l`interprete di tribunale: italia e spagna a confronto

Transcript

l`interprete di tribunale: italia e spagna a confronto
ALMA MATER STUDIORUM - UNIVERSITÀ DI BOLOGNA
FACOLTÀ DI LINGUE E LETTERATURE STRANIERE
Corso di Laurea in Lingua, società e comunicazione
Piano Didattico: Lingua e Comunicazione Internazionale
L’INTERPRETE DI TRIBUNALE:
ITALIA E SPAGNA A CONFRONTO
Tesi di laurea in:
Mediazione Linguistica Inglese
Relatore
Presentata da
Prof.ssa METTE RUDVIN
Correlatore
Prof.ssa ANA PANO ALAMAN
Sessione: Terza - Marzo 2010
Anno Accademico: 2008/2009
MARIA FALVO
INDICE
• INTRODUZIONE
6
• CAPITOLO I: LA FIGURA DELL’INTEPRETE
8
1.1 Translation studies vs interpreting studies: evoluzioni
8
1.2 Quando è nata la figura dell’interprete?
10
1.3 Le condizioni lavorative dell’interprete
12
1.4 Dall’interpretazione di conferenza all’interpretazione di comunità
14
1.4.1 Evoluzione dell’interprete di comunità
17
1.4.2 Indagine sull’interprete di comunità: la prospettiva
dell’interprete
1.4.3 L’indagine
1.5 Caratteristiche personali e abilità di un buon interprete
20
21
23
1.6 Codici deontologici, standards di qualità e certificazione:
gli interpreti di conferenza
24
1.6.1 Elementi comuni ai vari codici deontologici: alcuni esempi 25
1.6.2 Gli standards di qualità
30
1.6.3 La certificazione
31
1.7 L’interprete per i servizi pubblici
31
1.8 Il codice deontologico del PSI
34
1.8.1 La questione della neutralità
1.9 L’interpretazione di trattativa in ambito giudiziario
1.9.1 Le differenze culturali nell’interpretazione legale
35
37
42
1.10 Uno sguardo all’Europa: dal Progetto Grotius I al Progetto
Grotius II
1.11 Il diritto alla difesa: normativa internazionale
43
48
• CAPITOLO II: LA FIGURA DEL MEDIATORE
51
2.1 Introduzione alla mediazione: Le varie accezioni
51
2.1.2 La mediazione dei conflitti
52
2.1.3 La mediazione giudiziaria: mediazione dei conflitti
54
2.2 La mediazione in ambito penale
57
2.2.1 Progetto per la costituzione di un Ufficio di Mediazione Penale
58
a Milano
60
2.2.2 Il Centro di Mediazione Penale a Trento e Bolzano
2.3 Dalla mediazione dei conflitti alla mediazione giudiziaria
61
2.4 Quale mediatore?
62
63
2.4.1 Le etichette del mediatore
2.4.2 Il terzo uomo: intermediario, mediatore, gatekepeer o l’uomo
65
invisibile?
2.5 Profilo professionale del mediatore culturale
66
2.6 La mediazione in ambito educativo
67
2.7 Compiti e funzioni del mediatore
68
2.8 Le qualità di un buon mediatore
71
2.9 La deontologia e l’etica professionale
72
2.10 Accenno alla normativa sulla mediazione
75
2.11 La necessità della formazione personale del mediatore linguisticoculturale
77
• CAPITOLO III: L’INTERPRETE DI TRIBUNALE IN ITALIA
3.1 Evoluzione della normativa italiana
81
81
3.1.2 Il principio di obbligatorietà della lingua italiana negli atti
processuali penali
84
3.2 L’interprete nel processo penale italiano
85
3.3 Il profilo dell’interprete di tribunale secondo la Corte Costituzionale 89
3.4 Interprete, perito o consulente tecnico?
90
3.4.1 Il perito
91
3.4.2 Il consulente tecnico
92
3.4.3 E l’interprete?
93
3.5 Il traduttore di tribunale
95
3.5.1 Norme generali
97
3.5.2 Obblighi del traduttore-interprete di tribunale
98
3.5.3 I compensi
100
3.6 Le tecniche di interpretazione e le situazioni comunicative
in tribunale
101
3.6.1 Le competenze linguistiche e tecniche dell’interprete
di tribunale
3.6.2 Attitudini dell’interprete di tribunale
103
105
3.7 La deontologia professionale
106
3.7.1 Norme etiche
108
3.8 La formazione
110
3.9 Il servizio di interpretariato presso l’Ufficio stranieri del Comune
di Milano
113
3.10 L’interprete presso la Questura di Bologna
3.10.1 L’interpretariato per l’Autorità Giudiziaria
114
118
3.10.2 Le tipologie di traduzioni e di interpretariati svolti dal personale
linguistico della Questura di Bologna
3.10.3 Difficoltà dei vari tipi di servizio
119
121
• CAPITOLO IV: LA FIGURA DEL MEDIATORE IN ITALIA
123
4.1 La necessità della mediazione linguistico-culturale in Italia
123
4.2 Provvedimenti regionali
125
4.3 I percorsi formativi
127
4.4 Il Progetto Bridge: un percorso formativo per i mediatori culturali
131
4.4.1 Il mediatore culturale nella giustizia
134
4.5 Corso di formazione professionale per mediatori interculturali della
Provincia Autonoma di Bolzano
4.5.1 La struttura del corso formativo
135
136
4.5.2 Requisiti di accesso, selezione dei candidati e prove di esame di
qualifica
4.6 La mediazione e gli aspetti di sicurezza: la realtà di Bologna
137
139
4.6.1 La posizione attuale del mediatore nella Regione EmiliaRomagna
141
4.7 I corsi universitari
143
• CAPITOLO V: L’INTERPRETAZIONE PER I SERVIZI PUBBLICI
IN SPAGNA
147
5.1 L’interpretazione sociale in Spagna
147
5.1.2 L’interpretazione per i servizi pubblici
148
5.2 Il problema delle definizioni
149
5.3 I limiti del ruolo dell’interprete sociale
152
5.4 Panorama attuale della mediazione interculturale
154
5.4.1 Il mediatore: nuove necessità nella società spagnola
157
5.4.2 Sfide e tecniche nella mediazione culturale
160
5.5 I&ISSPP come professione
162
5.5.1 Internet: strumento utile per il progresso nella
Professionalizzazione della T&ISSPP
164
5.5.2 Principi metodologici della professionalizzazione
della T&ISSPP
165
5.5.3 Il codice deontologico: punto di
partenza nella professionalizzazione della T&ISSPP
167
5.5.4 L’aspetto culturale, emotivo e
psicologico nella professionalizzazione della T&ISSPP
168
5.6 Aspetti specifici della traduzione per i servizi pubblici
171
5.7 L’Ufficio di Interpretariato in Spagna
174
5.7.1 Funzioni dell’Ufficio di Interpretariato
175
5.8 La situazione professionale del traduttore in Spagna
177
5.9 La necessità della formazione dei traduttori-interpreti
179
5.9.1 La formazione degli interpreti per i servizi pubblici:
il caso della Comunità Autonoma Canaria
183
5.9.2 La formazione degli interpreti per i servizi pubblici:
il caso della Comunità Autonoma Basca
185
5.10 La formazione per i servizi pubblici a Saragozza
187
5.10.1 Il Serpi
189
• CAPITOLO VI: INTERPRETARE PER LA GIUSTIZIA
IN SPAGNA
192
6.1 Tradurre e interpretare per la giustizia
192
6.1.2 Aspetti della traduzione nell’Amministrazione della Giustizia:
tipi di testi
194
6.1.3 Situazione attuale della traduzione/interpretazione nella
Amministrazione della Giustizia
195
6.1.4 Gli interpreti-traduttori dell’Amministrazione
della Giustizia
197
6.2 La necessità della lingua araba nella traduzione giuridica
198
6.3 La realtà della traduzione e interpretazione giudiziaria in Andalusia
200
6.4 L’interpretariato nei tribunali nella Provincia di Alicante
202
6.5 Verso la creazione di strutture stabili e professionali in ambito
Giudiziario
205
6.6 Ipotesi di intervento dell’interprete in procedimenti giudiziari già
avviati
6.7 L’interprete di tribunale in Spagna
207
209
6.7.1 La normativa spagnola
210
6.7.2 Riforme processuali
213
• OSSERVAZIONI CONCLUSIVE
216
• BIBLIOGRAFIA
221
• SITOGRAFIA
228
• APPENDICE A
231
• APPENDICE B
246
• APPENDICE C
258
• RINGRAZIAMENTI
268
INTRODUZIONE
Il presente lavoro di ricerca si concentra sull’esame della figura dell’interprete, in
particolare in ambito giudiziario, e sulla figura emergente del mediatore linguisticoculturale, realizzando uno studio comparativo tra l’Italia e la Spagna.
La scelta dell’argomento è dettata dall’interesse personale di chi scrive verso una
figura così tanto affascinante quanto complessa. L’ambito è stato circoscritto a quello
legale, visto un profondo e vivo interesse per la giurisprudenza.
È utile partire da una premessa: una definizione precisa ed accurata del ruolo e
delle competenze della figura dell’interprete non esiste, in quanto ciascun paese,
attraverso le proprie normative, gestisce la formazione degli interpreti a suo modo e
molto spesso si rileva una totale carenza o inadeguatezza di specifici corsi di
formazione.
Il lavoro è stato suddiviso per comodità e seguendo una logica ben precisa in sei
capitoli. I primi due si concentrano sulla presentazione della figura dell’interprete e del
mediatore linguistico-culturale. Si tratta di riflessioni generali sulla condizione degli
interpreti e dei mediatori linguistico-culturali e delle relative problematiche. Il primo
capitolo, introduttivo, presenta la figura dell’interprete in ambito giudiziario, che rientra
nella sfera dell’interpretazione di comunità o per i servizi pubblici, operando una
distinzione con il ruolo dell’interprete di conferenza, tradizionalmente riconosciuto
come l’unico che storicamente goda di un certo rispetto e prestigio. A discapito di ciò,
l’interprete in ambito giudiziario viene considerato una figura secondaria e dunque
meno importante.
Con il capitolo terzo e quarto penetriamo nel contesto italiano. Nel terzo capitolo,
verrà analizzata la figura dell’interprete di tribunale nel dettaglio, anche attraverso
l’esame della normativa italiana, mentre nel quarto la nostra attenzione si sposterà sulla
necessità della mediazione linguistico-culturale nel nostro paese e sulla condizione
attuale del mediatore linguistico-culturale.
Il quinto e il sesto capitolo, invece, sono dedicati alla Spagna. Il quinto si
focalizzerà sulla figura dell’interprete in ambito giuridico, anche in questo caso
avvalendoci della normativa spagnola e il sesto sull’interpretazione per i servizi
6
pubblici, un campo che sta prendendo sempre più piede nel paese e su cui si stanno
realizzando interessanti studi.
Al fine di realizzare tale studio, si è rivelato più opportuno scegliere due paesi dai
sistemi giuridici simili, in quanto è molto più facile confrontare le situazioni giuridiche
dei traduttori-interpreti. In presenza, infatti, di sistemi giuridici differenti, sarebbe stato
opportuno in una prima fase indagare approfonditamente i rispettivi ordinamenti
giuridici, per comprendere poi le differenti situazioni degli interpreti-traduttori.
La bibliografia su questa figura professionale in Italia è praticamente inesistente,
come in Spagna, dove però troviamo vari lavori sull’interpretazione e la traduzione
nell’Amministrazione della Giustizia, data la rilevanza che ha nel paese la figura
dell’interprete giurato. Lo stesso dicasi per la figura del mediatore linguistico-culturale
dove, al contrario, non vi sono studi in Spagna dedicati specificamente a questa figura,
mentre in Italia si parla molto di mediazione, soprattutto in ambito educativo e sanitario.
Il ruolo degli interpreti di tribunale non è ancora riconosciuto in tutti in paesi e
ancor di meno lo è quello del mediatore linguistico-culturale. Mentre in alcuni paesi,
quali gli Stati Uniti d’America ed Australia, la posizione degli interpreti sembra essere
regolamentata, l’Europa deve compiere ancora molti progressi.
È stato inoltre preparato un breve questionario sottoposto all’attenzione di alcuni
mediatori che operano nella regione Emilia Romagna, che si focalizza soprattutto sulle
criticità di questa professione e, nel caso della Spagna, il questionario è stato preparato
per gli interpreti di tribunale.
Le conclusioni dell’elaborato si baseranno su alcune osservazioni dedotte dai
capitoli, mettendo in luce i punti salienti della ricerca e le problematicità che la stessa ha
presentato e avranno inoltre per oggetto un’accurata analisi dei questionari.
7
CAPITOLO I
LA FIGURA DELL’INTERPRETE
1.1 TRANSLATION STUDIES VS INTERPRETING STUDIES: EVOLUZIONI
Nella fase iniziale di affermazione della disciplina nota come “Translation Studies”, la
riflessione sulla traduzione si è focalizzata quasi esclusivamente sugli aspetti linguistici
e testuali, ponendo il problema della traduzione in termini di fedeltà al testo di partenza
e concentrandosi sul prescrittivismo del “come si traduce” (Garzone 2002).
Secondo quanto afferma Garzone, con il paradigm shift degli anni Ottanta del
secolo scorso è emersa una concezione più aperta e flessibile della traduzione che deve
essere intesa sì come riscrittura, ma creatrice di testi non solo intersistemici, ma anche
intrasistemici, ovvero funzionali alla cultura destinataria. La dimensione culturale viene
dunque ad assumere una posizione primaria. In tale contesto si colloca il “cultural
turn”, secondo cui la traduzione non deve essere più vista come linguistic transcoding,
ma come un processo che implica un’operazione di “cultural transfer”
Nel campo degli Interpreting Studies si sono verificati alcuni cambiamenti di
eguale importanza, favoriti dai mutamenti avvenuti nei Translation Studies e da spinte
di tipo politico e sociale epocali. Fino a poco tempo fa, le uniche attività di
interpretazione considerate degne di merito erano la consecutiva e la simultanea, ovvero
le due modalità dell’interpretazione di conferenza. Anche da un punto di vista della
formazione si riteneva che il training in tali modalità potesse essere sufficiente per
affrontare qualsiasi forma di traduzione linguistica orale. In passato, gli interpreti erano
presenti nelle aziende, nei tribunali, nella diplomazia, ma non godevano di ottima
reputazione e le retribuzioni erano molto scarse.
Pure nel settore degli Interpreting Studies, come nota l’autrice, prevaleva una
concezione scientista del fenomeno traduttivo e interpretativo,
che si fondava sui
processi mentali grazie ai quali l’interprete riesce a riprodurre un testo in tempo reale e
si affidava ad approcci empirici basati sull’osservazione e sull’introspezione, oppure
8
attingeva alla neurofisiologia e alla psicolinguistica. La componente culturale rivestiva
scarsa o nulla rilevanza (Garzone 2002).
I cambiamenti avvenuti nella società hanno reso necessarie delle modalità
interpretative al di fuori del contesto di conferenza: primo fra tutti, l’emergenza
immigrazione, che ha richiamato l’attenzione sulle modalità di mediazione linguistica
orale comunemente denominate “dialogue interpreting", etichetta che mette in evidenza
il ruolo attivo dell’interprete nell’interazione comunicativa. Grazie al profondo
mutamento nei confronti delle attività traduttive, si è così giunti oggi ad una nuova
visione del ruolo del mediatore linguistico e culturale.
Il concetto di cultura, in particolare, merita essere analizzato con maggior
dettaglio. Garzone ribadisce che tale concetto non è univoco ed è soggetto a numerose
definizioni in ambiti diversi. Tentando di semplificare, vediamo ora le varie dimensioni
della cultura:
a) Culturologica: riguarda aspetti empiricamente osservabili della vita di una
nazione, basata su una concezione di cultura in quanto condivisione di
conoscenze, di valori, di saperi;
b) Antropologica: è più generale e comprende anche gli aspetti descritti in a.
Nella sua componente formale, ovvero concreta e descrivibile, questa
concezione di cultura riguarda gli usi, i costumi, i valori e le credenze di
una data comunità;
c) Informale: comprende aspetti invisibili e difficilmente classificabili. Tali
aspetti riguardano il modo di pensare, di comportarsi e di esprimersi di un
dato gruppo etnolinguistico (Garzone 2002).
Garzone sostiene che, ai fini traduttivi, i primi due aspetti della cultura risultano
particolarmente interessanti, ma al tempo stesso problematici, sia in fase ricettiva sia
nella prospettiva della cultura ricevente. Per quanto riguarda il primo aspetto, quello
culturologico, il problema consiste non solo nel riconoscere e valutare il valore e la
funzione di un dato “culturema” presente nel testo di partenza, ma soprattutto di trovare
modalità adeguate per realizzarne la trasposizione all’interno di una data cultura. Per
quanto riguarda il secondo aspetto della cultura, quello formale, si tratta di un tipo di
conoscenza che è possibile maturare attraverso l’osservazione e lo studio e di
9
conseguenza deve essere oggetto di attenzione e di apprendimento all’interno di un
programma di formazione per mediatori linguistici. Infine la componente informale,
ovvero il terzo aspetto, è più difficilmente insegnabile e viene acquisita attraverso
l’esposizione e l’esperienza individuale (Garzone 2002).
1.2 QUANDO È NATA LA FIGURA DELL’INTERPRETE?
La documentazione storica sulle prime forme di interpretazione è molto scarsa, ma è
certo che tale attività si è svolta per lungo tempo in contesti dialogici, in cui l’interprete
traduceva “da” e “verso” la lingua straniera con un ritmo cadenzato. L’interpretazione
“faccia a faccia” e “frase per frase” è dunque previa all’interpretazione di conferenza.
Merlini, nel suo studio, risale all’etimologia del termine “inter” “tra” e “pretium”
“prezzo” che ci rimanda specificamente all’ambito commerciale e suggerisce l’idea che
l’interpretazione serviva a raggiungere, attraverso l’intermediazione, un accordo sul
valore di scambio delle merci oggetto della transazione. In ambito bellico, invece, gli
interpreti venivano impiegati sia per negoziare con il nemico durante le guerre, sia per
amministrare i territori sottomessi (Merlini 2005: 20-21).
Infine, in epoca coloniale, la figura dell’interprete ha svolto un ruolo di primo
piano nella disseminazione delle fedi religiose. Gli interpreti erano senza volto e senza
un nome, di bassa estrazione sociale, sprovvisti di formazione. La condizione degli
interpreti, pertanto, ha originato per lungo tempo un generale disinteresse da parte degli
studiosi nei loro confronti.
In tempi più recenti, precisamente nel XIX secolo, come ci ricorda l’autrice, la
figura dell’interprete emerge in due ambiti: diplomatico (da cui ebbero origine le
moderne tecniche dell’interpretazione di conferenza) e industriale. Per quanto riguarda
il primo ambito, con il declino del latino furono sempre più i sovrani ad affidarsi ai
servizi di “segretari-interpreti”, i quali erano uomini colti e di ceto elevato. Per lungo
tempo il francese fu la lingua ufficiale della diplomazia e fu solo nella seconda metà
dell’Ottocento che, grazie alla rinascita delle identità nazionali e delle teorie romantiche
che esaltavano gli idiomi, i rappresentanti diplomatici tornarono ad utilizzare la loro
madrelingua, ricorrendo all’ausilio degli interpreti durante incontri e negoziati. Al
10
tempo stesso, la Rivoluzione Industriale aveva favorito i contatti tra esperti di diversi
paesi, i quali ricorrevano all’interprete per necessità (Merlini 2005: 21-22).
L’interpretazione di conferenza nacque ufficialmente nel 1919 in occasione dei
negoziati di pace di Parigi, durante i quali venne impiegata la tecnica della traduzione
“consecutiva”, al fine di rendere i resoconti dei discorsi il più dettagliati possibile. Col
tempo, però, questa tecnica venne considerata eccessivamente lenta e fu così sostituita
dalla traduzione simultanea, che si affermò in particolare dopo la Seconda Guerra
Mondiale con il Processo di Norimberga (1945-1946), fino a divenire la modalità
d’interpretazione per antonomasia delle grandi organizzazioni internazionali (Merlini
2005: 21-22).
Come sostiene Gaiba, il processo di Norimberga fu un processo “interpretato”, il
primo e più grande evento internazionale in cui si ricorreva all’interpretazione
simultanea. Questa tecnica di interpretazione catturò presto l’attenzione dei media, ma
l’importanza e l’impatto che essa ebbe non ricevette un’adeguata comprensione da parte
degli storici, dei giornalisti e dei biografi. I documenti storici sul processo di
Norimberga, infatti, fanno menzione dell’interpretazione simultanea, ma la considerano
semplicemente come una tecnica tra i vari strumenti tecnici di cui ci si avvalse per lo
svolgimento del processo (Gaiba 1999: 1-2).
Come ci ricorda l’autrice, la decisione di condurre il processo in quattro lingue
(tedesco, francese, russo e inglese) generò stupore e inquietudine tra i partecipanti, i
quali si sarebbero trovati a comunicare in lingue diverse dalla loro madrelingua. La
necessità di ricorrere alla traduzione era ovvia e per tale ragione, gli organizzatori del
processo, nell’incontro preliminare esplorarono i vari metodi di interpretazione esistenti,
ma non ne furono soddisfatti. La scelta così ricadde sull’interpretazione simultanea,
nonostante non tutti i membri del processo fossero d’accordo. Si passò così alla fase
della selezione e del reclutamento degli interpreti. La Francia, la Gran Bretagna e
l’Unione Sovietica incontrarono non poche difficoltà in questa fase, a causa delle
condizioni in cui versavano dopo la guerra. Gli Stati Uniti adottarono invece un metodo
di
selezione
originale:
le
persone
che
prestavano
il
loro
servizio
come
interpreti/traduttori presso il Pentagono a Washington D.C. furono sottoposti ad un test.
I candidati che superavano il test venivano mandati a Norimberga, dove le loro abilità
venivano testate in contesti ricreati artificialmente. Alcuni erano interpreti di
11
consecutiva professionisti, mentre altri non avevano alle spalle alcuna esperienza di
interpretazione/traduzione. Solo pochi fra di essi erano interpreti di simultanea. Molti
interpreti di consecutiva e traduttori furono scelti per l’incontro preliminare, mentre
coloro che non possedevano le competenze necessarie furono relegati in un’area
denominata “Siberia”, in cui erano costretti a compiere lavori umili prima di essere
rispediti a casa. Altri interpreti furono scelti dalla delegazione degli Stai Uniti in
Europa, in particolare in Belgio e Olanda, a Parigi e presso l’Università di Ginevra
(Gaiba 1999: 2-4).
1.3 LE CONDIZIONI LAVORATIVE DELL’ INTERPRETE
Le condizioni lavorative di un interprete, detto in maniera molto semplicistica e
generica, sono determinate da: a) un preciso luogo fisico, che include spazio e tempo; b)
da fattori legati al compito da svolgere quali preparazione, carico di lavoro, abilità
cognitive e c) da fattori interpersonali (Pöcchacker 2004: 171). Molti di questi fattori
sono stati analizzati in varie ricerche, soprattutto in relazione agli interpreti di
conferenza.
Il più rilevante studio compiuto in tal senso è il Workload Study, commissionato
dall’AIIC (Association Internationale des Interprètes de Conférence) nel 2002 per
misurare fattori fisici come qualità, temperatura e umidità delle cabine degli interpreti
nel corso della giornata di lavoro e per poter porre eventuali rimedi. Risultò infatti che i
livelli di CO2 non rispettavano i parametri ISO e pertanto era necessario intervenire
tempestivamente.
Come sostiene Pöcchacker, il Workload Study che analizzava parametri fisici,
fisiologici e psicologici del lavoro degli interpreti di conferenza, era pensato soprattutto
per misurare il livello di stress degli interpreti e i possibili effetti negativi che questo
potesse avere sulle performances. Gli ideatori del Workload Study esaminarono
attraverso dei test seicento interpreti freelance membri dell’AIIC e le loro risposte
mostrarono un alto grado di stress fisico e mentale, esaurimento, inadeguatezza delle
cabine di lavoro, difficoltà dei testi da tradurre e preparazione insufficiente. Il 40-60%
degli intervistati affermava che lo stress da lavoro incideva molto sulla qualità del
servizio prestato, ma tale dato non fu confermato dai risultati ottenuti dall’esame di
12
alcuni campioni che testavano le performances degli interpreti in termini di correttezza
linguistica, scelta delle equivalenze semantiche più adeguate, dizione. Tuttavia, bisogna
precisare che è scientificamente provato che lo stress causato da lunghi turni di
interpretazione simultanea ha delle evidenti conseguenze sulla performance di un
interprete (Pöcchacker 2004: 171-172).
Pöcchacker riporta che i tipi e i livelli di stress avvertiti dagli interpreti sul lavoro
dipendono da fattori situazionali e personali. Sebbene il Workload Study analizzasse le
condizioni degli interpreti di conferenza, fu sottoposto anche agli interpreti di
videoconferenza, il 61% dei quali affermò di avere la stessa esperienza sul lavoro. Le
stesse considerazioni valgono per gli interpreti della lingua dei segni, i quali sostennero
di avere alti livelli di stress da lavoro. Infine, non sono da sottovalutare i rischi per la
salute connessi al posto di lavoro per gli interpreti di comunità, che includono le
infezioni (in ambito medico) e le minacce all’incolumità personale (in ambito legale)
(Pöcchacker 2004: 172-173).
Per quanto riguarda il prestigio della professione di interprete di conferenza, da
varie ricerche, compreso il Workload Study, è emerso che esso è scemato nel corso degli
anni, nonostante ciò non incida in maniera decisiva sull’alto grado di soddisfazione
lavorativa degli interpreti.
In relazione allo status dei singoli interpreti, vi sono alcuni dibattiti su questioni
importanti quali l’accesso alla professione, la posizione lavorativa, le opportunità di
lavoro, la parità tra i due sessi, di cui pochi dati emergono al di fuori delle associazioni
professionali. Tale mancanza di dati all’interno delle associazioni è particolarmente
evidente nel caso della interpretazione di comunità, che in molti paesi non è
riconosciuta ed ha un basso livello di organizzazione.
Una questione ancora più urgente, secondo Pöcchacker riguarda l’identità
culturale. Storicamente sappiamo che si diventava automaticamente interpreti attraverso
l’esperienza in varie comunità culturali e ciò valeva anche per i pionieri
dell’interpretazione di conferenza agli inizi del XX secolo. Le conseguenze
dell’istituzionalizzazione sono note e apprezzate per gli interpreti di conferenza e sono
altrettanto desiderabili per gli interpreti di comunità. Tuttavia, il fatto che l’accesso alla
professione sia regolato per via accademica piuttosto che attraverso la ”immersione
culturale” e l’interazione faccia a faccia, può risultare problematica ad esempio per gli
13
interpreti della lingua dei segni, i quali sono visti dai sordi come membri della
maggioranza nella società, responsabile della loro marginalizzazione, mentre nel caso
degli interpreti di comunità, l’appartenere alla stessa minoranza etnica del proprio
utente potrebbe aumentare il grado di considerazione nei loro confronti da parte della
società (Pöcchacker 2004: 173-174).
Un ulteriore fattore da tenere presente, secondo Pöcchacker è la sempre più
crescente presenza delle donne tra gli interpreti. La spiegazione più plausibile secondo
l’autore è da ricondurre alla loro maggiore predisposizione verso le lingue e la
comunicazione. L’elevata percentuale di donne che per la prima volta superò gli uomini
all’interno dell’AIIC nel 1967 è legata probabilmente al declino del prestigio nei
confronti di una professione che veniva vista più come un servizio che come una vera e
propria professione. Questa considerazione è particolarmente valida per gli interpreti di
comunità e per gli interpreti della lingua dei segni, ove le scarse retribuzioni
costituiscono un disincentivo per intraprendere la professione (Pöcchacker 2004: 174).
1.4 DALL’INTERPRETAZIONE DI CONFERENZA ALL’INTEPRETAZIONE DI
COMUNITÀ
I profondi mutamenti economici, sociali e politici collegati alla globalizzazione e alla
maggiore mobilità delle persone, portano con sé sempre più intensi contatti interetnici e
interculturali. Tali situazioni di contatto tra comunità linguistiche e culturali diverse
hanno riportato al centro dell’attenzione l’atto di mediazione linguistica orale
denominato anche “interpretazione dialogica”, che prevede la partecipazione diretta
dell’interprete all’interazione comunicativa e “l’interpretazione di comunità”, che
comprende diverse tipologie di servizi linguistici di tipo intrasociale in ambito medico,
giudiziario, istituzionale. Queste due modalità di interpretazione vedono l’interprete
come “attore” protagonista all’interno del complesso situazionale e culturale degli
eventi nei quali opera (Garzone 2009: 97).1
Come sostiene Garzone, gli ultimi anni hanno visto la moltiplicazione e la
diversificazione dei profili professionali nell’ambito dell’assistenza interlinguistica.
1
“L’interprete e il mediatore”. Giuliana Garzone. Atti di Convegno Ceslic; “LA GEOGRAFIA DELLA
MEDIAZIONE LINGUISTICO-CULTURALE” a cura di Donna R. Miller e Ana Pano. Bologna: 2009.
14
Alla figura dell’interprete di conferenza, si sono affiancate nel tempo, le figure
dell’interprete di trattativa e dell’interprete di comunità in tutte le sue varie sfumature:
interprete giuridico, interprete di tribunale, interprete in campo medico, ecc. Vi è poi la
figura del mediatore linguistico-culturale, figura ibrida che sul piano internazionale
ingloba in un’unica denominazione la formazione alla traduzione, all’interpretazione
dialogica (dall’interpretazione di trattativa in vari ambiti: aziendale, politico,
diplomatico,
istituzionale),
all’interpretazione
in
campo
sociale
(community
interpreting) e giudiziario e a volte anche all’interpretazione di conferenza nella
modalità consecutiva. Questa diversificazione ha avuto un notevole impatto sugli
Interpreting Studies, affiliata ai Translation Studies, che indaga a livello sia teorico che
applicativo sull’interpretazione come attività umana in tutti i suoi aspetti. In questo
settore, come già detto, fino ad una ventina di anni fa, le uniche attività considerate
degne di rispetto nell’ambito della professione e di attenzione a livello di ricerca erano
la simultanea e la consecutiva, le due modalità canoniche dell’interpretazione di
conferenza.
La svolta, come ci ricorda l’autrice, avvenne nei primi anni Ottanta del
Novecento, allorquando si è verificata una crescita dell’importanza e dell’interesse
verso altre forme di interpretazione al di fuori del contesto di conferenza (Garzone
2009: 98-100).
Il ruolo dell’interprete cambia radicalmente allorché si comprende la natura
dialogica di un testo, ovvero quando il discorso consiste in una “comunicazione mediata
dall’interprete in una spontanea interazione faccia a faccia”(Garzone 2003: 11-12)2.
Questa situazione si verifica in molti ambiti distinti dalla conferenza, quali il settore
commerciale, nei servizi per l’immigrazione, nelle stazioni di polizia, negli ospedali. In
tutti questi ambiti l’interprete è fisicamente presente ed ha un ruolo attivo nello scambio
comunicativo. Così può contare su una serie di elementi di natura paralinguistica,
cinesica e prossemica, quali gesti, espressioni facciali, espressioni corporali. Si tratta di
elementi della comunicazione interpersonale assenti nell’ambito della conferenza.
L’autrice ribadisce che, sebbene l’interpretazione dialogica non sia stata considerata in
ambito istituzionale e di ricerca, è stata sempre praticata informalmente come
componente necessaria della comunicazione ordinaria, all’interno di società bilingue o
2
Citazione di Mason 1999: 147.
15
multilingue. I cambiamenti intervenuti nella società, infatti, hanno posto in contatto
individui di lingue e culture differenti. Come naturale conseguenza di ciò, si è avvertita
l’esigenza di una più sistematica mediazione linguistica e culturale.
Tuttavia, nota Garzone, nonostante il bisogno crescente di avere professionisti
specializzati, gli sforzi compiuti nel campo della formazione sono stati ostacolati da una
serie di problemi. Infatti, se la formazione degli interpreti di liaison per le lingue
maggiormente diffuse e parlate è contemplata in numerosi programmi educativi a vari
livelli, tale formazione è d‘altro canto ostacolata dalla necessità di offrire corsi per le
lingue meno diffuse e minoritarie, per andare incontro alle esigenze dei vari gruppi
etnici presenti (Garzone 2003: 12-14).
Garzone ci ricorda che uno dei primi contributi importanti all’interpretazione
dialogica suggeriva di distinguerne due tipi: 1) community-oriented interpreting e 2)
business oriented interpreting. Maggior attenzione è stata però dedicata ad un’altra
etichetta, quella di community interpreting o Public Sevice Interpreting (PSI) che
comprende:
everyday and emergency situations which refugees, other immigrants, and migrant
labourers may encounter in their communication with bureaucrats, officials, police,
employment counselors, school, public assistance and health care personnel of all kinds
(Garzone 2003: 15)3.
Tale etichetta generica comprende al suo interno distinzioni più sottili, che
ricorrono spesso nel caso dell’ interpretazione per servizi offerti in settori specifici, ad
esempio in campo medico si parla di “interpretazione medica” e nell’amministrazione
della giustizia di “interpretazione legale” e “interpretazione di tribunale”(Garzone 2003:
15-16).
La figura dell’interprete per i servizi pubblici è emersa chiaramente in Europa,
Australia, Canada, Gran Bretagna e Stati Uniti come professione indipendente a partire
dagli anni Sessanta del secolo scorso e come disciplina accademica indipendente più
tardi (Rudvin 2003a: 124). Gli interpreti per ragioni pratico-logistiche e soprattutto
finanziarie lavorano spesso in vari settori e diventa così molto complicato distinguere
tra interpreti in ambito legale, sociale, commerciale, socio-sanitario, per i servizi
pubblici, ecc. Inoltre fino a poco tempo fa, gli interpreti reclutati non erano
3
Citazione di Schweda Nicholson N., 1994:80.
16
professionisti, bensì persone di fiducia o occasionali (familiari, compresi bambini,
volontari, amici, personale delle pulizie, e quant’altro).
Alcune istituzioni quali ambasciate e agenzie private organizzano dei corsi di
formazione, mentre le istituzioni pubbliche continuano a ricorrere ad interpreti freelance
non qualificati, sulla base del principio che conoscere la lingua è condizione sufficiente
per poter svolgere tale attività.
L‘autrice puntualizza che lo scarso riconoscimento di questa figura e le
retribuzioni molto basse non favoriscono la qualità del servizio prestato. Una
retribuzione inadeguata, infatti, produce un servizio scadente per ovvi motivi: non è
possibile reclutare dei veri professionisti se non vengono remunerati adeguatamente e,
d’altro canto, gli interpreti sono poco motivati se vengono pagati poco.
Infine Rudvin ribadisce che l’interpretazione per la comunità ha una forte
connotazione di “servizio sociale” e “assistenza”; infatti gli interpreti formati
principalmente nella comunità per i servizi sociali e le istituzioni che si occupano di
immigrazione, ritengono di svolgere un ruolo più attivo, sono maggiormente coinvolti
nella situazione, si definiscono degli “helpers” e “carers” rispetto agli interpreti che
hanno una formazione esclusivamente linguistica (Rudvin 2003a: 125-127).
1.4.1 EVOLUZIONE DELL’INTERPRETE DI COMUNITÀ
L’interpretazione di comunità diventa centrale negli Interpreting Studies a partire dal
1990. La prima conferenza internazionale sull’interprete di comunità si svolse a Geneva
Park vicino a Toronto, in Canada, nel 1995. Inoltre è significativo il fatto che
Interpreting, il giornale internazionale della disciplina, cita l’interpretazione di
comunità nella descrizione dei suoi scopi e pubblicò a tal proposito un saggio molto
importante sull’interprete di comunità quale figura emergente.
Come ricorda Pöchhacker, il termine “community interpreting” venne usato per la
prima volta in Australia nel 1970 accanto ad espressioni quali “ethnic interpreting” e
“community health”. In Europa, invece, il termine si affermò in Gran Bretagna nel 1980
dove è stato poi sostituito da “public service interpreting” (Pöchhacker 1999: 125-126).
Ecco la definizione personale dell’autore in merito all’interprete di comunità:
17
In contrast to interpreting for International contacts in conference-like situations or
negotiations between interacting parties of (more or less) equal standing, community
interpreting facilitates communication within a social entity (society) that includes
culturally different sub-groups. Hence, the qualifier community refers to both the
(mainstream) society as such and its constituents sub-community (ethnic or indigenous
community, linguistic minority, etc.), which may be one reason why the expression is
difficult to render into other languages (Pöchhacker 1999: 127).
Una questione urgente riguarda lo status professionale dell’interprete di comunità.
L’autore cita González et al. (1991: 29) in “Foundamentals of Court Interpreting” i
quali sostengono che “Community interpreting refers to any interpretation provided by
non-professional interpreters”. Questa sottile distinzione tra interpreti professionisti da
un lato ed interpreti dilettanti dall’altro può essere ricondotta all’analogia semantica che
propone Bowen (1998: 319) con “servizio di comunità” (volontario) e “lavoro di
comunità (non pagato)”.
Tra i vari criteri che possono essere usati per definire un’attività professionale, i
più importanti sono: 1) il principio dell’onorario per il servizio prestato e 2) l’esistenza
di alcuni standards che regolano lo svolgimento dell’attività. Ma, quali sono gli
standards e quali compensi spettano ad un interprete di comunità che si può definire
“professionista”? (Pöchhacker 1999: 128).
L’interpretazione di comunità risale all’antichità, a quando per esempio gli
interpreti venivano impiegati per gli ebrei che parlavano l’aramaico dopo l’esilio dalla
Babilonia o nelle province del vasto Impero Romano o, più recentemente, nelle colonie
al tempo delle grande dominazioni degli europei. Tuttavia, l’interpretazione di comunità
è più comunemente associata all’accesso ai servizi pubblici nel welfare state del XX
secolo. Uno dei gruppi a cui si è prestata maggiore attenzione a partire dagli anni
Sessanta del Novecento nel garantire tale accesso è rappresentato dai sordi, in modo
particolare nell’ambito degli sforzi compiuti dagli Stati Uniti, che hanno promosso la
riabilitazione delle persone affette da disturbi dell’udito per la loro reintegrazione nel
lavoro. Altri tentativi sono stati compiuti in altri Paesi quali Svezia, Regno Unito,
Germania, Svizzera (Ginevra), Austria (Graz).
Il Paese per eccellenza in cui si è affermato l’interprete di comunità è senza
dubbio l’Australia, a seguito della massiccia immigrazione di persone di madrelingua
18
diversa dall’inglese dopo la Seconda Guerra Mondiale. Il cambiamento della politica
governativa verso il multilinguismo e il multiculturalismo si ebbe nel 1970. Nel 1973, il
Dipartimento per l’Immigrazione creò un’iniziativa, il Telephone Service Interpreter e
una serie di iniziative seguirono nei decenni successivi. L’Australia è inoltre la pioniera
nell’aver creato degli standards nazionali e un sistema di accreditamento per gli
interpreti, il NAATI (National Accreditation Authority for Translators and Interpreters)
nel 1977. Il sistema di accreditamento australiano è unico, poiché comprende tutte le
modalità di interpretazione e traduzione ed include sia la lingua scritta che parlata,
mentre in altri Paesi i sistemi di accreditamento si concentrano solo su alcune modalità
interpretative e su alcuni tipi di linguaggio (Pöchhacker 1999: 129-132).
Vediamo nel dettaglio come è strutturato il NAATI. Esso è l'unica autorità
riconosciuta ufficialmente per l'accreditamento di interpreti e traduttori e riconosce
quattro livelli di capacità in ogni disciplina:
•
Paraprofessional Translator/Paraprofessional Interpreter (notocome livello 2);
•
Professional Translator/ Interpreter Professional (noto come livello 3);
•
•
Advanced Translator/ Interprete di conferenza (noto come livello 4);
Advanced Translator (Senior)/ Interprete di conferenza (Senior) (noto come
livello 5).
Vi è poi un ulteriore categoria “Language Aide”, che non è considerata una
categoria di interpreti o traduttori, ma come riconoscimento che viene concesso alle
lingue che NAATI attualmente non testa. Tale riconoscimento non si basa sul livello di
competenza (http://www.naati.com.au/ accesso 04/10/2009).
Per quanto riguarda la formazione, vi è stato un tentativo fallimentare negli anni
Ottanta da parte del NAATI di organizzare corsi per interpreti paraprofessionisti e
professionisti. A metà degli anni Novanta, vi erano due corsi a livello professionale,
uno presso la University of Western Sydney e l’altro presso la Deakin University, che
però ha presto chiuso i battenti (Pöchhacker 1999: 132-133).
Attualmente, l’importanza di questa professione è stata riconosciuta dalla FIT
(Fédération Internationale des Traducteurs) che ha organizzato un Congresso Mondiale
in Australia nel 1996 e nel 1999 e ove ha eletto Adolfo Gentile presidente, per i suoi
notevoli contributi allo studio dell’interpretazione di comunità.
La definizione di interpretazione di comunità che dà la FIT è:
19
CBI encompasses any interpreting which takes place in everyday or emergency
situations in the community. Possible settings include health, education, social services,
legal and business.4
L’AIIC, dal suo canto, si è interessata in particolare al ruolo dell’interprete di
tribunale e ha tentato di estendere i suoi standards professionali all’ambito legale.
Infine, ricordiamo la serie di conferenze The Critical Link iniziata in Canada (Toronto
1995, Vancouver 1998, Montreal 2001) che hanno promosso la ricerca e la
cooperazione nel campo dell’interpretazione di comunità su scala internazionale
(Pöchhacker 1999: 137).
1.4.2 INDAGINE SULL’INTERPRETE DI COMUNITÀ: LA PROSPETTIVA
DELL’INTERPRETE
È parso opportuno a chi scrive dedicare un paragrafo esclusivamente agli interpreti di
comunità (CBI), ed in particolare ad un’interessante indagine a cui furono sottoposti nel
biennio 1998-1999 dalla FIT australiana, il cui obiettivo era far luce sulla natura
dell’interpretazione di comunità e sulla prospettiva dell’interprete.
Gli interpreti che vi hanno partecipato appartenevano a varie associazioni sparse per il
mondo. Ad essi venne chiesto di fornire dettagli sul loro lavoro, le lingue utilizzate,
l’esperienza professionale, la formazione e di esprimere la loro opinione in merito alle
condizioni lavorative, ruolo e status. Dovevano inoltre specificare le qualità e le abilità
necessarie ad un interprete di comunità e i principi guida del loro lavoro. L’indagine è di
tipo qualitativo. Le domande a riposta multipla erano considerate troppo restrittive, così
molte domande erano aperte per dare l’opportunità agli intervistati di esprimere le loro
opinioni. Il campione finale era composto da 92 interpreti provenienti da 7 diversi paesi
ed impegnati maggiormente nel settore pubblico (Chesher et al. 2001: 273-274).
1.4.3 L’INDAGINE
Come riferiscono gli autori, gli scopi dell’indagine erano:
4
Citazione di Chesher et al. 2001: 276.
20
• Esaminare le caratteristiche della CBI e il profilo dell’interprete;
• Discutere le opinioni degli interpreti sul loro lavoro nella CBI;
• Far luce sulle esperienze professionali vissute dagli interpreti;
• Chiedere agli interpreti di dare una definizione della loro professione.
Il questionario includeva domande sulle percezioni che i CBI hanno del loro ruolo
e in quale misura potevano essere stabiliti dei parametri universali atti a definire questa
modalità particolare di interpretazione. Esso era suddiviso in 9 sezioni:
A. Please give a few details about yourself
B. Context or settings-range of situations where CBI takes place5:
C. Bookings and payments
D. Standards and training
E. Qualities and skills
F. Your role and expectation of clients
G. Mode of interpreting
H. Working conditions, status
I. Finally, could you give some thought as to how we can define the kind of
interpreting work you do in the community? (Chesher et al. 2001: 276-280).
