova l’incontro dell’esperienza pratica dei primi con la preparazione accademica dei secondi. Sarebbe auspicabile infine la formazione dei formatori a livello europeo (Alimenti 2005: 165-166). 1.11 IL DIRITTO ALLA DIFESA: NORMATIVA INTERNAZIONALE Il diritto alla difesa presuppone necessariamente che l’imputato sia messo al corrente del processo, acceda al suo contenuto in una forma comprensibile, possa seguire le dichiarazioni, l’interrogatorio e il dibattito nell’udienza e possa aver diritto ad un interprete per farsi capire dal suo avvocato e dal tribunale (Del Arco 2007: 191). Come ci ricorda l’autore, il primo testo internazionale in cui vengono contemplati questi diritti proviene dal Consiglio d’Europa, è la “Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali” siglata a Roma il 4 novembre del 1950. Nell’articolo 5.2 si dice che: “Ogni persona arrestata deve essere informata, al più presto e in una lingua a lei comprensibile, dei motivi dell'arresto e di ogni accusa elevata a suo carico” e all’interno dei diritti contemplati per tutti gli imputati, all’interno di un processo equo, è fondamentale l’articolo 6, che abbiamo ricordato al paragrafo 1.8. In seguito, in sede delle Nazioni Unite, il Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici (New York, 16 dicembre 1966) stabilisce all’articolo 14.3 che: Ogni individuo accusato di un reato ha diritto, in posizione di piena eguaglianza, come minimo, alle seguenti garanzie: 48 a) ad essere informato sollecitamente e in modo circostanziato, in una lingua a lui comprensibile, della natura e dei motivi dell'accusa a lui rivolta; f) a farsi assistere gratuitamente da un interprete, nel caso egli non comprenda o non parli la lingua usata in udienza. Più recentemente, lo Statuto di Roma della Corte Penale Internazionale (17 luglio 1998), risulta molto più preciso in materia. All’articolo 55 “Diritti delle persone durante l’indagine” al paragrafo 1 si dice che: 1. Nell’ambito di un’inchiesta aperta in applicazione del presente Statuto una persona: c) beneficia a titolo gratuito, se non è interrogata in una lingua che comprende e parla senza difficoltà, dell’assistenza di un interprete competente e di tutte le traduzioni rese necessarie da esigenze di equità”. Inoltre all’articolo 67 “Diritti dell’imputato” paragrafo 1 si dice che: 1. Nell’accertamento delle accuse, l’imputato ha diritto ad una pubblica ed equa udienza condotta in modo imparziale, tenendo conto delle disposizioni del presente Statuto e ha diritto almeno alle seguenti garanzie minime, in piena uguaglianza: a) essere informato prontamente e dettagliatamente sulla natura, il motivo e il contenuto delle accuse, in una lingua che egli comprende e parla perfettamente; […] f) avere gratuitamente l’assistenza di un interprete qualificato e delle traduzioni necessarie per soddisfare i requisiti di equità, se non è in grado di comprendere e di parlare perfettamente la lingua utilizzata nelle procedure seguite dinanzi alla Corte o nei documenti presentati alla stessa. All’interno dell’Unione Europea, il provvedimento sistematico di questi diritti si ha nel Libro Verde della Commissione “Garanzie procedurali a favore di indagati e degli imputati in procedimenti penali nel territorio dell’Unione Europea” (febbraio 2003) che darà luogo nell’aprile del 2004 ad una proposta di Decisione Quadro del Consiglio d’Europa relativa a determinati diritti processuali nei processi penali celebrati nell’Unione Europea. Proposta però molto incerta e contrastata da diversi Stati Membri, che determinò un alleggerimento del contenuto della stessa, discussa nuovamente nelle successive riunioni del Consiglio su questioni di Giustizia e Affari Interni (Del Arco 2007: 190-191). Il Libro Verde, ispirato ai risultati conseguiti dal progetto Grotius, in particolare si concentra su 5 aspetti di tutela giuridica: 1) il diritto all’assistenza legale e all’assistenza 49 linguistica mediante un interprete; 2) il diritto alla traduzione di documenti rilevanti; 3) il diritto del sospetto all’informazione; 4) la protezione dei gruppi vulnerabili; 5) l’assistenza consolare (Hertog et al. 2007: 157). 50 CAPITOLO II LA FIGURA DEL MEDIATORE 2.1 INTRODUZIONE ALLA MEDIAZIONE: LE VARIE ACCEZIONI Iniziamo la sezione dedicata alla figura del mediatore partendo dalla terminologia che spesso e volentieri dà luogo ad equivoci. Il verbo mediare e il sostantivo “mediazione”, infatti, possono assumere vari significati a seconda dei contesti. Cercheremo nei primi paragrafi di analizzare le varie accezioni della mediazione, prima di addentrarci nello studio della mediazione linguistico-culturale, oggetto della nostra indagine. Il sostantivo mediazione è spesso accompagnato da vari aggettivi: linguistica, culturale, interculturale, linguistico-culturale, sociale o socioculturale. Il termine in sé ingloba l’idea di traduzione scritta e interpretazione linguistica (Mack 2005: 7-8). Secondo quanto affermato dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali in un documento apparso sul sito internet dello stesso nel 2003: Il mediatore culturale è uno straniero che, a seguito di un percorso formativo specifico, ha acquisito una professionalità nell’ambito della comunicazione interculturale. Egli, infatti, si distingue dall’operatore italiano, dal semplice traduttore professionista non necessariamente formato all’empatia culturale, dal mediatore occasionale, sia esso un volontario, un parente, un amico o un connazionale. Provenendo dagli stessi paesi d’origine dei migranti, assicura interventi di interpretariato linguistico e di orientamento culturale. Il mediatore, dunque, svolge la funzione di tramite, di ponte, tra i bisogni dei migranti e le risposte del servizio pubblico. Per stabilire un vero dialogo tra utenti stranieri ed operatori dei servizi di pubblica utilità, oltre alla traduzione delle parole, è necessaria una decodifica delle idee e dei comportamenti. Ogni lingua, infatti, veicola messaggi, valori e credenze che sono elementi costitutivi della comunicazione: la loro corretta interpretazione è alla base di un efficace dialogo interculturale (Mack 2005: 9). Appare evidente, come nota l’autrice, che vi sono due accezioni di mediazione nella lingua italiana: 1) quella usata dal terzo settore e in parte dal legislatore, secondo cui il mediatore è generalmente uno straniero che ha il compito di agevolare la 51 comunicazione tra individui di lingua e cultura diversa e servizi italiani e 2) quella che vede mediazione, interpretariato e interpretazione come elementi di una medesima gerarchia in cui gli interpreti italofoni che lavorano con le lingue maggiormente diffuse e insegnate nell’università, godono di maggior prestigio. Al di là della questione terminologica, è opportuno tener presente che la persona che “sta nel mezzo” sia esso mediatore o interprete deve: 1) essere consapevole del suo ruolo e del contesto in cui di volta in volta opera e 2) essere consapevole degli effetti della sua presenza e rendere trasparente il suo compito agli interlocutori (Mack 2005: 11). 2.1.2 LA MEDIAZIONE DEI CONFLITTI Il termine mediare etimologicamente significa “dividere a metà”, “spartire”, ha una carica semantica molto ricca e per certi versi ambivalente: significa infatti trovare un punto d’incontro, ma anche scegliere una via di mezzo o cercare un compromesso. E’ appianare, smussare, tradurre, negoziare, trattare. Uno dei significati più interessanti è quello che incontriamo in filosofia, dove indica la connessione tra una proposizione e l’altra attraverso una o più proposizioni intermedie, proponendosi come la caratteristica essenziale del processo discorsivo, che mediatamente e meditatamente, si svolge per passaggi ragionevoli, successivi e interconnessi (Ceccatelli Gurrieri 2003: 15). Sul piano concreto dell’agire, la mediazione è una prassi ternaria, discorsiva, conciliatoria, assertiva, che sposta le interazioni conflittuali dalla logica “vincitori e vinti” a quella “io vinco, tu vinci”, ove ogni contendente può trovare una ragionevole ricomposizione e autolimitazione delle proprie pretese e ragioni. Quanto più le relazioni sociali e culturali si moltiplicano e si complicano, tanto più la mediazione si rende necessaria ed inevitabile: nella vita quotidiana e nelle interazioni tra i soggetti, a livello istituzionale, nelle organizzazioni, sono innumerevoli le occasioni in cui cercare il compromesso, negoziare significati, contrattare beni e servizi, trovare punti di equilibrio, favorire lo scambio di beni e servizi. Il mediatore è dunque colui che facilita l’intesa e lo scambio. L’autrice parte dalla definizione di mediazione che dà Stefano Castelli (1996: 5): 52 la mediazione è un processo attraverso il quale due o più parti si rivolgono liberamente a un terzo neutrale, il mediatore, per ridurre gli effetti indesiderabili di un conflitto. La mediazione mira a ristabilire il dialogo tra le parti per poter raggiungere un obiettivo concreto: la realizzazione di un progetto di riorganizzazione delle relazioni che risulti il più possibile soddisfacente per tutti. L’obiettivo finale della mediazione si realizza una volta che le parti sia siano creativamente riappropriate, nell’interesse proprio di tutti i soggetti coinvolti, delle propria attiva e responsabile capacità decisionale. Mentre sul piano teorico il concetto di mediazione trova il suo fondamento nella filosofia europea, nella sua accezione pacifica e partecipata dei conflitti, la mediazione si sviluppa istituzionalmente e si diffonde come elaborazione culturale negli Sati Uniti a partire dagli anni Sessanta del secolo scorso. Il proliferare in quegli anni dei movimenti di protesta contro la guerra in Vietnam, delle agitazioni studentesche, dei comitati di difesa dei diritti civili, delle elaborazioni del movimento femminista, suscitarono un profondo e acceso dibattito sull’inadeguatezza del tradizionale sistema giuridico e normativo e sulla possibilità di creare alternative. A partire da quegli anni, le pratiche di mediazione si erano già diffuse in molti degli States. Di quel periodo è l’istituzione in ambito comunale dei “Neighborhood Justice Centers” (NJC), che offrivano servizi gratuiti o a basso costo di mediazione in controversie di quartiere o vicinato, in conflitti coniugali o familiari, o in vertenze economiche relative all’alloggio e al posto di lavoro. Contemporaneamente si cominciavano a sviluppare iniziative di mediazione nei conflitti internazionali, sia nell’ambito di organizzazioni pubbliche, sia attraverso la mobilitazione di organizzazioni non governative (ONG), spesso di carattere religioso (Ceccatelli Gurrieri 2003: 22-23). Nella seconda metà degli anni Sessanta si sviluppa in California il progetto del “Community Board” (CB) di San Francisco, che rappresenta il modello americano più articolato e concettualmente elaborato di mediazione dei conflitti locali. Come ci ricorda l’autrice, i primi tentativi di applicare in Europa questi modelli si verificano negli anni Ottanta soprattutto in Francia e Germania. Il modello del CB di San Francisco trova un riscontro metodologico nell’associazione “SOS-AggressionConflits” di Parigi, attraverso l’idea di fare della mediazione non solo una modalità di composizione dei conflitti, ma anche un mezzo per promuovere, ricostruire e trasformare le relazioni sociali all’interno di una comunità. Un’altra iniziativa 53 interessante è quella della “Boutique de droit” di Lione, che si radica nella società civile della città, attraverso la metodologia delle interazioni di quartieri (Ceccatelli Gurrieri 2003: 23-24). 2.1.3 LA MEDIAZIONE GIUDIZIARIA: MEDIAZIONE DEI CONFLITTI Un altro aspetto interessante della mediazione è costituito dalla mediazione giudiziaria. Il Consiglio d’Europa con la legge n.19 del 15.9.1999 si è pronunziato affinché la Mediazione possa divenire parte integrante dei sistemi della Giustizia, garantendo in ogni stato e grado del processo la possibilità di svolgere attività mediatoria, la quale può essere definita come “la ricerca ragionata della migliore soluzione di un conflitto”, mentre il reato è il risultato di un conflitto tra le parti (una parte subisce un danno morale o materiale). Il Confronto avviene tra vittima ed autore. L’intervento di mediazione rappresenta il momento di consapevolezza e di critiche dell’azione e delle conseguenze e richiesta della vittima ad una attività riparatoria. L’accordo invece è lo scopo finale dell’azione mediatrice, intesa come ricomposizione del conflitto attraverso: Il Risarcimento; Riparazione delle Conseguenze; Riconciliazione tra Vittima e Reo (www.lexetjus.net/.../Libro%20La%20Giurisdizione%20e%20la%20Mediazione%20W ORD%20... accesso 26/11/2009). Chi scrive ha pensato di dedicare un breve e generico paragrafo alla mediazione giudiziaria e alla figura del mediatore giudiziario per mostrane le somiglianze ma soprattutto le differenze con l’interpretazione presso il tribunale. A partire dagli anni Settanta del secolo scorso, si assiste ad una graduale modificazione delle politiche penali europee, con un progressivo spostamento dal modello basato sulla “punizione” verso uno maggiormente orientato alla “riparazione”(Bonafé-Schmitt 1997: 21). Per spiegare tale slittamento, si parla di “un modello penale mirante all’integrazione sociale”, oppure di “una politica criminale partecipativa”. Si tratta di proposte basate sull’ideologia della prevenzione, dell’inserimento sociale e dell’individualizzazione della soluzione repressiva e della 54 partecipazione della comunità al lavoro giudiziario. Le differenti formule della mediazione giudiziaria sembrano seguire questa evoluzione della politica giudiziaria verso un modello più consensuale di gestione dei conflitti, facendo appello alla partecipazione attiva degli autori di reato e delle vittime per la ricerca di soluzioni al loro conflitto, con l’aiuto dei mediatori. Ciò non significa però che la mediazione possa considerarsi un’alternativa alla giustizia (Bonafé-Schmitt 1997: 22-23). In passato, un gran numero di conflitti erano regolati nelle famiglie, nei quartieri, nelle aziende da autorità morali, quali per esempio il maestro di scuola, il sindaco, il sacerdote. Tuttavia, i fenomeni di industrializzazione e di urbanizzazione, la mobilità sociale, l’immigrazione e i mutamenti socio-economici hanno messo in crisi questi luoghi o strutture di socializzazione e regolazione. Il crollo delle strutture intermedie tra lo Stato e la società civile mostra che l’intervento della giustizia è invocato sempre più spesso per regolare conflitti che non costituiscono infrazioni penali e la cui risoluzione discende più da interventi di carattere sociale, che da un’azione giuridica classica. Potremmo affermare in maniera semplicistica che lo sviluppo delle esperienze di mediazione giudiziaria è direttamente da attribuire alle politiche stabilite agli inizi degli anni Settanta, che sancivano una rottura con le politiche penali tradizionali (BonaféSchmitt 1997: 22-25). Nel processo penale, le parti e soprattutto le vittime hanno un ruolo marginale. Nel corso del procedimento giudiziario, le vittime sono rappresentate dai propri avvocati, le udienze sono private di ogni emozione attraverso l’utilizzazione di un rituale giudiziario, di un linguaggio codificato, di classificazioni legali. Con le nuove politiche penali, si assiste ad un’inversione di tendenza, con un ruolo più importante accordato alla vittima, in particolare in materia di risarcimento del danno subito con l’instaurazione della commissione di indennizzo alle vittime. La mediazione giudiziaria in tal senso amplificherebbe questa evoluzione, rendendo la riparazione del danno un affare diretto tra le parti e non più privilegiato dello Stato. Essa introduce un’ importante modificazione nello svolgimento del processo penale tradizionale, in quanto restituisce alle parti il potere di negoziare la soluzione al loro conflitto nella misura in cui il mediatore non dispone di alcun potere di chiudere il dissidio o di imporre la sua decisione alle parti. 55 Nel processo penale la vittima ha un ruolo marginale, che si limita alla difesa dei suoi interessi civili; la mediazione, invece, ne fa un attore esattamente come l’accusato. La mediazione permette una migliore considerazione degli interessi materiali e morali delle parti in conflitto (Bonafé-Schmitt 1997: 25-27). Attualmente, come sostiene l’autore, la mediazione penale è ridotta ad una semplice tecnica di gestione dei conflitti, ad una modalità di esercizio dell’azione pubblica e questa visione restrittiva non permette di considerare la mediazione come un’altra modalità per la risoluzione dei conflitti. Favorendo lo sviluppo delle esperienze di mediazione, lo Stato cerca di incoraggiare il coinvolgimento del movimento associativo nella gestione dei conflitti. Ciò è particolarmente evidente in ambito penale con la mobilitazione delle associazioni di aiuto alle vittime e di controllo giudiziario. Inoltre, bisogna tenere presente che, nel sistema penale tradizionale, l’accento è posto sulle questioni di ordine pubblico, sulle infrazioni alla legge, senza tener conto dei problemi creati alla comunità. Nel quadro della mediazione, la comunità ha un ruolo diretto, non solamente attraverso l’intervento dei mediatori, ma anche favorendo il reinserimento degli autori dei reati e la loro nonesclusione o la loro stigmatizzazione, come avviene nei procedimenti penali tradizionali. La mediazione, inoltre, si fonda su un altro paradigma della gestione dei conflitti, offrendo non solo la possibilità ai rei di riparare il danno arrecato, ma anche favorendo un reinserimento nella comunità, attraverso l’utilizzo della mediazione che ha come obiettivo primario la ricostruzione del tessuto sociale (Bonafé-Schmitt 1997: 28-29). La mediazione in ambito giudiziario si può definire come “un processo, il più delle volte formale, attraverso il quale una terza personale neutrale tenta, attraverso l’organizzazione di scambi tra le parti, di permettere a esse di confrontare i propri punti di vista e di cercare con l’aiuto del mediatore una soluzione al conflitto che li oppone”(1997: 36). In tal senso la mediazione implica che essa sia realizzata da una terza persona, imparziale, indipendente e qualificata, il cui ruolo si limita ad aiutare le parti a trovare una soluzione. Bonafé-Schmitt ritiene che la mediazione dei conflitti tra vittime e autore di reato sia una delle più importanti espressioni della giustizia riparativa. La finalità è quella di facilitare la risoluzione del conflitto tra le parti coinvolte, offendo l’opportunità di 56 esprimere i bisogni e di fornire le informazioni necessarie per arrivare a una discussione più concreta e per determinare un risarcimento mutualmente soddisfacente come simbolo di riconciliazione. Si ritiene che attraverso la comunicazione faccia a faccia in presenza di un mediatore esperto, il conflitto possa essere umanizzato, la tensione ridotta e gli stereotipi presenti tra le parti modificate (Bonafé-Schmitt 1997: 64-65). I vari progetti di mediazione sperimentati in Europa, soprattutto in Gran Bretagna e nel Nord America, utilizzano un procedimento strutturato in quattro fasi: 1) La presa in carico degli utenti; 2) La preparazione alla mediazione; 3) La fase della mediazione vera e propria; 4) Il follow-up. Il processo di mediazione inizia quando gli autori di reato (reati non violenti) sono assegnati dal tribunale ai centri che si occupano di mediazione. La fase della mediazione vera e propria consiste nell’incontro congiunto delle parti: il mediatore spiega il proprio ruolo e indica le regole che i partecipanti devono rispettare. La prima parte dell’incontro consiste nella discussione dei fatti e delle sensazioni riguardo al reato. La vittima ha la possibilità di esprimere le proprie emozioni direttamente alla persona che l’ha aggredita e di conoscere i motivi della sua azione. L’autore del reato è messo nella condizione di dover affrontare faccia a faccia la persona che ha leso, ma ha anche la possibilità di mostrare una dimensione più umana del suo carattere e di esprimere il suo pentimento in maniera più personale. Nella seconda fase dell’incontro, i partecipanti discutono sui danni arrecati alla vittima e cercano di trovare un accordo di risarcimento accettabile per entrambi. Il risarcimento è un segno tangibile della risoluzione del conflitto. L’accordo negoziato viene spesso messo per iscritto e poi firmato dalla vittima, dall’autore del reato e dal mediatore (Bonafé-Schmitt 1997: 65-66). 2.2 LA MEDIAZIONE IN AMBITO PENALE Secondo quanto si evince dagli studi condotti nell’ambito del Progetto Interpres, la figura del mediatore in ambito penale viene considerata una figura professionale “forte” 57 e “debole” al tempo stesso: nel primo caso, perché opera a partire dall’analisi del bisogno, nel secondo caso, perché non adeguatamente supportata. Il mediatore in ambito giudiziario può senza dubbio rappresentare una figura centrale, considerate le difficoltà incontrate dai detenuti stranieri. Le difficoltà sono in primo luogo di tipo logistico-pratico, sia all’interno che all’esterno del carcere. Vi sono però anche difficoltà emotive e psicologiche, legate ad esempio alla mancanza di un supporto familiare o all’emarginazione. I detenuti stranieri incontrano maggiori difficoltà nell’accesso alle misure alternative alla detenzione, soprattutto legate alle difficoltà a rintracciare soluzioni abitative di riferimento; inoltre l’inserimento in cooperative può difficilmente permettere soluzioni di lungo periodo. Il detenuto spesso considera il mediatore un “volontario” e non un operatore retribuito e ciò favorisce l’instaurarsi di un clima di fiducia, in quanto si trova di fronte ad una persona che si occupa del suo caso, che lo ascolta, che parla la sua lingua. Pertanto chiarire troppo la posizione del mediatore potrebbe risultare controproducente. Va detto però che non sempre l’intervento del mediatore è previsto, con potenziali danni per le persone inserite nel percorso giudiziario7. 2.2.1 PROGETTO PER LA COSTITUZIONE DI UN UFFICIO DI MEDIAZIONE PENALE A MILANO Il Progetto per la costituzione di un Ufficio di Mediazione a Milano nasce da un interesse teorico e da un’esperienza concreta, con il pieno sostegno e la promozione del Presidente del Tribunale per i Minorenni e del Procuratore della Repubblica per i Minorenni di Milano (Ceretti 1997: 99-100). Nei mesi di gennaio-settembre 1996, il gruppo promotore ha svolto attività finalizzate a realizzare momenti di sensibilizzazione e ad aprire il confronto con le molteplici realtà già operanti nell’area milanese. A tal fine sono stati organizzati incontri con giudici del Tribunale per i Minorenni, magistrati della Procura della Repubblica per i Minorenni, dirigenti e operatori del 7 “La mediazione linguistico-culturale fra buone prassi e potenzialità” in Progetto Interpres Programma LLP Leonardo Da Vinci TOI 2007 LLP-LDV/TOI/2007/IT/158, pp. 23-24. 58 Centro di Giustizia Minorile, del Centro di Prima Accoglienza, dell’Ufficio di Servizio Sociale Minorenni, dell’Istituto Penale Minorile, dei Servizi Sociali Minorili del Comune, con il Dirigente dell’Ufficio Minori della Regione Lombardia e infine con alcuni avvocati specializzati in diritto minorile. Rispetto alle indicazioni e ai suggerimenti forniti dall’Ufficio Centrale per la Giustizia Minorile del Ministero di Grazia e Giustizia, che offrono numerose possibilità applicative, l’Ufficio di Milano intende concentrare la propria attenzione su alcune precise modalità di intervento. In particolare, la mediazione verrà svolta principalmente rispetto agli spazi normativi previsti dagli articoli 9, 27, 28 del D.P.R. 448/1988 e dall’articolo 564 del c.p.p. Di particolare rilevanza è l’articolo 28, il quale prevede che il giudice dell’udienza preliminare e quello del dibattimento “può impartire prescrizioni dirette a riparare le conseguenze del reato e a promuovere la conciliazione del minore con la persona offesa dal reato” (Ceretti 1999: 100-103). Per quanto riguarda lo svolgimento dell’attività di mediazione è necessario precisare che, il consenso preliminare espresso dal magistrato da parte del minore, dei suoi genitori e della vittima, precede il primo contatto, di carattere individuale da parte dell’Ufficio. Nel corso del primo appuntamento viene illustrata ad entrambi i partecipanti la filosofia della mediazione, il suo carattere confidenziale e infine gli esiti di natura processuale che essa comporta. Se le parti accettano di partecipare, l’Ufficio concorda la data dell’incontro. Una volta conclusa, la mediazione è valutata sulla base di indicatori psicologici (tenore e atmosfera dell’incontro), concreti (promessa di riparazioni materiali) e simbolici, ovvero la mediazione si intende riuscita quando viene restituita ad entrambi i soggetti la dignità di persona; da questa riparazione morale può scaturire una riparazione materiale. L’esito positivo o negativo dell’attività di mediazione viene riferito all’autorità giudiziaria mediante una relazione sintetica. Di tutta l’attività svolta, rimane traccia solo nel fascicolo dell’Ufficio di Mediazione. Esso tuttavia non si occupa direttamente delle obbligazioni nascenti dall’accordo conciliativo (Ceretti 1997: 105-106). L’ufficio di Milano intende promuovere pratiche di mediazione in relazione al compimento di reati che possano suscitare un allarme sociale quali: furti, imbrattamenti, 59 danneggiamenti, disturbi della quiete pubblica, ingiurie, oltraggi, minacce, risse, lesioni personali, atti di violenza sessuale, rapine e reati con l’aggravante razziale. In riferimento ai destinatari, nella prima fase di sperimentazione si tenderà a promuovere la mediazione nei confronti di rei e vittime, selezionati in base ai seguenti criteri: a) per quanto riguarda i rei, essi saranno preferibilmente minori di età compresa tra i 16 e i 18 anni, mentre le vittime dovrebbero essere preferibilmente di età superiore ai 14 anni; b) i programmi di mediazione non si rivolgeranno ai recidivi; c) il progetto tenderà ad escludere anche i minori tossicodipendenti e coloro che sono affetti da gravi patologie di personalità (Ceretti 1997: 107). 2.2.2 IL CENTRO DI MEDIAZIONE PENALE A TRENTO E BOLZANO Dal 1 giugno 2004 è attivo nella regione Trentino-Alto Adige il Centro di mediazione penale, una struttura a carattere pubblico, articolata in due sezioni con sede rispettivamente a Trento e (http://www.regione.taa.it/Giudicidipace/Mediatori.aspx a Bolzano accesso 26/11/2009). Il Centro svolge attività di mediazione gratuita per quanto riguarda i casi relativi a procedimenti penali a querela, sottoposti dai giudici di pace all’attenzione del Centro medesimo. Le parti interessate, anche con l’ausilio dei loro avvocati, possono chiedere di fruire di questa opportunità tramite il giudice di pace davanti al quale sono convocati. Il Centro di mediazione penale è stato costituito a cura della regione al fine di supportare l’attività dei giudici di pace che operano in regione consentendo agli stessi di avvalersi dell’attività di mediazione, così come previsto dalla legge (art. 29 comma 4 del D.L.s. 28 agosto 2000 n. 274). I mediatori chiamati a far parte del Centro sono eterogenei per sesso, età e competenze professionali. L’intero gruppo ha svolto, prima dell’attivazione del servizio, un rigoroso periodo di formazione secondo un modello umanistico, non negoziale di mediazione. La Regione Trentino-Alto Adige, che ha organizzato e curato anche il percorso formativo, finanzia anche il progetto 60 di mediazione del Centro. A partire dal 1 ottobre 2005 e fino al 31 dicembre 2009 sono inoltre attivati, a titolo sperimentale, percorsi di mediazione in ambito minorile per quanto riguarda la provincia di Trento. In tal modo la Regione Trentino-Alto Adige assicura alle Autorità giudiziarie minorili della provincia di Trento e all’Ufficio servizio sociale per i minorenni di Trento, la possibilità di fruire del servizio di mediazione svolto dal Centro (http://www.regione.taa.it/Giudicidipace/Mediatori.aspx accesso 26/11/2009). 2.3 DALLA MEDIAZIONE DEI CONFLITTI ALLA MEDIAZIONE CULTURALE Come osserva Ceccatelli Gurrieri, nel trasferimento dell’esperienza della mediazione dei conflitti dagli Stati Uniti all’Europa, questa attività si è progressivamente spostata da compiti di intermediazione fra cittadini e istituzioni, ad un ruolo di ricostruzione delle relazioni sociali e di formazione della società civile ad atteggiamenti reciprocamente più aperti e responsabili: come un percorso verso una sorta di riappropriazione delle relazioni fra i soggetti al di là delle funzioni di regolamentazione di esse svolte dalle norme e dalle politiche istituzionali e di acquisizione di nuove conoscenze e competenze collettive sulle interazioni intersoggettive e interculturali (Ceccatelli Gurrieri 2003: 24). Questo spostamento di compiti e di azioni ha concentrato l’attenzione e l’impegno degli operatori sulle differenze culturali esistenti fra i soggetti impegnati negli scambi e nelle interazioni e, nei paesi con una più accentuata presenza di stranieri, come Francia e Gran Bretagna, si è consolidata la figura del mediatore interculturale come agente di prevenzione dei conflitti e come facilitatore dei rapporti degli immigrati stranieri, soprattutto nelle rete dei servizi socio-sanitari ed educativi. Nel contesto italiano, il fenomeno di un’immigrazione massiccia dai paesi più poveri del terzo mondo e dell’est europeo si verifica molto più tardi rispetto agli altri paesi. E’ così, solo a partire dagli anni Novanta, si avverte la necessità di ricorrere a figure intermedie di operatori linguistico-culturali, capaci di migliorare i rapporti tra la società di accoglienza e gruppi minoritari di immigrati (Ceccatelli Gurrieri 2003: 24). Da più parti, sostiene l’autrice, viene espressa la richiesta di accedere ad una formazione specificamente mirata all’accoglienza multiculturale, ma anche la necessità di nuove figure di mediatori rivolte soprattutto alla risoluzione di problemi di 61 comunicazione linguistico-culturale. A partire dal 1992 si sono così avviate alcune proposte per la formazione di mediatrici culturali. Nel 1993, nel primo seminario sulle esperienze di mediazione in Italia, che si tenne a Bologna il 13 ottobre per iniziativa del COSPE (Cooperazione per lo sviluppo dei paesi emergenti) con il titolo “Immigrati/Risorse”, si confrontarono le istituzioni promotrici di questi primi progetti: l’Associazione NAGA di Milano; il Consultorio delle donne immigrate e la Cooperativa Progetto Integrazione di Bologna; il Centro di formazione di mediatori linguisticoculturali di Firenze e Pisa; l’Associazione “Produrre e Riprodurre” e il Centro interculturale per le donne “Alma Mater” di Torino; il Centro di formazione di Operatori addetti all’Accoglienza di Reggio Emilia; la Regione Toscana; la Regione Emilia Romagna (Ceccatelli Gurrieri 2003: 25-26). 2.4 QUALE MEDIATORE? Secondo Favaro, vi sono tre possibilità per definire il mediatore: 1) il mediatore che sta nel mezzo e “media”; 2) il mediatore che si “schiera”; 3) il mediatore traghettatore. Nel primo caso il mediatore si pone come arbitro e ponte tra le due parti, ha il compito di dare voce alle domande, ai bisogni, al punto di vista dell’utente e chiarire, al tempo stesso, le esigenze e il funzionamento del servizio. L’obiettivo è quello di favorire la comunicazione, prevenendo o segnalando malintesi e fraintendimenti, stabilendo punti d’accordo e di contatto, rendendo più trasparenti le esigenze degli operatori e le domande degli utenti (Favaro 2004: 35). Nel secondo caso, invece, il mediatore prende le parti dell’utente, considerato più debole e vulnerabile rispetto alla capacità di formulare domande e di ottenere risposte adeguate. Il legame privilegiato si stabilisce quindi con il proprio gruppo di appartenenza. Lo scopo della mediazione è quello di rispondere ai bisogni degli utenti, utilizzando risorse diverse: traduzione, esplicitazione di punti di vista, argomentazione, difesa dell’utente, ecc. In questo caso, la richiesta di mediazione può venire anche dagli utenti, che si rivolgono al connazionale più esperto e meglio inserito nella società 62 d’accoglienza per essere accompagnati, aiutati, sostenuti nella relazione con il servizio e gli operatori. Nel terzo caso, infine, il mediatore “traghettatore” facilita l’accesso e l’uso del servizio o di una risorsa per tutti ed è schierato a fianco dell’operatore, vale a dire dell’ente. Il suo compito, infatti, è quello di far passare messaggi e indicazioni che si riferiscono al funzionamento, ai percorsi d’uso, ma anche a riferimenti e regole implicite del servizio. In alcuni casi è possibile distinguere le diverse funzioni del mediatore e la posizione nella quale si colloca. In altri, invece, la funzione di “ponte”, “traghettatore” e “tramite” tra i due poli della relazione si accompagna o si alterna a quella di “avvocato” dell’utente straniero o di traduttore interno al servizio (Favaro 2004: 35-36). 2.4.1 LE ETICHETTE DEL MEDIATORE Da un punto di vista linguistico, vi possono essere diverse etichette per definire il mediatore a seconda della funzione svolta e dello spazio assegnato al mediatore (Favaro 2004: 37). Per le funzioni di tramite e ponte si utilizza: a) mediatore linguistico-culturale; b) mediatore culturale; c) mediatore interculturale; d) mediatore del conflitto. Per le funzioni di “portavoce e difensore” del gruppo di minoranza: a) mediatore etnico; b) mediatore di comunità; c) operatore comunitario; d) leader o rappresentante del gruppo; e) agente di sviluppo comunitario. Per le funzioni di “traghettatore”, che si esprimono soprattutto attraverso la traduzione e la facilitazione linguistica e sociale: a) mediatore linguistico; b) interprete sociale; 63 c) traduttore; d) facilitatore linguistico. Le diverse funzioni e i ruoli occupati dal mediatore sono spesso compresenti e sovrapposti ed è difficile distinguere in maniera netta tra momenti di traduzione linguistica, “difesa” dell’utente, interpretazione di dati culturali, comportamenti e atteggiamenti (Favaro 2004: 38). In alcune situazioni, per esempio nei piccoli centri, il mediatore disponibile sul territorio può diventare un operatore in vari contesti, in servizi diversi e con un ampio raggio di compiti. In altri casi, per esempio in città grandi, le sue funzioni sono più mirate e rispondono di volta in volta alle esigenze del servizio e degli utenti. Due sono secondo l’autrice le variabili esterne che intervengono per definire in maniera più precisa lo spazio occupato dal mediatore e il suo ruolo: 1) le caratteristiche del luogo in cui svolge la sua attività e 2) il tipo di servizio nel quale è inserito (sociale, sanitario, educativo, scolastico, ecc.). Come sostiene Favaro, alcuni studi hanno messo in luce il problema dei confini e il rischio di confusione di ruoli tra operatore e mediatore, rischi che diventano più grandi quando le funzioni e i compiti si collocano in spazi di maggiore contiguità o prossimità. Si pongono per esempio tra mediatore ed operatore sociale, tra mediatore ed educatore, mentre i rischi di confusione di ruolo sono minori nel caso di un lavoro di mediazione svolto accanto ad un medico, un insegnante, ad un operatore sanitario. In conclusione Favaro sostiene che la mediazione in molti contesti e situazioni funziona. Funziona come dispositivo di avvicinamento, conoscenza reciproca, promozione dell’incontro tra eguali e diversi. Grazie alla presenza del mediatore si può creare uno spazio intermedio condiviso, uno spazio di non conflitto, entro il quale possono essere contenuti e gestiti i malintesi e le diffidenze consapevoli o inconsapevoli, dovuti alle differenze culturali e linguistiche (Favaro 2004: 38-40). 64 2.4.2 IL TERZO UOMO: INTERMEDIARIO, MEDIATORE, GATEKEEPER O L’UOMO INVISIBILE? Wadensjö riprende un saggio di Goffman, “Discrepant role” (1990), nel quale l’autore pone l’accento sul fatto che colui che “media” tra due parti, si comporta in una maniera che potrebbe sembrare strana se una delle due parti fosse assente (Wadensjö 1998: 62). Secondo quanto sostiene Bailey (1969), invece, gli intermediari possono essere classificati in base a due differenti principi: 1) da un lato è possibile distinguere tra coloro che interpretano per il gruppo dominante nella società e sono chiamati a garantire il sistema normativo e dall’altro coloro che sono chiamati ad intervenire da parte del gruppo minoritario per negoziare i loro diritti; 2) in relazione al secondo principio, Bailey discute la funzione dell’intermediario dal punto di vista del suo grado di indipendenza dalle parti in causa (Wadensjö 1998: 63). L’autrice riprende il pensiero di un altro studioso, l’antropologo canadese Paine (1971), il quale distingue come Bailey tra “brokers” e “go between”. Il broker è il portavoce del gruppo minoritario. Secondo quanto afferma Gulliver (1979), il ruolo e la funzione del mediatore sono stati a lungo ignorati in sociologia, psicologia e antropologia. In particolare rifiuta l’idea che il mediatore agisca imparzialmente e la convinzione largamente diffusa che l’attività del mediatore consista semplicemente nel far raggiungere alle parti un comune accordo, piuttosto che competere. Vi sono due aspetti interessanti nello studio di Gulliver: 1) la presenza dell’interprete influisce in qualche modo sulla comunicazione tra le parti e 2) è nell’interesse dell’interprete essere imparziale. Infatti, nel difendere i propri interessi, l’interprete necessariamente influenzerà il progredire e il contenuto dell’interazione (Wadensjö 1998: 64). Riprendendo per un attimo Goffman (1990: 150), è interessante la sua definizione di “no person” in relazione al ruolo del mediatore. Secondo l’autore, la “non-persona” è presente durante l’incontro, ma è al tempo stesso assente, non è attiva, né passiva e non finge di essere ciò che non è. Una parte considerevole della letteratura investiga ciò che Erickson e Schultz (1982) definiscono i “gatekeepers” 65 della società, ovvero funzionari dell’amministrazione locale che si occupano e gestiscono le risorse pubbliche. I processi in tribunale sono tipici esempi di incontri di gatekeeping, poiché la maggior parte di essi si svolge tra giurati e amministratori responsabili dei beni pubblici, dei servizi e delle funzioni di controllo. Seguendo le indicazioni di Agar (1985) un incontro di gatekeeping è un discorso istituzionale costituito da tre fasi: 1) diagnosi, 2) verbale, 3) direttiva. La diagnosi è la prima fase dell’inchiesta in cui il problema dell’utente viene identificato e tradotto in termini istituzionali da parte del professionista. Contemporaneamente egli compila un verbale che appartiene al corpo della documentazione istituzionale. Infine, la direttiva riguarda le misure raccomandate e le decisioni prese da parte del professionista. Infine, per comprendere il gatekeeping e il gatekeeper nella società odierna è necessario studiarne le dimensioni interculturali, interetniche e interlinguistiche (Wadensjö 1998: 67-68). 2.5 PROFILO PROFESSIONALE DEL MEDIATORE CULTURALE Il mediatore culturale è una figura professionale complessa, indefinita e ambigua e rappresenta una delle più recenti risposte istituzionali ad alcune delle esigenze poste dalla società multietnica (Tarozzi 1998: 121). L’autore cita la definizione di mediatore culturale di Bartolini (1996: 342): “Nuova figura professionale in via di definizione il cui ruolo dovrebbe quello di facilitare l’incontro tra individui di minoranza etnica e le istituzioni del paese di accoglienza (scuole, uffici, amministrazione pubblica, tribunali…)”. Infatti, mentre cresce sempre più la richiesta dei mediatori nei servizi pubblici, compresi quelli educativi e scolastici, come l’interfaccia tra l’istituzione e le comunità minoritarie e immigrate, tuttavia, manca fra gli addetti ai lavori un’opinione condivisa, una visone comune circa il profilo, le funzioni che questi esperti della mediazione dovrebbero ricoprire e i compiti che dovrebbero svolgere all’interno o a fianco dei servizi. L’indeterminatezza di questa figura deriva anche in parte dalla stessa ambigua e complessa nozione di mediazione, portatrice di tanti significati di tipo pedagogico, difficili da esplicitare. 66 L’esigenza di mediazione comincia ad essere sentita non tanto quando la popolazione immigrata supera una certa soglia numerica, bensì quando si assiste ad un significativo mutamento di ruolo e di status di un gruppo sociale culturalmente omogeneo che passa dalla condizione di “immigrati” a quella di “minoranza etnica”. Questo passaggio implica da parte delle comunità minoritarie un progetto di stabilizzazione e da parte dell’istituzione un riconoscimento di diritti e non solo una soddisfazione di bisogni d’emergenza. Quando le comunità divengono quindi interlocutori riconosciuti dell’istituzione, allora si pone il problema della mediazione, della traduzione culturale. A questa disponibilità diversa da parte del paese d’accoglienza deve corrispondere una trasformazione dei gruppi di immigrati per diventare comunità etnico-culturali (Tarozzi 1998: 127). L’autore cita un’altra definizione di mediazione culturale, data da Udo Enwereuzor e Patrick Johnson (1993: 1): “un servizio di facilitazione della comunicazione, sia linguistica che culturale, tra l’utente di etnia minoritaria (e, per estensione, una comunità di etnia minoritaria) e l’operatore di un servizio pubblico o privato, in un contesto di poteri impari, e nel rispetto dei diritti delle parti interessate”. In tal senso la migliore funzione di mediazione sarebbe svolta da operatori dei servizi che appartengono alle varie minoranze etniche. Nella precedente definizione, l’enfasi maggiore è posta sull’aspetto della facilitazione della comunicazione. Il mediatore dunque rappresenterebbe un esperto della gestione dei conflitti (Tarozzi 1998: 128). 2.6 LA MEDIAZIONE IN AMBITO EDUCATIVO Come ci ricorda Tarozzi, Patrick Johnson ed Elisabetta Negris (1996), in un saggio che tenta di definire per la prima volta le funzioni e i compiti della mediazione culturale nei servizi educativi, hanno individuato tre livelli principali in cui il mediatore presta la sua opera in risposta ai bisogni dell’utenza appartenente ad etnie minoritarie: 1) Livello pratico-orientativo; 2) Livello linguistico-comunicativo; 3) Livello psico-sociale 67 Il primo livello è quello dell’aiuto nell’accesso ai servizi, è l’aiuto che spesso si riceve spontaneamente dai membri della stessa comunità. Il secondo livello presuppone la convinzione che molti degli ostacoli comunicativi tra servizi e utenze minoritarie abbiano la propria radice nella diversa base culturale che genera e sostiene il processo comunicativo. Il mediatore diventa allora un interprete non solo linguistico, ma anche culturale e un facilitatore di relazioni, capace di prevedere, riconoscere e gestire i conflitti che sorgono a causa delle differenze. Infine, nel terzo livello, all’attività del mediatore, che non è più un semplice agente di gestione dei conflitti interetnici, viene assegnata una funzione di stimolo per il cambiamento sociale, promuovendo, attraverso l’interscambio e la negoziazione delle proprie identità culturali, mutamenti significativi nel costume, nei comportamenti comuni, nei significati attribuiti a gesti, parole, espressioni quotidiane (Tarozzi 1998: 128-129). Nel definire le funzioni e i ruoli che un mediatore culturale può svolgere nei contesti educativi Johnson e Negris (1996), sostengono che è impossibile assegnare ad un’unica figura tutte le funzioni proprie alla mediazione culturale. La loro proposta si basa sull’identificazione di alcune funzioni di base, comuni a tutti i mediatori in contesti educativi e poi individuare alcuni specifici ruoli. Le funzioni di base delineate dai due autori sono: 1) Funzione di informazione/orientamento degli utenti; 2) Funzione di accoglienza/iscrizione degli utenti nei servizi; 3) Funzione di traduzione/interpretariato; 4) Funzione di sensibilizzazione, informazione e pubblicizzazione relative al servizio specifico in cui si è inseriti (Tarozzi 1998: 131). 2.7 COMPITI E FUNZIONI DEL MEDIATORE In generale, si può affermare che l’intervento di mediazione si collochi su vari piani: 1) Piano orientativo e informativo; 2) Piano linguistico e comunicativo; 3) Piano culturale e interculturale; 68 4) Piano psicosociale e relazionale (Favaro 2004: 32). Al primo livello fanno riferimento quei compiti e funzioni che il mediatore svolge nei confronti del proprio gruppo di appartenenza e nei confronti degli operatori del servizio. Il mediatore, in pratica, informa, traduce le informazioni, rende accessibile il servizio rispetto a: funzionamento, requisiti di accesso, ruolo degli operatori, regole e vincoli. Al tempo stesso comunica agli operatori del servizio le specificità culturali, le differenze e i tratti propri delle comunità di origine. Al secondo livello, la mediazione svolge soprattutto la funzione di traduzione, interpretariato, prevenzione e gestione dei fraintendimenti, malintesi, blocchi relazionali. Ovviamente, il compito del mediatore non si limita semplicemente alla traduzione di messaggi e informazioni, ma si propone di chiarire anche ciò che è implicito. Il mediatore può assumere inoltre un ruolo di cambiamento sociale, di stimolo per la riorganizzazione del servizio, di arricchimento della programmazione e delle attività che il servizio conduce. In questo modo, non solo il servizio diventa più accessibile rispetto al funzionamento e alle opportunità, più trasparente e accogliente, ma diventa anche luogo di riconoscimento delle minoranze, di visibilità delle differenze e degli apporti culturali diversi (Favaro 2004: 32-33). Le diverse funzioni svolte dai mediatori linguistici e culturali sono le seguenti: 1) Interpretariato; 2) Traduzione; 3) Facilitazione della relazione; 4) Informazione; 5) Orientamento; 6) Accompagnamento; 7) Presentazione della cultura d’origine (contesto educativo); 8) Presentazione degli obiettivi e delle regole delle azioni e dei servizi; 9) Prevenzione e gestione dei conflitti; 10) Riconoscimento e valorizzazione delle reciproche analogie e differenze. Il mediatore (linguistico-culturale, dei conflitti, ecc.) nell’opinione di Favaro è chiamato a: 69 1) Eliminare gli ostacoli (linguistici, comunicativi, informativi) che intervengono nell’accesso ai servizi pubblici; 2) Apportare nuovi saperi, linguaggi e informazioni e migliorare la prestazione dei servizi, in termini sia quantitativi che qualitativi; 3) Creare uno spazio d’incontro intermedio e aprire nuove possibilità comunicative (Favaro 2004: 33). Osservando le funzioni e i ruoli del mediatore e gli obiettivi del suo lavoro, Favaro delinea due diverse concezioni di questa nuova figura professionale. La prima vede la funzione del mediatore come un rimedio alle possibili o già sperimentate disfunzioni dei servizi nel rispondere alle esigenze degli utenti più bisognosi e meno attrezzati dal punto di vista delle risorse informative, linguistiche, di orientamento, ecc. In tal senso, il mediatore fa da tramite tra utenti e servizi con il compito di: chiarire i bisogni, tradurre, informare, superare le incomprensioni reciproche, evitando che i malintesi generino dei conflitti. La posizione del mediatore deve essere neutrale: traduce più che interpretare e il suo ruolo ha un carattere di utilità strumentale. Nel secondo caso, come nota l’autrice, la definizione di mediazione è più ampia, ma al tempo stesso molto ambigua, poiché va al di là della semplice dimensione strumentale e di utilità, è un dispositivo che opera per costruire nuovi modi di regolazione sociale e di dialogo. In questa prospettiva, la sua funzione è quella di creare legami e reti sociali che tengano conto dei diversi punti di vista. Il mediatore, quindi non è solo un facilitatore della mediazione, ma anche un soggetto in grado di essere portavoce del singolo o del gruppo, esprimere idee e di elaborare progetti. Accetta di tradurre esigenze e norme del servizio, ma opera anche perché il servizio accetti di accettare di ascoltare e comprendere bisogni, aspirazioni, progetti, desideri dei nuovi utenti. Questo ruolo obbliga il mediatore ad un continuo confronto con operatori e servizi, che possono essere reticenti rispetto al cambiamento e con utenti stranieri che possono, a loro volta, essere irrigiditi nei loro atteggiamenti. Lo obbliga anche a stabilire dei confini, a non schierarsi con nessuna delle due parti (Favaro 2004: 33-34). 70 2.8 LE QUALITÀ DI UN BUON MEDIATORE La mediazione linguistica e culturale si offre quale ponte tra individui appartenenti a paesi e culture diverse. Serve cioè a facilitare la comunicazione e la comprensione sia linguistica che culturale tra l’utente di etnia minoritaria e l’operatore di un servizio pubblico o privato. Il mediatore conosce la lingua dell’immigrato, in quanto è egli stesso un immigrato ed è un profondo conoscitore della cultura del suo paese. Egli è chiamato ad intervenire nel momento in cui la comunicazione tra l’utente di un’etnia minoritaria e l’operatore di un servizio pubblico o privato risulta ostacolata o del tutto impossibile, ma soprattutto per gestire rapporti conflittuali. I suoi committenti appartengono al settore pubblico (scuole, ospedali, carceri, tribunali, questure, centri di accoglienza, ecc.) e privato (assicurazioni, banche, sindacati) (Luka 2005: 204). Un buon mediatore linguistico deve prima di tutto conoscere intimamente se stesso, analizzare i propri punti di forza e i punti deboli e correggere eventuali deficit al fine di risultare una persona equilibrata, di cui ci si può fidare e competente, in grado di offrire un servizio di qualità. Un altro requisito fondamentale è la capacità comunicativa ed empatica, che si esprime attraverso la comunicazione non verbale. I gesti variano da cultura a cultura, pertanto il mediatore deve essere in grado di riprodurre fedelmente i sentimenti, le credenze e i valori del suo interlocutore, aspirazione forse un po’ ambiziosa nell’opinione di Luka. L’autore afferma che essere un buon mediatore non è semplice, ma un prerequisito fondamentale è che egli sappia superare i propri limiti e sappia svincolarsi dai propri schemi mentali. Inoltre è necessario che un buon mediatore scelga l’ambito nel quale operare più adeguato alla sua personalità e si tenga informato, sia partecipando a corsi formativi, sia confrontandosi con colleghi più esperti. Una delle doti che deve possedere un buon mediatore secondo Luka è la creatività, che sarà necessaria nei momenti di lavoro più estenuanti. Un’altra abilità del mediatore è quella di entrare in sintonia con il modo d’essere del proprio interlocutore. Per diventare un buon mediatore è indispensabile dedicarsi alla propria formazione con costanza. Infine, un buon mediatore deve credere in se stesso, essere flessibile, mantenersi aggiornato e adeguarsi alla continua evoluzione del mondo. Durante il processo di mediazione, il mediatore deve essere sincero, onesto, umile, avere 71 sensibilità. Tali requisiti, lo ribadiamo, sono molto soggettivi e non è detto che siano validi in tutti i contesti. La componente principale rimane tuttavia la motivazione, che deve essere soprattutto una motivazione interiore, che deve spingere il mediatore a compiere il suo lavoro nel migliore dei modi, come se fosse una missione (Luka 2005: 207-210). 2.9 LA DEONTOLOGIA E L’ETICA PROFESSIONALE Secondo quanto sostiene Belpiede, affinché il mediatore culturale esprima competenza ed equilibrio, deve aver fatto la pace con la propria cultura e con quella della società di accoglienza. In tal senso, lo strumento che permette al mediatore di svolgere il suo ruolo è il decentramento. Il processo di decentramento avviene attraverso un lavoro di osservazione, di approfondimento dei significati culturali delle manifestazioni quotidiane, un lavoro che, soprattutto nella prima fase, ha bisogno di sedi permanenti di formazione (Belpiede 2002: 38). Il decentramento per il mediatore vuol dire: • dotarsi di strumenti di analisi che gli permettano di capire quali sono gli impedimenti alla comunicazione fra italiani e immigrati; • non rappresentarsi l’immigrato in modo stereotipato, ma cogliere la sua complessità culturale, la sua collocazione anche conflittuale rispetto alla società di provenienza; • circoscrivere e gestire i propri processi identificatori con il singolo immigrato. Come precisa Belpiede, la definizione della deontologia di questa professione non può svilupparsi se non si sviluppano il riconoscimento istituzionale del ruolo e la definizione formale delle competenze. Per inquadrare il tema dell’etica, è necessario tenere in conto alcune variabili. Un mediatore culturale, per esempio, se vuole mantenere la sua primaria funzione di intermediario, non può agire come un qualsiasi operatore pubblico. È necessario che mantenga le necessarie distanze dai due partners della relazione, che non si sostituisca a questi, che non assuma un ruolo di rappresentanza, di difesa (advocacy) della persona immigrata e del servizio. Bisogna 72 tuttavia dire che il mediatore ha una funzione di intermediazione impari, dove l’operatore mantiene una collocazione di potere per il ruolo, ma anche in quanto appartenente al gruppo culturale dominante (Belpiede 2002: 38-39). Sul tema dell’etica si assiste spesso, da parte degli operatori, ad una richiesta di trasparenza dell’intervento del mediatore. Nell’opinione di Belpiede, non è possibile definire in generale le regole deontologiche a cui attenersi nella professione di mediatore culturale, anche perché cambiano le funzioni, gli ambiti di azione, i gradi di autonomia si ampliano o si restringono secondo il contesto organizzativo dell’intervento, le relazioni con i partners, ecc. Ad esempio, fare il mediatore presso le questure o i tribunali, non è lo stesso che farlo presso i servizi scolastici. Nel primo caso il ruolo è specificamente legato all’interpretariato ed è limitato lo spazio d’azione del mediatore. Le regole deontologiche di un mediatore inserito in un servizio pubblico sono diverse da quelle di chi opera in ambito associativo. Tuttavia, nota Belpiede, emergono orientamenti su alcune regole di base da rispettare nel lavoro dei servizi pubblici: • l’accordo dell’utente all’intervento del mediatore; • la presentazione del ruolo del mediatore da parte dell’operatore; • il chiarire all’utente che quanto verrà detto nel colloquio sarà comunque tradotto; • l’esplicitazione del ruolo non decisionale del mediatore; • la richiesta di rinviare il colloquio di fronte a pressioni di troppo di una delle due parti; • la richiesta di esonero all’intervento nelle situazioni di gravi dilemmi deontologici; • esplicitare sempre al servizio le motivazioni di un rifiuto all’intervento (Belpiede 2002: 39-41). L’autrice cita Castelli (1996), il quale evidenzia alcuni punti di un progetto di codice deontologico formulato dal “Centre national de la médiation” di Parigi, in cui vengono definite le regole deontologiche del mediatore. Titolo II (Doveri del mediatore) 73 Articolo 6 – Indipendenza Il mediatore ha il dovere prioritario di salvaguardare, in ogni sua forma, l’indipendenza inerente alla sua funzione. Il legame di subordinazione esistente (nel caso di un mediatore dipendente da un ente pubblico o privato) tra mediatore e il suo datore di lavoro riguarda unicamente le condizioni materiali nelle quali il mediatore esercita la sua funzione in seno al servizio organizzato e in nessun caso concerne lo svolgimento stesso degli atti di mediazione che, non essendo sottoposti a controllo gerarchico, restano liberi e soggetti al segreto professionale di cui all’articolo 8. In nessun caso il mediatore indipendente può accettare da parte dell’ente datore di lavoro la limitazione della propria indipendenza o disposizioni in contrasto con le regole professionali e deontologiche della mediazione. Articolo 7 – Neutralità La funzione del mediatore (…) determina un dovere generale di riserbo e, più in particolare, di neutralità nei confronti delle parti. Quale che sia la sua opinione in coscienza, il mediatore ritiene di non essere in grado di rispondere a un tale dovere, invocherà la clausola di coscienza, prevista dall’articolo 11. Articolo 8 – Segreto professionale Il mediatore è tenuto, nei confronti dei terzi, al segreto professionale in condizioni analoghe a quelle previste dal codice penale. Questo segreto copre l’identità e ogni elemento della vita privata delle persone portato a conoscenza del mediatore, oltre alle informazioni e ai documenti confidenziali che avrà ricevuto. Nel campo privato delle persone, questo segreto si estende a tutto ciò che il mediatore ha visto, ascoltato e compreso nel corso dell’esercizio della sua funzione. Nel conflitto, il mediatore non può tenere conto, nella conduzione della mediazione, delle informazioni confidenziali comunicate da una delle parti se non espressamente autorizzato dalla parte stessa. Articolo 9 – Incompatibilità Il mediatore deve astenersi dall’intervenire quando, per propri interessi materiali o morali, potrebbe essere sospettato di non assolvere alla sua funzione in conformità con le regole deontologiche, in particolare con quelle relative alla indipendenza e alla neutralità. Articolo 10 – Obblighi nei confronti delle parti Dal momento in cui il mediatore ha accettato di svolgere il proprio compito, egli si impegna, dedicandovi tutto il tempo concesso, ad assolverlo con la massima cura e la maggiore chiarezza nei confronti delle parti. A questo scopo, e senza che le disposizioni seguenti siano limitative • definisce con precisione, assieme alle parti, i limiti del proprio compito; 74 • produce, durante la conduzione della mediazione e nella misura in cui lo ritiene necessario, sintesi provvisorie destinate ad apportare chiarimenti agli interessi nel corso della loro ricerca di un accordo o di una soluzione, • fornisce alle parti, al termine della mediazione, un estratto delle conclusioni alle quali la mediazione ha portato; • può assicurare, con l’accordo delle parti, le condizioni necessarie alla realizzazione delle conclusioni. D’altro canto, cosciente dei propri doveri di riservatezza e di neutralità, il mediatore • rispetta, in ogni circostanza, l’autonomia delle persone, la loro libertà di giudizio e di decisione; • evita ogni utilizzazione ai fini personali delle informazioni ricevute il suo intervento così come ogni ingerenza nella vita professionale delle persone che hanno chiesto la sua opera. Titolo III (Diritti del mediatore) Articolo 11 – Rifiuto Il mediatore ha sempre il diritto di rifiutare di prestare la propria opera facendo appello a una clausola di coscienza, cioè per ogni motivo che dipenda esclusivamente dal proprio giudizio. Può anche ritirarsi da una mediazione in corso a condizione di motivare il proprio disimpegno e di dare alle parti la possibilità di continuare l’azione intrapresa, in particolare attraverso la ricerca di un altro mediatore (…) (Belpiede 2002: 41-43). 