Per quanto riguarda la sezione A, i Paesi di provenienza degli intervistati erano in
ordine: 1) Australia; 2) Canada; 3) USA; 4) Regno Unito; 5) Nuova Zelanda; 6) Sud
Africa; 7) Belgio.
Per quanto riguarda la sezione B, alcuni risposero di lavorare nel settore pubblico
(68%), altri specificarono l’ambito, per esempio medico (92%), educativo (48%), uffici
di immigrazione o per rifugiati politici (35%) e altri (39%). La maggior parte lavorava
in più settori. La tipologia di utenti includeva: medici e altri professionisti sanitari,
pazienti, insegnanti, genitori, operatori del settore dell’immigrazione, centri per
l’impiego, settori privati quali banche, chiese, associazioni.
Per quanto riguarda la sezione C, il 72% degli intervistati dichiarò che veniva
sempre retribuito in qualità di CBI per il servizio prestato, il 17% che veniva
abitualmente retribuito e il 4% che solo qualche volta riceveva il compenso. Alcuni poi
5
L’indagine non comprendeva l’interpretazione di tribunale o in ambiti legali.
21
svolgevano il servizio come volontari, soprattutto in chiesa. In relazione alla modalità di
interpretazione, la maggior parte optò per la consecutiva (24%), il 10% scelse la
simultanea e il 37% entrambe, indicando un alto grado di flessibilità. Vi era poi un
generale consenso sul fatto che i compensi dei CBI sono più bassi rispetto ad altre
professioni.
Per quanto riguarda la sezione D, solo nel 54% dei casi gli intervistati sostenevano
la necessità di una qualifica professionale. Le componenti più importanti nella
preparazione e formazione di un CBI secondo gli intervistati erano: 1) la
predisposizione linguistica; 2) lo sviluppo delle capacità individuali; 3) competenza ed
etica; 4) qualità interpersonali; terminologia, informazioni sugli aspetti culturali e i
settori lavorativi.
Per quanto riguarda la sezione E, agli intervistati fu chiesto di esprimere un
giudizio sulle più importanti qualità per essere considerato un ottimo CBI e di
descrivere qualsiasi abilità particolare necessaria nella professione. Si osservano i
seguenti risultati:
Qualità personali
Consapevolezza dell’etica
%
Abilità particolari
%
39%
Abilità interpretative
25%
35%
Comprensione delle differenze
professionale
Qualità interpersonali
culturali
20%
20%
Empatia/ compassione
15%
Abilità linguistiche
Onestà
9%
Conoscenza dei settori e della
terminologia specialistica 18%
Distacco
8%
Flessibilità
7%
Professionalità
18%
Autoconsapevolezza
5%
Risposte nulle
10%
Altro
22%
Per quanto riguarda la sezione F, in relazione ai principi guida di un CBI, i più
importanti erano: la riservatezza; l’imparzialità; la precisione e la condotta
professionale. L’etica era menzionata solo dal 13% degli interpreti.
22
Per quanto riguarda la sezione H, si chiedeva agli interpreti di dare delle
definizioni di CBI. La maggior parte delle risposte mostravano che gli intervistati erano
divisi su due versanti: il 46% considerava la CBI una forma distinta di interpretazione,
mentre il 28% no. Il 26% non rispose o diede una risposta non valida.
A conclusione di questa indagine, occorre precisare che i paesi in cui gli
intervistati lavoravano corrispondono a quei paesi in cui, come dicono Gentile et al.,
(1996:11) “public provisions for interpreters is made across a range of institutional
settings” (Chesher et al. 2001: 276-288).
1.5 CARATTERISTICHE PERSONALI E ABILITÀ DI UN BUON INTERPRETE
Interpreti e psicologi sostengono che coloro che intendono intraprendere la professione
devono possedere alcuni requisiti psicologici. Pöcchacker cita in particolare Sanz
(1931), il quale include abilità cognitive (intelligenza, intuito, memoria), qualità morali
e affettive (sensibilità, discrezione, ecc.) (Pöcchacker 2004: 166).
L’originale Codice Etico del RID (Registry of Interpreters for the Deaf) adottato
nel 1965 richiedeva agli interpreti di essere “of high moral character, honest,
conscientious, trustworthy, and of emotional maturity”6 e simili requisiti sono presenti
nelle clausole per gli interpreti di tribunale.
La lista dei requisiti necessari messi a punto da van Hoff (1952: 59ff) per gli
interpreti di conferenza e per gli interpreti di tribunale e di liaison includono qualità
fisiche come nervi saldi e capacità di resistenza, qualità intellettuali, in particolare
abilità linguistiche, conoscenze di cultura generale e infine abilità mentali quali
memoria, capacità critica, concentrazione e attenzione.
In riferimento all’interpretazione di comunità, Keiser (1978: 17) enfatizza
l’importanza della conoscenza della cultura generale e delle caratteristiche personali
quali intuito, capacità di adattamento, concentrazione, memoria.
Per l’interprete di liaison, Gentile et al. (1996: 65ff) ribadiscono l’importanza
delle abilità linguistiche, conoscenze di cultura generale, tecniche d’interpretazione,
memoria ed infine l’etica professionale, quale componente principale della competenza
di un interprete.
6
Citazione di Cokely 2000:35.
23
Il punto di partenza cruciale per lo sviluppo della competenza interpretativa,
sostiene Pöcchacker è dato dalla competenza bilingue che, d’accordo con le teorie della
traduzione, rappresenta un’abilità necessaria alla stessa (Pöcchacker 2004: 167). Il
modo in cui questa abilità di base assieme alle altre dà luogo ad un’ottima performance
è stato oggetto di studio di una particolare area della psicologia cognitiva, che ha avuto
origine dall’elaborazione delle informazioni e dagli studi di intelligenza artificiale a
partire dal 1970. Gli esperti si basarono su rappresentazioni integrate di conoscenza ed
elaborarono dei modelli mentali utilizzando tecniche di ragionamento complesse per le
attività di calcolo e per misurare la percezione. In una fase antecedente erano stati
utilizzati numerosi altri approcci metodologici, tra cui interviste strutturate, attività di
analisi e l’analisi contrastiva delle performances che erano risultate efficaci.
Infine, oltre all’elaborazione cognitiva e alle attività di performance, sostiene
Pöcchacker, l’attività di interpretariato include anche le abilità interazionali (per
esempio nei briefings o nelle negoziazioni delle condizioni di lavoro) e le strategie per
l’acquisizione delle competenze, con o senza l’ausilio delle moderne tecnologie
(Pöcchacker 2004: 168).
1.6 CODICI DEONTOLOGICI, STANDARDS DI QUALITÀ E CERTIFICAZIONE:
GLI INTERPRETI DI CONFERENZA
Molto spesso i professionisti, qualunque sia la loro professione, si ritrovano di fronte ad
un dilemma cruciale: professionalità ed etica sono la stessa cosa o è possibile definire la
professionalità usando i parametri dell’etica? (Rudvin 2007: 47-69).
L’autrice sostiene che:
The sense of public duty, a declaration of responsibility, is a core issue in definitions of
professionalism. Indeed, the distinction between general ethical behavior and
professionalism is not always clear. Professionalism could be defined as gaining and
maintaining credibility as an occupational group towards the public and those served
(the general public, patients or customers, business clients) whilst ethics would be more
closely related to how the professional group connects with and is bound by the wider
community and its current moral values, obviously dictated by socio-political and
cultural paradigms.
24
E’ possibile rintracciare i primi standards scritti di norme di buona condotta per
gli interpreti tra il XVI e il XVII secolo, precisamente si tratta delle quattordici leggi
emanate dalla Corona Spagnola tra il 1529 e il 1630 per regolamentare la condotta degli
interpreti nelle interazioni tra i funzionari delle colonie e le popolazioni indigene
(Pöchhacker 2004: 164).
In contrapposizione a queste norme emanate dalle autorità, sostiene Pöchhacker,
gli interpreti di conferenza internazionali quattrocento anni dopo hanno deciso di
autoregolarsi adottando il Codice di Etica Professionale AIIC nel 1957. Nel cuore di
tale codice, vi è il “Codice Deontologico” che contiene cinque articoli, il più importante
dei quali concerne il segreto professionale. I rimanenti articoli riguardano le
“Condizioni di Lavoro”, che rimandano agli “Standards Professionali” formulati da
AIIC per regolare l’esercizio della professione. Nella letteratura sull’interpretazione di
conferenza la questione etica ha ricevuto poca attenzione fino al 1990.
Una conquista importante nella professionalizzazione degli interpreti di
conferenza, come ci ricorda l’autore, fu l’adozione nel 1965 del Codice Etico del RID.
Nonostante i membri del RID fossero poco interessati nel promuovere la loro
professione, il loro Codice Etico rivisto e aggiornato negli anni ‘70, contribuì a definire
il profilo professionale degli interpreti della lingua dei segni nel Nord America.
Seguendo l’esempio del Codice Etico del RID, sono stati compiuti molti sforzi in
ambito legale e medico, per codificare la professione degli interpreti di comunità
(Pöchhacker 2004: 164-165).
1.6.1 ELEMENTI COMUNI AI VARI CODICI DEONTOLOGICI: ALCUNI ESEMPI
Occorre innanzitutto precisare che, nonostante molte organizzazioni e associazioni
professionali si siano dotate nel tempo di codici deontologici, la maggior parte di essi,
sfortunatamente, non include esempi concreti di situazioni particolarmente difficili nelle
quali spesso si trovano a lavorare gli interpreti e di comunità e di tribunale. Si osserva
che i codici sono piuttosto generici nella maggior parte dei casi e si sforzano più che
25
altro di fissare dei parametri che riguardano soprattutto due aspetti cruciali della
professione di interprete: la riservatezza e l’imparzialità.
Oltre ai problemi relativi alla terminologia, alle procedure e ai linguaggi altamente
specializzati (soprattutto quello legale e medico), gli interpreti devono fronteggiare
costantemente una serie di dilemmi etici. Tali difficoltà possono essere associate ai
partecipanti, ovvero al loro ruolo e alle loro personalità e/o possono essere legate alla
natura di uno specifico contesto (ad esempio un tribunale o una clinica psichiatrica)
(Schweda Nicholson 1994: 79).
E’ necessario chiarire i limiti dell’azione dell’interprete e del tipo di contributo
che può offrire nell’ambito dell’interazione. Vediamo a tal proposito quali sono gli
elementi comuni ad alcuni codici deontologici dentro e fuori dall’Europa (Garzone
2009: 102).
Per quanto riguarda l’Italia, nel codice deontologico dell’AITI (Associazione
Italiana Traduttori e Interpreti), adottato anche dall’ANITI (Associazione Nazionale
Italiana Traduttori e Interpreti), si dedica alla questione solo un breve paragrafo
all’interno dell’articolo 6, “Dovere di lealtà e correttezza”:
Il traduttore e l’interprete devono svolgere la propria attività professionale con lealtà e
correttezza.
Al traduttore e all’interprete è assolutamente vietato trarre un utile personale da
informazioni di cui vengano a conoscenza nell’esercizio della professione.
L’interprete deve svolgere il proprio incarico con obiettività ed equidistanza, e
l’interprete di tribunale deve tenere sempre presente il fatto che opera nell’interesse
superiore della Giustizia.
Il traduttore deve seguire a regola d’arte e personalmente l’incarico affidatogli.
In questo codice, le parole dedicate al problema sono esigue e si concretizzano in due
sostantivi, “obiettività” ed “equidistanza”.
Lo stesso dogma dell’imparzialità è presente nel “Draft Code of Professional
Practice” della FIT, di cui l’AITI è membro:
1.3 Impartiality
Translators and interpreters shall carry out their work with complete impartiality and
not express any personal or political opinions in the course of the work (FIT 2008).
26
Queste stesse nozioni si ritrovano in tutti i “Codes of Ethics” riguardanti le attività
di interpretazione rintracciabili sui siti delle associazioni professionali nei diversi paesi
occidentali, che in alcuni casi sono generici, mentre in altri casi vertono specificamente
sulla “community interpreting” oppure su un singolo settore di esso (Garzone 2009:
102-103).
Per esempio, specificamente mirato all’interprete di comunità è il “Code of Ethics
for Community Interpreters”, pubblicato dall’associazione finlandese degli interpreti
della lingua dei segni, Suomen Viittomakielen Tulkit. Nel testo, costituito da 15 punti e
230 parole, due paragrafi sono dedicati alla questione della neutralità dell’interprete:
11. Interpreters are impartial, remain outsider to the situation, and do not let their
personal attitudes or opinions affect their work.
12. Interpreters do not function as assistants or representatives to the persons they
interpret for.
Al di fuori dell’Europa, come nota Garzone, le norme contenute nei vari codici
deontologici non variano di molto. A tal proposito citiamo il “Code of Ethics” della
principale associazione professionale del settore in Australia, l’Australian Institute of
Interpreters and Translators (AUSIT). In questo caso il codice deontologico, che è
approvato
ed
adottato
dalla
NAATI,
l’ente
pubblico
australiano
preposto
all’accreditamento dei traduttori e degli interpreti, è molto più dettagliato e specifico.
Contiene tutta una serie di norme ancillari che danno indicazioni sul corretto rapporto
con il cliente e le altre parti in causa:
1a.iii (Professional conduct) Interpreters and translators shall be unobtrusive, but firm
and dignified, at all times.
1b.iii (Honesty, integrity and dignity) Interpreters and translators shall not exercise
power or influence over their clients.
4b.i e 4b.ii (Objectivity) A professional detachment is required for interpreting and
translation assignments in all situations.
If objectivity is threatened, interpreters and translators shall withdraw from the
assignment.
Si tratta in questi casi di requisiti di assoluto distacco e imparzialità, tanto da
prevedere la rinuncia all’incarico da parte dell’interprete in caso dubbio sulla propria
obiettività (Garzone 2009: 102-104).
27
Non cambia neanche la sostanza nei codici specificamente rivolti ad interpreti in
uno specifico ambito, come quello giuridico o medico. Per esempio il “Code of Ethics
and Professional Responsabilities” della National Association of Judiciary Interpreters
and Translators (NAJIT) degli Sati Uniti, tratta queste questioni nel Canon 2:
Canon 2. Impartiality and Conflicts of Interest
Court interpreters and translators are to remain impartial and neutral in proceedings
where they serve, and must maintain the appearance of impartiality and neutrality,
avoiding unnecessary contact with the parties.
Court interpreters and translators shall abstain from comment on cases in which they
serve.
Anche in questo caso si pongono dei limiti all’esercizio della professione
dell’interprete. Disposizioni simili, adattate però al contesto sanitario, sono contenute
nel “National Code of Ethics for Interpreters in Healthcare”, emesso dal National
Council on Interpreting in Health Care degli Stati Uniti:
The interpreter strives to maintain impartiality and refrains from counseling, advising or
projecting personal biases or beliefs.
The interpreter maintains the boundaries of the professional role, refraining from
personal involvement.
In un limitato numero di casi si ammette una qualche eccezione, lasciando un
certo margine di libertà all’interprete. Per esempio, nel codice britannico dell’Institute
of Translation & Interpreting si concede all’interprete la possibilità di intervenire in
caso di probabile fraintendimento e/o malinteso culturale:
Members shall interpret impartially between the various parties in the languages for
which they are registered with the Institute and, with due regard to the circumstances
prevailing at the time, take all reasonable steps to ensure complete and effective
communication between the parties, including intervention to prevent misunderstanding
and incorrect cultural inference.
Qualcosa di simile si riscontra in alcuni codici di associazioni di interpreti
specializzati, per esempio nel codice deontologico della IMIA (International Medical
Interpreters Association), un ente che ha sede negli Stati Uniti, sorto su iniziativa
privata, che si occupa della professionalizzazione dell’interpretazione nel settore
28
sanitario, aspirando ad un’armonizzazione professionale su base internazionale. Anche
in questo codice si lascia all’interprete un margine di libertà:
Interpreters will engage in patient advocacy and in the intercultural mediation role of
explaining cultural or differences/practices to health care providers and patients only
when appropriate and necessary for communication purposes, using professional
judgment.
Interpreters will use skillful unobtrusive interventions so as not to interfere with the
flow of communication in a triadic medical setting.
Ancora più esplicito è il “Code of Ethics del Kitchener-Waterloo Multicural
Centre”, ente locale canadese preposto specificamente all’assistenza degli immigrati, in
cui si dice:
The interpreters may be aware of the special circumstances surrounding the violent
situation in which the woman is being or has been subjected to and how those
circumstances are perceived culturally. Where appropriate the interpreter may interject
to help professional/worker and client understand cultural differences or sensitivity. […]
The interpreter will not counsel, advise or interject personal opinions related to the
interpreting assignment, unless:
a) She is asked to do so by the client and/or the professional worker
b) She feels that it is appropriate or necessary to provide cross cultural information or
personal assessment in order to ensure effective communication; and counseling, advice
or personal assessment has to be communicated to the professional/worker
c) The interpretation contravenes the values and attitudes in the philosophy statements.
A parte alcune rare eccezioni, il quadro si presenta abbastanza omogeneo e si può
notare che i principi esposti nei vari codici deontologici si possono sintetizzare nel
modo seguente:
•
oggettività
•
non intrusione
•
astensione dall’espressione di opinioni personali
•
richieste o non richieste
•
non coinvolgimento personale
•
equidistanza
•
astensione dalla advocacy (Garzone 2009: 105-107).
29
1.6.2 GLI STANDARDS DI QUALITÀ
In merito agli standards di qualità, associazioni quali l’AIIC avvertono la necessità di
definire standards di qualità per gli interpreti ed infatti adottano un sistema di
scrematura per l’ammissione di un nuovo interprete nell’associazione. Tuttavia non vi è
accordo generale su quali siano i principali criteri di qualità da adottare (Messina 2002:
103).
Nonostante questa urgenza di standards di qualità, Messina ci ricorda che la
traduzione e l’interpretazione sono servizi spesso visti da coloro che ne fanno uso
esclusivamente come un fattore di costo. Inoltre, il peso politico del settore linguistico è
modesto e lo status delle professioni linguistiche è basso. Per esempio, in Italia e in altri
paesi, non esiste un “Registro nazionale di traduttori e interpreti” che richiedono
professionisti qualificati e con esperienza sul campo. Una bozza di legge in Italia
(Bozza Mirone) fu redatta e proposta da un gruppo di associazioni professionali, quali
AIIC, Assointerpreti e AITI assieme ad alcuni membri del Parlamento. Tuttavia, tale
legge non è stata ancora messa in atto e ciò significa che è abbastanza difficile per
l’utente verificare la qualità del servizio e per i professionisti poterla assicurare.
La FIT, alcune associazioni di interpreti e traduttori a livello nazionale e varie
agenzie di traduzione chiedono costantemente la garanzia della qualità e meccanismi di
controllo della stessa nell’esercizio della professione (Messina 2002: 104-105).
In Italia, la necessità di standards di qualità fu accolta nel 1994, attraverso la
creazione di una organizzazione che raccoglieva agenzie italiane di traduzione e
interpretazione (Federcentri). Questa organizzazione incoraggiò l’UNI, l’ente Nazionale
Italiano di Unificazione, a fornire uno standard per le attività di traduzione e
interpretazione. Il risultato fu la creazione dello standard UNI 10574. Tuttavia, UNI
10574 tende ad assicurare una qualità “esterna”, ovvero tale standard stabilisce gli
elementi base necessari in uno scambio tra cliente e venditore, ma non riguarda le
caratteristiche qualitative dell’attività di traduzione/interpretazione.
Come osserva Messina, gli sforzi compiuti dall’AIIC e organizzazioni simili sono
lodevoli, in quanto esse cercano costantemente di stabilire degli standards di qualità per
30
gli interpreti. I bisogni dell’utente finale rappresentano certamente l’elemento principale
su cui i criteri di controllo della qualità dovrebbero essere basati e questa, in effetti, è la
via che si sta seguendo nella elaborazione degli standards di qualità. Anche il rivisto
standard 9000 per l’anno 2000 sottolineava da un lato l’importanza della soddisfazione
dell’utente e del modo in cui questa viene misurata e dall’altro l’importanza di avere un
processo di qualità efficiente ed effettivo che vada incontro alle necessità dell’utente
(Messina 2002: 105-107).
1.6.3 LA CERTIFICAZIONE
Per quanto riguarda la certificazione, Pöcchacker sostiene che, mentre vi sono degli
standards precisi in merito a principi fondamentali quali riservatezza, integrità e
professionalità, non è ancora chiaro quali siano gli obblighi di un professionista verso la
società, gli utenti, i colleghi. Un modo per certificare la conformità con gli standards
professionali è l’affiliazione ad una organizzazione che ha adottato un codice
deontologico (Pöcchacker 2004: 165).
Nel campo dell’interpretazione di conferenza, la ristretta politica delle ammissioni
dell’AIIC ha favorito la creazione di un sistema di certificazione ed esiste un elenco dei
membri dell’organizzazione che può essere considerato una sorta di “registro” di
professionisti qualificati. Nel caso degli interpreti di tribunale, invece, alcune
giurisdizioni, ad esempio quella americana, richiedono semplicemente un giuramento da
parte dell’interprete.
In alcuni paesi, nei settori in cui la formazione professionale è carente o non ben
definita, Pöcchacker afferma che si ricorre a procedure di certificazione che includono
prove di accertamento delle abilità e delle competenze linguistiche, tale è ad esempio il
sistema di certificazione del RID o del NAATI australiano (ibidem).
1.7 L’INTERPRETE PER I SERVIZI PUBBLICI
Una delle differenze principali che distingue l’interprete di conferenza dall’interprete
per i servizi pubblici (PSI) consiste nella differente modalità di interpretazione
utilizzata: mentre il primo impiega la modalità simultanea o consecutiva, il secondo
31
utilizza una particolare forma di modalità consecutiva denominata chuchotage o
interpretazione sussurrata, in entrambe le lingue, cioè “da” e “verso” la lingua straniera
e la madrelingua (Rudvin 2003a: 142).
Come nota l’autrice, molte delle abilità richieste ad un interprete per i servizi
pubblici sono comuni a tutti i tipi di interpretazione: presa di appunti, buona memoria,
conoscenza della terminologia, fluidità e abilità linguistiche, capacità d’ascolto,
concentrazione. Tuttavia, l’interprete di trattativa deve:
a) Essere consapevole che gli aspetti culturali possono provocare delle vere e
proprie rotture nella comunicazione e pertanto devono essere trattati secondo le
norme culturali e comunicative vigenti nelle culture rispettivamente dello
“utente”(colui che ha bisogno di un servizio fornito da un’istituzione di cui non
conosce per nulla o sufficientemente la lingua) e dell’operatore di servizi
(sanitario, giuridico, ecc.);
b) L’interprete per i servizi pubblici deve evitare di identificarsi con l’utente o con
l’operatore. Una delle difficoltà maggiori per un interprete è capire esattamente
qual è il suo ruolo e quali sono i limiti da porre tra la sua professione e il
desiderio di aiutare chi è in difficoltà;
c) L’interprete per i servizi pubblici deve essere pertanto consapevole del suo
ruolo, di quali sono le sue responsabilità e i suoi limiti. Gli stati emotivi, lo
stress psicologico, la rabbia, la paura, l’emozione sono aspetti che un buon
interprete deve imparare a gestire;
d) Un interprete per i servizi pubblici deve essere in grado di comprendere il
linguaggio non verbale di ogni singolo individuo (esitazione, imbarazzo,
silenzio, ecc.) perché spesso i messaggi non verbali sono fondamentali per la
comunicazione;
e) Un interprete per i servizi pubblici deve conoscere la terminologia e
l’organizzazione del sistema sanitario, legale, amministrativo, ecc. e le
differenze che vi sono tra i sistemi nella cultura di partenza e in quella di arrivo
(Rudvin 2003a: 142-143).
Mentre un interprete di conferenza è ben retribuito e lavora in ambiti di prestigio
(scientifico, accademico, politico, ecc.), gli interpreti per i servizi pubblici che lavorano
32
in ambito medico, legale, commerciale, ecc. sono spesso associati agli strati più
vulnerabili della società, gli immigrati, i poveri, i criminali, i disagiati. Spesso accade
poi che questi interpreti si ritrovino a svolgere compiti non di loro competenza, per
esempio registrare i pazienti, contattare le compagnie assicurative o le ambasciate
straniere e quant’altro. Infine, un serio problema rimane la mancanza di un’etichetta
precisa e valida per questi interpreti, che varia da paese a paese (Rudvin 2003a: 144145).
Per quanto riguarda la formazione, Martinsen ci riferisce che, nel contesto
europeo, solo la Danimarca e la Svezia hanno creato a livello universitario corsi per
l’interpretazione nei servizi pubblici ben articolati, mentre gli altri paesi europei non
offrono corsi di formazione per gli interpreti di comunità a livello universitario. In
Danimarca, in particolare, un nuovo programma di formazione per gli interpreti per i
servizi pubblici è stato creato nel 1996 dalla facoltà di Lingue Moderne dell’Aarhus
School of Business (ASB) e dalla Copenaghen Business School (CBS). La ragione
principale della mancanza di corsi di formazione universitari potrebbe consistere nello
scarso prestigio associato a questa professione. Il prestigio però non può nascere se le
istituzioni educative di alto livello non offrono corsi di formazione, né svolgono
ricerche sull’interpretazione per i servizi pubblici (Martinsen 2002: 259).
Accanto a queste iniziative di ambito nazionale, è necessario secondo Martinsen
che le iniziative vengano prese anche a livello internazionale, nella UE, al fine di
garantire ai parlanti non nativi di una lingua, gli stessi trattamenti dei parlanti nativi,
nelle interazioni con i servizi pubblici. In particolare, a livello europeo sono state
adottate strategie per migliorare la qualità dell’interpretazione per i servizi pubblici e
per sostenere i singoli paesi. Un esempio molto valido è l’iniziativa presa dalla
Commissione Scientifica sulla formazione di Traduttori e Interpreti, all’interno del
“Progetto di Rete Tematica nel Settore delle Lingue”, messo a punto dal Consiglio
d’Europa. La Commissione Scientifica ha stilato una serie di raccomandazioni per i
profili dei corsi sull’interpretazione nei servizi pubblici. Tali raccomandazioni si basano
sul principio che ogni singola istituzione educativa, d’accordo con le specifiche
esigenze del paese in cui essa opera, ha la possibilità di integrare i contenuti dei corsi
previsti dalle raccomandazioni del Consiglio d’Europa, al fine di completare lo
specifico profilo di quella particolare istituzione. Un altro esempio interessante è il
33
Progetto AGIS, che mira a stabilire delle equivalenze a livello europeo per i traduttori e
gli interpreti di tribunale e che non si focalizza sull’interpretazione per i servizi pubblici,
ma su un settore specifico, quello legale (Martinsen 2002: 265-266).
1.8 IL CODICE DEONTOLOGICO DEL PSI
Sebbene l’interpretazione per i servizi pubblici sia una disciplina giovane, varie
associazioni di interpreti, organizzazioni locali, ospedali, istituzioni giuridiche, hanno
adottato un loro codice etico che serve da linea guida per gli interpreti (Rudvin 2003a:
146). Vediamo quali sono i tratti comuni a tutti i codici deontologici:
a) legame: il legame si instaura quando un interprete si identifica con il suo utente
o vice versa. Tale legame che presenta varie forme dalla simpatia, all’empatia,
all’identificazione, è un processo naturale, soprattutto quando l’utente e
l’interprete hanno la stessa origine. Se il legame che si instaura è positivo,
l’interazione tra le parti sarà agevolata in quanto l’utente si sente a suo agio ed è
inoltre un modo per costruire un senso generale di fiducia;
b) riservatezza: aspetto fondamentale per gli interpreti di conferenza, di comunità e
in ambito legale. E’ assolutamente indispensabile per l’utente esser sicuro che
l’interprete non divulghi le informazioni che emergono dall’incontro. Un
interprete può iniziare l’incontro chiarendo la sua posizione e i suoi limiti,
presentando le sue referenze professionali e precisando il suo rapporto con la
minoranza etnica nella comunità ospite;
c) dare opinioni o consigli: ancora una volta l’interprete è chiamato a chiarire i suoi
limiti e le responsabilità del suo ruolo. A volte la differenza tra il “dare
consigli” e l’ “offrire informazioni” sulle differenze culturali o sulle istituzioni
può essere difficile da stabilire. Tuttavia, quando durante un’interazione si
verifica un fraintendimento sarebbe opportuno da parte dell’interprete prendere
la parola e tenere sotto controllo la situazione per chiarire o prevenire eventuali
malintesi;
d) advocacy vs neutralità: si tratta di un aspetto molto controverso. La maggior
parte dei professionisti, nel campo dell’interpretazione per i servizi pubblici o di
comunità, sostengono che un interprete non dovrebbe mai essere coinvolto nel
34
processo della mediazione, che dovrebbe rimanere sempre imparziale e
oggettivo, non facendo trasparire le sue personali inclinazioni, opinioni,
emozioni. Un interprete deve essere professionale, ma è pur vero che gli
interpreti sono esseri umani e non è sempre possibile scindere l’uomo dal ruolo
che ricopre. Anche se l’approccio di un interprete professionista è quello
dell’imparzialità, le sue personali esperienze, opinioni, ideologia e cultura
emergeranno comunque in vari modi: espressioni facciali, gesti, tono della
voce, grado di cortesia, aspetti molto difficili da camuffare. Piuttosto che
reprimere questi elementi interpersonali, l’interprete dovrebbe imparare ad
utilizzarli in maniera costruttiva, non divenendo per questo un avvocato, ma un
partecipante attivo ed un interlocutore consapevole che possiede le informazioni
di cui le due parti necessitano per comunicare in modo efficace (Rudvin 2003a:
147-150).
Per risolvere alcuni di questi problemi sarebbe necessario secondo l’autrice un
briefing poiché permetterebbe ai fornitori di servizi e agli interpreti di appianare
potenziali fraintendimenti e di usare strategie comuni. Gli interpreti e i fornitori di
servizi potrebbero sfruttare alcuni minuti prima dell’inizio della sessione per discutere
gli aspetti terminologici, tecnici o etici del caso. Se poi l’interprete si rende conto che
durante l’incontro sorgono malintesi, dovrebbe richiedere un debriefing con il fornitore
di servizi, per discutere i problemi sorti durante l’incontro che non sono ancora chiari o
possono provocare malintesi. Il debriefing rappresenta anche un’opportunità per
l’interprete per discutere dilemmi etici o questioni complesse con un dottore o un
giudice se questi necessita aiuto, di un consiglio o semplicemente di empatia (Rudvin
2003a: 151).
1.8.1 LA QUESTIONE DELLA NEUTRALITÀ
L’aggettivo neutro è di per sé evasivo, vagamente inteso come “oggettivo e/o
imparziale”, privo di qualunque valutazione o opinione soggettiva. Tuttavia, in tempi
recenti numerosi critici, teorici della letteratura, sociologi, antropologi, filosofi, hanno
ripetutamente sottolineato l’accezione positiva della neutralità (Rudvin 2002: 219).
35
L’autrice dell’articolo sostiene che la richiesta di neutralità risponde perfettamente alla
filosofia individualista della società occidentale, la filosofia dell’essere “liberi da
vincoli”, che enfatizza il ruolo e i diritti dell’individuo e le sue responsabilità verso le
istituzioni e lo Stato, in netto contrasto con molte società socio centriche in cui la
responsabilità principale di un individuo è nei confronti del gruppo. Per lo stesso
motivo, in un incontro a tre, i partecipanti appartenenti ad una società dell’Occidente
saranno guidati dai doveri del loro ruolo e dal senso di responsabilità verso il paese
ospite, mentre questo non è necessariamente il caso in una comunità di interpreti o per
un utente non occidentali, dove l’identità di gruppo, sociale, di etnia, possono essere
regolate da altre norme.
Pertanto, poiché
differenti sistemi linguistici e culturali non trovano una
corrispondenza in molte situazioni, da quali elementi si può dedurre la neutralità? E’
sufficiente dire che un interprete che non prende posizione in un’interazione e si limita a
tradurre parola per parola, frase per frase, è neutrale? In molti casi, il cliente chiede
all’interprete un incontro preliminare prima che inizi il processo di interpretazione e
prima che la controparte venga inclusa nell’evento comunicativo (Rudvin 2002: 220222).
Negli ultimi decenni, studi antropologici hanno sostenuto che l’idea dello
”osservatore silenzioso o invisibile” è in fin dei conti più un mito che un dato di fatto.
Criticando la propria metodologia di ricerca, gli antropologi hanno mostrato come la
presenza di una terza parte “invisibile” (nel loro caso l’antropologo che osserva
l’oggetto della sua ricerca) non può essere mai neutrale, ma necessariamente influenza
la situazione. Allo stesso modo, l’interprete non può essere neutrale, né tanto meno può
essere completamente invisibile. La sua presenza necessariamente condizionerà l’esito
dell’incontro. Per diventare impassibile, un interprete dovrebbe omettere le sue
personali esperienze, le sue opinioni, le sue emozioni siano esse positive o negative, la
sua cultura, così come le differenze strutturali e socioculturali inerenti alla sua lingua. Il
fatto di esprimere in prima persona, come dovrebbe fare un interprete, i pensieri di un
altro soggetto, è una prova della sua impassibilità, ogni aneddoto personale non solo
deve essere omesso, ma è considerato fuorviante, così come lo è qualsiasi forma di
partecipazione o di espressione delle proprie emozioni. Anche la posizione fisica e
36
spaziale dell’interprete deve contribuire a creare un senso di invisibilità (Rudvin 2002:
223-224).
Riprendendo per un attimo la dicotomia società occidentale individualista vs
società tradizionali socio centriche, tale distinzione pare fondamentale per comprendere
il modo in cui la personalità e l’identità riflettono le strutture sociali e come ciò si
riflette nei modelli comunicativi. L’autrice riprende il modello di Karmela Liebkind
sulla costruzione dell’identità, che considera un fenomeno profondamente legato alla
cultura e sostiene che “who share particular concerns are predisposed by social
structure to interact in particular situations and bring to bear particular interactional
skills and resources” (Liebkind 1992: 158). In tal modo, ciascun interprete trasferisce
nell’evento comunicativo modelli comportamentali linguistici e paralinguistici e un
diverso modo di intendere la sua personalità e le sue esperienze precedenti in relazione
agli altri. Applicando quanto detto all’interprete di comunità, possiamo concludere che
la costruzione della personalità di ciascun interprete è unica, in accordo con la sua
identità di gruppo. Non solo il comportamento linguistico, che include le formule di
cortesia e di saluto sarà regolato dalla reciproca comprensione di questa relazione, ma
anche le aspettative dell’interprete sul peso e la funzione delle istituzioni e sul ruolo che
i fornitori di servizi hanno nelle stesse (Rudvin 2002: 225-226).
1.9 L’INTERPRETAZIONE DI TRATTATIVA IN AMBITO GIUDIZIARIO
Nella letteratura sull’interpretazione di trattativa, l’ambito più importante è certamente
quello giudiziario (Garwood 2005: 149). Probabilmente tale interesse si spiega con il
fatto che, almeno nella cultura occidentale, il diritto fondamentale è che “tutti siamo
uguali davanti alla legge”. Ciò significa che ogni persona coinvolta in un processo
penale o civile che non sa la lingua in cui questo si svolge, deve essere messa nella
stessa condizione di tutti gli altri cittadini tramite l’aiuto di un interprete. Questo diritto
è sancito dall’articolo 6 della “Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti
dell’uomo e delle libertà fondamentali” dal titolo “Diritto a un equo processo”.
Purtroppo la formulazione di questo articolo è molto generica.
1 Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente,
pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un tribunale
indipendente e imparziale, costituito per legge, il quale sia chiamato a
37
pronunciarsi sulle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile o
sulla fondatezza di ogni accusa penale formulata nei suoi confronti. La
sentenza deve essere resa pubblicamente, ma l’accesso alla sala
d’udienza può essere vietato alla stampa e al pubblico durante tutto o
parte del processo nell’interesse della morale, dell’ordine pubblico o
della sicurezza nazionale in una società democratica, quando lo esigono
gli interessi dei minori o la protezione della vita privata delle parti in
causa, o, nella misura giudicata strettamente necessaria dal tribunale,
quando in circostanze speciali la pubblicità possa portare pregiudizio
agli interessi della giustizia.
2 Ogni persona accusata di un reato è presunta innocente fino a quando
la sua colpevolezza non sia stata legalmente accertata.
3 In particolare, ogni accusato ha diritto di:
a) essere informato, nel più breve tempo possibile, in una lingua a lui
comprensibile e in modo dettagliato, della natura e dei motivi
dell’accusa formulata a suo carico;
b) disporre del tempo e delle facilitazioni necessarie a preparare la sua
difesa;
c) difendersi personalmente o avere l’assistenza di un difensore di sua
scelta e, se non ha i mezzi per retribuire un difensore, poter essere
assistito gratuitamente da un avvocato d’ufficio, quando lo esigono
gli interessi della giustizia;
d) di esaminare o far esaminare i testimoni a carico ed ottenere la
convocazione e l’esame dei testimoni a discarico nelle stesse
condizioni dei testimoni a carico;
e) farsi assistere gratuitamente da un interprete se non comprende o
non parla la lingua usata in udienza (www.echr.coe.int/nr/rdonlyres/Od3304d1-f396414a-a6c1-97b316f9753a/O/italianitalien.pdf).
Come nota Garwood, il primo fattore che distingue e rende più complessa
l’interpretazione di trattativa in ambito giudiziario rispetto a quello medico o
commerciale è il setting, che in ambito giudiziario è fortemente regolamentato e lo è sia
per quanto riguarda i comportamenti, che il linguaggio di tutte le persone coinvolte nel
processo in tutte le sue fasi. L’autore riprende a tal proposito la citazione di Niska
(1995: 294):
Legal proceedings are among the most strictly regulated activities in all human
societies. From arrest to verdict, from charge to indemnification, the road is
38
meticulously stalked out by laws and regulations. At every stop along the way, people
with well-defined professional roles play their different parts and carry out their
expected duties. There are strict rules for the linguistic and non-linguistic behaviour of
legal profession in court, and the physical setting is, likewise, highly standardized.
Everyone, even the lay people involved (defendants, witnesses, litigants) knows his or
her place, literally. For parties to a legal proceeding in one country who come from
another country with different norms and conventions, the whole procedure may seem
an extremely strange and even frightening.
Questa forte regolamentazione riguarda anche l’interprete. In contesti differenti da
quello italiano, viene stabilito non soltanto dove deve stare, quando deve parlare, come
deve comportarsi, ecc., ma viene specificato in codici deontologici, linee guide e norme
dei tribunali e quant’altro il modo in cui l’interprete deve tradurre. Anche negli ambiti
medico e commerciale il setting è regolamentato, nel senso che esistono dei
comportamenti, delle procedure e un lessico ben precisi, ma non hanno lo stesso impatto
e le stesse conseguenze dell’ambito giudiziario. Il setting giudiziario, fortemente
regolamentato e intimidatorio, crea delle difficoltà maggiori all’interprete (Garwood
2005: 149-150).
Riportiamo inoltre la citazione di González et al. (1991: 25) anche se un po’
datata dell’interpretazione in ambito legale:
Legal interpretation refers to an interpretation that takes place in a legal setting as a
courtroom or an attorney’s office, wherein some proceeding or activity related to law is
conducted. Legal interpretation is subdivided according to the legal setting into (1)
quasi-judicial and (2) judicial interpreting or what is normally referred to as court
interpreting.
In tutti e tre gli ambiti (commerciale, medico e giudiziario), come ribadisce
l’autore, l’interprete deve avere un’ottima conoscenza della terminologia specifica del
settore nelle due lingue per poterla tradurre adeguatamente. Nel campo giudiziario,
però, non si tratta solo di trovare delle equivalenze dirette, poiché il sistema giudiziario
che sta dietro i vari termini e concetti giudiziari varia da cultura a cultura. All’interno
della stessa Europa, vi sono enormi differenze tra il diritto romano e il diritto
anglosassone, tra un inquisitional system e un sistema avversativo, ma queste differenze
crescono nel caso di sistemi giudiziari di tipo orientale. Perfino in paesi che
39
condividono le stesse lingue, la terminologia usata in campo giudiziario spesso varia da
un paese all’altro. L’interprete deve quindi avere una buona conoscenza dei due sistemi
giudiziari per poter trovare traduzioni per termini che spesso sembrano intraducibili.
Rispetto all’ambito medico e commerciale, la terminologia specifica in campo
giudiziario risulta ancora più difficile da tradurre proprio a causa delle differenza nei
sistemi giudiziari.
Inoltre, secondo Garwood, l’interprete giudiziario non deve soltanto tradurre il
linguaggio giudiziario. Esso viene utilizzato di solito soltanto dalle figure professionali
nel sistema giudiziario, ovvero giudici, avvocati, magistrati, ecc. Le altre figure,
l’imputato, i testimoni, ecc. usano spesso versioni non standard di una lingua. Ma
l’interprete deve tradurre fedelmente tutto ciò che viene detto da tutte le persone
presenti, rendendo fattori come il livello sociale, livello di istruzione, registro, stile.
Esistono numerosi dialetti e sotto-dialetti di una stessa lingua, è necessario dunque che
l’interprete in ambito giudiziario, più che negli altri ambiti, abbia un’ottima conoscenza
di molte varietà della stessa lingua (Garwood 2005: 151-152).
Il linguaggio giuridico si dice da più parti può risultare estremamente ambiguo,
equivoco ed inaccessibile. Le caratteristiche principali che accomunano il linguaggio
giuridico a quello medico, economico, ecc. così come designate da González et al.
(1991: 254-256) sono:
•
uso di parole comuni dotate di significati specialistici;
•
uso del gergo professionale;
•
uso di vocaboli e frasi latine;
•
uso di parole ambigue;
•
estrema precisione di linguaggio;
•
frequente uso di termini formali;
•
uso della ridondanza.
Garwood ritiene che vi sia un’altra differenza tra l’ambito medico/commerciale e
quello giudiziario. L’interpretazione è soprattutto un atto di comunicazione ed un
principio fondamentale della comunicazione è l’intenzione di comunicare. Di
conseguenza, in una situazione dialogica, i partecipanti di solito collaborano tra loro,
cercano non solo di farsi capire, ma anche di capire gli altri. Tale collaborazione è
40
scontata in ambito commerciale, entrambe le parti, infatti, sono interessate ad arrivare
ad un accordo reciprocamente vantaggioso e le trattative spesso riguardano le
condizioni per concluderlo. Per arrivare ad un accordo è necessario che via sia
collaborazione (Garwood 2005: 153). In ambito medico la collaborazione è ancora più
evidente: il paziente vuole essere curato e il medico vuole curare il paziente. In campo
giudiziario, la situazione è differente. In particolare nei sistemi giudiziari anglosassoni,
non solo non vi è alcuna collaborazione, ma spesso l’accusa cerca di far dire
all’accusato/imputato ciò che vuole l’accusa stessa, utilizzando negli interrogatori tutta
una serie di espedienti che possono risultare anche aggressivi. Questo atteggiamento di
non collaborazione pone numerose difficoltà all’interprete.
Infine, ricordiamo due aspetti molto importanti anche dell’interpretazione
giudiziaria: 1) la questione della neutralità e 2) lo stress psicologico. In paesi in cui vi è
un codice deontologico per l’interpretazione giudiziaria, viene sempre richiesta la
neutralità o imparzialità agli interpreti giudiziari. L’interprete si trova infatti “in mezzo”
e ambedue le parti cercano di tirarlo dalla loro. Poiché l’interprete d’ufficio è pagato
dallo Stato, le istituzioni tendono a considerarlo di parte, specialmente se lavora spesso
con le stesse persone. Ma anche l’imputato, dal suo canto, soprattutto se l’interprete
appartiene alla sua stessa nazionalità o al medesimo gruppo etnico, spesso crede o
pretende che l’interprete stia dalla sua parte. Per quanto riguarda lo stress, il lavoro già
stressante dell’interprete diventa ancora più pesante in ambito giudiziario. Molti
interpreti si lamentano di traumi psicologici, ma pare si faccia poco nella formazione
per risolvere il problema.