2.10 ACCENNO ALLA NORMATIVA SULLA MEDIAZIONE Come accade spesso in Italia, la normativa nazionale soltanto recentemente ha riconosciuto l’esistenza e la funzione del mediatore, dopo che molte regioni ne avevano già definito il profilo professionale, promuovendone la formazione e l’impiego, direttamente o attraverso gli enti locali o territoriali e dopo che associazioni e organizzazioni del privato sociale ancora da più tempo avevano formato e inserito queste figure nell’ambito dei propri servizi e interventi a favore degli immigrati (Ceccatelli Gurrieri 2003: 54). E’ infatti solo con la legge 6 marzo 1998, n.40, “Disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero”, che si fa riferimento esplicito al mediatore culturale, definendone, seppur vagamente, il ruolo attivo nell’integrazione sociale delle minoranze (art. 40, comma I). Come ci ricorda l’autrice, l’incertezza è presente anche in due aspetti legati alla stessa denominazione del ruolo, ancora oggi oggetto di interpretazioni e di definizioni 75 diverse a seconda del contesto di collocazione e delle valutazioni sui contenuti stessi della funzione. La prima differenziazione è relativa all’aggettivo che segue la definizione del mediatore, in alcuni ambiti limitata a “culturale” o “interculturale”, in altri ampliata a “linguistico-culturale”. In generale, gli studiosi che preferiscono la definizione di “mediatore culturale”, le attribuiscono un senso più articolato, che va dal compito di facilitatore della comunicazione a quelli più complessi della diffusione e valorizzazione della cultura rappresentata, fino alla promozione del confronto e dello scambio reciproco di conoscenze fra culture. Gli operatori e gli studiosi che preferiscono invece l’etichetta di “mediatore linguistico-culturale”, privilegiano una delimitazione più circoscritta delle sue funzioni, indicando come prioritaria la competenza comunicativa. Un secondo aspetto della differenziazione, per così dire più ideologico, è quello relativo al genere della figura del mediatore. In alcuni testi e ambiti operativi si parla esclusivamente di “mediatrici culturali” o “linguistico-culturali” anziché di mediatori, soprattutto in ambito socio-sanitario o educativo, al fine di instaurare con le utenti immigrate rapporti più profondi, significativi e solidali, per diminuire il disagio di una relazione di cura poco comunicativa e per trovare modi e luoghi di confronto più adatti per tutte (Ceccatelli Gurrieri 2003: 55-56). Per poter mediare, si dice da più parti, è necessario “essere e fare parte” della cultura in contatto, avere sperimentato e vissuto la situazione della migrazione, avere attraversato i passaggi dell’acculturazione e della molteplice appartenenza (Favaro 2004: 32). In questa accezione, l’arte di mediare presuppone requisiti molteplici, di carattere linguistico, culturale, interpretativo, esperienziale, autobiografico. Si può diventare mediatori per formazione e riflessione, a partire dalla situazione di essere già “inclusi” nelle culture e appartenenze che si è chiamati a rendere più trasparenti, evidenti, comunicabili. E’ questa l’accezione più ampia che descrive il mediatore e che lo definisce come “culturale” o “interculturale”. In altri casi, si ritiene, che possano diventare mediatori coloro che, per formazione e pratica, sono in grado di tradurre e fare da interpreti (mediatore linguistico), o di gestire e prevenire conflitti (mediatore sociale o dei conflitti) (Favaro 2004: 32). 76 2.11 LA NECESSITÀ DELLA FORMAZIONE PERSONALE DEL MEDIATORE LINGUISTICO-CULTURALE Al di là delle competenze teoriche o pratiche che sono fondamentali per svolgere la professione di mediatore culturale, il mediatore deve possedere, come tutti gli operatori che hanno l’esigenza di entrare in rapporto con l’altro nello svolgimento del proprio lavoro, capacità relazionali. Per svilupparle e per poter trasformare in risorsa la propria esperienza migratoria, è necessario che accanto a queste esperienze teoriche e pratiche, si aggiunga una adeguata formazione professionale (Andolfi 2003: 157-158). Questo percorso formativo aiuterà a comprendere meglio lo stato di sospensione tra due culture in cui si trova a vivere il migrante, non solo perché questa esperienza è stata vissuta in prima persona dal mediatore, bensì perché è stata sufficientemente analizzata ed elaborata nel corso della formazione. Un coinvolgimento emotivo da parte del mediatore senza la capacità di tracciare un confine netto tra esperienze personali e vissuti portati dall’utente, non favorirà una buona riuscita della mediazione richiesta, in quanto potranno riemergere emozioni e stati d’animo legati alla storia personale del mediatore senza che questi ne sia consapevole. E’ necessario raggiungere un equilibrio “emotivo” e acquisire nel corso della formazione quegli elementi utili a superare l’empasse nel vedere riaffiorare emozioni forti come il dolore e la rabbia nelle storie raccontate dagli immigrati molto simili alle proprie. Si dice che il mediatore deve essere neutrale, ma essere “neutrale” vuol dire “senza emozioni?” Quando si parla di un terzo neutrale, gli studiosi condividono l’idea del ruolo di colui che deve mantenere una equidistanza dalle parti, quindi un certo distacco emotivo dalla situazione, ma che è comunque parte integrante del sistema nel quale si trova inserito, formato da lui, l’utente immigrato, da uno o più operatori di un servizio e dalle reciproche convinzioni e aspettative basate su presupposti culturali, religiosi e ideologici differenti. Le emozioni hanno sempre un potenziale comunicativo ma anche conoscitivo dell’altro e di sé, pertanto possono considerarsi uno strumento formativo molto efficace. Attraverso il riconoscimento delle emozioni legate alle proprie storie personali, si può entrare in relazione senza identificarsi o confondersi, con l’altro, accettando che l’incontro possa suscitare emozioni, ma senza rimanerne bloccato. Se questo scambio relazionale-emozionale avviene in un contesto di gruppi 77 multietnici, in cui si mescolano esperienze, lingue e razze umane diverse, non solo si ha la possibilità di conoscere meglio se stessi, attraverso ciò che viene o meno condiviso con il gruppo, ma anche di appropriarsi in modo più consapevole di ciò che delle proprie idee e manifestazioni è espressione del contesto culturale di riferimento al quale si appartiene (Andolfi 2003: 158-159). La formazione personale in gruppo si fonda, come sostiene l’autore, sulla possibilità di confrontarsi con il pregiudizio, che deriva dall’ignoranza rispetto ai valori culturali dell’altro. Riflettere sul pregiudizio per poi raggiungere una maggiore consapevolezza dei propri limiti ed avere la possibilità di superarli, costituisce un allenamento necessario per un mediatore culturale che sia capace di gestire la diversità. L’idea che il pregiudizio sia solo dalla parte della società d’accoglienza, nei confronti degli immigrati appartenenti ad altre culture, è spesso radicata nella convinzione di chi si accinge ad intraprendere una formazione come mediatore culturale. E’ utile a tal proposito durante la formazione proporre attività di role-playing o utilizzare le dinamiche che si creano all’interno del gruppo per affrontare l’altro versante del pregiudizio: quello nei confronti della società e della cultura di accoglienza o, anche quello nei confronti di altri immigrati e altre culture diverse dalla propria. La forma più paradossale di razzismo nasce dal disprezzo dei propri valori; se infatti non si riesce ad integrare dentro di sé il sistema di valori d’origine con i modelli acquisiti, ci si trasforma in un potenziale razzista, ma soprattutto in un qualunquista, poiché non si è in grado di comprendere ciò che assume rilevanza per l’altro. Si rischia dunque di fornire delle interpretazioni superficiali, senza tener conto dei valori culturali, religiosi, familiari dell’altro (Andolfi 2003: 159-160). Andolfi sostiene che il processo di integrazione coinvolge due entità distinte: 1) l’individuo che cerca di inserirsi nel contesto di accoglimento e 2) la società ospitante, che l’aiuta, lo lascia fare o lo ostacola nel raggiungimento del proprio scopo. L’inserimento può assumere varie forme, dall’assimilazione al multiculturalismo. L’assimilazione consiste nel processo di adattamento dello straniero nel nuovo contesto sociale, il multiculturalismo, dall’altro lato, prevede la coesistenza di due o più gruppi, tenta cioè di preservare la diversità culturale nei confronti del gruppo dominante. L’autore cita Scabini e Regalia (1993), i quali hanno studiato i modelli adattivi messi in atto dagli immigrati. Ne distinguono 78 due tipi: 1) INCLUSIVO ed 2) ESPANSIVO. Il primo tipico delle comunità di religione islamica e cinesi, si caratterizza dalla tendenza ad instaurare rapporti molto stretti e quasi esclusivi con altri immigrati del proprio paese di provenienza, allo scopo di formare una rete relazionale con una forte funzione protettiva a livello individuale e sociale. L’altro stile, invece, è quello espansivo, in cui pur salvaguardando la solidarietà tra i membri dello stesso gruppo etnico, non è preclusa la possibilità di costruire legami o rapporti di amicizia o sentimentali con i membri della comunità di accoglienza (Andolfi 2003: 161). Uno spazio per riflettere sui processi di integrazione sperimentati in prima persona è proprio quello del gruppo multietnico. La possibilità di riconoscere e far conoscere al gruppo i propri percorsi storici e il proprio vissuto, così come il processo di adattamento nella nuova società, costituiscono una prova importante nella formazione. Al tempo stesso, il gruppo attraverso le domande che pone in relazione alle proprie esperienze, impara a riflettere sul fatto che è sbagliato ricondurre tutto alla propria esperienza e rischiare di essere poco obiettivo una volta diventato mediatore, nei confronti del codice organizzativo della cultura di appartenenza. Inoltre, questo esercizio di approfondimento della conoscenza e il successivo superamento del pregiudizio nei confronti dell’altro, rappresenta un antidoto al razzismo e suggerisce delle idee su come poter affrontare le situazioni critiche durante la mediazione culturale, senza per questo ridurre a stereotipi culturali quelli che sono i processi cognitivi, razionali ed affettivi propri di ciascun individuo. L’autore ritiene che uno dei canali per affrontare i processi autoriflessivi nella formazione di gruppo è quello della dimensione familiare. La famiglia rappresenta l’area in cui esiste la maggior difficoltà di adattamento, per chi emigra e si ritrova in un contesto molto diverso da quello in cui è cresciuto, che non conosce o riconosce i valori culturali, religiosi e familiari propri (Andolfi 2003: 162). Inoltre la dimensione familiare può incrementare il livello di criticità quando si affronta il tema della continuità o delle fratture nelle relazioni intergenerazionali. La prima generazione, quella più anziana, al fine di mantenere una propria identità può sentire minaccioso l’entrare in contatto dei figli con la cultura ospitante, in particolare l’inserimento nella scuola, nel senso di temere il pericolo di una rottura nella trasmissione intergenerazionale e un venire meno dei valori familiari. 79 D’altro canto, il bambino straniero si trova a dover integrare due modelli di riferimento culturale: quello trasmessogli nel gruppo familiare e quello del contesto culturale in cui è inserito. Affrontare la propria storia personale attraverso l’uso di strumenti formativi che la inquadrano in un contesto familiare ha vari intenti: permette di riflettere sui fenomeni legati ai processi migratori e sulle dinamiche familiari, consente di conoscere stili e modelli familiari diversi dal proprio. L’uso del genogramma familiare può diventare lo strumento principale per ripercorrere gli eventi più importanti all’interno della storia della propria famiglia, riconoscere i vincoli di lealtà, individuare i miti familiari attraverso le generazioni e identificare le aspettative familiari rispetto ai ruoli ricoperti. Un altro aspetto che riguarda la formazione personale del mediatore culturale, come dice Andolfi, ha a che fare con la capacità di riattivare le risorse di cui spesso non si è consapevoli (Andolfi 2003:163). Con l’espressione “risorse” si intendono quelle caratteristiche personali positive, la resistenza, forza di volontà, flessibilità, pazienza, maturità, coraggio, ecc. L’immigrazione sottopone a forti tensioni emotive e difficoltà di adattamento e ricostruzione di una propria identità, soprattutto se si considerano le dure esperienze di vita precedenti all’emigrazione, quali l’estrema povertà, l’aver vissuto in territori di guerra o sottoposti a regime totalitari, l’aver subito torture. Il termine più adeguato per illustrare la capacità di andare avanti è “resilienza”, un vocabolo inusuale utilizzato per descrivere la caratteristica di un materiale a resistere ad urti improvvisi senza spezzarsi. Nell’uso psicologico del termine, “sono resilienti gli individui che sopravvivono ad eventi fortemente stressanti e traumatici: violenze, malattie, gravi lutti, pesanti trascuratezze o rifiuti, facendo ricorso a risorse personali e relazionali, energie interne incredibili”. Quando parliamo di esperienza personale del mediatore, intendiamo quindi, la possibilità di ripercorrere e rielaborare i processi di sviluppo all’interno della propria comunità di origine, nel proprio contesto culturale e sociale di riferimento, gli eventi importanti della propria vita e delle esperienze cruciali, tra queste ultime in particolare dell’esperienza migratoria. La formazione è dunque caratterizzata da un’attenzione particolare allo sviluppo di capacità autoriflessive, che hanno a che fare con i processi di crescita personale (Andolfi 2003: 163-164). 80 CAPITOLO III L’INTEPRETE DI TRIBUNALE IN ITALIA 3.1 EVOLUZIONE DELLA NORMATIVA ITALIANA La figura dell’interprete di tribunale, così come presentata nei vari codici penali del XIX e XX secolo, risulta alquanto confusa e complessa e non di meno lo sono le definizioni ad essa associate. I vari codici europei hanno affrontato la questione da due differenti prospettive giuridiche e filosofiche. Entrambe sono indissolubilmente legate al contesto storicopolitico. Un approccio vuole che le autorità procedenti riconoscano all’interprete il ruolo di assistenza all’imputato, al fine di agevolare la comprensione del processo da parte di quest’ultimo e di pianificare in modo adeguato la sua difesa. L’altro approccio, d’altro canto, sostiene che l’interprete debba essere considerato una prerogativa dell’autorità procedente, indipendentemente da qualsiasi disposizione di difesa, laddove l’imputato non parli la lingua usata nel procedimento (Ballardini 2002: 205). Limitandoci al XX secolo, un esempio del primo approccio può essere riscontrato nel “Codice di procedura penale” italiano del 1913. Esso introduce numerose innovazioni riguardanti diritti e doveri dell’interprete. In particolare riconosce all’interprete, per la prima volta nella storia legislativa italiana, lo status di “perito”. Ciò significa considerare l’interprete una sorta di “specialista”, un “esperto” della lingua. Il Codice, inoltre, era molto sensibile alla necessità da parte dell’interprete di garantire l’imparzialità e una condotta moralmente ineccepibile. La situazione cambia radicalmente nel 1930 con il “Codice Rocco”, che mantenne in vita varie modifiche, fino all’introduzione dell’attuale Codice di procedura penale del 1989. Il Codice Rocco ribadiva la concezione dell’interprete al servizio dell’autorità procedente, senza tener conto dei bisogni dell’imputato. Anche in questo caso, l’interprete era considerato un “esperto” della lingua. Tuttavia, i precedenti tentativi di assicurare l’imparzialità del ruolo dell’interprete furono limitati. Il ruolo dell’interprete fu sottomesso all’ideologia dominante del periodo, quella fascista, che mise in discussione l’intero sistema giudiziario. Ciò equivale a dire che, i bisogni 81 dell’imputato non venivano minimamente considerati. L’interprete era, ancora una volta, al servizio del giudice, non dell’imputato. Il periodo post-guerra fu segnato da una serie di cambiamenti dello status legale dell’interprete-traduttore di tribunale e delle sue funzioni. La ragione principale consisteva nel fatto che, mentre il Codice del 1930 continuava a rimanere in vigore, al tempo stesso fu subordinato ad una serie di normative recenti. La prima e più importante era certamente la nuova Costituzione o “Costituzione della Repubblica”. La seconda era la “Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali”, siglata a Roma il 4 novembre del 1950 ed incorporata in Italia con la legge n. 818 dell’8 agosto 1955. Allo stesso modo, il “Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici”, approvato dall’Assemblea delle Nazioni Unite il 16 dicembre 1966, fu ratificato in Italia con la legge n.881 del 25 ottobre 1977. Tali leggi hanno gradualmente spostato l’obiettivo del ruolo dell’interprete a favore della difesa dell’imputato, garantendo non solo il rispetto dei diritti linguistici delle minoranze presenti in Italia, ma anche una serie di disposizioni legislative per l’assistenza linguistica degli stranieri non parlanti la lingua italiana (Ballardini 2002: 206). L’attuale profilo dell’interprete di tribunale è disciplinato dagli articoli 143-147 del nuovo Codice di procedura penale del 1989. Nel nuovo scenario, l’interprete, non è più al servizio delle autorità, ma al servizio dell’imputato. Inoltre è chiamato a prestare il proprio servizio per tutti coloro che sono coinvolti in un processo. Si tratta, come afferma uno dei maggiori studiosi di procedura penale in Italia, Mario Chiavario, di una “mutazione genetica” e i precedenti storici di tale mutazione risalgono a partire dalla Rivoluzione Francese, in particolare alla “Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino” e al “Codice d’istruzione criminale” dell’età napoleonica (1808). La giurisprudenza e le decisioni dei tribunali francesi del XIX secolo hanno fortemente contribuito allo sviluppo del moderno concetto di “interpretazione di tribunale”, stabilendo il diritto di nomina di un interprete competente nella lingua dell’imputato e che non deve essere necessariamente la lingua nativa dello stesso. Inoltre, anche il sistema delle sanzioni e delle pene applicabili all’interprete e al traduttore derivano, con le opportune modifiche, dal “Codice penale” napoleonico del 1810, in taluni casi anche dal “Codice criminale” del 1791. Le sanzioni e le pene 82 inizialmente venivano applicate ai casi di falsa testimonianza, ma in seguito furono estesi fino ad includere gli interpreti e i traduttori ritenuti colpevoli dello stesso reato. Ovvero, gli interpreti-traduttori hanno le stesse responsabilità dei testimoni (Ballardini 2002: 207-208). In Italia, nonostante i cambiamenti prodotti dal Codice penale del 1989, il profilo dell’interprete di tribunale non è stato totalmente rivisto e modificato. Il fatto che vi siano ancora presenti certe contraddizioni, deficienze ed anomalie, ha considerevoli effetti sulla qualità del servizio offerto. La Corte Costituzionale ha recentemente sottolineato l’ambiguità della normativa italiana nei confronti dei diritti linguistici, sia del diritto a ricorrere ad un interprete da parte dell’imputato, sia del tipo di assistenza linguistica offerta a quest’ultimo nel rispetto della condizione dello stesso. Esiste una differenza sostanziale tra l’interpretazione per un cittadino italiano appartenente ad una minoranza linguistica e l’interpretazione per uno straniero. Nel primo caso, il cittadino ha il diritto di usare la lingua nativa, indipendentemente dal suo grado di conoscenza della lingua italiana. Nel secondo caso, invece, il cittadino ha diritto all’assistenza linguistica, solo se dimostra di non conoscere a sufficienza la lingua italiana o se dichiara di non conoscerla affatto. In alcuni casi l’interprete è assegnato all’imputato gratuitamente e anche se conosce la lingua nativa dello stesso, può utilizzare anche una lingua diversa. Per la legge italiana, essere straniero non è bastante ad assicurare il diritto all’assistenza linguistica. Inoltre, con il numero crescente di immigrati di origini diverse, essa richiede interpreti che conoscono diverse lingue e dialetti. Un buon numero di crimini in Italia sono commessi infatti da stranieri e tale dato mostra che non è sufficiente reclutare solo interpreti e traduttori professionalmente qualificati, perché ciò renderebbe impossibile assicurare l’assistenza linguistica nelle lingue meno diffuse (Ballardini 2002: 208-210). La mancanza di una netta distinzione fra l’interprete e il traduttore o tra un professionista e un non professionista è comprensibile se si tiene conto dell’assenza di un regolamento previsto dalla legge sulle due professioni. Non esiste infatti un albo ufficiale degli interpreti e dei traduttori, né la professione è limitata ad interpreti qualificati che posseggano titoli di studio adeguati, conseguiti in Italia o all’estero. Così, 83 qualunque soggetto ritenuto idoneo dall’autorità, può essere reclutato. Tale situazione ovviamente non garantisce una retribuzione adeguata, compromettendo in tal modo la qualità del servizio prestato e sminuendo la professionalità degli interpreti-traduttori qualificati (Ballardini 2002: 209-210). Ricordiamo infine sotto il profilo normativo, l’articolo 24 della Carta Costituzionale, che garantendo il diritto alla difesa, richiede che all’imputato siano dati gli strumenti per comprendere l’accusa dalla quale deve difendersi, senza dover subire un trattamento diverso rispetto al cittadino che conosce la lingua italiana (http://www.quirinale.it/qrnw/statico/costituzione/costituzione.htm accesso 16/11/2009). Art. 24. Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi. La difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento. Sono assicurati ai non abbienti, con appositi istituti, i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione. La legge determina le condizioni e i modi per la riparazione degli errori giudiziari. 3.1.2 IL PRINCIPIO DI OBBLIGATORIETÀ DELLA LINGUA ITALIANA NEGLI ATTI PROCESSUALI PENALI L’articolo 109 del c.p.p. è dedicato alla “lingua degli atti”. Al primo comma sancisce che gli atti del procedimento penale sono compiuti in lingua italiana, al secondo comma ne rimuove l’obbligo in favore degli appartenenti ad una minoranza linguistica riconosciuta, al terzo commina la sanzione della nullità per le relative inottemperanze (Curtotti-Nappi 2002: 59). All’obbligo d’impiego della lingua italiana si sottraggono anche i documenti, in quanto elementi materiali rappresentativi di fatti, persone o cose formati fuori dal procedimento penale, nel quale tendono ad introdursi in virtù del loro valore probatorio. Infatti, l’eventualità di un documento redatto in lingua straniera è contemplata dal primo comma dell’articolo 242 c.p.p. laddove si attribuisce al giudice il dovere di predisporre la relativa traduzione, se necessario alla comprensione del testo inintelligibile (CurtottiNappi 2002: 110-111). 84 L’esigenza di ricorrere alla lingua nazionale nel compimento degli atti del procedimento penale va coniugata con la necessità di rispettare i diritti linguistici delle minoranze etniche riconosciute dallo Stato italiano. Vi sono altre lingue, in realtà, che seppure non riconosciute ufficialmente, sono protette dal legislatore processuale italiano: ad esempio quella tedesca del Trentino Alto Adige, quella francese nella Valle d’Aosta e quella slovena nel Friuli Venezia Giulia. Anch’esse, infatti, al pari della lingua nazionale, rappresentano il maggior fattore di aggregazione ed identificazione del gruppo minoritario ed è per questa loro valenza, che la scelta di garantirne l’uso, rappresenta il modo più efficace per valorizzare e proteggere il fenomeno minoritario ed in particolare, il suo patrimonio culturale nonché le sue tradizioni storiche (CurtottiNappi 2002: 123-124). Il principale strumento di comunicazione del processo penale è la lingua italiana la cui ampia espansione all’interno della comunità nazionale, fa pensare che essa sia la lingua più conosciuta dai protagonisti della vicenda giudiziaria. Non sempre, però, è così: anzi, oggi sono sempre più le persone coinvolte in un procedimento penale che non conoscono la lingua nazionale o non la conoscono così bene da affrontare l’intera dinamica processuale. In questi casi, la regola dell’uso obbligatorio della lingua italiana non riesce a perseguire i fini pratici, finendo per provocare insanabili fratture nella posizione del soggetto che non comprende o non parla l’italiano. Da qui l’esigenza di bilanciare gli interessi nazionalistici dello Stato con quelli dell’individuo. L’unico rimedio, idoneo a sanare lo svantaggio linguistico in cui le parti del processo potrebbero incorrere, è rappresentato dalla previsione dell’assistenza di un interprete e dalla predisposizione di efficaci garanzie per il suo adeguato svolgimento (Curtotti-Nappi 2002: 233-234). 3.2 L’INTEPRETE NEL PROCESSO PENALE ITALIANO Nell’ambito del procedimento penale italiano, l’autorità procedente nomina un interprete, ai sensi dell’articolo 111 della Costituzione Italiana e degli articoli 143 – 147 del c.p.p., qualora le parti coinvolte non conoscano la lingua ufficiale del processo, o qualora non la conoscano a sufficienza per affrontarlo adeguatamente. In particolare l’art. 143 è il più importante: 85 Art. 143 Nomina dell'interprete 1. L'imputato che non conosce la lingua italiana ha diritto di farsi assistere gratuitamente da un interprete al fine di potere comprendere l'accusa contro di lui formulata e di seguire il compimento degli atti cui partecipa. La conoscenza della lingua italiana è presunta fino a prova contraria per chi sia cittadino italiano. 2. Oltre che nel caso previsto dal comma 1 e dall'articolo 119, l'autorità procedente nomina un interprete quando occorre tradurre uno scritto in lingua straniera o in un dialetto non facilmente intellegibile ovvero quando la persona che vuole o deve fare una dichiarazione non conosce la lingua italiana. La dichiarazione può anche essere fatta per iscritto e in tale caso è inserita nel verbale con la traduzione eseguita dall'interprete. 3. L'interprete è nominato anche quando il giudice, il pubblico ministero o l'ufficiale di polizia giudiziaria ha personale conoscenza della lingua o del dialetto da interpretare. 4. La prestazione dell'ufficio di interprete è (http://www.pianetagratis.it/codicionline/codiceprocedurapenale/l24.htm obbligatoria accesso 30/12/2009). Tale nomina è motivata dalla necessità di garantire all’imputato che non capisce e/o non parla l’italiano, il diritto di comprendere le accuse contro di lui formulate e capire il procedimento al quale partecipa, nel rispetto del principio costituzionale dell’uguaglianza di ogni individuo davanti alla legge, in virtù del quale nessuno può essere discriminato su basi linguistiche o culturali (Longhi 2006). Lo scopo di questa tutela linguistica, che è gratuita, è quello di far sì che l’imputato sia presente, vale a dire parte attiva del processo e la cui piena comprensione è presupposto fondamentale per l’esercizio di una difesa consapevole e per lo svolgimento di un equo processo. Il diritto all’interprete nell’ambito di un processo penale costituisce quindi una condizione indispensabile per porre in essere un diritto fondamentale dell’imputato, quello alla difesa e alla parità fra le parti. Ogni imputato, sia egli cittadino italiano o straniero, cittadino italiano appartenente a minoranze linguistiche riconosciute o, infine, cittadino esclusivamente dialettofono, dovrebbe essere messo nelle stesse condizioni di un imputato italofono. Nonostante tale riconoscimento normativo, l’attuazione concreta della tutela linguistica, specie a favore dei soggetti stranieri, rimane contraddittoria per tre ragioni principali: 86 1) Il codice di procedura penale non distingue le competenze dell’interprete da quelle del traduttore, contrariamente a quanto avviene in ambito formativo e professionale; 2) L’incarico può essere conferito a chiunque sia ritenuto dall’autorità procedente capace di adempiere l’ufficio “bene e fedelmente”, come prescrive l’articolo 146 comma 2. Ciò significa che per la legge è auspicabile, ma non vincolante, nominare professionisti o persone in possesso di un diploma o di una laurea in interpretazione o traduzione; 3) La normativa nazionale e internazionale non impone che la lingua utilizzata nel procedimento sia la lingua madre della persona alloglotta, basta che essa le sia sufficientemente nota (Ballardini 2005: 169). La normativa in vigore nasconde altre lacune 1) il soggetto che presiede alla nomina dell’interprete; 2) le linee guida per valutare il grado di conoscenza della lingua italiana da parte dell’imputato e 3) i criteri che dovrebbero guidare l’accertamento dell’idoneità e delle competenze della persona nominata (Longhi 2006). Una prima grossa lacuna appare nell’articolo 143 al comma 2, che prevede la nomina di un interprete laddove si presenti la necessità di tradurre uno scritto in lingua straniera. Una seconda lacuna è presente nell’articolo 147, in cui si fa riferimento ai termini che l’interprete deve rispettare per la consegna delle traduzioni scritte. Neanche l’articolo 242, che regolamenta la traduzione di documenti e nastri magnetofonici, fa riferimento alla figura del traduttore, limitandosi a rimandare all’articolo 143. Per quanto riguarda il soggetto cui spetta la nomina dell’interprete, l’art. 143 comma 1, lo cita come “autorità procedente”, in passato solitamente identificato con il giudice che presiedeva il processo. Da alcuni anni, la giurisprudenza costituzionale ha tuttavia esteso il diritto alla tutela linguistica dalla fase processuale vera e propria all’intero procedimento, estendendo di conseguenza l’accezione stessa di autorità procedente (Longhi 2006). La normativa vigente, inoltre, non fornisce indicazioni precise né circa il grado minimo di competenza linguistica richiesto a un imputato, né circa la soglia oltre la quale si riveli necessaria un’assistenza linguistica in suo favore. Al tempo stesso, però, la normativa non suggerisce procedure specifiche volte a verificare la sua competenza 87 linguistica, né fissa parametri di riferimento per la valutazione della stessa. Nessuna normativa, inoltre, fornisce indicazioni circa i criteri di scelta e di nomina dell’interprete, al di là dell’art. 143, che tuttavia si limita a definire le caratteristiche che rendono un candidato interprete non idoneo, piuttosto che stabilire i prerequisiti che questi dovrebbe possedere per fornire un servizio di qualità. L’articolo 146 al comma 2 si limita a ricordare in modo sommario che l’autorità procedente: “ammonisce l’interprete sull’obbligo di adempiere bene e fedelmente l’incarico affidatogli, senz’altro scopo che quello di far conoscere la verità, e di mantenere il segreto su tutti gli atti che si faranno per suo mezzo o in sua presenza”. Infine, l’attuale formulazione della legge lascia intendere che l’incarico possa essere conferito a chiunque sia ritenuto capace di adempiere l’ufficio, indipendentemente dal titolo posseduto. Sono quindi evidenti le carenze di una definizione normativa. Secondo Longhi, autrice dell’articolo, una possibile soluzione nel tentativo di garantire un’assistenza linguistica di qualità dovrebbe passare in primo luogo attraverso il riconoscimento, normativo ed economico, della necessaria professionalità dell’attività di interpretazione in questo settore particolare, che implica competenze altamente specializzate e la capacità di svolgere compiti specifici, oltre che nettamente distinti da quelli di un traduttore (Longhi 2006). Secondo quanto sostiene Ballardini, le incoerenze presenti a livello normativo si ripercuotono sulla qualità dell’assistenza linguistica e quindi sull’efficacia difensiva dell’imputato. Inoltre, uno straniero che parla solo una lingua poco conosciuta, ha minori probabilità di usufruire di un’assistenza adeguata, data la difficoltà di reperire sul mercato professionisti in grado di lavorare con lingue rare e/o disposti a prestare il loro servizio in un ambito in cui i compensi in genere sono modesti e spesso del tutto sproporzionati all’impegno richiesto. Ne consegue che, di fronte all’obbligo di far assistere un alloglotta parlante una lingua di scarsa diffusione, il reperimento di un interprete qualificato rischia di essere impegnativo o oneroso e di conseguenza chi procede alla nomina dell’interprete, si trova spesso a dover scegliere fra due possibili alternative: 1) nominare un professionista freelance e capace di lavorare con una lingua internazionale largamente diffusa, che risulti sufficientemente nota allo straniero o 2) 88 affidare l’incarico ad un parlante la lingua nativa dell’imputato, se però possiede le competenze tecniche necessarie e conosca bastante l’italiano. In entrambi casi, siamo tuttavia lungi dal fornire all’imputato le stesse garanzie di un cittadino italiano (Ballardini 2005: 169-170). 3.3 IL PROFILO DELL’ INTERPRETE DI TRIBUNALE SECONDO LA CORTE COSTITUZIONALE La Corte oggi riconosce e apprezza l’attività dell'interprete che relaziona l'imputato non già con il giudice (tale è l’ausiliario del giudice), ma con il proprio difensore e ciò assume un’importanza enorme al fine di garantire l’effettiva conoscenza da parte dell'imputato del significato degli atti processuali ai fini della propria difesa (http://www.overlex.com/leggiarticolo.asp?id=1398 accesso 16/11/2009). La Corte richiede che, laddove il legislatore italiano ha preso in specifica considerazione la situazione dell'imputato che non conosce la lingua italiana, riconoscendo che egli ha diritto all’assistenza linguistica (art. 134 comma 1), deve necessariamente intendersi che la norma configura il ricorso all'interprete non come un puro strumento tecnico a disposizione del giudice per consentire o facilitare lo svolgimento del processo in presenza di persone che non parlino o non comprendano l'italiano, ma come oggetto di un diritto individuale dell'imputato, volto a consentirgli quella partecipazione cosciente al procedimento che é parte ineliminabile del diritto di difesa. La garanzia costituzionale del diritto di difesa comprende l’effettiva possibilità che la partecipazione personale dell'imputato al processo avvenga in modo consapevole, il che comporta l’effettiva possibilità sia di percepire, comprendendone il significato linguistico, le espressioni orali dell'autorità procedente e degli altri protagonisti del processo, sia di esprimersi a sua volta essendone percepito e compreso. La Corte ha costantemente affermato che "la peculiare natura del processo penale e degli interessi in esso coinvolti richiede la possibilità della diretta e personale partecipazione dell'imputato", onde l'autodifesa, ovvero “quel complesso di attività mediante le quali l'imputato é posto in grado di influire sullo sviluppo dialettico del processo", costituisce "diritto primario dell'imputato, immanente a tutto l' iter 89 processuale, dalla fase istruttoria a quella di giudizio" (http://www.overlex.com/leggiarticolo.asp?id=1398 accesso 16/11/2009). Se normalmente questi diritti dell'accusato sono resi effettivi attraverso la garanzia della possibilità di presenziare alle udienze e di esprimere le dichiarazioni che egli ritiene opportune, purché si riferiscano all'oggetto dell'imputazione e non intralcino il regolare svolgimento del processo, avendo per ultimo la parola, nonché attraverso la "facoltà di conferire con il proprio difensore tutte le volte che lo desideri, tranne che durante l'interrogatorio o prima di rispondere a domande rivoltegli", forme speciali di tutela sono richieste allorché l'accusato, a causa di sue particolari condizioni personali, non sia in grado di comprendere i discorsi altrui o di esprimersi essendo compreso. La più comune di tali condizioni é rappresentata dalla non conoscenza della lingua in cui si svolge il processo, ed é per questo che le norme delle convenzioni internazionali sui diritti prevedono espressamente fra i diritti dell'accusato quello di "farsi assistere gratuitamente da un interprete se non comprende o non parla la lingua usata in udienza". La Corte, escludendo che il traduttore possa essere ritenuto un semplice consulente di parte, ha esteso le garanzie riconosciute all'imputato anche per quanto riguarda le necessità dello stesso di capire e farsi capire dal proprio difensore avvalendosi dell'ausilio di un traduttore della propria lingua che può essere scelto tra le persone che conoscono e frequentano lo stesso imputato (http://www.overlex.com/leggiarticolo.asp?id=1398 accesso 16/11/2009). 3.4 INTERPRETE, PERITO O CONSULENTE TECNICO? In primo luogo occorre osservare come la normativa inquadra le figure professionali del perito e del consulente tecnico, al fine di rilevare somiglianze e differenze rispetto alla figura dell’interprete di tribunale (Longhi 2006). Va innanzitutto premesso che non esiste al momento un albo degli interpreti e dei traduttori. Pertanto questi, in ambito giuridico, confluiscono nell’Albo dei consulenti tecnici e dei periti, insieme con altre figure professionali appartenenti a categorie molto diverse (esperti in medicina e chirurgia, agricoltura, commercio, balistica, ecc.). Esistono due tipi di albo: uno tenuto presso il tribunale civile, chiamato “Albo dei 90 consulenti tecnici” e uno presso il tribunale penale, chiamato “Albo dei periti”. Per l’iscrizione all’Albo è richiesta una “speciale” competenza nella materia, che deve essere dimostrata con la presentazione di titoli e documenti che la attestino: è questo l’unico criterio previsto dalla normativa volto ad accertare la competenza del candidato. Un comitato presiede alla scelta degli iscritti e provvede alla revisione periodica dell’Albo, al fine di cancellare eventuali iscritti, per i quali sia venuto meno uno dei requisiti necessari o sia sorto un impedimento per l’esercizio di perito. Inoltre, una volta iscritto nelle liste del tribunale, il perito diventa automaticamente contattabile da parte dell’autorità senza ulteriori controlli. Bisogna poi ricordare che l’art. 67 prevede la possibilità di nomina di un perito non iscritto all’Albo, ne consegue che il ricorso all’Albo ai fini della nomina non è obbligatorio. Se l’iscrizione all’Albo non garantisce automaticamente la competenza dell’interprete, la sua non iscrizione la garantisce ancor meno (Longhi 2006). 3.4.1 IL PERITO La nomina di un perito è motivata dalla necessità del giudice di avvalersi di competenze tecniche specializzate che lui stesso non possiede in prima persona ma che gli sono indispensabili per accertare i fatti e formulare un giudizio, come regolamentato dall’articolo 220 comma 1 del c.p.p. La perizia, assume dunque un carattere di eccezionalità, dal momento che il perito viene nominato esclusivamente quando la sua presenza è necessaria per colmare una lacuna di competenze tecniche da parte dell’autorità, che deve pronunciarsi su questioni talvolta estremamente specialistiche. Ciò vuol dire che la perizia è giustificata solo in caso di necessità manifesta dell’autorità giudiziaria (Longhi 2006). L’apprezzamento della necessità o meno di un’indagine peritale è oggetto di valutazione discrezionale da parte del giudice, che preferibilmente, ma non necessariamente, sceglie fra i nominativi iscritti nell’apposito Albo. Tale necessità deve essere considerata anche nell’ottica delle parti, per le quali la perizia è una garanzia di giudizio tecnico qualificato, nonché di decisione corretta e ponderata da parte dell’autorità. Ciò non significa però che il perito sia un “giudice tecnico”, poiché la perizia, una volta acquisita al processo, non ha potere vincolante ai fini della 91 decisione dell’autorità, che la considera alla stregua degli altri elementi probatori, che vengono valutati, utilizzati, oppure non condivisi. In tal senso la perizia è un “mezzo di prova neutro” poiché, indipendente dalle parti, le quali dispongono del potere di nomina solo riguardo alla figura del consulente tecnico. Esse hanno infatti facoltà di nominare un consulente tecnico “di parte”, che assista alle operazioni del perito, ma non un perito “di parte”. Per ragioni di imparzialità e di conflitto di interessi, l’articolo 222 c.p.p. vieta che l’incarico di perito venga attribuito a chi sia già stato nominato consulente tecnico nell’ambito dello stesso processo o di un processo connesso. Il conferimento dell’incarico, che avviene tramite ordinanza del giudice (art. 224), consente al perito di intraprendere gli accertamenti necessari a rispondere per iscritto ai quesiti oggetto della perizia. Qualora lo ritenga necessario per lo svolgimento della perizia, il perito ha facoltà di chiedere al giudice il permesso di prendere visione degli atti e dei documenti acquisiti al dibattimento, nonché di richiedere informazioni all’imputato, alla persona offesa dal reato o ad altri (art. 228), fermo restando il vincolo di utilizzare tali notizie ai soli fini dell’accertamento peritale. La prestazione dell’ufficio di perito è obbligatoria (art. 221 comma 3), così come quella dell’interprete (art. 143 comma 4) e il rifiuto dell’incarico (art. 366), così come la falsa perizia o interpretazione, sono punibili (art. 373). Infine, il perito, oltre all’obbligo di prestare giuramento, deve attenersi al segreto circa gli atti conosciuti e formati nel corso della perizia (Longhi 2006). 3.4.2 IL CONSULENTE TECNICO La procedura penale identifica una differenza fondamentale fra perizia e consulenza tecnica: mentre la prima infatti è disposta dal giudice, la seconda dalle parti (Longhi 2006). L’art. 225 sottolinea la caratteristica “di parte” del consulente tecnico, che può essere nominato dal pubblico ministero per integrare le indagini peritali, o dalle parti private, a proprie spese, allo scopo di integrare l’attività della difesa. Il giudizio dei 92 consulenti di parte può contrapporsi a quello formulato sulla medesima questione da periti e consulenti del pubblico ministero. Il consulente tecnico è quindi chiamato a prestare la sua opera nel solo interesse della parte che l’ha nominato e pertanto non è tenuto a farsi carico dell’impegno di “obiettività”, previsto unicamente per i periti. Egli tuttavia è comunque vincolato al rispetto di determinati doveri professionali nei confronti della parte che lo ha nominato. I reati previsti (artt. 380 e 381) sono: 1) la collusione con la parte avversaria; 2) la prestazione contemporanea del patrocinio o della consulenza a favore di parti contrarie; 3) l’assunzione di patrocinio o consulenza della parte avversaria dopo aver assistito una parte e senza il consenso di quest’ultima. I consulenti tecnici partecipano all’iter di svolgimento della perizia sin dalla prima fase di formulazione dei quesiti da parte dell’autorità e anche alle operazioni peritali, con facoltà di proporre al perito indagini, così come di presentare riserve e osservazioni, che devono entrare a far parte della relazione peritale. Si potrebbe dire pertanto che il consulente tecnico esercita in alcuni casi una vera e propria funzione di controllo sull’attività del perito nominato dall’autorità, come regolamentato all’art. 230. Contrariamente a quanto accade per i periti, non vi sono vincoli normativi riguardo ai tempi di nomina dei consulenti tecnici, che possono essere nominati anche una volta conclusa la perizia. In tal caso, i consulenti hanno facoltà di esaminare la relazione peritale, nonché di richiedere al giudice di esaminare la persona, il luogo o l’oggetto della perizia, al fine di verificare, nell’interesse della parte che li ha nominati, la correttezza e l’affidabilità delle stesse indagini peritali (Longhi 2006). 3.4.3 E L’INTERPRETE? Vediamo ora nel dettaglio quali sono i punti di contatto e le differenze delle due figure succitate con l’interprete. L’autrice ci ha precedentemente detto che il perito viene nominato dal giudice per ovviare a una situazione di disagio, dovuta alla necessità di avvalersi di competenze altamente specializzate, indispensabili alla valutazione di un fatto che concorre a 93 formare il giudizio. E’ fondamentale dunque la comprensione linguistica di quanto affermato al fine di valutare i fatti (Longhi 2006). Per tale motivo è stato suggerito in passato un accostamento della figura dell’interprete a quella del perito, partendo dalla constatazione che l’interpretazione costituisce una rappresentazione di dichiarazioni originariamente prodotte in un linguaggio inintelligibile, ossia che l’interprete rappresenta un fatto, le dichiarazioni altrui, la cui percezione da parte degli altri attori del processo passa necessariamente per la mediazione della sua esperienza. Vale a dire che l’interprete è chiamato a svolgere una funzione peritale laddove l’autorità procedente si avvale delle sue competenze linguistiche, per la comprensione di quanto affermato dall’imputato o da eventuali testimoni alloglotti. Il Codice di procedura penale assimila le due figure anche per quanto riguarda i presupposti della nomina. Entrambe sono infatti nominate dall’autorità in virtù del loro possesso di conoscenza non comuni, indipendentemente dalle competenze personali e occasionali del giudice e del pubblico ministero (art. 143). In pratica, l’interprete, in nome del principio del giusto processo, agisce nell’interesse delle parti e il diritto all’assistenza linguistica non può essere negato in virtù di una particolare “capacità culturale” del giudice, del PM o della polizia giudiziaria. Altri elementi che avvicinano la figura dell’interprete a quella del perito sono: 1) la procedura di nomina e notifica (artt. 143 e 146; artt. 221 comma 1 e 224 comma 1); 2) l’obbligatorietà dell’ufficio (artt. 143 comma 4 e 221 comma 3) e 3) le cause di incapacità e incompatibilità (artt. 144 e 145; art. 222). Per quanto riguarda infine il modo in cui deve essere compiuto l’ufficio, l’interprete è, come si è detto, ammonito dall’autorità a svolgere “bene e fedelmente” l’incarico (art. 146 comma 2). Allo stesso modo, il Codice di procedura penale prevede sanzioni per il perito che svolge negligentemente l’ufficio per cui è stato nominato (art. 231). Da questo punto di vista, l’interprete e il perito sono accomunati anche dalla scarsa precisione con cui la legge definisce criteri di valutazione per l’operato di entrambi (Longhi 2006). Per quanto riguarda invece la figura del consulente tecnico, è opportuno ricordare che in ambito penale, tale figura appartiene al campo d’interesse della difesa. 94 Egli è cioè nominato dalle parti tramite i difensori, allo scopo di integrare la loro attività, nonché per assistere alle diverse fasi della perizia, sempre nell’interesse della parte che lo ha nominato. Questo aspetto sembrerebbe quindi avvicinare il consulente tecnico non tanto all’interprete nominato dall’autorità procedente, quanto all’interprete “di parte”, nominato appunto dalle parti, cui è contrattualmente vincolato. Egli entra così a far parte del collegio della difesa e può perciò essere qualificato come un “difensore tecnico”, rispetto al quale hanno facoltà di nomina tutte le parti che vi hanno interesse, in virtù del diritto di contraddittorio rispetto all’indagine condotta dal perito, nel nostro caso l’interprete, nominato dal giudice. Da un lato, quindi, l’interprete d’ufficio sembra effettivamente assimilabile alla categoria dei periti; dall’altro, l’interprete “di parte” sembra svolgere un ruolo più simile a quello di un consulente tecnico. Tornando all’accostamento interprete – perito – consulente tecnico, nonostante vi siano, nell’attuale disciplina, diverse sovrapposizioni, non si può affermare che i loro ruoli siano del tutto assimilabili, perché in realtà nell’economia del processo penale, essi costituiscono “strumenti” ben distinti. La differenza più palese, confermata anche dalla sistemazione di tali figure all’interno del Codice di procedura penale in vigore, è che l’interpretazione e la traduzione non costituiscono un’attività relativa alla prova, mentre la perizia è considerata un mezzo di prova. Al di là della normativa vigente, appare evidente che l’interpretazione dovrebbe essere ritenuta un’attività altamente specialistica, alla pari di un’attività peritale. Purtroppo in Italia, a differenza di quanto avviene in altri Paesi, lo statuto dell’interprete di tribunale oggi è quello di una figura solo accessoriamente professionale, che non solo non è distinta da quella del traduttore, che a sua volta dovrebbe essere dotata di competenze specifiche, ma neanche dai semplici “cultori” della lingua, i quali solo raramente possiedono le abilità e le conoscenze di un professionista (Longhi 2006). 3.5 IL TRADUTTORE DI TRIBUNALE E’ opinione largamente diffusa identificare il traduttore di tribunale con il traduttore giuridico, ma tale identificazione non è del tutto vera. Da un lato, infatti, egli raramente 95 traduce testi di diritto puro; dall’altro, deve conoscere molto bene il diritto civile e penale e le relative norme processuali, per operare efficacemente nell’ambito dell’amministrazione della giustizia (Alimenti 1999: 1). Inoltre deve possedere grande maturità ed equilibrio poiché la violazione del codice etico, nel suo caso, può generare effetti devastanti, investendo la libertà delle persone, l’assetto economico, i rapporti internazionali, ecc. Il traduttore lavora in tribunale o per andare ad asseverare una traduzione commissionatagli da un cliente privato o per effettuare un interpretariato o una traduzione su incarico di un’autorità giudiziaria, nella veste di perito. In entrambi i casi, il lavoro può basarsi su differenti materie, anche molto lontane fra loro, pertanto la professionalità del traduttore deve essere il più possibile eterogenea. Il traduttore di tribunale si potrebbe in tal senso definire un vero e proprio “traduttore tecnico universale”. Infine, sotto il profilo giuridico, egli fa parte della più generale categoria degli interpreti e dei traduttori liberi professionisti, i quali aggiungono questa particolare attività alla loro ordinaria attività libero-professionale ed assumono la veste dei traduttori solo ai fini dello svolgimento dell’incarico ricevuto. Presso ogni tribunale civile esiste, come già detto, un Albo dei consulenti tecnici nel quale sono iscritti anche i traduttori e gli interpreti. Vengono definiti “ausiliari”, ovvero quei soggetti che cooperano di volta in volta con il giudice, su richiesta dello stesso, nello svolgimento di specifici incarichi di giustizia. Per entrare a far parte dell’Albo è necessario iscriversi compilando una domanda rivolta ad un’apposita commissione del tribunale, che per l’ammissione valuta i titoli di studio e professionali del candidato. Possono iscriversi anche i cittadini stranieri. Le iscrizioni variano notevolmente da città a città (Alimenti 1999: 1-2). La legge 4 gennaio 1968, n. 15, “Norme sulla documentazione amministrativa e sulla legalizzazione e autenticazione di firme”, dispone all’articolo 17 che agli atti e documenti formati all’estero dalle autorità locali e da valere legalmente in Italia, redatti in lingua straniera, deve essere allegata una traduzione in lingua italiana, certificata conforme al testo originale da un traduttore ufficiale che assevera la traduzione, con giuramento, dinanzi ad un cancelliere o un notaio. Nella pratica anche chi non è iscritto all’Albo del tribunale può giurare una traduzione. Viene così vanificata la finalità stessa 96 dell’Albo dei consulenti tecnici, relativamente ai traduttori e agli interpreti, dando origine ad un’incoerenza che i traduttori lamentano da tempo. Le traduzione giurate vengono assimilate, in assenza di uno specifico regolamento normativo alle perizie giurate extragiudiziali e alla normativa vigente in materia di periti. Sul piano pratico, esse vengono effettuate mediante cartelle di 25 righe, 50 battute a riga, ossia sul foglio protocollo uso bollo (Alimenti 1999: 3-4). 3.5.1 NORME GENERALI Dal giuramento di traduzioni di atti e documenti che il traduttore può effettuare su richiesta di qualsiasi cliente privato, per differenti fini legali, si devono distinguere le operazioni eseguite da traduttori ed interpreti su richiesta di un’autorità giudiziaria. Nel primo caso, il traduttore opera in ambito privatistico ed extragiudiziale, nel secondo opera in ambito privatistico e processuale. Un terzo caso è quello dell’interprete-traduttore di parte. Con la parte con la quale ha ricevuto l’incarico, egli è legato da un vincolo contrattuale, che trova la sua regolamentazione nelle norme del diritto civile (Alimenti 1999: 4). Il codice di procedura civile contiene le seguenti disposizioni: Art. 122 (Uso della lingua italiana - Nomina dell'interprete) In tutto il processo è prescritto l'uso della lingua italiana. Quando deve essere sentito chi non conosce la lingua italiana, il giudice può nominare un interprete. Questi, prima di esercitare le sue funzioni, presta giuramento davanti al giudice di adempiere fedelmente il suo ufficio. Art. 123 (Nomina del traduttore) Quando occorre procedere all'esame di documenti che non sono scritti in lingua italiana, il giudice può nominare un traduttore, il quale presta giuramento a norma dell'articolo precedente. 97 Il nuovo codice di procedura penale contiene analogamente come già detto un apposito Titolo sulla traduzione degli atti durante il processo (artt. 143-147) (Alimenti 1999: 4-5). L’articolo 61 c.c.p. estende all’indagato straniero tutte le garanzie assicurate all’imputato, pertanto egli ha diritto all’assistenza di un interprete. Ciò comporta la nomina e la presenza dell’interprete, oltre che in udienza, anche in carcere, durante il primo interrogatorio da parte del magistrato. Il codice di procedura penale, a differenza di quello civile, il quale distingue fra interprete e traduttore, fa riferimento solo all’interprete per indicare la persona chiamata a tradurre una dichiarazione orale, ma anche scritta. Infine, occorre ricordare che l’interprete-traduttore di tribunale lavora anche nel campo delle intercettazioni telefoniche, sia in prima battuta, ovvero su incarico del pubblico ministero ed in tal caso diventa un “ausiliario di polizia giudiziaria” e va ad espletare il suo servizio in sala intercettazioni, sia in seconda battuta, cioè nella forma di una consulenza o di una perizia affidatagli da un GIP o dal tribunale (Alimenti 1999: 7). 3.5.2 OBBLIGHI DEL TRADUTTORE-INTERPRETE DI TRIBUNALE La prima questione da affrontare in questa sezione riguarda la notifica. Poiché il perito e quindi l’interprete-traduttore è un collaboratore, essa può avvenire in vari modi, non essendo previste norme specifiche di tipo formale come avviene ad esempio per l’imputato. Come nel processo civile, anche in quello penale, la prestazione d’ufficio di interprete è obbligatoria (Alimenti 1999: 8). Una volta giunta la notifica, l’incarico è infatti irrinunciabile, a pena di sanzioni pecuniarie o eventualmente anche penali. Un’eventuale rinuncia deve essere comunicata al primo contatto, quando si chiede all’interprete se è disponibile o meno, ma non dopo l’avvenuta notifica dell’incarico. E anche in questo caso, la rinuncia deve essere motivata da un serio impedimento. Inoltre, se ci si avvale di collaboratori, essi devono essere indicati nominativamente prima della nomina perché occorre l’autorizzazione. I collaboratori 98 non possono trovarsi in situazione di incompatibilità. Responsabile del loro lavoro è il traduttore o l’interprete in prima persona. I codici prevedono una precisa serie di incapacità e incompatibilità per l’ufficio di interprete (art. 144 c.c.p.) aventi come effetto la nullità dell’atto (Alimenti 1999: 8). Per quanto riguarda le incompatibilità, a volte questa si verifica senza che l’interprete se ne accorga, ad esempio in carcere o in udienza, egli dovrà limitarsi a tradurre solo per il giudice quando questi parlerà con l’imputato o con l’avvocato e viceversa, ma non potrà mai intervenire a difesa delle parti. Se il perito superasse questo limite, diventerebbe “interprete di parte” e potrebbe essere rimosso dall’incarico per sopravvenuta incompatibilità. L’interprete o traduttore può anche essere ricusato. Sono più o meno le stesse condizioni che permettono la ricusazione del giudice: se ha legami di qualunque genere con una delle parti, se ha con loro rapporti di debito o credito, se è conoscente o amico di una delle parti. Quando non vi sono tali motivi di ricusazione, ma esistono quelli che vengono chiamati motivi “gravi”, l’interprete può dichiarare di volersi astenere. Di solito la volontà di astensione viene accettata. Mentre la ricusazione viene invocata da una delle parti, l’astensione è ad iniziativa dell’interprete. Prima di decidere sulla ricusazione, il perito viene sempre ascoltato (Alimenti 1999: 9). Per le traduzioni poi sussiste il problema del termine del deposito della relazione. Generalmente si raggiunge un compromesso fra i tempi strettissimi che chiede l’autorità giudiziaria e quelli che propone il traduttore. Se la traduzione non viene depositata entro i termini stabiliti, il perito può essere sostituito e perde il diritto di compenso. Tale sostituzione è però facoltativa, non obbligatoria. Se alla scadenza non viene consegnata la traduzione e il traduttore non viene sostituito, questi deve comunque presentare la traduzione scritta, senza ritorsioni sul piano processuale. Il traduttore ha tuttavia la possibilità di chiedere una proroga, per motivi particolari, appena viene a conoscenza di questi e comunque prima della scadenza. La richiesta deve essere motivata e di solito viene concessa. Se non viene accolta, il traduttore può anche in questo caso essere sostituito. Uno dei motivi legittimi di concessione della proroga può essere ad esempio l’accorgersi, alla lettura del testo, della sua complessità o lunghezza (Alimenti 1999: 10). 99 Le relazioni peritali, fra cui le traduzioni, devono essere effettuate con lo stesso sistema con cui si fanno tutti gli atti processuali. In particolare, non devono esservi cancellazioni o, se ci sono, devono essere leggibili la parola cancellata e quella sostituita. Nel processo civile, il consulente tecnico giura, mentre nel processo penale, l’interprete si obbliga ad adempiere bene e fedelmente l’incarico ricevuto, senza altro scopo che quello di far conoscere la verità e a mantenere il segreto su tutti gli atti che si faranno per suo mezzo o in sua presenza. E’ necessario poi sottoscrivere l’interpretariato o la traduzione , perché nel momento della sottoscrizione l’interprete si assume automaticamente la responsabilità. Per quanto riguarda il reato di falsa perizia o interpretazione (artt. 373-375-376 e 384 c.p.p.), esso è un reato contro l’amministrazione della giustizia. E’ necessario però accertare la consapevole falsificazione della verità, allo scopo di indurre in errore il giudice. Per esserci il reato di falsa perizia occorre il cosiddetto dolo specifico, finalizzato a confondere il giudice (Alimenti 1999: 11-12). 3.5.3 I COMPENSI I compensi dei traduttori e degli interpreti per le operazioni eseguite a richiesta dell’autorità giudiziaria si basano sul sistema delle vacazioni; sono modesti e risultano disciplinati dalla legge 8 luglio 1980, n. 319, dal DPR 27 luglio 1988, n. 352 e dal Decreto del Ministro di grazia e giustizia del 5 dicembre 1997, che ha adeguato gli onorari al costo della vita (Alimenti 1999: 12). In particolare il DPR 352, pur citando nel titolo gli interpreti e traduttori, non ha dettato per loro alcuna disciplina specifica. In mancanza di una disposizione ad hoc, sembra necessario far ricorso alla normativa generale dettata dall’articolo 4 della legge 139 secondo cui, quando non è possibile applicare i compensi stabiliti nelle tabelle giudiziarie, gli onorari vengono determinati in base alle vacazioni, quindi in relazione al tempo impiegato per prestare il proprio servizio. 100 La legge 319/80 contiene inoltre due norme (art. 4, comma 3 ed art. 5) che permettono di aumentare, a volte, il compenso: Art 4. 3 L'onorario per la vacazione può essere raddoppiato quando per il compimento delle operazioni è fissato un termine non superiore a cinque giorni: può essere aumentato fino alla metà quando è fissato un termine non superiore a quindici giorni. Art 5. Aumento degli onorari Per le prestazioni di eccezionale importanza, complessità e difficoltà gli onorari possono essere aumentati fino al doppio. Di regola viene concesso il beneficio o dell’una o dell’altra norma, ma accade che vengano sommati i due benefici, per lavori urgenti o difficoltà. Per quanto riguarda il lavoro di traduzione, le vacazioni si calcolano contando il numero delle pagine, si moltiplica poi per una tariffa accettabile, si divide il compenso previsto a vacazione dalla legge e si otterrà il numero delle vacazioni da chiedere al magistrato nella richiesta di liquidazione. Infine, precisiamo che esiste la possibilità di fare ricorso contro la liquidazione del compenso: dopo che l’autorità giudiziaria ha notificato all’interprete quanto lo ha pagato, questi può fare opposizione nei venti giorni, obbligatoriamente di fronte al tribunale civile (Alimenti 1999: 12-13). 3.6 LE TENICHE DI INTEPRETAZIONE E LE SITUAZIONI COMUNICATIVE IN TRIBUNALE La scelta delle tecniche da utilizzare nel processo penale dipende fondamentalmente dall’ambiente di lavoro e dalle caratteristiche del processo. La modalità più diffusa è la consecutiva ed in particolare la consecutiva breve, simile all’interpretazione di liaison (Ballardini 2005: 170). In Italia, le aule di tribunale non sono generalmente attrezzate per la simultanea, la quale appare soprattutto nella forma di chuchotage e solo dall’italiano verso la lingua straniera. Tale tecnica è di difficile realizzazione nelle condizioni acustiche spesso 101 pessime delle aule e dei locali in cui si lavora, pertanto spesso si traduce in uno chuchotage riassuntivo. Essa risulta totalmente inefficace quando sono presenti in aula più imputati contemporaneamente o parlanti lingue diverse tra loro. Spesso poi lo chuchotage non è tollerato dal giudice, il quale preferisce che l’interprete lavori ad alta voce e in consecutiva in modo da non disturbare lo svolgimento del processo. Può capitare poi che durante per esempio un interrogatorio, l’interprete sia costretto ad effettuare una traduzione ad alta voce del tipo simultanea senza impianti o supporti tecnici. Infine, si ricorre alla traduzione a vista per tradurre un documento scritto in italiano o in una lingua straniera ad esempio un verbale di interrogatorio, un certificato medico, una perizia, un documento acquisito agli atti, ecc. Per quanto riguarda le principali situazioni comunicative cui può applicarsi l’articolo 143, esse sono quelle 1) dell’assunzione di sommarie informazioni e dell’interrogatorio nel corso delle indagini preliminari; 2) dell’udienza di convalida del fermo; 3) dell’udienza preliminare e 4) dell’udienza dibattimentale (Ballardini 2005: 170-171). L’interprete può inoltre essere chiamato ad intervenire quando il soggetto alloglotta esercita il diritto di chiedere un incidente probatorio, formulando deduzioni scritte, assistendo agli esami e, con il permesso del giudice, ad ogni altro incidente. Egli può anche prestare assistenza all’imputato che si avvale del diritto di consultare il fascicolo del dibattimento in seguito alla pronuncia del decreto che dispone il giudizio, o che intende rendere dichiarazioni spontanee in dibattimento, sottoporsi a esame, esercitare il diritto ad avere l’ultima parola al termine della discussione finale e infine, il diritto di appellare la sentenza. Vi è poi il caso particolare dell’intervento dell’interprete nella comunicazione tra l’avvocato e l’imputato al di fuori dell’udienza, ovvero in circostanze ove l’autorità giudiziaria non se ne fa in alcun modo carico. Va ricordato che, non tutti i processi penali, implicano tutte le situazioni comunicative di cui si è parlato. Il codice, infatti, allo scopo di snellire l’iter dei processi ritenuti meno importanti, prevede una serie di riti speciali, detti deflativi, che permettono di evitare alcune costose e lunghe fasi del procedimento ordinario quali l’udienza preliminare, il dibattimento o entrambe. Gran parte dei processi che 102 coinvolgono gli stranieri si svolge proprio seguendo questi riti atipici. Il 40% sono patteggiamenti e giudizi abbreviati, applicati quando vi è flagranza di reato, vi sono poi il giudizio direttissimo, il giudizio immediato e il procedimento per decreto (Ballardini 2005: 171-172). 3.6.1 LE COMPETENZE LINGUISTICHE E TECNICHE DELL’INTERPRETE DI TRIBUNALE Sarebbe raccomandabile per l’interprete conoscere, a grandi linee, il diritto penale dei paesi in cui sono in uso le sue lingue di lavoro ed in particolare il funzionamento del procedimento italiano in tutte le sue articolazioni. È fondamentale poi conoscere il linguaggio giuridico italiano, con le formulazioni retoriche, argomentative, sintattiche, semantiche, discorsive, le sue differenze di stile e di registro, le sue implicazioni pragmatiche, sociolinguistiche e culturali. Conoscere la terminologia implica in particolare un enorme impegno (Ballardini 2005: 172-173). Un’ipotesi per la formazione di base potrebbe essere quella di considerare i reati più spesso contestati ai cittadini stranieri, che pertanto richiedono maggiormente la figura dell’ interprete. La preparazione in questo ambito non deve consistere tuttavia in una semplice memorizzazione di vocaboli e delle corrispondenti traduzioni, ma bisogna sempre tener presente il piano concettuale, a fronte anche di un’evidente asimmetria tra i vari sistemi giuridici. Le lingue che si possono affiancare all’italiano sono chiaramente illimitate. Attualmente, considerando i paesi di origine delle persone coinvolte in un processo penale in Italia, le lingue più richieste sono: l’arabo, l’albanese, il rumeno, l’inglese, il francese, lo spagnolo, il serbo, il croato, il macedone e il cinese. Tra queste, l’inglese e il francese possono essere considerate dall’autorità procedente sufficientemente note a un numero significativo di stranieri provenienti da paesi di ex colonie, o nei quali vige un bi- o plurilinguismo (Ballardini 2005: 173). L’articolo 147 comma 2, recita: “l’autorità procedente nomina un interprete quando occorre tradurre uno scritto in lingua straniera o in dialetto non facilmente intelligibile ovvero quando la persona che 103 vuole o deve fare una dichiarazione non conosce la lingua italiana. La dichiarazione può essere fatta per iscritto e in tal caso è inserita nel verbale con la traduzione eseguita dall’interprete”. L’incoerenza normativa ha avuto in anni recenti risvolti positivi ai fini dell’applicazione della tutela presa in esame, attraverso l’ampliamento del campo di intervento dell’interprete: infatti, con la sentenza n. 10 del 12-19 gennaio 1993, la Corte Costituzionale ha esteso il diritto all’assistenza linguistica dai soli atti orali a tutti gli atti scritti, al fine di agevolare la persona non italofona nel preparare un’adeguata difesa. Si tratta di una serie di atti: 1) l’informazione di garanzia; 2) l’invito a presentarsi; 3) la richiesta di rinvio a giudizio; 4) la notificazione dell’imputato straniero; 5) la notificazione dell’imputato straniero residente o dimorante all’estero; 6) il decreto di giudizio immediato, che devono essere necessariamente notificati all’imputato in una lingua a lui nota, affinché possa comprendere la natura dei fatti a lui addebitati e predisporre tempestivamente la sua difesa, o possa usufruire di importanti diritti garantiti dalla normativa (Ballardini 2005: 173-174). In italiano devono essere tradotti tutti gli atti scritti ab externo rispetto al procedimento penale che sono ammissibili anche se redatti in lingua straniera, per esempio la denuncia, il referto, la querela, l’istanza e la richiesta di procedimento e documenti vari. Inoltre devono essere accompagnate da una traduzione in italiano anche le domande provenienti da un’autorità straniera nonché i relativi atti e documenti. Un caso a parte è quello delle rogatorie internazionali e quello della traduzione delle intercettazioni telefoniche, laddove è particolarmente sentita l’esigenza di un forte rapporto di fiducia fra autorità procedente e il perito incaricato (Ballardini 2005: 174). Secondo quanto sostiene Mikkelson in ambito anglosassone, ma che per estensione sarebbe auspicabile anche per il contesto italiano, ogni interprete nel suo lavoro dovrebbe dotarsi di: • un dizionario monolingue generale di ciascuna delle lingue di lavoro; • un dizionario bilingue generale di ciascuna delle combinazioni linguistiche utilizzate; • un dizionario monolingue di ambito legale di ciascuna delle lingue di lavoro; 104 • dizionari bilingue di ambito legale di ciascuna delle combinazioni linguistiche utilizzate; • glossari specializzati monolingue e plurilingue su argomenti rilevanti per il tribunale; • testi legali, per esempio codici civili e penali di ciascuna delle lingue di lavoro; • tesauri, manuali stilistici, grammatiche e dizionari di sinonimi ed antonimi, di frasi e collocazioni, gergali, di proverbi e regionalismi in ciascuna delle lingue di lavoro; • periodici di interesse generale, ad esempio giornali e riviste in ciascuna delle lingue di lavoro (Mikkelson 2000: 89). Una delle maggiori difficoltà per l’interprete di tribunale è costituito dai molteplici piani di traduzione: l’interprete trasmette e riceve dall’imputato un linguaggio semplice, spesso frammentato e confuso, poiché può succedere che egli sia privo di istruzione ed in uno stato di forte emotività, ma in carcere o in udienza il perito a sua volta dovrà esprimersi nella terminologia giuridica prevista dalla legge per quella particolare sede ed inoltre sarà costretto a parlare, per esigenza di trascrizione, direttamente in prima persona (Alimenti 1999: 13). Così alla traduzione linguistica, si aggiungono una traduzione terminologica vincolata ed anche una traduzione psicologica. A queste difficoltà bisogna aggiungere il fatto che i processi possono durare per delle ore senza interruzione e sono al loro interno fisiologicamente conflittuali. Non sono previste sostituzioni con altri interpreti, né si usufruisce di cabina come per la simultanea. Inoltre non si tratta neanche di una vera e propria consecutiva, poiché non si ha il tempo di prendere appunti. La tecnica migliore è quella di chiedere che le frasi siano brevi, traducendole poi come se si fosse in simultanea. 3.6.2 ATTITUDINI DELL’INTERPRETE DI TRIBUNALE Un punto importante è quello relativo ad una forte resistenza fisica e psicologica, cui deve accompagnarsi un grande spirito di adattamento (Alimenti 1999: 16). 105 Per quanto riguarda la resistenza fisica, potrà succedere che l’interprete, convocato di primo mattino, cominci a lavorare nel pomeriggio, in condizioni non ottimali, non avendo spesso un posto per sedersi vicino all’imputato. A volte i processi durano ore, con sovrapposizioni di voci e senza interruzioni, in un’atmosfera molto tesa. Per quanto riguarda invece la resistenza psicologica, non sempre purtroppo si è trattati con rispetto dai partecipanti del processo. Spesso poi l’interprete è il primo ed unico legame dell’imputato straniero con l’imputato straniero e capita che egli si attacchi disperatamente all’interprete come ad un’ancora di salvezza, il che è psicologicamente molto impegnativo. Infine doti quali la versatilità, la prontezza, l’adattamento sono indispensabili (Alimenti 1999: 16-18). 3.7 LA DEONTOLOGIA PROFESSIONALE: L’ITALIA E IL SUO CODICE AITI Partiamo dalla constatazione che l’etica è un insieme di norme di vita cui attenersi nei comportamenti individuali, così come nelle relazioni all’interno della società. E’ un sistema di valori condivisi. La deontologia, dunque, non è la morale o la buona condotta, ma è qualcosa in cui credere e un modo d’essere. Riflettere sulla deontologia significa aprirsi al confronto con la comunità professionale di riferimento (Sambataro 2008)8. La dimensione etica è centrale nello svolgimento dell’attività professionale del traduttore e dell’interprete. Il tema della deontologia ha una valenza oltre che professionale, civile e morale e si colloca all’interno della tradizione associativa della FIT e dell’AITI, che si sono sempre ispirate a principi che coinvolgono l’essenza stessa delle professioni del traduttore e interprete, improntando le loro azioni ai valori fondamentali e perseguendo l’obiettivo ultimo della dignità umana. La professione di traduttore e interprete pur riconosciuta dall’ordinamento giuridico italiano, è rimasta tra le professioni giuridiche non regolamentate. La sua regolamentazione è lasciata al libero mercato e all’autoregolamentazione. Ciò pur 8 “Deontologia professionale: coordinate di orientamento del professionista/traduttore e/o interprete Autoregolamentazione e libero mercato”. Relazione a cura della dott.ssa Elena Sambataro presentata in occasione del CONGRESSO INTERNAZIONALE AITI 2008 “La professione del Traduttore e dell’interprete: deontologia, qualità e formazione permanente”. Bologna 6-7 giugno 2008. 106 essendo in linea con le direttive europee sulla libera concorrenza, dall’altro non fornisce a queste professioni adeguata protezione contro il grave fenomeno della concorrenza sleale e dell’intermediazione delle Agenzie di traduzione. L’AITI a livello nazionale come la FIT a livello mondiale si sono dotate da molto tempo degli strumenti tipici delle professioni intellettuali ed hanno sempre cercato di salvaguardare la dignità delle professioni che rappresentano. L’AITI già nel suo statuto, nelle varie stesure succedutesi nel tempo, ha avuto la consapevolezza della funzione della deontologica per ordinare i comportamenti del professionista definendo gli standards di condotta. A tal fine si è dotata di un codice deontologico che salvaguardi gli interessi dei professionisti e degli utenti, fornendo un’indicazione generale sui comportamenti idonei ad una pratica eticamente corretta e dando un’immagine prototipa del traduttore e dell’interprete professionista. Quando si parla di professionista o di professione si richiama il concetto di professionalità che ha un significato più complesso ed è l’essenza delle professioni intellettuali. L’esercizio di una professione riveste i caratteri della professionalità quando poggia sui seguenti parametri: Formazione, Organizzazione, Deontologia. Altri parametri da tenere in considerazione: 1) la specificità, ovvero l’individuazione dei profili professionali dei traduttori e degli interpreti; 2) l’attinenza dell’interesse pubblico; 3) la rispondenza alla qualità sia a livello nazionale che a livello internazionale, per adeguarsi ai parametri europei e mondiali. Il professionista deontologicamente corretto è colui che è pronto al confronto e alla collaborazione, capace di autocritica, sa mettersi in discussione, conosce i propri limiti e li accetta, ma soprattutto sa quali sono le sue competenze specifiche. I valori cui deve riferimento la condotta del traduttore e dell’interprete nella vita di relazione sono: 1) decoro; 2) correttezza; 3) lealtà; 4) diligenza. Tali aspetti comportamentali comuni a tutti i codici deontologici, rischiano di essere un puro elenco di luoghi comuni deontologici, se il traduttore o l’interprete non hanno la consapevolezza di contribuire al prestigio della professione. Il codice deontologico AITI ha cercato di chiarire l’immagine pubblica del traduttore e dell’interprete, ha voluto essere una guida, uno strumento di tutela reciproca. 107 Per quanto riguarda l’applicazione e i destinatari dell’attività professionale, la condotta deontologica va esaminata in relazione ai rapporti con: 1) L’Autorità costituita; 2) I committenti; 3) I colleghi; 4) Le altre Associazioni di categoria. I rapporti con l’Autorità implicano doveri generali di osservanza, delle disposizioni di privacy, l’adempimento degli obblighi previdenziali e fiscali, il divieto di prestare lavoro nero, l’obbligo di corrette fatturazioni e di collaborazione, ecc. I rapporti con i committenti prevedono la tutela del rapporto fiduciario. Altro dovere è l’indipendenza e l’autonomia professionale. I rapporti con i colleghi prevedono una deontologia basata sulla lealtà, di cooperazione, di disponibilità tra professionisti, di correttezza di rapporti. Oltre ai doveri, la deontologia richiede anche che il professionista sia consapevole dei suoi diritti e ne ottenga il rispetto. Tali diritti sono: 1) La formalizzazione del contratto che deve definire le richieste del committente, la o le lingue da utilizzare, le modalità e i tempi di esecuzione, la firma del committente, i tempi di ritiro e di consegna (nel caso delle traduzioni), le condizioni generali, la gestione del contenzioso, la misura del compenso, le modalità di fatturazione, le modalità e le condizioni per l’annullamento del contratto; 2) Pretendere all’atto del conferimento dell’incarico tutto il materiale informativo utile alla buona esecuzione del lavoro; 3) Pretendere una strumentazione tecnica conforme alle norme ISO. Questa riflessione portata avanti dalla dott.ssa Sambataro pare molto utile a chi scrive per riflettere sul fatto che, le difficoltà nell’affrontare un mercato molto spietato e nel sopportare la concorrenza sleale dei colleghi o delle Associazioni di categoria, derivano dall’assenza di norme di etica professionale. 108 3.7.1 NORME ETICHE A monte del decalogo delle norme etiche vi è l’obbligo del segreto. L’interpretetraduttore è tenuto al segreto professionale su tutti gli atti che si fanno per suo mezzo o in sua presenza. Tale norma significa che destinatari della conoscenza sono unicamente il magistrato che ha conferito l’incarico ed eventualmente i suoi più stretti collaboratori (Alimenti 1999: 14). Al traduttore è vietato mantenere nel suo archivio copie degli atti prodotti attinenti al processo penale, inoltre gli viene spesso richiesto di consegnare in cancelleria un dischetto contenente il lavoro svolto. Il primo dovere è quello scrupolosa fedeltà. Non bisogna enfatizzare quanto detto allo straniero o al contrario sminuirne il significato, omettendo qualche frase. Un errore in cui incorrono molti interpreti è quello di far parlare a lungo l’imputato o il testimone, per poi riportare soltanto un riassunto. L’interprete di tribunale deve invece sempre ricordare che una frase che lui giudica insignificante può rivelarsi in un secondo momento molto importante. Egli non può aggiungere né togliere nulla. Ciò vale in particolare per gli interrogatori in carcere da parte del pubblico ministero. Poiché egli deve procedere ad una ricostruzione dettagliata e completa dei fatti, l’interrogatorio viene obbligatoriamente registrato e si procede anche ad una verbalizzazione in sintesi, su dettatura del giudice. Anche in questo caso vale l’obbligo di fedeltà. Oltre quindi al suo lavoro di interpretazione, l’interprete dovrà prestare attenzione a quanto il magistrato sta dettando. Un secondo dovere è quello dell’imparzialità. L’interprete durante il processo non è né avvocato né giudice. Ciò che vorrebbe dire perché mosso da empatia non corrisponde sempre a ciò che dovrebbe fare professionalmente. Tale tentazione è molto forte ed è alimentata dal fatto che, durante un processo, l’interprete è circondato da “cultori del diritto”, la cui visione è fredda (Alimenti 1999: 14-15). Un terzo dovere è rappresentato dal far valere i propri diritti. L’interpretetraduttore è parte integrante del processo e nessun altro soggetto, in particolare gli avvocati, può permettersi in alcun modo di avanzare pretese nei suoi confronti. Egli è al servizio dell’ufficio, quindi risponde al magistrato che lo ha convocato, non all’avvocato, che però ha la possibilità di nominare un suo interprete di parte. 109 Infine vi è un problema più grave: poiché l’indagato prima di essere interrogato dal GIP, ha diritto di parlare con il suo avvocato ed il giudice può autorizzare l’interprete ad assisterlo, succede che l’avvocato chieda al suo cliente accusato di aver commesso o meno il reato, di non citare un determinato fatto. In tal caso, l’interprete deve far presente all’avvocato che egli non è perito di parte e che deve limitarsi con l’imputato al racconto del fatto (Alimenti 1999: 16). 3.8 LA FORMAZIONE L’interpretariato per i servizi pubblici in Italia (sanità, istituzioni giuridiche e di pubblica sicurezza, uffici di immigrazione e servizi sociali) è stato, come sottolinea Rudvin, gravemente trascurato fino a poco tempo fa, sia sotto il profilo della formazione che della ricerca, a differenza di quanto è avvenuto negli altri paesi, dove è stata riconosciuta l’importanza di un’adeguata formazione al fine di garantire un servizio di qualità. Il numero di cittadini stranieri che soggiornano in Italia richiede un interpretariato di qualità per un’ampia gamma di lingue (Rudvin 2005: 131). In Italia i servizi linguistici nelle istituzioni pubbliche sono ancora in una fase iniziale, il che riflette la scarsa attenzione data alle questioni linguistiche nel nostro paese. Il continuo afflusso di nuovi immigranti e la conseguente necessità di coprire altre lingue contribuiscono infine a mantenere una preoccupante discrepanza tra domanda e offerta. Ad esempio, le forze di polizia e i tribunali ricorrono spesso ad interpreti non qualificati, per i quali spesso mancano controlli sulla qualità della prestazione, sulle credenziali, le qualifiche e sulle possibili incompatibilità in base a parentela o affinità religiose, etniche, ecc. A differenza di molti altri paesi che in un primo tempo hanno utilizzato anche in campo sociale i servizi di interpreti formati in modo tradizionale, gran parte dell’utilizzo in questo campo in Italia, viene svolto dai mediatori culturali, per i quali l’interpretariato costituisce solo una tra le tante mansioni da svolgere. Il profilo professionale del mediatore culturale, formato prevalentemente da enti locali o regionali, istituti di formazione privati o ONG è molto variegato e non comprende spesso l’insegnamento delle tecniche di interpretazione e di approfondimenti 110 teorici in campo linguistico e comunicativo tipici della formazione accademica degli interpreti. Il ruolo dell’interprete di trattativa ha profonde implicazioni culturali, la mediazione linguistico-culturale presuppone una notevole varietà di modalità comunicative ed inoltre, come sappiamo, qualsiasi traduzione da una lingua all’altra richiede necessariamente una mediazione tra due culture differenti. Ecco perché è necessario in Italia differenziare queste due figure professionali, in quanto i vari corsi di formazione offerti dovrebbero rispondere alle esigenze di chi ricorre alle figure per erogare a sua volta un servizio per la collettività (Rudvin 2005: 132-133). Corsi di laurea in “Traduzione e interpretazione” o in “Mediazione linguistica e culturale” si trovano ad Ancona, Bologna (Scuola Superiore per Interpreti e Traduttori, SSLMIT di Forlì), Cagliari, Chieti, Genova, Lecce, Macerata, Mantova, Messina, Milano (SSIT, IULM, ISIT), Misano Adriatico, Napoli, Perugia, Pisa, Roma (La Sapienza, San Pio V), Siena (Università per gli Stranieri), Trento Trieste (SSLMIT), Udine, Venezia, Vicenza e Viterbo. Corsi di laurea specialistica e/o master in Interpretazione o Traduzione si hanno invece a Bologna (SSLMIT di Forlì), Pisa, Roma, Siena, Torino, Trieste, Venezia e Viterbo (Università degli Studi della Tuscia). Esistono infine numerose Scuole superiori non universitarie per traduttori e interpreti, ad esempio a Milano, Torino e Verona. Tutti questi corsi si prefiggono obiettivi simili tra loro, ovvero una conoscenza avanzata delle lingue straniere, nonché delle tecniche e delle competenze specialistiche necessarie al traduttore o interprete professionista. Alcuni corsi perseguono obiettivi specifici (per il turismo, le imprese, la comunicazione interetnica, ecc.). I corsi di carattere interetnico, per esempio, privilegiano aspetti quali le relazioni interculturali in ambito comunitario ed extracomunitario, le relazioni finanziarie, commerciali, commerciali e giuridico-amministrative in ambito internazionale, nonché l’organizzazione di eventi nell’ambito degli scambi internazionali e del turismo culturale (Rudvin 2005: 133-134). Sarebbe utile, secondo l’autrice, formulare una strategia globale per offrire agli studenti una continuità didattica, sia in termini di aree di applicazione (coprendo per esempio il turismo, gli affari, ecc, nel I anno, il campo medico nel II anno, quello legale nel III anno e così via), di metodologia (dalla pratica mnemonica nel I anno, 111 all’interpretariato di trattativa nel II anno, fino alle tecniche di chuchotage, consecutiva e simultanea nel III anno), che di letture richieste. Il passo successivo, in collaborazione con le istituzioni pubbliche (ospedali e tribunali in particolare) dovrebbe essere l’attuazione di un programma di accreditamento per l’interprete nei servizi pubblici e possibilmente un albo professionale o registro di interpreti certificati a livello comunale o regionale, a cui rivolgersi in casi di necessità (Rudvin 2005: 135). In relazione alla preparazione dell’interprete-traduttore di tribunale, questa è necessaria poiché l’interprete-traduttore tratta numerosi argomenti: in campo penale, ad esempio, bancarotta, traffico di droga, corruzione, commercio di armi, criminalità informatica, riciclaggio di denaro, terrorismo, reati economici e quant’altro (Alimenti 1999: 17). Un interprete di tribunale non giunge mai al processo con una preparazione specifica. Spesso poi l’argomento del caso non si può conoscere poiché risulta coperto dal segreto istruttorio. Una buona preparazione universitaria aiuta molto, ma è necessaria molta pratica. Ad esempio, attualmente, in alcuni tribunali gli interpreti più esperti portano con loro un interprete principiante, per abituarlo e formarlo. Questa sorta di tirocinio, della durata di circa un anno, non è previsto da norme di legge, ma dalla prassi del Collegio dei periti. Infine, è fondamentale ai fini della preparazione conoscere molto bene i vari riti penali alternativi, senza però entrarne nel merito, perché vanno spiegati all’imputato, il quale dovrà personalmente sceglierne uno (Alimenti 1999: 17-18). A tal proposito ricordiamo che, nell’anno 2000, l’Associazione AITI delineava nella sua rivista “Il Traduttore Nuovo”, un dettagliato profilo dell’interprete freelance di tribunale o in ambito giudiziario, che comprendeva anche l’ambito civile e amministrativo (Ballardini 2005: 176). In quella occasione venivano proposti 3 percorsi formativi possibili: 1) una laurea rilasciata da una Scuola superiore per interpreti e traduttori dopo formazione specifica nel campo giuridico; 2) una laurea in legge integrata da un corso di interpretazione; 3) una laurea in un’altra disciplina integrata da un apposito corso per interpreti di tribunale. Tale formazione di base andrebbe poi completata con corsi di aggiornamento. La proposta dell’AITI presenta il vantaggio di considerare la diversa formazione di 112 partenza dei futuri interpreti di tribunale e di riconoscere la pluralità dei modi attraverso cui conseguire un titolo qualificante. Al tempo stesso afferma la necessità di una solida formazione di livello universitario perché è l’unica a poter elevare lo status degli interpreti di tribunale in Italia e a garantire di conseguenza la qualità del servizio offerto (Ballardini 2005: 176). 3.9 IL SERVIZIO DI INTERPRETARIATO PRESSO L’UFFICIO STRANIERI DEL COMUNE DI MILANO L’Ufficio Stranieri del Comune di Milano registra la prima collaborazione formale di un interprete a partire dal 1990, sei anni dopo la sua apertura, nel 1984. E’ dovuto passare un certo tempo prima che l’Ufficio fosse conosciuto dalla città, senza contare che all’inizio esso copriva solo due istanze: quella dei nomadi e quella degli stranieri (Murer 2001: 9). Inizialmente il bisogno di interpretariato si è manifestato sotto l’aspetto strettamente linguistico. In queste prime esperienze non ci si poneva il problema della mediazione culturale. Risultava anzi difficile distinguere fra le difficoltà di carattere linguistico e quelle di tipo culturale. I primi contratti di collaborazione risalgono al 1990. Si è cominciato con la presenza presso l’Ufficio, per un certo numero di ore al giorno, di una interprete di inglese-francese-tedesco (con conoscenze di arabo) a disposizione degli operatori per fornire il necessario supporto nei colloqui. Aveva inoltre l’incarico di tradurre eventuali avvisi e documenti. Poco dopo questa era seguita da un’interprete di arabo, di madrelingua egiziana. La maggior parte dei problemi comunicativi che si ponevano fino ad allora al servizio riguardavano le principali lingue internazionali. Nel 1992 gli interpreti con un contratto di collaborazione con l’Ufficio erano 5, tra cui un’interprete di tagalog. La presenza di tale interprete introduceva un nuovo approccio alla questione del sostegno all’attività di sportello: con rappresentanti delle etnie, l’intento non era più solo quello di venire incontro alle difficoltà di comprensione linguistica che si incontrava con l’utenza casuale, ma si cercava di creare un punto di riferimento e di attrazione per 113 l’utenza delle rispettive comunità, a partire dalle nazionalità più numerose sul territorio (filippini ed egiziani) (Murer 2001: 10-11). Nel frattempo sono aumentati gli interpreti-traduttori a disposizione del servizio su “chiamata”, cioè senza una presenza stabile presso l’Ufficio, ma incaricati di eseguire delle traduzioni o chiamati per prestare assistenza a colloqui su appuntamenti. Nel 1994 entrano così due traduttori giurati che coprono il serbo-croato e le lingue spagnolo-inglese-francese. Inoltre è stato inserito tra lo staff un operatore di madrelingua arabo-marocchino. Il numero dei componenti nel 1995 era salito a 9. Nel 1996 erano 12. I nuovi erano tutti interpreti su chiamata e coprivano la lingua albanese, il rumeno, l’ungherese, oltre a rinforzare il cinese. Nel 1997 si aggiunse il portoghese, il cingalese ed il russo. Nel 1998 avevano un contratto con l’Ufficio 21 interpreti-traduttori che assicuravano la copertura di 16 lingue diverse tra cui il turco, il wolof ed il polacco. L’incarico affidato agli interpreti consiste nella traduzione di documenti (certificati anagrafici, sanitari, iscrizioni scolastiche) e nell’affiancamento delle assistenti sociali dell’Ufficio nelle prestazioni di front-office, soprattutto dello sportello rifugiati al quale si presentano in maggioranza neo-arrivati. Col passare degli anni sono stati stipulati contratti con 26 interpreti-traduttorimediatori, con la copertura di 23 lingue (Murer 2001: 11-12). 3.10 L’INTEPRETE PRESSO LA QUESTURA DI BOLOGNA La questura di Bologna dispone di una sezione linguistica composta da due revisori, tre traduttori-interpreti e un assistente linguistico. Il lavoro svolto è sia orale che scritto ed è prevalentemente di supporto alla Polizia Giudiziaria, pur offendo saltuariamente consulenze linguistiche agli uffici amministrativi (Cocchi 2005: 214). Gli uffici della Questura che si servono dei suoi servizi sono la DIGOS, le varie sezioni della Squadra Mobile, l’Ufficio del Gabinetto, l’Ufficio Prevenzione Generale e Soccorso Pubblico, alcuni uffici amministrativi come l’Ufficio Immigrazione e l’Ufficio Porto d’Armi, il Gabinetto Regionale di Polizia Scientifica, le specialità della Polizia di Stato, ovvero Polizia Ferroviaria, Polizia di Frontiera, Polizia Stradale, la specialità 114 Unità e Reparti Speciali (Artificieri, Cinofili e Tiratori Scelti) e infine l’Ufficio Territoriale del Governo (ex Prefettura). Analizziamo ora nel dettaglio il lavoro di interpretariato-traduzione svolto in ciascuno di questi uffici investigativi. La Divisione Investigazioni Generali e Operazioni Speciali (DIGOS) si occupa principalmente di antiterrorismo italiano e straniero. È divisa in varie sezioni ciascuna delle quali si occupa di un particolare aspetto del terrorismo. Il lavoro degli interpreti e dei traduttori per questo ufficio è particolarmente delicato e diverso rispetto agli altri. Da un lato si tratta di interpretariati (quando viene sentita una persona) o di traduzioni scritte (di materiale sequestrato, di missive anonime o firmate sia recapitate sia inviate via fax o messaggi di posta elettronica o fax e richieste/risposte a richieste di collaborazione tra uffici di Polizia italiani e stranieri). La peculiarità del lavoro di questo ufficio consiste nel fatto che spesso viene richiesta anche la traduzione di materiale informativo, ovvero documentazione non direttamente attinente all’indagine, ma collegata ad essa, come articoli di giornali e riviste stranieri, materiale pubblicato o scaricato dalla rete, la cui finalità sia quella di contribuire alla formazione e all’aggiornamento dell’investigatore ad acquisire una conoscenza approfondita dell’ambiente in cui si è svolta un’azione terroristica. La Squadra Mobile è divisa in sei sezioni, ognuna delle quali si occupa di una diversa tipologia di reato: 1) Criminalità Extracomunitaria e Prostituzione; 2) Reati contro la Persona; 3) Reati a danno di Minori e Reati a Sfondo Sessuale; 4) Reati contro il Patrimonio e la Pubblica Amministrazione tra cui truffe, rapine, corruzioni, furti, usura, traffici di auto rubate, ecc.; 5) Antidroga; 6) Criminalità Organizzata. Per tutti gli uffici della Squadra Mobile, il lavoro svolto è sia scritto che orale. Serve un interprete se viene steso un verbale di spontanee dichiarazioni o sommarie informazioni, rispettivamente dalla persona sottoposta ad indagine o dai testimoni, oppure colloqui con le persone offese/vittime. Un particolare tipo di prestazione spesso richiesta dagli uffici investigativi è l’ascolto delle conversazioni telefoniche intercettate a cui segue un riassunto o una trascrizione integrale e relativa traduzione. Le traduzioni scritte richieste dagli uffici investigativi della Squadra Mobile possono essere traduzioni di materiale sequestrato oppure di corrispondenza che 115 intercorre tra la Polizia italiana e quella di altri paesi. In questo caso è frequente la richiesta di traduzione da e verso lingue straniere di materiale inviato o pervenuto attraverso canali non ufficiali, in base agli accordi internazionali di cooperazione tra le forze dell’ordine. Si tratta di informative, note, rapporti, copie di verbali ed esiti di accertamenti di Polizia. I canali ufficiali sono invece quelli delle rogatorie internazionali. In entrambi i casi, traduzione di materiale sequestrato e atti acquisiti mediante gli accordi di collaborazione, si procede ad una prima visione e traduzione sommaria, che permetta al magistrato che conduce l’indagine e agli uffici di Polizia Giudiziaria preposti agli accertamenti di capire di cosa si tratta e quanto sia utile il materiale ai fini dell’indagine. In seguito, un sostituto procuratore conferisce un incarico ufficiale per eseguire una traduzione vera e propria (Cocchi 2005: 214-215). L’Ufficio di Gabinetto è il volto ufficiale della Questura. Il Questore è il capo delle forze della Polizia locali e il suo ufficio di Gabinetto fa da tramite tra questo vertice e il personale della Questura, civile e di Pubblica Sicurezza. La presenza di un interprete in quest’ambito è richiesta soprattutto in occasione di visite di cortesia al Questore di delegazioni di funzionari di Polizia stranieri, personale diplomatico o incontri con i responsabili della sicurezza di personalità importanti. Quando il personale operativo è affiancato da quello straniero è necessaria la presenza degli interpreti, prima e a volte anche durante la manifestazione stessa. In tutti questi casi ci può essere uno scambio di corrispondenza che prevede l’incontro per la sicurezza e dunque la necessità di traduzioni, altrimenti si tratta di interpretariati, che avvengono mediante la tecnica della consecutiva in un contesto di riunione, o mediante interpretariati in un contesto operativo. L’Ufficio Prevenzione Generale e Soccorso Pubblico (UPGSP, ex Ufficio Controllo del Territorio) è l’unità che si occupa della prevenzione e repressione del crimine sul territorio. Vi appartiene anche l’Ufficio Denunce, cui i cittadini si possono rivolgere per denunciare ogni sorta di reato subito. Per le normali denunce di furto o smarrimento da parte di stranieri esistono moduli in inglese, francese, tedesco e spagnolo che la vittima del reato compila indicando oggetto e circostanze dei fatti nella propria lingua. Tali dichiarazioni vengono poi tradotte prima di inviare il modulo in Procura come notizia di reato. Tuttavia a volte accade che un cittadino straniero voglia denunciare episodi particolari come minacce o aggressioni, oppure insolite modalità di 116 rapina. In tali casi, si ricorre ad un interprete, che spesso, oltre ad una mediazione linguistica, deve fornire anche assistenza pratica e psicologica a persone in difficoltà. L’Ufficio Immigrazione rilascia i permessi di soggiorno agli stranieri, riceve le domande d’asilo politico dei rifugiati, emette decreti di espulsione, di diniego o revoca del permesso di soggiorno e si occupa di tutte le problematiche relative alla permanenza degli stranieri sul territorio nazionale. Vi è anche una squadra investigativa che effettua controlli sugli irregolari, dal loro ingresso clandestino alla permanenza e al lavoro senza permesso. L’Ufficio Immigrazione accoglie e indirizza i rifugiati verso sportelli comunali che offrono loro assistenza e li aiutano a compilare le domande di asilo politico da presentare poi all’Ufficio Immigrazione (Cocchi 2005: 215-217). L’interprete della Questura è presente durante il colloquio di apertura di una pratica di asilo politico, quando il richiedente racconta la sua storia e spesso esibisce documenti a sostegno del suo racconto o relazioni da lui redatte che narrano delle persecuzioni politiche e religiose di cui è stato vittima, in questo caso il lavoro richiesto è sia scritto che orale. Orale è anche l’assistenza fornita allo sportello, dove l’operatore comunica con il cittadino straniero assistito dall’interprete. Per quanto riguarda le traduzioni scritte, per questo ufficio si traducono decreti e atti amministrativi da notificare a stranieri, ovvero tutti quei documenti che per legge devono essere tradotti nella lingua dell’interessato o in una delle tre lingue più diffuse: inglese, francese e spagnolo. Spesso è necessario anche tradurre documenti allegati alla domanda di permesso di soggiorno, come polizze assicurative, certificati di matrimonio, nascita o morte, sentenze di divorzio, contratti, borse di studio, ecc. Il Gabinetto Regionale di Polizia Scientifica si occupa degli aspetti tecnoscientifici di un’indagine. Questo ufficio richiede soprattutto traduzione di documentazione tecnica. Il materiale prodotto è destinato principalmente a scopi di consultazione, formazione o aggiornamento. La Polizia Stradale, la Polizia Postale, la Polizia di Frontiera e la Polizia Ferroviaria sono chiamate Specialità, ciascuna dotata di una propria organizzazione interna e di un vertice indipendente da quello della Questura. Per la Polizia Postale, che si occupa di reati connessi usando il mezzo postale e di reati informatici, si effettuano soprattutto traduzioni per rogatorie o indagini di Polizia Giudiziaria. 117 Nell’ambito della Polizia Stradale si lavora invece prevalentemente per l’Ufficio Infortunistica e per la Giudiziaria. L’Ufficio Infortunistica, che si occupa della ricostruzione di incidenti stradali, ricorre al personale linguistico quando dei cittadini stranieri rimangono coinvolti in incidenti stradali. In questo caso servono soprattutto interpreti per sentire le testimonianze, può anche succedere che l’interpretariato sia telefonico o avvenga in un ospedale. Gli Uffici di Polizia Giudiziaria della Stradale svolgono indagini su reati connessi alla circolazione stradale o commessi sulle strade e autostrade. Uno dei motivi più frequenti per cui ricorrono all’interprete è la rapina ai camion carichi di merce, a volte con aggressione e sequestro del camionista e furto del veicolo. Il tipo di servizio che l’interprete-traduttore svolge è simile a quello effettuato per gli uffici della Squadra Mobile in quanto si tratta di un ufficio investigativo e comprende: interrogatori, intercettazioni e rogatorie. La Polizia Ferroviaria e la Polizia di Frontiera ricorrono agli interpreti quando dei cittadini stranieri si trovano coinvolti in reati connessi rispettivamente sui treni e nelle stazioni e in ambito aeroportuale e, più raramente, quando gli stranieri vengono trovati all’interno di stazioni ferroviarie affetti da amnesie, malati di mente, ubriachi o si verificano altre situazioni che richiedono l’intervento di un interprete. Una Quarta Specialità è costituita da Unità e Reparti Speciali, di cui fanno parte gli Artificieri, Cinofili e Tiratori Scelti. In questo caso, l’attività degli interpreti è necessaria per la traduzione di manuali specialistici. L’Ufficio Territoriale del Governo, l’ex Prefettura, si serve in alcuni casi del personale linguistico per traduzioni per l’ufficio patenti o per l’ufficio invalidi, ma soprattutto per interpretariati in occasione di visite ufficiali o ricevimenti di rappresentanza (Cocchi 2005: 217-219). 3.10.1 L’INTEPRETARIATO PER L’AUTORITÀ GIUDIZIARIA La collaborazione tra la Polizia Giudiziaria e il personale linguistico della Questura è molto particolare e delicato da trattare. La Polizia Giudiziaria redige verbali dei seguenti atti: 1) denunce, querele e istanze presentate oralmente; 2) sommarie informazioni rese e dichiarazioni spontanee ricevute dalla persona nei confronti della quale vengono svolte le indagini; 3) informazioni assunte da qualsiasi persona che sia informata sui 118 fatti e possa riferire circostanze utili ai fini delle indagini; 4) perquisizioni e sequestri; 5) operazioni e accertamenti; 6) atti eventualmente compiuti prima dell’inizio delle indagine vere e proprie (Cocchi 2005: 219-220). La presenza dell’interprete-traduttore può rendersi necessaria in ciascuna di queste fasi, laddove la vittima, un testimone o il presunto autore del reato siano cittadini stranieri. Tuttavia, poiché la funzione del personale linguistico del Ministero è quella di ausilio alla Polizia Giudiziaria, tale collaborazione viene richiesta soprattutto nella fase inquirente, in cui il magistrato dirige le indagini della Polizia Giudiziaria. Durante le indagini preliminari si effettuano traduzioni di atti, notifiche, decreti, verbali, richieste di rogatoria internazionale e relative risposte, con eventuali documenti o atti allegati. L’interprete-traduttore che segue l’iter dall’avvio delle indagini preliminari alla richiesta di rinvio a giudizio nel caso di un’indagine vasta e articolata, che coinvolge vari Paesi, può trovarsi a tradurre una serie di rogatorie, nonché a svolgere attività di interprete durante interrogatori o assunzioni testimoniali eseguite per conto di autorità procedenti in altri Stati. A parte le rogatorie, altri incarichi di traduzione possono riguardare documenti sequestrati contestualmente a delle perquisizioni o qualsiasi altra fonte probatoria acquisita di carattere documentale che il PM ritenga utile (Cocchi 2005: 221). 3.10.2 LE TIPOLOGIE DI TRADUZIONI E DI INTERPRETARIATI SVOLTI DAL PERSONALE LINGUISTICO DELLA QUESTURA DI BOLOGNA Le traduzioni scritte da e verso una lingua straniera richieste al personale linguistico possono essere di carattere tecnico oppure legale-amministrativo. Le prime possono essere destinate agli uffici della Questura, il che permette di risolvere eventuali difficoltà di carattere tecnico interpellando direttamente l’utente che ha richiesto il lavoro. Generalmente si preparano anche glossari che serviranno di riferimento per le traduzioni future. Le seconde, invece, di carattere giudiziario (notifiche di citazioni, decreti, verbali di udienze e sentenze, atti processuali in genere, richieste di rogatorie) o amministrativo (decreti, intimazioni, verbali di contravvenzione) presentano problemi diversi, a seconda che siano da o verso la lingua straniera (Cocchi 2005: 222). 119 Data la diversità dei sistemi giudiziari, una grossa difficoltà è costituita anche dalla traduzione verso la lingua straniera di cariche, ruoli, uffici, istanze, atti e simili. In questo caso è bene lasciare, ove possibile, il termine in italiano perché possa fungere da riferimento per chi legge e poi, tra parentesi o in una nota del traduttore, spiegare di cosa si tratta e se è necessario, provare a tradurre, utilizzando ad esempio un calco. Per quanto riguarda gli interpretariati orali, essi possono essere suddivisi in 3 tipologie: a) Incontri, visite ufficiali e di cortesia, giornate di studi; b) Intercettazioni telefoniche e ambientali; c) L’interpretariato a fini investigativi o in un’udienza e/o in uffici amministrativi o di relazioni con il pubblico. Nel primo caso si tratta generalmente di interpretariati di tipo tradizionale che si svolgono utilizzando la tecnica della consecutiva o raramente dello chuchotage. L’unico problema di queste situazioni è che, pur se organizzate in anticipo, l’interprete viene interpellato all’ultimo minuto e il rischio è che questi non abbia il tempo per prepararsi adeguatamente. Nel secondo caso, vi deve sempre essere l’autorizzazione del PM che deve anche incaricare il perito all’ascolto e alla trascrizione/traduzione. Un perito può ricevere l’incarico anche durante la fase dibattimentale per disposizione del giudice o come perito nominato dalla difesa. Rispetto agli interpreti esterni, i dipendenti del servizio linguistico hanno un rapporto più confidenziale con gli addetti alle intercettazioni. Durante l’ascolto vengono compilati dei brogliacci su cui vengono annotati dati tecnici relativi a ciascuna conversazione. In questa fase operativa, l’interprete è in parte sollevato dalla responsabilità di decidere se una conversazione è significativa per le indagini e quindi va trascritta integralmente, oppure no. Quando invece l’incarico viene espletato come perizia a tutti gli effetti, a completamento degli atti processuali, il giudice richiede sempre le traduzioni integrali. A volte, se la conversazione è particolarmente importante, si richiede la trascrizione integrale nella lingua originale oltre che nella relativa traduzione. I problemi più rilevanti in questo tipo di lavoro sono ovviamente quelli di comprensione. A volte, per risolvere questo inconveniente, si ricorre all’ausilio di due periti (Cocchi 2005: 223-225). 