L’autore ci riferisce che, uno studio svolto per Babelea, un’associazione europea
di agenzie di interpretazione, ha mostrato che solo il 10% dei corsi di formazione per
interpreti affrontavano il problema della gestione dello stress. Tale lacuna può avere
profondi effetti sulla qualità di vita dell’interprete, ma anche sulla qualità
dell’interpretazione (Garwood 2005: 154-155).
Concludiamo dicendo che la formazione di un interprete in ambito legale non può
essere generica. Oltre allo studio della terminologia specifica e dei sistemi giudiziari,
sono necessari moduli specifici per rendere visibili le versioni standard e non standard
di una lingua, moduli per affrontare la questione della non-collaborazione e moduli per
gestire gli aspetti psicologici, dallo stress alle situazioni emotive delicate.
41
1.9.1 LE DIFFERENZE CULTURALI NELL’INTERPRETAZIONE LEGALE
E’ utile soffermarci un attimo sulle conseguenze che inconsapevolmente le differenze
culturali possono provocare nell’interpretazione in ambito legale. Su alcuni aspetti ha
indagato Rudvin (Rudvin 2003b: 188). Mentre nelle società tradizionali, la forma diretta
del dialogo è la norma, ciò non è valido per quelle società in cui la cortesia si esprime
attraverso la forma indiretta. Presso gli Aborigeni Australiani, per esempio, per ottenere
un’informazione si ricorre a “giri di parole” senza mai usare la forma diretta e si tratta di
un duplice processo. Le domande dirette sono considerate scortesi così come lo sguardo
fisso negli occhi. L’inglese degli Aborigeni non ha specifiche strutture grammaticali per
formulare domande dirette, ma fa ricorso all’intonazione e a formule retoriche a fine
della frase.
Inoltre, il concetto di verità e l’idea dell’inchiesta/interrogatorio, fondamentali
nelle società occidentali, non è universale. L’autrice riprende una definizione data da un
noto antropologo, Jan Vansina (1985: 129), il quale afferma che:
“historical truth is also a notion that is culture specific.[…] In many countries truth is
what is being faithfully repeated as content and has been certified as true by the
ancestors. But sometimes truth does not include the notion that x and y really
happened”.
Secondo quanto afferma un altro autorevole antropologo (Foley 1998) “swearing
to tell the truth and nothing but the truth” può essere potenzialmente più complesso in
una situazione in cui diverse culture si incrociano che in una tradizione occidentale
monolingua.
Gli interrogatori in cui si susseguono domande e risposte e che costituiscono parte
integrante dei tribunali di stampo occidentale, possono trasformarsi in una insofferenza
comunicativa per gli imputati e il disagio percepito può essere frainteso e considerato
una prova di slealtà dagli attori coinvolti in un processo. Un testimone dovrebbe usare
espressioni mitigate o parafrasi durante il controinterrogatorio, che potrebbero però
essere giudicate inappropriate dal giudice o, nel caso delle metafore, esse dovrebbero
essere usate per esprimere dati reali, ma potrebbero facilmente compromettere la
42
veridicità delle affermazioni nei confronti del giudice o generare fraintendimenti e
determinare così un esito sfavorevole del processo. D’altro canto, il silenzio e
l’esitazione possono essere interpretati come deviazioni dal discorso o mancanza di
collaborazione, mentre in realtà un imputato potrebbe semplicemente star meditando
una risposta. Il silenzio, dunque, può essere inteso anche come un segno di rispetto che
permette all’interlocutore di riflettere su ciò che viene detto (Rudvin 2003b: 189-190).
1.10 UNO SGUARDO ALL’EUROPA: DAL PROGETTO GROTIUS I AL
PROGETTO GROTIUS II
Le problematiche relative al traduttore-interprete di tribunale non sono le stesse in tutti
gli Stati membri dell’Unione Europea. Per tale ragione, si è avvertita l’esigenza di una
omogeneizzazione per giungere ad una standardizzazione del curriculum europeo
relativo a questa figura e si è sentita la necessità di creare un codice deontologico
uniforme in tutta la UE (Alimenti 2005: 161).
In Italia è risaputo che la figura dell’interprete di tribunale è sminuita rispetto ad
altre tipologie di interpretazione, a causa di una inadeguata formazione o per la
mancanza di informazione relativa a tale figura professionale. Ciò non vale per gli altri
stati europei. Ad esempio, in Inghilterra esiste un settore di specializzazione accademica
per l’interprete di tribunale denominato legal option, che comprende insegnamenti di
diritto, di terminologia, accanto a quelli relativi alla pratiche e alle procedure dei
tribunali penali e civili e degli uffici di polizia.
In Austria, invece, questa figura è tutelata giuridicamente in quanto esiste una
legge emanata nel 1975, che stabilisce i principi giuridici da applicare all’interpretetraduttore di tribunale, che, è bene precisare, in Austria rappresenta un’unica figura.
In Germania non vi è una formazione specifica, ma vi sono ottimi corsi di
traduzione e interpretariato a livello regionale che, tra l’altro, prevedono l’insegnamento
della terminologia giuridica in tedesco (Alimenti 2005: 161-162).
In Francia, la figura dell’interprete non è omogenea, presenta numerose
sfaccettature. Gli elementi che caratterizzano l’interprete di tribunale sono vari. Il
principale è l’appartenenza o meno all’elenco ufficiale degli esperti presso la Corte
d’Appello. I magistrati della Corte d’Appello richiedono da parte degli interpreti un
43
buon livello di cultura generale. Gli studenti universitari possono dal loro canto offrire il
proprio aiuto per le lingue più rare. La categoria dei traduttori-interpreti è l’unica
categoria presente nell’elenco degli esperti presso le Corti d’Appello, per la quale si
accetta di ricorrere a dilettanti, ovvero a persone che non svolgono la professione di
interprete. E’ l’unica categoria presente anche in elenchi ufficiosi. Spesso gli interpreti
entrano nell’ambiente giudiziario per vie traverse.
In Spagna, invece, per i traduttori-interpreti che lavorano presso per il Ministero
di Giustizia vi sono tre possibilità lavorative: 1) personale stabile di ruolo; 2) personale
temporaneo; 3) i collaboratori autonomi, che sono dei professionisti iscritti ad una lista
creata dalla Gerencia de las Delegaciones Provinciales del Ministero di Giustizia. Si
tratta di specialisti in traduzione e/o interpretariato che lavorano in proprio, di
traductores jurados che conoscono una o più lingue straniere. Tali persone entrano nel
mondo della giustizia per vie diverse, a volte in modo informale, grazie ad esempio
all’ufficio di collocamento, alle ambasciate o presentandosi spontaneamente presso gli
uffici giudiziari e dichiarando le proprie capacità in una o più lingue. Per apparire nella
lista degli interpreti non vi sono dei criteri chiari. Generalmente è sufficiente conoscere
una o più lingue e in certi casi presentare il proprio curriculum. Inoltre, è opportuno
tener presente che esiste autonomia di gestione da parte delle province (Alimenti 2005:
162).
Per quanto riguarda l’Olanda, infine, il governo è responsabile della fornitura di
servizi di interpretariato e traduzione nei processi ed in qualsiasi rapporto tra cittadini e
servizi pubblici. A seguito di una serie di lamentele sulla qualità del servizio di
interpretariato presso i tribunali e gli uffici per l’immigrazione, nel 1997 venne istituto
un gruppo di lavoro nazionale per studiare il problema e consigliare i ministri. Vennero
identificate sei aree problematiche:
1) Il sistema remunerativo;
2) La scarsità di interpreti-traduttori per certe lingue;
3) Il coordinamento dell’uso di interpreti-traduttori all’interno del Ministero di
Giustizia e del governo;
4) La qualità del servizio;
5) Il controllo delle spesa;
6) L’integrità.
44
Queste proposte prevedono che vengano fissati dei criteri uniformi per decidere
sulla qualità e l’istruzione di interpreti-traduttori, introdotte certificazioni della qualità
di interpreti-traduttori, fissati standards di qualità e criteri per la qualifica di interpreti e
di traduttori in determinate circostanze, creato un sistema di uniformità di tariffe,
trasformati i centri per interpreti in un unico centro di coordinamento (Alimenti
2005:163).
Questo breve excursus sulle varie realtà europee, così come proposto da Alimenti,
mette in luce il fatto che l’interprete penale soffre di una mancanza di riconoscimento,
ma ciò è dovuto anche all’assenza di regole chiare. Inoltre non essendo strutturata, la
figura dell’interprete-traduttore sfugge ad ogni controllo, ecco perché è un’attività che
può esercitare anche un dilettante. E’ per tale motivo che si è sentita la necessità di
intervenire sulla formazione dell’interprete-traduttore a livello europeo, per assicurare la
coerenza con le effettive necessità con l’ambito in cui presta il suo servizio.
Tra il 1996 e il 2000 il Consiglio d’Europa aveva adottato un programma di
scambi destinato agli operatori di giustizia, volto a facilitare la cooperazione giudiziaria
tra gli Stati membri, mediante una migliore conoscenza reciproca dei rispettivi sistemi
giuridici e giudiziari. L’iniziativa era rivolta a tutti gli operatori di giustizia e anche agli
interpreti-traduttori presso i tribunali. Le problematiche relative alla formazione, ad uno
statuto, all’esistenza di codici deontologici e di buona condotta, ad un eguale standard di
servizi, cominciarono ad essere discussi nella conferenza di Tampere in Finlandia e in
seguito anche dai partecipanti al progetto Grotius I avviato nel 1998, che inizialmente
erano il Belgio, la Danimarca, la Spagna e l’Inghilterra (Alimenti 2005: 163-164).
Il principio fondamentale a cui si ispira il progetto Grotius è la possibilità di
uguale accesso alla giustizia attraverso la lingua e la cultura. Il programma è finalizzato
a incentivare e ottimizzare gli scambi tra gli operatori di giustizia dei vari Paesi. Nel
concreto il programma si propone di promuovere la conoscenza, tra gli Stati membri,
dei rispettivi ordinamenti giuridici e giudiziari.
Il progetto della durata di due anni mira a stabilire delle equivalenze negli
standards dell’interprete-traduttore di tribunale nella UE (Corsellis et al. 2003: 294). Gli
standards minimi sono:
1) Selezione;
45
2) Formazione;
3) Valutazione;
4) Pratica professionale.
Ma anche il contesto professionale e le convenzioni interdisciplinari tra linguisti e altri
professionisti che lavorano nel settore legale. Il termine interprete-traduttore è stato
scelto per due ragioni: 1) il processo legale è formato da una serie di procedimenti e
coinvolge una serie di “attori”; 2) il termine preclude la tentazione di definire linguisti
gli interpreti per la polizia o per le carceri. Nel progetto vi erano due partecipanti per
ognuna delle cinque istituzioni coinvolte e appartenenti ai quattro Paesi (Belgio,
Danimarca, Spagna, Inghilterra) e uno solo della sesta istituzione. Per due anni i
partecipanti si incontrarono in paesi diversi. Inoltre vennero organizzati due convegni
della durata di 2-3 giorni che coinvolsero un gruppo ampiamente rappresentativo dei
quattro paesi: uno dedicato ai formatori e l’altro agli operatori del settore legale.
Nel corso del progetto vennero stilate una serie di raccomandazioni, soprattutto di
tipo pratico, al fine di promuovere la realizzazione delle equivalenze necessarie. Le
raccomandazioni costituivano dei punti di partenza sulla base dei quali valutare i
risultati raggiunti in ciascun paese coinvolto. In particolare, si riconobbe che quattro
fattori dovevano essere realizzati:
1) riconoscimento ufficiale della professione di interprete-traduttore legale;
2) stabilire un minimo comune di obiettivi da raggiungere in ogni paese;
3) incremento delle risorse e dei finanziamenti nel settore legale;
4) favorire la cooperazione tra i paesi coinvolti (Corsellis et al. 2003: 295298).
Analizziamo ora più da vicino gli standards minimi. Il primo è la selezione. I
criteri e i processi di selezione sono fondamentali per superare le inevitabili tensioni tra
i professionisti del linguaggio da una parte e i servizi pubblici, interessati ad ottenere
interpreti e traduttori qualificati, dall’altra.
Per quanto riguarda la formazione, sono stati proposti corsi a due livelli per
fornire una gamma di opportunità. Il livello più basso è un livello di primo grado. I
benefici di questo livello sono doppi: permette di incontrare bisogni immediati e di
46
fornire l’accesso ai livelli più alti. E’ necessario avere dei formatori competenti,
pertanto sono richiesti interpreti legali e traduttori con esperienza per trasmettere le loro
abilità. È necessario inoltre che anche l’insegnamento sia di qualità. Il team ideatore del
progetto considerò attentamente la questione dei livelli di valutazione, cercando di
conciliare l’ideale con il possibile. L’ideale richiederebbe abili linguisti laureati in
lingue in tutta Europa. Il possibile, invece, prevede la formazione di candidati ritenuti
idonei.
Per quanto riguarda le tecniche di valutazione, il criterio per valutare la
performance dovrebbe essere stabilito sulla base del livello di competenza richiesto ad
interpreti-traduttori in ambito legale. Le professioni più vecchie hanno sempre avuto
registri nazionali professionali. I servizi legali preferiscono una lista nazionale di
interpreti-traduttori legali, organizzata in base a criteri precisi. I criteri di registrazione
sono relativamente semplici da stabilire e vanno oltre la questione della qualificazione
per comprendere ad esempio l’assenza di precedenti penali. Le liste devono
comprendere codici deontologici o di buona condotta. Ovviamente i codici devono
essere accessibili a tutti coloro che ne hanno bisogno e devono essere regolarmente
aggiornati.
Per quanto riguarda l’ultimo standard infine, ovvero la pratica professionale, gli
elementi da considerare sono numerosi. Le raccomandazioni, infatti, non includono solo
l’osservanza dei codici deontologici, ma anche linee guida di buona condotta per
linguisti e personale dei servizi legali (Corsellis et al. 2003: 299-302).
Poiché gli interpreti e i traduttori lavorano da soli, essi traggono vantaggio in vari
modi. La supervisione è una forma di controllo della qualità. La supervisone può e
dovrebbe essere necessaria in ogni fase della vita professionale. Il mentoring è invece
un metodo meno formale di supporto, in cui ciascun professionista sceglie uno o più
colleghi maggiormente esperti a cui rivolgersi per chiedere un consiglio o una
collaborazione professionale.
Infine, secondo gli autori, due principali linee di comunicazione dovrebbero
essere stabilite: la prima all’interno della professione stessa, per esempio, i requisiti per
una buona pratica professionale dovrebbero includere formazione, valutazione e
registrazione e la seconda dovrebbe essere stabilita tra professionisti da una parte,
47
singoli individui e strutture rilevanti a livello locale, nazionale ed internazionale non
inerenti la professione, dall’altra (Corsellis et al. 2003: 302-303).
Tutte le necessità espresse nell’ambito del progetto Grotius I sono state ampliate
nel progetto Grotius II a cui hanno partecipato altri Stati membri (Alimenti 2005: 165).
Il progetto Grotius II ha gettato le basi per un lavoro interdisciplinare tra le autorità
giudiziarie ed i traduttori-interpreti di tribunale, nell’intento di stabilire degli standards
sui codici deontologici e di buona prassi, cercando di elaborare dei modelli per creare
un percorso qualitativo globale per la traduzione e l’interpretariato presso i tribunali. Si
è anche occupato della formazione di interpreti-traduttori giudiziari, ribadendo la
necessità di una cooperazione tra interpreti-traduttori ed accademici, che promuova
l’incontro dell’esperienza pratica dei primi con la preparazione accademica dei secondi.
Sarebbe auspicabile infine la formazione dei formatori a livello europeo (Alimenti
2005: 165-166).
1.11 IL DIRITTO ALLA DIFESA: NORMATIVA INTERNAZIONALE
Il diritto alla difesa presuppone necessariamente che l’imputato sia messo al corrente del
processo, acceda al suo contenuto in una forma comprensibile, possa seguire le
dichiarazioni, l’interrogatorio e il dibattito nell’udienza e possa aver diritto ad un
interprete per farsi capire dal suo avvocato e dal tribunale (Del Arco 2007: 191).
Come ci ricorda l’autore, il primo testo internazionale in cui vengono contemplati
questi diritti proviene dal Consiglio d’Europa, è la “Convenzione Europea per la
salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali” siglata a Roma il 4
novembre del 1950. Nell’articolo 5.2 si dice che: “Ogni persona arrestata deve essere
informata, al più presto e in una lingua a lei comprensibile, dei motivi dell'arresto e di
ogni accusa elevata a suo carico” e all’interno dei diritti contemplati per tutti gli
imputati, all’interno di un processo equo, è fondamentale l’articolo 6, che abbiamo
ricordato al paragrafo 1.8.
In seguito, in sede delle Nazioni Unite, il Patto Internazionale sui Diritti Civili e
Politici (New York, 16 dicembre 1966) stabilisce all’articolo 14.3 che:
Ogni individuo accusato di un reato ha diritto, in posizione di piena eguaglianza, come
minimo, alle seguenti garanzie:
48
a) ad essere informato sollecitamente e in modo circostanziato, in una lingua a lui
comprensibile, della natura e dei motivi dell'accusa a lui rivolta;
f) a farsi assistere gratuitamente da un interprete, nel caso egli non comprenda o non
parli la lingua usata in udienza.
Più recentemente, lo Statuto di Roma della Corte Penale Internazionale (17 luglio
1998), risulta molto più preciso in materia. All’articolo 55 “Diritti delle persone durante
l’indagine” al paragrafo 1 si dice che:
1. Nell’ambito di un’inchiesta aperta in applicazione del presente Statuto una persona:
c) beneficia a titolo gratuito, se non è interrogata in una lingua che comprende e parla
senza difficoltà, dell’assistenza di un interprete competente e di tutte le traduzioni rese
necessarie da esigenze di equità”.
Inoltre all’articolo 67 “Diritti dell’imputato” paragrafo 1 si dice che:
1. Nell’accertamento delle accuse, l’imputato ha diritto ad una pubblica ed equa udienza
condotta in modo imparziale, tenendo conto delle disposizioni del presente Statuto e ha
diritto almeno alle seguenti garanzie minime, in piena uguaglianza:
a) essere informato prontamente e dettagliatamente sulla natura, il motivo e il contenuto
delle accuse, in una lingua che egli comprende e parla perfettamente; […]
f) avere gratuitamente l’assistenza di un interprete qualificato e delle traduzioni
necessarie per soddisfare i requisiti di equità, se non è in grado di comprendere e di
parlare perfettamente la lingua utilizzata nelle procedure seguite dinanzi alla Corte o nei
documenti presentati alla stessa.
All’interno dell’Unione Europea, il provvedimento sistematico di questi diritti si
ha nel Libro Verde della Commissione “Garanzie procedurali a favore di indagati e
degli imputati in procedimenti penali nel territorio dell’Unione Europea” (febbraio
2003) che darà luogo nell’aprile del 2004 ad una proposta di Decisione Quadro del
Consiglio d’Europa relativa a determinati diritti processuali nei processi penali celebrati
nell’Unione Europea. Proposta però molto incerta e contrastata da diversi Stati Membri,
che determinò un alleggerimento del contenuto della stessa, discussa nuovamente nelle
successive riunioni del Consiglio su questioni di Giustizia e Affari Interni (Del Arco
2007: 190-191).
Il Libro Verde, ispirato ai risultati conseguiti dal progetto Grotius, in particolare si
concentra su 5 aspetti di tutela giuridica: 1) il diritto all’assistenza legale e all’assistenza
49
linguistica mediante un interprete; 2) il diritto alla traduzione di documenti rilevanti; 3)
il diritto del sospetto all’informazione; 4) la protezione dei gruppi vulnerabili; 5)
l’assistenza consolare (Hertog et al. 2007: 157).
50
CAPITOLO II
LA FIGURA DEL MEDIATORE
2.1 INTRODUZIONE ALLA MEDIAZIONE: LE VARIE ACCEZIONI
Iniziamo la sezione dedicata alla figura del mediatore partendo dalla terminologia che
spesso e volentieri dà luogo ad equivoci. Il verbo mediare e il sostantivo “mediazione”,
infatti, possono assumere vari significati a seconda dei contesti. Cercheremo nei primi
paragrafi di analizzare le varie accezioni della mediazione, prima di addentrarci nello
studio della mediazione linguistico-culturale, oggetto della nostra indagine.
Il sostantivo mediazione è spesso accompagnato da vari aggettivi: linguistica,
culturale, interculturale, linguistico-culturale, sociale o socioculturale. Il termine in sé
ingloba l’idea di traduzione scritta e interpretazione linguistica (Mack 2005: 7-8).
Secondo quanto affermato dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali in un
documento apparso sul sito internet dello stesso nel 2003:
Il mediatore culturale è uno straniero che, a seguito di un percorso formativo specifico,
ha acquisito una professionalità nell’ambito della comunicazione interculturale. Egli,
infatti, si distingue dall’operatore italiano, dal semplice traduttore professionista non
necessariamente formato all’empatia culturale, dal mediatore occasionale, sia esso un
volontario, un parente, un amico o un connazionale. Provenendo dagli stessi paesi
d’origine dei migranti, assicura interventi di interpretariato linguistico e di orientamento
culturale. Il mediatore, dunque, svolge la funzione di tramite, di ponte, tra i bisogni dei
migranti e le risposte del servizio pubblico. Per stabilire un vero dialogo tra utenti
stranieri ed operatori dei servizi di pubblica utilità, oltre alla traduzione delle parole, è
necessaria una decodifica delle idee e dei comportamenti. Ogni lingua, infatti, veicola
messaggi, valori e credenze che sono elementi costitutivi della comunicazione: la loro
corretta interpretazione è alla base di un efficace dialogo interculturale (Mack 2005: 9).
Appare evidente, come nota l’autrice, che vi sono due accezioni di mediazione
nella lingua italiana: 1) quella usata dal terzo settore e in parte dal legislatore, secondo
cui il mediatore è generalmente uno straniero che ha il compito di agevolare la
51
comunicazione tra individui di lingua e cultura diversa e servizi italiani e 2) quella che
vede mediazione, interpretariato e interpretazione come elementi di una medesima
gerarchia in cui gli interpreti italofoni che lavorano con le lingue maggiormente diffuse
e insegnate nell’università, godono di maggior prestigio.
Al di là della questione terminologica, è opportuno tener presente che la persona
che “sta nel mezzo” sia esso mediatore o interprete deve: 1) essere consapevole del suo
ruolo e del contesto in cui di volta in volta opera e 2) essere consapevole degli effetti
della sua presenza e rendere trasparente il suo compito agli interlocutori (Mack 2005:
11).
2.1.2 LA MEDIAZIONE DEI CONFLITTI
Il termine mediare etimologicamente significa “dividere a metà”, “spartire”, ha una
carica semantica molto ricca e per certi versi ambivalente: significa infatti trovare un
punto d’incontro, ma anche scegliere una via di mezzo o cercare un compromesso. E’
appianare, smussare, tradurre, negoziare, trattare. Uno dei significati più interessanti è
quello che incontriamo in filosofia, dove indica la connessione tra una proposizione e
l’altra attraverso una o più proposizioni intermedie, proponendosi come la caratteristica
essenziale del processo discorsivo, che mediatamente e meditatamente, si svolge per
passaggi ragionevoli, successivi e interconnessi (Ceccatelli Gurrieri 2003: 15).
Sul piano concreto dell’agire, la mediazione è una prassi ternaria, discorsiva,
conciliatoria, assertiva, che sposta le interazioni conflittuali dalla logica “vincitori e
vinti” a quella “io vinco, tu vinci”, ove ogni contendente può trovare una ragionevole
ricomposizione e autolimitazione delle proprie pretese e ragioni. Quanto più le relazioni
sociali e culturali si moltiplicano e si complicano, tanto più la mediazione si rende
necessaria ed inevitabile: nella vita quotidiana e nelle interazioni tra i soggetti, a livello
istituzionale, nelle organizzazioni, sono innumerevoli le occasioni in cui cercare il
compromesso, negoziare significati, contrattare beni e servizi, trovare punti di
equilibrio, favorire lo scambio di beni e servizi. Il mediatore è dunque colui che facilita
l’intesa e lo scambio.
L’autrice parte dalla definizione di mediazione che dà Stefano Castelli (1996: 5):
52
la mediazione è un processo attraverso il quale due o più parti si rivolgono liberamente
a un terzo neutrale, il mediatore, per ridurre gli effetti indesiderabili di un conflitto. La
mediazione mira a ristabilire il dialogo tra le parti per poter raggiungere un obiettivo
concreto: la realizzazione di un progetto di riorganizzazione delle relazioni che risulti il
più possibile soddisfacente per tutti. L’obiettivo finale della mediazione si realizza una
volta che le parti sia siano creativamente riappropriate, nell’interesse proprio di tutti i
soggetti coinvolti, delle propria attiva e responsabile capacità decisionale.
Mentre sul piano teorico il concetto di mediazione trova il suo fondamento nella
filosofia europea, nella sua accezione pacifica e partecipata dei conflitti, la mediazione
si sviluppa istituzionalmente e si diffonde come elaborazione culturale negli Sati Uniti a
partire dagli anni Sessanta del secolo scorso. Il proliferare in quegli anni dei movimenti
di protesta contro la guerra in Vietnam, delle agitazioni studentesche, dei comitati di
difesa dei diritti civili, delle elaborazioni del movimento femminista, suscitarono un
profondo e acceso dibattito sull’inadeguatezza del tradizionale sistema giuridico e
normativo e sulla possibilità di creare alternative. A partire da quegli anni, le pratiche di
mediazione si erano già diffuse in molti degli States. Di quel periodo è l’istituzione in
ambito comunale dei “Neighborhood Justice Centers” (NJC), che offrivano servizi
gratuiti o a basso costo di mediazione in controversie di quartiere o vicinato, in conflitti
coniugali o familiari, o in vertenze economiche relative all’alloggio e al posto di lavoro.
Contemporaneamente si cominciavano a sviluppare iniziative di mediazione nei conflitti
internazionali, sia nell’ambito di organizzazioni pubbliche, sia attraverso la
mobilitazione di organizzazioni non governative (ONG), spesso di carattere religioso
(Ceccatelli Gurrieri 2003: 22-23). Nella seconda metà degli anni Sessanta si sviluppa in
California il progetto del “Community Board” (CB) di San Francisco, che rappresenta il
modello americano più articolato e concettualmente elaborato di mediazione dei
conflitti locali.
Come ci ricorda l’autrice, i primi tentativi di applicare in Europa questi modelli si
verificano negli anni Ottanta soprattutto in Francia e Germania. Il modello del CB di
San Francisco trova un riscontro metodologico nell’associazione “SOS-AggressionConflits” di Parigi, attraverso l’idea di fare della mediazione non solo una modalità di
composizione dei conflitti, ma anche un mezzo per promuovere, ricostruire e
trasformare le relazioni sociali all’interno di una comunità. Un’altra iniziativa
53
interessante è quella della “Boutique de droit” di Lione, che si radica nella società civile
della città, attraverso la metodologia delle interazioni di quartieri (Ceccatelli Gurrieri
2003: 23-24).
2.1.3 LA MEDIAZIONE GIUDIZIARIA: MEDIAZIONE DEI CONFLITTI
Un altro aspetto interessante della mediazione è costituito dalla mediazione giudiziaria.
Il Consiglio d’Europa con la legge n.19 del 15.9.1999 si è pronunziato affinché la
Mediazione possa divenire parte integrante dei sistemi della Giustizia, garantendo in
ogni stato e grado del processo la possibilità di svolgere attività mediatoria, la quale
può essere definita come “la ricerca ragionata della migliore soluzione di un conflitto”,
mentre il reato è il risultato di un conflitto tra le parti (una parte subisce un danno
morale o materiale). Il Confronto avviene tra vittima ed autore.
L’intervento di mediazione rappresenta il momento di consapevolezza e di
critiche dell’azione
e delle conseguenze e richiesta della vittima ad una attività
riparatoria. L’accordo invece è lo scopo finale dell’azione mediatrice, intesa come
ricomposizione del conflitto attraverso:
Il Risarcimento;
Riparazione delle Conseguenze;
Riconciliazione tra Vittima e Reo
(www.lexetjus.net/.../Libro%20La%20Giurisdizione%20e%20la%20Mediazione%20W
ORD%20... accesso 26/11/2009).
Chi scrive ha pensato di dedicare un breve e generico paragrafo alla mediazione
giudiziaria e alla figura del mediatore giudiziario per mostrane le somiglianze ma
soprattutto le differenze con l’interpretazione presso il tribunale.
A partire dagli anni Settanta del secolo scorso, si assiste ad una graduale
modificazione delle politiche penali europee, con un progressivo spostamento dal
modello
basato
sulla
“punizione”
verso
uno
maggiormente
orientato
alla
“riparazione”(Bonafé-Schmitt 1997: 21). Per spiegare tale slittamento, si parla di “un
modello penale mirante all’integrazione sociale”, oppure di “una politica criminale
partecipativa”. Si tratta di proposte basate sull’ideologia della prevenzione,
dell’inserimento sociale e dell’individualizzazione della soluzione repressiva e della
54
partecipazione della comunità al lavoro giudiziario. Le differenti formule della
mediazione giudiziaria sembrano seguire questa evoluzione della politica giudiziaria
verso un modello più consensuale di gestione dei conflitti, facendo appello alla
partecipazione attiva degli autori di reato e delle vittime per la ricerca di soluzioni al
loro conflitto, con l’aiuto dei mediatori. Ciò non significa però che la mediazione possa
considerarsi un’alternativa alla giustizia (Bonafé-Schmitt 1997: 22-23).
In passato, un gran numero di conflitti erano regolati nelle famiglie, nei quartieri,
nelle aziende da autorità morali, quali per esempio il maestro di scuola, il sindaco, il
sacerdote. Tuttavia, i fenomeni di industrializzazione e di urbanizzazione, la mobilità
sociale, l’immigrazione e i mutamenti socio-economici hanno messo in crisi questi
luoghi o strutture di socializzazione e regolazione. Il crollo delle strutture intermedie tra
lo Stato e la società civile mostra che l’intervento della giustizia è invocato sempre più
spesso per regolare conflitti che non costituiscono infrazioni penali e la cui risoluzione
discende più da interventi di carattere sociale, che da un’azione giuridica classica.
Potremmo affermare in maniera semplicistica che lo sviluppo delle esperienze di
mediazione giudiziaria è direttamente da attribuire alle politiche stabilite agli inizi degli
anni Settanta, che sancivano una rottura con le politiche penali tradizionali (BonaféSchmitt 1997: 22-25).
Nel processo penale, le parti e soprattutto le vittime hanno un ruolo marginale.
Nel corso del procedimento giudiziario, le vittime sono rappresentate dai propri
avvocati, le udienze sono private di ogni emozione attraverso l’utilizzazione di un
rituale giudiziario, di un linguaggio codificato, di classificazioni legali. Con le nuove
politiche penali, si assiste ad un’inversione di tendenza, con un ruolo più importante
accordato alla vittima, in particolare in materia di risarcimento del danno subito con
l’instaurazione della commissione di indennizzo alle vittime.
La mediazione giudiziaria in tal senso amplificherebbe questa evoluzione,
rendendo la riparazione del danno un affare diretto tra le parti e non più privilegiato
dello Stato. Essa introduce un’ importante modificazione nello svolgimento del
processo penale tradizionale, in quanto restituisce alle parti il potere di negoziare la
soluzione al loro conflitto nella misura in cui il mediatore non dispone di alcun potere di
chiudere il dissidio o di imporre la sua decisione alle parti.
55
Nel processo penale la vittima ha un ruolo marginale, che si limita alla difesa dei
suoi interessi civili; la mediazione, invece, ne fa un attore esattamente come l’accusato.
La mediazione permette una migliore considerazione degli interessi materiali e morali
delle parti in conflitto (Bonafé-Schmitt 1997: 25-27).
Attualmente, come sostiene l’autore, la mediazione penale è ridotta ad una
semplice tecnica di gestione dei conflitti, ad una modalità di esercizio dell’azione
pubblica e questa visione restrittiva non permette di considerare la mediazione come
un’altra modalità per la risoluzione dei conflitti.
Favorendo lo sviluppo delle esperienze di mediazione, lo Stato cerca di
incoraggiare il coinvolgimento del movimento associativo nella gestione dei conflitti.
Ciò è particolarmente evidente in ambito penale con la mobilitazione delle associazioni
di aiuto alle vittime e di controllo giudiziario. Inoltre, bisogna tenere presente che, nel
sistema penale tradizionale, l’accento è posto sulle questioni di ordine pubblico, sulle
infrazioni alla legge, senza tener conto dei problemi creati alla comunità. Nel quadro
della mediazione, la comunità ha un ruolo diretto, non solamente attraverso l’intervento
dei mediatori, ma anche favorendo il reinserimento degli autori dei reati e la loro nonesclusione o la loro stigmatizzazione, come avviene nei procedimenti penali
tradizionali.
La mediazione, inoltre, si fonda su un altro paradigma della gestione dei conflitti,
offrendo non solo la possibilità ai rei di riparare il danno arrecato, ma anche favorendo
un reinserimento nella comunità, attraverso l’utilizzo della mediazione che ha come
obiettivo primario la ricostruzione del tessuto sociale (Bonafé-Schmitt 1997: 28-29).
La mediazione in ambito giudiziario si può definire come “un processo, il più
delle volte formale, attraverso il quale una terza personale neutrale tenta, attraverso
l’organizzazione di scambi tra le parti, di permettere a esse di confrontare i propri punti
di vista e di cercare con l’aiuto del mediatore una soluzione al conflitto che li
oppone”(1997: 36). In tal senso la mediazione implica che essa sia realizzata da una
terza persona, imparziale, indipendente e qualificata, il cui ruolo si limita ad aiutare le
parti a trovare una soluzione.
Bonafé-Schmitt ritiene che la mediazione dei conflitti tra vittime e autore di reato
sia una delle più importanti espressioni della giustizia riparativa. La finalità è quella di
facilitare la risoluzione del conflitto tra le parti coinvolte, offendo l’opportunità di
56
esprimere i bisogni e di fornire le informazioni necessarie per arrivare a una discussione
più concreta e per determinare un risarcimento mutualmente soddisfacente come
simbolo di riconciliazione. Si ritiene che attraverso la comunicazione faccia a faccia in
presenza di un mediatore esperto, il conflitto possa essere umanizzato, la tensione
ridotta e gli stereotipi presenti tra le parti modificate (Bonafé-Schmitt 1997: 64-65).
I vari progetti di mediazione sperimentati in Europa, soprattutto in Gran Bretagna
e nel Nord America, utilizzano un procedimento strutturato in quattro fasi:
1) La presa in carico degli utenti;
2) La preparazione alla mediazione;
3) La fase della mediazione vera e propria;
4) Il follow-up.
Il processo di mediazione inizia quando gli autori di reato (reati non violenti) sono
assegnati dal tribunale ai centri che si occupano di mediazione. La fase della mediazione
vera e propria consiste nell’incontro congiunto delle parti: il mediatore spiega il proprio
ruolo e indica le regole che i partecipanti devono rispettare.
La prima parte dell’incontro consiste nella discussione dei fatti e delle sensazioni
riguardo al reato. La vittima ha la possibilità di esprimere le proprie emozioni
direttamente alla persona che l’ha aggredita e di conoscere i motivi della sua azione.
L’autore del reato è messo nella condizione di dover affrontare faccia a faccia la
persona che ha leso, ma ha anche la possibilità di mostrare una dimensione più umana
del suo carattere e di esprimere il suo pentimento in maniera più personale.
Nella seconda fase dell’incontro, i partecipanti discutono sui danni arrecati alla
vittima e cercano di trovare un accordo di risarcimento accettabile per entrambi. Il
risarcimento è un segno tangibile della risoluzione del conflitto. L’accordo negoziato
viene spesso messo per iscritto e poi firmato dalla vittima, dall’autore del reato e dal
mediatore (Bonafé-Schmitt 1997: 65-66).
2.2 LA MEDIAZIONE IN AMBITO PENALE
Secondo quanto si evince dagli studi condotti nell’ambito del Progetto Interpres, la
figura del mediatore in ambito penale viene considerata una figura professionale “forte”
57
e “debole” al tempo stesso: nel primo caso, perché opera a partire dall’analisi del
bisogno, nel secondo caso, perché non adeguatamente supportata.
Il mediatore in ambito giudiziario può senza dubbio rappresentare una figura
centrale, considerate le difficoltà incontrate dai detenuti stranieri. Le difficoltà sono in
primo luogo di tipo logistico-pratico, sia all’interno che all’esterno del carcere. Vi sono
però anche difficoltà emotive e psicologiche, legate ad esempio alla mancanza di un
supporto familiare o all’emarginazione.
I detenuti stranieri incontrano maggiori difficoltà nell’accesso alle misure
alternative alla detenzione, soprattutto legate alle difficoltà a rintracciare soluzioni
abitative di riferimento; inoltre l’inserimento in cooperative può difficilmente
permettere soluzioni di lungo periodo.
Il detenuto spesso considera il mediatore un “volontario” e non un operatore
retribuito e ciò favorisce l’instaurarsi di un clima di fiducia, in quanto si trova di fronte
ad una persona che si occupa del suo caso, che lo ascolta, che parla la sua lingua.
Pertanto chiarire troppo la posizione del mediatore potrebbe risultare controproducente.
Va detto però che non sempre l’intervento del mediatore è previsto, con
potenziali danni per le persone inserite nel percorso giudiziario7.
2.2.1 PROGETTO PER LA COSTITUZIONE DI UN UFFICIO DI MEDIAZIONE
PENALE A MILANO
Il Progetto per la costituzione di un Ufficio di Mediazione a Milano nasce da un
interesse teorico e da un’esperienza concreta, con il pieno sostegno e la promozione del
Presidente del Tribunale per i Minorenni e del Procuratore della Repubblica per i
Minorenni di Milano (Ceretti 1997: 99-100).
Nei mesi di gennaio-settembre 1996, il gruppo promotore ha svolto attività
finalizzate a realizzare momenti di sensibilizzazione e ad aprire il confronto con le
molteplici realtà già operanti nell’area milanese.
A tal fine sono stati organizzati incontri con giudici del Tribunale per i Minorenni,
magistrati della Procura della Repubblica per i Minorenni, dirigenti e operatori del
7
“La mediazione linguistico-culturale fra buone prassi e potenzialità” in Progetto Interpres Programma
LLP Leonardo Da Vinci TOI 2007 LLP-LDV/TOI/2007/IT/158, pp. 23-24.
58
Centro di Giustizia Minorile, del Centro di Prima Accoglienza, dell’Ufficio di Servizio
Sociale Minorenni, dell’Istituto Penale Minorile, dei Servizi Sociali Minorili del
Comune, con il Dirigente dell’Ufficio Minori della Regione Lombardia e infine con
alcuni avvocati specializzati in diritto minorile.
Rispetto alle indicazioni e ai suggerimenti forniti dall’Ufficio Centrale per la
Giustizia Minorile del Ministero di Grazia e Giustizia, che offrono numerose possibilità
applicative, l’Ufficio di Milano intende concentrare la propria attenzione su alcune
precise modalità di intervento. In particolare, la mediazione verrà svolta principalmente
rispetto agli spazi normativi previsti dagli articoli 9, 27, 28 del D.P.R. 448/1988 e
dall’articolo 564 del c.p.p. Di particolare rilevanza è l’articolo 28, il quale prevede che il
giudice dell’udienza preliminare e quello del dibattimento “può impartire prescrizioni
dirette a riparare le conseguenze del reato e a promuovere la conciliazione del minore
con la persona offesa dal reato” (Ceretti 1999: 100-103).
Per quanto riguarda lo svolgimento dell’attività di mediazione è necessario
precisare che, il consenso preliminare espresso dal magistrato da parte del minore, dei
suoi genitori e della vittima, precede il primo contatto, di carattere individuale da parte
dell’Ufficio.
Nel corso del primo appuntamento viene illustrata ad entrambi i partecipanti la
filosofia della mediazione, il suo carattere confidenziale e infine gli esiti di natura
processuale che essa comporta. Se le parti accettano di partecipare, l’Ufficio concorda la
data dell’incontro.
Una volta conclusa, la mediazione è valutata sulla base di indicatori psicologici
(tenore e atmosfera dell’incontro), concreti (promessa di riparazioni materiali) e
simbolici, ovvero la mediazione si intende riuscita quando viene restituita ad entrambi i
soggetti la dignità di persona; da questa riparazione morale può scaturire una
riparazione materiale.
L’esito positivo o negativo dell’attività di mediazione viene riferito all’autorità
giudiziaria mediante una relazione sintetica. Di tutta l’attività svolta, rimane traccia solo
nel fascicolo dell’Ufficio di Mediazione. Esso tuttavia non si occupa direttamente delle
obbligazioni nascenti dall’accordo conciliativo (Ceretti 1997: 105-106).
L’ufficio di Milano intende promuovere pratiche di mediazione in relazione al
compimento di reati che possano suscitare un allarme sociale quali: furti, imbrattamenti,
59
danneggiamenti, disturbi della quiete pubblica, ingiurie, oltraggi, minacce, risse, lesioni
personali, atti di violenza sessuale, rapine e reati con l’aggravante razziale.
In riferimento ai destinatari, nella prima fase di sperimentazione si tenderà a
promuovere la mediazione nei confronti di rei e vittime, selezionati in base ai seguenti
criteri:
a) per quanto riguarda i rei, essi saranno preferibilmente minori di età
compresa tra i 16 e i 18 anni, mentre le vittime dovrebbero essere
preferibilmente di età superiore ai 14 anni;
b) i programmi di mediazione non si rivolgeranno ai recidivi;
c) il progetto tenderà ad escludere anche i minori tossicodipendenti e coloro
che sono affetti da gravi patologie di personalità (Ceretti 1997: 107).
2.2.2 IL CENTRO DI MEDIAZIONE PENALE A TRENTO E BOLZANO
Dal 1 giugno 2004 è attivo nella regione Trentino-Alto Adige il Centro di mediazione
penale, una struttura a carattere pubblico, articolata in due sezioni con sede
rispettivamente
a
Trento
e
(http://www.regione.taa.it/Giudicidipace/Mediatori.aspx
a
Bolzano
accesso
26/11/2009).
Il Centro svolge attività di mediazione gratuita per quanto riguarda i casi relativi a
procedimenti penali a querela, sottoposti dai giudici di pace all’attenzione del Centro
medesimo. Le parti interessate, anche con l’ausilio dei loro avvocati, possono chiedere
di fruire di questa opportunità tramite il giudice di pace davanti al quale sono convocati.
Il Centro di mediazione penale è stato costituito a cura della regione al fine di
supportare l’attività dei giudici di pace che operano in regione consentendo agli stessi di
avvalersi dell’attività di mediazione, così come previsto dalla legge (art. 29 comma 4
del
D.L.s.
28
agosto
2000
n.
274).
I mediatori chiamati a far parte del Centro sono eterogenei per sesso, età e
competenze professionali. L’intero gruppo ha svolto, prima dell’attivazione del servizio,
un rigoroso periodo di formazione secondo un modello umanistico, non negoziale di
mediazione.
La Regione Trentino-Alto Adige, che ha organizzato e curato anche il percorso
formativo,
finanzia
anche
il
progetto
60
di
mediazione
del
Centro.
A partire dal 1 ottobre 2005 e fino al 31 dicembre 2009 sono inoltre attivati, a
titolo sperimentale, percorsi di mediazione in ambito minorile per quanto riguarda la
provincia di Trento.
In tal modo la Regione Trentino-Alto Adige assicura alle Autorità giudiziarie
minorili della provincia di Trento e all’Ufficio servizio sociale per i minorenni di
Trento, la possibilità di fruire del servizio di mediazione svolto dal Centro
(http://www.regione.taa.it/Giudicidipace/Mediatori.aspx accesso 26/11/2009).