120 Nel terzo caso, infine, ci troviamo di fronte ad interpretariati di vario genere. Nel caso dell’assistenza fornita presso gli uffici aperti al pubblico, l’interprete della Questura rappresenta spesso il primo impatto che i cittadini stranieri hanno con le istituzioni italiane. In questi casi, più che grandi competenze tecniche o linguistiche servono doti di sensibilità e comunicativa. L’interprete deve fungere anche da mediatore culturale, da assistente sociale e da psicologo. Il secondo tipo di interpretariato è costituito dai vari atti di Polizia Giudiziaria compiuti prima dell’inizio o nella primissima fase delle indagini preliminari, quando si tratta cioè di fare da tramite tra un ufficiale di Polizia Giudiziaria e una persona informata sui fatti, una persona offesa o un presunto autore di reato che rilascia dichiarazioni spontanee. A volte sono semplici accertamenti e, rispetto a reati più gravi, queste situazioni tendono ad essere più informali rispetto a veri e propri interrogatori o assunzioni testimoniali. L’interprete della Polizia ha in questo caso la possibilità di mediazione o di spingersi oltre il puro trasferimento di concetti da una lingua all’altra (Cocchi 2005: 225-226). A indagini preliminari iniziate, gli atti succitati acquisiscono una veste di maggiore ufficialità e sono compiuti dal magistrato o su delega del PM; ciò avviene in presenza di un avvocato se ad essere interrogato è l’indagato, in carcere se la persona indagata è agli arresti. Se il reato ipotizzato è grave, tutto il colloquio viene registrato e a volte il magistrato può chiedere la trascrizione/traduzione integrale delle domande e delle risposte, poiché nella verbalizzazione qualche particolate potrebbe essere trascurato. Alla fine di questi interrogatori si traduce a vista il verbale per correggere eventuali imprecisioni. È necessaria anche la massima precisione nel tradurre le domande e i commenti del magistrato, trasmettendo la stessa enfasi, che a volte può essere determinante. In questa fase, la consecutiva è poco efficace soprattutto per mancanza di tempo e perché i presenti sono impazienti di conoscere le risposte. Qui è molto importante procedere a piccoli passi, facendo dire solo poche frasi per volta e traducendole subito, affinché i presenti abbiano un’idea completa e limitatamente mediata di come si esprime la persona interrogata. In questa fase le indagini sono già terminate, le prove raccolte e durante il dibattimento è importante soprattutto “come” si espongono i fatti. In fase dibattimentale si riscontra un grado crescente di formalità, riflessa nel ruolo dell’interprete, che in fase 121 di giudizio è più rigidamente codificato. Durante le udienze, infatti, l’interprete lavora per il giudice, nel senso che traduce le domande del giudice e le risposte per il giudice (Cocchi 2005: 227-228). 3.10.3 DIFFICOLTÀ DEI VARI TIPI DI SERVIZIO Un primo problema importante quando si ha a che fare con cittadini stranieri ed in particolare extracomunitari è che per tali persone, l’inglese, il francese, lo spagnolo e il tedesco, ovvero le quattro lingue parlate dal personale della Questura, rappresentano in genere una seconda lingua straniera, a volte poco conosciuta. È necessario in tali casi ricorrere all’ausilio di un interprete esterno (Cocchi 2005: 228). Un’altra difficoltà può essere rappresentata dal fatto che l’imputato abbia un livello culturale medio-basso. L’interprete è così obbligato ad utilizzare differenti registri: uno formale per il giudice e informale per l’imputato. Lavorare per un’Autorità Giudiziaria significa dover spaziare su una vasta gamma di argomenti che va dalle questioni fiscali a quelle ambientali, dal traffico di droga agli abusi sui minori, dalla somministrazione di farmaci sbagliati alla truffa. Per tale ragione sarebbe necessario sapere con anticipo di cosa si tratta prima di lavorare con un interprete durante un’udienza. Non meno importante, ovviamente, è la formazione, di cui abbiamo discusso al paragrafo 3.8 (Cocchi 2005: 229-230). 122 CAPITOLO IV IL MEDIATORE IN ITALIA 4.1 LA NECESSITÀ DELLA MEDIAZIONE LINGUISTICO-CULTURALE IN ITALIA La mediazione linguistico-culturale in Italia è sorta e si è imposta negli ultimi anni come necessità agli operatori dei servizi pubblici e privati, spesso in contraddizione con un contesto di riconoscimento dei diritti ai cittadini stranieri (Castiglioni 1997: 13). La necessità della mediazione linguistico-culturale appare come una strategia possibile di riconoscimento di alcuni dei diritti negati ai cittadini stranieri. L’inserimento della figura del mediatore linguistico-culturale nei servizi pubblici ha significato considerare il fenomeno immigratorio come irreversibile e permanente e ha permesso la sperimentazione di nuovi modelli di intervento in una prospettiva di inclusione e di riconoscimento della differenza (Castiglioni 1997: 18). L’inserimento di consistenti fasce di popolazioni immigrate in Italia richiede di attivare profonde trasformazioni culturali nelle abitudini sociali, nel confronto quotidiano, nelle pratiche concrete: concezioni, modelli di cura e di organizzazione familiare (Fumagalli 2004: 49). La presenza fisica delle persone immigrate ci colloca in una dimensione globale e al tempo stesso ci pone di fronte al concetto di integrazione culturale, che richiama quello del rispetto della diversità. In Italia, così come negli altri paesi, la strada verso una possibile convivenza è stata ed è costruita tenendo conto delle particolarità del sistema politico, della tradizione giuridica, dell’impianto culturale. Mediare, in senso generale, assume quindi il significato di avvicinare persone che fanno riferimento a matrici culturali e di senso diverse (Fumagalli 2004: 49). 123 Entrando nel merito della legislazione italiana sull’immigrazione, osserviamo che essa ha trattato il fenomeno dell’immigrazione dei cittadini stranieri come emergenza o, nel migliore dei casi, come qualcosa di eccezionale e provvisorio (Castiglioni 1997: 13). Fino al 1998 le due leggi principali in materia sono state la legge 30 dicembre 1986, n.943 e la legge 28 febbraio 1990, n. 39, nota come legge Martello, integrate in ambiti specifici da alcuni provvedimenti ad hoc. Il 6 marzo 1998 è stata emanata la legge n. 40, prima legge organica in materia, recepita dal successivo DLS 25 luglio 1998, n. 286, che va attualmente letto alla luce delle modifiche introdotte dalla legge 30 luglio 2002, n. 189 (Fumagalli 2004: 50). Per quanto riguarda il riconoscimento legislativo dell’attività di mediazione, solo a partire dalla legge 40/1998 la normativa nazionale ne ha fatto esplicito riferimento. Infatti, l’articolo 40 della stessa legge recita: Lo stato, le regioni, le province, e i comuni, nell’ambito delle proprie competenze, favoriscono […] la realizzazione di convenzioni con associazioni […] per l’impiego all’interno delle proprie strutture di stranieri, titolari di carta di soggiorno o di permesso di soggiorno di durata non inferiore a due anni, in qualità di mediatori interculturali, al fine di agevolare i rapporti tra le singole amministrazioni e gli straneri appartenenti a diversi gruppi etnici, nazionali, linguistici e religiosi. La legge non definisce l’attività di mediazione, ma introduce il termine di “mediatori interculturali” in una normativa nazionale, contemplando le misure per favorire l’integrazione degli immigrati e affermando la possibilità di convenzioni con le associazioni iscritte nell’apposito albo (Fumagalli 2004: 50-51). L’articolo 40 della legge 40/1998 contiene altri punti che individuano una serie di iniziative finalizzate alla piena integrazione degli immigrati. In particolare si prevedono nell’ottica delle attività interculturali, azioni quali: 1) corsi di lingua e cultura dei paesi d’origine; 2) diffusione di informazioni relative ai diritti/doveri e alle possibilità di integrazione; 3) prevenzione di atti di razzismo e xenofobia; 4) organizzazione di corsi di formazione; 5) iniziative contro la discriminazione. Altro significativo documento a livello nazionale è la “Nota del gruppo di lavoro interministeriale”, nata dall’esigenza di elaborare un testo comune per fare il punto sui bisogni della mediazione culturale, rilevati dalle amministrazioni più direttamente coinvolte nelle politiche di gestione del fenomeno migratorio. Il gruppo di lavoro 124 interministeriale ha ribadito la necessità immediata di un approfondimento sulla figura e le competenze del mediatore culturale. Nella Nota, il mediatore viene definito: “traduttore di lingua e di strutture valoriali, dei modi di pensiero, dei modi di interpretare il mondo, del senso religioso […]; figura professionale di supporto a operatori e servizi; figura terza tra utente, paziente, alunno, servizio, istituzione; facilitatore di relazioni”. Un’attenzione particolare merita l’articolo 12 della legge 328/2000, che non riguarda direttamente la mediazione linguistico-culturale, ma che è utile a delineare il profilo professionale del mediatore/trice. Infatti, tale articolo prevede che: “vengano definiti i profili professionali delle figure professionali sociali da formare con corsi di laurea; da formare con corsi di formazione organizzati dalle regioni (stabilendo criteri generali riguardanti l’accesso, la durata, l’ordinamento didattico) e vengano definiti i criteri per il riconoscimento e l’equiparazione dei profili professionali esistenti”. Alla commissione per la definizione dei profili professionali, organismo interministeriale, spetta il compito di definire le figure formate con corsi di laurea a livello regionale e stabilire criteri per il riconoscimento e l’equiparazione dei titoli (Fumagalli 2004: 52-53). 4.2 PROVVEDIMENTI REGIONALI Nell’attesa di una normativa nazionale completa, alcune Regioni e Comuni hanno adottato autonomi provvedimenti, volti soprattutto all’istituzione di corsi professionali e al riconoscimento di una qualifica regionale. Alcune esperienze interessanti riguardano ad esempio la Regione Piemonte, la Regione Toscana, la Regione Autonoma TrentinoAlto Adige (Fumagalli 2004: 54). Il mediatore nella determinazione della Regione Piemonte, viene indicato come colui che: “potrà svolgere attività di collegamento fra le strutture straniere e le strutture, i servizi, le istituzioni locali e nazionali. Potrà prestare la propria opera presso strutture e servizi promuovendo l’accesso agli stessi da parte degli immigrati e fornendo loro supporti normativi necessari. Collaborerà con gli operatori dei servizi pubblici e privati 125 affiancandoli nello svolgimento della loro autorità e partecipando alla programmazione degli interventi, […] anche promuovendo con altri la costituzione di cooperative”. La Regione Toscana, ne dà la seguente definizione: “il mediatore culturale per etnie minoritarie extracomunitarie è una figura professionale preparata proveniente da una comunità immigrata, in grado di intervenire in specifiche situazioni per individuare ed esplicitare bisogni di utenti extracomunitari e per negoziare prestazioni da parte di servizi e degli operatori pubblici, attivando la comunicazione e apportando modifiche di contenuto e di modalità di approccio. Svolge la sua attività fungendo da tramite con i servizi pubblici di primo contatto”. Nella Deliberazione della Regione Autonoma Trentino-Alto Adige vengono inoltre elencate alcune competenze professionali del mediatore interculturale: “è in possesso di competenze che permettono di essere in grado di facilitare la comunicazione e la comprensione linguistica e culturale fra persone di culture diverse e, in particolare, fra l’utente straniero e l’operatore di un servizio pubblico o privato, nel rispetto dei diritti delle parti interessate alla relazione” e viene proposta una definizione di ruolo: “il ruolo del mediatore interculturale è quindi quello di “ponte”, “cerniera”, “interfaccia” fra utenza straniera e operatori dei servizi pubblici e privati, ovvero fra presupposti e significati culturali diversi, nel rispetto degli specifici ruoli, funzioni e poteri di ciascuna parte della relazione, senza sostituirsi e rappresentare gli uni o gli altri. E’, in pratica, un operatore interculturale, un educatore delle differenze con competenze interculturali particolarmente sviluppate, che opera sistematicamente per il superamento dell’egocentrismo, etnocentrismo, sociocentrismo, a favore della comprensione e accettazione della diversità e alterità culturali” (2004: 54-56). Da queste leggi scaturisce una prima ipotesi di profilo professionale del mediatore, i cui compiti principali sono secondo Fumagalli: a) un’azione di collegamento, attraverso l’attivazione e la facilitazione della comunicazione; la comprensione di lingue e culture differenti; la traduzione di lingue, strutture valoriali, modi di pensiero, modi di interpretare il mondo, il senso religioso; 126 b) la promozione dell’accesso ai servizi da parte degli utenti immigrati, individuandone i bisogni, le richieste, le necessità; c) la collaborazione con i servizi, sia nella fase di progettazione e programmazione degli interventi che per quanto riguarda la loro realizzazione; d) l’apporto di modifiche di contenuto e di approccio nell’organizzazione dei servizi, anche attraverso la negoziazione delle prestazioni possibili a favore di utenti stranieri (2004: 57). 4.3 I PERCORSI FORMATIVI I primi corsi di formazione per mediatori e mediatrici risalgono all’inizio degli anni ’90 e sono stati organizzati in modo sperimentale da cooperative, enti, associazioni, nella consapevolezza che l’attività dei mediatori dovesse essere supportata da percorsi formativi ad hoc (Fumagalli 2004: 57). Un’altra caratteristica di quegli anni era l’aumento di richiesta di mediazione da parte degli operatori e dei servizi e di conseguenza la necessità di formare persone per precisi ambiti di lavoro, permettendo loro l’acquisizione di competenze specifiche. Dopo questa prima fase legata quasi esclusivamente all’iniziativa privata, si è assistito ad una maggiore collaborazione con il pubblico, che ha dato origine alla nascita di corsi finanziati dalle istituzioni e gestiti in collaborazione con associazioni, cooperative, ecc., oppure formazioni coinvolgenti più partners, anche internazionali e finanziate da progetti del Fondo sociale europeo. Seppur nati da bisogni simili, i corsi spesso presentano ampie differenze, a seconda di obiettivi, destinatari, durata, canali di funzionamento, possibilità di inserimento lavorativo. Tra le iniziative più significative del privato sociale ricordiamo: • COSPE Firenze: Corso per mediatori linguistico-culturali (300 ore + 150 ore tirocinio); • Cooperativa Kantara. Gruppo relazioni interculturali Milano: Corso di formazione per mediatori linguistico-culturali nell’area della salute mentale; 127 • CDIE Cooperativa Kantara-Associazione-Crinali Cooperativa Progetto Integrazione Milano: Corso di formazione professionale e creazione d’impresa nel campo della mediazione linguistico-culturale (528 ore + 150 ore tirocinio); • Centro Come Milano: Progetto Interdialogo (90 ore + 60 ore tirocinio); • Centro Come Milano: corso di formazione permanente per mediatrici culturali in attività socioassistenziali (36 ore); • Centro Come Milano: corso per mediatrici culturali (30 ore); • Centro Millevoci Trento: Un ponte fra culture (120 ore + 20 ore tirocinio/125 ore + 40 tirocinio); • Associazione Crinali Milano: La formazione della mediatrice linguisticoculturale (900-1000 ore); • Provincia di Genova CEDRITT e Forum antirazzista: Corso di formazione professionale per addetto all’accoglienza con compiti di mediazione culturale (350 ore + 150 ore tirocinio); • Provincia di Brescia Assessorato ai servizi sociali-Consulta Provinciale per l’immigrazione straniera: corso di formazione per mediatori linguistico-culturali (25 ore + 5 ore tirocinio); • Comune di Bologna: Corso di formazione per mediatrici interculturali in ambito sociosanitario (350 ore + 350 ore tirocinio); • Fondazione Silvano Andolfi, Roma FSE-Ministero del Lavoro: corso di formazione professionale per mediatori culturali (all’interno del Progetto Bridge) (800 ore + 100 ore stage di orientamento + 500 ore stage avanzato); • Comune di Como-Assessorato servizi sociali: Seminari di orientamenti e momenti di supervisione per mediatori culturali nelle scuole materne (15 ore + 5 incontri di supervisione); • Comune di Parma Centro Interculturale-Provveditorato: Corso di formazione per mediatori linguistico-culturali (30 ore); • Provincia di Modena: Mediatore linguistico-culturale (200 ore + 50 tirocinio); 128 • Comune di Milano CEP: Corso di formazione “Addetto all’interpretariato e alla mediazione culturale in ambito socio educativo” (420 ore + 180 ore tirocinio); • Provincia di Milano: Corso di formazione per mediatori (600 ore + 200 ore tirocinio); • Provincia Autonoma di Bolzano, Alto Adige: Progetto di qualifica. Mediatore/mediatrice interculturale (800 ore + 300 ore tirocinio); • ITS Vanvitelli di Ostia, Università La Sapienza di Roma, Regione Lazio, Caritas diocesana di Roma, ENAP Lazio, comune di Roma (840 ore + 360 ore tirocinio); • Provincia di Mantova: La mediazione linguistico-culturale in ambito sociosanitario (120 ore + tirocinio) Ancora, alcune scuole hanno organizzato incontri ad hoc per persone straniere già operanti nel proprio territorio in qualità di mediatori e numerosi sono stati i convegni, i seminari, le giornate di studio sul tema (Fumagalli 2004: 58-62). Le differenze principali tra i vari corsi sono i seguenti: a) Luogo di attuazione: la maggior parte delle iniziative si è svolta nel centronord Italia. Più attive sono le grandi aree e città, grazie alla maggiore opportunità di accedere a risorse umane e finanziarie maggiori; b) Destinazione e caratteristiche: la scelta della denominazione spesso caratterizza il corso: per donne, per mediatrici già formate, per aree di specializzazione e così via. Vi sono due grandi gruppi: 1) i corsi di “base” e 2) quelli specialistici, con l’obiettivo di fornire ulteriori approfondimenti o di incanalare l’attività verso servizi specifici; c) Destinatari: la maggior parte dei corsi sono indirizzati esclusivamente a cittadini stranieri e/o immigrati. I destinatari variano a seconda degli obiettivi, dei canali di finanziamento, dei bisogni del territorio. I criteri di accesso ricorrenti sono: 1) Età superiore ai 20 anni; 2) Diploma scuola media superiore; 129 3) Motivazione al lavoro di relazione e mediazione; 4) Buona conoscenza della lingua d’origine e della lingua italiana; 5) Buone capacità relazionali; 6) Condizione di regolarità. d) Periodo di svolgimento: la nascita della formazione si attesta intorno al 1992 (NAGA e COSPE); negli anni 1996-2000 si concentra il maggior numero di attività, che tendono a diminuire negli ultimi anni; e) Monte ore: non esiste un criterio condiviso. Si passa da corsi che prevedono 15 ore di docenza, a quelli che ne prevedono 800 o più; da corsi con formazione solo d’aula a corsi con tirocini e stage, con evidente disparità di approfondimento e apprendimento; f) Obiettivi: nonostante le differenze, i corsi tendono a soddisfare obiettivi generali simili, riconducibili ad alcune aree comuni: a) Area delle conoscenze: acquisizione di conoscenze specifiche, di strumenti per leggere la realtà e per fornire indicazioni operative; conoscenza del funzionamento del sistema dei servizi; acquisizioni normative; b) Area del ruolo, ossia sviluppo delle competenze necessarie; c) Area della promozione, dello sviluppo di capacità imprenditoriali e autoimprenditoriali; d) Area dell’approfondimento, cioè delle informazioni specifiche e dell’aggiornamento (Fumagalli 2004: 63-64). Se entriamo nel merito della progettazione di un corso, si può proporre un’ipotesi formativa che raggruppi alcune caratteristiche fondamentali: I. Requisiti di accesso: • origine straniera; • esperienza preferenziale di migrazione; • un tempo significativo di permanenza in Italia; • scolarità di livello superiore; • buona conoscenza della lingua d’origine e della lingua italiana, orale e scritta; 130 • II. motivazione al lavoro relazionale e di cura. Formazione: • percorso di formazione comune (monte di 500-600 ore); • percorso differenziato per ambiti educativo-scolastico, sociosanitario, penale, lavorativo-sindacale (monte di 200-300 ore); III. IV. • formazione equilibrata fra docenze e tirocinio nei servizi; • tirocinio qualificante e rielaborato; • riconoscimento dei percorsi formativi già attuati. Aree per il modulo comune: • comunicazione e relazioni interculturali; • discipline scientifiche: antropologia, sociologia, pedagogia; • normativa e modalità applicative; • organizzazione dei servizi; • autoimprenditorialità. Aree per il modulo differenziato: • Approfondimenti teorici, normativi, metodologici e organizzativi relativi all’area scelta (socio-sanitaria, educativo-scolastica, sicurezza-giustizia, lavoro e così via) (Fumagalli 2004: 65). 4.4 IL PROGETTO BRIDGE: UN PERCORSO FORMATIVO PER MEDIATORI CULTURALI Il Progetto Bridge, approvato dal Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale, con il supporto del Fondo Sociale Europeo, è stato realizzato dalla Fondazione Silvano Andolfi nell’arco di due anni, dal 1998 al 2000. La Fondazione si interessava di temi riguardanti lo studio della famiglia e si occupava in particolare di immigrazione (Andolfi 2003: 165). La Fondazione decise di progettare un corso di formazione professionale per mediatori culturali. Il corso avrebbe dovuto offrire una formazione personale ed esperienziale e non solo contenutistica. Il progetto venne denominato “Bridge”, a sottolineare la funzione del mediatore culturale quale ponte tra due o più culture. Il progetto Bridge aveva obiettivi ambiziosi: 131 • identificare un nuovo profilo professionale altamente qualificato; • creare un percorso di formazione innovativo, che fosse riconosciuto con una qualifica professionale dalla Regione Lazio; • promuovere il dibattito ed il confronto a livello nazionale tra varie associazioni, enti, servizi socio-sanitari ed istituzioni pubbliche che stavano progettando percorsi formativi simili; • creare una struttura territoriale flessibile per l’inserimento lavorativo rivolta ai giovani ed adulti immigrati nella Regione Lazio; • promuovere questa nuova professionalità sia in Italia che all’estero. Le azioni previste per il conseguimento degli obiettivi del Progetto Bridge venivano così programmate: • preparazione dell’attività formativa con l’aiuto di esperti e professionisti appartenenti a culture diverse da quella italiana e con un’esperienza di immigrazione a proprio carico; • avvio di una ricerca utile sull’orientamento delle scelte occupazionali e all’individuazione delle possibilità di impiego di questa nuova figura professionale; • selezione dei partecipanti in seguito a bando pubblico; • attività di formazione suddivisa in una prima fase di 900 ore, di cui 800 in aula e 100 di stage di orientamento, al termine della quale si svolgeva l’esame della qualifica professionale ed una seconda fase di avviamento al lavoro di 500 ore di stage avanzato, che prevedeva il tutoraggio, una supervisione ed un monitoraggio costante; • avvio di uno sportello sperimentale in grado di fornire un servizio di mediazione culturale; • organizzazione di seminari nazionali ed europei per la diffusione dei risultati e delle prassi operative; • diffusione dell’iniziativa attraverso specifiche 2003: 166-168). 132 pubblicazioni (Andolfi Il criterio fondamentale di selezione dei candidati fu quello che richiedeva al futuro mediatore culturale di essere straniero ed immigrato. Altri criteri di selezione erano costituiti dal livello culturale, che doveva limitarsi al minimo del diploma di scuola media superiore, la motivazione, la conoscenza della lingua e della cultura italiana, nonché la padronanza della lingua e cultura del paese di appartenenza. Furono così selezionati 30 allievi, la maggior parte laureati, provenienti da vari paesi dell’Africa, del Medio oriente, dell’Est europeo, dell’Asia e del Sud America. La prima parte del corso si svolgeva secondo un orario giornaliero di sei ore di presenza in aula per tre volte alla settimana, per un totale di 900 ore. Le lezioni riguardavano il trasferimento di competenze relativamente a nove grandi argomenti: 1) processi e progetti migratori; 2) identità e sradicamento nel processo migratorio secondo un’ottica sistemico-relazionale; 3) la mediazione culturale: illustrazione delle possibili tecniche di intervento a seconda dei contesti; 4) medicina delle migrazioni; 5) scuola e immigrazione; 6) devianza minorile e immigrazione; 7) mediazione culturale e istituzioni; 8) aspetti legislativi dell’immigrazione; 9) organizzazione dei servizi e tecniche di gestione di impresa. Gli stadi di apprendimento erano tre: 1) la conoscenza (sapere); 2) la competenza sociale (saper fare); 3) le qualità personali (saper essere). La metodologia dell’intero insegnamento utilizzata nell’intero corso prevedeva diversi strumenti formativi, allo scopo di favorire il massimo della partecipazione attiva di ogni allievo (Andolfi 2003: 169-171). Alle ore di lezione teoriche, sono state affiancate le esperienze di lavoro in gruppo, le situazioni simulate, i giochi di ruolo, il genogramma personale come strumento di analisi nei processi di continuità e separazione. Nel corso di formazione dei mediatori culturali, il genogramma si è rivelato uno degli strumenti formativi più efficaci dal punto di vista evolutivo di ogni allievo. Anche 133 per i docenti, oltre che per il gruppo, l’utilizzo del genogramma in questo corso di formazione ha costituito un esperimento stimolante: ogni storia individuale, in quanto unica, prendeva significato da altrettanti unici contesti culturali. Il senso evolutivo del genogramma sta nel fatto che la rilettura della propria storia familiare conduce ad una riappropriazione di elementi significativi e al recupero di una precisa memoria storica, che può permettere all’individuo di elaborare sulla base degli elementi acquisiti, un più autentico progetto di vita. Ogni racconto introduceva all’interno del gruppo importanti stimoli di confronto tra gli allievi, costringendoli ad abbandonare pregiudizi, stereotipi, nel tentativo di elaborare quel famoso “ponte” che permettesse ad ognuno di entrare in contatto con colui o colei che raccontava la propria storia (Andolfi 2003: 171-176). Alla parte di formazione teorica, seguiva uno stage di orientamento che comprendeva le ultime 100 ore della prima fase dell’attività formativa, che aveva lo scopo di far conoscere agli allievi le aree di intervento ed il funzionamento dei servizi nei quali si sarebbe svolto lo stage vero e proprio, cioè lo stage avanzato di 500 ore. Contemporaneamente alla partenza dello stage avanzato, parte dei fondi ad esso destinati, venivano utilizzati per dar vita allo Sportello Bridge. Inizialmente l’attività predominante dello Sportello era quella di organizzare i turni dei mediatori culturali nei vari settori, facilitare il trasferimento di informazioni, organizzare le funzioni di supervisione. In un secondo momento, lo Sportello ha assunto anche altre funzioni, diventando un punto di riferimento importante per i coordinatori, i mediatori e gli esterni che richiedessero interventi di mediazione culturale. Lo stage avanzato, per un monte di 500 ore, costituiva la seconda fase dell’attività formativa prevista dal progetto. Iniziato successivamente all’ottenimento della qualifica professionale da parte della Regione Lazio, lo stage ha visto i 30 mediatori culturali distribuirsi nei tre grandi settori di interesse: la sanità, la scuola, la giustizia (Andolfi 2003: 179-180). 4.4.1 IL MEDIATORE CULTURALE NELLA GIUSTIZIA Lo stage nel settore della giustizia si è svolto presso un istituto penitenziario per adulti e presso il carcere minorile di Roma (Andolfi 2003: 187). 134 Le attività dei mediatori culturali all’interno del penitenziario per adulti si possono suddividere in 3 grandi aree: 1) attività svolte con gli educatori e con altri operatori interni. Tali attività comprendevano il continuo aggiornamento ed informazione sul ruolo, funzione e aree di intervento del mediatore culturale, lo scambio di informazione su alcuni aspetti culturali dei detenuti stranieri, la discussione di casi specifici relativamente ai programmi alternativi alla detenzione; 2) attività svolte con associazioni ed enti esterni operanti anch’essi nell’istituto. Lo scopo era quello di creare un sistema di rete di riferimento per il detenuto straniero, nel progettare percorsi di reinserimento sociale o di ritorno nel proprio paese di origine; 3) attività svolte con i detenuti. Lo scopo in questo caso era informare ed orientare il detenuto straniero sul regolamento penitenziario, stimolarlo a partecipare alle diverse attività organizzate all’interno dell’istituto, facilitare il rapporto con l’educatore e con gli altri operatori della struttura, accogliere all’interno di uno specifico reparto i nuovi arrivati. La necessità di mediazione culturale sembra essere tanto più importante quanto più è rigida la cultura dominante del contesto. In un posto in cui “la legge è uguale per tutti e quindi tutti sono uguali di fronte alla legge”, il bisogno di sentirsi riconosciuti nelle proprie diversità diventa più pressante per potersi sentire una persona (Andolfi 2003: 187-188). 4.5 CORSO DI FORMAZIONE PROFESSIONALE PER MEDIATORI INTERCULTURALI DELLA PROVINCIA AUTONOMA DI BOLZANO Il termine mediatore culturale adottato dal percorso formativo realizzato dalla Provincia Autonoma di Bolzano risulta prossimo alle funzioni tipiche dell’operatore dell’integrazione sociale dei cittadini stranieri e quindi a quelle competenze che rientrano nel campo dell’animazione interculturale (Aluffi Pentini 2004: 29). 135 L’ambito di intervento della mediazione interculturale, nel modello proposto dalla provincia di Bolzano, rimane circoscritto alla relazione tra utente straniero e operatore di un servizio pubblico o privato. La Delibera della Giunta Provinciale di Bolzano, che ha riconosciuto la qualifica professionale di mediatore/trice interculturale, dà particolare rilevanza alle funzioni derivate dall’attività di interpretariato, collocando al centro della comunicazione interculturale la conoscenza delle lingue: in primo luogo la lingua madre e poi l’italiano o il tedesco. Tre principi stanno alla base del modello formativo proposto dalla provincia di Bolzano: 1) i mediatori devono essere preferibilmente originari di un paese straniero o di una cultura straniera e devono aver vissuto direttamente o indirettamente il processo di integrazione; 2) essi si inseriscono nella relazione tra utente straniero e operatore di un servizio pubblico o privato; 3) devono essere degli intermediari delle relazioni interculturali, nel senso che essi, pur essendo nel mezzo e all’interno della relazione, non devono perdere di vista la necessità di rispettare l’autonomia delle parti al fine di garantirne la riservatezza del loro colloquio e la promozione del dialogo e del confronto (Aluffi Pentini 2004: 31-32). 4.5.1 LA STRUTTURA DEL CORSO FORMATIVO Attraverso l’analisi del lavoro dei mediatori interculturali operanti sul territorio nazionale e degli operatori del settore, è stato definito il profilo professionale, le competenze trasversali e quelle professionali di tipo interculturale e al tempo stesso sono state circoscritte e definite le aree formative sulle quali costruire e indirizzare l’intero percorso formativo (Aluffi Pentini 2004: 33). Il corso di formazione, sulla base delle indicazioni formulate dall’Organismo Nazionale di Coordinamento per le politiche di integrazione sociale degli stranieri del Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro che ne ha concesso il patrocinio, 136 prevede 800 ore complessive di lezioni, 500 di teoria e 300 di stage e tirocini applicativi. Le 500 ore di teoria, progettazione, esercitazioni applicative e di formazione in aula e sul territorio sono state indirizzate a 4 specifiche aree formative: 1) 296 ore di formazione comune alla consulenza, progettazione e animazione interculturale; 2) 104 ore di autoformazione relative alle conoscenze dell’italiano, tedesco e del linguaggio informatico; 3) 100 ore di formazione specifica professionalizzante, in una delle aree di specializzazione della mediazione interculturale scelta dai corsisti tra le seguenti: • Area educativo-culturale; • Area giuridico-amministrativo; • Area socio-sanitaria; • Area formativa-del lavoro 4) 35 ore di azioni di sviluppo dell’associazionismo per la costituzione di un’azienda di servizi della mediazione. Le 300 ore di stage sono da realizzarsi secondo le seguenti modalità: a) 100 ore di stage di orientamento da svolgere nelle strutture locali, al fine di orientare il corsista a scegliere l’area di specializzazione in cui indirizzare l’approfondimento della mediazione interculturale; b) 50 ore di stage di approfondimento, successive alla scelta dell’area di specializzazione, da svolgersi in strutture italiane ed estere per conoscere e approfondire l’attività dei mediatori interculturali; c) 150 ore di stage da realizzarsi nella forma di tirocinio applicativo del project work realizzato durante la formazione specifica e professionalizzante, da svolgersi nelle strutture e servizi esistenti sul territorio provinciale (Aluffi Pentini 2004: 33-34). 4.5.2 REQUISITI DI ACCESSO, SELEZIONE DEI CANDIDATI E PROVE DI ESAME DI QUALIFICA 137 Requisiti di accesso, selezione dei candidati, struttura del corso e prove di esame di qualifica professionale sono definite dalla Deliberazione della Giunta Regionale n. 4266/2001, che ha riconosciuto per la provincia di Bolzano la qualifica professionale (Aluffi Pentini 2004: 34). Per quanto riguarda i requisiti di accesso, il corso di formazione per il conseguimento della qualifica di mediatore interculturale della provincia di Bolzano è stato indirizzato soprattutto a cittadini stranieri in possesso del permesso di soggiorno e dei seguenti requisiti che devono essere posseduti all’atto di iscrizione: • compimento dei 25 anni di età; • frequenza di un ciclo scolastico-formativo di almeno 12 anni; • ottimo livello di conoscenza della lingua madre o lingua veicolare scelta ai fini della mediazione; • conoscenza della lingua italiana e di quella tedesca; • almeno due anni di residenza sul territorio della provincia di Bolzano Alto Adige; • adeguata motivazione a sviluppare relazioni tra cittadini stranieri ed Enti pubblici e privati, Amministrazioni provinciali e comunali e attitudine a lavorare in équipe e in team di progetto. Per l’ammissione al corso è prevista una selezione articolata nelle seguenti 4 prove: 1) test per l’accertamento del livello di conoscenza della lingua madre o lingua veicolare scelta ai fini della mediazione, che costituisce prova di sbarramento; 2) test per l’accertamento del livello di conoscenza della lingua italiana; 3) test per l’accertamento del livello di conoscenza della lingua tedesca; 4) colloquio motivazionale. In relazione alle prove d’esame di qualifica professionale, la Deliberazione della G.P. n. 4266/2001, stabilisce che, ai fini del conseguimento della qualifica professionale 138 di Mediazione interculturale, è necessario superare positivamente l’esame di qualifica composto da una prova scritta e un colloquio orale. Durante la prova orale, il candidato dovrà presentare anche la tesi di qualifica professionale, che costituisce sia sintesi che valutazione del project work e del tirocinio applicativo, le relazioni delle esperienze di stage e di tirocinio ed eventuali lavori individuali o di gruppo svolti nel corso del periodo formativo (Aluffi Pentini 2004: 3839). 4.6 LA MEDIAZIONE E GLI ASPETTI DI SICUREZZA: LA REALTÀ DI BOLOGNA Il tema del mediatore linguistico-culturale inserito nella sicurezza si presenta molto ampio oltre che estremamente variegato. Innanzitutto occorre precisare che, all’interno degli Uffici investigativi, non è prevista istituzionalmente la figura del mediatore culturale. Inoltre, essa non la ritroviamo attualmente neanche all’interno degli Uffici Immigrazione delle Questure, dove, invece, sono presenti gli interpreti (Maffei 2009: 118)9. Pur non essendo normativamente formalizzata, almeno a livello nazionale, una definizione del mediatore culturale, appare evidente che la qualità richiesta al mediatore sia la capacità comunicativa, capacità che, sul piano della sicurezza si traduce, qualora la vicenda riguardi un particolare contesto culturale, nel costruttivo rapporto di fiducia con le vittime del reato, con eventuali testi e anche, in certe particolari circostanze, con lo stesso indagato, il che può permettere sia la giusta configurazione dei fatti sia la prevenzione di ulteriori delitti. Pertanto, l’attività del mediatore culturale non si deve limitare alla semplice intermediazione linguistica, ma deve consistere nella creazione di un contatto attraverso iniziative adatte alla provenienza, all’età ed alle caratteristiche delle persone. Le principali tipologie di reato di interesse alle tematiche del mediatore culturale sono: 1) lo sfruttamento della prostituzione e reati connessi; 2) tratta di esseri umani; 3) 9 “La mediazione linguistico-culturale e aspetti di sicurezza”. Relazione a cura della Dott.ssa Fiorenza Maffei, Vice Questore aggiunto della Polizia di Stato, Bologna. Atti di Convegno Ceslic; 2 “LA GEOGRAFIA DELLA MEDIAZIONE LINGUISTICO-CULTURALE” a cura di Donna R. Miller e Ana Pano. Bologna: 2009. 139 sfruttamento lavorativo, trapianti di organi e costrizione al matrimonio; 4) violazione degli obblighi scolastici. Per quanto riguarda il primo punto, in Italia, all’inizio degli anni Novanta si è verificata una radicale trasformazione nel mercato della prostituzione: sulle strade le donne di nazionalità straniera hanno preso il posto delle italiane, soprattutto in seguito all’ondata di immigrazione dall’Albania. La figura del mediatore culturale all’inizio degli anni ’90, non era oggetto di attenzione né da un punto di vista assistenziale, né da quello della sicurezza. All’inizio del nuovo millennio, la rete di prostituzione delle donne provenienti dai Paesi dell’Est ha incrementato il mercato illegale: accanto agli sfruttatori albanesi sono comparsi, quali rivali, ma anche, in certi casi, quali complici, i rumeni, i serbi, i moldavi e i bulgari, costituendo alcuni gruppi multiculturali. Nell’ambito di ciascun gruppo, tra le ragazze avviate alla prostituzione, una di esse svolge un’azione di controllo e spesso è proprio questa presenza costante a rendere ancora più complicato per una donna la richiesta di aiuto. Ancora costante appare la rete criminale nigeriana: la modalità di reclutamento delle donne in Patria, come in passato, rimane nell’ambito delle relazioni intrecciate dagli sfruttatori con la famiglia stessa della vittima. Spesso la famiglia sacrifica la figlia primogenita al mercato del sesso in Europa, per ricavarne un vantaggio economico. Questi dati ci aiutano a capire come il mediatore culturale possa svolgere una funzione essenziale nei confronti delle vittime: fornire loro il supporto più adeguato affinché le stesse prendano coscienza della loro condizione e soprattutto del fatto che nessuna condizione personale, familiare e/o culturale possa giustificare la commissione dei reati ai loro danni. È utile, infine, ricordare come spesso i reati in tema di prostituzione siano collegati ad altri gravi delitti, quali il traffico di stupefacenti e ai fenomeni criminali legati all’immigrazione clandestina e la mafia o la ‘ndrangheta (Maffei 2009: 119-121). Per quanto riguarda il secondo punto, si tratta di un reato ancora più grave rispetto ai precedenti. La tratta di esseri umani è punita dagli articoli 600-602 del Codice Penale. Si tratta del fenomeno del traffico di migranti, causa principale dell’incremento della criminalità imputabile agli stranieri, spesso vittime di reclutamento, utilizzo e sfruttamento ad opera di organizzazioni criminali. 140 La posizione geografica dell’Italia è particolarmente vulnerabile e, di conseguenza, il nostro Paese è esposto alle rotte del traffico illegale di migranti. Il ruolo del mediatore in questo caso, ha come scopo principale, la tutela della vittima dai potenziali trafficanti/sfruttatori. Per quanto riguarda il terzo punto, molteplici sono le tipologie di reato per la cui repressione potrebbe risultare determinante l’ausilio del mediatore culturale: lo sfruttamento lavorativo, il trapianto di organi, la costrizione al matrimonio ed ogni altra situazione di conflitto all’interno della famiglia immigrata o del gruppo di immigrati, che derivano da codici e norme culturali e religiose, che, secondo la normativa italiana, possono integrare vere e proprie ipotesi di reato. Infine, per quanto riguarda il quarto punto, uno dei luoghi dove può essere esercitata la funzione di mediazione è certamente la scuola. Dal punto di vista penale appare rilevante la violazione degli obblighi scolastici in cui incorrono ripetutamente genitori immigrati a danno dei minori. Si tratta in gran parte di situazioni già seguite dai Servizi Sociali. Potrebbe, quindi, risultare efficace un contatto ancora più stretto con gli operatori di detti servizi, che, avvalendosi dell’opera di un mediatore, potrebbero mirare alla risoluzione del problema (Maffei 2009: 121-123). 4.6.1 LA POSIZIONE ATTUALE DEL MEDIATORE NELLA REGIONE EMILIA ROMAGNA Il mediatore culturale è una figura professionale ancora indefinita. Come già espresso al paragrafo 4.1, la normativa nazionale ne ha riconosciuto l’esistenza e la funzione solo con la legge del 6 marzo 1998 n. 40 “Disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero”, meglio conosciuta come legge Turco-Napolitano, recepita nel D.L.S. 25 luglio 1998, n. 286 “Testo Unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero", in cui si fa riferimento al mediatore culturale attribuendogli un ruolo attivo nell’integrazione sociale delle minoranze, senza, però, scendere ulteriormente nel dettaglio (Maffei 2009: 124). Successivamente, la legge n. 189 del 2000, meglio conosciuta come legge BossiFini, ha modificato la normativa sull’immigrazione, senza, però, citare la mediazione. 141 La legge 228 del 2003, infine, all’articolo 13 prevede forme di “assistenzialismo” senza far riferimento a specifiche ipotesi di reato; sostiene infatti che i percorsi di tutela e assistenza possono essere rivolti a vittime dei reati in materia di prostituzione, ma anche alle vittime di tutti i reati previsti dall’art. 380 c.p.p., ovvero quelli più gravi per cui è previsto l’arresto obbligatorio in flagranza (riguardanti armi, droga, terrorismo, ecc.) e alle vittime dei reati di riduzione in schiavitù e tratta di persone ai sensi degli articoli 600 e 601 c.p.p. Al di là della normativa, la mediazione culturale si è sviluppata in modo inevitabile nell’ambito degli Enti locali. Alcune Regioni, ad esempio, si sono spesso attivate non solo con iniziative specifiche nel settore, ma anche da un punto di vista normativo. Prendiamo il caso della Regione Emilia Romagna con Legge n. 5 del 24 marzo 2004, dove all’art. 17 comma e) ha previsto il consolidamento delle competenze del mediatore socio-culturale, cercando di valorizzarne la specifica professionalità. In seguito, la Giunta Regionale Emilia Romagna con delibera n. 1576 del 30 luglio 2004 ha emanato le prime 125 disposizioni inerenti la figura professionale del “Mediatore Interculturale”. In tale delibera, quando si fa riferimento agli ambiti di operatività del mediatore culturale, si cita anche il settore giudiziario, accanto ai servizi sociali, scolastici e sanitari (Maffei 2009: 124-125). È ancora una volta evidente come il rapporto servizi sociali/servizi deputati alla sicurezza trovi il suo nodo centrale nel mediatore culturale, che, però, nella realtà bolognese, non è ancora presente all’interno degli uffici della Polizia di Stato. Rimanendo sempre in territorio emiliano, attualmente la figura del mediatore culturale trova la sua applicazione nelle problematiche attinenti la sicurezza attraverso tre tipi di situazioni: 1) la presenza di tale figura presso alcuni Uffici di Polizia di Frontiera Marittima; 2) in alcuni casi gli Uffici della Polizia di Stato, in cui il mediatore culturale non è previsto, in caso di necessità, si avvalgono dell’opera dei mediatori culturali messi a disposizione dagli Enti Locali, principalmente dai Comuni; 3) gli stessi Enti Locali in alcuni casi si trovano ad operare nel settore della sicurezza, collaborando con gli organi dello Stato, oppure in via esclusiva (nel momento in cui personale della 142 Polizia Municipale opera il controllo dei documenti di una persona già si occupa di sicurezza). A conclusione del suo intervento, la Dott.ssa Maffei sostiene che sarebbe auspicabile l’inserimento del mediatore linguistico-culturale innanzitutto all’interno degli Uffici di polizia di tipo amministrativo, ovvero gli Uffici Immigrazione istituiti presso le Questure, ove il mediatore culturale potrebbe e dovrebbe essere inserito a pieno titolo, come avviene per gli interpreti. Inoltre il mediatore, che svolge servizi di tipo assistenziale nei confronti dell’immigrato che entra in contatto con l’Ufficio di Polizia, potrebbe essere utilizzato anche nell’ambito delle indagini, dagli Uffici Investigativi. Infine, si potrebbe giungere all’inserimento di tale figura direttamente presso le Squadre Mobili per svolgere la sua attività esclusivamente al fianco degli investigatori (Maffei 2009: 126-129). 4.7 I CORSI UNIVERSITARI Una prima distinzione va fatta relativamente ai destinatari dei corsi di laurea, che si differenziano nettamente da quelli dei percorsi formativi realizzati a cura di associazioni, provincie, regioni. Le università, infatti, accolgono studenti secondo le disposizioni di legge, comprendendo persone italiane e straniere, quindi, anche senza esperienza migratoria o acquisizione di una doppia appartenenza linguistica e culturale (Fumagalli 2004: 66). Per quanto riguarda gli obiettivi formativi specifici possiamo osservare che, pur variando a seconda della facoltà di riferimento, possiedono alcune caratteristiche comuni. Per esempio, i corsi afferenti alle facoltà di Lettere e Filosofia, Scienze Politiche, Scienze della Formazione Primaria comprendono i seguenti obiettivi: • possedere competenze linguistico-tecniche orali e scritte; • possedere un’adeguata preparazione generale in campo economico, giuridico, storico-politico, socio-antropologico e letterario; • acquisire buone conoscenze negli ambiti specifici di attività (istituzioni ed imprese); • saper utilizzare strumenti per la comunicazione e gestione dell’informazione; 143 • essere in grado di curare rapporti a livello internazionale, interpersonale e di impresa; • operare con autonomia organizzativa. I principali corsi di laurea sono: • Roma La Sapienza: corso di laurea in Mediazione linguistico-culturale. Facoltà di Lettere e Filosofia. Data di attivazione 7/03/2001; • Roma Maria SS. Assunta: corso di laurea in Scienze dell’educazione. Esperti nella mediazione interculturale. Facoltà di Scienze della formazione. Data di attivazione 1/10/2001; • Milano Statale: corso di laurea in Mediazione linguistica e culturale (applicata all’ambito economico, giuridico e sociale). Facoltà di Scienze politiche/Lettere e Filosofia. Data di attivazione 1/10/2001; • L’Aquila: corso di laurea in Mediazione linguistica e comunicazione interculturale. Facoltà di Lettere e Filosofia. Data di attivazione 1/10/2001; • Padova: corso di laurea in Discipline della mediazione linguistica e culturale. Facoltà di Lettere e Filosofia/Scienze Politiche. Data di attivazione 1/10/2001; • Ferrara: corso di laurea in Scienze dell’educazione mediazione interculturale. Facoltà di Lettere e Filosofia. Data di attivazione 1/10/2001; • Udine: corso di laurea in Mediazione culturale. Lingue dell’Europa centrale e orientale. Facoltà di Lingue e letterature straniere. Data di attivazione 1/10/2001; • Siena (sede di Arezzo): corso di laurea in Lingue moderne: mediazione linguistica e interculturale. Facoltà di Lettere e Filosofia. Data di attivazione 1/10/2001; • Siena Università per stranieri: corso di laurea in Mediazione linguistica e culturale nei fenomeni migratori. Facoltà di Lingua e cultura italiana. Data di attivazione 8/10/2001; 144 • Milano Università Cattolica del Sacro Cuore: corso di laurea in Esperto linguistico per la mediazione interculturale. Facoltà di Scienze linguistiche e letterature straniere. Data di attivazione 15/10/2001. Gli ambiti occupazionali prospettati riguardano il campo dei rapporti internazionali, della ricerca documentale, della redazione di testi in lingua, delle aziende pubbliche e private nei settori della gestione del personale, della comunicazione, della gestione dei problemi linguistici e culturali degli immigrati stranieri, dell’assistenza nei rapporti tra enti istituzionali o agenzie sociali con immigrati (Fumagalli 2004: 65-67). Gli obiettivi specifici e gli ambiti occupazionali non sembrano però collegarsi con i relativi piani di studio, che mutano a seconda dell’indirizzo di facoltà, ma mantengono elementi comuni. Viene dedicato pochissimo spazio al tirocinio e non vengono citati momenti per la rielaborazione e la riflessione sull’operatività, non vi sono discipline che contemplino la storia e la riflessione sul concetto di mediazione, così come non vengono evidenziate docenze relative al quadro normativo, organizzativo, metodologico dei servizi. Le università offrono anche altre occasioni di formazione sulla mediazione linguistico-culturale, ovvero master e corsi di perfezionamento ed aggiornamento, che vanno nella direzione di permettere un miglior approfondimento della tematica. Tra questi i più importanti sono: • Roma La Sapienza: Mediazione linguistico-culturale. Master di II livello (1.500 ore, 60 cfu); • Roma Tre: Politiche dell’incontro e mediazione culturale. Pratica dei saperi e dei diritti per una nuova cittadinanza in un contesto migratorio. Master di II livello (1.500 ore, 60 cfu); • Milano Università Cattolica: Master in Formazione interculturale (1.500 ore, 60 cfu); • Università di Padova: Master in sudi interculturali di I livello (404 ore + 100 ore di stage); • Università di Torino: Corso di perfezionamento in comunicazione e mediazione interculturale (138 ore + 16 ore di esercitazioni pratiche + 20 ore di tirocinio); 145 • Università di Verona: Corso di perfezionamento e aggiornamento professionale in mediazione culturale (140 ore, 15 cfu). Possiamo riassumere le differenze dei corsi organizzati da enti ed associazioni con quelli istituiti dalle università, attraverso una loro comparazione. Destinatari Corsi di enti/associazioni Corsi universitari In maggioranza cittadini stranieri I criteri di accesso sono quelli relativi all’ordinamento universitario Durata La maggior parte si attesta sopra Durata di corso universitario le 500 ore Contenuti e materie prevalenti La mediazione: teoria ed Lingua e letteratura italiana; esperienza; Lingue di studio e culture di Area della comunicazione; alcuni paesi; Area antropologica; Principi di linguistica generale e Area sociologica; applicata; Pedagogia interculturale; Mediazione Quadro legislativo italiano; verso le lingue di studio; Organizzazione Discipline economiche; dei servizi linguistica da e sociali, sanitari, educativi; Discipline giuridiche, storiche, Ruolo e funzione dei mediatori. sociologiche e geografiche. I corsi si distinguono in: Solo in alcuni corsi: a) corsi base; b) moduli Discipline di pedagogiche e psicologiche; approfondimento Discipline (relativi a servizi o antropologiche, tematiche specifiche) sociologiche; Discipline demo-etnopolitiche e pedagogiche e metodologico-didattiche Tirocinio Previsto nella maggioranza dei Dove previsto, viene compreso corsi, in percentuale significativa nelle “altre attività formative” rispetto alla parte teorica 146 Nell’orientarsi nel vasto mondo della formazione sulla mediazione, qualunque sia il percorso scelto, bisogna tener presente che la necessità della formazione interculturale vale per tutti gli operatori dei servizi e quindi va collocata trasversalmente ai diversi percorsi di studio delle professioni educative, sociali e sanitarie. Infine, sarebbe importante effettuare percorsi congiunti (operatori-mediatori), volti all’apprendimento di teorie e modalità condivise di lavoro (Fumagalli 2004: 6870). CAPITOLO V L’INTERPRETAZIONE PER I SERVIZI PUBBLICI IN SPAGNA 5.1 L’INTERPRETAZIONE SOCIALE IN SPAGNA L’interpretazione “per la comunità” o “sociale” è molto antica, ma poco studiata e gode di scarsa considerazione in molti paesi europei, oltre ad essere una professione poco remunerata (Martin 2000: 207). Secondo Martin, in Spagna si dedica molta attenzione alla questione della mancanza di riconoscimento della professione, al ricorso ad interpreti non professionisti, alla impossibilità di proteggere e difendere i diritti delle comunità svantaggiate a causa di un servizio di interpretariato inadeguato, alla polemica sul ruolo dell’interprete e al grado di coinvolgimento dello stesso nella situazione comunicativa. Con il termine interpretazione “sociale” o “per la comunità” in Spagna ci si riferisce a quella interpretazione che si realizza in ambito sanitario, educativo, dei servizi sociali e assistenziali. Risponde cioè ad una necessità sociale di una comunità di immigrati o di persone che, per varie ragioni, non parlano la lingua della maggioranza e di conseguenza sono svantaggiate nell’accesso ai servizi pubblici (Martin 2000: 208). Tra i servizi a cui si riferisce l’interpretazione sociale non figura l’interpretazione presso il tribunale, che costituisce in Spagna un caso a parte. Infatti, come ci ricorda Martin, l’interprete sociale e l’interprete di tribunale sono due figure distinte. La definizione di interpretazione sociale non è condivisa da molti studiosi del settore e ciò spiega l’inesistenza di pubblicazioni sul tema in Spagna. 147 In particolare, la definizione inglese di “public service interpreting” o nel Nord America di “community interpreting” si scontra con il gallicismo “interpretazione sociale” (Martin 2000: 208-209). 5.1.2 L’INTERPRETAZIONE PER I SERVIZI PUBBLICI La realtà sociale di molti paesi del mondo occidentale, tra cui la Spagna, sembra essere in costante mutamento. La Spagna per esempio non è più un paese di emigrazione, ma di immigrazione (Valero Garcés 2006: 35). Da un punto di vista strettamente linguistico, gli immigrati portano con sé la propria cultura e/o lingua diversa, che in molti casi limitano la comunicazione interlinguistica ed esigono soluzioni diverse. Secondo Valero Garcés, tale situazione pone una serie di sfide a cui è necessario dare riposte efficaci ed in tempi breve per garantire una convivenza tra i popoli equilibrata. Molti immigrati, rifugiati o clandestini hanno come unico bagaglio la propria cultura, sconosciuta agli abitanti del paese d’accoglienza. I vari governi e la società stessa tentano di risolvere questi problemi attraverso provvedimenti legali, in ambito lavorativo, sociali o semplicemente di convivenza (Valero Garcés 2006: 35-36). La conoscenza della lingua del paese ospite degli immigrati è scarsa o limitata e così si trovano a far fronte da soli a contesti in cui l’uso della lingua è indispensabile (ospedali, scuola, commissariati di polizia, ecc.) In alcuni casi, in Spagna, i governi locali o le istituzioni pubbliche forniscono strumenti per agevolare la comunicazione o utilizzando risorse interne o affidandosi ad organizzazioni non governative. Nel caso in cui lo Stato o le istituzioni non forniscano tali strumenti, la popolazione straniera o le organizzazioni e/o le persone che la aiutano, cercano degli intermediari tra i conoscenti, i parenti, gli amici e soprattutto tra le nuove generazioni poiché, come è noto, apprendono più facilmente la lingua del posto. In Spagna ci dice l’autrice sono proprio le ONGs a fornire aiuto agli immigrati e ai rifugiati proponendosi quali “consulenti” in ambito giudiziario, sociale, lavorativo, giuridico, linguistico, attraverso liste di personale, spesso volontario, al quale ricorrere (Valero Garcés 2006: 36). 148 Sul terreno linguistico, in tutti i paesi, vi sono delle figure ufficiali quali il traduttore giurato o il traduttore del Ministero dell’Interno o, nel caso della Spagna, del Ministero di Giustizia. Tuttavia, le lingue utilizzate nel loro lavoro sono spesso lontane dalle effettive necessità della popolazione straniera. Succede inoltre che, la nuova popolazione utilizzi anche dei dialetti, il che rende ancora più complessa la situazione nei confronti del governo e della società spagnola, poco abituati a prestare attenzione ai problemi sociali del multiculturalismo. Una delle conseguenze più evidenti di ciò è la disponibilità nei servizi pubblici di interpreti e traduttori che parlano lingue fino a poco tempo fa sconosciute in Spagna (Valero Garcés 2006: 36). Secondo Valero Garcés, la traduzione e l’interpretazione risulta condizionata dai seguenti elementi: 1) La mancanza di una formazione adeguata e di conoscenze sull’etica professionale e della terminologia specialistica da parte di molti interpreti; 2) Le procedure, a volte poco adeguate, utilizzate dagli uffici dei servizi pubblici per reclutare gli interpreti; 3) La mancanza di direttrici chiare sulla condotta di questi interpreti; 4) La realizzazione di “cattive” traduzioni o interpretazioni “difettose”che possono danneggiare le minoranze nella tutela dei propri diritti. La traduzione o interpretazione per i servizi pubblici (T&ISSPP) in Spagna come in altri paesi del sud d’Europa e a differenza di altri paesi come Svezia, Regno Unito, Australia, Canada, Stati Uniti non è ancora professionalizzata ed è quasi ignorata (Valero Garcés 2006: 36-37). 5.2 IL PROBLEMA DELLE DEFINIZIONI Valero Garcés sostiene che anche per la Spagna, uno dei maggiori problemi in questo ambito è quello delle definizioni e della delimitazione del campo d’azione. Il problema si ripercuote anche sull’accettazione di una definizione condivisa. Nella lingua inglese troviamo numerose definizioni per identificare 149 questa attività: “Community Interpreting”, “Liason Interpreting”, “Interpreting in Social Services”, “Dialogue Interpreting” o anche denominazioni specifiche relazionate con il campo d’azione: “Health Care Interpreter”, “Intercultural Health Mediator”, “Cultural Interpreters”, “Community Interpreters”, “Legal Interpreters”, ecc. (Valero Garcés 2006: 37). Oggi in Spagna non esiste alcuna denominazione specifica, sebbene l’ Università di Alcalá riconosce il titolo di Traduttore e Interprete per i Servizi Pubblici e gli unici due congressi internazionali organizzati in Spagna sono denominati T&ISSPP. Per quanto riguarda il campo d’azione, questo tipo di interpretazione e, per estensione di traduzione, è una delle prime forme di interpretazione, risale infatti al tempo dei contatti tra romani e iberici o al tempo della dominazione spagnola in America. Si tratta cioè di una forma di comunicazione che occorre in qualsiasi società multiculturale, in cui popoli di lingua diversa si trovano ad interagire fra di loro e per far ciò ricorrono all’ausilio di un intermediario che conosca entrambe le lingue. Nonostante l’esistenza secolare di questa attività, non vi è un accordo generalizzato sulla delimitazione del campo d’azione (Valero Garcés 2006: 38). Secondo Wadensjö (1998:33), T&ISSPP si riferisce ad un tipo di interpretazione che si svolge nell’ambito dei servizi pubblici per facilitare la comunicazione tra operatore del servizio e utente: nei commissariati di polizia, uffici per gli immigrati, centri di assistenza sociale, centri di assistenza sanitaria, scuole o servizi simili. Mentre Wadensjö limita il campo d’azione ai rapporti che gli abitanti di una nazione hanno con le istituzioni ufficiali, Mikkelson (1996: 126) propone una definizione molto più ampia e considera la T&ISSPP un’ attività che permette a persone che non parlano la/le lingua/e ufficiali del paese di comunicare con i fornitori dei servizi pubblici, al fine di garantire un accesso paritario ai servizi legali, sanitari, educativi, ufficiali e sociali (Valero Garcés 2006: 38). Su questa stessa linea, vi sono altre correnti di pensiero che enfatizzano le disuguaglianza che vi sono tra i due gruppi. Si tratta di stabilire la comunicazione con un pubblico specifico, che appartiene ad una minoranza culturale e/o linguistica, che possiede un livello educativo generalmente inferiore e che spesso non conosce la nuova realtà sociale del paese ospite. 150 Come sostiene Valero Garcés, la T&SSPP è un mezzo per conseguire un fine, quello di offrire alla comunità straniera le informazioni e i mezzi necessari per sviluppare abilità comunicative. E’ un intento di equilibrare le relazioni di potere tra l’emittente (autorità) e il destinatario (immigrato), i quali hanno come priorità la comunicazione (Valero Garcés 2006: 39). Non esiste una società omogenea e i traduttori devono mostrarsi sensibili alle necessità dei vari gruppi presenti nella società. La delimitazione del loro campo d’azione è un lavoro complesso e di difficile soluzione, come dimostrano le ricerche scientifiche e le crescenti pubblicazioni basate sull’analisi discorsiva dell’interprete o di testi tradotti per una comunità specifica (Berk-Seligson 1990; Roy 1992; Wädensjö 1992; Englund-Dimitrova 1997; Valero 2003b; Morelli 2005). In questi lavori, sostiene l’autrice, il traduttore/interprete non svolge solo una funzione linguistica, ma svolge anche una funzione di coordinamento, mediazione o negoziazione di significati culturali o sociali. Il problema consiste nello stabilire un limite preciso al suo intervento. Ciò ha dato vita a differenti concezioni filosofiche e pratiche che vanno dalla pura funzione di traduzione linguistica, alla mediazione (advocacy) o difesa “attiva” dell’utente appartenente alla minoranza (Valero Garcés 2006: 39). Al di là della mancanza di accordo, vi è un interesse crescente per questo tipo di traduzione/interpretazione nei paesi in cui non vi si è prestata ancora molta attenzione, ovvero i paesi del sud Europa e ciò a seguito dell’immigrazione massiccia e intensa di immigrati di lingue e culture diverse. Ma anche in quelli che tradizionalmente vi hanno dedicato molta attenzione, ovvero Stati Uniti, Canada, Australia o Svezia si stanno sviluppando nuovi programmi e sistemi di accreditamento più conformi alla realtà sociale del momento (Valero Garcés 2006: 40). Pöcchacker (2002: 125-140) fa una descrizione precisa dei limiti di questa attività che Valero Garcés definisce “imprecisa”: si tratta di una attività che non può limitarsi né ad istituzioni specifiche, né a lingue particolari o gruppi culturali. A loro volta, i rappresentanti dei servizi legali, sanitari, sociali, educativi o religiosi di una società, possono avere la necessità di lavorare con sordi, popolazioni indigene, o gruppi specifici di immigrati. È questa grande varietà di situazioni 151 istituzionali e culturali che rende molto complessa la T&ISSPP ed impossibile una sua definizione univoca. Da qui la tendenza ad offrire definizioni per gruppi o aree specifiche, poiché, usando le parole di Valero Garcés è sempre più difficile mantenere “l’unità nella diversità” (Valero Garcés 2006: 40-41). Per quanto riguarda l’area di ricerca in Spagna, la celebrazione nel febbraio del 2005 del primo congresso internazionale di T&ISSPP e la pubblicazione di articoli e libri tra cui “Traducción e Interpretación en los Servicios Públicos. Contextualización, actualidad y futuro”di Valero Garcés costituiscono un progresso importante in questo settore (Valero Garcés 2006: 66). 5.3 I LIMITI DEL RUOLO DELL’INTERPRETE SOCIALE Il ruolo dell’interprete sociale è generalmente definito da un insieme complesso di considerazioni che include le percezioni di tutti i partecipanti nell’interazione comunicativa, l’appartenenza dell’interprete ad una delle comunità etniche o culturali rappresentate, la pressione derivante dal fatto che il risultato dell’interazione può essere determinante per una delle parti coinvolte, così come l’evidente disequilibrio di potere (Martin-Abril Martí 2002: 55). Martin e Abril Martí precisano che la confusione sul ruolo dell’interprete sociale è strettamente legata all’origine e al contesto della interpretazione sociale (IS). Si tratta di un’attività che nasce per volontà delle istituzioni. La loro preoccupazione principale è l’attenzione agli utenti e i problemi di comunicazione sono parte accessoria di un problema più globale. Per tale motivo, le diverse soluzioni adottate dalle istituzioni hanno generalmente come obiettivo risolvere globalmente un problema più ampio che quello della comunicazione. Sebbene il ruolo dell’interprete sia un tema trasversale, in quei paesi con un maggior sviluppo della professionalizzazione, viene riconosciuta l’esistenza del tema e viene incluso come oggetto di specificazione nei codici deontologici e durante la formazione degli interpreti. Tuttavia, nei paesi in cui tale attività ancora non è stata professionalizzata come in Spagna, vi è poca riflessione sul tema (Martin-Abril Martí 2002: 56) 152 Frequentemente gli utenti hanno aspettative erronee o irreali dei limiti del ruolo dell’interprete. All’interprete si chiede spesso di svolgere compiti che non gli competono, quali la raccolta di informazioni, o dare di opinioni su quanto espresso da parte dell’utente appartenente al gruppo minoritario, assegnandogli/le anche il compito di aiutante. Lo svolgimento di tali attività può compromettere la sua neutralità. Secondo molti autori, l’interprete deve mostrare lo stesso grado di lealtà alle due parti nell’interazione, compito molto difficile se consideriamo che molti interpreti appartengono al gruppo minoritario e di conseguenza la loro posizione è di svantaggio: vengono percepiti automaticamente dall’istituzione come difensori del proprio gruppo etnico e dai membri del gruppo stesso come alleati (Martin-Abril Martí 2002: 56-57). La neutralità è auspicabile per salvaguardare la credibilità dell’interprete e garantirgli la possibilità di portare a termine la sua missione. Solo un interprete consapevole del suo ruolo di “facilitatore” della comunicazione e la cui condotta inequivocabile offre le necessarie garanzie di imparzialità e riservatezza, riuscirà ad ottenere la fiducia di entrambe le parti nella sua attività. E ciò a sua volta accrescerà il rispetto verso l’interpretariato come professione. Martin e Abril Martí sostengono che, entrambi gli interlocutori, devono sapere se l’interprete riferirà solo il contenuto verbale dell’incontro o se possiede anche altre capacità per influenzare l’esito dello stesso mediante commenti e interventi personali. Non rispettare tali norme porta il processo di professionalizzazione ad un circolo vizioso senza uscita, poiché solo la professionalizzazione della IS può chiarire l’importanza della funzione dell’interprete e stabilirne i limiti (Martin-Abril Martí 2002: 57). Nel suo studio comparativo sulla IS a livello mondiale, Ozolins (2000) propone una classificazione delle diverse fasi identificabili lungo la traiettoria verso la professionalizzazione di tale attività. Le fasi vanno dalla negazione di questa realtà, fino alla fase dei paesi che offrono servizi linguistici generici e infine alla fase di quei pochi paesi che non solo hanno servizi linguistici, ma si appoggiano ad un sistema istituzionalizzato di formazione e accreditamento, che garantisce un livello di qualità ottimo. Al momento la Spagna si colloca tra la categoria della “negazione del problema” e la fase dei “servizi ad hoc” (Martin-Abril Martí 2002: 57). 153 Si potrebbe affermare come dicono Martin e Abril Martí che, nella IS in Spagna, l’assegnazione delle funzioni è tanto caotica quanto la prestazione del servizio. La società è poco informata sui servizi di traduzione/interpretazione nei servizi pubblici. Nonostante ciò, la situazione in Spagna redarguiscono le autrici non è catastrofica come si potrebbe essere portati a credere. Il riconoscimento dell’atto interpretativo si è posto all’attenzione di quelle Comunità Autonome la cui lingua vernacolare non è il castigliano (principalmente la Catalogna, i Paesi Baschi e la Galizia) e questo aspetto avrà presumibilmente un effetto domino rispetto all’interpretariato in altre lingue. Vi sono inoltre alcuni gruppi di interpreti volontari molto preparati e ben organizzati, così come una infrastruttura accademica ben consolidata. Martin e Abril Martí ci riferiscono che la proposta di alcuni studiosi in Spagna consiste nella collaborazione tra enti, associazioni, gruppi di volontari, ecc. ed Amministrazione per realizzare un’iniziativa comune, che offra corsi brevi di formazione per quelle persone che da diverse prospettive, volontari, mediatori e così via, possano beneficiare di tale formazione. Tali corsi avrebbero la funzione di delimitare le funzioni, le competenze, le responsabilità dell’interprete sociale all’interno dei servizi pubblici e contribuirebbero a sviluppare il senso di consapevolezza di questa attività. Tale proposta costituirebbe un buon input nella strada da percorrere verso la professionalizzazione della IS in Spagna (Martin-Abril Martí 2002: 58-59). 5.4 PANORAMA ATTUALE DELLA MEDIAZIONE INTERCULTURALE Partiamo da una definizione ben articolata della figura del mediatore interculturale proposta da Dora Sales Salvador, la quale ha pubblicato un articolo sulla mediazione interculturale dal titolo “Panorama de la mediación intercultural”(www.accurapid.com. Volume 9, N. 1 January, 2005), al fine di dare informazioni al lettore e riportata da Valero Garcés (Valero Garcés 2006: 103-104). Riproduciamo uno stralcio dell’articolo: “La mediación intercultural es un fenómeno bastante reciente, que en España no cuenta con mucho más de diez añoz. De hecho se trata de una figura que aún no está del todo definida, ni siquiera regularizada professionalmente, pues aunque la figura del mediador intercultural ya está reconocida por el Ministerio del Interior - según Real 154 Decreto 638/2000 del 11 de mayo-, a efectos prácticos esto no se nota nada. Hoy por hoy no existe un título oficial de mediador intercultural, ni un sistema de formación y acreditación. La mediación intercultural suele estar relacionada con el ámbito del trabajo social, y las pocas iniciativas formativas en este campo, contando o no con apoyo académico universitario, se han puesto en marcha desde ONGs y servicios sociales de ayuntamientos […] Entendemos la Mediación Intercultural – o mediación social en contextos pluriétnicos o multiculturales - como una modalidad de intervención de terceras partes, en y sobre situaciones sociales de multiculturalidad significativa, orientada hacia la consecución del reconocimiento del Otro y el acercamiento de las partes, la comunicación y comprensión mutua, el aprendizaje y desarrollo de la convivencia, la regulación de conflictos y la adecuación institucional, entre actores sociales o institucionales etnoculturalmente diferenciados. A grandes rasgos, se habla de mediación cuando la comunicación entre dos partes mo puede llevarse a cabo sin el puente de una tercera persona […] Coincidimos con Castiglioni (1997: 17; 26) al pensar que sin el reconocimiento de los derechos civiles (irrenunciables) no es posible que se produzca ningún proceso de integración de la población inmigrante. La política de inmigración necesita partir de la consideración de que los inmigrantes son partes integrantes de la sociedad de acogida, y poe ello son también usuarios de los servicios públicos. En este contexto, la mediación lingüístico-cultural supone un espacio de prevención de conflictos, permitiendo la expresión de la demanda, descodificándola y traduciéndola en términos de derechos (Catiglioni, 1997: 32). Quien media desarrolla un tipo particolar de comunicación, pues con la intervención del mediador la interacción se vuelve triangular […] Mediar no implica sólo traducir las palabras sino que va más allá, abarcando todos los aspectos de la comunicación no verbal (olor, gestos, movimientos del cuerpo, silenzio, etc.), que culturalmente son claves […] Al tiempo, el mediador ha de ser consciente de que no es posible considerar al sujeto inmigrante con el que trate en cada momento como un “miembro típico” de su cultura. Es decir, tiene que estar atento al peligro de hablar en términos de idiosincrasía o estereotipos o de culturalismo. Cabe, pues, tener en cuenta la variable personal de cada cual y además la adaptación o cambio que puede devenir del contacto entre culturas. Ante todo, el mediador interviene, construye un lenguaje común entre las partes, despliega un papel activo y delicado para el cual la formación profesional adquiere un valor fundamental. Y precisamente en el ámbito del las necesidades formativas en torno a la mediación esiste enormes carencias […] Ante todo, en el campo de la mediación intercultural hace falta una progresiva capacitación y profesionalización. Las carencias actuales en este sentido motivan que 155 en muchas ocasiones terminen haciendo de mediadores familiares o amistades de los inmigrantes que necesitan de la ayuda de un enlace, con la falta de preparación y la tensión personal que eso puede conllevar. Y es que los mediadores interculturales no disponen aún de un estatuto legal en muchos países europeos, aunque son cada vez más numerosos, porque su labor es una demanda reakl y actual en todo país que, como España, se encamina hacia una sociedad de convivencia de culturas (Sales Salvador in Valero Garcés 2006: 104-107). Il mediatore interculturale è una nuova figura che va emergendo progressivamente in diversi paesi del mondo e, negli studi di traduzione e interpretazione, assumono sempre più importanza le ricerche dedicate alla componente più “sociale” e “coinvolta” della pratica traduttiva, quella cioè che rivela con maggior chiarezza la “vocazione” alla traduzione/interpretazione (Sales Salvador 2005). Il mediatore è qualcosa di più di un semplice traduttore, poiché la traduzione/interpretazione è solo una componente della mediazione, che si profila come una modalità di intervento sociale. Il punto di partenza di questo lavoro sulla comunicazione interculturale e l’immigrazione si inserisce all’interno della ricerca portata avanti dal Gruppo CRIT “Comunicación y Relaciones Interculturales y Transculturales”, di cui fa parte l’autrice del presente articolo. Secondo Sales Salvador, la conoscenza e lo studio sulla comunicazione interculturale risulta sempre più necessario, se si tiene conto che, paesi come la Spagna, il Portogallo e l’Italia, che sono stati tradizionalmente paesi di emigrazione, si sono convertiti in paesi di immigrazione (extracomunitaria). Tale situazione rivela le necessità e carenze della società d’accoglienza verso gruppi di immigrati, soprattutto in relazione alla comunicazione e alla convivenza tra le culture. Come sostiene l’autrice nel suo articolo, la mediazione interculturale è un fenomeno piuttosto recente, che in Spagna si è posto all’attenzione da poco più di una decina d’anni (Sales Salvador 2005). Vi sono dei gruppi in Spagna che si occupano da tempo della mediazione: citiamo la EMSI (Escuela de Mediadores de la Comunidad de Madrid), che collabora con Cruz Roja, all’interno della quale si è sviluppata, sotto la guida di Carlos Giménez Romero, il Programma di “Migrazione e Multiculturalità”. 156 Frutto della collaborazione tra EMSI e il Comune di Madrid è il SEMSI (Servicio de Mediación Social Intercultural), operativo dal 1997 e che è ispirato a sistemi simili presenti in Italia, Svezia e Regno Unito. Un’ altra importante iniziativa è la Federación Andalucía Acoge e l’AEP Desenvolupament Comunitari de Catalunya, che collaborano dal 1998. Entrambi sono collegati al Centre Bruxellois d’Action Interculturelle (CBAI), che realizza alcuni degli studi più importanti nell’ambito della mediazione interculturale a livello europeo. La proposta più interessante oggi in Spagna in quanto alla mediazione interculturale e agli aspetti informativi viene dal lavoro congiunto della Federación Andalucía Acoge e della l’AEP Desenvolupament Comunitari de Cataluña, raccolta nel volume “Mediación Intercultural. Una propuesta para la formación” (2002), che offre riflessioni sulla mediazione interculturale ed un modello pedagogico per l’organizzazione di un corso di formazione in mediazione interculturale, la cui metodologia si basa su: ricerca-azione-partecipazione (Sales Salvador 2005). 5.4.1 IL MEDIATORE: NUOVA NECESSITÀ NELLA SOCIETÀ SPAGNOLA I cambiamenti che si stanno producendo nella struttura delle società e nel modo di stabilire le relazioni sociali, stanno modificando il modo di intendere il ruolo del traduttore/interprete come mediatore interlinguistico (Valero Garcés-Barés 2002a: 15). Secondo gli autori, due sono le tendenze che sembrano profilarsi: 1) la difesa del ruolo dell’interprete/traduttore come professionista che si occupa di tradurre un testo da una lingua all’altra, rispettando i principi tradizionali di fedeltà e adeguatezza; 2) la difesa del ruolo del mediatore linguistico come ponte e interlocutore valido per agevolare la comprensione dei vari gruppi presenti in una società multiculturale, quale quella spagnola. Il carattere volontario e diremmo anche vocazionale è una caratteristica della traduzione e interpretazione per i servizi pubblici. Secondo quanto afferma Hernández (1997: 203), la traduzione per i servizi pubblici è un’attività che, al pari di altre attività di tipo vocazionale, è associata a quelle attività in cui la persona partecipa integralmente con la sua realtà psicosomatica. 157 A ciò bisogna aggiungere una dimensione interpersonale. Nella società sono sempre più frequenti gli incontri in cui gli interlocutori sono parlanti nativi di lingue diverse e mostrano livelli di padronanza diversi della lingua e della cultura scelta per lo scambio o delle due lingue. In conseguenza di ciò, possono sorgere malintesi che spesso compromettono l’immagine sociale dell’immigrato e le sue possibilità di promozione sociale (Valero Garcés-Barés 2002a: 18-19). Come sottolineano gli autori, il traduttore/interprete non vede se stesso come soggetto protagonista che sovrasta la personalità dell’altro, il più debole. Il traduttore non ha la libertà di fare ciò che vuole; la sua attività lo obbliga continuamente a scegliere tra una serie di opzioni, a volte in situazioni molto delicate. I limiti a questa attività sono dati dalla funzione di mediatore interculturale, insiti nell’attività dell’interprete. Alcuni tratti specifici secondo Valero Garcés e Barés che si applicano al mediatore interculturale nell’attuale realtà spagnola sono: 1) La natura etnoculturalmente differenziata delle parti coinvolte. Il rischio che esiste in tali contesti sociali molto vari è quello di mettere in luce e/o evidenziare differenze di disuguaglianza. Da qui ne consegue che, una delle capacità del mediatore interculturale e interlinguistico, sia la conoscenza globale delle parti e il saper sfruttare in maniera consapevole le differenze che le caratterizzano, per non cadere in stereotipi ed essere inoltre capace di analizzare adeguatamente il contesto sociopolitico e ideologico nel quale si muove; 2) L’incidenza delle differenze nella relazione esistente tra le parti. Esse hanno una determinata conoscenza dell’Altro. Le attitudini del mediatore interculturale ed interlinguistico sono condizionate da stereotipi, pregiudizi, timori o posizioni etnocentriche che deve saper gestire per garantire una comunicazione equa; 3) L’importanza del bagaglio culturale del mediatore, aspetto molto discusso che secondo Valero Garcés e Barés fa sorgere la seguente domanda: “qual è il mediatore ideale da un punto di vista culturale?”. Le opzioni possibili sono tre: 1) essere biculturale; 2) non appartenere a nessuna delle culture 158 presenti nello scambio comunicativo; 3) appartenere ad una di esse (Valero Garcés-Barés 2002a: 20-21). Le opinioni sono diverse. La figura del mediatore linguistico non è sempre riconosciuta e difesa dagli studiosi della traduzione nei servizi pubblici. Vi sono circoli che sostengono l’importanza di una attitudine distaccata e acritica, nella quale il traduttore/interprete è un mero “riproduttore del messaggio”. Basta osservare alcuni principi applicabili alle ONGs ed istituzioni dedicate a queste attività, quali esempio il codice etico dell’interprete elaborato da COMRADE/SETI, una delle ONGs più attive nel campo della comunicazione interlinguistica e dove si legge: 1) L’interprete non deve assumere altre funzioni mentre sta interpretando al di là di quelle relative alla sua professione; 2) L’interprete non deve assumere le vesti dell’utente o del professionista dell’ente che fornisce il servizio. Valero Garcés e Barés ci dicono che nella pratica, entrambe le figure (interpretemediatore), sono presenti nel panorama spagnolo, ma all’interno del contesto dei servizi pubblici, non sono accompagnate da una adeguata preparazione. Vi è stata una lenta evoluzione grazie agli sforzi delle ONGs, di personale volontario e di alcune istituzioni locali, ma ciò che manca è un concreto sostegno a livello regionale o nazionale (Valero Garcés-Barés 2002a: 21-22). Martin e Abril-Martí sostengono che, fra tutte le persone che entrano in contatto con l’immigrato, la figura del mediatore interculturale assume un rilievo particolare. Non si tratta di una professione che si sovrappone alla interpretazione sociale (IS), ma che può contribuire al pieno sviluppo della stessa e al suo completamento (Martin-Abril Martí 2002: 58). Risulta curiosa come notano le autrici, l’assenza di tematiche linguistiche nei piani di studio dedicati alla mediazione interculturale, così come la mancata preoccupazione per l’argomento espressa a volte dai professionisti. Se il mediatore interculturale assume il ruolo di professionista bilingue, ovvero rappresentante dell’Amministrazione capace di comunicare direttamente con l’immigrato nella sua lingua senza il bisogno di ricorre all’interpretariato, allora questo 159 può essere l’ inizio di una serie di possibili soluzioni ritenute idonee. Ma nel momento in cui tale professionista, oltre alla sue funzioni, svolge anche funzioni di interpretariato tra l’immigrato e altri professionisti dell’Amministrazione, è fondamentale che lo manifesti, definendo quale ruolo sta assumendo in quel momento e distinguendo una funzione dall’altra. Se ciò non avviene, i risultati saranno la perdita di credibilità tanto nel mediatore, quanto nell’interpretariato quale attività, così come delle aspettative del ruolo dell’interprete, il che ci conduce al succitato circolo vizioso della mancata professionalizzazione della IS (Martin-Abril Martí 2002: 58-59). Per quanto riguarda i contributi sulla comunicazione interlinguistica, secondo Valero Garcés e Barés, occorre precisare innanzitutto, che essi sono il frutto dello sforzo congiunto di persone ed enti che credono in una società multiculturale (Valero GarcésBarés 2002a: 22) . I contributi principali si possono suddividere in quattro blocchi: 1) Gli articoli di ricercatori e professionisti di prestigio nel campo della comunicazione interlinguistica, quali Ann Corsellis o Helge Niska; 2) I contributi sull’attività dell’interprete/traduttore nei servizi pubblici in Spagna; 3) I lavori che si concentrano sulla professione dell’interprete e traduttore realizzati al di fuori della Spagna; 4) Contributi vari dedicati alla professionalizzazione del traduttore e alla traduzione di linguaggi specializzati propri derivati dai servizi pubblici (Valero Garcés-Barés 2002a: 22-24). 5.4.2 SFIDE E TECNICHE NELLA MEDIAZIONE CULTURALE Mentre a livello internazionale si parla di “community intepreting” o “liaison interpreting”, in Spagna si utilizza l’etichetta di “intérprete de enlace, intermediario lingüístico, intérprete social, mediador cultural”, ecc. (El Hasnaoui 2005: 83). Indipendentemente dal termine utilizzato, gli studiosi sono concordi nel definire l’impossibilità di delinearne un profilo specifico e nell’incalzante necessità di dotare di professionalità questa figura. 160 Il motivo principale per la formazione dei mediatori è il crescente flusso di immigrati. La maggior parte dei mediatori oggi in Spagna non sono preparati, conoscono idiomi diversi dalla lingua ufficiale dello Stato e la loro buona volontà è l’unica garanzia del rispetto del principio di riservatezza. Secondo quanto riferisce El Hasnaoui, gli sforzi dell’ Amministrazione sembrano focalizzarsi quasi esclusivamente su aspetti diversi dalla mediazione, delegando l’attenzione verso le nuove necessità ad altri organismi, tradizionalmente più coinvolti nei problemi di assistenza sociale, ovvero le numerose ONGs sparse sul territorio. Ad esempio, la Ley Orgánica 10/2002 del 23 dicembre (BOE 24) dedica l’articolo 42 del capitolo VII alla incorporazione nel sistema educativo degli alunni stranieri, sostenendo che: “para los alumnos que desconozcan la lengua y cultura españolas, o que presentan graves carencias en conocimientos básicos, las Administraciones educativas desarrollarán programas específicos de aprendizaje con la finalidad de facilitar su integración en el nivel correspondiente” Un elemento centrale di questa legge sono le “Aulas de enlace” del Programma “Escuelas de Bienvenida” (El Hasnaoui 2005: 83-85). Tuttavia i rapporti con l’Amministrazione non si limitano ai centri educativi. La realtà quotidiana del gruppo di immigrati non consiste solo nel soddisfare le necessità scolastiche dei più piccoli e della loro integrazione in collegi ed istituti, ma include anche l’inoltro di documenti ai commissariati, nel compilare moduli, nel redigere elaborati, leggerne altri, andare dal medico ma anche presentarsi in tribunale. El Hasnaoui precisa che è responsabilità dell’Amministrazione fornire i mezzi necessari, affinché i professionisti possano svolgere il proprio lavoro in maniera soddisfacente, non solo per l’immigrato, il rifugiato o il turista, ma anche per i professionisti stessi, il professore, il medico, il funzionario, ecc. La principale sfida che deve affrontare un interprete è l’unione della competenza linguistica, pragmatica, socioculturale e strategica al fine di rendere possibile la competenza interpretativa, ovvero non solo deve conoscere due lingue, ma deve saperle usare (El Hasnaoui 2005: 85). Vediamo nel dettaglio le quattro competenze così come vengono definite da El Hasnaoui: 161 1) Competenza linguistica: è la produzione ed interpretazione dell’insieme di regole del sistema linguistico, ovvero l’uso corretto della lingua da un punto di vista grammaticale. È il punto di partenza per un interprete qualificato, ma non per un “intermediario linguistico” (mediatore), il quale spesso non ha una padronanza perfetta delle due lingue; 2) Competenza socioculturale: è intesa come il grado di familiarità che si ha con il contesto sociale e culturale nel quale si utilizza una determinata lingua; 3) Competenza pragmatica: in una situazione comunicativa non vi sono solo elementi linguistici, ma compaiono anche una serie di elementi paralinguistici, come le espressioni facciali, i gesti, l’intonazione, la postura, ecc. Dall’emittente al destinatario, l’intermediario deve essere in grado di riprodurre perfettamente tutte le componenti paralinguistiche; 4) Competenza strategica: consiste soprattutto nella capacità di definire, correggere, sfumare, sostituire omissioni, reiterare tutti i “difetti” della comunicazione orale, per far giungere il messaggio nella maniera più corretta (El Hasnaoui 2005: 85-87). La seconda sfida è la presenza dei tecnicismi delle differenti discipline. La terza sfida consiste nel vincere certe diffidenze da parte dell’utente che ostacolano una comunicazione efficace, il pudore per esempio in un ospedale o la diffidenza in un commissariato. La quarta sfida infine è l’impossibilità, nella maggior parte dei casi, di lavorare in condizioni adeguate. È la sfida più preoccupante. È urgente assicurare la professionalità dei mediatori, perché è una garanzia per gli utenti bisognosi e può dar diritto inoltre a questi intermediatori linguistici di esigere una contrattazione migliore, superando la condizione di precarietà nella quale vivono oggi (El Hasnaoui 2005: 87). 5.5 I&ISSPP COME PROFESSIONE 162 Secondo Valero Garcés, vari professionisti sostengono che vi sono varie tappe nel processo verso una comunicazione effettiva e reale in società multiculturali con minoranze che non conoscono o conoscono molto poco la lingua e cultura della maggioranza (Valero Garcés 2006: 66). L’autrice cita Ann Corsellis (2002: 182-186), la quale menziona tre processi paralleli di cambio che si sviluppano in maniera consecutiva, ciascuno dei quali si riferisce ad uno degli anelli della catena comunicativa: 1) Gli operatori dei servizi pubblici; 2) Gli utenti dei servizi pubblici che non conoscono la lingua; 3) Gli intermediari che agevolano la comunicazione. Ciascuno di questi anelli passa attraverso un processo di cambio. Il modello di Corsellis secondo Valero Garcés è applicabile alla realtà della società spagnola. Processo A. I servizi pubblici. Le fasi che i servizi pubblici attraversano sono: 1) Mancanza di riconoscimento del problema; 2) Negazione del problema e tentativi di trovare delle soluzioni, a volte poco ragionevoli; 3) Riconoscimento (accettazione del problema); 4) Analisi e proposte di soluzioni, che consta di ulteriori tre passi: a) Progressi a livello locale attraverso iniziative personali o private; b) Istituzionalizzazione a livello nazionale; c) Coerenza a livello locale all’interno di un contesto nazionale, nell’adottare una serie di provvedimenti generali: codici deontologici; reclutamento di interpreti professionisti, ecc. Processo B. Gli intermediari: 1) Mancanza di riconoscimento del problema; 2) Riconoscimento del problema e risposte; 3) Processo di regolarizzazione professionale. Processo C. Coloro che non parlano la lingua del paese o del servizio pubblico. In questo caso è necessario parlare di un individuo e non di un gruppo, poiché le condizioni personali di ciascun individuo sono molto diverse da quelle degli altri. Per tale motivo, non possiamo indicare un processo statico per un gruppo, ma tracciare 163 semmai nelle parole di Valero Garcés, un processo adattabile secondo le variabili del momento e che tenga in considerazione i fattori intervenuti prima della migrazione e post-migrazione (Valero Garcés 2006: 67-69). Valero Garcés cita poi Roda Roberts (1994: 127-138), la quale indicava diverso tempo fa norme simili per la professionalizzazione della T&ISSPP: 1) Chiarimento della terminologia, ovvero trovare una definizione condivisa all’unanimità; 2) Precisazione del ruolo dell’interprete nei servizi pubblici; 3) Sviluppo di programmi di formazione per gli interpreti; 4) Sviluppo di programmi di formazione per i formatori degli interpreti; 5) Sviluppo di programmi per i professionisti che lavorano come interpreti; 6) Certificazione per gli interpreti nei servizi pubblici. Valero Garcés aggiunge che tutte queste fasi sono ugualmente accettate da Ann Corsellis (2003: 71-90) e da altri studiosi e praticanti della T&ISSPP (Valero Garcés 2006: 69-70). 5.5.1 INTERNET: STRUMENTO UTILE PER IL PROGRESSO NELLA PROFESSIONALIZZAZIONE DELLA T&ISSPP Lo sviluppo costante e rapido della nuove tecnologie informatiche e soprattutto di internet, così come l’accesso agevolato agli stessi da parte delle popolazione, sta trasformando la rete in un potente strumento di informazioni, nonché il punto di incontro per praticanti, ricercatori, formatori e pubblico in generale (Valero Garcés 2006: 70). Sono sempre più numerose le organizzazioni o istituzioni, anche pubbliche, che utilizzano la rete come mezzo di diffusione di informazioni o per stabilire contatti, scambiarsi materiali o offrire risorse. Le possibilità di collaborazione a progetti nazionali o internazionali aumenta, così come la riduzione di costi e tempo impiegati nella traduzione e interpretazione. Nel caso dell’ interpretazione, l’esistenza di organizzazioni che offrono servizi 24 ore su 24 ore in varie lingue, sia gratuitamente attraverso le sovvenzioni delle istituzioni 164 statali o di contributi che provengono da privati, sia in forma diretta attraverso o la telefonia mobile o la videoconferenza, sta offrendo nuove opportunità ed estendendo la necessità di rispondere tempestivamente alle sfide che pone la convivenza di persone di cultura diversa, in uno spazio di tempo e luogo ridotto. La comparsa di pagine web che sono il riflesso di progetti in corso o già portati a termine sono molto frequenti. In esse è possibile raccogliere informazioni specifiche sul progetto, ma anche articoli, collegamenti e materiali che sono una buona fonte di dati e ricerche empiriche applicabili ad altri paesi o contesti (Valero Garcés 2006: 70-71). L’autrice ci riferisce che in ambito legale-amministrativo, in particolare, sono numerose le pagine web che offrono informazioni, collegamenti utili, pubblicazioni e materiali relativi alla T&ISSPP. Si tratta però di un volume ridotto di testi disponibili in rete e non sempre di facile accesso rispetto ad esempio all’area sanitaria. Attualmente, varie sezioni e uffici dei governi e dei servizi pubblici stanno incorporando alla rete vari documenti che facilitino l’accesso alla popolazione dalla propria abitazione o dal posto di lavoro. Ci riferiamo ad esempio ad alcune pagine dell’organizzazione statunitense NAJIT (National Association of Judiciary Interpreters and Translators), o alla australiana NAATI (The Australian National Accreditation Authority for Translators and Interpreters) o alla sezione del governo statunitense incaricata della difesa dei diritti civili (www.australia-migration.com/page/NAATI-info) (Valero Garcés 2006: 72). 5.5.2 PRINCIPI METODOLOGICI DELLA PROFESSIONALIZZAZIONE DELLA T&ISSPP È importante precisare, come nota Valero Garcés, che non tutte le persone bilingue, sono necessariamente traduttori e/o interpreti. Da qui sorge il problema della definizione del ruolo di questi intermediari linguistici (Valero Garcés 2006: 91). Vi sono fondamentalmente due modelli secondo l’autrice: 1) Modello della advocacy e 2) Modello della ”imparzialità”. Il primo, riferito principalmente all’ambito sanitario implica la difesa del paziente da parte dell’interprete, il quale sta dalla sua parte, fa domande, consiglia il paziente e offre opinioni personali sui temi trattati durante la visita e in seguito lo avverte dei rischi che comporta per esempio omettere o 165 dare troppe informazioni, non essere imparziale, creare confusione nel passare dal ruolo di interprete a quello di avvocato, preoccuparsi di questioni che non lo riguardano e così via. Al contrario, nel secondo modello, l’interprete ripete fedelmente ciò che sente e le parti coinvolte si esprimono con la propria voce. L’interprete in questo caso è un alter ego della persona per la quale sta interpretando ed è capace di trasmettere il messaggio e produrre l’effetto esattamente come farebbe l’interlocutore (Valero Garcés 2006: 92). Wadensjö propone altri due modelli di interpretazione, o meglio altri due ruoli che l’interprete può ricoprire e che non si escludono a vicenda, anzi sono complementari in determinate circostanze, come nel caso dell’interpretazione bilaterale, e li definisce “relaying others’ talk” e “co-coordinating others’ talk”. Il primo coincide con il modello dell’imparzialità, nel quale l’interprete è invisibile, mentre il secondo con il modello della advocacy, nel quale il colloquio medico-paziente è influenzato dall’interprete (Valero Garcés 2006: 92). Dall’altro lato, per essere biculturali è necessario possedere secondo Para Taft (1981: 73): a) Conoscenze storiche, sociali e culturali: storia, folklore, tradizioni, costumi, valori e tabù, il popolo, le relazioni interpersonali, ecc. (in entrambe le lingue); b) Abilità comunicative: padronanza del linguaggio scritto e orale e di altri tipi di comunicazione: linguaggio corporale, gesti, segni, simboli, ecc.; c) Abilità tecniche adatte alla situazione: saper utilizzare il computer, saper comunicare per telefono, vestirsi adeguatamente alle situazioni, conoscere il contesto e sapersi muovere in esso, ecc.; d) Abilità sociali: conoscenza delle norme che regolano la convivenza nella società, la capacità di autocontrollo a seconda della situazione e della cultura (competenza socioculturale). È necessario cioè possedere una grande sensibilità interculturale che permetta all’interprete di negoziare il significato in entrambe le culture ed essere capace di trasmetterlo ai membri dell’altra comunità nella loro lingua (Valero Garcés 2006: 9394). 166 È proprio su questo punto secondo Valero Garcés che sorgono le divergenze al momento di definire il ruolo del traduttore o interprete come mediatore culturale. Due sono anche in questo caso le tendenze principali. La prima si rifà ad autori come Kondo (1990: 59) o Roy (1993), i quali tentano di porre dei limiti all’intervento dell’interprete /traduttore e che considerano che, se riuscire a trasmettere il significato di un termine/espressione implica lavorare su dei concetti e non sulle parole, allora non ammettono che ciò si possa definire una traduzione. La seconda, d’altro canto, si rifà ad autori come Brislin (1981: 213) o Knapp-Potthof e Knapp (1981: 183), i quali ritengono necessaria la visibilità dell’interprete, in quanto terzo elemento presente nello scambio comunicativo ed inoltre ribadiscono che, entro certi limiti, il mediatore culturale può prendere delle iniziative ed essere più visibile (Valero Garcés 2006: 94). 5.5.3 IL CODICE DEONTOLOGICO: PUNTO DI PARTENZA NELLA PROFESSIONALIZZAZIONE DELLA T&ISSPP Secondo Valero Garcés, i quattro principi base di qualsiasi codice deontologico o norme di buona prassi sono: 1) Riservatezza; 2) Imparzialità; 3) Fedeltà; 4) Integrità. Tali principi hanno denominazioni e obiettivi molto diversi nei diversi codici esistenti. Spesso si tratta di principi basilari o di raccomandazioni che i professionisti sono tenuti ad osservare. Non esistono codici universali (Valero Garcés 2006: 95). Un esempio valido per la Spagna è il codice deontologico della TRINOR (Asociación de Traductores del Norte de España). I tre principi fondamentali sono: la Qualità; la Riservatezza; la Lealtà. 3.1. Calidad Todo traductor o intérprete que realice un trabajo directa o indirectamente para TRINOR deberá hacerlo con la máxima calidad. La calidad del trabajo implica la capacidad del traductor para realizzarlo, la calidad del contenido y la puntualidad con la que se hace. 167 3.2. Confidencialidad En el ejercicio de sus funzione, el traductor o intérprete inevitablemente accederà a información de carácter más o menos privado. Por lo tanto, la Confidencialidad es un aspecto integral de su profesion. Las normas relativas a la Confidencialidad no prescriben. 3.3. Lealtad La Lealtad es uno de los pilares básicos del trabajo profesional. Esta lealtad se deberá mantener tanto hacia el cliente final como hacia los posibles internediarios, inclusive TRINOR. Las normas a la Lealtad no prescriben (Valero Garcés 2006: 96-98). 5.5.4 L’ASPETTO CULTURALE, EMOTIVO E PSICOLOGICO NELLA PROFESSIONALIZZAZIONE DELLA T&ISSPP Valero Garcés sostiene che l’aspetto culturale sia un fattore rilevante nell’ambito della professionalizzazione della T&ISSPP. La cultura è un insieme di fattori, ovvero norme e convenzioni, che regolano il comportamento dei membri di una società. Possedere una competenza culturale significa conoscere e saper interpretare questi fattori (Valero Garcés 2006: 103). I traduttori/interpreti ed in generale, qualsiasi persona che funga da intermediario tra due culture, devono possedere tale competenza: prendere coscienza della propria cultura e dei meccanismi che vi sono alla base e, al tempo stesso, imparare a valutare correttamente i fenomeni culturali estranei alla propria cultura. Uno dei temi ricorrenti nella letteratura e nella pratica della T&ISSPP è la cultura. Ed è ancora più importante nel caso della mediazione interculturale, area ancora in fase di definizione in Spagna, ma strettamente legata, per certi aspetti, alla T&ISSPP, per lo meno in alcuni paesi. Oltre alle competenze di base che gli interpreti per i servizi pubblici condividono con gli interpreti professionisti in altri ambiti, ad esempio la competenza cognitiva e linguistica e il codice etico, essi presentano alcune caratteristiche specifiche, che li distinguono sia dal resto dei professionisti della traduzione/interpretazione, sia per l’importanza che tali caratteristiche possono assumere nello svolgimento della loro attività (Valero Garcés 2006: 166). Di particolare rilievo sono due aspetti: l’influenza del fattore psicologico e di quello emotivo. 168 È oramai scontato dire che, il compito che si richiede ad un intermediario linguistico nei servizi pubblici va molto più in là della semplice traduzione di informazioni. All’interprete si chiede sempre più spesso di essere una sorta di “consulente culturale”, il che implica che deve saper spiegare costumi, valori o credenze tanto agli operatori dei servizi pubblici quanto agli utenti degli stessi per i quali funge da intermediario. Svolge il suo lavoro anche in situazioni critiche e tratta argomenti delicati (richieste di asilo politico, torture, miseria, solitudine, ecc.), avvicinandosi così al mediatore e senza esserne a conoscenza prima. Gli si chiede inoltre che sia capace di dare il giusto valore ad aspetti concreti quali il sentimento di affiliazione alla comunità, la distribuzione delle funzioni, dei ruoli e delle responsabilità nella famiglia e rispetto ad essa, di spiegare concetti quali disgrazia, onore, religione e fede nelle le varie culture e fra i membri di esse (Valero Garcés 2006: 166-167). A volte poi è necessario parlare del singolo individuo e non del suo gruppo di appartenenza ed in questo caso la presa in considerazione di avvenimenti migrazione, durante la migrazione e post-migrazione può essere molto utile ai fini della preparazione dell’interprete nell’ottica di un modello flessibile e adattabile ad ogni situazione. Se inoltre prendiamo in considerazione le caratteristiche degli utenti a cui presta il proprio servizio: a) Utenti in situazioni difficili con i quali l’interprete può condividere alcune caratteristiche (dati biografici, esperienze, l’appartenenza ad una stessa etnia, ecc.); b) Utenti che hanno vissuto esperienze di violenza, patito torture o perdite di familiari e amici; c) Utenti con uno stato emotivo e psicologico provato e le cui conversazioni hanno contenuti molto negativi; d) Impossibilità di un aiuto diretto da parte dell’interprete; allora, non è difficile secondo Valero Garcés, essere portati a credere che l’interprete che funge da intermediario tra due lingue e due culture, debba possedere una alta stabilità emotiva per portare a termine con successo la mediazione (Valero Garcés 2006: 167-168). 169 D’altro canto, gli operatori dei servizi pubblici, non comprendono facilmente il ruolo dell’interprete/traduttore e non sono ben disposti a collaborare con lui/lei. Di conseguenza, gli/le chiedono di svolgere mansioni non direttamente associate alla sua professione (effettuare chiamate telefoniche ai familiari, spiegare termini tecnici, compilare moduli, scrivere rapporti, ecc.). Vi è tuttavia un accordo generalizzato tra i praticanti della T&ISSPP, ricercatori e formatori, sull’importanza di una formazione specifica per poter svolgere tutte le mansioni richieste ad un interprete in una vasta gamma di situazioni e contesti. Valero Garcés ritiene che tale formazione dovrebbe includere misure di prevenzione e di monitoraggio. La formazione previa dovrebbe basarsi sulla diffusione di informazioni in merito a: a) Argomenti che possono presentare aspetti emotivi perniciosi (la comunicazione di una cattiva notizia, la descrizione di torture, il rapporto con persone violente, ecc.); b) Formazione psicologica di base su aspetti quali stress, ansietà, deviazioni comportamentali, ecc.; c) Riconoscimento di fattori portatori potenziali di stress; d) Riconoscimento dei sintomi e delle strategie per affrontare un possibile impatto psicologico legato allo svolgimento dell’attività; e) Allenamento nelle strategie di affrontamento, quali per esempio l’empatia o l’autostima, necessarie per svolgere la professione in contesti di volta in volta differenti (Valero Garcés 2006: 168). Gli studi sul versante psicologico ed emotivo dell’interprete nei servizi pubblici sono molto pochi. Sono quattro i contributi rilevanti in questa area secondo l’autrice: 1) “Apoyo psicológico dirigido a los empleados humanitarios”, realizzato da autori vari nel 2001; 2) “The Psycological and Emotional Effects of Community Interpreting” realizzato nel 2000 da Karen Baistow nel Regno Unito; 3) “Medical Interpreters have feelings too”, realizzato da vari autori a Ginevra nel 1999 e 4) appunti per una guida sulla buona condotta dell’interprete come mediatore interlinguistico. Questo studio in particolare, raccoglie i risultati di una ricerca realizzata dagli studenti del corso di “Mediazione Interlinguistica”, impartito dalla EMSI di Madrid tra il 2001 e il 2003 e 170 nell’Università di Alcalá tra il 2001 e il 2003, all’interno del Programma di Formazione di Traduttori e Interpreti per i Servizi Pubblici (Valero Garcés 2006: 171). 5.6 ASPETTI SPECIFICI DELLA TRADUZIONE PER I SERVIZI PUBBLICI L’obiettivo principale della traduzione per i servizi pubblici o traduzione sociale è, come già detto, dare un’informazione specifica ad un pubblico altrettanto specifico, ovvero un pubblico che risponde ad una minoranza culturale e/o linguistica (Valero Garcés 2002b: 62). Avendo questo obiettivo, il traduttore si trasforma in mediatore socio-culturale, con abilità specifiche e preparazione adeguata, che vanno oltre la conoscenza della lingua e cultura, poiché sono richieste certe abilità interculturali quali: a) lavorare con due lingue, una delle quali possiede uno status sociale inferiore all’altra, che appartiene alla cultura dominante; b) garantire una certa neutralità e distacco anche quando si lavora per la stessa comunità etnica; c) essere consapevole della mancanza di educazione o delle differenze culturali in ambo le comunità; d) mostrare abilità nel fungere da ponte linguistico e culturale, al momento di trattare argomenti specifici che possono essere tabù per alcune comunità; e) conoscere la terminologia specifica relativa agli argomenti di lavoro ed infine f) essere capace di cambiare registro o di sapersi adattare in funzione della cultura destinataria (ibidem). Valero Garcés sostiene che, oltre alla conoscenza delle lingue e culture, il traduttore per i servizi pubblici deve possedere una certa sensibilità culturale per riconoscere e lavorare in dei contesti socio-linguistici specifici, nei quali fattori come la cultura d’origine, l’età, lo status sociale ed educativo delle persone sono determinanti. Ad esempio, il trattamento di argomenti come il denaro, il sesso, i generi alimentari e le bevande, la religione, le malattie come il cancro e l’AIDS possono essere tabù in una società, ma non necessariamente in un’altra e possono essere trattati in maniera diversa. 171 La traduzione di questi temi richiede l’intervento del traduttore per impedire che si rompa la comunicazione o detto in altro modo, affinché le parti familiarizzino l’una con l’altra, favorendo l’integrazione sociale (Valero Garcés 2002b: 64) L’aspetto più difficile nel pensiero dell’autrice è decidere fino a che punto sia necessario intervenire. Innanzitutto appare ovvio che, per produrre testi adeguati, senza dare troppa informazione né lasciare troppi significati impliciti, si richiede un alto grado di professionalizzazione, che molto spesso sono volontari o persone malpagate e senza nessuna preparazione che fungono da traduttori. Nella comunicazione nei servizi pubblici dove si hanno contatti con utenti stranieri intervengono numerosi fattori. Tre agenti principali secondo Valero Garcés sono: 1) l’iniziatore del processo di traduzione; 2) il tipo di traduzione e 3) il modo di tradurre (Valero Garcés 2006: 202). Per quanto riguarda l’iniziatore processo di traduzione, nei paesi che hanno una forte tradizione, gli interessati a produrre materiale tradotto sono istituzioni governative con competenze in tema sanitario, legale, educativo o amministrativo, ONGs, sindacati o altre associazioni di gruppi etnici. Possono anche appartenere alla cultura dominante o alla cultura d’arrivo. E anche il proposito della traduzione può essere diverso: si può trattare di una traduzione o di un adattamento per una comunità specifica. Per quanto riguarda i tipi di testi che vengono tradotti, generalmente sono di tre tipi: 1) informazione sui servizi sociali e istituzionali, che descrivono le loro funzioni, il modo per accedervi, ecc.; 2) testi di carattere sanitario o amministrativo che coprono un ampia gamma di temi, da quelli informativi, per esempio sulla vaccinazione o sulla gravidanza; 3) documenti officiali e semi-ufficiali (transazioni commerciali, contratti di locazione e compravendita, ecc.). Tali testi possono includere una terminologia specifica che a volte rappresenta una spina nel fianco per il traduttore e che deve essere capace di produrre un testo per il lettore scegliendo il lessico più appropriato, il registro e lo stile (Valero Garcés 2006: 202-203). Per quanto riguarda la modalità di traduzione, i materiali disponibili in altre lingue, riflettono in generale due tendenze: 1) da un lato, materiali tradotti dalle istituzioni governative e 2) dall’altro, testi tradotti da ONGs o associazioni di gruppi etnici specifici. 