2.3 DALLA MEDIAZIONE DEI CONFLITTI ALLA MEDIAZIONE CULTURALE
Come osserva Ceccatelli Gurrieri, nel trasferimento dell’esperienza della mediazione
dei conflitti dagli Stati Uniti all’Europa, questa attività si è progressivamente spostata da
compiti di intermediazione fra cittadini e istituzioni, ad un ruolo di ricostruzione delle
relazioni sociali e di formazione della società civile ad atteggiamenti reciprocamente più
aperti e responsabili: come un percorso verso una sorta di riappropriazione delle
relazioni fra i soggetti al di là delle funzioni di regolamentazione di esse svolte dalle
norme e dalle politiche istituzionali e di acquisizione di nuove conoscenze e competenze
collettive sulle interazioni intersoggettive e interculturali (Ceccatelli Gurrieri 2003: 24).
Questo spostamento di compiti e di azioni ha concentrato l’attenzione e l’impegno
degli operatori sulle differenze culturali esistenti fra i soggetti impegnati negli scambi e
nelle interazioni e, nei paesi con una più accentuata presenza di stranieri, come Francia
e Gran Bretagna, si è consolidata la figura del mediatore interculturale come agente di
prevenzione dei conflitti e come facilitatore dei rapporti degli immigrati stranieri,
soprattutto nelle rete dei servizi socio-sanitari ed educativi.
Nel contesto italiano, il fenomeno di un’immigrazione massiccia dai paesi più
poveri del terzo mondo e dell’est europeo si verifica molto più tardi rispetto agli altri
paesi. E’ così, solo a partire dagli anni Novanta, si avverte la necessità di ricorrere a
figure intermedie di operatori linguistico-culturali, capaci di migliorare i rapporti tra la
società di accoglienza e gruppi minoritari di immigrati (Ceccatelli Gurrieri 2003: 24).
Da più parti, sostiene l’autrice, viene espressa la richiesta di accedere ad una
formazione specificamente mirata all’accoglienza multiculturale, ma anche la necessità
di nuove figure di mediatori rivolte soprattutto alla risoluzione di problemi di
61
comunicazione linguistico-culturale. A partire dal 1992 si sono così avviate alcune
proposte per la formazione di mediatrici culturali. Nel 1993, nel primo seminario sulle
esperienze di mediazione in Italia, che si tenne a Bologna il 13 ottobre per iniziativa del
COSPE (Cooperazione per lo sviluppo dei paesi emergenti) con il titolo
“Immigrati/Risorse”, si confrontarono le istituzioni promotrici di questi primi progetti:
l’Associazione NAGA di Milano; il Consultorio delle donne immigrate e la Cooperativa
Progetto Integrazione di Bologna; il Centro di formazione di mediatori linguisticoculturali di Firenze e Pisa; l’Associazione “Produrre e Riprodurre” e il Centro
interculturale per le donne “Alma Mater” di Torino; il Centro di formazione di
Operatori addetti all’Accoglienza di Reggio Emilia; la Regione Toscana; la Regione
Emilia Romagna (Ceccatelli Gurrieri 2003: 25-26).
2.4 QUALE MEDIATORE?
Secondo Favaro, vi sono tre possibilità per definire il mediatore:
1) il mediatore che sta nel mezzo e “media”;
2) il mediatore che si “schiera”;
3) il mediatore traghettatore.
Nel primo caso il mediatore si pone come arbitro e ponte tra le due parti, ha il
compito di dare voce alle domande, ai bisogni, al punto di vista dell’utente e chiarire, al
tempo stesso, le esigenze e il funzionamento del servizio. L’obiettivo è quello di
favorire la comunicazione, prevenendo o segnalando malintesi e fraintendimenti,
stabilendo punti d’accordo e di contatto, rendendo più trasparenti le esigenze degli
operatori e le domande degli utenti (Favaro 2004: 35).
Nel secondo caso, invece, il mediatore prende le parti dell’utente, considerato più
debole e vulnerabile rispetto alla capacità di formulare domande e di ottenere risposte
adeguate. Il legame privilegiato si stabilisce quindi con il proprio gruppo di
appartenenza. Lo scopo della mediazione è quello di rispondere ai bisogni degli utenti,
utilizzando risorse diverse: traduzione, esplicitazione di punti di vista, argomentazione,
difesa dell’utente, ecc. In questo caso, la richiesta di mediazione può venire anche dagli
utenti, che si rivolgono al connazionale più esperto e meglio inserito nella società
62
d’accoglienza per essere accompagnati, aiutati, sostenuti nella relazione con il servizio e
gli operatori.
Nel terzo caso, infine, il mediatore “traghettatore” facilita l’accesso e l’uso del
servizio o di una risorsa per tutti ed è schierato a fianco dell’operatore, vale a dire
dell’ente. Il suo compito, infatti, è quello di far passare messaggi e indicazioni che si
riferiscono al funzionamento, ai percorsi d’uso, ma anche a riferimenti e regole
implicite del servizio. In alcuni casi è possibile distinguere le diverse funzioni del
mediatore e la posizione nella quale si colloca. In altri, invece, la funzione di “ponte”,
“traghettatore” e “tramite” tra i due poli della relazione si accompagna o si alterna a
quella di “avvocato” dell’utente straniero o di traduttore interno al servizio (Favaro
2004: 35-36).
2.4.1 LE ETICHETTE DEL MEDIATORE
Da un punto di vista linguistico, vi possono essere diverse etichette per definire il
mediatore a seconda della funzione svolta e dello spazio assegnato al mediatore (Favaro
2004: 37).
Per le funzioni di tramite e ponte si utilizza:
a) mediatore linguistico-culturale;
b) mediatore culturale;
c) mediatore interculturale;
d) mediatore del conflitto.
Per le funzioni di “portavoce e difensore” del gruppo di minoranza:
a) mediatore etnico;
b) mediatore di comunità;
c) operatore comunitario;
d) leader o rappresentante del gruppo;
e) agente di sviluppo comunitario.
Per le funzioni di “traghettatore”, che si esprimono soprattutto attraverso la traduzione e
la facilitazione linguistica e sociale:
a) mediatore linguistico;
b) interprete sociale;
63
c) traduttore;
d) facilitatore linguistico.
Le diverse funzioni e i ruoli occupati dal mediatore sono spesso compresenti e
sovrapposti ed è difficile distinguere in maniera netta tra momenti di traduzione
linguistica, “difesa” dell’utente, interpretazione di dati culturali, comportamenti e
atteggiamenti (Favaro 2004: 38).
In alcune situazioni, per esempio nei piccoli centri, il mediatore disponibile sul
territorio può diventare un operatore in vari contesti, in servizi diversi e con un ampio
raggio di compiti. In altri casi, per esempio in città grandi, le sue funzioni sono più
mirate e rispondono di volta in volta alle esigenze del servizio e degli utenti.
Due sono secondo l’autrice le variabili esterne che intervengono per definire in
maniera più precisa lo spazio occupato dal mediatore e il suo ruolo: 1) le caratteristiche
del luogo in cui svolge la sua attività e 2) il tipo di servizio nel quale è inserito (sociale,
sanitario, educativo, scolastico, ecc.).
Come sostiene Favaro, alcuni studi hanno messo in luce il problema dei confini e
il rischio di confusione di ruoli tra operatore e mediatore, rischi che diventano più
grandi quando le funzioni e i compiti si collocano in spazi di maggiore contiguità o
prossimità. Si pongono per esempio tra mediatore ed operatore sociale, tra mediatore ed
educatore, mentre i rischi di confusione di ruolo sono minori nel caso di un lavoro di
mediazione svolto accanto ad un medico, un insegnante, ad un operatore sanitario.
In conclusione Favaro sostiene che la mediazione in molti contesti e situazioni
funziona. Funziona come dispositivo di avvicinamento, conoscenza reciproca,
promozione dell’incontro tra eguali e diversi. Grazie alla presenza del mediatore si può
creare uno spazio intermedio condiviso, uno spazio di non conflitto, entro il quale
possono essere contenuti e gestiti i malintesi e le diffidenze consapevoli o
inconsapevoli, dovuti alle differenze culturali e linguistiche (Favaro 2004: 38-40).
64
2.4.2 IL TERZO UOMO: INTERMEDIARIO, MEDIATORE, GATEKEEPER O
L’UOMO INVISIBILE?
Wadensjö riprende un saggio di Goffman, “Discrepant role” (1990), nel quale l’autore
pone l’accento sul fatto che colui che “media” tra due parti, si comporta in una maniera
che potrebbe sembrare strana se una delle due parti fosse assente (Wadensjö 1998: 62).
Secondo quanto sostiene Bailey (1969), invece, gli intermediari possono essere
classificati in base a due differenti principi: 1) da un lato è possibile distinguere tra
coloro che interpretano per
il gruppo dominante nella società e sono chiamati a
garantire il sistema normativo e dall’altro coloro che sono chiamati ad intervenire da
parte del gruppo minoritario per negoziare i loro diritti; 2) in relazione al secondo
principio, Bailey discute la funzione dell’intermediario dal punto di vista del suo grado
di indipendenza dalle parti in causa (Wadensjö 1998: 63).
L’autrice riprende il pensiero di un altro studioso, l’antropologo canadese Paine
(1971), il quale distingue come Bailey tra “brokers” e “go between”. Il broker è il
portavoce del gruppo minoritario.
Secondo quanto afferma Gulliver (1979), il ruolo e la funzione del mediatore sono
stati a lungo ignorati in sociologia, psicologia e antropologia. In particolare rifiuta l’idea
che il mediatore agisca imparzialmente e la convinzione largamente diffusa che
l’attività del mediatore consista semplicemente nel far raggiungere alle parti un comune
accordo, piuttosto che competere. Vi sono due aspetti interessanti nello studio di
Gulliver: 1) la presenza dell’interprete influisce in qualche modo sulla comunicazione
tra le parti e 2) è nell’interesse dell’interprete essere imparziale. Infatti, nel difendere i
propri interessi, l’interprete necessariamente influenzerà il progredire e il contenuto
dell’interazione (Wadensjö 1998: 64).
Riprendendo per un attimo Goffman (1990: 150), è interessante la sua definizione
di “no person” in relazione al ruolo del mediatore. Secondo l’autore, la “non-persona” è
presente durante l’incontro, ma è al tempo stesso assente, non è attiva, né passiva e non
finge di essere ciò che non è.
Una parte considerevole della letteratura investiga ciò che Erickson e Schultz
(1982)
definiscono
i
“gatekeepers”
65
della
società,
ovvero
funzionari
dell’amministrazione locale
che si occupano e gestiscono le risorse pubbliche. I
processi in tribunale sono tipici esempi di incontri di gatekeeping, poiché la maggior
parte di essi si svolge tra giurati e amministratori responsabili dei beni pubblici, dei
servizi e delle funzioni di controllo.
Seguendo le indicazioni di Agar (1985) un incontro di gatekeeping è un discorso
istituzionale costituito da tre fasi: 1) diagnosi, 2) verbale, 3) direttiva. La diagnosi è la
prima fase dell’inchiesta in cui il problema dell’utente viene identificato e tradotto in
termini istituzionali da parte del professionista. Contemporaneamente egli compila un
verbale che appartiene al corpo della documentazione istituzionale. Infine, la direttiva
riguarda le misure raccomandate e le decisioni prese da parte del professionista.
Infine, per comprendere il gatekeeping e il gatekeeper nella società odierna è
necessario studiarne le dimensioni interculturali, interetniche e interlinguistiche
(Wadensjö 1998: 67-68).
2.5 PROFILO PROFESSIONALE DEL MEDIATORE CULTURALE
Il mediatore culturale è una figura professionale complessa, indefinita e ambigua e
rappresenta una delle più recenti risposte istituzionali ad alcune delle esigenze poste
dalla società multietnica (Tarozzi 1998: 121).
L’autore cita la definizione di mediatore culturale di Bartolini (1996: 342):
“Nuova figura professionale in via di definizione il cui ruolo dovrebbe quello di
facilitare l’incontro tra individui di minoranza etnica e le istituzioni del paese di
accoglienza (scuole, uffici, amministrazione pubblica, tribunali…)”.
Infatti, mentre cresce sempre più la richiesta dei mediatori nei servizi pubblici,
compresi quelli educativi e scolastici, come l’interfaccia tra l’istituzione e le comunità
minoritarie e immigrate, tuttavia, manca fra gli addetti ai lavori un’opinione condivisa,
una visone comune circa il profilo, le funzioni che questi esperti della mediazione
dovrebbero ricoprire e i compiti che dovrebbero svolgere all’interno o a fianco dei
servizi. L’indeterminatezza di questa figura deriva anche in parte dalla stessa ambigua e
complessa nozione di mediazione, portatrice di tanti significati di tipo pedagogico,
difficili da esplicitare.
66
L’esigenza di mediazione comincia ad essere sentita non tanto quando la
popolazione immigrata supera una certa soglia numerica, bensì quando si assiste ad un
significativo mutamento di ruolo e di status di un gruppo sociale culturalmente
omogeneo che passa dalla condizione di “immigrati” a quella di “minoranza etnica”.
Questo passaggio implica da parte delle comunità minoritarie un progetto di
stabilizzazione e da parte dell’istituzione un riconoscimento di diritti e non solo una
soddisfazione di bisogni d’emergenza. Quando le comunità divengono quindi
interlocutori riconosciuti dell’istituzione, allora si pone il problema della mediazione,
della traduzione culturale. A questa disponibilità diversa da parte del paese
d’accoglienza deve corrispondere una trasformazione dei gruppi di immigrati per
diventare comunità etnico-culturali (Tarozzi 1998: 127).
L’autore cita un’altra definizione di mediazione culturale, data da Udo
Enwereuzor e Patrick Johnson (1993: 1):
“un servizio di facilitazione della comunicazione, sia linguistica che culturale, tra
l’utente di etnia minoritaria (e, per estensione, una comunità di etnia minoritaria) e
l’operatore di un servizio pubblico o privato, in un contesto di poteri impari, e nel
rispetto dei diritti delle parti interessate”.
In tal senso la migliore funzione di mediazione sarebbe svolta da operatori dei
servizi che appartengono alle varie minoranze etniche. Nella precedente definizione,
l’enfasi maggiore è posta sull’aspetto della facilitazione della comunicazione. Il
mediatore dunque rappresenterebbe un esperto della gestione dei conflitti (Tarozzi
1998: 128).
2.6 LA MEDIAZIONE IN AMBITO EDUCATIVO
Come ci ricorda Tarozzi, Patrick Johnson ed Elisabetta Negris (1996), in un saggio che
tenta di definire per la prima volta le funzioni e i compiti della mediazione culturale nei
servizi educativi, hanno individuato tre livelli principali in cui il mediatore presta la sua
opera in risposta ai bisogni dell’utenza appartenente ad etnie minoritarie:
1) Livello pratico-orientativo;
2) Livello linguistico-comunicativo;
3) Livello psico-sociale
67
Il primo livello è quello dell’aiuto nell’accesso ai servizi, è l’aiuto che spesso si
riceve spontaneamente dai membri della stessa comunità.
Il secondo livello presuppone la convinzione che molti degli ostacoli comunicativi
tra servizi e utenze minoritarie abbiano la propria radice nella diversa base culturale che
genera e sostiene il processo comunicativo. Il mediatore diventa allora un interprete non
solo linguistico, ma anche culturale e un facilitatore di relazioni, capace di prevedere,
riconoscere e gestire i conflitti che sorgono a causa delle differenze.
Infine, nel terzo livello, all’attività del mediatore, che non è più un semplice
agente di gestione dei conflitti interetnici, viene assegnata una funzione di stimolo per il
cambiamento sociale, promuovendo, attraverso l’interscambio e la negoziazione delle
proprie identità culturali, mutamenti significativi nel costume, nei comportamenti
comuni, nei significati attribuiti a gesti, parole, espressioni quotidiane (Tarozzi 1998:
128-129).
Nel definire le funzioni e i ruoli che un mediatore culturale può svolgere nei
contesti educativi Johnson e Negris (1996), sostengono che è impossibile assegnare ad
un’unica figura tutte le funzioni proprie alla mediazione culturale. La loro proposta si
basa sull’identificazione di alcune funzioni di base, comuni a tutti i mediatori in contesti
educativi e poi individuare alcuni specifici ruoli.
Le funzioni di base delineate dai due autori sono:
1) Funzione di informazione/orientamento degli utenti;
2) Funzione di accoglienza/iscrizione degli utenti nei servizi;
3) Funzione di traduzione/interpretariato;
4) Funzione di sensibilizzazione, informazione e pubblicizzazione relative al
servizio specifico in cui si è inseriti (Tarozzi 1998: 131).
2.7 COMPITI E FUNZIONI DEL MEDIATORE
In generale, si può affermare che l’intervento di mediazione si collochi su vari piani:
1) Piano orientativo e informativo;
2) Piano linguistico e comunicativo;
3) Piano culturale e interculturale;
68
4) Piano psicosociale e relazionale (Favaro 2004: 32).
Al primo livello fanno riferimento quei compiti e funzioni che il mediatore svolge
nei confronti del proprio gruppo di appartenenza e nei confronti degli operatori del
servizio. Il mediatore, in pratica, informa, traduce le informazioni, rende accessibile il
servizio rispetto a: funzionamento, requisiti di accesso, ruolo degli operatori, regole e
vincoli. Al tempo stesso comunica agli operatori del servizio le specificità culturali, le
differenze e i tratti propri delle comunità di origine.
Al secondo livello, la mediazione svolge soprattutto la funzione di traduzione,
interpretariato, prevenzione e gestione dei fraintendimenti, malintesi, blocchi
relazionali. Ovviamente, il compito del mediatore non si limita semplicemente alla
traduzione di messaggi e informazioni, ma si propone di chiarire anche ciò che è
implicito. Il mediatore può assumere inoltre un ruolo di cambiamento sociale, di stimolo
per la riorganizzazione del servizio, di arricchimento della programmazione e delle
attività che il servizio conduce. In questo modo, non solo il servizio diventa più
accessibile rispetto al funzionamento e alle opportunità, più trasparente e accogliente,
ma diventa anche luogo di riconoscimento delle minoranze, di visibilità delle differenze
e degli apporti culturali diversi (Favaro 2004: 32-33).
Le diverse funzioni svolte dai mediatori linguistici e culturali sono le seguenti:
1) Interpretariato;
2) Traduzione;
3) Facilitazione della relazione;
4) Informazione;
5) Orientamento;
6) Accompagnamento;
7) Presentazione della cultura d’origine (contesto educativo);
8) Presentazione degli obiettivi e delle regole delle azioni e dei servizi;
9) Prevenzione e gestione dei conflitti;
10) Riconoscimento e valorizzazione delle reciproche analogie e differenze.
Il mediatore (linguistico-culturale, dei conflitti, ecc.) nell’opinione di Favaro è
chiamato a:
69
1) Eliminare gli ostacoli (linguistici, comunicativi, informativi) che
intervengono nell’accesso ai servizi pubblici;
2) Apportare nuovi saperi, linguaggi e informazioni e migliorare la
prestazione dei servizi, in termini sia quantitativi che qualitativi;
3) Creare uno spazio d’incontro intermedio e aprire nuove possibilità
comunicative (Favaro 2004: 33).
Osservando le funzioni e i ruoli del mediatore e gli obiettivi del suo lavoro,
Favaro delinea due diverse concezioni di questa nuova figura professionale. La prima
vede la funzione del mediatore come un rimedio alle possibili o già sperimentate
disfunzioni dei servizi nel rispondere alle esigenze degli utenti più bisognosi e meno
attrezzati dal punto di vista delle risorse informative, linguistiche, di orientamento, ecc.
In tal senso, il mediatore fa da tramite tra utenti e servizi con il compito di: chiarire i
bisogni, tradurre, informare, superare le incomprensioni reciproche, evitando che i
malintesi generino dei conflitti. La posizione del mediatore deve essere neutrale: traduce
più che interpretare e il suo ruolo ha un carattere di utilità strumentale.
Nel secondo caso, come nota l’autrice, la definizione di mediazione è più ampia,
ma al tempo stesso molto ambigua, poiché va al di là della semplice dimensione
strumentale e di utilità, è un dispositivo che opera per costruire nuovi modi di
regolazione sociale e di dialogo. In questa prospettiva, la sua funzione è quella di creare
legami e reti sociali che tengano conto dei diversi punti di vista. Il mediatore, quindi
non è solo un facilitatore della mediazione, ma anche un soggetto in grado di essere
portavoce del singolo o del gruppo, esprimere idee e di elaborare progetti. Accetta di
tradurre esigenze e norme del servizio, ma opera anche perché il servizio accetti di
accettare di ascoltare e comprendere bisogni, aspirazioni, progetti, desideri dei nuovi
utenti. Questo ruolo obbliga il mediatore ad un continuo confronto con operatori e
servizi, che possono essere reticenti rispetto al cambiamento e con utenti stranieri che
possono, a loro volta, essere irrigiditi nei loro atteggiamenti. Lo obbliga anche a
stabilire dei confini, a non schierarsi con nessuna delle due parti (Favaro 2004: 33-34).
70
2.8 LE QUALITÀ DI UN BUON MEDIATORE
La mediazione linguistica e culturale si offre quale ponte tra individui appartenenti a
paesi e culture diverse. Serve cioè a facilitare la comunicazione e la comprensione sia
linguistica che culturale tra l’utente di etnia minoritaria e l’operatore di un servizio
pubblico o privato. Il mediatore conosce la lingua dell’immigrato, in quanto è egli
stesso un immigrato ed è un profondo conoscitore della cultura del suo paese. Egli è
chiamato ad intervenire nel momento in cui la comunicazione tra l’utente di un’etnia
minoritaria e l’operatore di un servizio pubblico o privato risulta ostacolata o del tutto
impossibile, ma soprattutto per gestire rapporti conflittuali. I suoi committenti
appartengono al settore pubblico (scuole, ospedali, carceri, tribunali, questure, centri di
accoglienza, ecc.) e privato (assicurazioni, banche, sindacati) (Luka 2005: 204).
Un buon mediatore linguistico deve prima di tutto conoscere intimamente se
stesso, analizzare i propri punti di forza e i punti deboli e correggere eventuali deficit al
fine di risultare una persona equilibrata, di cui ci si può fidare e competente, in grado di
offrire un servizio di qualità. Un altro requisito fondamentale è la capacità comunicativa
ed empatica, che si esprime attraverso la comunicazione non verbale. I gesti variano da
cultura a cultura, pertanto il mediatore deve essere in grado di riprodurre fedelmente i
sentimenti, le credenze e i valori del suo interlocutore, aspirazione forse un po’
ambiziosa nell’opinione di Luka.
L’autore afferma che essere un buon mediatore non è semplice, ma un
prerequisito fondamentale è che egli sappia superare i propri limiti e sappia svincolarsi
dai propri schemi mentali. Inoltre è necessario che un buon mediatore scelga l’ambito
nel quale operare più adeguato alla sua personalità e si tenga informato, sia partecipando
a corsi formativi, sia confrontandosi con colleghi più esperti.
Una delle doti che deve possedere un buon mediatore secondo Luka è la
creatività, che sarà necessaria nei momenti di lavoro più estenuanti. Un’altra abilità del
mediatore è quella di entrare in sintonia con il modo d’essere del proprio interlocutore.
Per diventare un buon mediatore è indispensabile dedicarsi alla propria formazione con
costanza. Infine, un buon mediatore deve credere in se stesso, essere flessibile,
mantenersi aggiornato e adeguarsi alla continua evoluzione del mondo. Durante il
processo di mediazione, il mediatore deve essere sincero, onesto, umile, avere
71
sensibilità. Tali requisiti, lo ribadiamo, sono molto soggettivi e non è detto che siano
validi in tutti i contesti.
La componente principale rimane tuttavia la motivazione, che deve essere
soprattutto una motivazione interiore, che deve spingere il mediatore a compiere il suo
lavoro nel migliore dei modi, come se fosse una missione (Luka 2005: 207-210).
2.9 LA DEONTOLOGIA E L’ETICA PROFESSIONALE
Secondo quanto sostiene Belpiede, affinché il mediatore culturale esprima competenza
ed equilibrio, deve aver fatto la pace con la propria cultura e con quella della società di
accoglienza. In tal senso, lo strumento che permette al mediatore di svolgere il suo ruolo
è il decentramento. Il processo di decentramento avviene attraverso un lavoro di
osservazione, di approfondimento dei significati culturali delle manifestazioni
quotidiane, un lavoro che, soprattutto nella prima fase, ha bisogno di sedi permanenti di
formazione (Belpiede 2002: 38).
Il decentramento per il mediatore vuol dire:
•
dotarsi di strumenti di analisi che gli permettano di capire quali sono gli
impedimenti alla comunicazione fra italiani e immigrati;
•
non rappresentarsi l’immigrato in modo stereotipato, ma cogliere la sua
complessità culturale, la sua collocazione anche conflittuale rispetto alla
società di provenienza;
•
circoscrivere e gestire i propri processi identificatori con il singolo
immigrato.
Come precisa Belpiede, la definizione della deontologia di questa professione non
può svilupparsi se non si sviluppano il riconoscimento istituzionale del ruolo e la
definizione formale delle competenze. Per inquadrare il tema dell’etica, è necessario
tenere in conto alcune variabili. Un mediatore culturale, per esempio, se vuole
mantenere la sua primaria funzione di intermediario, non può agire come un qualsiasi
operatore pubblico. È necessario che mantenga le necessarie distanze dai due partners
della relazione, che non si sostituisca a questi, che non assuma un ruolo di
rappresentanza, di difesa (advocacy) della persona immigrata e del servizio. Bisogna
72
tuttavia dire che il mediatore ha una funzione di intermediazione impari, dove
l’operatore mantiene una collocazione di potere per il ruolo, ma anche in quanto
appartenente al gruppo culturale dominante (Belpiede 2002: 38-39).
Sul tema dell’etica si assiste spesso, da parte degli operatori, ad una richiesta di
trasparenza dell’intervento del mediatore.
Nell’opinione di Belpiede, non è possibile definire in generale le regole
deontologiche a cui attenersi nella professione di mediatore culturale, anche perché
cambiano le funzioni, gli ambiti di azione, i gradi di autonomia si ampliano o si
restringono secondo il contesto organizzativo dell’intervento, le relazioni con i partners,
ecc. Ad esempio, fare il mediatore presso le questure o i tribunali, non è lo stesso che
farlo presso i servizi scolastici. Nel primo caso il ruolo è specificamente legato
all’interpretariato ed è limitato lo spazio d’azione del mediatore. Le regole
deontologiche di un mediatore inserito in un servizio pubblico sono diverse da quelle di
chi opera in ambito associativo.
Tuttavia, nota Belpiede, emergono orientamenti su alcune regole di base da
rispettare nel lavoro dei servizi pubblici:
•
l’accordo dell’utente all’intervento del mediatore;
•
la presentazione del ruolo del mediatore da parte dell’operatore;
•
il chiarire all’utente che quanto verrà detto nel colloquio sarà comunque
tradotto;
•
l’esplicitazione del ruolo non decisionale del mediatore;
•
la richiesta di rinviare il colloquio di fronte a pressioni di troppo di una
delle due parti;
•
la richiesta di esonero all’intervento nelle situazioni di gravi dilemmi
deontologici;
•
esplicitare sempre al servizio le motivazioni di un rifiuto all’intervento
(Belpiede 2002: 39-41).
L’autrice cita Castelli (1996), il quale evidenzia alcuni punti di un progetto di
codice deontologico formulato dal “Centre national de la médiation” di Parigi, in cui
vengono definite le regole deontologiche del mediatore.
Titolo II (Doveri del mediatore)
73
Articolo 6 – Indipendenza
Il mediatore ha il dovere prioritario di salvaguardare, in ogni sua forma, l’indipendenza
inerente alla sua funzione.
Il legame di subordinazione esistente (nel caso di un mediatore dipendente da un ente
pubblico o privato) tra mediatore e il suo datore di lavoro riguarda unicamente le
condizioni materiali nelle quali il mediatore esercita la sua funzione in seno al servizio
organizzato e in nessun caso concerne lo svolgimento stesso degli atti di mediazione
che, non essendo sottoposti a controllo gerarchico, restano liberi e soggetti al segreto
professionale di cui all’articolo 8.
In nessun caso il mediatore indipendente può accettare da parte dell’ente datore di
lavoro la limitazione della propria indipendenza o disposizioni in contrasto con le regole
professionali e deontologiche della mediazione.
Articolo 7 – Neutralità
La funzione del mediatore (…) determina un dovere generale di riserbo e, più in
particolare, di neutralità nei confronti delle parti.
Quale che sia la sua opinione in coscienza, il mediatore ritiene di non essere in grado di
rispondere a un tale dovere, invocherà la clausola di coscienza, prevista dall’articolo 11.
Articolo 8 – Segreto professionale
Il mediatore è tenuto, nei confronti dei terzi, al segreto professionale in condizioni
analoghe a quelle previste dal codice penale.
Questo segreto copre l’identità e ogni elemento della vita privata delle persone portato a
conoscenza del mediatore, oltre alle informazioni e ai documenti confidenziali che avrà
ricevuto.
Nel campo privato delle persone, questo segreto si estende a tutto ciò che il mediatore
ha visto, ascoltato e compreso nel corso dell’esercizio della sua funzione.
Nel conflitto, il mediatore non può tenere conto, nella conduzione della mediazione,
delle informazioni confidenziali comunicate da una delle parti se non espressamente
autorizzato dalla parte stessa.
Articolo 9 – Incompatibilità
Il mediatore deve astenersi dall’intervenire quando, per propri interessi materiali o
morali, potrebbe essere sospettato di non assolvere alla sua funzione in conformità con
le regole deontologiche, in particolare con quelle relative alla indipendenza e alla
neutralità.
Articolo 10 – Obblighi nei confronti delle parti
Dal momento in cui il mediatore ha accettato di svolgere il proprio compito, egli si
impegna, dedicandovi tutto il tempo concesso, ad assolverlo con la massima cura e la
maggiore chiarezza nei confronti delle parti.
A questo scopo, e senza che le disposizioni seguenti siano limitative
•
definisce con precisione, assieme alle parti, i limiti del proprio compito;
74
•
produce, durante la conduzione della mediazione e nella misura in cui lo ritiene
necessario, sintesi provvisorie destinate ad apportare chiarimenti agli interessi
nel corso della loro ricerca di un accordo o di una soluzione,
•
fornisce alle parti, al termine della mediazione, un estratto delle conclusioni
alle quali la mediazione ha portato;
•
può assicurare, con l’accordo delle parti, le condizioni necessarie alla
realizzazione delle conclusioni.
D’altro canto, cosciente dei propri doveri di riservatezza e di neutralità, il mediatore
•
rispetta, in ogni circostanza, l’autonomia delle persone, la loro libertà di
giudizio e di decisione;
•
evita ogni utilizzazione ai fini personali delle informazioni ricevute il suo
intervento così come ogni ingerenza nella vita professionale delle persone che
hanno chiesto la sua opera.
Titolo III (Diritti del mediatore)
Articolo 11 – Rifiuto
Il mediatore ha sempre il diritto di rifiutare di prestare la propria opera facendo appello
a una clausola di coscienza, cioè per ogni motivo che dipenda esclusivamente dal
proprio giudizio. Può anche ritirarsi da una mediazione in corso a condizione di
motivare il proprio disimpegno e di dare alle parti la possibilità di continuare l’azione
intrapresa, in particolare attraverso la ricerca di un altro mediatore (…) (Belpiede 2002:
41-43).
2.10 ACCENNO ALLA NORMATIVA SULLA MEDIAZIONE
Come accade spesso in Italia, la normativa nazionale soltanto recentemente ha
riconosciuto l’esistenza e la funzione del mediatore, dopo che molte regioni ne avevano
già definito il profilo professionale, promuovendone la formazione e l’impiego,
direttamente o attraverso gli enti locali o territoriali e dopo che associazioni e
organizzazioni del privato sociale ancora da più tempo avevano formato e inserito
queste figure nell’ambito dei propri servizi e interventi a favore degli immigrati
(Ceccatelli Gurrieri 2003: 54). E’ infatti solo con la legge 6 marzo 1998, n.40,
“Disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero”, che si fa
riferimento esplicito al mediatore culturale, definendone, seppur vagamente, il ruolo
attivo nell’integrazione sociale delle minoranze (art. 40, comma I).
Come ci ricorda l’autrice, l’incertezza è presente anche in due aspetti legati alla
stessa denominazione del ruolo, ancora oggi oggetto di interpretazioni e di definizioni
75
diverse a seconda del contesto di collocazione e delle valutazioni sui contenuti stessi
della funzione.
La prima differenziazione è relativa all’aggettivo che segue la definizione del
mediatore, in alcuni ambiti limitata a “culturale” o “interculturale”, in altri ampliata a
“linguistico-culturale”. In generale, gli studiosi che preferiscono la definizione di
“mediatore culturale”, le attribuiscono un senso più articolato, che va dal compito di
facilitatore della comunicazione a quelli più complessi della diffusione e valorizzazione
della cultura rappresentata, fino alla promozione del confronto e dello scambio
reciproco di conoscenze fra culture. Gli operatori e gli studiosi che preferiscono invece
l’etichetta di “mediatore linguistico-culturale”, privilegiano una delimitazione più
circoscritta delle sue funzioni, indicando come prioritaria la competenza comunicativa.
Un secondo aspetto della differenziazione, per così dire più ideologico, è quello
relativo al genere della figura del mediatore. In alcuni testi e ambiti operativi si parla
esclusivamente di “mediatrici culturali” o “linguistico-culturali” anziché di mediatori,
soprattutto in ambito socio-sanitario o educativo, al fine di instaurare con le utenti
immigrate rapporti più profondi, significativi e solidali, per diminuire il disagio di una
relazione di cura poco comunicativa e per trovare modi e luoghi di confronto più adatti
per tutte (Ceccatelli Gurrieri 2003: 55-56).
Per poter mediare, si dice da più parti, è necessario “essere e fare parte” della
cultura in contatto, avere sperimentato e vissuto la situazione della migrazione, avere
attraversato i passaggi dell’acculturazione e della molteplice appartenenza (Favaro
2004: 32). In questa accezione, l’arte di mediare presuppone requisiti molteplici, di
carattere linguistico, culturale, interpretativo, esperienziale, autobiografico. Si può
diventare mediatori per formazione e riflessione, a partire dalla situazione di essere già
“inclusi” nelle culture e appartenenze che si è chiamati a rendere più trasparenti,
evidenti, comunicabili. E’ questa l’accezione più ampia che descrive il mediatore e che
lo definisce come “culturale” o “interculturale”. In altri casi, si ritiene, che possano
diventare mediatori coloro che, per formazione e pratica, sono in grado di tradurre e fare
da interpreti (mediatore linguistico), o di gestire e prevenire conflitti (mediatore sociale
o dei conflitti) (Favaro 2004: 32).
76
2.11 LA NECESSITÀ DELLA FORMAZIONE PERSONALE DEL MEDIATORE
LINGUISTICO-CULTURALE
Al di là delle competenze teoriche o pratiche che sono fondamentali per svolgere la
professione di mediatore culturale, il mediatore deve possedere, come tutti gli operatori
che hanno l’esigenza di entrare in rapporto con l’altro nello svolgimento del proprio
lavoro, capacità relazionali. Per svilupparle e per poter trasformare in risorsa la propria
esperienza migratoria, è necessario che accanto a queste esperienze teoriche e pratiche,
si aggiunga una adeguata formazione professionale (Andolfi 2003: 157-158).
Questo percorso formativo aiuterà a comprendere meglio lo stato di sospensione
tra due culture in cui si trova a vivere il migrante, non solo perché questa esperienza è
stata vissuta in prima persona dal mediatore, bensì perché è stata sufficientemente
analizzata ed elaborata nel corso della formazione. Un coinvolgimento emotivo da parte
del mediatore senza la capacità di tracciare un confine netto tra esperienze personali e
vissuti portati dall’utente, non favorirà una buona riuscita della mediazione richiesta, in
quanto potranno riemergere emozioni e stati d’animo legati alla storia personale del
mediatore senza che questi ne sia consapevole. E’ necessario raggiungere un equilibrio
“emotivo” e acquisire nel corso della formazione quegli elementi utili a superare
l’empasse nel vedere riaffiorare emozioni forti come il dolore e la rabbia nelle storie
raccontate dagli immigrati molto simili alle proprie.
Si dice che il mediatore deve essere neutrale, ma essere “neutrale” vuol dire
“senza emozioni?” Quando si parla di un terzo neutrale, gli studiosi condividono l’idea
del ruolo di colui che deve mantenere una equidistanza dalle parti, quindi un certo
distacco emotivo dalla situazione, ma che è comunque parte integrante del sistema nel
quale si trova inserito, formato da lui, l’utente immigrato, da uno o più operatori di un
servizio e dalle reciproche convinzioni e aspettative basate su presupposti culturali,
religiosi e ideologici differenti. Le emozioni hanno sempre un potenziale comunicativo
ma anche conoscitivo dell’altro e di sé, pertanto possono considerarsi uno strumento
formativo molto efficace. Attraverso il riconoscimento delle emozioni legate alle
proprie storie personali, si può entrare in relazione senza identificarsi o confondersi, con
l’altro, accettando che l’incontro possa suscitare emozioni, ma senza rimanerne
bloccato. Se questo scambio relazionale-emozionale avviene in un contesto di gruppi
77
multietnici, in cui si mescolano esperienze, lingue e razze umane diverse, non solo si ha
la possibilità di conoscere meglio se stessi, attraverso ciò che viene o meno condiviso
con il gruppo, ma anche di appropriarsi in modo più consapevole di ciò che delle
proprie idee e manifestazioni è espressione del contesto culturale di riferimento al quale
si appartiene (Andolfi 2003: 158-159).
La formazione personale in gruppo si fonda, come sostiene l’autore, sulla
possibilità di confrontarsi con il pregiudizio, che deriva dall’ignoranza rispetto ai valori
culturali dell’altro. Riflettere sul pregiudizio per poi raggiungere una maggiore
consapevolezza dei propri limiti ed avere la possibilità di superarli, costituisce un
allenamento necessario per un mediatore culturale che sia capace di gestire la diversità.
L’idea che il pregiudizio sia solo dalla parte della società d’accoglienza, nei confronti
degli immigrati appartenenti ad altre culture, è spesso radicata nella convinzione di chi
si accinge ad intraprendere una formazione come mediatore culturale. E’ utile a tal
proposito durante la formazione proporre attività di role-playing o utilizzare le
dinamiche che si creano all’interno del gruppo per affrontare l’altro versante del
pregiudizio: quello nei confronti della società e della cultura di accoglienza o, anche
quello nei confronti di altri immigrati e altre culture diverse dalla propria. La forma più
paradossale di razzismo nasce dal disprezzo dei propri valori; se infatti non si riesce ad
integrare dentro di sé il sistema di valori d’origine con i modelli acquisiti, ci si
trasforma in un potenziale razzista, ma soprattutto in un qualunquista, poiché non si è in
grado di comprendere ciò che assume rilevanza per l’altro. Si rischia dunque di fornire
delle interpretazioni superficiali, senza tener conto dei valori culturali, religiosi,
familiari dell’altro (Andolfi 2003: 159-160).
Andolfi sostiene che il processo di integrazione coinvolge due entità distinte: 1)
l’individuo che cerca di inserirsi nel contesto di accoglimento e 2) la società ospitante,
che l’aiuta, lo lascia fare o lo ostacola nel raggiungimento del proprio scopo.
L’inserimento può assumere varie forme, dall’assimilazione al multiculturalismo.
L’assimilazione consiste nel processo di adattamento dello straniero nel nuovo contesto
sociale, il multiculturalismo, dall’altro lato, prevede la coesistenza di due o più gruppi,
tenta cioè di preservare la diversità culturale nei confronti del gruppo dominante.
L’autore cita Scabini e Regalia (1993), i quali hanno studiato i modelli adattivi
messi in atto dagli immigrati. Ne distinguono
78
due tipi: 1) INCLUSIVO ed 2)
ESPANSIVO. Il primo tipico delle comunità di religione islamica e cinesi, si
caratterizza dalla tendenza ad instaurare rapporti molto stretti e quasi esclusivi con altri
immigrati del proprio paese di provenienza, allo scopo di formare una rete relazionale
con una forte funzione protettiva a livello individuale e sociale. L’altro stile, invece, è
quello espansivo, in cui pur salvaguardando la solidarietà tra i membri dello stesso
gruppo etnico, non è preclusa la possibilità di costruire legami o rapporti di amicizia o
sentimentali con i membri della comunità di accoglienza (Andolfi 2003: 161).
Uno spazio per riflettere sui processi di integrazione sperimentati in prima
persona è proprio quello del gruppo multietnico. La possibilità di riconoscere e far
conoscere al gruppo i propri percorsi storici e il proprio vissuto, così come il processo di
adattamento nella nuova società, costituiscono una prova importante nella formazione.
Al tempo stesso, il gruppo attraverso le domande che pone in relazione alle proprie
esperienze, impara a riflettere sul fatto che è sbagliato ricondurre tutto alla propria
esperienza e rischiare di essere poco obiettivo una volta diventato mediatore, nei
confronti del codice organizzativo della cultura di appartenenza. Inoltre, questo
esercizio di approfondimento della conoscenza e il successivo superamento del
pregiudizio nei confronti dell’altro, rappresenta un antidoto al razzismo e suggerisce
delle idee su come poter affrontare le situazioni critiche durante la mediazione culturale,
senza per questo ridurre a stereotipi culturali quelli che sono i processi cognitivi,
razionali ed affettivi propri di ciascun individuo.
L’autore ritiene che uno dei canali per affrontare i processi autoriflessivi nella
formazione di gruppo è quello della dimensione familiare. La famiglia rappresenta
l’area in cui esiste la maggior difficoltà di adattamento, per chi emigra e si ritrova in un
contesto molto diverso da quello in cui è cresciuto, che non conosce o riconosce i valori
culturali, religiosi e familiari propri (Andolfi 2003: 162).
Inoltre la dimensione familiare può incrementare il livello di criticità quando si
affronta il tema della continuità o delle fratture nelle relazioni intergenerazionali. La
prima generazione, quella più anziana, al fine di mantenere una propria identità può
sentire minaccioso l’entrare in contatto dei figli con la cultura ospitante, in particolare
l’inserimento nella scuola, nel senso di temere il pericolo di una rottura nella
trasmissione intergenerazionale e un venire meno dei valori familiari.
79
D’altro canto, il bambino straniero si trova a dover integrare due modelli di
riferimento culturale: quello trasmessogli nel gruppo familiare e quello del contesto
culturale in cui è inserito. Affrontare la propria storia personale attraverso l’uso di
strumenti formativi che la inquadrano in un contesto familiare ha vari intenti: permette
di riflettere sui fenomeni legati ai processi migratori e sulle dinamiche familiari,
consente di conoscere stili e modelli familiari diversi dal proprio. L’uso del
genogramma familiare può diventare lo strumento principale per ripercorrere gli eventi
più importanti all’interno della storia della propria famiglia, riconoscere i vincoli di
lealtà, individuare i miti familiari attraverso le generazioni e identificare le aspettative
familiari rispetto ai ruoli ricoperti.
Un altro aspetto che riguarda la formazione personale del mediatore culturale,
come dice Andolfi, ha a che fare con la capacità di riattivare le risorse di cui spesso non
si è consapevoli (Andolfi 2003:163). Con l’espressione “risorse” si intendono quelle
caratteristiche personali positive, la resistenza, forza di volontà, flessibilità, pazienza,
maturità, coraggio, ecc. L’immigrazione sottopone a forti tensioni emotive e difficoltà
di adattamento e ricostruzione di una propria identità, soprattutto se si considerano le
dure esperienze di vita precedenti all’emigrazione, quali l’estrema povertà, l’aver
vissuto in territori di guerra o sottoposti a regime totalitari, l’aver subito torture. Il
termine più adeguato per illustrare la capacità di andare avanti è “resilienza”, un
vocabolo inusuale utilizzato per descrivere la caratteristica di un materiale a resistere ad
urti improvvisi senza spezzarsi. Nell’uso psicologico del termine, “sono resilienti gli
individui che sopravvivono ad eventi fortemente stressanti e traumatici: violenze,
malattie, gravi lutti, pesanti trascuratezze o rifiuti, facendo ricorso a risorse personali e
relazionali, energie interne incredibili”.