172 In Spagna, la produzione di testi tradotti in lingue diverse è una realtà incipiente se comparata al volume di testi prodotti in altri paesi. Ma anche qui si è ben lontani, come ci ricorda Valero Garcés, dal produrre materiali autentici in lingue minoritarie, anche se cresce il numero di testi (Valero Garcés 2006: 203). La tipologia di testi che troviamo in Spagna è suddivisa in 3 aree: 1) documenti ufficiali; 2) guide dei servizi; 3) opuscoli informativi. I documenti ufficiali sono documenti pubblicati dagli uffici del governo la cui finalità è, nella maggior parte dei casi, informare il cittadino o l’immigrato sulle leggi o sui temi che gli interessano per regolarizzare la sua situazione o integrarsi nella società, ad esempio “La guía para el proceso de regularización de los extranjeros”, edita nel 2000 dall’Amministrazione Generale dello Stato in inglese, francese e arabo. Altri documenti ufficiali tradotti in varie lingue sono i moduli per richiedere vari servizi, per esempio le richieste di permesso di soggiorno e di lavoro, in cui vengono richiesti dati personali, di residenza o in relazione alla situazione del richiedente in Spagna. Le lingue in cui vengono tradotti questi documenti sono inglese, francese, arabo, cinese e russo. Le Guide dei Servizi sono documenti pubblicati generalmente da municipi, ONGs e dalle Comunità Autonome. Lo scopo è generalmente agevolare la conoscenza e l’uso delle risorse. Le Guide si rivolgono alla popolazione immigrata, ma vengono utilizzate anche dagli operatori dei servizi e costituiscono uno strumento informativo che serve a favorire l’integrazione. Uno dei primi esempi è “Guía Informativa para Inmigrantes de Alcalá de Henares”. La Guida fu pubblicata nel 1997, Anno Europeo contro il Razzismo, dal Consigliere della Salute e Benessere Sociale del Comune di Alcalá e collaborarono ONGs come Caritas o l’associazione polacca “Águila Blanca”, molto conosciuta ad Alcalá. I contenuti di tale guida sono tradotti in quattro lingue: spagnolo, rumeno, polacco e arabo. Altra guida in corso di elaborazione è la “Guía Básica Multilingüe de Atención al Paciente” (spagnolo-arabo, spagnolo-bulgaro, spagnolofrancese, spagnolo-inglese, spagnolo-rumeno, spagnolo-russo), che si aggiunge ad un corpus di documenti di carattere sanitario tradotti dal gruppo FITISPOS (Grupo de Formación e Investigación en Traducción e Interpretación en los Servicios Püblicos) dell’Università di Alcalá (Valero Garcés 2006: 204-205). Gli opuscoli informativi sono documenti pubblicati generalmente da organismi ufficiali come l’Istituto di Migrazioni e Servizi Sociali (IMERSO), dipendente dal 173 Ministero del Lavoro e degli Affari Sociali o dalle Comunità Autonome in collaborazione con l’INSALUD, ONGs o sindacati. Questo tipo di documenti, così come le guide, hanno obiettivi e proposte diverse. I temi trattati sono vari. In quanto al contenuto e alla qualità, si osservano due tendenze: 1) i materiali prodotti dalle istituzioni sono testi che presentano una traduzione letterale e meno sensibile alla cultura specifica; 2) i testi prodotti dalle ONGs o dalle associazioni di gruppi etnici specifici sono adattati alla realtà socio-culturale dei destinatari. Un esempio per tutti è la “Guía de Salud para Inmigrantes y Refugiados” in spagnolo, inglese, francese, arabo e cinese con informazioni su temi relativi ad una alimentazione sana, la cura del corpo e l’ igiene personale, la salute materna, la salute dei bambini, la salute mentale e consigli pratici su quando rivolgersi al medico. La traduzione è letterale, perdendo a volte efficacia, in quanto viene meno una certa sensibilità culturale rispetto alla popolazione a cui si rivolge (Valero Garcés 2006: 206207). 5.7 L’UFFICIO DI INTERPRETARIATO IN SPAGNA Oggigiorno tutti i paesi dispongono di un servizio di traduzione e interpretazione che realizza attività di mediazione linguistica per i governi e le autorità ufficiali. In Spagna esiste la “Oficina de Interpretación de Lenguas”, che dipende direttamente dal Ministero per gli Affari Esteri (Cáceres Würsig 2004: 127). Andando un po’ a ritroso nel tempo, a metà del XIX secolo, cominciarono ad essere utilizzati indistintamente i termini Segreteria e Ufficio, nel momento in cui la Segreteria passò a dipendere dal Ministero dell’Interno. Tuttavia, il cambio della denominazione si produsse nel 1870, quando apparve la prima norma legislativa che regolava le Carriere Diplomatica, Consolare e degli Interpreti. Attraverso questa legge venne regolarizzata la figura dell’interprete presso le ambasciate e i consolati. Gli interpreti che prestavano il loro servizio fuori dalla Spagna, potevano essere aggregati in seguito al superamento di un esame. La loro missione consisteva nel tradurre e interpretare presso l’ambasciata o il consolato pertinente, mentre l’Ufficio di 174 Interpretariato era l’organo incaricato di preparare e valutare l’esame per gli interpreti giurati che conferiva il Ministero dell’Interno (Cáceres Würsig 2004: 137-138). Gli interpreti giurati, invece, prestavano il loro servizio nelle provincie del regno. Presso l’Ufficio, inoltre, si realizzavano traduzioni dei documenti presentati in pubblico per valutarne la correttezza, di documenti spediti dai tribunali, dai ministeri, dalle autorità e, a volte, documenti del Ministero dell’Interno. Come rilevano gli autori, oggi vi sono poche informazioni sull’Ufficio di Interpretariato. A tal proposito ricordano che sul sito del Ministero per gli Affari Esteri non vi è alcun riferimento ad esso. Vi sono informazioni solo sull’interprete giurato, così come il bando degli esami ufficiali per gli interpreti giurati. L’assenza dell’Ufficio sul sito del Ministero spagnolo è un ulteriore prova, secondo gli autori, dello scarso riconoscimento della mediazione linguistica in Spagna. Per tale ragione, le uniche informazioni sull’organizzazione dell’attuale Ufficio riguardano il regolamento, i bandi d’esame per traduttori/interpreti ed interpreti giurati e le interviste ai capi d’area dell’Ufficio. Attualmente, l’Ufficio di Interpretariato dipende dal Ministero per gli Affari Esteri ed è il massimo organo dell’Amministrazione Statale in materia di traduzione e interpretazione di lingue (Cáceres Würsig 2004: 138). L’organizzazione e l’attività dell’Ufficio furono regolate con il Decreto Reale 2555/1977 del 27 agosto. In seguito, il regolamento, nel quale vengono descritte le competenze dello stesso, fu modificato parzialmente mediante il Decreto Reale 752/1992 del 27 giugno. Nel 1991 fu creato il Corpo di Traduttori e Interpreti assegnato al Ministero degli Affari Esteri che assunse le funzioni dell’ormai estinto Corpo di Interpretariato. Sebbene il regolamento non lo menzioni, l’Ufficio è diviso in due sezioni: una sezione di traduzione diretta e una di traduzione inversa e interpretariato, sotto la supervisione diretta di un capo d’area nel primo caso e di un caporeparto nel secondo (Cáceres Würsig 2004: 138-139). 5.7.1 FUNZIONI DELL’UFFICIO DI INTERPRETARIATO L’Ufficio di Interpretariato, d’accordo con il regolamento del 1992, svolge le seguenti funzioni (Cáceres Würsig 2004: 139): 175 a) Nell’area della traduzione: • Traduzione ufficiale in castigliano dei trattati e dei convegni internazionali ai quali partecipa lo Stato spagnolo; • Traduzione inversa di quei testi che lo Stato spagnolo è obbligato a consegnare ad altri stati in virtù degli accordi internazionali; • Traduzione inversa e diretta di documenti di carattere diplomatico, consolare o amministrativo del Ministero degli Affari Esteri, così come di tutti quei documenti degli organi superiori di Stato relativi alle relazioni estere e di cui vi deve essere attestazione ufficiale. b) Nell’area dell’interpretariato: • Interpretazione di atti in cui intervengono rappresentanti degli organi superiori dell’Amministrazione Statale, sia in territorio nazionale che al di fuori di esso. c) Nell’area della revisione e della consulenza linguistica: • Confronto delle traduzioni dei trattati e dei convegni internazionali e altri testi redatti in lingue straniere, la cui pubblicazione in castigliano è obbligatoria, in virtù dell’ordinamento legale vigente; • Partecipazione, in qualità di esperti linguistici in traduzione e/o interpretariato, in riunioni di conferenze o commissioni incaricate della negoziazione in occasione di Trattati, accordi e convegni internazionali, sia in territorio nazionale, che al di fuori di esso e assistenza ad altri Ministeri e organi dell’Amministrazione Statale in materia di traduzioni e interpretariati; • Confronto, revisione o traduzione dei documenti spediti dalle autorità giudiziarie, che devono essere conformi a quanto previsto dalle norme processuali, laddove il Ministero di Giustizia non abbia previsto un’ altra procedura per la prestazione di questo servizio; • Risolvere perizie e consultazioni relative alla traduzione e interpretazione di lingue e glossari terminologici in materie di sua competenza. d) Organizzazione di esami per l’interprete giurato (Cáceres Würsig 2004: 139140). 176 L’Ufficio è l’organo di comunicazione ufficiale con le istituzioni competenti in traduzione e interpretariato della UE, organismi internazionali e paesi stranieri. Ha inoltre contatti con le istituzioni simili delle Comunità Autonome. L’Ufficio è inoltre il membro fondatore della “Conference of Translation Services of European States”, creata nel 1982 (Cáceres Würsig 2004: 141). 5.8 LA SITUAZIONE PROFESSIONALE DEL TRADUTTORE IN SPAGNA Negli anni ’90 vi erano solo quattro centri di formazione per traduttori, tre dei quali si occupavano di formare interpreti: l’Istituto Universitario di Lingue Moderne e Traduttori di Madrid e le tre EUTI di Barcellona-Bellaterra, Granada e Las Palmas (Benítez 1994: 619-620). Due erano in quegli anni le associazioni a livello nazionale: 1) La Sezione Autonoma di Traduttori di Libri dell’Associazione Collegiale degli Scrittori, fondata nel 1983; 2) L’Associazione Professionale Spagnola di Traduttori e Interpreti (APETI), fondata nel 1954, che riunisce traduttori di generi differenti (di libri, di impresa, interpreti giurati) ed interpreti (di conferenza, simultaneisti e di consecutiva). Vi erano poi associazioni di traduttori di catalano, gallego e basco (Benítez 1994: 623-624). La professione di interprete e traduttore è certamente una delle più appassionanti, ma poco riconosciuta finora e di scarso prestigio. La creazione in Spagna della FIT (Facultades de Traducción e Interpretación) è servita a ravvivare degli studi che storicamente sono sempre stati posti in secondo piano (Pujol Puente 2000: 225). Nel 1995 venne fondata TRIAC (Traductors i Intèrprets Associats Pro-Col.legi) da un gruppo di studenti e neolaureati e professionisti che possedevano il vecchio titolo EUTI. Uno dei problemi maggiori nella professione del traduttore secondo Pujol Puente è la mancanza di consapevolezza nell’utente e nella società in generale, della difficoltà di questo lavoro e della preparazione accademica e personale necessaria per svolgere con buoni risultati tale attività. 177 Per TRIAC è fondamentale far capire all’utente che tradurre non è né facile, né automatico. La mancanza di riconoscimento comporta il mantenimento di prezzi bassi da parte dei traduttori, al fine di evitare che persone incompetenti svolgano il lavoro proprio dei traduttori. Un altro neo della professione è rappresentato dall’isolamento nel quale lavorano molti traduttori. La traduzione e l’interpretazione richiedono in generale un grosso lavoro individuale, che prevede pochi momenti aggregativi (Pujol Puente 2000: 226227). Per tale motivo, i membri di TRIAC di cui Pujol Puente era Presidentessa, ritengono che solo la creazione di un collegio professionale possa aiutare a risolvere questi problemi. Le associazioni di traduttori e/o interpreti in Spagna sono di due tipi. Le prime sono associazioni settoriali (interpreti di conferenza, traduttori giurati, ecc.) e sebbene funzionino bene, possono proteggere solo gli interessi di un collettivo ristretto e isolato dal resto dei professionisti. Le seconde sono le associazioni di tipo nazionale, che non funzionano come dovrebbero, in quanto succede spesso che i professionisti vivono in luoghi differenti, si conoscono poco e non possono interagire e ciò non permette alle stesse associazioni di essere efficaci (Pujol Puente 2000: 227-228). Il collegio professionale è una lobby giuridica riconosciuta, con funzione di rappresentare il collettivo che si occupa del consolidamento della professione nella società e che permette un maggior accesso ai poteri legislativo ed esecutivo. Il collegio professionale dei traduttori e degli interpreti abbraccerebbe tutti i professionisti della traduzione e dell’interpretazione e per tale ragione dovrebbe rispondere della salvaguardia dei loro interessi generali e settoriali. Il collegio si costituisce per mezzo della legge e tale status permetterebbe allo stesso di avvicinarsi alle amministrazioni che si occupano della legislazione e curano gli interessi della professione e di avvicinarsi anche al mondo delle università. Altro aspetto importante è la capacità giuridica del collegio di stabilire delle tariffe orientative, aspetto impensabile finora per qualsiasi altro tipo di organizzazione associazionista (Pujol Puente 2000: 228). Vi sono poi secondo gli autori altri temi molto importanti: il primo è l’obbligo di iscrizione al collegio. Legalmente, una volta costituito il collegio, le persone che vi si possono iscrivere saranno solo i professionisti e saranno obbligati per legge ad iscriversi 178 per esercitare. Per tale motivo, uno degli aspetti più delicati dello statuto del collegio è quello della specificazione delle condizioni di adesione al collegio. Il secondo tema importante è la territorialità del collegio. Si tratta di una questione molto discussa. La creazione di un collegio autonomistico è fattibile amministrativamente e politicamente (Pujol Puente 2000: 229). I principali obiettivi della associazione sono: • Creazione di un collegio professionale dei traduttori/interpreti; • Orientamento professionale; • Svolgimento di attività relative alla professione. Per il futuro gli autori sperano nella creazione di un codice deontologico della professione, così come di un contratto per poter salvaguardare gli accordi tra professionisti e utenti. TRIAC è stata in seguito accettata come membro della FIT, il che permette di mantenere un contatto diretto con associazioni, sindacati e collegi di tutto il mondo (Pujol Puente 2000: 229-230). A partire dal 1 gennaio 2009 il nome è mutato in APTIC (Associació Profesional de Traductor i Intèrprets de Catalunya), a partire dalla fusione delle due associazioni di traduttori e intepreti della Catalogna: la Asociación de Traductores y de Intérpretes de Cataluña (ATIC) e Traductores e Intérpretes Asociados pro Colegio (TRIAC), che hanno operato separatamente fino allo scorso anno (http://www.aptic.cat/ accesso 10/01/2010). 5.9 LA NECESSITÀ DELLA FORMAZIONE DEI TRADUTTORI-INTERPRETI La formazione di traduttori ed interpreti si sta realizzando attualmente in Spagna in più di venti centri universitari, che offrono corsi di laurea in traduzione e interpretazione. La proliferazione di tali centri si deve in buona parte alla domanda suscitata dall’adesione della Spagna alla UE nel 1986 (Baigorri et al. 2005: 218). Le nuove necessità presenti nella società si sono riflesse nei piani di studio di determinate università e in programmi specifici di formazione per l’interpretazione per i 179 servizi pubblici, come quelli offerti presso l’università di Alcalá. Tuttavia le iniziative sono insufficienti per far fronte alla situazione emergente. La formazione specifica degli interpreti deve basarsi non solo sull’appoggio delle università, ma anche di tutte le istituzioni pubbliche interessate al problema. È fondamentale la collaborazione tra i richiedenti dei servizi di interpretazione (istituzioni pubbliche e/o private, ONGs) e i centri che possono impartire la formazione. In tal senso è necessario che le autorità pubbliche cambino atteggiamento e riconoscano l’importanza di avere degli interpreti preparati. Ricorrere ad agenzie di traduzione e interpretariato che offrano servizi specifici, senza un controllo sulla qualità, né delle condizioni lavorative da parte dei utenti di tali agenzie, contribuisce a fomentare il precariato degli interpreti e la fuga dei migliori professionisti verso mercati più attrattivi (Baigorri et al. 2005: 218-219). Tenendo in conto la rigidità amministrativa delle università nel modificare i propri piani di studio e la scarsità di mezzi per accrescere l’offerta delle lingue, non è difficile immaginare che la formazione degli interpreti per i servizi pubblici in generale e per i medici, in particolare, si dovrà realizzare attraverso programmi monografici di una formazione, nei quali i parlanti nativi di una lingua costituiscono un’eccellente fonte di attrattiva per gli studenti (Baigorri et al. 2005: 219). In Spagna vi sono due centri principali di ricerca e formazione in questo campo: l’Università di Alcalá de Henares e l’Università di Granada. Presso l’Università di Granada venne offerto nel 1999 il primo corso di dottorato dedicato a questo tema e da questa università il gruppo di ricerca GRETI ha sviluppato vari studi sulla valutazione della qualità dei servizi prestati dagli interpreti nei servizi sociali (Sales Salvador 2005). Ma senza dubbio è l’Università di Alcalá de Henares quella che ha portato avanti uno studio più sistematico, grazie al “Grupo de Formación e Investigación en Traducción e Interpretación en los Servicios Públicos” (FITISPOs), coordinato da Carmen Valero-Garcés, la quale ha scritto maggiormente sull’argomento. Fu proprio questo gruppo ad organizzare il primo congresso in Spagna sulla traduzione e interpretazione nei servizi pubblici nel 2002. Una differenza sottile, ma importante tra il gruppo dell’Università di Granada e il gruppo dell’Università di Alcalá, è che il primo, guidato da Anne Martin, utilizza 180 l’etichetta di “interpretazione sociale”, mentre il secondo preferisce “interpretazione per i servizi pubblici”. Per progettare un corso di formazione di traduttori e interpreti nei servizi pubblici è necessario conoscere i servizi pubblici, gli utenti, le persone che vi lavorano come traduttori/interpreti e coloro che aspirano a diventarvi. Il gruppo di ricerca FITISPOs dell’Università di Alcalá a partire dal 1999 ha realizzato vari progetti di ricerca e ha avuto il merito di aver stabilito contatti con i servizi pubblici per conoscere la realtà esistente, i punti di vista e le necessità di traduzione/interpretazione di questi casi, così come per conoscere le necessità linguistiche degli utenti. Partendo dai risultati di questa ricerca e dalle conoscenze acquisite dai componenti del gruppo, come ricercatori e come professionisti, è stata proposta un’attività formativa che pretende dare risposte alle necessità attraverso la combinazione di conoscenze teoriche e pratiche delle istituzioni pubbliche (Sales Salvador 2005). In particolare si tratta di un corso di specializzazione in Interpretazione per i Servizi Pubblici, attivo dal 2001-2002 (Valero Garcés 2004). Il corso si rivolge sia a studenti laureati che diplomati, questi ultimi possono però seguire solo 3 moduli anziché 4. I tre moduli sono: 1) Comunicazione interlinguistica: introduzione alla T&ISSPP 2) Traduzione e Interpretazione in ambito sanitario; 3) Traduzione e Interpretazione in ambito legale-amministrativo. Gli studenti laureati possono optare per un corso di specializzazione post-laurea, in T&ISSPP nei servizi pubblici (500 ore), che prevede oltre ai 3 moduli succitati anche un quarto modulo, definito “On-Site formazione”. Questo modulo include traduzione, interpretazione, terapia culturale e conoscenze delle procedure istituzionali, supervisionate da un tutor. Esso risponde a due obiettivi secondo Valero Garcés: da un lato, permette agli studenti di mettere in pratica la formazione teorica e pratica e di apprendere le procedure istituzionali attraverso l’osservazione, il contatto e l’interazione con gli operatori e gli utenti; dall’altro, la presenza di tirocinanti nei servizi pubblici, accresce la consapevolezza negli operatori 181 dell’importanza del ruolo di traduttori/interpreti professionisti nelle relazioni tra gli operatori istituzionali e gli utenti che non conoscono la lingua della maggioranza o delle istituzioni (Valero Garcés 2004). Negli ultimi anni poi è in corso un progetto per creare una disciplina di “esercizi di interpretazione (mediazione linguistica e culturale) in ambito sociale”; si tratta di una disciplina che pretende avere carattere interuniversitario e che unisce la Spagna e altri paesi europei, attraverso una rete di docenti provenienti da tre università europee: Salamanca, Hildesheim (Germania) e Bologna-Forlì (Italia) (Baigorri et al. 2005: 219220). La mediazione linguistico-culturale orale nella UE è stata realizzata in due campi: l’interpretazione di conferenza e l’interpretazione sociale, intesa nel senso più ampio (tribunali, immigrazione, polizia, ospedali, ecc.). La prima pone sfide considerevoli in questo momento, dovuto in particolare all’ampliamento della UE, con uno sguardo ai criteri tradizionali di qualità ed efficienza, affinché i politici, i funzionari e i cittadini in generale, possano comunicare nelle loro rispettive lingue nei rapporti con le istituzioni. La seconda, denominata “sociale”, non riguarda tutti i paesi, né viene contemplata allo stesso modo nei sistemi sociali di tutti gli Stati membri (Baigorri et al. 2005: 220). Il progetto ha: 1) una pertinenza sociale, poiché le situazioni che si simulano e si studiano servono per far fronte ad un problema sempre più presente nelle nostre società; 2) una pertinenza accademica, poiché permette di dotare di contenuti indicativi, validi in vari paesi, una disciplina necessaria in programmi di formazione pratica di un certo livello, in un contesto di armonizzazione e convergenza tra le istituzioni universitarie, con uno sguardo allo spazio europeo comune di educazione superiore e infine 3) una pertinenza professionale, poiché mira ad un profilo di interprete sociale, figura necessaria nelle odierne società (Baigorri et al. 2005: 220-221). Gli obiettivi fondamentali sono 2: • Elaborare una serie di esempi di situazioni-tipo basate su incontri multilingue e multiculturali in collaborazione con le autorità corrispondenti, così come con le ONGs, associazioni di immigrati, ecc. Ogni situazione avrà una scheda didattica, nella quale si analizzerà il caso da vari punti di vista: linguistico, sociale, culturale, deontologico; 182 • Contribuire alla definizione di un profilo professionale di interprete sociale o comunitario, che conduca ad un accreditamento ufficiale di interprete sociale professionale, ispirata alla figura dell’interprete giurato, che esiste in Spagna da molto tempo. La metodologia che si seguirà sarà fondamentalmente empirica e consisterà in: 1) Riflessione e preparazione; 2) Fase 1: registrazione delle situazioni; 3) Fase 2: montaggio; 4) Valutazione e feedback; 5) Elaborazione della memoria e presentazione dei risultati (Baigorri et al. 2005: 221-222). 5.9.1 LA FORMAZIONE DEGLI INTERPRETI PER I SERVIZI PUBBLICI: IL CASO DELLA COMUNITÀ AUTONOMA CANARIA L’Università de La Laguna organizza a partire dal 1988 un corso di formazione postuniversitario, ovvero un master dedicato alla formazione di interpreti di conferenza, tanto nella modalità consecutiva, quanto in quella simultanea. Tale master fu creato in seguito alla crescente domanda di interpreti professionisti, che si è creata per vari motivi, tra cui l’entrata della Spagna nella UE (Luis Estévez-Toledano Buendía 2002: 71). Nonostante l’ottima reputazione di cui gode il corso, non copriva pienamente le necessità specifiche e locali della comunità canaria. All’interno dell’isola, la domanda di interpreti di conferenza è relativamente scarsa a causa dell’esiguo numero di eventi di carattere internazionale che vi si celebrano. Tuttavia, il costante numero di turisti e il crescente numero di residenti stranieri e di immigrati, configurano una società sempre più multiculturale e multilingue, nella quale diventa imprescindibile la figura del mediatore che assicuri la comunicazione tra i suoi abitanti. A tal fine, l’Università de La Laguna organizzò nel 1998 un altro corso post-universitario, dedicato alla formazione di interprete per i servizi pubblici. 183 La Spagna ci ricordano gli autori rappresenta un punto focale di attrazione per flussi di turisti e di immigrati. In risposta al processo di espansione sperimentato dall’economia spagnola nelle ultime decadi e l’integrazione nella UE, la Spagna si è trasformata in un’ importante ricettrice di un gran numero di immigrati. Inoltre bisogna considerare la posizione geografica, con un’ampia estensione di costa a sud e ad est peninsulari, le Isole Canarie, l’attrazione culturale che esercita sull’America Latina e la vicinanza all’Africa. Infine, l’attrattiva turistica è molto forte (Luis Estévez-Toledano Buendía 2002: 71-72). Le Canarie hanno sperimentato, a partire dagli anni ’50 del secolo scorso, un cambio radicale nei propri comportamenti migratori. Da comunità di emigranti, si è trasformata a partire dagli anni ’60 e ’70 in società d’accoglienza, in seguito all’impatto del boom turistico. Le nuove comunità di immigrati richiedono interventi di carattere assistenziale, da qui ne consegue la necessità di reclutare interpreti. È possibile classificare in tre grandi gruppi le comunità di stranieri che richiedono servizi di mediazione linguistica: 1) i residenti stranieri, nei quali rientrano gli immigrati legali; 2) gli immigrati illegali che non hanno regolarizzato la loro situazione e 3) i turisti. I luoghi in cui si richiedono i servizi sono gli uffici dello Stato, ambulatori e ospedali, commissariati di polizia, tribunali o altri uffici dell’Amministrazione della Giustizia, ONGs,ecc (Luis EstévezToledano Buendía 2002: 72-74). Entrando nel merito del corso post-universitario in “Interpretazione di Lingue” esso ha una durata di 9 mesi, che corrispondono a 500-600 ore di lezione annuali. I candidati devono avere una laurea o un diploma di laurea e superare una prova selettiva. L’obiettivo fondamentale del corso è formare alunni nella modalità di interpretazione bilaterale o di trattativa, poiché è la modalità di interpretazione più richiesta nei servizi succitati. Il corso è strutturato in due blocchi distinti che si insegnano in maniera simultanea. Da un lato vi sono i moduli tematici, nei quali si trattano aspetti del lessico specializzato nei vari ambiti lavorativi: comunicazione turistica, diritto, sanità, banca e finanza, nuove tecnologie, ecc. Dall’altro vi sono i moduli specifici sull’interpretazione, nei quali si lavora su aspetti del linguaggio legati all’interpretazione, la memoria, i metodi di documentazione o gli approcci e modelli teorici del processo di interpretazione e l’applicazione degli stessi. 184 La dinamica delle lezioni si basa principalmente sull’interpretazione di trattativa di dialoghi preparati dai professori che simulano situazioni reali. I professori somministrano poi esercizi di traduzione a vista e traduzione scritta, che permettano ai candidati di completare la parte orale dell’interpretazione e di preparare loro in maniera completa (Luis Estévez-Toledano Buendía 2002: 74-75). È fondamentale rendere consapevoli gli alunni dell’importanza della situazione comunicativa, condizionata da vari fattori extralinguistici quali l’emittente e il destinatario del messaggio, la funzione e le differenze culturali esistenti. Per favorire l’analisi della situazione comunicativa, ogni due settimane, alunni e professori organizzano una tavola rotonda, nella quale si discute un argomento concreto su cui tutti devono documentarsi anzitempo. Durante la stessa, si stabiliscono diverse modalità di interpretazione simultanea. Il corso prevede due prove d’esame. Il primo nel mese di febbraio, di carattere orientativo, tanto per gli alunni, quanto per i professori. Oltre ai professori, vengono interpellati per la valutazione dei valutatori esterni, tra cui interpreti professionisti. Il secondo ha una struttura simile, ma dopo lo stesso si stabilisce se l’alunno è adatto o meno per svolgere la professione. Anche in questa occasione si invitano valutatori esterni. Gli alunni che superano il corso hanno una grossa probabilità di venire chiamati per prestare il proprio servizio nei tribunali, nei commissariati di polizia e negli ospedali (Luis Estévez-Toledano Buendía 2002: 75-76). 5.9.2 LA FORMAZIONE DEGLI INTERPRETI PER I SERVIZI PUBBLICI: IL CASO DELLA COMUNITÀ AUTONOMA BASCA La necessità di traduttori/interpreti nei servizi pubblici è sempre più evidente. Nella Comunità Autonoma Basca il numero di immigrati se è triplicato a partire dalla metà degli anni Ottanta e di conseguenza sono sorte una serie di nuove necessità totalmente nuove nel panorama sociale (González-Auzmendi 2005: 289). In seguito alla necessità sempre più urgente di interpreti e al constatare la loro formazione precaria, nella Facoltà di Filologia, Geografia e Storia dell’Università del Paese Basco si decise di organizzare il corso di “Fondamenti di Interpretazione 185 Sociale”, con il fine di fornire agli alunni delle conoscenze e delle tecniche base della materia. Grazie alla sovvenzione del Dipartimento di Immigrazione del Governo Basco, fu raggiunto uno degli obiettivi principali: che il costo delle matricole fosse accessibile. Il corso aveva poi 7 crediti impartiti in maniera intensiva in un orario flessibile. Il numero di stranieri residenti nella comunità basca ha sperimentato un aumento significativo negli ultimi 5 anni e ciò ha prodotto un cambiamento significativo nella struttura e composizione della società basca. L’aumento della popolazione straniera si è verificato in pochi anni, cosicchè molte istituzioni e organismi, così come la società in generale, non hanno saputo come rispondere al fenomeno del multilinguismo e multiculturalismo (González-Auzmendi 2005: 289-290). González e Auzmendi ribadiscono che affinché la vita di una persona straniera si sviluppi regolarmente e perché si garantisca il suo benessere nella società di accoglienza, risulta fondamentale che la stessa possa accedere ai servizi pubblici della società in questione allo stesso modo del resto dei cittadini. Una delle barriere principali con le quali si scontrano gli immigrati è la lingua. Esse rilevano inoltre che sono sempre più le aree carenti di interpreti: ospedali, ambulatori, centri di salute mentale, tribunali, servizi sociali dei comuni, ecc. Nel caso della comunità basca, una delle principali motivazioni per organizzare il corso è stato il bando di concorso del comune di Vitoria-Gasteiz, attraverso il quale si cercava di creare un ufficio di collocamento di interpreti/traduttori sociali che esercitasse nell’ambito dei servizi sociali del proprio comune. Una volta scelti i candidati idonei, venne offerto loro un breve corso introduttorio o seminario sull’interpretazione sociale e i fondamenti delle tecniche di interpretazione utilizzate (González-Auzmendi 2005: 290-291). Il collegio dei decani della Facoltà di Filologia, Geografia e Storia si assunse la responsabilità di organizzare il corso. L’opportunità si presentò con un bando di concorso indetto dalla Direzione Generale di Immigrazione del Governo Basco, attraverso il quale si concedevano sovvenzioni per l’organizzazione di corsi relativi all’immigrazione. Al momento di progettare il corso e di decidere il tipo di insegnamenti da includere, ci si basò sul profilo degli alunni potenziali. Trattandosi del primo anno, il 186 corso assunse un carattere sperimentale. I moduli erano di carattere di carattere pratico. Tutti gli alunni potevano iscriversi a tutti i moduli o a singoli moduli che potevano interessare loro: • Teoria dell’interpretazione sociale; • Pratica generale delle modalità di interpretazione; • Terminologia; • Diritto; • Culture del mondo; • Pratiche di interpretazione; • Seminari (Gonález-Auzmendi 2005: 291-294). Uno dei problemi principali rispetto al corpo docenti fu la scarsa esperienza che esiste nella comunità basca nel campo della IS. Lingue come l’inglese e il francese non posero problemi. Per le altre lingue, invece, si fece ricorso a professori provenienti da altre università spagnole. Per quanto riguarda l’orario, il corso iniziò a settembre del 2004 e terminò i primi di novembre. I moduli si impartivano dal lunedì al venerdì e alcuni sabati mattina dalle ore 17 alle ore 20. Al corso si iscrissero 64 alunni, di cui 13 erano di origine straniera. Rispetto al livello di istruzione degli alunni, la maggior parte erano diplomati o laureati, sebbene vi era anche un gruppetto di 5 alunni che aveva la licenza media. Gli alunni erano così suddivisi: 32 per l’inglese, 24 per il francese, 7 per l’arabo, 6 per il russo e 3 per il cinese. Quindici alunni si iscrissero a più di una combinazione linguistica, mentre quattordici si iscrissero a corsi singoli. Per quanto riguarda gli attestati, ne vennero rilasciati 62. In caso di frequenza irregolare, vennero rilasciati certificati solo per i moduli che gli alunni avevano seguito regolarmente. Terminato il corso, gli alunni furono chiamati a compilare un questionario di valutazione generale del corso, che risultò molto positivo e si chiese loro, inoltre, di esprimere commenti o dare suggerimenti per migliorarlo (González-Auzmendi 2005: 294-295). 187 5.10 L’INTEPRETAZIONE PER I SERVIZI PUBBLICI A SARAGOZZA L’arrivo massiccio di immigrati a Saragozza di provenienza molto diversa gli uni dagli altri e che non conoscono la lingua, ha sollecitato un’urgente richiesta di interpreti per far fronte alle necessità dei nuovi arrivati (Martínez Lanzán 2005: 57). Per rispondere alla richiesta di interpreti all’interno dei Servizi Sociali, il Comune di Saragozza nel 1999 creò un Servizio Permanente di Interpreti e un Servizio Telefonico di Interpretariato per Immigrati (SERPI), che costituisce un validissimo punto di riferimento per gli immigrati, i quali possono richiedervi assistenza e che risponderebbe all’idea di interpretazione sociale o per la comunità. All’interno dei servizi sociali, si rivela sempre più importante la presenza di traduttori/interpreti, che possano fungere da mediatori tra l’immigrato e l’amministrazione, permettendo una comunicazione paritaria tra appartenenti a culture differenti. Nella città di Saragozza vivono numerosi stranieri residenti, ben integrati, molti sono lavoratori qualificati impiegati nelle multinazionali, ma vi sono altrettanti immigrati che necessitano di un servizio di interpretariato per integrarsi nella nuova realtà (Martínez Lanzán 2005: 57-58). In parte, come ricorda l’autrice, il delicato compito di agevolare l’accesso di queste persone ai servizi pubblici è svolto da ONGs come Cáritas o SOS Racismo o le associazioni di immigrati, 27 a Saragozza, create dagli immigrati o in alcuni casi dagli aragonesi, consapevoli delle enormi difficoltà che incontrano i nuovi arrivati. “La Casa de las Culturas y Solidaridad”, istituzione che fa parte dell’area dei servizi sociali del Comune di Saragozza, fu aperta nel 1998 ed è attualmente un punto di riferimento importante sia per gli immigrati, sia per molte ONGs che svolgono programmi o attività con o per i nuovi arrivati, ma aperta anche ai cittadini, soprattutto ragazzi nell’intento di fornire conoscenze su altre culture. Fu costituita come un servizio comunale, specializzato nel favorire l’organizzazione e lo sviluppo di attività volte alla sensibilizzazione sociale sul fenomeno migratorio. Una dei servizi che offre la Casa in collaborazione con il “Real e Ilustre Colegio de Abogados de Zaragoza” è un Servizio Permanente di Interpreti per Immigrati e un Servizio Telefonico di Interpretariato (SERPI), che garantisce 188 l’assistenza agli stranieri che non conoscono la lingua e sono disagiati economicamente, per mezzo dell’ausilio di un interprete (Martínez Lanzán 2005: 58-59). Al momento è il tentativo più serio all’interno dell’amministrazione di Saragozza di mettere in pratica quella che viene definita interpretazione per i servizi pubblici. È finanziata dal Comune di Saragozza. Le principali funzioni sono: a) informare gli immigrati sui propri diritti e sulla propria condizione; b) prestare servizi di assistenza sociale, giuridica, lavorativa; c) essere un punto d’incontro tra gli immigrati, le loro associazioni e altre persone o istituzioni interessate all’argomento; d) facilitare l’accoglienza di immigrati e gli strumenti necessari per realizzare la loro normalizzazione sociale e lavorativa; e) rafforzare la partecipazione degli immigrati e delle minoranze (Martínez Lanzán 2005: 59). Tali funzioni sono suddivise in due grandi aree: 1) l’area personale e sociale e 2) l’area della multiculturalità, sensibilizzazione e tolleranza. Nell’area personale, all’interno del Programma di Eliminazione delle Barriere di Comunicazione, vennero inserite lezioni di spagnolo per stranieri e il Servizio Permanente di Interpreti (SERPI). Il servizio è consapevole che una delle principali difficoltà della popolazione immigrata nel processo di integrazione sociale è l’idioma. Per tale ragione vengono impartite lezioni di spagnolo ed è stato costituito il SERPI (Martínez Lanzán 2005: 59). 5.10.1 IL SERPI Il Servizio Permanente di Interpreti per Immigrati include un Servizio Telefonico di Interpretariato, che si occupa di traduzione e interpretazione sociale a Saragozza (Martínez Lanzán 2005: 60). Per richiedere il servizio, i professionisti devono rivolgersi alla “Casa de las Culturas” o al “Colegio de Abogados” a seconda dell’ambito di intervento. Il servizio è attivo dal lunedì al venerdì dalle ore 9 alle ore 21, anche se attraverso il servizio telefonico viene garantita un’assistenza permanente. 189 Il SERPI nasce dalla preoccupazione del Colegio de Abogados di Saragozza per i temi sull’immigrazione. Dall’accordo tra il Governo di Aragona e il Colegio de Abogados nacque il Servizio di Assistenza e Orientamento Giuridico per gli Immigrati (S.A.O.J.I.), che garantisce l’assistenza gratuita a qualsiasi persona, soprattutto immigrati, in materia di condizione degli stranieri, così come l’orientamento giuridico nei confronti degli organi competenti, includendo la difesa di qualsiasi cittadino per salvaguardare i diritti che riconosce lo Stato Spagnolo (Martínez Lanzán 2005: 60). Dopo vari anni di funzionamento, S.A.O.J.I. mostra una carenza importante: non possiede un servizio di interpreti qualificati, che affianchi i professionisti e che possa garantire il diritto costituzionalmente riconosciuto agli stranieri di usufruire, nelle interazioni con l’Amministrazione e nei processi che li vedono coinvolti, di una persona che parli la loro lingua e faciliti lo scambio verbale con l’avvocato. Da qui la collaborazione tra il Comune e il Colegio de Abogados, che si concretizza nel Servizio Permanente di Interpreti per gli Immigrati (SERPI) ed un Servizio Telefonico di Interpreti. L’accordo viene siglato il 26 aprile 1999 con una durata di pochi mesi, ma è stato prorogato ed attualmente è un servizio consolidato nell’area dei Servizi Sociali Specializzati (Martínez Lanzán 2005: 60-61). Inizialmente il servizio fu creato per favorire l’integrazione sociale di quegli immigrati che, con minima conoscenza dello spagnolo, si dedicavano alla traduzione/interpretazione in maniera sporadica e poteva costituire uno sbocco professionale per loro. Per quanto riguarda i criteri di selezione, essi erano di due tipi: da un lato, la qualifica tecnica, ovvero la qualità della traduzione o interpretazione e, dall’altro lato, i traduttori/interpreti dovevano possedere una minima vocazione per la professione. Nel 2000 il servizio era attivo in 17 lingue. Attualmente la richiesta è di interpreti arabe per le donne arabe, le quali per ragioni culturali, rifiutano il contatto con interpreti maschi. Il servizio mette a disposizione interpreti di tedesco, arabo, bielorusso, bulgaro, cinese, dialetti africani (Senegal, Gambia, Ghana e Togo), dialetti arabi (berbero, ecc.), dialetti indios, francese, olandese, inglese, italiano, lingue dell’ex Yugoslavia, lituano, polacco, portoghese, rumeno, russo e ucraino. Gli interpreti si impegnano a garantire: 190 a) l’assistenza immediata nel settore amministrativo/giuridico per il quale si richiede l’intervento; b) l’assistenza telefonica, nel caso in cui questa si renda necessaria per il personale accreditato; c) l’accreditamento presso il Colegio de Abogados delle prestazioni effettuate al fine di procedere alla liquidazione; d) la partecipazione obbligatoria alle riunioni che si convocano periodicamente (Martínez Lanzán 2005: 61-62). Dal canto loro, la Casa de las Culturas e il Colegio de Abogados facilitano i contatti con gli interpreti. Essi dispongono di un carnet accreditante la loro appartenenza al Servizio che ha lo scopo di agevolare il loro accesso alle varie istanze ufficiali, soprattutto tribunali e commissariati di polizia. Per quanto riguarda i compensi, gli interpreti guadagnano 24 euro (4.000 pesetas) all’ora o sessione superiore a mezz’ora nei casi di assistenza verbale e 6 centesimi di euro per parola (10 pesetas), nel caso delle traduzioni. Da quando è attivo il servizio, è in costante aumento la richiesta di interpreti presso i commissariati di polizia, gli ospedali e i servizi sociali in genere, il che conferma la necessità di avere un servizio di traduzione/interpretazione permanente nell’area dei Servizi Pubblici che riveste il SERPI (Martínez Lanzán 2005: 62). 191 CAPITOLO VI INTERPRETARE PER LA GIUSTIZIA IN SPAGNA 6.1 TRADURRE E INTERPRETARE PER LA GIUSTIZIA Il lavoro degli interpreti-traduttori nell’ambito dell’Amministrazione della Giustizia in Spagna si svolge principalmente in ambito penale-processuale. La ragione consiste nel fatto che, in ambito penale si lavora d’ufficio, mentre i ricorsi civili, sociali o contenzioso-amministrativi, sono atti di giurisdizione volontaria, ovvero si lavora su richiesta di parte, ed in questo caso, sono le parti che devono procurarsi un interprete o la documentazione tradotta da un interprete giurato, sebbene può accadere che i traduttori del Servizio dell’Amministrazione della Giustizia, siano chiamati a realizzare traduzioni o interpretariati in quei casi in cui l’organo giudiziario lo reputi necessario, al fine di dettare una sentenza “giusta”, ovvero per poter contare su di un interprete imparziale che non favorisca nessuna delle parti in conflitto (Ibáñez de Opacua 2000: 157). Inoltre, non è necessario essere interprete giurato per poter lavorare nell’Amministrazione della Giustizia in Spagna. Il titolo richiesto attualmente dal Ministero della Giustizia è il BUP (Bachillerato Unificato Polivalente). L’autrice sostiene che il rapporto lavorativo dell’interprete/traduttore con l’Amministrazione della Giustizia presenta 3 modalità distinte: 1) Interprete-traduttore freelance o autonomo, al quale l’organo giudiziario ricorre quando necessita di un interprete-traduttore di una lingua/e non presenti nell’organico o nel caso in cui siano presenti nell’organico, in orari o giorni lavorativi extra; 2) Interprete-traduttore temporaneo: ha un contratto temporaneo con il Ministero della Giustizia ed è assegnato ad un organo giudiziario determinato. Le sue funzioni sono uguali a quelle dell’interprete-traduttore fisso; 192 3) Interprete-traduttore di ruolo: gli interpreti-traduttori fissi ottengono il posto per concorso-opposizione (Ibáñez de Opacua 2000: 157-159). Dopo gli esami di opposizione e una volta superati, il tribunale esaminatore terrà in conto i titoli o altri meriti degli aspiranti. Una volta superata l’opposizione, l’interprete-traduttore è destinato ad un organo giudiziario, senza che il Ministero impartisca un corso di formazione. Ibáñez de Opacua ci ricorda che il lavoro di un interprete-traduttore nell’Amministrazione della Giustizia in Spagna dipende molto dall’organo ufficiale al quale viene assegnato e della lingua o lingue con la quale/le quali lavora. Vi sono lingue, ad esempio l’arabo, per le quali il lavoro di interpretariato supera di molto quello di traduzione, mentre per altre lingue, come nel caso dell’inglese, del francese, del tedesco e altre lingue si realizzano tante traduzioni quanti interpretariati (Ibáñez de Opacua 2000: 160-161). L’organico attuale dell’Amministrazione della Giustizia è formato da 55 traduttori-interpreti, di cui 24 fissi e 32 interini e vi sono 10 posti vacanti (Sánchez et al. 2004: 94). Le combinazioni linguistiche più frequenti sono: arabo-francese; tedesco-inglese; francese-inglese. Vi sono poi posti con una sola lingua: francese o inglese. Il resto delle combinazioni linguistiche hanno solo uno o due posti: cinese-inglese; portogheseinglese; polacco-francese; italiano-portoghese; basco-francese e catalano-francese. Per quanto riguarda la distribuzione territoriale, la Comunità dove vi sono più traduttori-interpreti è quella di Madrid. La settimana lavorativa dei traduttori-interpreti di ruolo è di 37,5 ore. Il lavoro si svolge dal lunedì al venerdì, ma vi sono tre posti con giornata lavorativa da mercoledì a domenica. L’obiettivo è assicurare la presenza di traduttori-interpreti di ruolo nei tribunali di difesa durante il fine settimana. Generalmente, fuori dall’orario abituale (sera o fine settimana), i tribunali di difesa ricorrono ad interpreti autonomi (Sánchez et al. 2004: 94-96). Per quanto riguarda infine i mezzi materiali di cui fa uso l’interprete-traduttore in ambito giudiziario Sánchez et al. sostengono siano pochi e ancora più scarsi risultano i mezzi informatici. Vi sono traduttori-interpreti che non hanno un proprio ufficio e che 193 utilizzano come supporto solo una macchina da scrivere o sono obbligati ad utilizzare il proprio computer (Sánchez et al. 2004: 97). 6.1.2 ASPETTI DELLA TRADUZIONE NELL’AMMINISTRAZIONE DELLA GIUSTIZIA: TIPI DI TESTI La traduzione a vista si utilizza frequentemente in giudizio, poiché si tratta generalmente di documenti rilevanti per la causa e che non si possono tradurre per mancanza di tempo (Ibáñez de Opacua 2000: 167). Quando questo succede, l’interprete dovrà chiedere al Presidente o al giudice, il permesso di leggere il documento per familiarizzare con il contenuto, i termini e lo stile dello stesso e per poter effettuare una traduzione adeguata. È raccomandabile secondo l’autrice leggere i testi prima di tradurli, poiché questa tecnica facilita la loro comprensione e, se possibile, fare un glossario dei termini che pongono difficoltà o quelli che si ripetono e che il traduttore conosce, ma che possono avere varie accezioni. Allo stesso modo dell’interpretariato, la traduzione deve essere fedele all’originale, ovvero il traduttore deve rispettare non solo il contenuto, ma anche lo stile, il registro e la grammatica utilizzata (Ibáñez de Opacua 2000: 167). Per quanto riguarda i testi che si traducono all’interno dell’Amministrazione della Giustizia, essi si possono classificare come segnalano Sánchez et al. in tre macrogeneri: 1) i documenti propriamente giuridici (atti, sentenze, legislazione, rogatorie internazionali); 2) i documenti giudiziari, ovvero documenti non giuridici inclusi in un processo giudiziario e all’interno di questi, testi generali (certificati di reclusi, documenti vari) e 3) testi di altre specialità: da certificati personali alla documentazione di un processo seguito all’estero, documenti notarili, atti di costituzione e statuti delle società, contratti, deposizioni, sentenze, ordinanze, atti di accusa, indagini peritali, articoli di codice, documentazione bancaria, ecc. (Sánchez et al. 2004: 101). Allo stesso tempo, a volte, si rende necessario trascrivere e tradurre conversazioni telefoniche, un compito molto difficile, così come confrontare la trascrizione-traduzione di conversazioni effettuate da traduttori assegnati al Ministero dell’Interno e che saranno esibite come prove in sede di giudizio (Sánchez et al.2004: 101). 194 I problemi che i traduttori al servizio dell’Amministrazione della Giustizia devono affrontare non sono pochi. Ibáñez de Opacua ci ha segnalato i più importanti: • Il linguaggio giuridico è molto tecnico e concettuale e le istituzioni o figure giuridiche non sempre si corrispondono da un paese all’altro; • Nessuno supervisiona le traduzioni; • Il traduttore deve leggere quanto più può sui vari ordinamenti giuridici; elaborare glossari; liste bilingue con termini giuridici e/o tecnici; consultare dizionari mono e bilingue, ecc. • La mancanza di tempo per poter realizzare una buona traduzione dal punto di vista stilistico (Ibáñez de Opacua 2000: 168-169). 6.1.3 SITUAZIONE ATTUALE DELLA TRADUZIONE/INTERPRETAZIONE NELL’AMMINISTRAZIONE DELLA GIUSTIZIA Nonostante l’aumento del numero di traduttori/interpreti fissi che si è verificato degli ultimi anni nell’Amministrazione della Giustizia in Spagna, il gruppo non ha acquisito un peso maggiore, poiché a causa della creazione delle Comunità Autonome, si è moltiplicato il numero degli interlocutori, i modi di intendere il servizio, sono state introdotte modifiche delle condizioni lavorative, ecc. (Sánchez et al. 2004: 86). Per quanto riguarda la legislazione che regola la fornitura di servizi di traduzione e interpretariato, nell’ambito della giustizia, gli autori segnalano l’importanza della regolamentazione e della giurisprudenza esistente al riguardo, tanto in ambito internazionale quanto nazionale, soprattutto in ambito penale. La legislazione internazionale, che la Spagna ha sottoscritto, forma parte dell’ordinamento giuridico del paese. Ci riferiamo alla “Dichiarazione Universale dei Diritti dell’uomo e del cittadino” (10 dicembre 1948), dove si afferma il principio ad un diritto equo, anche se il testo è semplicemente una raccomandazione. In secondo luogo, il “Patto Internazionale dei Diritti Civili e Politici (16 dicembre 1966) e infine nell’ambito del Consiglio d’Europa, il Convegno Europeo sui Diritti Umani (4 novembre 1950) (Sánchez et al. 2004: 86-87). Dal suo canto, la UE avanza verso un’integrazione maggiore in tutti gli ambiti. Così, già il Trattato di Maastricht introdusse una nuova dimensione nell’integrazione 195 europea: la cooperazione in materia di Giustizia e Affari Interni. In tal senso, nel Consiglio Europeo di Tampere si gettarono le basi per la creazione di uno Spazio Europeo di Giustizia: miglior accesso alla giustizia; mutuo riconoscimento delle risoluzioni giudiziarie; coordinamento delle varie istanze degli Stati membri in materia giudiziaria. Tale evoluzione del diritto e della pratica comunitaria è confermata dalla “Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea”, che all’articolo 21 proibisce qualsiasi forma di discriminazione per la lingua e che consacra il diritto alla tutela giudiziaria all’articolo 47 (Sánchez et al. 2004: 88). Gli autori ribadiscono che la legislazione nazionale spagnola garantisce allo stesso modo il diritto ad un accesso paritario alla giustizia. Tale garanzia risale in Spagna alla fine del XIX secolo, con l’emanazione della “Ley de Enjuiciamento Criminal” (LECrim), ovvero il Codice di Procedura Penale spagnolo, che regola la presenza dell’interprete in ambito giudiziario. Concretamente sono gli artt. 440-441-442 che dispongono l’assistenza dell’interprete-traduttore. Tali articoli si basano sull’assistenza dell’interprete nella deposizione testimoniale, ma la sua attività è molto più ampia e si applica a qualsiasi persona nei suoi rapporti con la giustizia. In particolare, l’articolo 441 è quello che regola la nomina dell’interprete: El intérprete será elegido entre los que tengan título de tales, si lo hubiere en el pueblo. En su defecto será nombrado un maestro de correspondiente idioma, y si tampoco lo hubiere, cualquier persona que lo sepa. Da questo articolo si evince che, la prima persona che può essere autorizzata a svolgere l’attività di interprete è colei che possiede un titolo di interprete. L’articolo stabilisce in effetti tre possibilità di nomina dell’ interprete: 1) colui/colei che possiede un titolo; 2) un “maestro” della lingua, anche senza titolo; 3) qualsiasi persona che conosca la lingua. Tuttavia, la LECrim, segnalano gli autori, si contraddice, poiché, nel Titolo II (del procedimento abbreviato per determinati delitti), all’articolo 785, paragrafo 1 stabilisce che: Cuando los imputados o testigos no hablaren o no entendieren el idioma espaňol, se procederà de conformidad con lo dispuesto en los artículos 398, 440 y 441 de esta Ley, sin que sea preciso que el intérprete designado tenga titúlo oficial (Sánchez et al. 2004: 88-90). 196 6.1.4 GLI INTERPRETI-TRADUTTORI DELL’AMMINISTRAZIONE DELLA GIUSTIZIA Il corpo di interpreti-traduttori dell’Amministrazione della Giustizia è relativamente nuovo, poiché fino agli anni ’80 non compare nella stessa la figura dell’interpretetraduttore fisso (Sánchez et al. 2004: 91). Tale è la sua definizione nel Convegno Collettivo per il Personale Lavorativo dell’Amministrazione della Giustizia del 1996, alla quale rinvia il Convegno Collettivo Unico del 1998 e che è vigente attualmente: Es el trabajador que con la titulación de Bachillerato Unificado Polivalente o equivalente, bajo la dependencia funcional del órgano al que esté adscrito, realiza funciones de traducción e interpretación de un idioma extranjero o lengua vernácula al español o viceversa. La descrizione delle funzioni risulta vaga e imprecisa e al tempo stesso, sufficientemente amplia da poter inglobare qualsiasi tipo di traduzione, sia diretta che inversa, che si ritenga conveniente raccomandare. Tanto nel mondo lavorativo professionale, quanto in tutte le istituzioni internazionali, i traduttori-interpreti lavorano solo da una o varie lingue straniere verso la sua lingua materna (Sánchez et al. 2004: 91). Nell’Amministrazione della Giustizia, il traduttore è anche interprete. L’assistenza dell’interprete costituisce uno dei diritti fondamentali del detenuto, diritto che è contemplato nell’articolo 520 della LECrim. Pertanto, gli interpreti formano parte dei professionisti d’ufficio che lo Stato è obbligato a riconoscere in ambito penale, mentre in ambito civile, gli interpreti vengono designati su richiesta di parte, come già detto, salvo in determinati casi. Gli autori ribadiscono che, nella definizione precedente, non si fa riferimento alla specializzazione richiesta per svolgere l’attività di interprete e traduttore nell’Amministrazione della Giustizia. Tanto le traduzioni che vi si realizzano: legislazione, atti, sentenze, ricorsi in appello, rogatorie internazionali, ecc. quanto gli interpretariati: deposizioni di detenuti o testimoni, giudizi orali, ecc. sono altamente 197 specializzati e richiedono una certa familiarità con il linguaggio giuridico e il procedimento penale (Sánchez et al. 2004: 92). Le traduzioni e gli interpretariati che si realizzano nell’Amministrazione della Giustizia, nonostante il loro carattere giuridico, non sono giurate, ovvero, non è obbligatorio che le effettuino professionisti accreditati con il titolo di traduttore giurato. D’altro canto, però, le prove per ottenere il titolo consistono in una traduzione diretta e una traduzione inversa su una tematica generale e una traduzione giuridica in castigliano. Vi è anche una prova orale, ma non di interpretariato, ovvero, l’interpretetraduttore dell’Amministrazione della Giustizia possiede competenze più vaste, poiché realizza al tempo stesso traduzione giuridica inversa e interpretariato giuridico. Ortega (1999) definisce nella maniera seguente la situazione attuale: El traductor oficial de la Administración de Justicia debe tener una doble o triple combinación lingüística de trabajo, ha de saber traducir e interpretar en los dos sentidos (directa e inversa) y, además, debe conocer tanto la problemática de los documentos judiciales de naturalezza jurídica […] como la de los textos generales o especializados que puedan convertirse en documentos judiciales en virtud de su inclusión en un proceso judicial (Sánchez et al. 2004:92-93). 