Quando parliamo di esperienza personale del mediatore, intendiamo quindi, la
possibilità di ripercorrere e rielaborare i processi di sviluppo all’interno della propria
comunità di origine, nel proprio contesto culturale e sociale di riferimento, gli eventi
importanti della propria vita e delle esperienze cruciali, tra queste ultime in particolare
dell’esperienza migratoria. La formazione è dunque caratterizzata da un’attenzione
particolare allo sviluppo di capacità autoriflessive, che hanno a che fare con i processi di
crescita personale (Andolfi 2003: 163-164).
80
CAPITOLO III
L’INTEPRETE DI TRIBUNALE IN ITALIA
3.1 EVOLUZIONE DELLA NORMATIVA ITALIANA
La figura dell’interprete di tribunale, così come presentata nei vari codici penali del XIX
e XX secolo, risulta alquanto confusa e complessa e non di meno lo sono le definizioni
ad essa associate.
I vari codici europei hanno affrontato la questione da due differenti prospettive
giuridiche e filosofiche. Entrambe sono indissolubilmente legate al contesto storicopolitico. Un approccio vuole che le autorità procedenti riconoscano all’interprete il
ruolo di assistenza all’imputato, al fine di agevolare la comprensione del processo da
parte di quest’ultimo e di pianificare in modo adeguato la sua difesa. L’altro approccio,
d’altro canto, sostiene che l’interprete debba essere considerato una prerogativa
dell’autorità procedente, indipendentemente da qualsiasi disposizione di difesa, laddove
l’imputato non parli la lingua usata nel procedimento (Ballardini 2002: 205).
Limitandoci al XX secolo, un esempio del primo approccio può essere riscontrato
nel “Codice di procedura penale” italiano del 1913. Esso introduce numerose
innovazioni riguardanti diritti e doveri dell’interprete. In particolare riconosce
all’interprete, per la prima volta nella storia legislativa italiana, lo status di “perito”. Ciò
significa considerare l’interprete una sorta di “specialista”, un “esperto” della lingua. Il
Codice, inoltre, era molto sensibile alla necessità da parte dell’interprete di garantire
l’imparzialità e una condotta moralmente ineccepibile.
La situazione cambia radicalmente nel 1930 con il “Codice Rocco”, che
mantenne in vita varie modifiche, fino all’introduzione dell’attuale Codice di procedura
penale del 1989. Il Codice Rocco ribadiva la concezione dell’interprete al servizio
dell’autorità procedente, senza tener conto dei bisogni dell’imputato. Anche in questo
caso, l’interprete era considerato un “esperto” della lingua. Tuttavia, i precedenti
tentativi di assicurare l’imparzialità del ruolo dell’interprete furono limitati. Il ruolo
dell’interprete fu sottomesso all’ideologia dominante del periodo, quella fascista, che
mise in discussione l’intero sistema giudiziario. Ciò equivale a dire che, i bisogni
81
dell’imputato non venivano minimamente considerati. L’interprete era, ancora una
volta, al servizio del giudice, non dell’imputato.
Il periodo post-guerra fu segnato da una serie di cambiamenti dello status legale
dell’interprete-traduttore di tribunale e delle sue funzioni. La ragione principale
consisteva nel fatto che, mentre il Codice del 1930 continuava a rimanere in vigore, al
tempo stesso fu subordinato ad una serie di normative recenti. La prima e più
importante era certamente la nuova Costituzione o “Costituzione della Repubblica”. La
seconda era la “Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle
libertà fondamentali”, siglata a Roma il 4 novembre del 1950 ed incorporata in Italia
con la legge n. 818 dell’8 agosto 1955. Allo stesso modo, il “Patto Internazionale sui
Diritti Civili e Politici”, approvato dall’Assemblea delle Nazioni Unite il 16 dicembre
1966, fu ratificato in Italia con la legge n.881 del 25 ottobre 1977. Tali leggi hanno
gradualmente spostato l’obiettivo del ruolo dell’interprete a favore della difesa
dell’imputato, garantendo non solo il rispetto dei diritti linguistici delle minoranze
presenti in Italia, ma anche una serie di disposizioni legislative per l’assistenza
linguistica degli stranieri non parlanti la lingua italiana (Ballardini 2002: 206).
L’attuale profilo dell’interprete di tribunale è disciplinato dagli articoli 143-147
del nuovo Codice di procedura penale del 1989. Nel nuovo scenario, l’interprete, non è
più al servizio delle autorità, ma al servizio dell’imputato. Inoltre è chiamato a prestare
il proprio servizio per tutti coloro che sono coinvolti in un processo.
Si tratta, come afferma uno dei maggiori studiosi di procedura penale in Italia,
Mario Chiavario, di una “mutazione genetica” e i precedenti storici di tale mutazione
risalgono a partire dalla Rivoluzione Francese, in particolare alla “Dichiarazione dei
Diritti dell’Uomo e del Cittadino” e al “Codice d’istruzione criminale” dell’età
napoleonica (1808). La giurisprudenza e le decisioni dei tribunali francesi del XIX
secolo hanno fortemente contribuito allo sviluppo del moderno concetto di
“interpretazione di tribunale”, stabilendo il diritto di nomina di un interprete competente
nella lingua dell’imputato e che non deve essere necessariamente la lingua nativa dello
stesso.
Inoltre, anche il sistema delle sanzioni e delle pene applicabili all’interprete e al
traduttore derivano, con le opportune modifiche, dal “Codice penale” napoleonico del
1810, in taluni casi anche dal “Codice criminale” del 1791. Le sanzioni e le pene
82
inizialmente venivano applicate ai casi di falsa testimonianza, ma in seguito furono
estesi fino ad includere gli interpreti e i traduttori ritenuti colpevoli dello stesso reato.
Ovvero, gli interpreti-traduttori hanno le stesse responsabilità dei testimoni (Ballardini
2002: 207-208).
In Italia, nonostante i cambiamenti prodotti dal Codice penale del 1989, il profilo
dell’interprete di tribunale non è stato totalmente rivisto e modificato. Il fatto che vi
siano ancora presenti certe contraddizioni, deficienze ed anomalie, ha considerevoli
effetti sulla qualità del servizio offerto.
La Corte Costituzionale ha recentemente sottolineato l’ambiguità della normativa
italiana nei confronti dei diritti linguistici, sia del diritto a ricorrere ad un interprete da
parte dell’imputato, sia del tipo di assistenza linguistica offerta a quest’ultimo nel
rispetto della condizione dello stesso.
Esiste una differenza sostanziale tra l’interpretazione per un cittadino italiano
appartenente ad una minoranza linguistica e l’interpretazione per uno straniero. Nel
primo caso, il cittadino ha il diritto di usare la lingua nativa, indipendentemente dal suo
grado di conoscenza della lingua italiana. Nel secondo caso, invece, il cittadino ha
diritto all’assistenza linguistica, solo se dimostra di non conoscere a sufficienza la
lingua italiana o se dichiara di non conoscerla affatto. In alcuni casi l’interprete è
assegnato all’imputato gratuitamente e anche se conosce la lingua nativa dello stesso,
può utilizzare anche una lingua diversa.
Per la legge italiana, essere straniero non è bastante ad assicurare il diritto
all’assistenza linguistica. Inoltre, con il numero crescente di immigrati di origini
diverse, essa richiede interpreti che conoscono diverse lingue e dialetti. Un buon
numero di crimini in Italia sono commessi infatti da stranieri e tale dato mostra che non
è sufficiente reclutare solo interpreti e traduttori professionalmente qualificati, perché
ciò renderebbe impossibile assicurare l’assistenza linguistica nelle lingue meno diffuse
(Ballardini 2002: 208-210).
La mancanza di una netta distinzione fra l’interprete e il traduttore o tra un
professionista e un non professionista è comprensibile se si tiene conto dell’assenza di
un regolamento previsto dalla legge sulle due professioni. Non esiste infatti un albo
ufficiale degli interpreti e dei traduttori, né la professione è limitata ad interpreti
qualificati che posseggano titoli di studio adeguati, conseguiti in Italia o all’estero. Così,
83
qualunque soggetto ritenuto idoneo dall’autorità, può essere reclutato. Tale situazione
ovviamente non garantisce una retribuzione adeguata, compromettendo in tal modo la
qualità del servizio prestato e sminuendo la professionalità degli interpreti-traduttori
qualificati (Ballardini 2002: 209-210).
Ricordiamo infine sotto il profilo normativo, l’articolo 24 della Carta
Costituzionale, che garantendo il diritto alla difesa, richiede che all’imputato siano dati
gli strumenti per comprendere l’accusa dalla quale deve difendersi, senza dover subire
un trattamento diverso rispetto al cittadino che conosce la lingua italiana
(http://www.quirinale.it/qrnw/statico/costituzione/costituzione.htm
accesso
16/11/2009).
Art. 24.
Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi.
La difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento.
Sono assicurati ai non abbienti, con appositi istituti, i mezzi per agire e difendersi
davanti ad ogni giurisdizione.
La legge determina le condizioni e i modi per la riparazione degli errori giudiziari.
3.1.2 IL PRINCIPIO DI OBBLIGATORIETÀ DELLA LINGUA ITALIANA NEGLI
ATTI PROCESSUALI PENALI
L’articolo 109 del c.p.p. è dedicato alla “lingua degli atti”. Al primo comma sancisce
che gli atti del procedimento penale sono compiuti in lingua italiana, al secondo comma
ne rimuove l’obbligo in favore degli appartenenti ad una minoranza linguistica
riconosciuta, al terzo commina la sanzione della nullità per le relative inottemperanze
(Curtotti-Nappi 2002: 59).
All’obbligo d’impiego della lingua italiana si sottraggono anche i documenti, in
quanto elementi materiali rappresentativi di fatti, persone o cose formati fuori dal
procedimento penale, nel quale tendono ad introdursi in virtù del loro valore probatorio.
Infatti, l’eventualità di un documento redatto in lingua straniera è contemplata dal primo
comma dell’articolo 242 c.p.p. laddove si attribuisce al giudice il dovere di predisporre
la relativa traduzione, se necessario alla comprensione del testo inintelligibile (CurtottiNappi 2002: 110-111).
84
L’esigenza di ricorrere alla lingua nazionale nel compimento degli atti del
procedimento penale va coniugata con la necessità di rispettare i diritti linguistici delle
minoranze etniche riconosciute dallo Stato italiano. Vi sono altre lingue, in realtà, che
seppure non riconosciute ufficialmente, sono protette dal legislatore processuale
italiano: ad esempio quella tedesca del Trentino Alto Adige, quella francese nella Valle
d’Aosta e quella slovena nel Friuli Venezia Giulia. Anch’esse, infatti, al pari della
lingua nazionale, rappresentano il maggior fattore di aggregazione ed identificazione del
gruppo minoritario ed è per questa loro valenza, che la scelta di garantirne l’uso,
rappresenta il modo più efficace per valorizzare e proteggere il fenomeno minoritario ed
in particolare, il suo patrimonio culturale nonché le sue tradizioni storiche (CurtottiNappi 2002: 123-124).
Il principale strumento di comunicazione del processo penale è la lingua italiana
la cui ampia espansione all’interno della comunità nazionale, fa pensare che essa sia la
lingua più conosciuta dai protagonisti della vicenda giudiziaria. Non sempre, però, è
così: anzi, oggi sono sempre più le persone coinvolte in un procedimento penale che
non conoscono la lingua nazionale o non la conoscono così bene da affrontare l’intera
dinamica processuale. In questi casi, la regola dell’uso obbligatorio della lingua italiana
non riesce a perseguire i fini pratici, finendo per provocare insanabili fratture nella
posizione del soggetto che non comprende o non parla l’italiano. Da qui l’esigenza di
bilanciare gli interessi nazionalistici dello Stato con quelli dell’individuo. L’unico
rimedio, idoneo a sanare lo svantaggio linguistico in cui le parti del processo potrebbero
incorrere, è rappresentato dalla previsione dell’assistenza di un interprete e dalla
predisposizione di efficaci garanzie per il suo adeguato svolgimento (Curtotti-Nappi
2002: 233-234).
3.2 L’INTEPRETE NEL PROCESSO PENALE ITALIANO
Nell’ambito del procedimento penale italiano, l’autorità procedente nomina un
interprete, ai sensi dell’articolo 111 della Costituzione Italiana e degli articoli 143 – 147
del c.p.p., qualora le parti coinvolte non conoscano la lingua ufficiale del processo, o
qualora non la conoscano a sufficienza per affrontarlo adeguatamente. In particolare
l’art. 143 è il più importante:
85
Art. 143
Nomina dell'interprete
1. L'imputato che non conosce la lingua italiana ha diritto di farsi assistere
gratuitamente da un interprete al fine di potere comprendere l'accusa contro di lui
formulata e di seguire il compimento degli atti cui partecipa. La conoscenza della lingua
italiana è presunta fino a prova contraria per chi sia cittadino italiano.
2. Oltre che nel caso previsto dal comma 1 e dall'articolo 119, l'autorità procedente
nomina un interprete quando occorre tradurre uno scritto in lingua straniera o in un
dialetto non facilmente intellegibile ovvero quando la persona che vuole o deve fare una
dichiarazione non conosce la lingua italiana. La dichiarazione può anche essere fatta per
iscritto e in tale caso è inserita nel verbale con la traduzione eseguita dall'interprete.
3. L'interprete è nominato anche quando il giudice, il pubblico ministero o l'ufficiale di
polizia giudiziaria ha personale conoscenza della lingua o del dialetto da interpretare.
4.
La
prestazione
dell'ufficio
di
interprete
è
(http://www.pianetagratis.it/codicionline/codiceprocedurapenale/l24.htm
obbligatoria
accesso
30/12/2009).
Tale nomina è motivata dalla necessità di garantire all’imputato che non capisce
e/o non parla l’italiano, il diritto di comprendere le accuse contro di lui formulate e
capire il procedimento al quale partecipa, nel rispetto del principio costituzionale
dell’uguaglianza di ogni individuo davanti alla legge, in virtù del quale nessuno può
essere discriminato su basi linguistiche o culturali (Longhi 2006).
Lo scopo di questa tutela linguistica, che è gratuita, è quello di far sì che
l’imputato sia presente, vale a dire parte attiva del processo e la cui piena comprensione
è presupposto fondamentale per l’esercizio di una difesa consapevole e per lo
svolgimento
di
un
equo
processo.
Il diritto all’interprete nell’ambito di un processo penale costituisce quindi una
condizione indispensabile per porre in essere un diritto fondamentale dell’imputato,
quello alla difesa e alla parità fra le parti.
Ogni imputato, sia egli cittadino italiano o straniero, cittadino italiano
appartenente a minoranze linguistiche riconosciute o, infine, cittadino esclusivamente
dialettofono, dovrebbe essere messo nelle stesse condizioni di un imputato italofono.
Nonostante tale riconoscimento normativo, l’attuazione concreta della tutela
linguistica, specie a favore dei soggetti stranieri, rimane contraddittoria per tre ragioni
principali:
86
1) Il codice di procedura penale non distingue le competenze dell’interprete da
quelle del traduttore, contrariamente a quanto avviene in ambito formativo e
professionale;
2) L’incarico può essere conferito a chiunque sia ritenuto dall’autorità procedente
capace di adempiere l’ufficio “bene e fedelmente”, come prescrive l’articolo 146
comma 2. Ciò significa che per la legge è auspicabile, ma non vincolante,
nominare professionisti o persone in possesso di un diploma o di una laurea in
interpretazione o traduzione;
3) La normativa nazionale e internazionale non impone che la lingua utilizzata nel
procedimento sia la lingua madre della persona alloglotta, basta che essa le sia
sufficientemente nota (Ballardini 2005: 169).
La normativa in vigore nasconde altre lacune 1) il soggetto che presiede alla
nomina dell’interprete; 2) le linee guida per valutare il grado di conoscenza della lingua
italiana da parte dell’imputato e 3) i criteri che dovrebbero guidare l’accertamento
dell’idoneità
e
delle
competenze
della
persona
nominata
(Longhi
2006).
Una prima grossa lacuna appare nell’articolo 143 al comma 2, che prevede la
nomina di un interprete laddove si presenti la necessità di tradurre uno scritto in lingua
straniera. Una seconda lacuna è presente nell’articolo 147, in cui si fa riferimento ai
termini che l’interprete deve rispettare per la consegna delle traduzioni scritte. Neanche
l’articolo 242, che regolamenta la traduzione di documenti e nastri magnetofonici, fa
riferimento alla figura del traduttore, limitandosi a rimandare all’articolo 143.
Per quanto riguarda il soggetto cui spetta la nomina dell’interprete, l’art. 143
comma 1, lo cita come “autorità procedente”, in passato solitamente identificato con il
giudice che presiedeva il processo. Da alcuni anni, la giurisprudenza costituzionale ha
tuttavia esteso il diritto alla tutela linguistica dalla fase processuale vera e propria
all’intero procedimento, estendendo di conseguenza l’accezione stessa di autorità
procedente
(Longhi
2006).
La normativa vigente, inoltre, non fornisce indicazioni precise né circa il grado
minimo di competenza linguistica richiesto a un imputato, né circa la soglia oltre la
quale si riveli necessaria un’assistenza linguistica in suo favore. Al tempo stesso, però,
la normativa non suggerisce procedure specifiche volte a verificare la sua competenza
87
linguistica, né fissa parametri di riferimento per la valutazione della stessa.
Nessuna normativa, inoltre, fornisce indicazioni circa i criteri di scelta e di nomina
dell’interprete, al di là dell’art. 143, che tuttavia si limita a definire le caratteristiche che
rendono un candidato interprete non idoneo, piuttosto che stabilire i prerequisiti che
questi
dovrebbe
possedere
per
fornire
un
servizio
di
qualità.
L’articolo 146 al comma 2 si limita a ricordare in modo sommario che l’autorità
procedente:
“ammonisce l’interprete sull’obbligo di adempiere bene e fedelmente l’incarico
affidatogli, senz’altro scopo che quello di far conoscere la verità, e di mantenere il
segreto su tutti gli atti che si faranno per suo mezzo o in sua presenza”.
Infine, l’attuale formulazione della legge lascia intendere che l’incarico possa
essere
conferito
a
chiunque
sia
ritenuto
capace
di
adempiere
l’ufficio,
indipendentemente dal titolo posseduto.
Sono quindi evidenti le carenze di una definizione normativa. Secondo Longhi,
autrice dell’articolo, una possibile soluzione nel tentativo di garantire un’assistenza
linguistica di qualità dovrebbe passare in primo luogo attraverso il riconoscimento,
normativo ed economico, della necessaria professionalità dell’attività di interpretazione
in questo settore particolare, che implica competenze altamente specializzate e la
capacità di svolgere compiti specifici, oltre che nettamente distinti da quelli di un
traduttore (Longhi 2006).
Secondo quanto sostiene Ballardini, le incoerenze presenti a livello normativo si
ripercuotono sulla qualità dell’assistenza linguistica e quindi sull’efficacia difensiva
dell’imputato. Inoltre, uno straniero che parla solo una lingua poco conosciuta, ha
minori probabilità di usufruire di un’assistenza adeguata, data la difficoltà di reperire sul
mercato professionisti in grado di lavorare con lingue rare e/o disposti a prestare il loro
servizio in un ambito in cui i compensi in genere sono modesti e spesso del tutto
sproporzionati all’impegno richiesto. Ne consegue che, di fronte all’obbligo di far
assistere un alloglotta parlante una lingua di scarsa diffusione, il reperimento di un
interprete qualificato rischia di essere impegnativo o oneroso e di conseguenza chi
procede alla nomina dell’interprete, si trova spesso a dover scegliere fra due possibili
alternative: 1) nominare un professionista freelance e capace di lavorare con una lingua
internazionale largamente diffusa, che risulti sufficientemente nota allo straniero o 2)
88
affidare l’incarico ad un parlante la lingua nativa dell’imputato, se però possiede le
competenze tecniche necessarie e conosca bastante l’italiano. In entrambi casi, siamo
tuttavia lungi dal fornire all’imputato le stesse garanzie di un cittadino italiano
(Ballardini 2005: 169-170).
3.3 IL PROFILO DELL’ INTERPRETE DI TRIBUNALE SECONDO LA CORTE
COSTITUZIONALE
La Corte oggi riconosce e apprezza l’attività dell'interprete che relaziona l'imputato non
già con il giudice (tale è l’ausiliario del giudice), ma con il proprio difensore e ciò
assume un’importanza enorme al fine di garantire l’effettiva conoscenza da parte
dell'imputato del significato degli atti processuali ai fini della propria difesa
(http://www.overlex.com/leggiarticolo.asp?id=1398 accesso 16/11/2009).
La Corte richiede che, laddove il legislatore italiano ha preso in specifica
considerazione la situazione dell'imputato che non conosce la lingua italiana,
riconoscendo che egli ha diritto all’assistenza linguistica (art. 134 comma 1), deve
necessariamente intendersi che la norma configura il ricorso all'interprete non come un
puro strumento tecnico a disposizione del giudice per consentire o facilitare lo
svolgimento del processo in presenza di persone che non parlino o non comprendano
l'italiano, ma come oggetto di un diritto individuale dell'imputato, volto a consentirgli
quella partecipazione cosciente al procedimento che é parte ineliminabile del diritto di
difesa.
La garanzia costituzionale del diritto di difesa comprende l’effettiva possibilità
che la partecipazione personale dell'imputato al processo avvenga in modo consapevole,
il che comporta l’effettiva possibilità sia di percepire, comprendendone il significato
linguistico, le espressioni orali dell'autorità procedente e degli altri protagonisti del
processo, sia di esprimersi a sua volta essendone percepito e compreso.
La Corte ha costantemente affermato che "la peculiare natura del processo penale
e degli interessi in esso coinvolti richiede la possibilità della diretta e personale
partecipazione dell'imputato", onde l'autodifesa, ovvero “quel complesso di attività
mediante le quali l'imputato é posto in grado di influire sullo sviluppo dialettico del
processo", costituisce "diritto primario dell'imputato, immanente a tutto l' iter
89
processuale,
dalla
fase
istruttoria
a
quella
di
giudizio"
(http://www.overlex.com/leggiarticolo.asp?id=1398 accesso 16/11/2009).
Se normalmente questi diritti dell'accusato sono resi effettivi attraverso la garanzia
della possibilità di presenziare alle udienze e di esprimere le dichiarazioni che egli
ritiene opportune, purché si riferiscano all'oggetto dell'imputazione e non intralcino il
regolare svolgimento del processo, avendo per ultimo la parola, nonché attraverso la
"facoltà di conferire con il proprio difensore tutte le volte che lo desideri, tranne che
durante l'interrogatorio o prima di rispondere a domande rivoltegli", forme speciali di
tutela sono richieste allorché l'accusato, a causa di sue particolari condizioni personali,
non sia in grado di comprendere i discorsi altrui o di esprimersi essendo compreso.
La più comune di tali condizioni é rappresentata dalla non conoscenza della lingua
in cui si svolge il processo, ed é per questo che le norme delle convenzioni
internazionali sui diritti prevedono espressamente fra i diritti dell'accusato quello di
"farsi assistere gratuitamente da un interprete se non comprende o non parla la lingua
usata in udienza".
La Corte, escludendo che il traduttore possa essere ritenuto un semplice
consulente di parte, ha esteso le garanzie riconosciute all'imputato anche per quanto
riguarda le necessità dello stesso di capire e farsi capire dal proprio difensore
avvalendosi dell'ausilio di un traduttore della propria lingua che può essere scelto tra le
persone
che
conoscono
e
frequentano
lo
stesso
imputato
(http://www.overlex.com/leggiarticolo.asp?id=1398 accesso 16/11/2009).
3.4 INTERPRETE, PERITO O CONSULENTE TECNICO?
In primo luogo occorre osservare come la normativa inquadra le figure professionali del
perito e del consulente tecnico, al fine di rilevare somiglianze e differenze rispetto alla
figura dell’interprete di tribunale (Longhi 2006).
Va innanzitutto premesso che non esiste al momento un albo degli interpreti e dei
traduttori. Pertanto questi, in ambito giuridico, confluiscono nell’Albo dei consulenti
tecnici e dei periti, insieme con altre figure professionali appartenenti a categorie molto
diverse (esperti in medicina e chirurgia, agricoltura, commercio, balistica, ecc.).
Esistono due tipi di albo: uno tenuto presso il tribunale civile, chiamato “Albo dei
90
consulenti tecnici” e uno presso il tribunale penale, chiamato “Albo dei periti”.
Per l’iscrizione all’Albo è richiesta una “speciale” competenza nella materia, che
deve essere dimostrata con la presentazione di titoli e documenti che la attestino: è
questo l’unico criterio previsto dalla normativa volto ad accertare la competenza del
candidato. Un comitato presiede alla scelta degli iscritti e provvede alla revisione
periodica dell’Albo, al fine di cancellare eventuali iscritti, per i quali sia venuto meno
uno dei requisiti necessari o sia sorto un impedimento per l’esercizio di perito. Inoltre,
una volta iscritto nelle liste del tribunale, il perito diventa automaticamente contattabile
da parte dell’autorità senza ulteriori controlli.
Bisogna poi ricordare che l’art. 67 prevede la possibilità di nomina di un
perito non iscritto all’Albo, ne consegue che il ricorso all’Albo ai fini della nomina non
è obbligatorio. Se l’iscrizione all’Albo non garantisce automaticamente la competenza
dell’interprete, la sua non iscrizione la garantisce ancor meno (Longhi 2006).
3.4.1 IL PERITO
La nomina di un perito è motivata dalla necessità del giudice di avvalersi di competenze
tecniche specializzate che lui stesso non possiede in prima persona ma che gli sono
indispensabili per accertare i fatti e formulare un giudizio, come regolamentato
dall’articolo 220 comma 1 del c.p.p. La perizia, assume dunque un carattere di
eccezionalità, dal momento che il perito viene nominato esclusivamente quando la sua
presenza è necessaria per colmare una lacuna di competenze tecniche da parte
dell’autorità, che deve pronunciarsi su questioni talvolta estremamente specialistiche.
Ciò vuol dire che la perizia è giustificata solo in caso di necessità manifesta dell’autorità
giudiziaria (Longhi 2006).
L’apprezzamento della necessità o meno di un’indagine peritale è oggetto di
valutazione discrezionale da parte del giudice, che preferibilmente, ma non
necessariamente, sceglie fra i nominativi iscritti nell’apposito Albo.
Tale necessità deve essere considerata anche nell’ottica delle parti, per le quali la perizia
è una garanzia di giudizio tecnico qualificato, nonché di decisione corretta e ponderata
da parte dell’autorità. Ciò non significa però che il perito sia un “giudice tecnico”,
poiché la perizia, una volta acquisita al processo, non ha potere vincolante ai fini della
91
decisione dell’autorità, che la considera alla stregua degli altri elementi probatori, che
vengono valutati, utilizzati, oppure non condivisi.
In tal senso la perizia è un “mezzo di prova neutro” poiché, indipendente dalle
parti, le quali dispongono del potere di nomina solo riguardo alla figura del consulente
tecnico. Esse hanno infatti facoltà di nominare un consulente tecnico “di parte”, che
assista alle operazioni del perito, ma non un perito “di parte”.
Per ragioni di imparzialità e di conflitto di interessi, l’articolo 222 c.p.p. vieta che
l’incarico di perito venga attribuito a chi sia già stato nominato consulente tecnico
nell’ambito dello stesso processo o di un processo connesso.
Il conferimento dell’incarico, che avviene tramite ordinanza del giudice (art. 224),
consente al perito di intraprendere gli accertamenti necessari a rispondere per iscritto ai
quesiti oggetto della perizia.
Qualora lo ritenga necessario per lo svolgimento della perizia, il perito ha
facoltà di chiedere al giudice il permesso di prendere visione degli atti e dei documenti
acquisiti al dibattimento, nonché di richiedere informazioni all’imputato, alla persona
offesa dal reato o ad altri (art. 228), fermo restando il vincolo di utilizzare tali notizie ai
soli fini dell’accertamento peritale.
La prestazione dell’ufficio di perito è obbligatoria (art. 221 comma 3), così
come quella dell’interprete (art. 143 comma 4) e il rifiuto dell’incarico (art. 366), così
come la falsa perizia o interpretazione, sono punibili (art. 373).
Infine, il perito, oltre all’obbligo di prestare giuramento, deve attenersi al
segreto circa gli atti conosciuti e formati nel corso della perizia (Longhi 2006).
3.4.2 IL CONSULENTE TECNICO
La procedura penale identifica una differenza fondamentale fra perizia e consulenza
tecnica: mentre la prima infatti è disposta dal giudice, la seconda dalle parti (Longhi
2006).
L’art. 225 sottolinea la caratteristica “di parte” del consulente tecnico, che può
essere nominato dal pubblico ministero per integrare le indagini peritali, o dalle parti
private, a proprie spese, allo scopo di integrare l’attività della difesa. Il giudizio dei
92
consulenti di parte può contrapporsi a quello formulato sulla medesima questione da
periti e consulenti del pubblico ministero.
Il consulente tecnico è quindi chiamato a prestare la sua opera nel solo
interesse della parte che l’ha nominato e pertanto non è tenuto a farsi carico
dell’impegno di “obiettività”, previsto unicamente per i periti. Egli tuttavia è comunque
vincolato al rispetto di determinati doveri professionali nei confronti della parte che lo
ha nominato.
I reati previsti (artt. 380 e 381) sono: 1) la collusione con la parte avversaria; 2) la
prestazione contemporanea del patrocinio o della consulenza a favore di parti contrarie;
3) l’assunzione di patrocinio o consulenza della parte avversaria dopo aver assistito una
parte e senza il consenso di quest’ultima.
I consulenti tecnici partecipano all’iter di svolgimento della perizia sin dalla
prima fase di formulazione dei quesiti da parte dell’autorità e anche alle operazioni
peritali, con facoltà di proporre al perito indagini, così come di presentare riserve e
osservazioni, che devono entrare a far parte della relazione peritale. Si potrebbe dire
pertanto che il consulente tecnico esercita in alcuni casi una vera e propria funzione di
controllo sull’attività del perito nominato dall’autorità, come regolamentato all’art. 230.
Contrariamente a quanto accade per i periti, non vi sono vincoli normativi
riguardo ai tempi di nomina dei consulenti tecnici, che possono essere nominati anche
una volta conclusa la perizia. In tal caso, i consulenti hanno facoltà di esaminare la
relazione peritale, nonché di richiedere al giudice di esaminare la persona, il luogo o
l’oggetto della perizia, al fine di verificare, nell’interesse della parte che li ha nominati,
la correttezza e l’affidabilità delle stesse indagini peritali (Longhi 2006).
3.4.3 E L’INTERPRETE?
Vediamo ora nel dettaglio quali sono i punti di contatto e le differenze delle due figure
succitate con l’interprete.
L’autrice ci ha precedentemente detto che il perito viene nominato dal giudice per
ovviare a una situazione di disagio, dovuta alla necessità di avvalersi di competenze
altamente specializzate, indispensabili alla valutazione di un fatto che concorre a
93
formare il giudizio. E’ fondamentale dunque la comprensione linguistica di quanto
affermato al fine di valutare i fatti (Longhi 2006).
Per tale motivo è stato suggerito in passato un accostamento della figura
dell’interprete a quella del perito, partendo dalla constatazione che l’interpretazione
costituisce una rappresentazione di dichiarazioni originariamente prodotte in un
linguaggio inintelligibile, ossia che l’interprete rappresenta un fatto, le dichiarazioni
altrui, la cui percezione da parte degli altri attori del processo passa necessariamente per
la mediazione della sua esperienza. Vale a dire che l’interprete è chiamato a svolgere
una funzione peritale laddove l’autorità procedente si avvale delle sue competenze
linguistiche, per la comprensione di quanto affermato dall’imputato o da eventuali
testimoni alloglotti.
Il Codice di procedura penale assimila le due figure anche per quanto riguarda i
presupposti della nomina. Entrambe sono infatti nominate dall’autorità in virtù del loro
possesso di conoscenza non comuni, indipendentemente dalle competenze personali e
occasionali del giudice e del pubblico ministero (art. 143).
In pratica, l’interprete, in nome del principio del giusto processo, agisce
nell’interesse delle parti e il diritto all’assistenza linguistica non può essere negato in
virtù di una particolare “capacità culturale” del giudice, del PM o della polizia
giudiziaria.
Altri elementi che avvicinano la figura dell’interprete a quella del perito sono: 1)
la procedura di nomina e notifica (artt. 143 e 146; artt. 221 comma 1 e 224 comma 1);
2) l’obbligatorietà dell’ufficio (artt. 143 comma 4 e 221 comma 3) e 3) le cause di
incapacità e incompatibilità (artt. 144 e 145; art. 222).
Per quanto riguarda infine il modo in cui deve essere compiuto l’ufficio,
l’interprete è, come si è detto, ammonito dall’autorità a svolgere “bene e fedelmente”
l’incarico (art. 146 comma 2). Allo stesso modo, il Codice di procedura penale prevede
sanzioni per il perito che svolge negligentemente l’ufficio per cui è stato nominato (art.
231). Da questo punto di vista, l’interprete e il perito sono accomunati anche dalla
scarsa precisione con cui la legge definisce criteri di valutazione per l’operato di
entrambi (Longhi 2006).
Per quanto riguarda invece la figura del consulente tecnico, è opportuno
ricordare che in ambito penale, tale figura appartiene al campo d’interesse della difesa.
94
Egli è cioè nominato dalle parti tramite i difensori, allo scopo di integrare la loro
attività, nonché per assistere alle diverse fasi della perizia, sempre nell’interesse della
parte che lo ha nominato. Questo aspetto sembrerebbe quindi avvicinare il consulente
tecnico non tanto all’interprete nominato dall’autorità procedente, quanto all’interprete
“di parte”, nominato appunto dalle parti, cui è contrattualmente vincolato. Egli entra
così a far parte del collegio della difesa e può perciò essere qualificato come un
“difensore tecnico”, rispetto al quale hanno facoltà di nomina tutte le parti che vi hanno
interesse, in virtù del diritto di contraddittorio rispetto all’indagine condotta dal perito,
nel nostro caso l’interprete, nominato dal giudice.
Da un lato, quindi, l’interprete d’ufficio sembra effettivamente assimilabile
alla categoria dei periti; dall’altro, l’interprete “di parte” sembra svolgere un ruolo più
simile a quello di un consulente tecnico.
Tornando all’accostamento interprete – perito – consulente tecnico,
nonostante vi siano, nell’attuale disciplina, diverse sovrapposizioni, non si può
affermare che i loro ruoli siano del tutto assimilabili, perché in realtà nell’economia del
processo penale, essi costituiscono “strumenti” ben distinti. La differenza più palese,
confermata anche dalla sistemazione di tali figure all’interno del Codice di procedura
penale in vigore, è che l’interpretazione e la traduzione non costituiscono un’attività
relativa alla prova, mentre la perizia è considerata un mezzo di prova.
Al di là della normativa vigente, appare evidente che l’interpretazione
dovrebbe essere ritenuta un’attività altamente specialistica, alla pari di un’attività
peritale. Purtroppo in Italia, a differenza di quanto avviene in altri Paesi, lo statuto
dell’interprete di tribunale oggi è quello di una figura solo accessoriamente
professionale, che non solo non è distinta da quella del traduttore, che a sua volta
dovrebbe essere dotata di competenze specifiche, ma neanche dai semplici “cultori”
della lingua, i quali solo raramente possiedono le abilità e le conoscenze di un
professionista (Longhi 2006).
3.5 IL TRADUTTORE DI TRIBUNALE
E’ opinione largamente diffusa identificare il traduttore di tribunale con il traduttore
giuridico, ma tale identificazione non è del tutto vera. Da un lato, infatti, egli raramente
95
traduce testi di diritto puro; dall’altro, deve conoscere molto bene il diritto civile e
penale e le relative norme processuali, per operare efficacemente nell’ambito
dell’amministrazione della giustizia (Alimenti 1999: 1). Inoltre deve possedere grande
maturità ed equilibrio poiché la violazione del codice etico, nel suo caso, può generare
effetti devastanti, investendo la libertà delle persone, l’assetto economico, i rapporti
internazionali, ecc.
Il traduttore lavora in tribunale o per andare ad asseverare una traduzione
commissionatagli da un cliente privato o per effettuare un interpretariato o una
traduzione su incarico di un’autorità giudiziaria, nella veste di perito. In entrambi i casi,
il lavoro può basarsi su differenti materie, anche molto lontane fra loro, pertanto la
professionalità del traduttore deve essere il più possibile eterogenea. Il traduttore di
tribunale si potrebbe in tal senso definire un vero e proprio “traduttore tecnico
universale”.
Infine, sotto il profilo giuridico, egli fa parte della più generale categoria degli
interpreti e dei traduttori liberi professionisti, i quali aggiungono questa particolare
attività alla loro ordinaria attività libero-professionale ed assumono la veste dei
traduttori solo ai fini dello svolgimento dell’incarico ricevuto.
Presso ogni tribunale civile esiste, come già detto, un Albo dei consulenti tecnici
nel quale sono iscritti anche i traduttori e gli interpreti. Vengono definiti “ausiliari”,
ovvero quei soggetti che cooperano di volta in volta con il giudice, su richiesta dello
stesso, nello svolgimento di specifici incarichi di giustizia. Per entrare a far parte
dell’Albo è necessario iscriversi compilando una domanda rivolta ad un’apposita
commissione del tribunale, che per l’ammissione valuta i titoli di studio e professionali
del candidato. Possono iscriversi anche i cittadini stranieri. Le iscrizioni variano
notevolmente da città a città (Alimenti 1999: 1-2).
La legge 4 gennaio 1968, n. 15, “Norme sulla documentazione amministrativa e
sulla legalizzazione e autenticazione di firme”, dispone all’articolo 17 che agli atti e
documenti formati all’estero dalle autorità locali e da valere legalmente in Italia, redatti
in lingua straniera, deve essere allegata una traduzione in lingua italiana, certificata
conforme al testo originale da un traduttore ufficiale che assevera la traduzione, con
giuramento, dinanzi ad un cancelliere o un notaio. Nella pratica anche chi non è iscritto
all’Albo del tribunale può giurare una traduzione. Viene così vanificata la finalità stessa
96
dell’Albo dei consulenti tecnici, relativamente ai traduttori e agli interpreti, dando
origine ad un’incoerenza che i traduttori lamentano da tempo.
Le traduzione giurate vengono assimilate, in assenza di uno specifico regolamento
normativo alle perizie giurate extragiudiziali e alla normativa vigente in materia di
periti. Sul piano pratico, esse vengono effettuate mediante cartelle di 25 righe, 50
battute a riga, ossia sul foglio protocollo uso bollo (Alimenti 1999: 3-4).
3.5.1 NORME GENERALI
Dal giuramento di traduzioni di atti e documenti che il traduttore può effettuare su
richiesta di qualsiasi cliente privato, per differenti fini legali, si devono distinguere le
operazioni eseguite da traduttori ed interpreti su richiesta di un’autorità giudiziaria.
Nel primo caso, il traduttore opera in ambito privatistico ed extragiudiziale, nel
secondo opera in ambito privatistico e processuale. Un terzo caso è quello
dell’interprete-traduttore di parte.
Con la parte con la quale ha ricevuto l’incarico, egli è legato da un vincolo
contrattuale, che trova la sua regolamentazione nelle norme del diritto civile (Alimenti
1999: 4).
Il codice di procedura civile contiene le seguenti disposizioni:
Art. 122
(Uso della lingua italiana - Nomina dell'interprete)
In tutto il processo è prescritto l'uso della lingua italiana.
Quando deve essere sentito chi non conosce la lingua italiana, il giudice può nominare
un interprete.
Questi, prima di esercitare le sue funzioni, presta giuramento davanti al giudice di
adempiere fedelmente il suo ufficio.
Art. 123
(Nomina del traduttore)
Quando occorre procedere all'esame di documenti che non sono scritti in lingua italiana,
il giudice può nominare un traduttore, il quale presta giuramento a norma dell'articolo
precedente.
97
Il nuovo codice di procedura penale contiene analogamente come già detto un
apposito Titolo sulla traduzione degli atti durante il processo (artt. 143-147) (Alimenti
1999: 4-5).
L’articolo 61 c.c.p. estende all’indagato straniero tutte le garanzie assicurate
all’imputato, pertanto egli ha diritto all’assistenza di un interprete. Ciò comporta la
nomina e la presenza dell’interprete, oltre che in udienza, anche in carcere, durante il
primo interrogatorio da parte del magistrato.
Il codice di procedura penale, a differenza di quello civile, il quale distingue fra
interprete e traduttore, fa riferimento solo all’interprete per indicare la persona chiamata
a tradurre una dichiarazione orale, ma anche scritta.
Infine, occorre ricordare che l’interprete-traduttore di tribunale lavora anche nel
campo delle intercettazioni telefoniche, sia in prima battuta, ovvero su incarico del
pubblico ministero ed in tal caso diventa un “ausiliario di polizia giudiziaria” e va ad
espletare il suo servizio in sala intercettazioni, sia in seconda battuta, cioè nella forma di
una consulenza o di una perizia affidatagli da un GIP o dal tribunale (Alimenti 1999:
7).
3.5.2 OBBLIGHI DEL TRADUTTORE-INTERPRETE DI TRIBUNALE
La prima questione da affrontare in questa sezione riguarda la notifica. Poiché il perito e
quindi l’interprete-traduttore è un collaboratore, essa può avvenire in vari modi, non
essendo previste norme specifiche di tipo formale come avviene ad esempio per
l’imputato. Come nel processo civile, anche in quello penale, la prestazione d’ufficio di
interprete è obbligatoria (Alimenti 1999: 8).
Una volta giunta la notifica, l’incarico è infatti irrinunciabile, a pena di sanzioni
pecuniarie o eventualmente anche penali. Un’eventuale rinuncia deve essere comunicata
al primo contatto, quando si chiede all’interprete se è disponibile o meno, ma non dopo
l’avvenuta notifica dell’incarico. E anche in questo caso, la rinuncia deve essere
motivata da un serio impedimento.
Inoltre, se ci si avvale di collaboratori, essi devono essere indicati
nominativamente prima della nomina perché occorre l’autorizzazione. I collaboratori
98
non possono trovarsi in situazione di incompatibilità. Responsabile del loro lavoro è il
traduttore o l’interprete in prima persona.
I codici prevedono una precisa serie di incapacità e incompatibilità per l’ufficio di
interprete (art. 144 c.c.p.) aventi come effetto la nullità dell’atto (Alimenti 1999: 8).
Per quanto riguarda le incompatibilità, a volte questa si verifica senza che
l’interprete se ne accorga, ad esempio in carcere o in udienza, egli dovrà limitarsi a
tradurre solo per il giudice quando questi parlerà con l’imputato o con l’avvocato e
viceversa, ma non potrà mai intervenire a difesa delle parti. Se il perito superasse questo
limite, diventerebbe “interprete di parte” e potrebbe essere rimosso dall’incarico per
sopravvenuta incompatibilità.
L’interprete o traduttore può anche essere ricusato. Sono più o meno le stesse
condizioni che permettono la ricusazione del giudice: se ha legami di qualunque genere
con una delle parti, se ha con loro rapporti di debito o credito, se è conoscente o amico
di una delle parti. Quando non vi sono tali motivi di ricusazione, ma esistono quelli che
vengono chiamati motivi “gravi”, l’interprete può dichiarare di volersi astenere. Di
solito la volontà di astensione viene accettata. Mentre la ricusazione viene invocata da
una delle parti, l’astensione è ad iniziativa dell’interprete. Prima di decidere sulla
ricusazione, il perito viene sempre ascoltato (Alimenti 1999: 9).
Per le traduzioni poi sussiste il problema del termine del deposito della relazione.
Generalmente si raggiunge un compromesso fra i tempi strettissimi che chiede l’autorità
giudiziaria e quelli che propone il traduttore. Se la traduzione non viene depositata entro
i termini stabiliti, il perito può essere sostituito e perde il diritto di compenso. Tale
sostituzione è però facoltativa, non obbligatoria. Se alla scadenza non viene consegnata
la traduzione e il traduttore non viene sostituito, questi deve comunque presentare la
traduzione scritta, senza ritorsioni sul piano processuale. Il traduttore ha tuttavia la
possibilità di chiedere una proroga, per motivi particolari, appena viene a conoscenza di
questi e comunque prima della scadenza. La richiesta deve essere motivata e di solito
viene concessa. Se non viene accolta, il traduttore può anche in questo caso essere
sostituito. Uno dei motivi legittimi di concessione della proroga può essere ad esempio
l’accorgersi, alla lettura del testo, della sua complessità o lunghezza (Alimenti 1999:
10).
99
Le relazioni peritali, fra cui le traduzioni, devono essere effettuate con lo stesso
sistema con cui si fanno tutti gli atti processuali. In particolare, non devono esservi
cancellazioni o, se ci sono, devono essere leggibili la parola cancellata e quella
sostituita.
Nel processo civile, il consulente tecnico giura, mentre nel processo penale,
l’interprete si obbliga ad adempiere bene e fedelmente l’incarico ricevuto, senza altro
scopo che quello di far conoscere la verità e a mantenere il segreto su tutti gli atti che si
faranno per suo mezzo o in sua presenza. E’ necessario poi sottoscrivere
l’interpretariato o la traduzione , perché nel momento della sottoscrizione l’interprete si
assume automaticamente la responsabilità.
Per quanto riguarda il reato di falsa perizia o interpretazione (artt. 373-375-376 e
384 c.p.p.), esso è un reato contro l’amministrazione della giustizia. E’ necessario però
accertare la consapevole falsificazione della verità, allo scopo di indurre in errore il
giudice. Per esserci il reato di falsa perizia occorre il cosiddetto dolo specifico,
finalizzato a confondere il giudice (Alimenti 1999: 11-12).
3.5.3 I COMPENSI
I compensi dei traduttori e degli interpreti per le operazioni eseguite a richiesta
dell’autorità giudiziaria si basano sul sistema delle vacazioni; sono modesti e risultano
disciplinati dalla legge 8 luglio 1980, n. 319, dal DPR 27 luglio 1988, n. 352 e dal
Decreto del Ministro di grazia e giustizia del 5 dicembre 1997, che ha adeguato gli
onorari al costo della vita (Alimenti 1999: 12).
In particolare il DPR 352, pur citando nel titolo gli interpreti e traduttori, non ha
dettato per loro alcuna disciplina specifica. In mancanza di una disposizione ad hoc,
sembra necessario far ricorso alla normativa generale dettata dall’articolo 4 della legge
139 secondo cui, quando non è possibile applicare i compensi stabiliti nelle tabelle
giudiziarie, gli onorari vengono determinati in base alle vacazioni, quindi in relazione al
tempo impiegato per prestare il proprio servizio.
100
La legge 319/80 contiene inoltre due norme (art. 4, comma 3 ed art. 5) che
permettono di aumentare, a volte, il compenso:
Art 4. 3
L'onorario per la vacazione può essere raddoppiato quando per il compimento delle
operazioni è fissato un termine non superiore a cinque giorni: può essere aumentato fino
alla metà quando è fissato un termine non superiore a quindici giorni.
Art 5.
Aumento degli onorari
Per le prestazioni di eccezionale importanza, complessità e difficoltà gli onorari
possono essere aumentati fino al doppio.
Di regola viene concesso il beneficio o dell’una o dell’altra norma, ma accade che
vengano sommati i due benefici, per lavori urgenti o difficoltà.
Per quanto riguarda il lavoro di traduzione, le vacazioni si calcolano contando il
numero delle pagine, si moltiplica poi per una tariffa accettabile, si divide il compenso
previsto a vacazione dalla legge e si otterrà il numero delle vacazioni da chiedere al
magistrato nella richiesta di liquidazione.
Infine, precisiamo che esiste la possibilità di fare ricorso contro la liquidazione del
compenso: dopo che l’autorità giudiziaria ha notificato all’interprete quanto lo ha
pagato, questi può fare opposizione nei venti giorni, obbligatoriamente di fronte al
tribunale civile (Alimenti 1999: 12-13).
3.6 LE TENICHE DI INTEPRETAZIONE E LE SITUAZIONI COMUNICATIVE IN
TRIBUNALE
La scelta delle tecniche da utilizzare nel processo penale dipende fondamentalmente
dall’ambiente di lavoro e dalle caratteristiche del processo. La modalità più diffusa è la
consecutiva ed in particolare la consecutiva breve, simile all’interpretazione di liaison
(Ballardini 2005: 170).
In Italia, le aule di tribunale non sono generalmente attrezzate per la simultanea, la
quale appare soprattutto nella forma di chuchotage e solo dall’italiano verso la lingua
straniera. Tale tecnica è di difficile realizzazione nelle condizioni acustiche spesso
101
pessime delle aule e dei locali in cui si lavora, pertanto spesso si traduce in uno
chuchotage riassuntivo. Essa risulta totalmente inefficace quando sono presenti in aula
più imputati contemporaneamente o parlanti lingue diverse tra loro. Spesso poi lo
chuchotage non è tollerato dal giudice, il quale preferisce che l’interprete lavori ad alta
voce e in consecutiva in modo da non disturbare lo svolgimento del processo. Può
capitare poi che durante per esempio un interrogatorio, l’interprete sia costretto ad
effettuare una traduzione ad alta voce del tipo simultanea senza impianti o supporti
tecnici.
Infine, si ricorre alla traduzione a vista per tradurre un documento scritto in
italiano o in una lingua straniera ad esempio un verbale di interrogatorio, un certificato
medico, una perizia, un documento acquisito agli atti, ecc.
Per quanto riguarda le principali situazioni comunicative cui può applicarsi
l’articolo 143, esse sono quelle 1) dell’assunzione di sommarie informazioni e
dell’interrogatorio nel corso delle indagini preliminari; 2) dell’udienza di convalida del
fermo; 3) dell’udienza preliminare e 4) dell’udienza dibattimentale (Ballardini 2005:
170-171).
L’interprete può inoltre essere chiamato ad intervenire quando il soggetto
alloglotta esercita il diritto di chiedere un incidente probatorio, formulando deduzioni
scritte, assistendo agli esami e, con il permesso del giudice, ad ogni altro incidente. Egli
può anche prestare assistenza all’imputato che si avvale del diritto di consultare il
fascicolo del dibattimento in seguito alla pronuncia del decreto che dispone il giudizio,
o che intende rendere dichiarazioni spontanee in dibattimento, sottoporsi a esame,
esercitare il diritto ad avere l’ultima parola al termine della discussione finale e infine, il
diritto di appellare la sentenza.
Vi è poi il caso particolare dell’intervento dell’interprete nella comunicazione tra
l’avvocato e l’imputato al di fuori dell’udienza, ovvero in circostanze ove l’autorità
giudiziaria non se ne fa in alcun modo carico.
Va ricordato che, non tutti i processi penali, implicano tutte le situazioni
comunicative di cui si è parlato. Il codice, infatti, allo scopo di snellire l’iter dei processi
ritenuti meno importanti, prevede una serie di riti speciali, detti deflativi, che
permettono di evitare alcune costose e lunghe fasi del procedimento ordinario quali
l’udienza preliminare, il dibattimento o entrambe. Gran parte dei processi che
102
coinvolgono gli stranieri si svolge proprio seguendo questi riti atipici. Il 40% sono
patteggiamenti e giudizi abbreviati, applicati quando vi è flagranza di reato, vi sono poi
il giudizio direttissimo, il giudizio immediato e il procedimento per decreto (Ballardini
2005: 171-172).
3.6.1 LE COMPETENZE LINGUISTICHE E TECNICHE DELL’INTERPRETE DI
TRIBUNALE
Sarebbe raccomandabile per l’interprete conoscere, a grandi linee, il diritto penale dei
paesi in cui sono in uso le sue lingue di lavoro ed in particolare il funzionamento del
procedimento italiano in tutte le sue articolazioni. È fondamentale poi conoscere il
linguaggio giuridico italiano, con le formulazioni retoriche, argomentative, sintattiche,
semantiche, discorsive, le sue differenze di stile e di registro, le sue implicazioni
pragmatiche, sociolinguistiche e culturali. Conoscere la terminologia implica in
particolare un enorme impegno (Ballardini 2005: 172-173).
Un’ipotesi per la formazione di base potrebbe essere quella di considerare i reati
più spesso contestati ai cittadini stranieri, che pertanto richiedono maggiormente la
figura dell’ interprete. La preparazione in questo ambito non deve consistere tuttavia in
una semplice memorizzazione di vocaboli e delle corrispondenti traduzioni, ma bisogna
sempre tener presente il piano concettuale, a fronte anche di un’evidente asimmetria tra
i vari sistemi giuridici.
Le lingue che si possono affiancare all’italiano sono chiaramente illimitate.
Attualmente, considerando i paesi di origine delle persone coinvolte in un processo
penale in Italia, le lingue più richieste sono: l’arabo, l’albanese, il rumeno, l’inglese, il
francese, lo spagnolo, il serbo, il croato, il macedone e il cinese. Tra queste, l’inglese e
il francese possono essere considerate dall’autorità procedente sufficientemente note a
un numero significativo di stranieri provenienti da paesi di ex colonie, o nei quali vige
un bi- o plurilinguismo (Ballardini 2005: 173).
L’articolo 147 comma 2, recita:
“l’autorità procedente nomina un interprete quando occorre tradurre uno scritto in
lingua straniera o in dialetto non facilmente intelligibile ovvero quando la persona che
103
vuole o deve fare una dichiarazione non conosce la lingua italiana. La dichiarazione può
essere fatta per iscritto e in tal caso è inserita nel verbale con la traduzione eseguita
dall’interprete”.
L’incoerenza normativa ha avuto in anni recenti risvolti positivi ai fini
dell’applicazione della tutela presa in esame, attraverso l’ampliamento del campo di
intervento dell’interprete: infatti, con la sentenza n. 10 del 12-19 gennaio 1993, la Corte
Costituzionale ha esteso il diritto all’assistenza linguistica dai soli atti orali a tutti gli atti
scritti, al fine di agevolare la persona non italofona nel preparare un’adeguata difesa. Si
tratta di una serie di atti: 1) l’informazione di garanzia; 2) l’invito a presentarsi; 3) la
richiesta di rinvio a giudizio; 4) la notificazione dell’imputato straniero; 5) la
notificazione dell’imputato straniero residente o dimorante all’estero; 6) il decreto di
giudizio immediato, che devono essere necessariamente notificati all’imputato in una
lingua a lui nota, affinché possa comprendere la natura dei fatti a lui addebitati e
predisporre tempestivamente la sua difesa, o possa usufruire di importanti diritti
garantiti dalla normativa (Ballardini 2005: 173-174).
In italiano devono essere tradotti tutti gli atti scritti ab externo rispetto al
procedimento penale che sono ammissibili anche se redatti in lingua straniera, per
esempio la denuncia, il referto, la querela, l’istanza e la richiesta di procedimento e
documenti vari. Inoltre devono essere accompagnate da una traduzione in italiano anche
le domande provenienti da un’autorità straniera nonché i relativi atti e documenti. Un
caso a parte è quello delle rogatorie internazionali e quello della traduzione delle
intercettazioni telefoniche, laddove è particolarmente sentita l’esigenza di un forte
rapporto di fiducia fra autorità procedente e il perito incaricato (Ballardini 2005: 174).
Secondo quanto sostiene Mikkelson in ambito anglosassone, ma che per
estensione sarebbe auspicabile anche per il contesto italiano, ogni interprete nel suo
lavoro dovrebbe dotarsi di:
•
un dizionario monolingue generale di ciascuna delle lingue di lavoro;
•
un dizionario bilingue generale di ciascuna delle combinazioni linguistiche
utilizzate;
•
un dizionario monolingue di ambito legale di ciascuna delle lingue di
lavoro;
104
•
dizionari bilingue di ambito legale di ciascuna delle combinazioni
linguistiche utilizzate;
•
glossari specializzati monolingue e plurilingue su argomenti rilevanti per il
tribunale;
•
testi legali, per esempio codici civili e penali di ciascuna delle lingue di
lavoro;
•
tesauri, manuali stilistici, grammatiche e dizionari di sinonimi ed antonimi,
di frasi e collocazioni, gergali, di proverbi e regionalismi in ciascuna delle
lingue di lavoro;
•
periodici di interesse generale, ad esempio giornali e riviste in ciascuna
delle lingue di lavoro (Mikkelson 2000: 89).
Una delle maggiori difficoltà per l’interprete di tribunale è costituito dai
molteplici piani di traduzione: l’interprete trasmette e riceve dall’imputato un
linguaggio semplice, spesso frammentato e confuso, poiché può succedere che egli sia
privo di istruzione ed in uno stato di forte emotività, ma in carcere o in udienza il perito
a sua volta dovrà esprimersi nella terminologia giuridica prevista dalla legge per quella
particolare sede ed inoltre sarà costretto a parlare, per esigenza di trascrizione,
direttamente in prima persona (Alimenti 1999: 13).
Così alla traduzione linguistica, si aggiungono una traduzione terminologica
vincolata ed anche una traduzione psicologica. A queste difficoltà bisogna aggiungere il
fatto che i processi possono durare per delle ore senza interruzione e sono al loro interno
fisiologicamente conflittuali. Non sono previste sostituzioni con altri interpreti, né si
usufruisce di cabina come per la simultanea. Inoltre non si tratta neanche di una vera e
propria consecutiva, poiché non si ha il tempo di prendere appunti. La tecnica migliore è
quella di chiedere che le frasi siano brevi, traducendole poi come se si fosse in
simultanea.
3.6.2 ATTITUDINI DELL’INTERPRETE DI TRIBUNALE
Un punto importante è quello relativo ad una forte resistenza fisica e psicologica, cui
deve accompagnarsi un grande spirito di adattamento (Alimenti 1999: 16).
105
Per quanto riguarda la resistenza fisica, potrà succedere che l’interprete,
convocato di primo mattino, cominci a lavorare nel pomeriggio, in condizioni non
ottimali, non avendo spesso un posto per sedersi vicino all’imputato. A volte i processi
durano ore, con sovrapposizioni di voci e senza interruzioni, in un’atmosfera molto tesa.
Per quanto riguarda invece la resistenza psicologica, non sempre purtroppo si è
trattati con rispetto dai partecipanti del processo. Spesso poi l’interprete è il primo ed
unico legame dell’imputato straniero con l’imputato straniero e capita che egli si
attacchi disperatamente all’interprete come ad un’ancora di salvezza, il che è
psicologicamente molto impegnativo.
Infine doti quali la versatilità, la prontezza, l’adattamento sono indispensabili
(Alimenti 1999: 16-18).
3.7 LA DEONTOLOGIA PROFESSIONALE: L’ITALIA E IL SUO CODICE AITI
Partiamo dalla constatazione che l’etica è un insieme di norme di vita cui attenersi nei
comportamenti individuali, così come nelle relazioni all’interno della società. E’ un
sistema di valori condivisi. La deontologia, dunque, non è la morale o la buona
condotta, ma è qualcosa in cui credere e un modo d’essere. Riflettere sulla deontologia
significa aprirsi al confronto con la comunità professionale di riferimento (Sambataro
2008)8.
La dimensione etica è centrale nello svolgimento dell’attività professionale del
traduttore e dell’interprete. Il tema della deontologia ha una valenza oltre che
professionale, civile e morale e si colloca all’interno della tradizione associativa della
FIT e dell’AITI, che si sono sempre ispirate a principi che coinvolgono l’essenza stessa
delle professioni del traduttore e interprete, improntando le loro azioni ai valori
fondamentali e perseguendo l’obiettivo ultimo della dignità umana.
La professione di traduttore e interprete pur riconosciuta dall’ordinamento
giuridico italiano, è rimasta tra le professioni giuridiche non regolamentate. La sua
regolamentazione è lasciata al libero mercato e all’autoregolamentazione. Ciò pur
8
“Deontologia professionale: coordinate di orientamento del professionista/traduttore e/o interprete
Autoregolamentazione e libero mercato”. Relazione a cura della dott.ssa Elena Sambataro presentata in
occasione del CONGRESSO INTERNAZIONALE AITI 2008 “La professione del Traduttore e
dell’interprete: deontologia, qualità e formazione permanente”. Bologna 6-7 giugno 2008.
106
essendo in linea con le direttive europee sulla libera concorrenza, dall’altro non fornisce
a queste professioni adeguata protezione contro il grave fenomeno della concorrenza
sleale e dell’intermediazione delle Agenzie di traduzione.
L’AITI a livello nazionale come la FIT a livello mondiale si sono dotate da molto
tempo degli strumenti tipici delle professioni intellettuali ed hanno sempre cercato di
salvaguardare la dignità delle professioni che rappresentano. L’AITI già nel suo statuto,
nelle varie stesure succedutesi nel tempo, ha avuto la consapevolezza della funzione
della deontologica per ordinare i comportamenti del professionista definendo gli
standards di condotta. A tal fine si è dotata di un codice deontologico che salvaguardi
gli interessi dei professionisti e degli utenti, fornendo un’indicazione generale sui
comportamenti idonei ad una pratica eticamente corretta e dando un’immagine prototipa
del traduttore e dell’interprete professionista.
Quando si parla di professionista o di professione si richiama il concetto di
professionalità che ha un significato più complesso ed è l’essenza delle professioni
intellettuali. L’esercizio di una professione riveste i caratteri della professionalità
quando poggia sui seguenti parametri: Formazione, Organizzazione, Deontologia. Altri
parametri da tenere in considerazione: 1) la specificità, ovvero l’individuazione dei
profili professionali dei traduttori e degli interpreti; 2) l’attinenza dell’interesse
pubblico; 3) la rispondenza alla qualità sia a livello nazionale che a livello
internazionale, per adeguarsi ai parametri europei e mondiali.
Il professionista deontologicamente corretto è colui che è pronto al confronto e
alla collaborazione, capace di autocritica, sa mettersi in discussione, conosce i propri
limiti e li accetta, ma soprattutto sa quali sono le sue competenze specifiche.
I valori cui deve riferimento la condotta del traduttore e dell’interprete nella vita
di relazione sono: 1) decoro; 2) correttezza; 3) lealtà; 4) diligenza. Tali aspetti
comportamentali comuni a tutti i codici deontologici, rischiano di essere un puro elenco
di luoghi comuni deontologici, se il traduttore o l’interprete non hanno la
consapevolezza di contribuire al prestigio della professione.
Il codice deontologico AITI ha cercato di chiarire l’immagine pubblica del
traduttore e dell’interprete, ha voluto essere una guida, uno strumento di tutela
reciproca.
107
Per quanto riguarda l’applicazione e i destinatari dell’attività professionale, la
condotta deontologica va esaminata in relazione ai rapporti con:
1) L’Autorità costituita;
2) I committenti;
3) I colleghi;
4) Le altre Associazioni di categoria.
I rapporti con l’Autorità implicano doveri generali di osservanza, delle
disposizioni di privacy, l’adempimento degli obblighi previdenziali e fiscali, il divieto
di prestare lavoro nero, l’obbligo di corrette fatturazioni e di collaborazione, ecc.
I rapporti con i committenti prevedono la tutela del rapporto fiduciario. Altro
dovere è l’indipendenza e l’autonomia professionale.
I rapporti con i colleghi prevedono una deontologia basata sulla lealtà, di cooperazione,
di disponibilità tra professionisti, di correttezza di rapporti.
Oltre ai doveri, la deontologia richiede anche che il professionista sia consapevole
dei suoi diritti e ne ottenga il rispetto. Tali diritti sono:
1) La formalizzazione del contratto che deve definire le richieste del
committente, la o le lingue da utilizzare, le modalità e i tempi di
esecuzione, la firma del committente, i tempi di ritiro e di consegna (nel
caso delle traduzioni), le condizioni generali, la gestione del contenzioso,
la misura del compenso, le modalità di fatturazione, le modalità e le
condizioni per l’annullamento del contratto;
2) Pretendere all’atto del conferimento dell’incarico tutto il materiale
informativo utile alla buona esecuzione del lavoro;
3) Pretendere una strumentazione tecnica conforme alle norme ISO.
Questa riflessione portata avanti dalla dott.ssa Sambataro pare molto utile a chi
scrive per riflettere sul fatto che, le difficoltà nell’affrontare un mercato molto spietato e
nel sopportare la concorrenza sleale dei colleghi o delle Associazioni di categoria,
derivano dall’assenza di norme di etica professionale.
108
3.7.1 NORME ETICHE
A monte del decalogo delle norme etiche vi è l’obbligo del segreto. L’interpretetraduttore è tenuto al segreto professionale su tutti gli atti che si fanno per suo mezzo o
in sua presenza. Tale norma significa che destinatari della conoscenza sono unicamente
il magistrato che ha conferito l’incarico ed eventualmente i suoi più stretti collaboratori
(Alimenti 1999: 14).
Al traduttore è vietato mantenere nel suo archivio copie degli atti prodotti attinenti
al processo penale, inoltre gli viene spesso richiesto di consegnare in cancelleria un
dischetto contenente il lavoro svolto.
Il primo dovere è quello scrupolosa fedeltà. Non bisogna enfatizzare quanto detto
allo straniero o al contrario sminuirne il significato, omettendo qualche frase. Un errore
in cui incorrono molti interpreti è quello di far parlare a lungo l’imputato o il testimone,
per poi riportare soltanto un riassunto. L’interprete di tribunale deve invece sempre
ricordare che una frase che lui giudica insignificante può rivelarsi in un secondo
momento molto importante. Egli non può aggiungere né togliere nulla. Ciò vale in
particolare per gli interrogatori in carcere da parte del pubblico ministero. Poiché egli
deve procedere ad una ricostruzione dettagliata e completa dei fatti, l’interrogatorio
viene obbligatoriamente registrato e si procede anche ad una verbalizzazione in sintesi,
su dettatura del giudice. Anche in questo caso vale l’obbligo di fedeltà. Oltre quindi al
suo lavoro di interpretazione, l’interprete dovrà prestare attenzione a quanto il
magistrato sta dettando.
Un secondo dovere è quello dell’imparzialità. L’interprete durante il processo non
è né avvocato né giudice. Ciò che vorrebbe dire perché mosso da empatia non
corrisponde sempre a ciò che dovrebbe fare professionalmente. Tale tentazione è molto
forte ed è alimentata dal fatto che, durante un processo, l’interprete è circondato da
“cultori del diritto”, la cui visione è fredda (Alimenti 1999: 14-15).
Un terzo dovere è rappresentato dal far valere i propri diritti. L’interpretetraduttore è parte integrante del processo e nessun altro soggetto, in particolare gli
avvocati, può permettersi in alcun modo di avanzare pretese nei suoi confronti. Egli è al
servizio dell’ufficio, quindi risponde al magistrato che lo ha convocato, non
all’avvocato, che però ha la possibilità di nominare un suo interprete di parte.
109
Infine vi è un problema più grave: poiché l’indagato prima di essere interrogato
dal GIP, ha diritto di parlare con il suo avvocato ed il giudice può autorizzare
l’interprete ad assisterlo, succede che l’avvocato chieda al suo cliente accusato di aver
commesso o meno il reato, di non citare un determinato fatto. In tal caso, l’interprete
deve far presente all’avvocato che egli non è perito di parte e che deve limitarsi con
l’imputato al racconto del fatto (Alimenti 1999: 16).
3.8 LA FORMAZIONE
L’interpretariato per i servizi pubblici in Italia (sanità, istituzioni giuridiche e di
pubblica sicurezza, uffici di immigrazione e servizi sociali) è stato, come sottolinea
Rudvin,
gravemente trascurato fino a poco tempo fa, sia sotto il profilo della
formazione che della ricerca, a differenza di quanto è avvenuto negli altri paesi, dove è
stata riconosciuta l’importanza di un’adeguata formazione al fine di garantire un
servizio di qualità. Il numero di cittadini stranieri che soggiornano in Italia richiede un
interpretariato di qualità per un’ampia gamma di lingue (Rudvin 2005: 131).
In Italia i servizi linguistici nelle istituzioni pubbliche sono ancora in una fase
iniziale, il che riflette la scarsa attenzione data alle questioni linguistiche nel nostro
paese. Il continuo afflusso di nuovi immigranti e la conseguente necessità di coprire
altre lingue contribuiscono infine a mantenere una preoccupante discrepanza tra
domanda e offerta. Ad esempio, le forze di polizia e i tribunali ricorrono spesso ad
interpreti non qualificati, per i quali spesso mancano controlli sulla qualità della
prestazione, sulle credenziali, le qualifiche e sulle possibili incompatibilità in base a
parentela o affinità religiose, etniche, ecc.
A differenza di molti altri paesi che in un primo tempo hanno utilizzato anche in
campo sociale i servizi di interpreti formati in modo tradizionale, gran parte dell’utilizzo
in questo campo in Italia, viene svolto dai mediatori culturali, per i quali
l’interpretariato costituisce solo una tra le tante mansioni da svolgere.
Il profilo professionale del mediatore culturale, formato prevalentemente da enti
locali o regionali, istituti di formazione privati o ONG è molto variegato e non
comprende spesso l’insegnamento delle tecniche di interpretazione e di approfondimenti
110
teorici in campo linguistico e comunicativo tipici della formazione accademica degli
interpreti.
Il ruolo dell’interprete di trattativa ha profonde implicazioni culturali, la
mediazione linguistico-culturale presuppone una notevole varietà di modalità
comunicative ed inoltre, come sappiamo, qualsiasi traduzione da una lingua all’altra
richiede necessariamente una mediazione tra due culture differenti. Ecco perché è
necessario in Italia differenziare queste due figure professionali, in quanto i vari corsi di
formazione offerti dovrebbero rispondere alle esigenze di chi ricorre alle figure per
erogare a sua volta un servizio per la collettività (Rudvin 2005: 132-133).
Corsi di laurea in “Traduzione e interpretazione” o in “Mediazione linguistica e
culturale” si trovano ad Ancona, Bologna (Scuola Superiore per Interpreti e Traduttori,
SSLMIT di Forlì), Cagliari, Chieti, Genova, Lecce, Macerata, Mantova, Messina,
Milano (SSIT, IULM, ISIT), Misano Adriatico, Napoli, Perugia, Pisa, Roma (La
Sapienza, San Pio V), Siena (Università per gli Stranieri), Trento Trieste (SSLMIT),
Udine, Venezia, Vicenza e Viterbo.
Corsi di laurea specialistica e/o master in Interpretazione o Traduzione si hanno
invece a Bologna (SSLMIT di Forlì), Pisa, Roma, Siena, Torino, Trieste, Venezia e
Viterbo (Università degli Studi della Tuscia). Esistono infine numerose Scuole superiori
non universitarie per traduttori e interpreti, ad esempio a Milano, Torino e Verona.
Tutti questi corsi si prefiggono obiettivi simili tra loro, ovvero una conoscenza
avanzata delle lingue straniere, nonché delle tecniche e delle competenze specialistiche
necessarie al traduttore o interprete professionista. Alcuni corsi perseguono obiettivi
specifici (per il turismo, le imprese, la comunicazione interetnica, ecc.). I corsi di
carattere interetnico, per esempio, privilegiano aspetti quali le relazioni interculturali in
ambito comunitario ed extracomunitario, le relazioni finanziarie, commerciali,
commerciali
e
giuridico-amministrative
in
ambito
internazionale,
nonché
l’organizzazione di eventi nell’ambito degli scambi internazionali e del turismo
culturale (Rudvin 2005: 133-134).
Sarebbe utile, secondo l’autrice, formulare una strategia globale per offrire agli
studenti una continuità didattica, sia in termini di aree di applicazione (coprendo per
esempio il turismo, gli affari, ecc, nel I anno, il campo medico nel II anno, quello legale
nel III anno e così via), di metodologia (dalla pratica mnemonica nel I anno,
111
all’interpretariato di trattativa nel II anno, fino alle tecniche di chuchotage, consecutiva
e simultanea nel III anno), che di letture richieste.
Il passo successivo, in collaborazione con le istituzioni pubbliche (ospedali e
tribunali in particolare) dovrebbe essere l’attuazione di un programma di accreditamento
per l’interprete nei servizi pubblici e possibilmente un albo professionale o registro di
interpreti certificati a livello comunale o regionale, a cui rivolgersi in casi di necessità
(Rudvin 2005: 135).
In relazione alla preparazione dell’interprete-traduttore di tribunale, questa è
necessaria poiché l’interprete-traduttore tratta numerosi argomenti: in campo penale, ad
esempio, bancarotta, traffico di droga, corruzione, commercio di armi, criminalità
informatica, riciclaggio di denaro, terrorismo, reati economici e quant’altro (Alimenti
1999: 17).
Un interprete di tribunale non giunge mai al processo con una preparazione
specifica. Spesso poi l’argomento del caso non si può conoscere poiché risulta coperto
dal segreto istruttorio.
Una buona preparazione universitaria aiuta molto, ma è necessaria molta pratica.
Ad esempio, attualmente, in alcuni tribunali gli interpreti più esperti portano con loro un
interprete principiante, per abituarlo e formarlo. Questa sorta di tirocinio, della durata di
circa un anno, non è previsto da norme di legge, ma dalla prassi del Collegio dei periti.
Infine, è fondamentale ai fini della preparazione conoscere molto bene i vari riti
penali alternativi, senza però entrarne nel merito, perché vanno spiegati all’imputato, il
quale dovrà personalmente sceglierne uno (Alimenti 1999: 17-18).
A tal proposito ricordiamo che, nell’anno 2000, l’Associazione AITI delineava
nella sua rivista “Il Traduttore Nuovo”, un dettagliato profilo dell’interprete freelance di
tribunale o in ambito giudiziario, che comprendeva anche l’ambito civile e
amministrativo (Ballardini 2005: 176).
In quella occasione venivano proposti 3 percorsi formativi possibili: 1) una laurea
rilasciata da una Scuola superiore per interpreti e traduttori dopo formazione specifica
nel campo giuridico; 2) una laurea in legge integrata da un corso di interpretazione; 3)
una laurea in un’altra disciplina integrata da un apposito corso per interpreti di tribunale.
Tale formazione di base andrebbe poi completata con corsi di aggiornamento. La
proposta dell’AITI presenta il vantaggio di considerare la diversa formazione di
112
partenza dei futuri interpreti di tribunale e di riconoscere la pluralità dei modi attraverso
cui conseguire un titolo qualificante. Al tempo stesso afferma la necessità di una solida
formazione di livello universitario perché è l’unica a poter elevare lo status degli
interpreti di tribunale in Italia e a garantire di conseguenza la qualità del servizio offerto
(Ballardini 2005: 176).
3.9 IL SERVIZIO DI INTERPRETARIATO PRESSO L’UFFICIO STRANIERI DEL
COMUNE DI MILANO
L’Ufficio Stranieri del Comune di Milano registra la prima collaborazione formale di un
interprete a partire dal 1990, sei anni dopo la sua apertura, nel 1984. E’ dovuto passare
un certo tempo prima che l’Ufficio fosse conosciuto dalla città, senza contare che
all’inizio esso copriva solo due istanze: quella dei nomadi e quella degli stranieri (Murer
2001: 9).
Inizialmente il bisogno di interpretariato si è manifestato sotto l’aspetto
strettamente linguistico. In queste prime esperienze non ci si poneva il problema della
mediazione culturale. Risultava anzi difficile distinguere fra le difficoltà di carattere
linguistico e quelle di tipo culturale.
I primi contratti di collaborazione risalgono al 1990. Si è cominciato con la
presenza presso l’Ufficio, per un certo numero di ore al giorno, di una interprete di
inglese-francese-tedesco (con conoscenze di arabo) a disposizione degli operatori per
fornire il necessario supporto nei colloqui. Aveva inoltre l’incarico di tradurre eventuali
avvisi e documenti. Poco dopo questa era seguita da un’interprete di arabo, di
madrelingua egiziana.
La maggior parte dei problemi comunicativi che si ponevano fino ad allora al
servizio riguardavano le principali lingue internazionali. Nel 1992 gli interpreti con un
contratto di collaborazione con l’Ufficio erano 5, tra cui un’interprete di tagalog. La
presenza di tale interprete introduceva un nuovo approccio alla questione del sostegno
all’attività di sportello: con rappresentanti delle etnie, l’intento non era più solo quello
di venire incontro alle difficoltà di comprensione linguistica che si incontrava con
l’utenza casuale, ma si cercava di creare un punto di riferimento e di attrazione per
113
l’utenza delle rispettive comunità, a partire dalle nazionalità più numerose sul territorio
(filippini ed egiziani) (Murer 2001: 10-11).
Nel frattempo sono aumentati gli interpreti-traduttori a disposizione del servizio
su “chiamata”, cioè senza una presenza stabile presso l’Ufficio, ma incaricati di eseguire
delle traduzioni o chiamati per prestare assistenza a colloqui su appuntamenti.
Nel 1994 entrano così due traduttori giurati che coprono il serbo-croato e le lingue
spagnolo-inglese-francese. Inoltre è stato inserito tra lo staff un operatore di
madrelingua arabo-marocchino. Il numero dei componenti nel 1995 era salito a 9.
Nel 1996 erano 12. I nuovi erano tutti interpreti su chiamata e coprivano la lingua
albanese, il rumeno, l’ungherese, oltre a rinforzare il cinese.
Nel 1997 si aggiunse il portoghese, il cingalese ed il russo.
Nel 1998 avevano un contratto con l’Ufficio 21 interpreti-traduttori che
assicuravano la copertura di 16 lingue diverse tra cui il turco, il wolof ed il polacco.
L’incarico affidato agli interpreti consiste nella traduzione di documenti
(certificati anagrafici, sanitari, iscrizioni scolastiche) e nell’affiancamento delle
assistenti sociali dell’Ufficio nelle prestazioni di front-office, soprattutto dello sportello
rifugiati al quale si presentano in maggioranza neo-arrivati.
Col passare degli anni sono stati stipulati contratti con 26 interpreti-traduttorimediatori, con la copertura di 23 lingue (Murer 2001: 11-12).
3.10 L’INTEPRETE PRESSO LA QUESTURA DI BOLOGNA
La questura di Bologna dispone di una sezione linguistica composta da due revisori, tre
traduttori-interpreti e un assistente linguistico. Il lavoro svolto è sia orale che scritto ed è
prevalentemente di supporto alla Polizia Giudiziaria, pur offendo saltuariamente
consulenze linguistiche agli uffici amministrativi (Cocchi 2005: 214).
Gli uffici della Questura che si servono dei suoi servizi sono la DIGOS, le varie
sezioni della Squadra Mobile, l’Ufficio del Gabinetto, l’Ufficio Prevenzione Generale e
Soccorso Pubblico, alcuni uffici amministrativi come l’Ufficio Immigrazione e l’Ufficio
Porto d’Armi, il Gabinetto Regionale di Polizia Scientifica, le specialità della Polizia di
Stato, ovvero Polizia Ferroviaria, Polizia di Frontiera, Polizia Stradale, la specialità
114
Unità e Reparti Speciali (Artificieri, Cinofili e Tiratori Scelti) e infine l’Ufficio
Territoriale del Governo (ex Prefettura).
Analizziamo ora nel dettaglio il lavoro di interpretariato-traduzione svolto in
ciascuno di questi uffici investigativi.
La Divisione Investigazioni Generali e Operazioni Speciali (DIGOS) si occupa
principalmente di antiterrorismo italiano e straniero. È divisa in varie sezioni ciascuna
delle quali si occupa di un particolare aspetto del terrorismo. Il lavoro degli interpreti e
dei traduttori per questo ufficio è particolarmente delicato e diverso rispetto agli altri.
Da un lato si tratta di interpretariati (quando viene sentita una persona) o di traduzioni
scritte (di materiale sequestrato, di missive anonime o firmate sia recapitate sia inviate
via fax o messaggi di posta elettronica o fax e richieste/risposte a richieste di
collaborazione tra uffici di Polizia italiani e stranieri). La peculiarità del lavoro di questo
ufficio consiste nel fatto che spesso viene richiesta anche la traduzione di materiale
informativo, ovvero documentazione non direttamente attinente all’indagine, ma
collegata ad essa, come articoli di giornali e riviste stranieri, materiale pubblicato o
scaricato dalla rete, la cui finalità sia quella di contribuire alla formazione e
all’aggiornamento dell’investigatore ad acquisire una conoscenza approfondita
dell’ambiente in cui si è svolta un’azione terroristica.
La Squadra Mobile è divisa in sei sezioni, ognuna delle quali si occupa di una
diversa tipologia di reato: 1) Criminalità Extracomunitaria e Prostituzione; 2) Reati
contro la Persona; 3) Reati a danno di Minori e Reati a Sfondo Sessuale; 4) Reati contro
il Patrimonio e la Pubblica Amministrazione tra cui truffe, rapine, corruzioni, furti,
usura, traffici di auto rubate, ecc.; 5) Antidroga; 6) Criminalità Organizzata. Per tutti gli
uffici della Squadra Mobile, il lavoro svolto è sia scritto che orale. Serve un interprete
se viene steso un verbale di spontanee dichiarazioni o sommarie informazioni,
rispettivamente dalla persona sottoposta ad indagine o dai testimoni, oppure colloqui
con le persone offese/vittime.
Un particolare tipo di prestazione spesso richiesta dagli uffici investigativi è
l’ascolto delle conversazioni telefoniche intercettate a cui segue un riassunto o una
trascrizione integrale e relativa traduzione.
Le traduzioni scritte richieste dagli uffici investigativi della Squadra Mobile
possono essere traduzioni di materiale sequestrato oppure di corrispondenza che
115
intercorre tra la Polizia italiana e quella di altri paesi. In questo caso è frequente la
richiesta di traduzione da e verso lingue straniere di materiale inviato o pervenuto
attraverso canali non ufficiali, in base agli accordi internazionali di cooperazione tra le
forze dell’ordine. Si tratta di informative, note, rapporti, copie di verbali ed esiti di
accertamenti di Polizia. I canali ufficiali sono invece quelli delle rogatorie
internazionali. In entrambi i casi, traduzione di materiale sequestrato e atti acquisiti
mediante gli accordi di collaborazione, si procede ad una prima visione e traduzione
sommaria, che permetta al magistrato che conduce l’indagine e agli uffici di Polizia
Giudiziaria preposti agli accertamenti di capire di cosa si tratta e quanto sia utile il
materiale ai fini dell’indagine. In seguito, un sostituto procuratore conferisce un incarico
ufficiale per eseguire una traduzione vera e propria (Cocchi 2005: 214-215).
L’Ufficio di Gabinetto è il volto ufficiale della Questura. Il Questore è il capo
delle forze della Polizia locali e il suo ufficio di Gabinetto fa da tramite tra questo
vertice e il personale della Questura, civile e di Pubblica Sicurezza. La presenza di un
interprete in quest’ambito è richiesta soprattutto in occasione di visite di cortesia al
Questore di delegazioni di funzionari di Polizia stranieri, personale diplomatico o
incontri con i responsabili della sicurezza di personalità importanti. Quando il personale
operativo è affiancato da quello straniero è necessaria la presenza degli interpreti, prima
e a volte anche durante la manifestazione stessa. In tutti questi casi ci può essere uno
scambio di corrispondenza che prevede l’incontro per la sicurezza e dunque la necessità
di traduzioni, altrimenti si tratta di interpretariati, che avvengono mediante la tecnica
della consecutiva in un contesto di riunione, o mediante interpretariati in un contesto
operativo.
L’Ufficio Prevenzione Generale e Soccorso Pubblico (UPGSP, ex Ufficio
Controllo del Territorio) è l’unità che si occupa della prevenzione e repressione del
crimine sul territorio. Vi appartiene anche l’Ufficio Denunce, cui i cittadini si possono
rivolgere per denunciare ogni sorta di reato subito. Per le normali denunce di furto o
smarrimento da parte di stranieri esistono moduli in inglese, francese, tedesco e
spagnolo che la vittima del reato compila indicando oggetto e circostanze dei fatti nella
propria lingua. Tali dichiarazioni vengono poi tradotte prima di inviare il modulo in
Procura come notizia di reato. Tuttavia a volte accade che un cittadino straniero voglia
denunciare episodi particolari come minacce o aggressioni, oppure insolite modalità di
116
rapina. In tali casi, si ricorre ad un interprete, che spesso, oltre ad una mediazione
linguistica, deve fornire anche assistenza pratica e psicologica a persone in difficoltà.
L’Ufficio Immigrazione rilascia i permessi di soggiorno agli stranieri, riceve le
domande d’asilo politico dei rifugiati, emette decreti di espulsione, di diniego o revoca
del permesso di soggiorno e si occupa di tutte le problematiche relative alla permanenza
degli stranieri sul territorio nazionale. Vi è anche una squadra investigativa che effettua
controlli sugli irregolari, dal loro ingresso clandestino alla permanenza e al lavoro senza
permesso. L’Ufficio Immigrazione accoglie e indirizza i rifugiati verso sportelli
comunali che offrono loro assistenza e li aiutano a compilare le domande di asilo
politico da presentare poi all’Ufficio Immigrazione (Cocchi 2005: 215-217).
L’interprete della Questura è presente durante il colloquio di apertura di una
pratica di asilo politico, quando il richiedente racconta la sua storia e spesso esibisce
documenti a sostegno del suo racconto o relazioni da lui redatte che narrano delle
persecuzioni politiche e religiose di cui è stato vittima, in questo caso il lavoro richiesto
è sia scritto che orale. Orale è anche l’assistenza fornita allo sportello, dove l’operatore
comunica con il cittadino straniero assistito dall’interprete.
Per quanto riguarda le traduzioni scritte, per questo ufficio si traducono decreti e
atti amministrativi da notificare a stranieri, ovvero tutti quei documenti che per legge
devono essere tradotti nella lingua dell’interessato o in una delle tre lingue più diffuse:
inglese, francese e spagnolo. Spesso è necessario anche tradurre documenti allegati alla
domanda di permesso di soggiorno, come polizze assicurative, certificati di matrimonio,
nascita o morte, sentenze di divorzio, contratti, borse di studio, ecc.
Il Gabinetto Regionale di Polizia Scientifica si occupa degli aspetti tecnoscientifici di un’indagine. Questo ufficio richiede soprattutto traduzione di
documentazione tecnica. Il materiale prodotto è destinato principalmente a scopi di
consultazione, formazione o aggiornamento.
La Polizia Stradale, la Polizia Postale, la Polizia di Frontiera e la Polizia
Ferroviaria sono chiamate Specialità, ciascuna dotata di una propria organizzazione
interna e di un vertice indipendente da quello della Questura.
Per la Polizia Postale, che si occupa di reati connessi usando il mezzo postale e di
reati informatici, si effettuano soprattutto traduzioni per rogatorie o indagini di Polizia
Giudiziaria.
117
Nell’ambito della Polizia Stradale si lavora invece prevalentemente per l’Ufficio
Infortunistica e per la Giudiziaria. L’Ufficio Infortunistica, che si occupa della
ricostruzione di incidenti stradali, ricorre al personale linguistico quando dei cittadini
stranieri rimangono coinvolti in incidenti stradali. In questo caso servono soprattutto
interpreti per sentire le testimonianze, può anche succedere che l’interpretariato sia
telefonico o avvenga in un ospedale. Gli Uffici di Polizia Giudiziaria della Stradale
svolgono indagini su reati connessi alla circolazione stradale o commessi sulle strade e
autostrade. Uno dei motivi più frequenti per cui ricorrono all’interprete è la rapina ai
camion carichi di merce, a volte con aggressione e sequestro del camionista e furto del
veicolo. Il tipo di servizio che l’interprete-traduttore svolge è simile a quello effettuato
per gli uffici della Squadra Mobile in quanto si tratta di un ufficio investigativo e
comprende: interrogatori, intercettazioni e rogatorie.