6.2 LA NECESSITÀ DELLA LINGUA ARABA NELLA TRADUZIONE GIURIDICA La Facoltà di Traduzione e Interpretariato di Granada è stata la pioniera nell’includere la lingua araba accanto al tedesco, il francese e l’inglese nel piano di studi a partire dall’anno 2001-2002 (El Ghazouani 2008). Oggi la Spagna conta 4 milioni di immigrati e tra questi il gruppo più numeroso è rappresentato da quello di lingua araba, con a capo il marocchino. Tale situazione ha fatto sì che vi fosse negli anni una richiesta crescente di interpreti-traduttori e mediatori interculturali di lingua araba nei vari organismi e istituzioni. Per ciò che riguarda la formazione continua, in quanto all’ insegnamento della traduzione dall’arabo allo spagnolo, l’autore segnala i due centri più importanti: 1) La Scuola di Traduttori di Toledo che dipende dall’Università di CastillaLa Mancha dove si offrono tutti gli anni una varietà di laboratori e un seminario: 198 • Laboratori di testi delle NazioniUnite; • Laboratori di traduzione giornalistica; • Laboratori di testi classici; • Laboratori di traduzioni di saggi; • Laboratori di traduzioni giuridiche; • Laboratori di traduzioni di carattere economico; Questi laboratori assieme al seminario di traduzione di arabo/spagnolo che si organizza tutti gli anni (settembre) portano al conseguimento del Corso di Specializzazione in Traduzione arabo-spagnolo (post-laurea) (El Ghazouani 2008). Inoltre è stato organizzato per la prima volta nell’anno 2006-2007 un laboratorio di interpretazione simultanea arabo/spagnolo. Per quanto riguarda la lingua araba, si offrono corsi di arabo colto, dialetto marocchino e calligrafia araba. 2) L’Università di Alcalá, che organizza corsi di traduzione e interpretariato di carattere giuridico-legale e amministrativo in lingua araba/spagnola e altre lingue come cinese, inglese, francese, polacco, rumeno e russo. Questi corsi si svolgono generalmente tra gennaio e febbraio ad Alcalá de Henares. Attualmente, come ci dice El Ghazouani, è evidente il consistente aumento di arabo parlanti e di ispano parlanti, soprattutto per via della crescente cooperazione tra i paesi di lingua ispanica, guidati dalla Spagna e i paesi di lingua araba, per le attività di traduzione e l’interpretariato in entrambe le lingue, specialmente giuridica e giurata e dei traduttori-interpreti che lavorano in commissariati, ospedali, tribunali, istituzioni penitenziarie (El Ghazouani 2008). La necessità che hanno i traduttori di dizionari specifici in ambito giuridico è una esigenza diffusa ormai da anni. In tal senso, è meritevole l’iniziativa dell’autore del presente articolo, di creare un dizionario giuridico nella combinazione linguistica spagnolo-arabo. Tale dizionario fu concepito all’inizio come uno strumento di lavoro e come un sussidio per gli studenti di traduzione e interpretariato, ma in seguito si dimostrò che il suo utilizzo sarebbe stato utile sia per gli avvocati, sia per qualsiasi altro professionista che direttamente o indirettamente lavora nel campo del diritto. 199 Il lavoro, ci riferisce l’autore, non fu semplice sia per l’inesistenza di dizionari giuridici arabo-spagnolo e viceversa; in secondo luogo, per l’assenza di univocità dei termini giuridici nei paesi arabi e infine per l’incongruenza tra i sistemi legali, che rappresenta l’ostacolo maggiore per il traduttore giurato. Il dizionario raccoglie 3000 entrate. È un ampio repertorio lessico, nel quale si è cercato di colmare le numerose carenze lessicografiche che vi erano fino ad allora nel campo della traduzione giuridica. Il dizionario inoltre raccoglie anche termini d’uso comune impiegati in campo giuridico (El Ghazouani 2008). 6.3 LA REALTÀ DELLA TRADUZIONE E INTERPRETAZIONE GIUDIZIARIA IN ANDALUSIA L’Andalusia è una delle regioni spagnole con una maggiore concentrazione di popolazione straniera e pertanto potrebbe essere definito come un campo molto esplorato per lo studio del fenomeno traduttivo e interpretativo per i servizi pubblici in Spagna (Martin 2006: 130). Nell’opinione dell’autrice, il fenomeno migratorio ha suscitato molto interesse a livello accademico. Frutto di tale interesse è la nascita del gruppo di ricerca GRETI con sede nella FTI dell’Università di Granada, che si basa nella ricerca sull’ interpretazione e traduzione per i servizi pubblici. Nella stessa università è presente il Laboratorio di Studi Interculturale, pioniere nella ricerca sull’immigrazione da una prospettiva antropologica e sociologica, oltre ad aver offerto uno dei primi corsi di formazione di mediatori interculturali a livello post-universitario in Spagna. Allo stesso modo, l’Università di Almeria ha un progetto di ricerca amplio che indaga il problema della immigrazione e della comunicazione e nella stessa università venne organizzato un interessante congresso nel novembre del 2004 sulla Traduzione, Cultura e Immigrazione (Martin 2006: 131). La Comunità Autonoma Andalusa è la comunità autonoma più popolata della Spagna. Inoltre, l’Andalusia è una delle principali zone turistiche del paese e ha un alto indice di popolazione residente che procede da altre parti dell’Europa, residenti che formano un altro gruppo di popolazione straniera. 200 Un’altra caratteristica della popolazione straniera in Andalusia è la sua diseguale distribuzione tra la costa e le zone interne. Tali dati dimostrano che vi è una necessità potenziale di traduzione e interpretariato nei servizi pubblici in Andalusia (Martin 2006: 130-132). Nei tribunali in Andalusia, ci riferisce Martin, la situazione in quanto alla traduzione e all’interpretariato è molto varia. In seguito al trasferimento di competenze in materia di giustizia dal Ministero di Giustizia alla Giunta dell’ Andalusia nel 1997, si è passati da un modello di assunzione diretta ad uno di subappalto dei servizi di traduzione e interpretariato al settore privato, così come avviene in altre regioni della Spagna. Vi sono in Andalusia 10 interpreti fissi assegnati ai vari tribunali della comunità autonoma, di cui 5 a Malaga, 2 a Siviglia, 1 ad Almeria e 2 a Cadice. Questi interpreti furono nominati prima del trasferimento delle competenze alla Giunta dell’Andalusia. In Andalusia, la privatizzazione dei servizi di traduzione e interpretariato di ambito giuridico iniziò nel 2003 mediante il sistema di gara d’appalto dei concorsi pubblici per provincia con validità di un anno, rinnovabili a due. La prima gara d’appalto venne pubblicata sul BOE dell’Andalusia il 18 luglio del 2003 e coinvolgeva la provincia di Jaen. Per quanto riguarda gli onorari degli interpreti, oscilla tra i 45 e i 56 euro l’ora, ma la remunerazione effettiva degli interpreti è generalmente di 24 euro l’ora (Martin 2006: 137-138). È certo che, come sostiene l’autrice, quando la Giunta dell’Andalusia assunse le competenze in materia di giustizia, si scontrò con la stessa mancanza di organizzazione che affligge la fornitura di servizi di interpretariato giuridico in Spagna in generale, così come il ricorso a soluzioni ad hoc che non necessariamente garantiscono la tutela giuridica effettiva. La situazione si aggravò nei primi anni, quando nella provincia di Malaga, la Giunta dovette far fronte allo sciopero dei traduttori-interpreti freelance per l’insoluto dei compensi di vari anni. Una soluzione potrebbe essere stata la creazione di un ufficio integrato di interpretariato e traduzione da parte della Giunta dell’Andalusia, per procedere poi all’organizzazione del servizio internamente (Martin 2006: 139-140). 201 6.4 L’INTERPRETARIATO NEI TRIBUNALI NELLA PROVINCIA DI ALICANTE La qualità del servizio prestato dagli interpreti di tribunale è fondamentale per il cittadino, poiché costituisce la garanzia ultima che i suoi diritti verranno rispettati. La comunità accademica e l’Amministrazione spagnola in generale rimproverano agli interpreti di non offrire un servizio di qualità e di dar luogo quindi a possibili ingiustizie (González Lara 2005: 148). Le ragioni per scegliere la provincia di Alicante come contesto geografico per l’analisi dell’autrice sono due: 1) l’aumento progressivo del numero di immigrati che fa sì che i servizi di traduzione e interpretariato lavorino incessantemente e 2) il fatto che la Comunità Valenciana assieme alla Catologna e al Paese Basco adottano un triplo sistema per nominare gli interpreti che lavorano negli organi giudiziari pertinenti: contratto temporaneo- collaborazione autonoma- a tempo indeterminato. L’analisi descrittiva di González Lara si basa sul metodo enunciato da Wadensjö (1998) che consisteva in: a) L’osservazione diretta di una serie di situazioni reali, che coinvolgono gli interpreti di tribunale nella provincia di Alicante, per verificare in loco qual era la loro situazione e quali i problemi e le difficoltà che riscontravano nel lavoro; b) Realizzazione di una serie di interviste personali o telefoniche e la restituzione del questionario via mail. Sia le domande delle interviste che quelle del questionario giravano in torno a 3 nuclei fondamentali: 1) il processo di accreditamento; 2) formazione ed esperienza professionale; 3) situazione lavorativa. Le persone coinvolte erano le più disparate: funzionari, avvocati, PM, giudici, agenzie e interpreti (González Lara 2005: 149). 202 Per quanto riguarda il punto 1, è interessante scoprire che la maggior parte degli interpreti di tribunale della provincia di Alicante, non si sono sottoposti ad alcun procedimento di accreditamento riconosciuto a livello ufficiale. L’unica interprete di ruolo della provincia di Alicante aveva dovuto superare un concorso-opposizione convocato dal Ministero della Giustizia consistente in due prove eliminatorie. Sono le agenzie, ci riferisce González Lara, a stabilire i criteri di selezione degli interpreti di tribunale con contratto di assunzione. Ad esempio, il processo di selezione seguito dall’agenzia che ha assunto l’Amministrazione per fornire i servizi nei tribunali della provincia di Alicante, consisteva in una intervista posteriore alla lettura del curriculum del candidato, durante la quale si controllavano unicamente le conoscenze linguistiche. Tale sistema risulta limitato e non garantisce la qualità del servizio. Per quanto riguarda il punto 2, la formazione dovrebbe costituire uno dei pilastri per qualsiasi interprete di tribunale interessato ad offrire un servizio di qualità, poiché risulta evidente che un interprete con una formazione solida, vacillerà di meno e disporrà di armi migliori per risolvere i problemi. Sebbene ricorda l’autrice, nella provincia di Alicante esista una facoltà di traduzione e interpretariato che offre nei suoi piani di studio una buona formazione a tutti coloro interessati all’ambito giuridico, la maggior parte degli interpreti che lavorano nei tribunali della provincia, paradossalmente, non possiedono alcun titolo specifico in traduzione e interpretariato (González Lara 2005: 150-151). Tra i 35 intervistati, tutti possedevano un titolo universitario. Tuttavia, solo una minoranza di 10 aveva un titolo relativo a traduzione e interpretariato. Ciò si traduce nelle parole di González Lara in una scarsa conoscenza da parte degli interpreti della terminologia legale e del protocollo seguito nei tribunali. Questi interpreti, coscienti della loro posizione di svantaggio, dimostravano comunque interesse nel cercare di migliorare la propria formazione iniziale, attraverso la frequentazione di corsi di formazione avanzati e laboratori di traduzione. Per quanto riguarda l’esperienza professionale, la maggior parte degli intervistati non possedeva un’esperienza professionale significativa in questo campo. In merito al punto 3, infine, le condizioni lavorative dell’interprete di tribunale non sono stati oggetto di uno studio esaustivo da parte dei teorici dell’interpretariato in 203 tribunale. Ciò come premessa per sostenere che la qualità del servizio prestato dagli interpreti di tribunale nella provincia di Alicante è pessima (González Lara 2005: 152). Coloro che si dedicano all’interpretariato in contesti legali sono maggiormente interessati a certi aspetti quali il compenso, la sicurezza sociale, i termini del contratto, ecc. Le autorità dovrebbero tenere in conto tali preoccupazioni se l’obiettivo è quello di garantire al cittadino straniero che ha problemi con la giustizia, un servizio di qualità. Le variabili analizzate dall’autrice sono: • il comportamento degli interpreti e la loro relazione con un possibile codice etico. Curiosamente, ci rivela González Lara, le interviste realizzate hanno rivelato che gli interpreti erano coscienti in maniera intuitiva di quale doveva essere il proprio comportamento nei processi nei quali erano chiamati ad intervenire, nonostante la maggior parte di essi non avessero né un’esperienza precedente nel contesto giuridico, né studi specifici in questo campo; • difficoltà degli interpreti, suddivise in: a) problemi linguistici; b) problemi relativi alle asimmetrie delle diverse culture; c) problemi relativi allo stato emotivo dell’interprete; d) problemi relativi al processo in sé; e) problemi etici; • condizioni lavorative. Vi sono sostanziali differenze conferma l’autrice tra i vari gruppi che lavorano come interpreti di tribunale nella provincia di Alicante: interpreti fissi, autonomi o con contratto. Il primo gruppo è quello che gode di condizioni migliori, poiché sono funzionari, sono retribuiti mensilmente e hanno i contributi versati. Gli interpreti di tribunale autonomi generalmente esigono all’ora tra i 20 e i 40 euro, devono fatturare e devono versare i contribuiti per conto proprio all’Istituto di Previdenza Sociale. Infine, gli interpreti che lavorano per le agenzie sono coloro che versano nelle condizioni lavorative peggiori, poiché vengono pagati poco, non hanno i contributi versati, né sono assicurati contro gli infortuni ed incidenti nel corso dei loro spostamenti (González Lara 2005: 154). • rapporti con gli altri partecipanti. Fra tutte le possibili relazioni che l’interprete possa avere con le parti coinvolte in un processo, le più problematiche sono quelle con il detenuto e i suoi familiari, con gli 204 avvocati e soprattutto con i giudici. Nel caso del detenuto e dei suoi familiari, l’interprete viene percepito in una posizione superiore, in quanto conosce la lingua in cui si svolge il processo e di conseguenza come un “salvatore”. Nel caso degli avvocati e dei PM, la relazione dell’interprete con essi è nulla, in quanto i PM ignorano l’interprete e si vedono minacciati dai suoi interventi. La terza relazione è la più problematica e ha le sue origini in due diversi modi di intendere il ruolo dell’interprete: a) l’opinione generalizzata da parte dei giudici intervistati che l’interprete sia un semplice “canale”, attraverso il quale l’informazione originale viene filtrata e viene trasformata in un messaggio in una lingua d’arrivo; b) la convinzione da parte dell’interprete di essere legittimato ad intervenire in qualsiasi momento del processo, sempre che sia opportuno e favorisca il buono svolgimento dello stesso (González Lara 2005: 153-155). 6.5 VERSO LA CREAZIONE DI STRUTTURE STABILI E PROFESSIONALI IN AMBITO GIURIDICO L’interpretazione giudiziaria gode di una condizione migliore rispetto ad esempio all’interpretariato per la polizia o nelle carceri (Ortega Herráez-Foulquié Rubio 2005: 182). La situazione dell’ interpretazione in ambito giudiziario in Spagna presenta certe somiglianze con la situazione che riscontriamo presso i commissariati di polizia. Tuttavia, nota l’autore, gran parte delle differenze sono date dalla configurazione propria dello Stato Spagnolo, ovvero a causa dell’esistenza delle Comunità Autonome (CC.AA.), di cui 8 sono competenti nella gestione dei mezzi materiali e personali dell’Amministrazione della Giustizia, il che si traduce nell’esistenza di numerose differenze nella considerazione dei servizi di interpretazione giudiziaria e nello status professionale del quale gode l’interprete giuridico. Mentre il Ministero della Giustizia e le CC.AA. di Galizia, Catalogna e Valencia richiedono all’interprete unicamente un diploma, altre come l’Andalusia e le Canarie, richiedono almeno un diploma universitario o ancora il Paese Basco e Madrid richiedono una laurea. 205 Il numero degli interpreti fissi è molto ridotto, per cui le varie Amministrazioni ricorrono ad interpreti freelance. Da un lato vi sono casi in cui l’Amministrazione si basa su personale fisso e si serve anche di interpreti freelance che vengono contattati direttamente dai tribunali, senza che esista a priori alcun requisito, salvo l’iscrizione nelle liste di interpreti che potrebbero esistere presso gli Uffici Territoriali del Ministero della Giustizia corrispondenti. Dall’altro, vi sono quelle CC.AA. che, sebbene abbiano interpreti fissi, hanno optato per l’esternalizzazione del servizio, ovvero nell’affidare i servizi di interpretariato ad imprese private attraverso gare di appalto pubbliche. In questo caso, gli interpreti fissi devono coesistere con gli interpreti che lavorano per l’appalto che si aggiudica il servizio (Ortega Herráez-Foulquié Rubio 2005: 186-187). Numerose critiche piovono sul sistema delle gare d’appalto. Vi sono due critiche principali: 1) la mancanza di diligenza nel selezionare il personale e 2) le tariffe misere che offrono le imprese subappaltatrici. Una delle prime conclusioni che si possono fare, nell’opinione degli autori è che, nel variopinto panorama della Spagna e nonostante gli sforzi compiuti da alcune CC.AA., il diritto ad un processo equo non viene garantito allo stesso modo in tutto il territorio. L’interpretazione giuridica in Spagna ha un lungo cammino da percorrere per giungere alla tanto desiderata professionalizzazione, armonizzazione delle pratiche, riconoscimento,ecc (Ortega Herráez-Foulquié Rubio 2005: 188-189). Tuttavia, secondo gli autori, la Spagna possiede una serie di fattori che potrebbero contribuire a cambiare la situazione: • l’interpretazione giuridica in Spagna può contare su numerosi centri nei quali si può conseguire la Laurea in Traduzione e Interpretazione e titoli post-laurea in materia; • in Spagna esiste la figura dell’interprete giurato, unico professionista accreditato della traduzione e interpretazione che tuttavia, si è visto progressivamente escluso dall’ambito della polizia e della giustizia penale (Ortega-Herráez-Foulquié Rubio 2005: 189-190). La situazione che contraddistingue la Spagna sostiene l’autore rende più difficile il processo di omogeneizzazione e professionalizzazione, che neanche la legislazione 206 spagnola attuale sembra incoraggiare. Una soluzione parziale potrebbe venire dalla UE e più concretamente, dalle iniziative che si stanno sviluppando al fine di potenziare lo Spazio di Libertà, Sicurezza e Giustizia. Così, la Commissione Europea, nella sua Proposta di Decisione Quadro del Consiglio sulle “Garanzie procedurali a favore di indagati e degli imputati in procedimenti penali nel territorio dell’Unione Europea”, manifesta la sua intenzione nel promuovere un livello di adempimento degli artt. 5 (diritto alla sicurezza e alla libertà) e 6 (diritto ad un processo equo) della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo. E per tale ragione è necessario stabilire un livello minimo nell’acceso a diritti considerati fondamentali, come l’assistenza di un avvocato e “il diritto di comprendere la natura e la causa dell’accusa, dal quale si ricava il diritto alla traduzione di documenti e ad un interprete qualora l’imputato non comprenda la lingua del processo”. La Commissione si pronuncia a favore della ricerca di una soluzione alla situazione descritta, che è simile nel resto dei paesi della UE. Così nella sua proposta si legge che: art. 67 La qualità dell’interpretazione e della traduzione deve essere sufficientemente elevata affinché il sospettato possa comprendere la natura e la causa dell’accusa. Art. 68 Gli Stati membri devono assicurare che nella propria giurisdizione vi sia un sistema che permetta che gli avvocati, giudici, accusati o qualsiasi altra persona coinvolta in un processo penale che venga a conoscenza che un determinato interprete non ha garantito la qualità dell’interpretazione richiesta, o che in un caso concreto non sia stata raggiunta, possa informarsi al fine di offrire un altro traduttore o interprete (Ortega Herráez- Foulquié Rubio. 2005: 190-191). 6.6 IPOTESI DI INTERVENTO DELL’INTERPRETE IN PROCEDIMENTI GIUDIZIARI GIÀ AVVIATI L’intervento di un interprete al servizio dell’Amministrazione della Giustizia in Spagna inizia nel momento in cui la persona assistita giunge alla sede dell’organo giudiziario competente nella causa (Ibáñez de Opacua 2000: 162) 207 Il primo intervento dell’interprete consiste nel tradurre alla persona che farà la deposizione davanti al giudice, quali sono i suoi diritti e subito dopo averlo informato dei capi d’accusa a suo carico, lo assiste nella prima deposizione giudiziaria Come sottolinea Ibáñez de Opacua, le difficoltà per l’interprete in questa fase sono varie, in particolare la non conoscenza dei fatti e l’impossibilità di prepararsi, sia a causa del segreto istruttorio, sia per mancanza di tempo, ecc. La prima deposizione riguarda “i fatti”, per cui una volta compreso il delitto di cui si accusa la persona che fa la deposizione, per l’interprete non sarà difficile tradurre, poiché conosce la terminologia del caso. La durata della stessa varia, può essere di mezzora o di alcune ore. Una volta terminata la deposizione, l’interprete deve tradurre alla persona il verbale della stessa, affinché dia la sua approvazione e la firmi e poi l’interprete deve effettuare una traduzione a vista, molto frequente nell’Amministrazione della Giustizia, anche se in questo caso si tratta di ripetere nuovamente ciò che ha detto il dichiarante e che figura per iscritto (Ibáñez de Opacua 2004: 162-163). Mentre si inoltra il procedimento, l’interprete deve essere presente nelle varie pratiche relative alla persona contro la quale è in corso lo stesso, ad esempio nella notifica degli atti, mandati, provvedimenti, nelle ingiunzioni, nella pratica di determinate prove, ecc., il che implica la necessità di spiegare termini specifici dell’ordinamento giuridico spagnolo e che risulta essere uno dei compiti più difficili. Nella fase finale dell’ istruzione, dovrà assisterla nella deposizione istruttoria, che generalmente è breve, dopo dovrà notificarle l’Atto del Procedimento, il che significa il termine della fase istruttoria e il trasferimento della procedura al tribunale che andrà a giudicare i fatti (Ibáñez de Opacua 2000: 163-164). Per quanto riguarda il giudizio orale, segnala l’autrice, questo è la fase processuale più importante. In vista della causa, il compito dell’interprete risulta paradossalmente più facile, perché ha la possibilità di prepararsi nel caso in cui avesse la possibilità di accedere agli atti, ma spesso, sfortunatamente, non è possibile farlo. Ciò che generalmente fanno gli interpreti-traduttori è richiedere le Provvisorie di Qualificazione dell’accusa e della difesa o l’Atto del Procedimento dettato dal Giudice Istruttore. 208 Occorre precisare come sottolinea l’autrice che non si interpreta tutto il processo, infatti, l’attività dell’interprete si limita alla traduzione della deposizione dell’imputato/i, dei testimoni o dei periti stranieri nel caso in cui siano presenti e infine le affermazioni dell’imputato, precedute dal riassunto delle allegazioni delle parti che fa il Presidente del Tribunale che non conosce la causa (Ibáñez de Opacua 2000: 164-165). Le difficoltà per l’interprete sono diverse: da un lato una forte tensione, perché non sa come si svolgerà il processo, uno stato emotivo che però si supera nel momento in cui inizia il processo e l’interprete si concentra sul lavoro, dall’altro la distanza che lo separa dall’imputato. In quanto all’indagine periziale, questa può essere molto complicata, poiché i periti sono esperti in un campo determinato del sapere che l’interprete molto spesso non conosce, come medicina, balistica, calligrafia, dattiloscopia, chimica, ecc. e utilizzano termini specializzati. Ciò che può fare l’interprete in questo caso è accedere alle indagini peritali in spagnolo e nella lingua di lavoro, oppure tentare di parlare con qualche perito prima della deposizione e cercare i termini che probabilmente utilizzeranno (Ibáñez de Opacua 2000: 165). 6.7 L’INTERPRETE DI TRIBUNALE IN SPAGNA L’interpretazione di tribunale è stata oggetto di studio di numerosi articoli, che hanno proiettato un’immagine piuttosto critica dei richiedenti e dei fornitori dei servizi pubblici in Spagna (Pérez González 2002: 77). Sono spesso i giudici che si occupano di valutare le competenze degli interpreti stranieri attraverso una breve conversazione in spagnolo, senza che vi sia invece un controllo analogo nel caso degli interpreti spagnoli. Tale negligenza è molto più grave quanto l’accesso a e l’esercizio di questa attività presenta serie deficienze. A differenza di quanto accade nei paesi anglofoni, la Spagna è carente di programmi di abilitazione e di formazione specifici per interpreti di tribunale. L’autore segnala che, coloro che sono chiamati a svolgere questa forma di interpretariato provengono da tre gruppi: 209 a) gli interpreti dell’Amministrazione della Giustizia, i quali svolgono l’attività nei tribunali giuridicamente più importanti; b) gli interpreti giurati, che lavorano per lo più nella cause civili, ove la parte che ha richiesto la collaborazione si fa carico della retribuzione; c) qualsiasi soggetto ritenuto idoneo che conosca la lingua, può essere nominato “traduttore periziale”, dopo aver prestato il dovuto giuramento. Oggi, la precarietà economica dell’Amministrazione della Giustizia in Spagna obbliga numerosi organi giurisdizionali a ricorrere ad interpreti ad hoc che non hanno abilità linguistiche, né forensi, mettendo così in pericolo il diritto costituzionale di ciascun individuo di avere un’assistenza legale gratuita e le garanzie processuali dovute (Pérez González 2002: 77-78). Inoltre, ricorda Pérez González, gli interpreti di tribunale spagnoli non hanno un codice deontologico univoco, mentre nei paesi anglofoni sono uno strumento di straordinaria importanza. L’obiettivo è quello di orientare gli interpreti nel prendere le decisioni inerenti al processo di mediazione linguistica. Alcuni autori hanno minimizzato la carenza di codici deontologici in Spagna, appellandosi al fatto che i procedimenti giudiziari spagnoli si basano soprattutto su pratiche scritte. L’interprete veniva chiamato per tradurre a vista alcuni documenti rilevanti o interpretare per una cerchia ristretta di attori (avvocati, imputati e il giudice). A tale ridotto margine di intervento dell’interprete, si sommava il fatto che i destinatari delle traduzioni legali specialistiche non erano sensibili all’impiego o all’omissione di elementi linguistici precisi (Pérez González 2002: 78-79). 6.7.1 LA NORMATIVA SPAGNOLA Il diritto all’interprete presso i tribunali giudiziari in Spagna è garantito dalla legislazione vigente: • Ley de Enjuiciamiento Civil artt. 142-143; • Ley de Enjuiciamiento Criminal artt. 440, 443, 444 e 520.2; • Costituzione Spagnola artt. 17.3 e 24; 210 • Ley Orgánica 4/2000 sui Diritti e Libertà degli Stranieri e la loro integrazione sociale, modificata dalla Legge 8/2000 articolo 22, così come da numerosi convegni internazionali sottoscritti dalla Spagna (Martin 2006: 136). Chi scrive vuole menzionare anche La Ley de Entranjería, articolo 22, dove si afferma che: Artículo 22. Derecho a la asistencia jurídica gratuita. 1. Los extranjeros que se hallen en España y que carezcan de recursos económicos suficientes según los criterios establecidos en la normativa de asistencia jurídica gratuita tienen derecho a ésta en los procedimientos administrativos o judiciales que puedan llevar a la denegación de su entrada, a su devolución o expulsión del territorio español y en todos los procedimientos en materia de asilo. Además, tendrán derecho a la asistencia de intérprete si no comprenden o hablan la lengua oficial que se utilice. 2. Los extranjeros residentes que acrediten insuficiencia de recursos económicos para litigar tendrán derecho a la asistencia jurídica gratuita en iguales condiciones que los españoles en los procesos en los que sean parte, cualquiera que sea la jurisdicción en la que se sigan (http://servicios.laverdad.es/servicios/especiales/leyextran/ accesso 17/12/2009). La Costituzione Spagnola del 1978 non contempla espressamente il diritto all’assistenza di un interprete e alla traduzione. Neanche l’attuale “Ley Orgánica del Poder Judicial” del 1985 e le sue varie riforme, prende in considerazione il problema del diritto ad un interprete nel processo penale e l’unico articolo che dedica alla lingua è il 231 che tenta di conciliare la lingua ufficiale dello Stato, il castigliano, con le lingue ufficiali proprie della varie Comunità Autonome (Palomo del Arco 2007: 193). Nella Ley de Enjuiciamiento Criminal, la regolamentazione, anche se più ampia, continua ad essere insufficiente, frammentaria e incompleta. Alludono all’interprete in fase di detenzione, l’articolo 520.2, in fase istruttoria, gli artt. 398, 440, 441 e 762.8 e per il dibattimento orale, l’articolo 711. Nell’analisi di tale normativa, l’autore osserva che: a) la regolamentazione più dettagliata dell’assistenza dell’interprete è contemplata in sede testimoniale; b) una della maggiori lacune è il diritto alla traduzione dei documenti; c) altra omissione è costituita dalla non gratuità del servizio dell’interprete e del traduttore; d) la regolazione delle procedure dove si contempla l’assistenza all’interprete: detenzione, deposizioni nella fase istruttoria e nell’udienza, risulta insufficiente, poiché non contempla altre procedure processuali che 211 non integrano deposizioni o udienze (perizie, riconoscimento medico, ecc.); e) sebbene venga designato l’interprete, questa figura risulta così articolata: 1) in primo luogo saranno scelti coloro che possiedono un titolo; 2) in secondo luogo, un “maestro” della lingua; 3) qualsiasi persona che conosca la lingua; d) infine, qualora tali condizioni non si verificassero, è necessario ricorrere all’Ufficio di Interpretariato di Lingue del Ministero degli Affari Esteri; f) l’interprete deve prestare in presenza dell’imputato o del testimone che non conosce il castigliano, un giuramento di svolgere bene e fedelmente l’incarico; nonostante ciò è considerato un perito; g) la procedura tipo che contempla la Ley de Enjuiciamiento è l’assistenza dell’interprete alla deposizione dell’imputato o testimone che non conosce il castigliano, in tal senso prevede che per sua intercessione si facciano all’imputato/testimone le domande e si ricevano risposte per suo tramite; h) ma non si contempla l’assistenza dell’interprete all’imputato/testimone che non conosce il castigliano, nelle udienze e comparse, al fine di ottenere una conoscenza precisa delle deposizioni, requisitorie e comparse conclusionali; i) l’esigere dall’interprete che traduce le deposizioni degli imputati/ testimoni che non conoscono la lingua, di metterle a verbale nella lingua dell’imputato/testimone, e in seguito in castigliano, è un modo per controllare la sua attività, anche se tale riforma centenaria del diritto processuale raramente viene osservata nella pratica forense (Palomo Del Arco 2007: 193-196). La Costituzione Spagnola cita all’articolo 17.3 il diritto fondamentale di ogni persona detenuta ad essere informata in forma immediata e comprensibile dei suoi diritti e delle ragioni della sua detenzione. L’articolo 24 della Costituzione cita invece il diritto ad ottenere la tutela giudiziaria effettiva dei Giudici e Tribunali, proibendo che si renda vulnerabile la persona che esercita i suoi diritti e interessi legittimi (Ortega Herráez et al. 2007: 257) 212 Affinché tali decreti costituzionali possano realizzarsi nei casi in cui il cittadino non conosca la lingua ufficiale del paese, sostengono gli autori, è necessaria l’esistenza di interpreti qualificati e accreditati nei tribunali, nelle udienze, presso i Tribunali Superiori di Giustizia, nelle Udienze Nazionali e presso il Tribunale Supremo, che collaborino con i giudici, PM e funzionari giudiziari e assistano queste persone. Così come riferiscono gli autori, nella situazione attuale, qualsiasi persona, senza alcun tipo di controllo da parte del Ministero di Giustizia o Comunità Autonoma competente, può esercitare le funzioni di interprete-traduttore. L’unico requisito formale, ma solo una volta iniziata l’udienza, è il giuramento o “promessa” di svolgere la sua attività bene e fedelmente. La maggior parte della lacune osservate nella fornitura dell’interpretazione e traduzione in sede giudiziaria hanno le proprie radici nel disconoscimento non solo della figura professionale del traduttore-interprete, ma nel disconoscimento del suo ruolo e delle ripercussioni che lo stesso può avere nello svolgimento di un processo (Ortega Herráez 2007 et al. : 157-266). Così, sono numerosi gli studi di carattere empirico che cercano di dimostrare che la presenza di un interprete in una sala delle udienze può alterare la natura stessa dell’incontro comunicativo. Recentemente, Ortega Herráez (2006) ha portato a termine una ricerca scientifica, nella quale dimostrava che gli interpreti affermavano di modificare il registro degli interlocutori, il che può avere gravi conseguenze al momento per esempio di valutare la credibilità di un imputato/testimone. Al tempo stesso, tale ricerca metteva in evidenza la sottovalutazione da parte degli attori di un processo, delle possibilità di collaborazione con un interprete, al fine di trarre il massimo profitto dalla sua presenza e agevolare in tal modo lo svolgimento dello stesso. Uno dei risultati più sorprendenti fu constatare che in Spagna non viene garantita la traduzione integrale dei processi. A volte gli interpreti non sono collocati in posti adeguati che permettano loro di tradurre tutto alla persona che necessita del suo servizio e il loro intervento si limita a tradurre per esempio le domande e le risposte delle deposizioni dell’imputato/testimone. Nei casi in cui, invece, per la sua collocazione, la traduzione integrale fosse possibile, l’interprete può non avere a disposizione la strumentazione necessaria per realizzare per esempio una interpretazione simultanea 213 sussurrata o anche se ce l’ha, l’autorità giudiziaria gli impone di limitarsi a tradurre solo le domande e le risposte, o ancora, il processo si svolge ad una velocità tale che è materialmente impossibile interpretare simultaneamente e, nella migliore delle ipotesi, l’interprete è costretto a riferire un riassunto di quanto viene detto (Ortega Herráez et al. 2007: 266). 6.7.2 RIFORME PROCESSUALI La nostra epoca è testimone di un processo globale di cambiamenti nel panorama giuridico caratterizzato dalla moltiplicazione degli operatori giuridici e dal pluralismo giuridico transnazionale (Pérez González 2002: 79). La manifestazione più diretta di tale processo di globalizzazione in Spagna è l’entrata in vigore della “Ley Organica del Jurado” (LO 5/1995), d’accordo con il decreto raccolto nell’articolo 125 della Costituzione. L’approvazione della LO 5/1995 precisa l’autore ha comportato riforme importanti che rappresentano un cambio radicale delle procedure processuali in Spagna. Il fattore di traino di tali cambiamenti appare evidente nelle Considerazioni Preliminari della nuova LO 5/1995 IV.3, dove viene enunciato il principale obiettivo, che è raggiungere “la oralidad, inmediación y publicidad en la prueba que ha de derogar la presunción de inocencia”. Pertanto la Ley del Jurado dispone che l’udienza inizi con le allegazioni previe di entrambe le parti. Questa sarà la prima volta in cui le parti si dirigeranno ai giurati per esporre quali sono le proprie posizioni, i capi d’imputazione, le prove richieste, l’obiettivo delle prove e anticipare quali saranno le linee guida della strategia adottata dalla parte avversa (Pérez González 2002: 79-81). Le allegazioni previe o deposizioni preliminari sono un’innovazione della Legge e risultano di grande importanza perché in questa nuova tappa, gli oneri delle prove devono essere eseguite durante il processo, non durante la fase di istruzione del sommario. L’esclusione delle pratiche istruttorie, che non hanno più efficacia probatoria, suppone che gli interrogatori degli imputati e dei testimoni durante l’udienza acquisiscano un’importanza fondamentale. Gli interrogatori e i controinterrogatori si 214 generalizzano e il giudice che presiede l’udienza si preoccupa che la fase interrogatoria si attenga alle norme sulla legittimità o meno di certe domande. In tal modo, si stabilisce un procedimento basato sui principi accusatorio e di contraddizione tra le parti, previsti nella Costituzione, semplificando al tempo stesso la fase dell’inchiesta per evitare un suo prolungamento eccessivo. Il risultato di queste riforme consiste nel fatto che, i procedimenti spagnoli innanzi ad un giurato acquistano un carattere spontaneo ed imprevedibile, un aspetto impensabile fino a qualche anno fa, imponendo così nuove esigenze per la pratica forense degli avvocati spagnoli e di conseguenza degli interpreti che devono veicolarla in un’altra lingua (Pérez González 2002: 81). L’autore cita García Montes (1999), secondo il quale questo cambio di attitudine dovrebbe prodursi anche prima dell’inizio dell’udienza. In tale contesto è raccomandabile per gli avvocati: • chiarire le proprie posizioni ed esporre gli argomenti in maniera semplice, incluso per i cittadini minimamente alfabetizzati; • rafforzare le qualità emotive a discapito dell’indole intellettuale; • pianificare attentamente l’esposizione dell’argomento d’accordo con il profilo psicologico dei giurati; • redigere con diligenza le argomentazioni. Sebbene tali raccomandazioni debbano essere tenute in considerazione durante tutta l’udienza, la loro osservanza, sostiene Pérez González, è fondamentale durante la presentazione degli argomenti delle parti e dell’argomento di chiusura, momento chiave per la persuasione strategica dei giurati (Pérez González 2002: 81-82). Tali raccomandazioni che snelliscono la fase processuale, hanno delle ripercussioni sull’interprete, che si trova a lavorare in un contesto imprevedibile, senza avere alcuna informazione previa sul caso, poiché tutto si svolge in aula e nell’assoluta incertezza. D’altro canto però, la semplificazione delle formulazioni giuridiche, agevola l’interprete nella traduzione dei concetti, spesso ostici, e nel veicolarli in un’altra lingua attraverso un linguaggio più semplice e di più immediata comprensione per l’assistito. 215 OSSERVAZIONI CONCLUSIVE L’obiettivo di questo lavoro era quello di delineare la figura dell’interprete di tribunale e del mediatore linguistico-culturale in due paesi europei, l’Italia e la Spagna. Per quanto riguarda la situazione degli interpreti, risultano evidenti in entrambi i paesi le difficoltà che tali professionisti incontrano nello svolgere la loro professione in maniera adeguata. Italia e Spagna non devono solo fronteggiare il problema della mancanza di fondi, ma soprattutto quella della mancanza di un Albo nazionale per gli interpreti di tribunale, di requisiti per lo svolgimento della professione, di formazione e di riconoscimento del ruolo. Succede quindi che chiunque può ricoprire tale ruolo, pur non essendo professionista e non avendo una formazione. I compensi pertanto sono molto bassi e ne consegue che la qualità dei servizi di traduzione-interpretariato è molto scarsa. In Spagna, la situazione si complica ulteriormente, data la presenza delle Comunità Autonome in cui viene riconosciuta come lingua ufficiale una lingua diversa dal castigliano, per cui vi è la necessità di effettuare traduzioni e interpretariati nella lingua propria di ciascuna comunità. Per quanto riguarda invece l’ambito della mediazione linguistico-culturale, anche qui il panorama è molto complesso, a causa del mancato riconoscimento non solo giuridico, ma anche sociale di tale professione. Effettivamente, la figura del mediatore riveste ancora poco valore nella società italiana, dove l’esigenza dell’attività del mediatore ha cominciato a farsi sentire a partire dagli anni Novanta del secolo scorso, in seguito alla prime ondate migratorie. Attualmente il mediatore presta la propria collaborazione nell’ambito dei servizi sociali, è mal retribuito, è spesso chiamato ad operare in qualità di interprete, per cui gli si chiede di attenersi strettamente alla traduzione di quanto l’utente dice, mentre il suo lavoro prevede di assistere l’utente anche da un punto di vista culturale. Lo dice infatti la parola stessa, il mediatore è colui che “sta nel mezzo”, fa da ponte o tramite non solo tra due lingue, bensì tra due culture. Oggi in Italia, numerosi corsi universitari sono offerti sulla mediazione, dal nord al sud, ognuno dei quali sta cercando di differenziarsi dall’altro e di darsi un taglio diverso. 216 In Spagna, come ampiamente detto nell’elaborato, la mediazione linguisticoculturale è un campo quasi ancora in esplorato, nonostante negli ultimi anni vi siano stati numerosi tentativi, provenienti soprattutto dal mondo delle università, di indagare e approfondire questa professione. Si parla così di “traducción e intepretación en los servicios públicos”, ma non di mediazione, intendendo con servizi pubblici tutti quegli ambiti che richiedono un’assistenza di tipo non solo linguistica, ma anche sociale, proprio come in Italia. L’etichetta di mediatore sottende però quella di interprete, laddove in realtà l’interprete svolge un effettivo ruolo di mediazione. A livello universitario, vi sono alcune proposte interessanti di corsi offerti nell’ambito dell’interpretazione per i servizi pubblici, di cui la pioniera è stata l’università di Alcalá. Chi scrive ha scelto di proporre un questionario ai mediatori linguistico-culturali per l’Italia e agli interpreti per la Spagna, dai quali è stato possibile trarre delle interessanti conclusioni e degli interessanti spunti di riflessione. I questionari per i mediatori sono stati sottoposti a mediatori della regione Emilia Romagna. Gli undici soggetti intervistati hanno tra i 30 e i 40 anni, sono quasi tutte donne, il che denota già una certa propensione verso la professione da parte delle stesse rispetto alla controparte maschile. Lavorano tra la provincia di Bologna e di Ravenna, presso i comuni, i CIE, i centri di accoglienza per immigrati, le questure, i servizi sociali in genere. Le madrelingue più comuni sono in ordine: arabo, albanese, russo/moldavo, rumeno e infine croato e la lingua woolof (dialetto francese). Le lingue di lavoro più usate, oltre all’italiano sono: l’inglese, il francese, l’albanese, il russo/moldavo, il rumeno, raramente lo spagnolo e il croato. Tutti gli intervistati possiedono un livello di istruzione superiore o una laurea, non necessariamente linguistica e hanno seguito un corso di formazione per mediatori linguistici in Italia. La maggior parte presta il proprio servizio in tribunale, presso enti o associazioni che forniscono assistenza agli immigrati, poi presso le CIE e gli uffici di Polizia. La frequenza di tale collaborazione è variabile, generalmente è fornita più di una volta a settimana. Per quanto riguarda i problemi che sorgono durante un’interpretazione, la maggior parte risponde “raramente”, altri rispondono “ a volte”, solo una mediatrice risponde “spesso”. Secondo gli intervistati i problemi sorgono a causa delle scarse conoscenze terminologiche (giuridiche nel nostro caso) che l’assistito ha. In relazione alle qualità che un buon mediatore deve possedere, le più importanti sono: 1) autonomia nel gestire 217 la comunicazione con l’assistito; 2) capacità di relazionarsi positivamente con l’assistito; 3) chiarezza nell’esposizione; 4) riservatezza. Sorprende che solo per tre mediatori sia importante mantenere un atteggiamento imparziale. Al fine di instaurare un rapporto di fiducia con il mediatore, secondo gli intervistati, è necessario condividerne il sesso, il gruppo etnico e il credo religioso con un accento maggiore sul gruppo etnico. In relazione alle modalità di interpretazione utilizzare durante il lavoro, la maggior parte ricorre alla bilaterale o in alcuni casi ad un sistema misto. Metà di essi prende appunti per la traduzione e tutti si esprimono in prima o in terza persona a seconda dei casi. Tutti gli intervistai sono concordi nel sostenere che il compito del mediatore includa principalmente la capacità di semplificare e spiegare i termini tecnici per l’assistito. In riferimento alla questione dell’imparzialità, i mediatori sostengono che sia molto importante o addirittura fondamentale mantenerla, in contraddizione questa risposta con quella data prima in relazione alle qualità che dovrebbe possedere un buon mediatore, in cui solo tre mediatori ritenevano fosse imprescindibile nel svolgere il proprio lavoro essere imparziali. Un importante dato viene dalla risposta sulla domanda in relazione al comportamento più adeguato del mediatore qualora si accorgesse che l’imputato sta mentendo: quattro sostengono che sia importante segnalarlo, gli altri non saprebbero come comportarsi. Infine, un ulteriore dato importante risulta dalla consapevolezza che i mediatori hanno della necessità di seguire dei corsi d’aggiornamento che vertano sulle seguenti tematiche: a) aspetti giuridico-legali; b) problematiche della comunicazione; c) terminologia tecnica specifica e per alcuni di essi, d) anche la deontologia merita di essere approfondita. Nei suggerimenti/commenti richiesti agli intervistati come ultima domanda, essi segnalano oltre alla necessità dei corsi d’aggiornamento, la possibilità di incontrare prima l’assistito o l’utente dei servizi pubblici in generale, avere maggiori informazioni e strumenti adeguati per svolgere nel migliore dei modi la propria collaborazione e il riconoscimento del ruolo. Passando alla Spagna, gli interpreti di tribunale intervistati, ai quali il questionario è stato sottoposto per posta elettronica, appartengono ad alcune associazioni di interpreti, riconosciute a livello nazionale, molto simili alla AITI italiana. Anche in 218 questo caso, la maggior parte degli intervistati sono donne, l’età oscilla tra i 25 e i 60 anni. Le madrelingue sono: spagnolo/gallego e olandese. Le lingue più utilizzate al lavoro sono: inglese, galego, portoghese, tedesco, italiano. Possiedono un titolo di studio universitario, spesso una laurea in interpretariato e hanno seguito corsi di formazione post-universitari. Lavorano indistintamente in ambito civile e penale. Nessuno di essi ha seguito un corso di mediazione e non tutti ritengono sia necessario distinguere la figura dell’interprete da quella del mediatore. La maggior parte non si ritiene soddisfatta della propria condizione lavorativa e precisa più volte che non esiste in Spagna la figura dell’interprete di tribunale come viene comunemente intesa in Italia. Si parla di interprete giurato e spesso per svolgere questo lavoro, si ricorre a non professionisti. Alcuni sostengono sia necessario un maggior riconoscimento della figura dell’interprete, da parte delle associazioni, altri si ritengono piuttosto soddisfatti. Secondo gli intervistati in alcuni casi gli imputati considerano la presenza dell’interprete un ostacolo, lo vedono come un notaio o un tramite dei giudici, degli avvocati, mentre altre volte la loro presenza non intacca l’esito del processo. Per quanto riguarda la posizione lavorativa, tutti svolgono altre attività oltre a quella di interprete, ma contrariamente all’Italia considerano la loro attività di interpreti giurati come un’attività potenzialmente a lungo termine, in quanto è gratificante, gli assistiti spesso manifestano l’esigenza di avere un interprete durante un processo, le retribuzioni sono soddisfacenti. La modalità più utilizzata per l’interpretazione è la consecutiva con l’ausilio o meno di appunti. E’ interessante notare che gli interpreti ricevono delle informazioni sul caso previamente al processo, il che aiuta loro nelle preparazione dello stesso. Le competenze necessarie per svolgere l’attività di interprete di tribunale sono: a) il bilinguismo; b) il biculturalismo in alcuni casi; c) la conoscenza specifica degli ordinamenti giuridici. Per quanta riguarda invece le caratteristiche personali di un interprete, essi ritengono siano fondamentali: 1) autocontrollo; 2) resistenza fisica; 3) capacità di adattamento; 4) capacità di prevenire i conflitti; 5) capacità di ascolto; 6) capacità di trovare le soluzioni più appropriate. In merito alla deontologia, gli aspetti più importanti sono: l’imparzialità e il mantenimento del segreto professionale. In relazione al loro rapporto con i giudici, gli 219 avvocati, i PM, sostengono di esser visti spesso come collaboratori/assistenti e in tal caso alcuni tentano di chiarire la propria imparzialità o non fanno nulla. La persona utilizzata nel riferire i contenuti delle affermazioni degli assistiti è la seconda persona (usted) che esprime un grado di cortesia, o utilizzano indistintamente la prima o la seconda persona di cortesia. Tutti sostengono di poter interagire con l’assistito e la maggior parte non si ritiene in alcun modo responsabile dell’esito del processo, mentre c’è chi dice di sentirsi un po’ responsabile. I due questionari proposti, pur non essendo paragonabili, in quanto l’uno indaga sulla figura del mediatore linguistico-culturale e l’altro su quella dell’interprete di tribunale, ci confermano però la complessità del panorama italiano e spagnolo, che pur essendo così affini, presentano al proprio interno sfumature molto intense, che varrebbe la pena approfondire. 220 BIBLIOGRAFIA Alimenti Rietti A., C., (1999) Il traduttore di tribunale, in AA. VV., La traduzione: saggi e documenti IV, “Quaderni di Libri e Riviste d’Italia”, Roma, Ministero dei beni culturali, 1999. 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Volontarietà dell'azione La responsabilità disciplinare discende dalla volontarietà dell'azione indipendentemente dal dolo o dalla colpa. Oggetto di valutazione è il comportamento complessivo dell'incolpato sicché, anche quando siano mossi vari addebiti nell'ambito di uno stesso procedimento, la sanzione deve essere unica. Articolo 4. Attività all'estero Nell'esercizio di attività professionale all'estero traduttori e interpreti sono soggetti alle norme deontologiche interne nonché alle norme deontologiche dell'Associazione presente nel Paese in cui viene svolta l'attività, se ciò è previsto a condizioni di reciprocità. Articolo 5. Dovere di probità, dignità e decoro Il traduttore e l'interprete devono ispirare la propria condotta all'osservanza dei doveri di probità, dignità e decoro. È fatto divieto al traduttore e all'interprete, nell'esercizio della professione, di esprimere opinioni politiche o personali e di rilasciare dichiarazioni pubbliche circa la propria ideologia politica. 231 Articolo 6. Dovere di lealtà e correttezza Il traduttore e l'interprete devono svolgere la propria attività professionale con lealtà e correttezza. Al traduttore e all'interprete è assolutamente vietato trarre un utile personale da informazioni di cui vengano a conoscenza nell'esercizio della professione. L'interprete deve svolgere il proprio incarico con obiettività ed equidistanza, e l'interprete di tribunale deve tenere sempre presente il fatto che opera nell'interesse superiore della Giustizia. Il traduttore deve eseguire a regola d'arte e personalmente l'incarico affidatogli. Articolo 7. Dovere di diligenza Il traduttore e l'interprete devono adempiere ai propri doveri professionali con diligenza. In particolare devono rispettare le modalità e i termini dell'incarico. I traduttori devono altresì rispettare i termini di consegna se espressamente previsti e sottoscritti e devono curare l'aspetto esteriore del testo tradotto. Articolo 8. Dovere di segretezza e riservatezza È dovere del traduttore e dell'interprete conservare il segreto sull'attività prestata e mantenere comunque la riservatezza sugli affari trattati. Il traduttore e l'interprete devono inoltre provvedere alla salvaguardia dei documenti in loro possesso. Articolo 9. Dovere di indipendenza Il traduttore e l'interprete hanno il dovere di mantenere la propria indipendenza nell'esercizio dell'attività professionale. Devono avere coscienza dell'importanza del proprio lavoro conservando autonomia di decisione sulle scelte tecniche e sulle modalità di svolgimento dello stesso. Articolo 10. Dovere di competenza L'accettazione di un determinato incarico professionale fa presumere la competenza a svolgere quell'incarico. In ogni caso il traduttore e l'interprete devono comunicare al 232 committente le circostanze impeditive alla prestazione dell'attività richiesta e così eventualmente la necessità dell'integrazione con altro collega. Articolo 11. Dovere di aggiornamento professionale È dovere del traduttore e dell'interprete curare costantemente la propria preparazione professionale, sia in campo strettamente linguistico sia riguardo alla propria cultura generale e specialistica. Articolo 12. Dovere di adempimento previdenziale e fiscale Il traduttore e l'interprete hanno il dovere di provvedere agli adempimenti previdenziali e fiscali prescritti dalle norme in vigore. Articolo 13. Dovere di evitare incompatibilità È dovere del traduttore e dell'interprete evitare situazioni di incompatibilità e comunque segnalare al committente eventuali motivi di conflitto d'interesse che possano compromettere la qualità della prestazione, richiedendo, nel dubbio, il parere dell'Associazione. Articolo 14. Divieto di pubblicità È vietata qualsiasi forma di pubblicità dell'attività professionale; al fine del rispetto del diritto del pubblico all'informazione, è consentita la pubblicità specifica e informativa, indicativa del proprio particolare ramo di attività o specializzazione, purché attuata con discrezione e in modo da non recare offesa alla dignità della professione. Articolo 15. Divieto di intermediazione Il traduttore e l'interprete, nell'esercizio della loro attività, devono astenersi da qualsiasi forma di intermediazione a scopo di lucro. Articolo 16. Dovere di rispettare le condizioni di lavoro È dovere del traduttore e dell'interprete rispettare le condizioni di lavoro definite dall'AITI. 233 Titolo II. Rapporti con i colleghi Articolo 17. Rapporto di colleganza Il traduttore e l'interprete devono mantenere sempre nei confronti dei colleghi un atteggiamento di cordialità e lealtà, al fine di rendere più serena e corretta l'attività professionale. Devono astenersi da ogni attività o forma di pubblicità che possa arrecare danno o pregiudizio ad altri colleghi. In particolare non devono esprimere critiche sui colleghi per il loro operato, né ingenerare la convinzione della superiorità o convenienza delle proprie prestazioni. Articolo 18. Divieto di accaparramento di clienti Il traduttore e l'interprete si asterranno da qualsiasi comportamento che possa definirsi "concorrenza sleale". È fatto inoltre divieto al traduttore e all'interprete di sfruttare informazioni, eventualmente ottenute, riguardanti i committenti di altri colleghi o di approfittare di incarichi in équipe al fine di accaparrarsi committenti. Articolo 19. Notizie riguardanti i colleghi È tassativamente vietata la diffusione di notizie relative alla persona e ai comportamenti di un collega. Eventuali violazioni del codice deontologico devono essere rappresentate per iscritto esclusivamente agli organi disciplinari. Titolo III. Rapporti con i committenti Articolo 20. Rapporto di fiducia Il rapporto di fiducia è alla base dell'attività professionale. Articolo 21. Mancata prestazione di attività Costituisce violazione dei doveri professionali, sanzionabile anche disciplinarmente, il mancato o ritardato svolgimento dell'incarico ricevuto, quando la mancanza sia riferibile 234 a negligenza o trascuratezza (indipendentemente dal fatto che ne derivi pregiudizio agli interessi del committente). Articolo 22. Obbligo di informazione Il traduttore e l'interprete devono rendere note al committente le condizioni di lavoro applicabili all'incarico e fornirgli tutte le informazioni relative. Articolo 23. Obbligo di restituzione di documenti Il traduttore e l'interprete sono tenuti a restituire al committente tutta la documentazione ricevuta, quando questi ne faccia richiesta. Articolo 24. Azioni contro il committente per il pagamento del compenso In ottemperanza a quanto previsto dalle condizioni di lavoro, il traduttore e l'interprete devono richiedere che gli incarichi siano conferiti per iscritto. Ove la corresponsione del compenso non avvenga entro i termini prescritti il traduttore e l'interprete possono procedere giudizialmente nei confronti del committente per il pagamento delle proprie prestazioni professionali. Articolo 25. La testimonianza del traduttore o dell'interprete Per quanto possibile, il traduttore e l'interprete devono astenersi dal deporre come testimoni su circostanze apprese nell'esercizio della propria attività professionale o inerenti all'incarico ricevuto. Titolo IV. Rapporti con le altre associazioni Articolo 26. Devono essere favoriti i rapporti con le altre associazioni di categoria, ai fini della circolazione delle informazioni e dell'attuazione di azioni comuni a tutela della professione. Tali rapporti sono riservati al Presidente Nazionale, eventualmente coadiuvato dai Presidenti delle Commissioni Nazionali, o ai suoi delegati personali esclusivamente nell'ambito della delega loro conferita. 