La Polizia Ferroviaria e la Polizia di Frontiera ricorrono agli interpreti quando dei
cittadini stranieri si trovano coinvolti in reati connessi rispettivamente sui treni e nelle
stazioni e in ambito aeroportuale e, più raramente, quando gli stranieri vengono trovati
all’interno di stazioni ferroviarie affetti da amnesie, malati di mente, ubriachi o si
verificano altre situazioni che richiedono l’intervento di un interprete.
Una Quarta Specialità è costituita da Unità e Reparti Speciali, di cui fanno parte
gli Artificieri, Cinofili e Tiratori Scelti. In questo caso, l’attività degli interpreti è
necessaria per la traduzione di manuali specialistici.
L’Ufficio Territoriale del Governo, l’ex Prefettura, si serve in alcuni casi del
personale linguistico per traduzioni per l’ufficio patenti o per l’ufficio invalidi, ma
soprattutto per interpretariati in occasione di visite ufficiali o ricevimenti di
rappresentanza (Cocchi 2005: 217-219).
3.10.1 L’INTEPRETARIATO PER L’AUTORITÀ GIUDIZIARIA
La collaborazione tra la Polizia Giudiziaria e il personale linguistico della Questura è
molto particolare e delicato da trattare. La Polizia Giudiziaria redige verbali dei seguenti
atti: 1) denunce, querele e istanze presentate oralmente; 2) sommarie informazioni rese
e dichiarazioni spontanee ricevute dalla persona nei confronti della quale vengono
svolte le indagini; 3) informazioni assunte da qualsiasi persona che sia informata sui
118
fatti e possa riferire circostanze utili ai fini delle indagini; 4) perquisizioni e sequestri; 5)
operazioni e accertamenti; 6) atti eventualmente compiuti prima dell’inizio delle
indagine vere e proprie (Cocchi 2005: 219-220).
La presenza dell’interprete-traduttore può rendersi necessaria in ciascuna di queste
fasi, laddove la vittima, un testimone o il presunto autore del reato siano cittadini
stranieri. Tuttavia, poiché la funzione del personale linguistico del Ministero è quella di
ausilio alla Polizia Giudiziaria, tale collaborazione viene richiesta soprattutto nella fase
inquirente, in cui il magistrato dirige le indagini della Polizia Giudiziaria.
Durante le indagini preliminari si effettuano traduzioni di atti, notifiche, decreti,
verbali, richieste di rogatoria internazionale e relative risposte, con eventuali documenti
o atti allegati. L’interprete-traduttore che segue l’iter dall’avvio delle indagini
preliminari alla richiesta di rinvio a giudizio nel caso di un’indagine vasta e articolata,
che coinvolge vari Paesi, può trovarsi a tradurre una serie di rogatorie, nonché a
svolgere attività di interprete durante interrogatori o assunzioni testimoniali eseguite per
conto di autorità procedenti in altri Stati. A parte le rogatorie, altri incarichi di
traduzione possono riguardare documenti sequestrati contestualmente a delle
perquisizioni o qualsiasi altra fonte probatoria acquisita di carattere documentale che il
PM ritenga utile (Cocchi 2005: 221).
3.10.2 LE TIPOLOGIE DI TRADUZIONI E DI INTERPRETARIATI SVOLTI DAL
PERSONALE LINGUISTICO DELLA QUESTURA DI BOLOGNA
Le traduzioni scritte da e verso una lingua straniera richieste al personale linguistico
possono essere di carattere tecnico oppure legale-amministrativo. Le prime possono
essere destinate agli uffici della Questura, il che permette di risolvere eventuali
difficoltà di carattere tecnico interpellando direttamente l’utente che ha richiesto il
lavoro. Generalmente si preparano anche glossari che serviranno di riferimento per le
traduzioni future. Le seconde, invece, di carattere giudiziario (notifiche di citazioni,
decreti, verbali di udienze e sentenze, atti processuali in genere, richieste di rogatorie) o
amministrativo (decreti, intimazioni, verbali di contravvenzione) presentano problemi
diversi, a seconda che siano da o verso la lingua straniera (Cocchi 2005: 222).
119
Data la diversità dei sistemi giudiziari, una grossa difficoltà è costituita anche
dalla traduzione verso la lingua straniera di cariche, ruoli, uffici, istanze, atti e simili. In
questo caso è bene lasciare, ove possibile, il termine in italiano perché possa fungere da
riferimento per chi legge e poi, tra parentesi o in una nota del traduttore, spiegare di
cosa si tratta e se è necessario, provare a tradurre, utilizzando ad esempio un calco.
Per quanto riguarda gli interpretariati orali, essi possono essere suddivisi in 3
tipologie:
a) Incontri, visite ufficiali e di cortesia, giornate di studi;
b) Intercettazioni telefoniche e ambientali;
c) L’interpretariato a fini investigativi o in un’udienza e/o in uffici amministrativi o
di relazioni con il pubblico.
Nel primo caso si tratta generalmente di interpretariati di tipo tradizionale che si
svolgono utilizzando la tecnica della consecutiva o raramente dello chuchotage. L’unico
problema di queste situazioni è che, pur se organizzate in anticipo, l’interprete viene
interpellato all’ultimo minuto e il rischio è che questi non abbia il tempo per prepararsi
adeguatamente.
Nel secondo caso, vi deve sempre essere l’autorizzazione del PM che deve anche
incaricare il perito all’ascolto e alla trascrizione/traduzione. Un perito può ricevere
l’incarico anche durante la fase dibattimentale per disposizione del giudice o come
perito nominato dalla difesa. Rispetto agli interpreti esterni, i dipendenti del servizio
linguistico hanno un rapporto più confidenziale con gli addetti alle intercettazioni.
Durante l’ascolto vengono compilati dei brogliacci su cui vengono annotati dati tecnici
relativi a ciascuna conversazione. In questa fase operativa, l’interprete è in parte
sollevato dalla responsabilità di decidere se una conversazione è significativa per le
indagini e quindi va trascritta integralmente, oppure no. Quando invece l’incarico viene
espletato come perizia a tutti gli effetti, a completamento degli atti processuali, il
giudice richiede sempre le traduzioni integrali. A volte, se la conversazione è
particolarmente importante, si richiede la trascrizione integrale nella lingua originale
oltre che nella relativa traduzione. I problemi più rilevanti in questo tipo di lavoro sono
ovviamente quelli di comprensione. A volte, per risolvere questo inconveniente, si
ricorre all’ausilio di due periti (Cocchi 2005: 223-225).
120
Nel terzo caso, infine, ci troviamo di fronte ad interpretariati di vario genere. Nel
caso dell’assistenza fornita presso gli uffici aperti al pubblico, l’interprete della
Questura rappresenta spesso il primo impatto che i cittadini stranieri hanno con le
istituzioni italiane. In questi casi, più che grandi competenze tecniche o linguistiche
servono doti di sensibilità e comunicativa. L’interprete deve fungere anche da mediatore
culturale, da assistente sociale e da psicologo.
Il secondo tipo di interpretariato è costituito dai vari atti di Polizia Giudiziaria
compiuti prima dell’inizio o nella primissima fase delle indagini preliminari, quando si
tratta cioè di fare da tramite tra un ufficiale di Polizia Giudiziaria e una persona
informata sui fatti, una persona offesa o un presunto autore di reato che rilascia
dichiarazioni spontanee. A volte sono semplici accertamenti e, rispetto a reati più gravi,
queste situazioni tendono ad essere più informali rispetto a veri e propri interrogatori o
assunzioni testimoniali. L’interprete della Polizia ha in questo caso la possibilità di
mediazione o di spingersi oltre il puro trasferimento di concetti da una lingua all’altra
(Cocchi 2005: 225-226).
A indagini preliminari iniziate, gli atti succitati acquisiscono una veste di
maggiore ufficialità e sono compiuti dal magistrato o su delega del PM; ciò avviene in
presenza di un avvocato se ad essere interrogato è l’indagato, in carcere se la persona
indagata è agli arresti. Se il reato ipotizzato è grave, tutto il colloquio viene registrato e
a volte il magistrato può chiedere la trascrizione/traduzione integrale delle domande e
delle risposte, poiché nella verbalizzazione qualche particolate potrebbe essere
trascurato. Alla fine di questi interrogatori si traduce a vista il verbale per correggere
eventuali imprecisioni. È necessaria anche la massima precisione nel tradurre le
domande e i commenti del magistrato, trasmettendo la stessa enfasi, che a volte può
essere determinante. In questa fase, la consecutiva è poco efficace soprattutto per
mancanza di tempo e perché i presenti sono impazienti di conoscere le risposte. Qui è
molto importante procedere a piccoli passi, facendo dire solo poche frasi per volta e
traducendole subito, affinché i presenti abbiano un’idea completa e limitatamente
mediata di come si esprime la persona interrogata.
In questa fase le indagini sono già terminate, le prove raccolte e durante il
dibattimento è importante soprattutto “come” si espongono i fatti. In fase dibattimentale
si riscontra un grado crescente di formalità, riflessa nel ruolo dell’interprete, che in fase
121
di giudizio è più rigidamente codificato. Durante le udienze, infatti, l’interprete lavora
per il giudice, nel senso che traduce le domande del giudice e le risposte per il giudice
(Cocchi 2005: 227-228).
3.10.3 DIFFICOLTÀ DEI VARI TIPI DI SERVIZIO
Un primo problema importante quando si ha a che fare con cittadini stranieri ed in
particolare extracomunitari è che per tali persone, l’inglese, il francese, lo spagnolo e il
tedesco, ovvero le quattro lingue parlate dal personale della Questura, rappresentano in
genere una seconda lingua straniera, a volte poco conosciuta. È necessario in tali casi
ricorrere all’ausilio di un interprete esterno (Cocchi 2005: 228).
Un’altra difficoltà può essere rappresentata dal fatto che l’imputato abbia un
livello culturale medio-basso. L’interprete è così obbligato ad utilizzare differenti
registri: uno formale per il giudice e informale per l’imputato.
Lavorare per un’Autorità Giudiziaria significa dover spaziare su una vasta gamma
di argomenti che va dalle questioni fiscali a quelle ambientali, dal traffico di droga agli
abusi sui minori, dalla somministrazione di farmaci sbagliati alla truffa. Per tale ragione
sarebbe necessario sapere con anticipo di cosa si tratta prima di lavorare con un
interprete durante un’udienza. Non meno importante, ovviamente, è la formazione, di
cui abbiamo discusso al paragrafo 3.8 (Cocchi 2005: 229-230).
122
CAPITOLO IV
IL MEDIATORE IN ITALIA
4.1 LA NECESSITÀ DELLA MEDIAZIONE LINGUISTICO-CULTURALE IN
ITALIA
La mediazione linguistico-culturale in Italia è sorta e si è imposta negli ultimi anni
come necessità agli operatori dei servizi pubblici e privati, spesso in contraddizione con
un contesto di riconoscimento dei diritti ai cittadini stranieri (Castiglioni 1997: 13).
La necessità della mediazione linguistico-culturale appare come una strategia
possibile di riconoscimento di alcuni dei diritti negati ai cittadini stranieri.
L’inserimento della figura del mediatore linguistico-culturale nei servizi pubblici ha
significato considerare il fenomeno immigratorio come irreversibile e permanente e ha
permesso la sperimentazione di nuovi modelli di intervento in una prospettiva di
inclusione e di riconoscimento della differenza (Castiglioni 1997: 18).
L’inserimento di consistenti fasce di popolazioni immigrate in Italia richiede di
attivare profonde trasformazioni culturali nelle abitudini sociali, nel confronto
quotidiano, nelle pratiche concrete: concezioni, modelli di cura e di organizzazione
familiare (Fumagalli 2004: 49).
La presenza fisica delle persone immigrate ci colloca in una dimensione globale e
al tempo stesso ci pone di fronte al concetto di integrazione culturale, che richiama
quello del rispetto della diversità.
In Italia, così come negli altri paesi, la strada verso una possibile convivenza è
stata ed è costruita tenendo conto delle particolarità del sistema politico, della tradizione
giuridica, dell’impianto culturale. Mediare, in senso generale, assume quindi il
significato di avvicinare persone che fanno riferimento a matrici culturali e di senso
diverse (Fumagalli 2004: 49).
123
Entrando nel merito della legislazione italiana sull’immigrazione, osserviamo che
essa ha trattato il fenomeno dell’immigrazione dei cittadini stranieri come emergenza o,
nel migliore dei casi, come qualcosa di eccezionale e provvisorio (Castiglioni 1997: 13).
Fino al 1998 le due leggi principali in materia sono state la legge 30 dicembre
1986, n.943 e la legge 28 febbraio 1990, n. 39, nota come legge Martello, integrate in
ambiti specifici da alcuni provvedimenti ad hoc. Il 6 marzo 1998 è stata emanata la
legge n. 40, prima legge organica in materia, recepita dal successivo DLS 25 luglio
1998, n. 286, che va attualmente letto alla luce delle modifiche introdotte dalla legge 30
luglio 2002, n. 189 (Fumagalli 2004: 50).
Per quanto riguarda il riconoscimento legislativo dell’attività di mediazione, solo
a partire dalla legge 40/1998 la normativa nazionale ne ha fatto esplicito riferimento.
Infatti, l’articolo 40 della stessa legge recita:
Lo stato, le regioni, le province, e i comuni, nell’ambito delle proprie competenze,
favoriscono […] la realizzazione di convenzioni con associazioni […] per l’impiego
all’interno delle proprie strutture di stranieri, titolari di carta di soggiorno o di permesso
di soggiorno di durata non inferiore a due anni, in qualità di mediatori interculturali, al
fine di agevolare i rapporti tra le singole amministrazioni e gli straneri appartenenti a
diversi gruppi etnici, nazionali, linguistici e religiosi.
La legge non definisce l’attività di mediazione, ma introduce il termine di
“mediatori interculturali” in una normativa nazionale, contemplando le misure per
favorire l’integrazione degli immigrati e affermando la possibilità di convenzioni con le
associazioni iscritte nell’apposito albo (Fumagalli 2004: 50-51).
L’articolo 40 della legge 40/1998 contiene altri punti che individuano una serie di
iniziative finalizzate alla piena integrazione degli immigrati. In particolare si prevedono
nell’ottica delle attività interculturali, azioni quali: 1) corsi di lingua e cultura dei paesi
d’origine; 2) diffusione di informazioni relative ai diritti/doveri e alle possibilità di
integrazione; 3) prevenzione di atti di razzismo e xenofobia; 4) organizzazione di corsi
di formazione; 5) iniziative contro la discriminazione.
Altro significativo documento a livello nazionale è la “Nota del gruppo di lavoro
interministeriale”, nata dall’esigenza di elaborare un testo comune per fare il punto sui
bisogni della mediazione culturale, rilevati dalle amministrazioni più direttamente
coinvolte nelle politiche di gestione del fenomeno migratorio. Il gruppo di lavoro
124
interministeriale ha ribadito la necessità immediata di un approfondimento sulla figura
e le competenze del mediatore culturale. Nella Nota, il mediatore viene definito:
“traduttore di lingua e di strutture valoriali, dei modi di pensiero, dei modi di
interpretare il mondo, del senso religioso […]; figura professionale di supporto a
operatori e servizi; figura terza tra utente, paziente, alunno, servizio, istituzione;
facilitatore di relazioni”.
Un’attenzione particolare merita l’articolo 12 della legge 328/2000, che non
riguarda direttamente la mediazione linguistico-culturale, ma che è utile a delineare il
profilo professionale del mediatore/trice. Infatti, tale articolo prevede che:
“vengano definiti i profili professionali delle figure professionali sociali da formare con
corsi di laurea; da formare con corsi di formazione organizzati dalle regioni (stabilendo
criteri generali riguardanti l’accesso, la durata, l’ordinamento didattico) e vengano
definiti i criteri per il riconoscimento e l’equiparazione dei profili professionali
esistenti”.
Alla commissione per la definizione dei profili professionali, organismo
interministeriale, spetta il compito di definire le figure formate con corsi di laurea a
livello regionale e stabilire criteri per il riconoscimento e l’equiparazione dei titoli
(Fumagalli 2004: 52-53).
4.2 PROVVEDIMENTI REGIONALI
Nell’attesa di una normativa nazionale completa, alcune Regioni e Comuni hanno
adottato autonomi provvedimenti, volti soprattutto all’istituzione di corsi professionali e
al riconoscimento di una qualifica regionale. Alcune esperienze interessanti riguardano
ad esempio la Regione Piemonte, la Regione Toscana, la Regione Autonoma TrentinoAlto Adige (Fumagalli 2004: 54).
Il mediatore nella determinazione della Regione Piemonte, viene indicato come
colui che:
“potrà svolgere attività di collegamento fra le strutture straniere e le strutture, i servizi,
le istituzioni locali e nazionali. Potrà prestare la propria opera presso strutture e servizi
promuovendo l’accesso agli stessi da parte degli immigrati e fornendo loro supporti
normativi necessari. Collaborerà con gli operatori dei servizi pubblici e privati
125
affiancandoli nello svolgimento della loro autorità e partecipando alla programmazione
degli interventi, […] anche promuovendo con altri la costituzione di cooperative”.
La Regione Toscana, ne dà la seguente definizione:
“il mediatore culturale per etnie minoritarie extracomunitarie è una figura professionale
preparata proveniente da una comunità immigrata, in grado di intervenire in specifiche
situazioni per individuare ed esplicitare bisogni di utenti extracomunitari e per
negoziare prestazioni da parte di servizi e degli operatori pubblici, attivando la
comunicazione e apportando modifiche di contenuto e di modalità di approccio. Svolge
la sua attività fungendo da tramite con i servizi pubblici di primo contatto”.
Nella Deliberazione della Regione Autonoma Trentino-Alto Adige vengono
inoltre elencate alcune competenze professionali del mediatore interculturale:
“è in possesso di competenze che permettono di essere in grado di facilitare la
comunicazione e la comprensione linguistica e culturale fra persone di culture diverse e,
in particolare, fra l’utente straniero e l’operatore di un servizio pubblico o privato, nel
rispetto dei diritti delle parti interessate alla relazione”
e viene proposta una definizione di ruolo:
“il ruolo del mediatore interculturale è quindi quello di “ponte”, “cerniera”,
“interfaccia” fra utenza straniera e operatori dei servizi pubblici e privati, ovvero fra
presupposti e significati culturali diversi, nel rispetto degli specifici ruoli, funzioni e
poteri di ciascuna parte della relazione, senza sostituirsi e rappresentare gli uni o gli
altri. E’, in pratica, un operatore interculturale, un educatore delle differenze con
competenze interculturali particolarmente sviluppate, che opera sistematicamente per il
superamento dell’egocentrismo, etnocentrismo, sociocentrismo, a favore della
comprensione e accettazione della diversità e alterità culturali” (2004: 54-56).
Da queste leggi scaturisce una prima ipotesi di profilo professionale del
mediatore, i cui compiti principali sono secondo Fumagalli:
a) un’azione di collegamento, attraverso l’attivazione e la facilitazione della
comunicazione; la comprensione di lingue e culture differenti; la
traduzione di lingue, strutture valoriali, modi di pensiero, modi di
interpretare il mondo, il senso religioso;
126
b) la promozione dell’accesso ai servizi da parte degli utenti immigrati,
individuandone i bisogni, le richieste, le necessità;
c) la collaborazione con i servizi, sia nella fase di progettazione e
programmazione degli interventi che per quanto riguarda la loro
realizzazione;
d) l’apporto di modifiche di contenuto e di approccio nell’organizzazione dei
servizi, anche attraverso la negoziazione delle prestazioni possibili a
favore di utenti stranieri (2004: 57).
4.3 I PERCORSI FORMATIVI
I primi corsi di formazione per mediatori e mediatrici risalgono all’inizio degli anni ’90
e sono stati organizzati in modo sperimentale da cooperative, enti, associazioni, nella
consapevolezza che l’attività dei mediatori dovesse essere supportata da percorsi
formativi ad hoc (Fumagalli 2004: 57).
Un’altra caratteristica di quegli anni era l’aumento di richiesta di mediazione da
parte degli operatori e dei servizi e di conseguenza la necessità di formare persone per
precisi ambiti di lavoro, permettendo loro l’acquisizione di competenze specifiche.
Dopo questa prima fase legata quasi esclusivamente all’iniziativa privata, si è
assistito ad una maggiore collaborazione con il pubblico, che ha dato origine alla nascita
di corsi finanziati dalle istituzioni e gestiti in collaborazione con associazioni,
cooperative, ecc., oppure formazioni coinvolgenti più partners, anche internazionali e
finanziate da progetti del Fondo sociale europeo.
Seppur nati da bisogni simili, i corsi spesso presentano ampie differenze, a
seconda di obiettivi, destinatari, durata, canali di funzionamento, possibilità di
inserimento lavorativo. Tra le iniziative più significative del privato sociale ricordiamo:
•
COSPE Firenze: Corso per mediatori linguistico-culturali (300 ore + 150
ore tirocinio);
•
Cooperativa Kantara. Gruppo relazioni interculturali Milano: Corso di
formazione per mediatori linguistico-culturali nell’area della salute
mentale;
127
•
CDIE Cooperativa Kantara-Associazione-Crinali Cooperativa Progetto
Integrazione Milano: Corso di formazione professionale e creazione
d’impresa nel campo della mediazione linguistico-culturale (528 ore + 150
ore tirocinio);
•
Centro Come Milano: Progetto Interdialogo (90 ore + 60 ore tirocinio);
•
Centro Come Milano: corso di formazione permanente per mediatrici
culturali in attività socioassistenziali (36 ore);
•
Centro Come Milano: corso per mediatrici culturali (30 ore);
•
Centro Millevoci Trento: Un ponte fra culture (120 ore + 20 ore
tirocinio/125 ore + 40 tirocinio);
•
Associazione Crinali Milano: La formazione della mediatrice linguisticoculturale (900-1000 ore);
•
Provincia di Genova CEDRITT e Forum antirazzista: Corso di formazione
professionale per addetto all’accoglienza con compiti di mediazione
culturale (350 ore + 150 ore tirocinio);
•
Provincia di Brescia Assessorato ai servizi sociali-Consulta Provinciale
per l’immigrazione straniera: corso di formazione per mediatori
linguistico-culturali (25 ore + 5 ore tirocinio);
•
Comune di Bologna: Corso di formazione per mediatrici interculturali in
ambito sociosanitario (350 ore + 350 ore tirocinio);
•
Fondazione Silvano Andolfi, Roma FSE-Ministero del Lavoro: corso di
formazione professionale per mediatori culturali (all’interno del Progetto
Bridge) (800 ore + 100 ore stage di orientamento + 500 ore stage
avanzato);
•
Comune di Como-Assessorato servizi sociali: Seminari di orientamenti e
momenti di supervisione per mediatori culturali nelle scuole materne (15
ore + 5 incontri di supervisione);
•
Comune di Parma Centro Interculturale-Provveditorato: Corso di
formazione per mediatori linguistico-culturali (30 ore);
•
Provincia di Modena: Mediatore linguistico-culturale (200 ore + 50
tirocinio);
128
•
Comune di Milano CEP: Corso di formazione “Addetto all’interpretariato
e alla mediazione culturale in ambito socio educativo” (420 ore + 180 ore
tirocinio);
•
Provincia di Milano: Corso di formazione per mediatori (600 ore + 200 ore
tirocinio);
•
Provincia Autonoma di Bolzano, Alto Adige: Progetto di qualifica.
Mediatore/mediatrice interculturale (800 ore + 300 ore tirocinio);
•
ITS Vanvitelli di Ostia, Università La Sapienza di Roma, Regione Lazio,
Caritas diocesana di Roma, ENAP Lazio, comune di Roma (840 ore + 360
ore tirocinio);
•
Provincia di Mantova: La mediazione linguistico-culturale in ambito
sociosanitario
(120
ore
+
tirocinio)
Ancora, alcune scuole hanno organizzato incontri ad hoc per persone straniere già
operanti nel proprio territorio in qualità di mediatori e numerosi sono stati i convegni, i
seminari, le giornate di studio sul tema (Fumagalli 2004: 58-62).
Le differenze principali tra i vari corsi sono i seguenti:
a) Luogo di attuazione: la maggior parte delle iniziative si è svolta nel centronord Italia. Più attive sono le grandi aree e città, grazie alla maggiore
opportunità di accedere a risorse umane e finanziarie maggiori;
b) Destinazione e caratteristiche: la scelta della denominazione spesso
caratterizza il corso: per donne, per mediatrici già formate, per aree di
specializzazione e così via. Vi sono due grandi gruppi: 1) i corsi di “base”
e 2) quelli specialistici, con l’obiettivo di fornire ulteriori approfondimenti
o di incanalare l’attività verso servizi specifici;
c) Destinatari: la maggior parte dei corsi sono indirizzati esclusivamente a
cittadini stranieri e/o immigrati. I destinatari variano a seconda degli
obiettivi, dei canali di finanziamento, dei bisogni del territorio.
I criteri di accesso ricorrenti sono:
1) Età superiore ai 20 anni;
2) Diploma scuola media superiore;
129
3) Motivazione al lavoro di relazione e mediazione;
4) Buona conoscenza della lingua d’origine e della lingua italiana;
5) Buone capacità relazionali;
6) Condizione di regolarità.
d) Periodo di svolgimento: la nascita della formazione si attesta intorno al
1992 (NAGA e COSPE); negli anni 1996-2000 si concentra il maggior numero di
attività, che tendono a diminuire negli ultimi anni;
e) Monte ore: non esiste un criterio condiviso. Si passa da corsi che
prevedono 15 ore di docenza, a quelli che ne prevedono 800 o più; da corsi con
formazione solo d’aula a corsi con tirocini e stage, con evidente disparità di
approfondimento e apprendimento;
f) Obiettivi: nonostante le differenze, i corsi tendono a soddisfare obiettivi
generali simili, riconducibili ad alcune aree comuni:
a) Area delle conoscenze: acquisizione di conoscenze specifiche, di
strumenti per leggere la realtà e per fornire indicazioni operative;
conoscenza
del
funzionamento
del
sistema
dei
servizi;
acquisizioni normative;
b) Area del ruolo, ossia sviluppo delle competenze necessarie;
c) Area della promozione, dello sviluppo di capacità imprenditoriali
e autoimprenditoriali;
d) Area dell’approfondimento, cioè delle informazioni specifiche e
dell’aggiornamento (Fumagalli 2004: 63-64).
Se entriamo nel merito della progettazione di un corso, si può proporre un’ipotesi
formativa che raggruppi alcune caratteristiche fondamentali:
I.
Requisiti di accesso:
•
origine straniera;
•
esperienza preferenziale di migrazione;
•
un tempo significativo di permanenza in Italia;
•
scolarità di livello superiore;
•
buona conoscenza della lingua d’origine e della lingua italiana,
orale e scritta;
130
•
II.
motivazione al lavoro relazionale e di cura.
Formazione:
•
percorso di formazione comune (monte di 500-600 ore);
•
percorso differenziato per ambiti educativo-scolastico, sociosanitario, penale, lavorativo-sindacale (monte di 200-300 ore);
III.
IV.
•
formazione equilibrata fra docenze e tirocinio nei servizi;
•
tirocinio qualificante e rielaborato;
•
riconoscimento dei percorsi formativi già attuati.
Aree per il modulo comune:
•
comunicazione e relazioni interculturali;
•
discipline scientifiche: antropologia, sociologia, pedagogia;
•
normativa e modalità applicative;
•
organizzazione dei servizi;
•
autoimprenditorialità.
Aree per il modulo differenziato:
•
Approfondimenti teorici, normativi, metodologici e organizzativi
relativi
all’area
scelta
(socio-sanitaria,
educativo-scolastica,
sicurezza-giustizia, lavoro e così via) (Fumagalli 2004: 65).
4.4 IL PROGETTO BRIDGE: UN PERCORSO FORMATIVO PER MEDIATORI
CULTURALI
Il Progetto Bridge, approvato dal Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale, con
il supporto del Fondo Sociale Europeo, è stato realizzato dalla Fondazione Silvano
Andolfi nell’arco di due anni, dal 1998 al 2000. La Fondazione si interessava di temi
riguardanti lo studio della famiglia e si occupava in particolare di immigrazione
(Andolfi 2003: 165).
La Fondazione decise di progettare un corso di formazione professionale per
mediatori culturali. Il corso avrebbe dovuto offrire una formazione personale ed
esperienziale e non solo contenutistica. Il progetto venne denominato “Bridge”, a
sottolineare la funzione del mediatore culturale quale ponte tra due o più culture.
Il progetto Bridge aveva obiettivi ambiziosi:
131
•
identificare un nuovo profilo professionale altamente qualificato;
•
creare un percorso
di formazione innovativo, che fosse
riconosciuto con una qualifica professionale dalla Regione Lazio;
•
promuovere il dibattito ed il confronto a livello nazionale tra varie
associazioni, enti, servizi socio-sanitari ed istituzioni pubbliche che
stavano progettando percorsi formativi simili;
•
creare una struttura territoriale flessibile per l’inserimento
lavorativo rivolta ai giovani ed adulti immigrati nella Regione
Lazio;
•
promuovere questa nuova professionalità sia in Italia che all’estero.
Le azioni previste per il conseguimento degli obiettivi del Progetto Bridge
venivano così programmate:
•
preparazione dell’attività formativa con l’aiuto di esperti e professionisti
appartenenti a culture diverse da quella italiana e con un’esperienza di
immigrazione a proprio carico;
•
avvio di una ricerca utile sull’orientamento delle scelte occupazionali e
all’individuazione delle possibilità di impiego di questa nuova figura
professionale;
•
selezione dei partecipanti in seguito a bando pubblico;
•
attività di formazione suddivisa in una prima fase di 900 ore, di cui 800 in
aula e 100 di stage di orientamento, al termine della quale si svolgeva
l’esame della qualifica professionale ed una seconda fase di avviamento al
lavoro di 500 ore di stage avanzato, che prevedeva il tutoraggio, una
supervisione ed un monitoraggio costante;
•
avvio di uno sportello sperimentale in grado di fornire un servizio di
mediazione culturale;
•
organizzazione di seminari nazionali ed europei per la diffusione dei
risultati e delle prassi operative;
•
diffusione dell’iniziativa attraverso specifiche
2003: 166-168).
132
pubblicazioni (Andolfi
Il criterio fondamentale di selezione dei candidati fu quello che richiedeva al
futuro mediatore culturale di essere straniero ed immigrato. Altri criteri di selezione
erano costituiti dal livello culturale, che doveva limitarsi al minimo del diploma di
scuola media superiore, la motivazione, la conoscenza della lingua e della cultura
italiana, nonché la padronanza della lingua e cultura del paese di appartenenza. Furono
così selezionati 30 allievi, la maggior parte laureati, provenienti da vari paesi
dell’Africa, del Medio oriente, dell’Est europeo, dell’Asia e del Sud America.
La prima parte del corso si svolgeva secondo un orario giornaliero di sei ore di
presenza in aula per tre volte alla settimana, per un totale di 900 ore. Le lezioni
riguardavano il trasferimento di competenze relativamente a nove grandi argomenti:
1) processi e progetti migratori;
2) identità e sradicamento nel processo migratorio secondo un’ottica
sistemico-relazionale;
3) la mediazione culturale: illustrazione delle possibili tecniche di intervento
a seconda dei contesti;
4) medicina delle migrazioni;
5) scuola e immigrazione;
6) devianza minorile e immigrazione;
7) mediazione culturale e istituzioni;
8) aspetti legislativi dell’immigrazione;
9) organizzazione dei servizi e tecniche di gestione di impresa.
Gli stadi di apprendimento erano tre: 1) la conoscenza (sapere); 2) la competenza
sociale (saper fare); 3) le qualità personali (saper essere). La metodologia dell’intero
insegnamento utilizzata nell’intero corso prevedeva diversi strumenti formativi, allo
scopo di favorire il massimo della partecipazione attiva di ogni allievo (Andolfi 2003:
169-171).
Alle ore di lezione teoriche, sono state affiancate le esperienze di lavoro in
gruppo, le situazioni simulate, i giochi di ruolo, il genogramma personale come
strumento di analisi nei processi di continuità e separazione.
Nel corso di formazione dei mediatori culturali, il genogramma si è rivelato uno
degli strumenti formativi più efficaci dal punto di vista evolutivo di ogni allievo. Anche
133
per i docenti, oltre che per il gruppo, l’utilizzo del genogramma in questo corso di
formazione ha costituito un esperimento stimolante: ogni storia individuale, in quanto
unica, prendeva significato da altrettanti unici contesti culturali. Il senso evolutivo del
genogramma sta nel fatto che la rilettura della propria storia familiare conduce ad una
riappropriazione di elementi significativi e al recupero di una precisa memoria storica,
che può permettere all’individuo di elaborare sulla base degli elementi acquisiti, un più
autentico progetto di vita. Ogni racconto introduceva all’interno del gruppo importanti
stimoli di confronto tra gli allievi, costringendoli ad abbandonare pregiudizi, stereotipi,
nel tentativo di elaborare quel famoso “ponte” che permettesse ad ognuno di entrare in
contatto con colui o colei che raccontava la propria storia (Andolfi 2003: 171-176).
Alla parte di formazione teorica, seguiva uno stage di orientamento che
comprendeva le ultime 100 ore della prima fase dell’attività formativa, che aveva lo
scopo di far conoscere agli allievi le aree di intervento ed il funzionamento dei servizi
nei quali si sarebbe svolto lo stage vero e proprio, cioè lo stage avanzato di 500 ore.
Contemporaneamente alla partenza dello stage avanzato, parte dei fondi ad esso
destinati, venivano utilizzati per dar vita allo Sportello Bridge. Inizialmente l’attività
predominante dello Sportello era quella di organizzare i turni dei mediatori culturali nei
vari settori, facilitare il trasferimento di informazioni, organizzare le funzioni di
supervisione. In un secondo momento, lo Sportello ha assunto anche altre funzioni,
diventando un punto di riferimento importante per i coordinatori, i mediatori e gli
esterni che richiedessero interventi di mediazione culturale.
Lo stage avanzato, per un monte di 500 ore, costituiva la seconda fase dell’attività
formativa prevista dal progetto. Iniziato successivamente all’ottenimento della qualifica
professionale da parte della Regione Lazio, lo stage ha visto i 30 mediatori culturali
distribuirsi nei tre grandi settori di interesse: la sanità, la scuola, la giustizia (Andolfi
2003: 179-180).
4.4.1 IL MEDIATORE CULTURALE NELLA GIUSTIZIA
Lo stage nel settore della giustizia si è svolto presso un istituto penitenziario per adulti e
presso il carcere minorile di Roma (Andolfi 2003: 187).
134
Le attività dei mediatori culturali all’interno del penitenziario per adulti si
possono suddividere in 3 grandi aree:
1) attività svolte con gli educatori e con altri operatori interni. Tali attività
comprendevano il continuo aggiornamento ed informazione sul ruolo,
funzione e aree di intervento del mediatore culturale, lo scambio di
informazione su alcuni aspetti culturali dei detenuti stranieri, la
discussione di casi specifici relativamente ai programmi alternativi alla
detenzione;
2) attività svolte con associazioni ed enti esterni operanti anch’essi
nell’istituto. Lo scopo era quello di creare un sistema di rete di riferimento
per il detenuto straniero, nel progettare percorsi di reinserimento sociale o
di ritorno nel proprio paese di origine;
3) attività svolte con i detenuti. Lo scopo in questo caso era informare ed
orientare il detenuto straniero sul regolamento penitenziario, stimolarlo a
partecipare alle diverse attività organizzate all’interno dell’istituto,
facilitare il rapporto con l’educatore e con gli altri operatori della struttura,
accogliere all’interno di uno specifico reparto i nuovi arrivati.
La necessità di mediazione culturale sembra essere tanto più importante quanto
più è rigida la cultura dominante del contesto. In un posto in cui “la legge è uguale per
tutti e quindi tutti sono uguali di fronte alla legge”, il bisogno di sentirsi riconosciuti
nelle proprie diversità diventa più pressante per potersi sentire una persona (Andolfi
2003: 187-188).
4.5
CORSO
DI
FORMAZIONE
PROFESSIONALE
PER
MEDIATORI
INTERCULTURALI DELLA PROVINCIA AUTONOMA DI BOLZANO
Il termine mediatore culturale adottato dal percorso formativo realizzato dalla Provincia
Autonoma di Bolzano risulta prossimo alle funzioni tipiche dell’operatore
dell’integrazione sociale dei cittadini stranieri e quindi a quelle competenze che
rientrano nel campo dell’animazione interculturale (Aluffi Pentini 2004: 29).
135
L’ambito di intervento della mediazione interculturale, nel modello proposto dalla
provincia di Bolzano, rimane circoscritto alla relazione tra utente straniero e operatore
di un servizio pubblico o privato.
La Delibera della Giunta Provinciale di Bolzano, che ha riconosciuto la qualifica
professionale di mediatore/trice interculturale, dà particolare rilevanza alle funzioni
derivate dall’attività di interpretariato, collocando al centro della comunicazione
interculturale la conoscenza delle lingue: in primo luogo la lingua madre e poi l’italiano
o il tedesco.
Tre principi stanno alla base del modello formativo proposto dalla provincia di
Bolzano:
1) i mediatori devono essere preferibilmente originari di un paese straniero o
di una cultura straniera e devono aver vissuto direttamente o
indirettamente il processo di integrazione;
2) essi si inseriscono nella relazione tra utente straniero e operatore di un
servizio pubblico o privato;
3) devono essere degli intermediari delle relazioni interculturali, nel senso
che essi, pur essendo nel mezzo e all’interno della relazione, non devono
perdere di vista la necessità di rispettare l’autonomia delle parti al fine di
garantirne la riservatezza del loro colloquio e la promozione del dialogo e
del confronto (Aluffi Pentini 2004: 31-32).
4.5.1 LA STRUTTURA DEL CORSO FORMATIVO
Attraverso l’analisi del lavoro dei mediatori interculturali operanti sul territorio
nazionale e degli operatori del settore, è stato definito il profilo professionale, le
competenze trasversali e quelle professionali di tipo interculturale e al tempo stesso
sono state circoscritte e definite le aree formative sulle quali costruire e indirizzare
l’intero percorso formativo (Aluffi Pentini 2004: 33).
Il corso di formazione, sulla base delle indicazioni formulate dall’Organismo
Nazionale di Coordinamento per le politiche di integrazione sociale degli stranieri del
Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro che ne ha concesso il patrocinio,
136
prevede 800 ore complessive di lezioni, 500 di teoria e 300 di stage e tirocini
applicativi.
Le 500 ore di teoria, progettazione, esercitazioni applicative e di formazione in
aula e sul territorio sono state indirizzate a 4 specifiche aree formative:
1) 296 ore di formazione comune alla consulenza, progettazione e
animazione interculturale;
2) 104 ore di autoformazione relative alle conoscenze dell’italiano, tedesco e
del linguaggio informatico;
3) 100 ore di formazione specifica professionalizzante, in una delle aree di
specializzazione della mediazione interculturale scelta dai corsisti tra le
seguenti:
•
Area educativo-culturale;
•
Area giuridico-amministrativo;
•
Area socio-sanitaria;
•
Area formativa-del lavoro
4) 35 ore di azioni di sviluppo dell’associazionismo per la costituzione di
un’azienda di servizi della mediazione.
Le 300 ore di stage sono da realizzarsi secondo le seguenti modalità:
a) 100 ore di stage di orientamento da svolgere nelle strutture locali, al fine
di orientare il corsista a scegliere l’area di specializzazione in cui
indirizzare l’approfondimento della mediazione interculturale;
b) 50 ore di stage di approfondimento, successive alla scelta dell’area di
specializzazione, da svolgersi in strutture italiane ed estere per conoscere e
approfondire l’attività dei mediatori interculturali;
c) 150 ore di stage da realizzarsi nella forma di tirocinio applicativo del
project
work
realizzato
durante
la
formazione
specifica
e
professionalizzante, da svolgersi nelle strutture e servizi esistenti sul
territorio provinciale (Aluffi Pentini 2004: 33-34).
4.5.2 REQUISITI DI ACCESSO, SELEZIONE DEI CANDIDATI E PROVE DI
ESAME DI QUALIFICA
137
Requisiti di accesso, selezione dei candidati, struttura del corso e prove di esame di
qualifica professionale sono definite dalla Deliberazione della Giunta Regionale n.
4266/2001, che ha riconosciuto per la provincia di Bolzano la qualifica professionale
(Aluffi Pentini 2004: 34).
Per quanto riguarda i requisiti di accesso, il corso di formazione per il
conseguimento della qualifica di mediatore interculturale della provincia di Bolzano è
stato indirizzato soprattutto a cittadini stranieri in possesso del permesso di soggiorno e
dei seguenti requisiti che devono essere posseduti all’atto di iscrizione:
•
compimento dei 25 anni di età;
•
frequenza di un ciclo scolastico-formativo di almeno 12 anni;
•
ottimo livello di conoscenza della lingua madre o lingua veicolare scelta ai
fini della mediazione;
•
conoscenza della lingua italiana e di quella tedesca;
•
almeno due anni di residenza sul territorio della provincia di Bolzano Alto
Adige;
•
adeguata motivazione a sviluppare relazioni tra cittadini stranieri ed Enti
pubblici e privati, Amministrazioni provinciali e comunali e attitudine a
lavorare in équipe e in team di progetto.
Per l’ammissione al corso è prevista una selezione articolata nelle seguenti 4
prove:
1) test per l’accertamento del livello di conoscenza della lingua madre o
lingua veicolare scelta ai fini della mediazione, che costituisce prova di
sbarramento;
2) test per l’accertamento del livello di conoscenza della lingua italiana;
3) test per l’accertamento del livello di conoscenza della lingua tedesca;
4) colloquio motivazionale.
In relazione alle prove d’esame di qualifica professionale, la Deliberazione della
G.P. n. 4266/2001, stabilisce che, ai fini del conseguimento della qualifica professionale
138
di Mediazione interculturale, è necessario superare positivamente l’esame di qualifica
composto da una prova scritta e un colloquio orale.
Durante la prova orale, il candidato dovrà presentare anche la tesi di qualifica
professionale, che costituisce sia sintesi che valutazione del project work e del tirocinio
applicativo, le relazioni delle esperienze di stage e di tirocinio ed eventuali lavori
individuali o di gruppo svolti nel corso del periodo formativo (Aluffi Pentini 2004: 3839).
4.6 LA MEDIAZIONE E GLI ASPETTI DI SICUREZZA: LA REALTÀ DI
BOLOGNA
Il tema del mediatore linguistico-culturale inserito nella sicurezza si presenta molto
ampio oltre che estremamente variegato.
Innanzitutto occorre precisare che, all’interno degli Uffici investigativi, non è
prevista istituzionalmente la figura del mediatore culturale. Inoltre, essa non la
ritroviamo attualmente neanche all’interno degli Uffici Immigrazione delle Questure,
dove, invece, sono presenti gli interpreti (Maffei 2009: 118)9.
Pur non essendo normativamente formalizzata, almeno a livello nazionale, una
definizione del mediatore culturale, appare evidente che la qualità richiesta al mediatore
sia la capacità comunicativa, capacità che, sul piano della sicurezza si traduce, qualora
la vicenda riguardi un particolare contesto culturale, nel costruttivo rapporto di fiducia
con le vittime del reato, con eventuali testi e anche, in certe particolari circostanze, con
lo stesso indagato, il che può permettere sia la giusta configurazione dei fatti sia la
prevenzione di ulteriori delitti.
Pertanto, l’attività del mediatore culturale non si deve limitare alla semplice
intermediazione linguistica, ma deve consistere nella creazione di un contatto attraverso
iniziative adatte alla provenienza, all’età ed alle caratteristiche delle persone.
Le principali tipologie di reato di interesse alle tematiche del mediatore culturale
sono: 1) lo sfruttamento della prostituzione e reati connessi; 2) tratta di esseri umani; 3)
9
“La mediazione linguistico-culturale e aspetti di sicurezza”. Relazione a cura della Dott.ssa Fiorenza
Maffei, Vice Questore aggiunto della Polizia di Stato, Bologna. Atti di Convegno Ceslic; 2 “LA
GEOGRAFIA DELLA MEDIAZIONE LINGUISTICO-CULTURALE” a cura di Donna R. Miller e Ana
Pano. Bologna: 2009.