235 Articolo 27. L'appartenenza dei soci AITI ad altre associazioni o gruppi è ammessa purché lo Statuto o i Regolamenti e gli scopi degli stessi non siano in contrasto con le disposizioni dello Statuto, del Regolamento, del Codice Deontologico o delle Condizioni di Lavoro AITI. Articolo 28. I soci dell'AITI che appartengano anche ad altre associazioni o gruppi, nei quali rivestano cariche rappresentative o dai quali siano delegati, devono astenersi dal partecipare agli incontri tra associazioni, onde evitare situazioni conflittuali. 236 AIIC CODE OF PROFESSIONAL ETHICS I. Purpose and Scope Article 1 a. This Code of Professional Ethics (hereinafter called the "Code") lays down the standards of integrity, professionalism and confidentiality which all members of the Association shall be bound to respect in their work as conference interpreters. b. Candidates shall also undertake to adhere to the provisions of this Code. c. The Council, acting in accordance with the Regulation on Disciplinary Procedure, shall impose penalties for any breach of the rules of the profession as defined in this Code. II. Code of Honour Article 2 a. Members of the Association shall be bound by the strictest secrecy, which must be observed towards all persons and with regard to all information disclosed in the course of the practice of the profession at any gathering not open to the public. b. Members shall refrain from deriving any personal gain whatsoever from confidential information they may have acquired in the exercise of their duties as conference interpreters. Article 3 a. Members of the Association shall not accept any assignment for which they are not qualified. Acceptance of an assignment shall imply a moral undertaking on the member's part to work with all due professionalism. b. Any member of the Association recruiting other conference interpreters, be they members of the Association or not, shall give the same undertaking. c. Members of the Association shall not accept more than one assignment for the same period of time. Article 4 237 a. Members of the Association shall not accept any job or situation which might detract from the dignity of the profession. b. They shall refrain from any act which might bring the profession into disrepute. Article 5 For any professional purpose, members may publicise the fact that they are conference interpreters and members of the Association, either as individuals or as part of any grouping or region to which they belong. Article 6 a. It shall be the duty of members of the Association to afford their colleagues moral assistance and collegiality. b. Members shall refrain from any utterance or action prejudicial to the interests of the Association or its members. Any complaint arising out of the conduct of any other member or any disagreement regarding any decision taken by the Association shall be pursued and settled within the Association itself. c. Any problem pertaining to the profession which arises between two or more members of the Association, including candidates, may be referred to the Council for arbitration, except for disputes of a commercial nature. III. Working Conditions Article 7 With a view to ensuring the best quality interpretation, members of the Association: a. shall endeavour always to secure satisfactory conditions of sound, visibility and comfort, having particular regard to the Professional Standards as adopted by the Association as well as any technical standards drawn up or approved by it; b. shall not, as a general rule, when interpreting simultaneously in a booth, work either alone or without the availability of a colleague to relieve them should the need arise; c. shall try to ensure that teams of conference interpreters are formed in such a way as to avoid the systematic use of relay; d. shall not agree to undertake either simultaneous interpretation without a booth or whispered interpretation unless the circumstances are exceptional and the quality of interpretation work is not thereby impaired; 238 e. require a direct view of the speaker and the room and therefore will not agree to working from screens except in exceptional circumstances where a direct view is not possible, provided the arrangements comply with the Association's appropriate technical specifications and rules; f. shall require that working documents and texts to be read out at the conference be sent to them in advance; g. shall request a briefing session whenever appropriate; h. shall not perform any other duties except that of conference interpreter at conferences for which they have been taken on as interpreters. Article 8 Members of the Association shall neither accept nor, a fortiori, offer for themselves or for other conference interpreters recruited through them, be they members of the Association or not, any working conditions contrary to those laid down in this Code or in the Professional Standards. IV. Amendment Procedure Article 9 This Code may be modified by a decision of the Assembly taken with a two-thirds majority of votes cast, provided a legal opinion has been sought on the proposals. Version 2009 239 CODICE DEONTOLOGICO di A.N.I.T.I. Preambolo Il traduttore e l'interprete hanno il compito di trasmettere nella lingua in cui traducono gli stessi concetti e messaggi del testo originale, senza aggiunte o omissioni, al meglio delle loro capacità professionali, rispettando tutti gli aspetti sia linguistici, sia culturali del testo originale. Il traduttore e l'interprete devono favorire la comunicazione ed il colloquio restando in posizione di neutralità. Titolo I – Principi generali Art. 1. Ambito di applicazione. Le norme deontologiche si applicano a tutti i traduttori e interpreti aderenti all'A.N.I.T.I. nell'esercizio della loro attività e nei rapporti tra loro e con i terzi. Art. 2. Potestà disciplinare e regolamentare. Ove l’associato violi anche una sola delle regole deontologiche che si è impegnato a rispettare con l’iscrizione all’associazione, è facoltà del Consiglio Direttivo, sentito il parere del Collegio dei Probi Viri, adottare la sanzione disciplinare dell’esclusione dello stesso dall’associazione. Art. 3. Volontarietà dell'azione. La responsabilità disciplinare discende dalla volontaria inosservanza dei doveri e delle regole di cui al presente codice, anche se determinata da una condotta omissiva. Oggetto di valutazione discrezionale da parte del Consiglio Direttivo, ai fini dell’eventuale adozione del provvedimento di esclusione, è non solo la violazione specifica addebitata ma anche il comportamento complessivo dell'associato, tenuto conto della gravità del fatto, dell’eventuale recidiva e delle specifiche circostanze soggettive ed oggettive che hanno concorso a determinare l’infrazione. Art. 4. Attività all'estero. Nell'esercizio di attività professionale all'estero, traduttori e interpreti sono soggetti alle norme deontologiche interne nonché alle norme deontologiche dell'Associazione 240 presente nel Paese in cui viene svolta l'attività, se ciò è previsto, a condizioni di reciprocità. In caso di conflitto prevalgono le norme interne. Art. 5. Dovere di probità, dignità e decoro. Il traduttore e l'interprete devono ispirare la propria condotta all'osservanza dei doveri di probità, dignità e decoro. È fatto divieto al traduttore e all'interprete, nell'esercizio della professione, di esprimere opinioni politiche o personali e di rilasciare dichiarazioni pubbliche circa la propria ideologia politica o religiosa. Con la propria attività di traduzione, i traduttori o interpreti non devono contribuire in maniera consapevole alla perpetrazione di reati o azioni illecite. Art. 6. Dovere di lealtà e correttezza. Il traduttore e l'interprete devono svolgere la propria attività professionale con lealtà e correttezza. Al traduttore e all'interprete è vietato trarre un utile personale da informazioni di cui vengano a conoscenza nell'esercizio della professione o nell'adempimento di un incarico. L'interprete deve svolgere il proprio incarico con obiettività ed equidistanza, e l'interprete di tribunale deve tenere sempre presente il fatto che opera nell'interesse superiore della Giustizia. Il traduttore deve eseguire a regola d'arte e personalmente l'incarico affidatogli. Art. 7. Dovere di diligenza. Il traduttore e l'interprete devono adempiere ai propri doveri professionali con diligenza. In particolare devono rispettare le modalità e i termini dell'incarico. I traduttori devono altresì rispettare i termini di consegna se espressamente previsti e sottoscritti e devono curare l'aspetto formale del testo tradotto. Art. 8. Dovere di segretezza e riservatezza. È dovere del traduttore e dell'interprete conservare il segreto sull'attività prestata e mantenere comunque la riservatezza sugli affari trattati. Il traduttore e l'interprete devono inoltre provvedere alla salvaguardia dei documenti e dei dati in loro possesso. Il traduttore e l'interprete sono tenuti a richiedere il rispetto del segreto professionale anche ai propri collaboratori, dipendenti e praticanti e, comunque, a tutte le persone che cooperano nello svolgimento dell'attività professionale. Art. 9. Divieto di intermediazione e dovere di indipendenza. 241 Traduttori e interpreti, nell'esercizio dell'attività professionale, hanno il dovere di conservare la propria indipendenza e difendere la verità della traduzione da pressioni o condizionamenti esterni. I soci di A.N.I.T.I. non devono porre in essere attività di intermediazione nel settore delle traduzioni e dell’interpretariato. La collaborazione tra professionisti nelle lingue e nei settori di loro competenza non costituisce attività d’intermediazione. Traduttori e interpreti non devono tener conto di interessi personali. Art. 10. Dovere di competenza. Il traduttore e l'interprete non devono accettare incarichi che sappiano di non poter svolgere con adeguata competenza. In ogni caso il traduttore e l'interprete devono comunicare al committente le circostanze impeditive alla prestazione dell'attività richiesta e così eventualmente la necessità dell'integrazione con altro collega. L'accettazione di un determinato incarico professionale fa presumere la competenza a svolgere quell'incarico. Art. 11. Dovere di aggiornamento professionale. È dovere del traduttore e dell'interprete curare costantemente la propria preparazione professionale, sia in campo strettamente linguistico sia riguardo alla propria cultura generale e specialistica con particolare riferimento ai settori nei quali é svolta l'attività. Art. 12. Dovere di adempimento previdenziale e fiscale. Assicurazione. Il traduttore e l'interprete hanno il dovere di provvedere agli adempimenti previdenziali e fiscali prescritti dalle Leggi cogenti e dalle norme in vigore. E' dovere morale del traduttore e dell'interprete assicurarsi contro i rischi professionali, anche per il tramite di associazioni. Art. 13. Dovere di evitare incompatibilità. È dovere del traduttore e dell'interprete evitare situazioni di incompatibilità e comunque segnalare al committente eventuali motivi di conflitto d'interesse che possano compromettere la qualità della prestazione, richiedendo, nel dubbio, il parere dell'Associazione. Art. 14. Pubblicità. 242 È consentita la pubblicità specifica e informativa, in ordine al proprio particolare ramo di attività o specializzazione, purché attuata con discrezione e in modo da non recare offesa alla dignità della professione. Art. 15. Dovere di rispettare le condizioni di lavoro. È dovere del traduttore e dell'interprete rispettare le condizioni di lavoro definite dall'A.N.I.T.I. Titolo II - Rapporti con i colleghi Art. 16. Rapporto di colleganza. Il traduttore e l'interprete devono mantenere sempre nei confronti dei colleghi un atteggiamento di cordialità e lealtà, al fine di rendere più serena e corretta l'attività professionale. Devono astenersi da ogni attività o forma di pubblicità che possa arrecare danno o pregiudizio ad altri colleghi. In particolare non devono esprimere critiche sui colleghi per il loro operato, né ingenerare la convinzione della superiorità o convenienza delle proprie prestazioni. È tassativamente vietata la diffusione di notizie relative alla persona e ai comportamenti di un collega. Eventuali violazioni del codice deontologico devono essere rappresentate per iscritto esclusivamente agli organi disciplinari. Art. 17. Divieto di accaparramento di committenti. Il traduttore e l'interprete si asterranno da qualsiasi comportamento che possa essere qualificato come "concorrenza sleale". È fatto inoltre divieto al traduttore e all'interprete di sfruttare informazioni, eventualmente ottenute, riguardanti i propri committenti o i committenti di altri colleghi o di approfittare di incarichi in équipe al fine di accaparrarsi committenti. Art. 18. Rapporti con i collaboratori di studio e con i praticanti. Traduttori e interpreti devono consentire ai propri collaboratori di migliorare la preparazione professionale, compensandone la collaborazione in proporzione all'apporto ricevuto. Traduttori e interpreti sono tenuti verso i praticanti ad assicurare l'effettività ed a favorire la proficuità della pratica al fine di consentire un'adeguata formazione, mettendo a disposizione un adeguato ambiente di lavoro. 243 Il praticante, nell'esercizio dell'attività di pratica, é tenuto al rispetto delle presenti norme deontologiche. Titolo III - Rapporti con i committenti Art. 19. Rapporto di fiducia. Il rapporto fiduciario è alla base dell'attività professionale. Art. 20. Mancata prestazione di attività. Costituisce violazione dei doveri professionali, sanzionabile anche disciplinarmente, il mancato o ritardato svolgimento dell'incarico ricevuto, quando la mancanza sia riferibile a negligenza o trascuratezza (indipendentemente dal fatto che ne derivi pregiudizio agli interessi del committente). Art. 21. Obbligo di informazione. Il traduttore e l'interprete devono rendere note al committente le condizioni di lavoro applicabili all'incarico e fornirgli tutte le informazioni relative. Art. 22. Obbligo di restituzione di documenti. Il traduttore e l'interprete sono tenuti a restituire al committente tutta la documentazione ricevuta, quando questi ne faccia richiesta. Art. 23. Azioni contro il committente per il pagamento del compenso. In ottemperanza a quanto previsto dalle condizioni di lavoro, il traduttore e l'interprete devono richiedere che gli incarichi siano conferiti per iscritto. Ove la corresponsione del compenso non avvenga entro i termini prescritti il traduttore e l'interprete possono procedere giudizialmente nei confronti del committente per il pagamento delle proprie prestazioni professionali. Art. 24. La testimonianza del traduttore o dell'interprete. Per quanto possibile, il traduttore e l'interprete devono astenersi dal deporre come testimoni su circostanze apprese nell'esercizio della propria attività professionale o inerenti all'incarico ricevuto. Titolo IV - Rapporti con le altre associazioni Art. 25. Rapporti con altre associazioni Devono essere favoriti i rapporti con le altre associazioni di categoria, ai fini della circolazione delle informazioni e di attuazione di azioni comuni a tutela della professione. Tali rapporti sono riservati al Presidente, o ai suoi delegati personali, esclusivamente nell’ambito della delega loro conferita. 244 Art. 26. Adesione ad altre Associazioni. L'appartenenza dei soci A.N.I.T.I. ad altre associazioni o gruppi è ammessa purché lo Statuto o i Regolamenti e gli scopi degli stessi non siano in contrasto con le disposizioni dello Statuto, del Regolamento, delle Norme Deontologiche A.N.I.T.I. Art. 27. Incompatibilità tra le cariche di diverse Associazioni. I soci ANITI che rivestono cariche rappresentative in ANITI devono astenersi, salvo approvazione del Consiglio Direttivo, dall'assumere cariche anche in altre associazioni di traduttori ed interpreti per evitare situazioni di conflitto, a meno che il cumulo delle cariche o la partecipazione ad incontri possa, a giudizio del Consiglio Direttivo, giovare alla collaborazione tra le associazioni stesse. I soci ANITI che rivestono cariche rappresentative in altre associazioni di traduttori ed interpreti non possono entrare nel Consiglio Direttivo né assumere la posizione di funzionari in ANITI, analogamente a quanto sopra. Disposizione finale Art. 28. Norma di chiusura. Le disposizioni specifiche di questo codice costituiscono esemplificazioni dei comportamenti più ricorrenti e non limitano l’ambito di applicazione dei principi generali di libertà, buon senso, decoro, dignità, diligenza, prudenza e perizia. Approvato il 27 novembre 2004. Aggiornato il 10.02.2005 e successivamente il 09/06/2007. 245 APPENDICE B QUESTIONARI CUESTIONARIO PARA INTÉRPRETES A – DATOS PERSONALES Edad: Sexo: Nacionalidad: Lugar de trabajo (ciudad): Lengua A (lengua materna): Lengua/s B (desde la/s que traduce y hacia la/s que traduce): Lengua/s C (desde las que traduce): Otras lenguas que conoce pero que NO UTILIZA en su trabajo: 1. ¿Está inscrito en un colegio de tribunal? sí no 2. ¿Es miembro de alguna asociación de intérpretes? sí (especificar) no 3. ¿En qué ámbito del sector judicial trabaja frecuentemente? civil penal 4. ¿Desde y hacia qué lengua? 5. ¿Desde hace cúanto tiempo trabaja Ud. como intérprete? B - FORMACIÓN 1. Usted tiene: diploma licenciatura (especificar el sector): especializaciones pos-licenciatura (especificar): 2. ¿Ha seguido cursos de interpretación ? 246 sí no 2.1 Si la respuesta es sí, ¿quién organizaba el curso? universidad agencias asociaciones de intérpretes otros (especificar) 2.2 Si la respuesta es no, ¿cómo ha aprendido las diferentes técnicas de interpretación? (especificar) 3. ¿Ha seguido un curso de formación para mediadores? sí no Si la respuesta es NO, vaya a la sección C 3.1 Si ha contestado sí, ¿quién lo organizaba? (indicar el nombre al lado de la opción elegida) entes institucionales, asociaciones, cooperativas, gubernamentales que se ocupan de immigración universidad otro (especificar) organizaciones no 3.2 El curso duraba: menos de 50 horas entre 51 y 150 horas entre 151 y 500 horas entre 501 y 1000 horas entre 1001 y 1500 horas más de 1500 horas 3.3 Para usted, ¿cúal ha sido el aspecto más útil del curso? (seleccionar una o más opciones) la teoría la práctica el encuentro con otros mediadores ejercicios prácticos técnicas de traducción otro (especificar) 247 3.4 ¿Cúales han sido para usted los puntos débiles del curso? (seleccionar una o más opciones) contenidos muy complejos muchas horas de teoría muchas horas de práctica organización muy rígida contenidos banales pocas horas de teoría pocas horas de práctica organización poco flexible C – FIGURA PROFESIONAL 1. ¿Cómo definiría la situación profesional en España para el intérprete de tribunal?: muy positiva positiva bastante satisfactoria poco satisfactoria decepcionante 2. Para usted, ¿es importante distinguir el intérprete del mediador cultural? sí no no sé Si ha contestado sí, motive su respuesta: ¿cúales son las diferencias entre las dos profesiones? 3. Para usted, ¿hay un adecuado reconocimiento de su profesión por parte de la institución en la que trabaja? sí bastante no no sé Si ha contestado no, motive su respuesta: 4a. Cuando Ud. trabaja en un proceso, ¿piensa que los participantes en el procedimiento judicial tienen una adecuada comprensión de su cargo y de sus competencias? sí bastante no no sé Si ha contestado no, motive su respuesta: 248 5a. ¿Cree Ud. que los participantes en el procedimiento judicial ven la figura del intérprete como obstáculo? sí no depende de la situación (especificar): no sé 5b. ¿Cree Ud. que los acusados ven la figura del intérprete como elemento como obstáculo? sí no depende de la situación (especificar): no sé 6. Llegar a ser intérprete en ámbito judicial ha sido para una usted una elección: casual surgida a raíz de un curso de formación relacionada con sus competencias y conocimientos derivada de su motivación personal otro (especificar) 7. Considera la actividad de intérprete de tribunal: un trabajo temporal, porque: un trabajo potencialmente definitivo, porque: 8. Actualmente, además de la interpretación de tribunal, ¿realiza otra actividad profesional? sí no 8.1 Si ha contestado sí, ¿cúal es esa actividad? interpretación de conferencia interpretación para los servicios públicos (hospitales, escuelas, …) traducción mediación cultural enseñanza otro (especificar) 249 D – CARGO Y COMPETENCIAS 1. ¿Es posible que se llame a un intérprete para traducir cuando hay más de un acusado? sí no 2. En estas ocasiones, ¿se nombra a más de un intérprete o se puede nombrar a más de uno? es nombrado un sólo intérprete es nombrado más de un intérprete 3. Durante el proceso, ¿qué técnicas interpretativas utiliza normalmente? consecutiva con apuntes consecutiva sin apuntes chuchotage / susurrado otro (especificar) 4. ¿Recibe alguna información previa respecto al encargo que le ha sido confiado? sí no 4.1 Si ha contestado sí, ¿qué tipo de instrumentos utiliza para la preparación? diccionarios glosarios referencias jurídicas crónica local medios locales / medios nacionales otro (especificar) 5. ¿Cúales tendrían que ser los conocimientos y las competencias fundamentales de un buen intérprete de tribunal? (elegir una o más opciones) bilingüismo biculturalismo conocimiento del derecho (penal, civil) otro (especificar) 6. ¿Qué características personales debe tener un buen intérprete de tribunal? (elegir una o más opciones) autocontrol resistencia física 250 espíritu de adaptación rapidez capacidad para prevenir/mediar conflictos capacidad para encontrar soluciones innovadoras capacidad de escucha activa empatía otro (especificar) 7. Un intérprete tiene que ser: español extranjero no es importante E – DEONTOLOGÍA PROFESIONAL 1. Ponga en orden de importancia los siguientes aspectos de la profesión de intérprete (donde 1 indica más importante y 6 menos importante): mantener el secreto profesional mantener la imparcialidad entre las partes fidelidad escrupulosa (el intérprete no puede ni añadir ni quitar algo a lo que ha dicho) respetar las diferencias culturales conquistar la confianza de los interlocutores garantizar una comunicación correcta y equilibrada entre las partes 2. ¿Siente empatía o se identifica con los usuarios de su mismo origen? sí, siempre; me parece natural e inevitable sí, aunque intento contrastarlo y quedarme en una posición equidistante e imparcial depende de quién está en frente de mí no, consigo separar el ámbito profesional del ámbito personal/emotivo 3. ¿Cree que es dificil ser neutral en su profesión? muy difícil difícil bastante difícil fácil 4. ¿Cree que los jueces, fiscales y abogados entre otors la consideran colaborador/a- asistente/a? sí no no sé 251 un/una 4a. En ese caso, ¿cómo se presenta ante ellos? aclaro mi imparcialidad y autonomía en un encuentro precedente con el representante de la justicia aclaro mi imparcialidad y autonomía durante el encuentro con una intervención directa aclaro mi autonomía e imparcialidad en un encuentro sucesivo con el representante de la justicia, si durante el encuentro ha habido malentendidos y/o conflictos. no hago nada 5a. Si el fiscal/abogado/juez habla con el acusado de manera más o menos ofensiva apelando a estereotipos, considera más justo: no traducir ni comentar, sino esperar el enunciado siguiente no traducir, pero señalar después del proceso que la expresión estereotipada era inadecuada traducir de todos modos porque ya había especificado que lo traduciría todo traducir, pero señalar inmediatamente el uso inadecuado de la expresión estereotipada traducir, pero señalar después del proceso que la expresión estereotipada utilizada era inadecuada otro (especificar) 5b. Si el acusado dirige al fiscal/abogado/juez términos ofensivos, considera más justo: no traducir ni comentar, sino esperar el enunciado siguiente no traducir, pero señalar después del proceso que la expresión estereotipada era inadecuada traducir de todos modos porque ya había especificado que lo traduciría todo traducir, pero señalar inmediatamente el uso inadecuado de la expresión estereotipada traducir, pero señalar después del proceso que la expresión estereotipada utilizada era inadecuada otro (especificar) 6. Mientras traduce, ¿puede llegar a omitir elementos del enunciado original para que el enunciado de llegada sea más breve? sí, cuando traduzco tanto lo que dice el acusado como lo que dice el fiscal/abogado/juez sí, pero sólo cuando traduzco lo que dice el acusado sí, pero sólo cuando traduzco lo que dice el fiscal/abogado/juez no, jamás 6.1 Si ha contestado sí (a una de las tres primeras posibilidades), motive su respuesta: 252 7. Mientras traduce prefiere utilizar la primera persona del singular (“yo”) o la segunda persona del singular de cortesía (“usted”)? primera persona tanto para el acusado como para el fiscal/juez/abogado segunda persona de cortesía tanto para el acusado como para el fiscal /juez/abogado primera persona para el acusado y segunda persona de cortesía para el fiscal/juez/abogado primera persona para el fiscal/juez/abogado, segunda persona de cortesía persona para el acusado utilizo ambas indiferentemente 8. Para usted, neutralidad? ¿el tratamiento de cortesía transmite una impresión de mayor sí no no sé 9. ¿Puede el intérprete interactuar con la persona para la que está interpretando? sí no 9.1 Si ha contestado sí, ¿de qué manera? puede explicarle un concepto o añadir algo al original para ser más claro puede confraternizar o entrevistarse con la persona para la que está interpretando otro (especificar) 10. ¿Se considera de alguna manera responsable del éxito del proceso? totalmente responsable responsable al 50% poco responsable no, de ningún modo Otras anotaciones o comentarios: MUCHAS GRACIAS POR SU COLABORACIÓN 253 QUESTIONARIO PER MEDIATORI LINGUISTICI E CULTURALI Per “mediatore linguistico e culturale” si intendono qui l’interprete & il mediatore culturale A. Informazioni Generali B. Problematiche e Qualità della Mediazione C. Deontologia Professionale D. Formazione BLOCCO A: INFORMAZIONI GENERALI 1. Luogo e tipologia di lavoro 2. Sesso □M □F 3. Età 4. Qual è la sua madrelingua? 5. Quali sono oltre all’italiano le sue lingue di lavoro? 6. Qual è la sua formazione? (Gli studi) 7. Ha fatto un corso di mediazione? □ Sì □ No 8. Circostanze in cui viene richiesta la sua opera di interpretazione: □ Udienze in tribunale □ Denunce/Verbali presso gli uffici di Polizia □ Udienze/Interviste al Centro identificazione ed espulsione □ Interpretariati presso Associazioni o Enti che forniscono assistenza agli immigrati (specificare) 9. Con quale frequenza presta la sua collaborazione presso la sua istituzione? □ Una volta alla settimana □ Più volte alla settimana □ Una volta al mese □ Più volte al mese □ Altro 9. Da quanto tempo presta la sua collaborazione presso tale istituzione? BLOCCO B: PROBLEMATICHE E QUALITÁ DELLA MEDIAZIONE 10. In base alla sua esperienza, sorgono mai problemi di comunicazione durante un’interpretazione? □ Spesso □ A volte 254 □ Raramente □ Mai 11. Se sì, a cosa sono dovuti? □ Il mediatore LC tende ad essere visto dall’accusato/il richiedente asilo come “alleato” □ Il mediatore LC tende ad essere visto dal giudice/dal rappresentante delle istituzioni come “alleato” □ L’assistito ha scarse conoscenze specifiche (giuridiche) e non comprende la terminologia □ Insorgono incomprensioni tra giudice e assistito/tra rappresentante delle istituzioni e richiedente asilo a causa di differenze culturali □ Altro 12. Quali tra le seguenti qualità ritiene più importanti per un mediatore LC? (4 risposte) □ Autonomia nel gestire la comunicazione con l’assistito □ Capacità di relazionarsi positivamente con l’assistito □ Chiarezza nell’esposizione □ Conoscenza dell’ordinamento giuridico – procedurale □ Conoscenza terminologica tecnica □ Imparzialità □ Precisione nel tradurre il senso di quanto viene detto □ Precisione nel tradurre ogni singola parola di quanto viene detto □ Riservatezza (segreto professionale) □ Rispetto per l’assistito 13. Secondo Lei, quanto è importante che il mediatore linguistico LC abbia in comune con l’assistito?: Legenda: per niente importante (1); (3) Il sesso Il gruppo etnico Il credo religioso abbastanza importante (2); molto importante ( ) ( ) ( ) 14. Le capita di incontrare personalmente l’assistito prima della seduta di lavoro? □ Spesso □ A volte □ Raramente □ Mai 15. Se sì, di cosa discute? 255 16. Quanto è importante questo secondo Lei? □ Irrilevante □ Poco importante □ Abbastanza importante □ Molto importante □ Fondamentale 17. Quale modalità di interpretazione utilizza più di frequente? □ Bilaterale □ Chuchotage □ Sistema misto □ Altro 18. Prende appunti per la traduzione? □ Sì □ No 19. Di solito parla: □ In prima persona □ In terza persona □ E’ indifferente 20. Ritiene che il compito di un mediatore LC includa anche: □ Semplificare e spiegare i termini tecnici per l’assistito □ Riassumere frasi molto lunghe dell’assistito □ Omettere frasi che non riguardano l’oggetto del discorso per evitare perdite di tempo □ Spiegare all’interlocutore eventuali riferimenti culturali □ Nel tradurre, adattare quanto viene detto alla cultura del destinatario della traduzione □ Informare le parti nel caso di fraintendimenti nella conversazione □ Altro (specificare): BLOCCO C: DEONTOLOGIA PROFESSIONALE 21. Quanto ritiene importante che il mediatore LC si comporti in maniera imparziale? □ Irrilevante □ Poco importante □ Abbastanza importante □ Molto importante □ Fondamentale 256 22. Se il mediatore LC si accorge che l’accusato sta mentendo su questioni importanti, come dovrebbe comportarsi nei confronti del giudice? □ Lo deve segnalare □ Non lo deve segnalare □ Non so, dipende dal contesto (specificare): BLOCCO D: FORMAZIONE 23. Ritiene che ai mediatori LC che si occupano di processi penali/assistenza ai richiedenti asilo possano essere utili corsi d’aggiornamento? □ Sì □ No □ Non so 24. Se sì, su quali argomenti? (max 3 risposte) □ Aspetti giuridico - legali □ Deontologia professionale □ Problematiche della comunicazione interculturale □ Tecniche di interpretazione □ Terminologia tecnica specifica □ Altro (specificare): 25. Secondo lei quali strumenti o iniziative potrebbero migliorare la qualità del servizio di mediazione/interpretazione nell’ambito dell’assistenza all’accusato durante un processo penale/al richiedente asilo? 26. Eventuali commenti SI RINGRAZIA PER LA GENTILE COLLABORAZIONE 257 APPENDICE C DELIBERA REGIONALE REGIONE EMILIA ROMAGNA OGGETTO: Prime disposizioni inerenti la figura professionale del “Mediatore Interculturale” Prot. n. Delibera n. 1576 del 30 luglio 2004 ___________________________________________________________ LA GIUNTA DELLA REGIONE EMILIA ROMAGNA Viste: la L.R. 30 giugno 2003, n.12 “Norme per l’uguaglianza delle opportunità di accesso al sapere per ognuno e per tutto l’arco della vita, attraverso il rafforzamento dell’istruzione e della formazione professionale, anche in integrazione tra loro” ; la propria deliberazione n. 936 del 17 maggio 2004 avente per oggetto “Orientamenti, metodologia e struttura per la definizione del sistema regionale delle qualifiche”; gli "Indirizzi per il sistema formativo integrato dell'istruzione, della formazione professionale, dell'orientamento e delle politiche del lavoro - Biennio 2003/2004" approvati con deliberazione del Consiglio regionale n. 440 del 19/12/2002 (proposta della Giunta regionale n. 2359 del 2/12/2002); la propria deliberazione n. 177 del 10/02/2003 avente ad oggetto "Direttive Regionali in ordine alle tipologie di azione ed alle regole per l’accreditamento degli organismi di formazione professionale"; la propria deliberazione n. 1263 del 28 giugno 2004 recante “Approvazione disposizioni attuative del Capo II Sezione III “Finanziamento delle attività e sistema informativo della L.R. 12/2003; 258 la L.R. 24 marzo 2004 n.5 “Norme per l’integrazione sociale dei cittadini stranieri immigrati. Modifiche alle Leggi Regionali 21 febbraio 1990, n. 14 e 12 marzo 2003, n. 2” ed, in particolare l’art. 17, comma e, ove sono previste azioni volte al consolidamento di competenze attinenti alla mediazione socioculturale, secondo la normativa regionale in materia di formazione professionale, e finalizzate alla individuazione ed alla valorizzazione di una specifica professionalità; Considerato che la Regione Emilia Romagna, in coerenza con gli articoli 4, 5 e 32 della L.R. 12/2003 sopracitata e nelle more di una definizione a livello nazionale di standard condivisi per il riconoscimento di qualifiche nazionali, ha avviato un lavoro di riordino e razionalizzazione dell’elenco delle qualifiche regionali riconosciute, in coerenza con gli esiti delle diverse indagini sui fabbisogni realizzate a livello nazionale e regionale; Precisato che il percorso tecnico e concertativo sull’individuazione delle qualifiche regionali, attuato secondo la procedura prevista dalla sopracitata deliberazione n. 936/2004 e tutt’ora in corso, ha esaminato ad oggi una parte delle qualifiche regionali, tra cui anche la qualifica di “Mediatore Interculturale”, di cui all’allegato 1) parte integrante e sostanziale del presente atto, ove sono indicate le prime disposizioni in ordine agli standard professionali della figura stessa; Precisato che, sulla base delle informazioni fornite dal Servizio Politiche per l’Accoglienza e l’Integrazione Sociale dell’Assessorato alle Politiche Sociali, il numero degli operatori presenti sul territorio regionale, che svolgono da anni attività di mediazione interculturale all’interno dei servizi sociali, scolastici, giudiziari, sanitari, ecc., è stimato ad oggi in circa 350-400 unità; Preso atto che, in relazione a tali operatori ed ai sensi dell’art.5, comma 1 della L.R. 12/2003, risulta indispensabile attivare in tempi brevi specifiche azioni formative finalizzate al conseguimento della qualifica di “Mediatore Interculturale”; Ritenuto pertanto di dover procedere all’adozione delle prime disposizioni inerenti la figura professionale del “Mediatore Interculturale”, fatte salve eventuali modifiche ed integrazioni che potranno essere ulteriormente concordate in sede di definitiva validazione del completo elenco delle qualifiche regionali e nelle more di dare piena attuazione all’art. 32 della L.R. 12/2003 e da quanto ivi stabilito; 259 Precisato che i contenuti previsti nelle prime disposizioni inerenti la figura professionale di “Mediatore Interculturale”, come riportato nell’allegato 1), costituiscono “standard professionali essenziali” di riferimento anche per la progettazione formativa ed il rilascio della qualifica medesima; Ritenuto opportuno, al fine di garantire l’omogeneità degli interventi su tutto il territorio regionale, rimandare ad un successivo apposito atto l’individuazione degli standard formativi del percorso, con particolare riferimento a durata, requisiti e modalità di accesso dei partecipanti; Sentita la Commissione regionale tripartita in data 22/07/2004; Dato atto del parere in ordine al presente provvedimento, ai sensi dell'art. 37, comma 4, della Legge Regionale 26 novembre 2001 n. 43 e della propria deliberazione n. 447/2003, di regolarità amministrativa espresso dal Direttore Generale Cultura, Formazione e Lavoro, dott.ssa Cristina Balboni; Su proposta dell’Assessore regionale competente per materia; A voti unanimi e palesi D E L I B E R A 1. di approvare, per le motivazioni espresse in premessa, l’allegato 1), parte integrante e sostanziale del presente atto, contenente le prime disposizioni inerenti la figura professionale del “Mediatore Interculturale”, nelle more dell’adozione dell’elenco completo delle qualifiche regionali e dei relativi standard professionali e nelle more di dare piena attuazione all’art. 32 della L.R. 12/2003 e da quanto ivi stabilito; 2. di stabilire che, al fine di garantire l’omogeneità degli interventi su tutto il territorio regionale, saranno individuati con successivo apposito atto gli standard formativi del percorso, con particolare riferimento a durata, requisiti e modalità di accesso dei partecipanti; 3. di disporre infine la pubblicazione integrale del presente atto nel Bollettino Ufficiale della Regione Emilia Romagna. 260 Allegato 1) alla delibera di Giunta Regionale n. PRIME DISPOSIZIONI INERENTI MEDIATORE INTERCULTURALE LA FIGURA PROFESSIONALE DEL D C R Z O N E S N T E T C A DEEESSSC CR RIIIZ ZIIIO ON NE ES SIIIN NT TE ET TIIIC CA A Il Mediatore interculturale è in grado di accompagnare la relazione tra immigrati e contesto di riferimento, favorendo la rimozione delle barriere linguistico-culturali, la conoscenza e la valorizzazione delle culture d’appartenenza, nonché l’accesso a servizi pubblici e privati. Assiste le strutture di servizio nel processo di adeguamento delle prestazioni offerte all’utenza immigrata. Può operare all’interno di servizi pubblici e privati (ufficio stranieri, ASL, scuole, ecc.) e strutture che promuovono l’integrazione socio-culturale. AArreeaa PPrrooffeessssiioonnaallee ASSISTENZA SOCIALE, SANITARIA , SOCIO - SANITARIA PPrrooffiillii ccoollleeggaattii –– ccoollleeggaabbiillii aalllaa ffiigguurraa Sistema di riferimento Repertorio delle professioni ISFOL Denominazione Attività associative ♦ Mediatore culturale 261 CAPACITÀ UNITÀ DI COMPETENZA 1. Diagnosi bisogni e risorse dell’utente immigrato (ESSERE IN GRADO DI) 2. Orientamento relazione utente immigrato/servizi 3. Intermediazione linguistica 4. Mediazione interculturale CONOSCENZE (CONOSCERE) interpretare esigenze e bisogni dell’immigrato relativamente allo specifico percorso migratorio Fenomeni e dinamiche dei processi migratori identificare e distinguere eventuali disagi dovuti alla dimensione vissuta di migrante -scarsa padronanza linguistica, ecc.- Caratteristiche della presenza di immigrati nel territorio di riferimento Lingua di provenienza parlata e scritta Lingua italiana parlata e scritta Modelli e strutture dei servizi di pubblica utilità in Italia e nel paese di origine degli immigrati: servizi sociosanitari, educativo-scolastici, lavorativi, ecc. Organizzazione e funzionamento dei servizi di pubblica utilità in Italia: procedure di accesso, linguaggio tecnico, operatori, ecc. Norme e leggi regionali, nazionali e comunitarie su diritti e doveri dei cittadini immigrati fornire elementi di comprensione delle modalità comunicative e di relazione delle diverse culture Tecniche di base della comunicazione e gestione dei colloqui individuare gli ostacoli che impediscono una efficace relazione comunicativa Tecniche di interpretariato interpretare i codici culturali dei soggetti coinvolti nella relazione comunicativa -utente immigrato/operatore italiano/immigrati- Tecniche e strumenti di base di gestione delle relazioni interculturali Elementi di base di sociologia ed antropologia culturale Principi fondamentali di pedagogia interculturale e psicologia dell’immigrazione riconoscere condizioni personali e professionali dell’immigrato quali risorse da valorizzare nei diversi contesti di riferimento tradurre bisogni e risorse proprie dell’individuo in linee e proposizioni di accompagnamento ed assistenza trasferire all’immigrato elementi conoscitivi della realtà sociale ed organizzativa di riferimento esplicitare modelli e regole dei servizi di pubblica utilità pubblici e privati rendere consapevole l’immigrato dei propri diritti e doveri rispetto al contesto sociale di riferimento trasmettere all’operatore dei servizi elementi di conoscenza e di rappresentazione del problema e della realtà di cui l’immigrato è portatore comprendere ed interpretare linguaggio e significati della comunicazione in lingua straniera decodificare e trasmettere all’utenza immigrata codici di comunicazione verbale e non espressi dall’operatore italiano facilitare lo scambio tra le diverse parti - utenza immigrata e servizi/istituzioni italiane ed immigrati- al fine di anticipare l’eventuale insorgere di incomprensioni individuare ed incoraggiare occasioni di incontro e confronto tra culture diverse sostenere il contesto organizzativo in processi di adeguamento dei servizi rivolti all’immigrato 262 INDICAZIONI PER LA VALUTAZIONE DELLE UNITÀ DI COMPETENZA UNITÀ DI OGGETTO DI COMPETENZA OSSERVAZIONE 1. Diagnosi bisogni e risorse dell’utente immigrato Le operazione di diagnosi dei bisogni dell’utente immigrato 2. Orientamento Le operazione di orientamento relazione utente immigrato/servizi nella relazione INDICATORI raccolta sistematica di 3. Intermediazione linguistica Le operazioni di intermediazione linguistica 4. Mediazione interculturale Le operazioni di mediazione interculturale 263 ATTESO MODALIT À Bisogni e risorse dell’immigrato circoscritte ed elaborate Informazioni sui servizi offerti e sulla domanda veicolate correttamente Colloqui verbali e materiali tradotti ed interpretati Azioni/interventi di mediazione ed interculturalità realizzati Prova pratica in situazione utente/servizi informazioni circa la natura dei bisogni espressi dall’immigrato elaborazione di percorsi di accompagnamento ed introduzione al sistema italiano dei servizi erogazione di interventi formativi/informativi su servizi territoriali e relative procedure e regolamenti assistenza all’operatore dei Servizi nella codifica della domanda espressa traduzione linguistica nelle relazioni utente immigrato ed operatore italianoimmigrati redazione in lingua straniera di materiali informativi, comunicati, avvisi, ecc. erogazione di interventi formativi/informativi a sostegno dell’integrazione sociale assistenza alla definizione di nuovi servizi o miglioramento dei servizi erogati in funzione di necessità specifiche dell’utenza immigrata RISULTATO IL CODICE DI COMPORTAMENTO DEL MEDIATORE LINGUISTICO CULTURALE ELABORATO DALLA COOPERATIVA KANTARA10 □ All’inizio del colloquio, il mediatore linguistico culturale si presenta e spiega qual è il suo ruolo. Egli è presente in quanto mediatore linguistico culturale e, in quanto tale, dovrà svolgere il suo compito in ogni caso in presenza dell’operatore italiano e dell’utente straniero. □ Il mediatore linguistico culturale è tenuto a tradurre l’integrità di ciò che una delle parti dice all’altra e viceversa. Per integrità si intende: un resoconto completo e adeguato, non necessariamente letterale, di tutto ciò che viene detto. Il principio è quello di fare una traduzione precisa e fedele. Una tentazione è naturalmente della più grande importanza quando si tratta di cifre, date, nome e, ad esempio, nozioni mediche o giuridiche. Il mediatore linguistico culturale deve inoltre decodificare i contenuti presenti nella comunicazione in modo che siano comprensibili a entrambe le parti. □ Il mediatore linguistico culturale si asterrà da ogni forma di prestazione di servizi e non può e non deve esprimere opinioni personali. Egli è tenuto al segreto professionale. □ Il mediatore linguistico culturale deve parlare in modo chiaro e comprensibile e se eventualmente prende appunti al fine di evitare dimenticanze, questi appunti sono coperti dal segreto professionale. Se nella traduzione di un particolare o di un termine sorgono dei dubbi, il mediatore linguistico culturale deve informare tutte e due le parti e chiedere l’autorizzazione per effettuare una verifica. □ Il mediatore linguistico culturale deve interrompere in tempo un discorso troppo lungo al fine di procedere a una corretta comunicazione del contenuto del messaggio per l’altra parte. □ Il mediatore linguistico culturale deve fare da ponte nella comunicazione fra operatore italiano e utente straniero, perciò deve evitare di conversare con una delle parti escludendo l’altra. Egli non deve lasciarsi coinvolgere in una posizione nella quale sia lui a condurre la conversazione invece dell’operatore del servizio o dell’utente. Il 10 Questo codice di comportamento è prodotto della discussione avvenuta all’interno del Corso di Formazione Professionale F.S.E. n. 781/97 per Mediatori linguistico-culturale nell’ambito dell’area della salute mentale gestito dal Gruppo per le relazioni transculturali con il finanziamento della Comunità Europea e della Regione Lombardia. 264 mediatore linguistico culturale rende la comunicazione possibile tra le due parti e non conduce lui stesso la conversazione. □ Se il mediatore linguistico è chiamato a intervenire in una situazione in cui conosce personalmente l’utente, deve immediatamente farlo sapere all’operatore del servizio. □ Se il mediatore linguistico culturale nota che l’utente straniero o l’operatore del servizio è trattato in modo scortese, egli è tenuto a restare neutrale e non fare commenti personali. Egli dovrà tradurre le considerazioni scortesi o offensive, verbalizzando la situazione di conflitto. Spetterà rispondere a chi è direttamente coinvolto. Questi potrà rispondere solo se il mediatore linguistico culturale traduce ciò che è stato detto. È preferibile che egli non traduca direttamente le ingiurie o le offese e si limiti a dire ‹‹l’interessato è in collera, esprime ingiurie o commenti offensivi››. In una situazione difficoltosa, egli deve tentare, nella misura in cui ciò è possibile, di portare a termine il suo compito, di gestione dei conflitti. Alla fine dell’intervento la cooperativa deve essere avvertita in modo che la gestione di una ulteriore richiesta di prestazione possa essere valutata accuratamente. Se una delle parti dice: ‹‹Io non voglio che sia tradotto ciò che le dirò›› il mediatore linguistico culturale deve immediatamente interrompere l’interessato e dirgli che, i quel caso, non può continuare con l’intervento di mediazione. Il mediatore linguistico culturale deve informate il suo interlocutore del suo ruolo. Una eccezione a questa regola è costituita dalle informazioni che il mediatore linguistico culturale potrà ricevere all’inizio dell’intervento da parte dell’operatore del servizio sulla natura del colloquio. □ Il mediatore linguistico culturale non deve lasciarsi influenzare da nessuna delle parti implicate nel colloquio. Egli non deve cadere nella tentazione di difendere una causa a favore dell’utente o dell’operatore. Deve mostrare comprensione per il fatto che in alcune circostanze l’utente lo consideri un compatriota che è in grado di capire la sua situazione, tuttavia deve evitare di colludere con una delle parti. □ Il mediatore linguistico culturale non deve accettare né soldi, né regali, né inviti di nessun tipo, egli deve dare all’intervento un carattere professionale al fine di evitare che l’utente o l’operatore del servizio non si aspettino un comportamento diverso da quello previsto dal suo ruolo. Se questo dovesse accadere il mediatore linguistico culturale deve spiegare che egli è già remunerato dalla Cooperativa per la quale lavora. 265 □ Il mediatore linguistico culturale non deve lasciarsi tentare dalla possibilità di esprimere opinioni personali, anche nel caso in cui gli venga richiesto. Egli deve spiegare che è presente solo in qualità di mediatore nella comunicazione fra utente straniero e operatore italiano; l’operatore del servizio è l’unico specialista nella materia. Egli darà informazioni sull’organizzazione del servizio o sulle differenze culturali sempre in relazione al contenuto del colloquio o della visita in corso. Queste informazioni devono essere tradotte per una o per l’altra parte. □ Se egli desidera che la sua vita privata sia rispettata è preferibile che dia l’indirizzo dell’ente per cui lavora e non dia mai il suo indirizzo e numero di telefono privati. Nel caso di un intervento telefonico, è preferibile che non dia il suo nome ma dica semplicemente ‹‹parla l’interprete di lingua… della cooperativa››. □ In linea di principio il mediatore linguistico culturale non dovrebbe fare delle traduzioni scritte durante l’intervento di mediazione, l’operatore del servizio può richiedere una traduzione scritta direttamente alla cooperativa. In caso di necessità di una traduzione orale di un documento scritto nel corso di un intervento non deve tradurre parola per parola, la traduzione deve limitarsi a un resoconto generale del contenuto del documento per l’operatore del servizio. Il mlc deve essere sempre cosciente del fatto che egli è considerato dal committente e dall’utente il rappresentante della cooperativa per la quale lavora. Sarebbe auspicabile che l’interprete non faccia alcun commento che possa nuocere alla reputazione della cooperativa per la quale lavora. Sarebbe conveniente che non facesse commenti riguardo il committente, la retribuzione, il progetto e i colleghi. Il MLC è tenuto a un comportamento discreto e non invadente e deve evitare di essere il centro della conversazione. Sarebbe auspicabile che evitasse di dare un’impressione di trascuratezza, tanto nel suo abbigliamento quanto nel suo comportamento. Se il mediatore linguistico culturale considera che la situazione diviene troppo difficile per sé, sia perché egli si trova davanti a un caso di coscienza sia perché egli è oggetto di minacce, può interrompere l’intervento senza entrare in discussione con le parti. In questo caso egli deve contattare telefonicamente la cooperativa. La cooperativa, in accordo con il Servizio, deciderà se l’intervento deve proseguire oppure no. 266 RINGRAZIAMENTI Giunta al termine del lavoro, è doveroso per me ringraziare coloro che mi hanno permesso di realizzarlo e quanti mi hanno sostenuta ed accompagnata, con tanto ardore e pazienza, in questo lungo percorso universitario. Desidero innanzitutto ringraziare la cara Professoressa Rudvin, la mia relatrice, la quale mi ha trasmesso la passione per la professione di cui tratterò nel mio elaborato e che mi ha guidata con estrema pazienza e bontà d’animo. Parimenti, desidero ringraziare vivamente la Professoressa Pano, mia correlatrice, la quale oltre ad avermi dato preziosi suggerimenti ed avermi aiutata in buona parte della tesi, si è mostrata molto disponibile e pronta ad ascoltarmi, ogni qualvolta ho richiesto il suo intervento. Il suo contributo è stato per il presente lavoro fondamentale. È ora il momento di ringraziare quanti mi hanno aiutata ai fini pratici della tesi: la Professoressa Anna Caterina Alimenti, interprete presso il Tribunale Civile e Penale di Roma e docente della Libera Università degli Studi San Pio V di Roma, che pur essendomi lontana fisicamente, si è resa fin da subito molto presente ed è stata non solo mia consigliera, ma soprattutto un’ottima amica e confidente; la Dott.ssa Maffei, Vice Questore aggiunto della Polizia di Stato, responsabile della sezione di polizia giudiziaria presso la procura della repubblica di Bologna, che con molto affetto e grande umiltà, mi ha permesso di realizzare interessanti colloqui presso la Questura e mi ha sostenuta; la Dott.ssa Chiara Paola Cocchi, dell’Ufficio Interpreti della Questura di Bologna, che mi ha fornito, assieme alle sue colleghe, molti spunti e suggerimenti nella fase iniziale del mio lavoro; la Dott.ssa Elena Sambataro, membro AITI, la quale ha fornito un originale e personale contributo alla la mia tesi; le docenti dell’Università di Forlì ed in particolare la Prof.ssa Gianna Guidi e la Prof.ssa M.J. González Rodríguez; la Dott.ssa Deborah Previti, della Cooperativa UCODEP, la quale si è mostrata molto sensibile al mio lavoro e ha reso possibile il mio incontro con i mediatori linguistico-culturali; Rehana Ferdous, impiegata presso il Comune di Bologna, dove si occupa di assistenza agli stranieri, che ringrazio con sincera gratitudine e affetto, poiché ha seguito con interesse la mia tesi, oltre ad essere stata la prima mediatrice con la quale ho preso contatti e mi ha inoltre permesso di vivere personalmente la sua esperienza di 267 interprete/mediatrice presso il tribunale di Bologna, in una calda e lontana giornata di luglio 2009. Un affettuoso ringraziamento ai miei genitori, validissimo e sempiterno punto di riferimento, poiché senza il loro supporto economico e morale e i loro sacrifici non avrei potuto realizzare e portare a termine i miei studi con immensa soddisfazione e perché mi hanno sempre permesso di realizzare i miei sogni e le mie aspirazioni. Ringrazio il mio adorato fratello Enrico, che con grande amore mi sostiene quotidianamente con la sua presenza; il mio compagno di vita Francesco, che con amore, pazienza e infondendomi sempre molto coraggio, mi ha “sopportata” e accompagnata durante questi anni universitari, sostenendo le mie battaglie e condividendo con me grandi gioie e talvolta dispiaceri. Ringrazio i miei vecchi cari colleghi di Cosenza, che pur essendo lontani, mi hanno sempre incoraggiata e sostenuta e i miei nuovi colleghi di Bologna, in particolare Anna, che oltre ad essere mia compagna di avventura, è divenuta mia grande amica. Ringrazio infine tutti coloro che, pur non essendo stati citati direttamente, sono sempre presenti nel mio cuore e nella mente. 268