139
sfruttamento lavorativo, trapianti di organi e costrizione al matrimonio; 4) violazione
degli obblighi scolastici.
Per quanto riguarda il primo punto, in Italia, all’inizio degli anni Novanta si è
verificata una radicale trasformazione nel mercato della prostituzione: sulle strade le
donne di nazionalità straniera hanno preso il posto delle italiane, soprattutto in seguito
all’ondata di immigrazione dall’Albania. La figura del mediatore culturale all’inizio
degli anni ’90, non era oggetto di attenzione né da un punto di vista assistenziale, né da
quello della sicurezza.
All’inizio del nuovo millennio, la rete di prostituzione delle donne provenienti dai
Paesi dell’Est ha incrementato il mercato illegale: accanto agli sfruttatori albanesi sono
comparsi, quali rivali, ma anche, in certi casi, quali complici, i rumeni, i serbi, i moldavi
e i bulgari, costituendo alcuni gruppi multiculturali. Nell’ambito di ciascun gruppo, tra
le ragazze avviate alla prostituzione, una di esse svolge un’azione di controllo e spesso è
proprio questa presenza costante a rendere ancora più complicato per una donna la
richiesta di aiuto.
Ancora costante appare la rete criminale nigeriana: la modalità di reclutamento
delle donne in Patria, come in passato, rimane nell’ambito delle relazioni intrecciate
dagli sfruttatori con la famiglia stessa della vittima. Spesso la famiglia sacrifica la figlia
primogenita al mercato del sesso in Europa, per ricavarne un vantaggio economico.
Questi dati ci aiutano a capire come il mediatore culturale possa svolgere una
funzione essenziale nei confronti delle vittime: fornire loro il supporto più adeguato
affinché le stesse prendano coscienza della loro condizione e soprattutto del fatto che
nessuna condizione personale, familiare e/o culturale possa giustificare la commissione
dei reati ai loro danni.
È utile, infine, ricordare come spesso i reati in tema di prostituzione siano
collegati ad altri gravi delitti, quali il traffico di stupefacenti e ai fenomeni criminali
legati all’immigrazione clandestina e la mafia o la ‘ndrangheta (Maffei 2009: 119-121).
Per quanto riguarda il secondo punto, si tratta di un reato ancora più grave rispetto
ai precedenti. La tratta di esseri umani è punita dagli articoli 600-602 del Codice Penale.
Si tratta del fenomeno del traffico di migranti, causa principale dell’incremento della
criminalità imputabile agli stranieri, spesso vittime di reclutamento, utilizzo e
sfruttamento ad opera di organizzazioni criminali.
140
La posizione geografica dell’Italia è particolarmente vulnerabile e, di
conseguenza, il nostro Paese è esposto alle rotte del traffico illegale di migranti. Il ruolo
del mediatore in questo caso, ha come scopo principale, la tutela della vittima dai
potenziali trafficanti/sfruttatori.
Per quanto riguarda il terzo punto, molteplici sono le tipologie di reato per la cui
repressione potrebbe risultare determinante l’ausilio del mediatore culturale: lo
sfruttamento lavorativo, il trapianto di organi, la costrizione al matrimonio ed ogni altra
situazione di conflitto all’interno della famiglia immigrata o del gruppo di immigrati,
che derivano da codici e norme culturali e religiose, che, secondo la normativa italiana,
possono integrare vere e proprie ipotesi di reato.
Infine, per quanto riguarda il quarto punto, uno dei luoghi dove può essere
esercitata la funzione di mediazione è certamente la scuola. Dal punto di vista penale
appare rilevante la violazione degli obblighi scolastici in cui incorrono ripetutamente
genitori immigrati a danno dei minori. Si tratta in gran parte di situazioni già seguite dai
Servizi Sociali. Potrebbe, quindi, risultare efficace un contatto ancora più stretto con gli
operatori di detti servizi, che, avvalendosi dell’opera di un mediatore, potrebbero mirare
alla risoluzione del problema (Maffei 2009: 121-123).
4.6.1 LA POSIZIONE ATTUALE DEL MEDIATORE NELLA REGIONE EMILIA
ROMAGNA
Il mediatore culturale è una figura professionale ancora indefinita. Come già espresso al
paragrafo 4.1, la normativa nazionale ne ha riconosciuto l’esistenza e la funzione solo
con la legge del 6 marzo 1998 n. 40 “Disciplina dell’immigrazione e norme sulla
condizione dello straniero”, meglio conosciuta come legge Turco-Napolitano, recepita
nel D.L.S. 25 luglio 1998, n. 286
“Testo Unico delle disposizioni concernenti la
disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero", in cui si fa
riferimento al mediatore culturale attribuendogli un ruolo attivo nell’integrazione
sociale delle minoranze, senza, però, scendere ulteriormente nel dettaglio (Maffei 2009:
124).
Successivamente, la legge n. 189 del 2000, meglio conosciuta come legge BossiFini, ha modificato la normativa sull’immigrazione, senza, però, citare la mediazione.
141
La legge 228 del 2003, infine, all’articolo 13 prevede forme di “assistenzialismo”
senza far riferimento a specifiche ipotesi di reato; sostiene infatti che i percorsi di tutela
e assistenza possono essere rivolti a vittime dei reati in materia di prostituzione, ma
anche alle vittime di tutti i reati previsti dall’art. 380 c.p.p., ovvero quelli più gravi per
cui è previsto l’arresto obbligatorio in flagranza (riguardanti armi, droga, terrorismo,
ecc.) e alle vittime dei reati di riduzione in schiavitù e tratta di persone ai sensi degli
articoli 600 e 601 c.p.p.
Al di là della normativa, la mediazione culturale si è sviluppata in modo
inevitabile nell’ambito degli Enti locali. Alcune Regioni, ad esempio, si sono spesso
attivate non solo con iniziative specifiche nel settore, ma anche da un punto di vista
normativo.
Prendiamo il caso della Regione Emilia Romagna con Legge n. 5 del 24 marzo
2004, dove all’art. 17 comma e) ha previsto il consolidamento delle competenze del
mediatore socio-culturale, cercando di valorizzarne la specifica professionalità. In
seguito, la Giunta Regionale Emilia Romagna con delibera n. 1576 del 30 luglio 2004
ha emanato le prime 125 disposizioni inerenti la figura professionale del “Mediatore
Interculturale”.
In tale delibera, quando si fa riferimento agli ambiti di operatività del mediatore
culturale, si cita anche il settore giudiziario, accanto ai servizi sociali, scolastici e
sanitari (Maffei 2009: 124-125).
È ancora una volta evidente come il rapporto servizi sociali/servizi deputati alla
sicurezza trovi il suo nodo centrale nel mediatore culturale, che, però, nella realtà
bolognese, non è ancora presente all’interno degli uffici della Polizia di Stato.
Rimanendo sempre in territorio emiliano, attualmente la figura del mediatore
culturale trova la sua applicazione nelle problematiche attinenti la sicurezza attraverso
tre tipi di situazioni: 1) la presenza di tale figura presso alcuni Uffici di Polizia di
Frontiera Marittima; 2) in alcuni casi gli Uffici della Polizia di Stato, in cui il mediatore
culturale non è previsto, in caso di necessità, si avvalgono dell’opera dei mediatori
culturali messi a disposizione dagli Enti Locali, principalmente dai Comuni; 3) gli stessi
Enti Locali in alcuni casi si trovano ad operare nel settore della sicurezza, collaborando
con gli organi dello Stato, oppure in via esclusiva (nel momento in cui personale della
142
Polizia Municipale opera il controllo dei documenti di una persona già si occupa di
sicurezza).
A conclusione del suo intervento, la Dott.ssa Maffei sostiene che sarebbe
auspicabile l’inserimento del mediatore linguistico-culturale innanzitutto all’interno
degli Uffici di polizia di tipo amministrativo, ovvero gli Uffici Immigrazione istituiti
presso le Questure, ove il mediatore culturale potrebbe e dovrebbe essere inserito a
pieno titolo, come avviene per gli interpreti.
Inoltre il mediatore, che svolge servizi di tipo assistenziale nei confronti
dell’immigrato che entra in contatto con l’Ufficio di Polizia, potrebbe essere utilizzato
anche nell’ambito delle indagini, dagli Uffici Investigativi.
Infine, si potrebbe giungere all’inserimento di tale figura direttamente presso le
Squadre Mobili per svolgere la sua attività esclusivamente al fianco degli investigatori
(Maffei 2009: 126-129).
4.7 I CORSI UNIVERSITARI
Una prima distinzione va fatta relativamente ai destinatari dei corsi di laurea, che si
differenziano nettamente da quelli dei percorsi formativi realizzati a cura di
associazioni, provincie, regioni. Le università, infatti, accolgono studenti secondo le
disposizioni di legge, comprendendo persone italiane e straniere, quindi, anche senza
esperienza migratoria o acquisizione di una doppia appartenenza linguistica e culturale
(Fumagalli 2004: 66).
Per quanto riguarda gli obiettivi formativi specifici possiamo osservare che, pur
variando a seconda della facoltà di riferimento, possiedono alcune caratteristiche
comuni. Per esempio, i corsi afferenti alle facoltà di Lettere e Filosofia, Scienze
Politiche, Scienze della Formazione Primaria comprendono i seguenti obiettivi:
• possedere competenze linguistico-tecniche orali e scritte;
• possedere un’adeguata preparazione generale in campo economico, giuridico,
storico-politico, socio-antropologico e letterario;
• acquisire buone conoscenze negli ambiti specifici di attività (istituzioni ed
imprese);
• saper utilizzare strumenti per la comunicazione e gestione dell’informazione;
143
• essere in grado di curare rapporti a livello internazionale, interpersonale e di
impresa;
• operare con autonomia organizzativa.
I principali corsi di laurea sono:
•
Roma La Sapienza: corso di laurea in Mediazione linguistico-culturale.
Facoltà di Lettere e Filosofia. Data di attivazione 7/03/2001;
•
Roma Maria SS. Assunta: corso di laurea in Scienze dell’educazione.
Esperti nella mediazione interculturale. Facoltà di Scienze della
formazione. Data di attivazione 1/10/2001;
•
Milano Statale: corso di laurea in Mediazione linguistica e culturale
(applicata all’ambito economico, giuridico e sociale). Facoltà di Scienze
politiche/Lettere e Filosofia. Data di attivazione 1/10/2001;
•
L’Aquila: corso di laurea in Mediazione linguistica e comunicazione
interculturale. Facoltà di Lettere e Filosofia. Data di attivazione 1/10/2001;
•
Padova: corso di laurea in Discipline della mediazione linguistica e
culturale. Facoltà di Lettere e Filosofia/Scienze Politiche. Data di
attivazione 1/10/2001;
•
Ferrara: corso di laurea in Scienze dell’educazione mediazione
interculturale. Facoltà di Lettere e Filosofia. Data di attivazione 1/10/2001;
•
Udine: corso di laurea in Mediazione culturale. Lingue dell’Europa
centrale e orientale. Facoltà di Lingue e letterature straniere. Data di
attivazione 1/10/2001;
•
Siena (sede di Arezzo): corso di laurea in Lingue moderne: mediazione
linguistica e interculturale. Facoltà di Lettere e Filosofia. Data di
attivazione 1/10/2001;
•
Siena Università per stranieri: corso di laurea in Mediazione linguistica e
culturale nei fenomeni migratori. Facoltà di Lingua e cultura italiana. Data
di attivazione 8/10/2001;
144
•
Milano Università Cattolica del Sacro Cuore: corso di laurea in Esperto
linguistico per la mediazione interculturale. Facoltà di Scienze linguistiche
e letterature straniere. Data di attivazione 15/10/2001.
Gli ambiti occupazionali prospettati riguardano il campo dei rapporti
internazionali, della ricerca documentale, della redazione di testi in lingua, delle aziende
pubbliche e private nei settori della gestione del personale, della comunicazione, della
gestione dei problemi linguistici e culturali degli immigrati stranieri, dell’assistenza nei
rapporti tra enti istituzionali o agenzie sociali con immigrati (Fumagalli 2004: 65-67).
Gli obiettivi specifici e gli ambiti occupazionali non sembrano però collegarsi con
i relativi piani di studio, che mutano a seconda dell’indirizzo di facoltà, ma mantengono
elementi comuni. Viene dedicato pochissimo spazio al tirocinio e non vengono citati
momenti per la rielaborazione e la riflessione sull’operatività, non vi sono discipline che
contemplino la storia e la riflessione sul concetto di mediazione, così come non
vengono evidenziate docenze relative al quadro normativo, organizzativo, metodologico
dei servizi.
Le università offrono anche altre occasioni di formazione sulla mediazione
linguistico-culturale, ovvero master e corsi di perfezionamento ed aggiornamento, che
vanno nella direzione di permettere un miglior approfondimento della tematica. Tra
questi i più importanti sono:
•
Roma La Sapienza: Mediazione linguistico-culturale. Master di II livello
(1.500 ore, 60 cfu);
•
Roma Tre: Politiche dell’incontro e mediazione culturale. Pratica dei
saperi e dei diritti per una nuova cittadinanza in un contesto migratorio.
Master di II livello (1.500 ore, 60 cfu);
•
Milano Università Cattolica: Master in Formazione interculturale (1.500
ore, 60 cfu);
•
Università di Padova: Master in sudi interculturali di I livello (404 ore +
100 ore di stage);
•
Università di Torino: Corso di perfezionamento in comunicazione e
mediazione interculturale (138 ore + 16 ore di esercitazioni pratiche + 20
ore di tirocinio);
145
•
Università di Verona: Corso di perfezionamento e aggiornamento
professionale in mediazione culturale (140 ore, 15 cfu).
Possiamo riassumere le differenze dei corsi organizzati da enti ed associazioni con
quelli istituiti dalle università, attraverso una loro comparazione.
Destinatari
Corsi di enti/associazioni
Corsi universitari
In maggioranza cittadini stranieri
I criteri di accesso sono quelli
relativi
all’ordinamento
universitario
Durata
La maggior parte si attesta sopra
Durata di corso universitario
le 500 ore
Contenuti e materie prevalenti
La
mediazione:
teoria
ed
Lingua e letteratura italiana;
esperienza;
Lingue di studio e culture di
Area della comunicazione;
alcuni paesi;
Area antropologica;
Principi di linguistica generale e
Area sociologica;
applicata;
Pedagogia interculturale;
Mediazione
Quadro legislativo italiano;
verso le lingue di studio;
Organizzazione
Discipline economiche;
dei
servizi
linguistica
da
e
sociali, sanitari, educativi;
Discipline giuridiche, storiche,
Ruolo e funzione dei mediatori.
sociologiche e geografiche.
I corsi si distinguono in:
Solo in alcuni corsi:
a) corsi base;
b) moduli
Discipline
di
pedagogiche
e
psicologiche;
approfondimento
Discipline
(relativi a servizi o
antropologiche,
tematiche specifiche)
sociologiche;
Discipline
demo-etnopolitiche
e
pedagogiche
e
metodologico-didattiche
Tirocinio
Previsto nella maggioranza dei
Dove previsto, viene compreso
corsi, in percentuale significativa
nelle “altre attività formative”
rispetto alla parte teorica
146
Nell’orientarsi nel vasto mondo della formazione sulla mediazione, qualunque sia
il percorso scelto, bisogna tener presente che la necessità della formazione interculturale
vale per tutti gli operatori dei servizi e quindi va collocata trasversalmente ai diversi
percorsi di studio delle professioni educative, sociali e sanitarie.
Infine, sarebbe importante effettuare percorsi congiunti (operatori-mediatori),
volti all’apprendimento di teorie e modalità condivise di lavoro (Fumagalli 2004: 6870).
CAPITOLO V
L’INTERPRETAZIONE PER I SERVIZI PUBBLICI IN SPAGNA
5.1 L’INTERPRETAZIONE SOCIALE IN SPAGNA
L’interpretazione “per la comunità” o “sociale” è molto antica, ma poco studiata e
gode di scarsa considerazione in molti paesi europei, oltre ad essere una professione
poco remunerata (Martin 2000: 207).
Secondo Martin, in Spagna si dedica molta attenzione alla questione della
mancanza di riconoscimento della professione, al ricorso ad interpreti non
professionisti, alla impossibilità di proteggere e difendere i diritti delle comunità
svantaggiate a causa di un servizio di interpretariato inadeguato, alla polemica sul ruolo
dell’interprete e al grado di coinvolgimento dello stesso nella situazione comunicativa.
Con il termine interpretazione “sociale” o “per la comunità” in Spagna ci si
riferisce a quella interpretazione che si realizza in ambito sanitario, educativo, dei
servizi sociali e assistenziali. Risponde cioè ad una necessità sociale di una comunità di
immigrati o di persone che, per varie ragioni, non parlano la lingua della maggioranza e
di conseguenza sono svantaggiate nell’accesso ai servizi pubblici (Martin 2000: 208).
Tra i servizi a cui si riferisce l’interpretazione sociale non figura l’interpretazione
presso il tribunale, che costituisce in Spagna un caso a parte. Infatti, come ci ricorda
Martin, l’interprete sociale e l’interprete di tribunale sono due figure distinte.
La definizione di interpretazione sociale non è condivisa da molti studiosi del
settore e ciò spiega l’inesistenza di pubblicazioni sul tema in Spagna.
147
In particolare, la definizione inglese di “public service interpreting” o nel Nord
America di
“community interpreting” si scontra con il gallicismo “interpretazione
sociale” (Martin 2000: 208-209).
5.1.2 L’INTERPRETAZIONE PER I SERVIZI PUBBLICI
La realtà sociale di molti paesi del mondo occidentale, tra cui la Spagna, sembra essere
in costante mutamento. La Spagna per esempio non è più un paese di emigrazione, ma
di immigrazione (Valero Garcés 2006: 35).
Da un punto di vista strettamente linguistico, gli immigrati portano con sé la
propria cultura e/o lingua diversa, che in molti casi limitano la comunicazione
interlinguistica ed esigono soluzioni diverse.
Secondo Valero Garcés, tale situazione pone una serie di sfide a cui è necessario
dare riposte efficaci ed in tempi breve per garantire una convivenza tra i popoli
equilibrata. Molti immigrati, rifugiati o clandestini hanno come unico bagaglio la
propria cultura, sconosciuta agli abitanti del paese d’accoglienza. I vari governi e la
società stessa tentano di risolvere questi problemi attraverso provvedimenti legali, in
ambito lavorativo, sociali o semplicemente di convivenza (Valero Garcés 2006: 35-36).
La conoscenza della lingua del paese ospite degli immigrati è scarsa o limitata e
così si trovano a far fronte da soli a contesti in cui l’uso della lingua è indispensabile
(ospedali, scuola, commissariati di polizia, ecc.)
In alcuni casi, in Spagna, i governi locali o le istituzioni pubbliche forniscono
strumenti per agevolare la comunicazione o utilizzando risorse interne o affidandosi ad
organizzazioni non governative. Nel caso in cui lo Stato o le istituzioni non forniscano
tali strumenti, la popolazione straniera o le organizzazioni e/o le persone che la aiutano,
cercano degli intermediari tra i conoscenti, i parenti, gli amici e soprattutto tra le nuove
generazioni poiché, come è noto, apprendono più facilmente la lingua del posto.
In Spagna ci dice l’autrice sono proprio le ONGs a fornire aiuto agli immigrati e
ai rifugiati proponendosi quali “consulenti” in ambito giudiziario, sociale, lavorativo,
giuridico, linguistico, attraverso liste di personale, spesso volontario, al quale ricorrere
(Valero Garcés 2006: 36).
148
Sul terreno linguistico, in tutti i paesi, vi sono delle figure ufficiali quali il
traduttore giurato o il traduttore del Ministero dell’Interno o, nel caso della Spagna, del
Ministero di Giustizia.
Tuttavia, le lingue utilizzate nel loro lavoro sono spesso lontane dalle effettive
necessità della popolazione straniera. Succede inoltre che, la nuova popolazione utilizzi
anche dei dialetti, il che rende ancora più complessa la situazione nei confronti del
governo e della società spagnola, poco abituati a prestare attenzione ai problemi sociali
del multiculturalismo.
Una delle conseguenze più evidenti di ciò è la disponibilità nei servizi pubblici di
interpreti e traduttori che parlano lingue fino a poco tempo fa sconosciute in Spagna
(Valero Garcés 2006: 36).
Secondo Valero Garcés, la traduzione e l’interpretazione risulta condizionata dai
seguenti elementi:
1) La mancanza di una formazione adeguata e di conoscenze sull’etica
professionale e della terminologia specialistica da parte di molti interpreti;
2) Le procedure, a volte poco adeguate, utilizzate dagli uffici dei servizi
pubblici per reclutare gli interpreti;
3) La mancanza di direttrici chiare sulla condotta di questi interpreti;
4) La realizzazione di “cattive” traduzioni o interpretazioni “difettose”che
possono danneggiare le minoranze nella tutela dei propri diritti.
La traduzione o interpretazione per i servizi pubblici (T&ISSPP) in Spagna come
in altri paesi del sud d’Europa e a differenza di altri paesi come Svezia, Regno Unito,
Australia, Canada, Stati Uniti non è ancora professionalizzata ed è quasi ignorata
(Valero Garcés 2006: 36-37).
5.2 IL PROBLEMA DELLE DEFINIZIONI
Valero Garcés sostiene che anche per la Spagna, uno dei maggiori problemi in questo
ambito è quello delle definizioni e della delimitazione del campo d’azione. Il problema
si ripercuote anche sull’accettazione di una definizione condivisa. Nella lingua inglese
troviamo
numerose
definizioni
per
identificare
149
questa
attività:
“Community
Interpreting”, “Liason Interpreting”, “Interpreting in Social Services”, “Dialogue
Interpreting” o anche denominazioni specifiche relazionate con il campo d’azione:
“Health Care Interpreter”, “Intercultural Health Mediator”, “Cultural Interpreters”,
“Community Interpreters”, “Legal Interpreters”, ecc. (Valero Garcés 2006: 37).
Oggi in Spagna non esiste alcuna denominazione specifica, sebbene l’ Università
di Alcalá riconosce il titolo di Traduttore e Interprete per i Servizi Pubblici e gli unici
due congressi internazionali organizzati in Spagna sono denominati T&ISSPP.
Per quanto riguarda il campo d’azione, questo tipo di interpretazione e, per
estensione di traduzione, è una delle prime forme di interpretazione, risale infatti al
tempo dei contatti tra romani e iberici o al tempo della dominazione spagnola in
America.
Si tratta cioè di una forma di comunicazione che occorre in qualsiasi società
multiculturale, in cui popoli di lingua diversa si trovano ad interagire fra di loro e per far
ciò ricorrono all’ausilio di un intermediario che conosca entrambe le lingue. Nonostante
l’esistenza secolare di questa attività, non vi è un accordo generalizzato sulla
delimitazione del campo d’azione (Valero Garcés 2006: 38).
Secondo Wadensjö (1998:33), T&ISSPP si riferisce ad un tipo di interpretazione
che si svolge nell’ambito dei servizi pubblici per facilitare la comunicazione tra
operatore del servizio e utente: nei commissariati di polizia, uffici per gli immigrati,
centri di assistenza sociale, centri di assistenza sanitaria, scuole o servizi simili.
Mentre Wadensjö limita il campo d’azione ai rapporti che gli abitanti di una
nazione hanno con le istituzioni ufficiali,
Mikkelson (1996: 126) propone una
definizione molto più ampia e considera la T&ISSPP un’ attività che permette a persone
che non parlano la/le lingua/e ufficiali del paese di comunicare con i fornitori dei servizi
pubblici, al fine di garantire un accesso paritario ai servizi legali, sanitari, educativi,
ufficiali e sociali (Valero Garcés 2006: 38).
Su questa stessa linea, vi sono altre correnti di pensiero che enfatizzano le
disuguaglianza che vi sono tra i due gruppi. Si tratta di stabilire la comunicazione con
un pubblico specifico, che appartiene ad una minoranza culturale e/o linguistica, che
possiede un livello educativo generalmente inferiore e che spesso non conosce la nuova
realtà sociale del paese ospite.
150
Come sostiene Valero Garcés, la T&SSPP è un mezzo per conseguire un fine,
quello di offrire alla comunità straniera le informazioni e i mezzi necessari per
sviluppare abilità comunicative. E’ un intento di equilibrare le relazioni di potere tra
l’emittente (autorità) e il destinatario (immigrato), i quali hanno come priorità la
comunicazione (Valero Garcés 2006: 39).
Non esiste una società omogenea e i traduttori devono mostrarsi sensibili alle
necessità dei vari gruppi presenti nella società. La delimitazione del loro campo
d’azione è un lavoro complesso e di difficile soluzione, come dimostrano le ricerche
scientifiche e le crescenti pubblicazioni basate sull’analisi discorsiva dell’interprete o di
testi tradotti per una comunità specifica (Berk-Seligson 1990; Roy 1992; Wädensjö
1992; Englund-Dimitrova 1997; Valero 2003b; Morelli 2005).
In questi lavori, sostiene l’autrice, il traduttore/interprete non svolge solo una
funzione linguistica, ma svolge anche una funzione di coordinamento, mediazione o
negoziazione di significati culturali o sociali.
Il problema consiste nello stabilire un limite preciso al suo intervento. Ciò ha dato
vita a differenti concezioni filosofiche e pratiche che vanno dalla pura funzione di
traduzione linguistica, alla mediazione (advocacy) o difesa “attiva” dell’utente
appartenente alla minoranza (Valero Garcés 2006: 39).
Al di là della mancanza di accordo, vi è un interesse crescente per questo tipo di
traduzione/interpretazione nei paesi in cui non vi si è prestata ancora molta attenzione,
ovvero i paesi del sud Europa e ciò a seguito dell’immigrazione massiccia e intensa di
immigrati di lingue e culture diverse.
Ma anche in quelli che tradizionalmente vi hanno dedicato molta attenzione,
ovvero Stati Uniti, Canada, Australia o Svezia si stanno sviluppando nuovi programmi e
sistemi di accreditamento più conformi alla realtà sociale del momento (Valero Garcés
2006: 40).
Pöcchacker (2002: 125-140) fa una descrizione precisa dei limiti di questa attività
che Valero Garcés definisce “imprecisa”: si tratta di una attività che non può limitarsi né
ad istituzioni specifiche, né a lingue particolari o gruppi culturali.
A loro volta, i rappresentanti dei servizi legali, sanitari, sociali, educativi o
religiosi di una società, possono avere la necessità di lavorare con sordi, popolazioni
indigene, o gruppi specifici di immigrati. È questa grande varietà di situazioni
151
istituzionali e culturali che rende molto complessa la T&ISSPP ed impossibile una sua
definizione univoca.
Da qui la tendenza ad offrire definizioni per gruppi o aree specifiche, poiché,
usando le parole di Valero Garcés è sempre più difficile mantenere “l’unità nella
diversità” (Valero Garcés 2006: 40-41).
Per quanto riguarda l’area di ricerca in Spagna, la celebrazione nel febbraio del
2005 del primo congresso internazionale di T&ISSPP e la pubblicazione di articoli e
libri tra cui “Traducción e Interpretación en los Servicios Públicos. Contextualización,
actualidad y futuro”di Valero Garcés costituiscono un progresso importante in questo
settore (Valero Garcés 2006: 66).
5.3 I LIMITI DEL RUOLO DELL’INTERPRETE SOCIALE
Il ruolo dell’interprete sociale è generalmente definito da un insieme complesso di
considerazioni che include le percezioni di tutti i partecipanti nell’interazione
comunicativa, l’appartenenza dell’interprete ad una delle comunità etniche o culturali
rappresentate, la pressione derivante dal fatto che il risultato dell’interazione può essere
determinante per una delle parti coinvolte, così come l’evidente disequilibrio di potere
(Martin-Abril Martí 2002: 55).
Martin e Abril Martí precisano che la confusione sul ruolo dell’interprete sociale è
strettamente legata all’origine e al contesto della interpretazione sociale (IS). Si tratta di
un’attività che nasce per volontà delle istituzioni. La loro preoccupazione principale è
l’attenzione agli utenti e i problemi di comunicazione sono parte accessoria di un
problema più globale. Per tale motivo, le diverse soluzioni adottate dalle istituzioni
hanno generalmente come obiettivo risolvere globalmente un problema più ampio che
quello della comunicazione.
Sebbene il ruolo dell’interprete sia un tema trasversale, in quei paesi con un
maggior sviluppo della professionalizzazione, viene riconosciuta l’esistenza del tema e
viene incluso come oggetto di specificazione nei codici deontologici e durante la
formazione degli interpreti. Tuttavia, nei paesi in cui tale attività ancora non è stata
professionalizzata come in Spagna, vi è poca riflessione sul tema (Martin-Abril Martí
2002: 56)
152
Frequentemente gli utenti hanno aspettative erronee o irreali dei limiti del ruolo
dell’interprete. All’interprete si chiede spesso di svolgere compiti che non gli
competono, quali la raccolta di informazioni, o dare di opinioni su quanto espresso da
parte dell’utente appartenente al gruppo minoritario, assegnandogli/le anche il compito
di aiutante.
Lo svolgimento di tali attività può compromettere la sua neutralità. Secondo molti
autori, l’interprete deve mostrare lo stesso grado di lealtà alle due parti nell’interazione,
compito molto difficile se consideriamo che molti interpreti appartengono al gruppo
minoritario e di conseguenza la loro posizione è di svantaggio: vengono percepiti
automaticamente dall’istituzione come difensori del proprio gruppo etnico e dai membri
del gruppo stesso come alleati (Martin-Abril Martí 2002: 56-57).
La neutralità è auspicabile per salvaguardare la credibilità dell’interprete e
garantirgli la possibilità di portare a termine la sua missione. Solo un interprete
consapevole del suo ruolo di “facilitatore” della comunicazione e la cui condotta
inequivocabile offre le necessarie garanzie di imparzialità e riservatezza, riuscirà ad
ottenere la fiducia di entrambe le parti nella sua attività. E ciò a sua volta accrescerà il
rispetto verso l’interpretariato come professione.
Martin e Abril Martí sostengono che, entrambi gli interlocutori, devono sapere se
l’interprete riferirà solo il contenuto verbale dell’incontro o se possiede anche altre
capacità per influenzare l’esito dello stesso mediante commenti e interventi personali.
Non rispettare tali norme porta il processo di professionalizzazione ad un circolo vizioso
senza uscita, poiché solo la professionalizzazione della IS può chiarire l’importanza
della funzione dell’interprete e stabilirne i limiti (Martin-Abril Martí 2002: 57).
Nel suo studio comparativo sulla IS a livello mondiale, Ozolins (2000) propone
una classificazione delle diverse fasi identificabili lungo la traiettoria verso la
professionalizzazione di tale attività. Le fasi vanno dalla negazione di questa realtà, fino
alla fase dei paesi che offrono servizi linguistici generici e infine alla fase di quei pochi
paesi che non solo hanno servizi linguistici, ma si appoggiano ad un sistema
istituzionalizzato di formazione e accreditamento, che garantisce un livello di qualità
ottimo.
Al momento la Spagna si colloca tra la categoria della “negazione del problema” e
la fase dei “servizi ad hoc” (Martin-Abril Martí 2002: 57).
153
Si potrebbe affermare come dicono Martin e Abril Martí che, nella IS in Spagna,
l’assegnazione delle funzioni è tanto caotica quanto la prestazione del servizio. La
società è poco informata sui servizi di traduzione/interpretazione nei servizi pubblici.
Nonostante ciò, la situazione in Spagna redarguiscono le autrici non è catastrofica
come si potrebbe essere portati a credere. Il riconoscimento dell’atto interpretativo si è
posto all’attenzione di quelle Comunità Autonome la cui lingua vernacolare non è il
castigliano (principalmente la Catalogna, i Paesi Baschi e la Galizia) e questo aspetto
avrà presumibilmente un effetto domino rispetto all’interpretariato in altre lingue. Vi
sono inoltre alcuni gruppi di interpreti volontari molto preparati e ben organizzati, così
come una infrastruttura accademica ben consolidata.
Martin e Abril Martí ci riferiscono che la proposta di alcuni studiosi in Spagna
consiste nella collaborazione tra enti, associazioni, gruppi di volontari, ecc. ed
Amministrazione per realizzare un’iniziativa comune, che offra corsi brevi di
formazione per quelle persone che da diverse prospettive, volontari, mediatori e così
via, possano beneficiare di tale formazione.
Tali corsi avrebbero la funzione di delimitare le funzioni, le competenze, le
responsabilità dell’interprete sociale all’interno dei servizi pubblici e contribuirebbero a
sviluppare il senso di consapevolezza di questa attività. Tale proposta costituirebbe un
buon input nella strada da percorrere verso la professionalizzazione della IS in Spagna
(Martin-Abril Martí 2002: 58-59).
5.4 PANORAMA ATTUALE DELLA MEDIAZIONE INTERCULTURALE
Partiamo da una definizione ben articolata della figura del mediatore interculturale
proposta da Dora Sales Salvador, la quale ha pubblicato un articolo sulla mediazione
interculturale dal titolo “Panorama de la mediación intercultural”(www.accurapid.com.
Volume 9, N. 1 January, 2005), al fine di dare informazioni al lettore e riportata da
Valero Garcés (Valero Garcés 2006: 103-104).
Riproduciamo uno stralcio dell’articolo:
“La mediación intercultural es un fenómeno bastante reciente, que en España no cuenta
con mucho más de diez añoz. De hecho se trata de una figura que aún no está del todo
definida, ni siquiera regularizada professionalmente, pues
aunque la figura del
mediador intercultural ya está reconocida por el Ministerio del Interior - según Real
154
Decreto 638/2000 del 11 de mayo-, a efectos prácticos esto no se nota nada. Hoy por
hoy no existe un título oficial de mediador intercultural, ni un sistema de formación y
acreditación. La mediación intercultural suele estar relacionada con el ámbito del
trabajo social, y las pocas iniciativas formativas en este campo, contando o no con
apoyo académico universitario, se han puesto en marcha desde ONGs y servicios
sociales de ayuntamientos […]
Entendemos la Mediación Intercultural – o mediación social en contextos pluriétnicos o
multiculturales - como una modalidad de intervención de terceras partes, en y sobre
situaciones sociales de multiculturalidad significativa, orientada hacia la consecución
del reconocimiento del Otro y el acercamiento de las partes, la comunicación y
comprensión mutua, el aprendizaje y desarrollo de la convivencia, la regulación de
conflictos y la adecuación institucional, entre actores sociales o institucionales
etnoculturalmente diferenciados.
A grandes rasgos, se habla de mediación cuando la comunicación entre dos partes mo
puede llevarse a cabo sin el puente de una tercera persona […]
Coincidimos con Castiglioni (1997: 17; 26) al pensar que sin el reconocimiento de los
derechos civiles (irrenunciables) no es posible que se produzca ningún proceso de
integración de la población inmigrante. La política de inmigración necesita partir de la
consideración de que los inmigrantes son partes integrantes de la sociedad de acogida, y
poe ello son también usuarios de los servicios públicos. En este contexto, la mediación
lingüístico-cultural supone un espacio de prevención de conflictos, permitiendo la
expresión de la demanda, descodificándola y traduciéndola en términos de derechos
(Catiglioni, 1997: 32). Quien media desarrolla un tipo particolar de comunicación, pues
con la intervención del mediador la interacción se vuelve triangular […]
Mediar no implica sólo traducir las palabras sino que va más allá, abarcando todos los
aspectos de la comunicación no verbal (olor, gestos, movimientos del cuerpo, silenzio,
etc.), que culturalmente son claves […]
Al tiempo, el mediador ha de ser consciente de que no es posible considerar al sujeto
inmigrante con el que trate en cada momento como un “miembro típico” de su cultura.
Es decir, tiene que estar atento al peligro de hablar en términos de idiosincrasía o
estereotipos o de culturalismo.
Cabe, pues, tener en cuenta la variable personal de cada cual y además la adaptación o
cambio que puede devenir del contacto entre culturas.
Ante todo, el mediador interviene, construye un lenguaje común entre las partes,
despliega un papel activo y delicado para el cual la formación profesional adquiere un
valor fundamental. Y precisamente en el ámbito del las necesidades formativas en torno
a la mediación esiste enormes carencias […]
Ante todo, en el campo de la mediación intercultural hace falta una progresiva
capacitación y profesionalización. Las carencias actuales en este sentido motivan que
155
en muchas ocasiones terminen haciendo de mediadores familiares o amistades de los
inmigrantes que necesitan de la ayuda de un enlace, con la falta de preparación y la
tensión personal que eso puede conllevar. Y es que los mediadores interculturales no
disponen aún de un estatuto legal en muchos países europeos, aunque son cada vez más
numerosos, porque su labor es una demanda reakl y actual en todo país que, como
España, se encamina hacia una sociedad de convivencia de culturas (Sales Salvador in
Valero Garcés 2006: 104-107).
Il
mediatore
interculturale
è
una
nuova
figura
che
va
emergendo
progressivamente in diversi paesi del mondo e, negli studi di traduzione e
interpretazione, assumono sempre più importanza le ricerche dedicate alla componente
più “sociale” e “coinvolta” della pratica traduttiva, quella cioè che rivela con maggior
chiarezza la “vocazione” alla traduzione/interpretazione (Sales Salvador 2005).
Il mediatore è qualcosa di più di un semplice traduttore, poiché la
traduzione/interpretazione è solo una componente della mediazione, che si profila come
una modalità di intervento sociale.
Il punto di partenza di questo lavoro sulla comunicazione interculturale e
l’immigrazione si inserisce all’interno della ricerca portata avanti dal Gruppo CRIT
“Comunicación y Relaciones Interculturales y Transculturales”, di cui fa parte l’autrice
del presente articolo.
Secondo Sales Salvador, la conoscenza e lo studio sulla comunicazione
interculturale risulta sempre più necessario, se si tiene conto che, paesi come la Spagna,
il Portogallo e l’Italia, che sono stati tradizionalmente paesi di emigrazione, si sono
convertiti in paesi di immigrazione (extracomunitaria). Tale situazione rivela le
necessità e carenze della società d’accoglienza verso gruppi di immigrati, soprattutto in
relazione alla comunicazione e alla convivenza tra le culture.
Come sostiene l’autrice nel suo articolo, la mediazione interculturale è un
fenomeno piuttosto recente, che in Spagna si è posto all’attenzione da poco più di una
decina d’anni (Sales Salvador 2005).
Vi sono dei gruppi in Spagna che si occupano da tempo della mediazione: citiamo
la EMSI (Escuela de Mediadores de la Comunidad de Madrid), che collabora con Cruz
Roja, all’interno della quale si è sviluppata, sotto la guida di Carlos Giménez Romero, il
Programma di “Migrazione e Multiculturalità”.
156
Frutto della collaborazione tra EMSI e il Comune di Madrid è il SEMSI (Servicio
de Mediación Social Intercultural), operativo dal 1997 e che è ispirato a sistemi simili
presenti in Italia, Svezia e Regno Unito.
Un’ altra importante iniziativa è la Federación Andalucía Acoge e l’AEP
Desenvolupament Comunitari de Catalunya, che collaborano dal 1998. Entrambi sono
collegati al Centre Bruxellois d’Action Interculturelle (CBAI), che realizza alcuni degli
studi più importanti nell’ambito della mediazione interculturale a livello europeo.
La proposta più interessante oggi in Spagna in quanto alla mediazione
interculturale e agli aspetti informativi viene dal lavoro congiunto della Federación
Andalucía Acoge e della l’AEP Desenvolupament Comunitari de Cataluña, raccolta nel
volume “Mediación Intercultural. Una propuesta para la formación” (2002), che offre
riflessioni
sulla
mediazione
interculturale
ed
un
modello
pedagogico
per
l’organizzazione di un corso di formazione in mediazione interculturale, la cui
metodologia si basa su: ricerca-azione-partecipazione (Sales Salvador 2005).
5.4.1 IL MEDIATORE: NUOVA NECESSITÀ NELLA SOCIETÀ SPAGNOLA
I cambiamenti che si stanno producendo nella struttura delle società e nel modo di
stabilire le relazioni sociali, stanno modificando il modo di intendere il ruolo del
traduttore/interprete come mediatore interlinguistico (Valero Garcés-Barés 2002a: 15).
Secondo gli autori, due sono le tendenze che sembrano profilarsi: 1) la difesa del
ruolo dell’interprete/traduttore come professionista che si occupa di tradurre un testo da
una lingua all’altra, rispettando i principi tradizionali di fedeltà e adeguatezza; 2) la
difesa del ruolo del mediatore linguistico come ponte e interlocutore valido per
agevolare la comprensione dei vari gruppi presenti in una società multiculturale, quale
quella spagnola.
Il carattere volontario e diremmo anche vocazionale è una caratteristica della
traduzione e interpretazione per i servizi pubblici. Secondo quanto afferma Hernández
(1997: 203), la traduzione per i servizi pubblici è un’attività che, al pari di altre attività
di tipo vocazionale, è associata a quelle attività in cui la persona partecipa integralmente
con la sua realtà psicosomatica.
157
A ciò bisogna aggiungere una dimensione interpersonale. Nella società sono
sempre più frequenti gli incontri in cui gli interlocutori sono parlanti nativi di lingue
diverse e mostrano livelli di padronanza diversi della lingua e della cultura scelta per lo
scambio o delle due lingue. In conseguenza di ciò, possono sorgere malintesi che spesso
compromettono l’immagine sociale dell’immigrato e le sue possibilità di promozione
sociale (Valero Garcés-Barés 2002a: 18-19).
Come sottolineano gli autori, il traduttore/interprete non vede se stesso come
soggetto protagonista che sovrasta la personalità dell’altro, il più debole. Il traduttore
non ha la libertà di fare ciò che vuole; la sua attività lo obbliga continuamente a
scegliere tra una serie di opzioni, a volte in situazioni molto delicate.
I limiti a questa attività sono dati dalla funzione di mediatore interculturale, insiti
nell’attività dell’interprete.
Alcuni tratti specifici secondo Valero Garcés e Barés che si applicano al
mediatore interculturale nell’attuale realtà spagnola sono:
1) La natura etnoculturalmente differenziata delle parti coinvolte. Il rischio
che esiste in tali contesti sociali molto vari è quello di mettere in luce e/o
evidenziare differenze di disuguaglianza. Da qui ne consegue che, una
delle capacità
del mediatore interculturale e interlinguistico, sia la
conoscenza globale delle parti e il saper sfruttare in maniera consapevole
le differenze che le caratterizzano, per non cadere in stereotipi ed essere
inoltre capace di analizzare adeguatamente il contesto sociopolitico e
ideologico nel quale si muove;
2) L’incidenza delle differenze nella relazione esistente tra le parti. Esse
hanno una determinata conoscenza dell’Altro. Le attitudini del mediatore
interculturale ed interlinguistico sono condizionate da stereotipi,
pregiudizi, timori o posizioni etnocentriche che deve saper gestire per
garantire una comunicazione equa;
3) L’importanza del bagaglio culturale del mediatore, aspetto molto discusso
che secondo Valero Garcés e Barés fa sorgere la seguente domanda: “qual
è il mediatore ideale da un punto di vista culturale?”. Le opzioni possibili
sono tre: 1) essere biculturale; 2) non appartenere a nessuna delle culture
158
presenti nello scambio comunicativo; 3) appartenere ad una di esse
(Valero Garcés-Barés 2002a: 20-21).
Le opinioni sono diverse. La figura del mediatore linguistico non è sempre
riconosciuta e difesa dagli studiosi della traduzione nei servizi pubblici. Vi sono circoli
che sostengono l’importanza di una attitudine distaccata e acritica, nella quale il
traduttore/interprete è un mero “riproduttore del messaggio”. Basta osservare alcuni
principi applicabili alle ONGs ed istituzioni dedicate a queste attività, quali esempio il
codice etico dell’interprete elaborato da COMRADE/SETI, una delle ONGs più attive
nel campo della comunicazione interlinguistica e dove si legge:
1) L’interprete non deve assumere altre funzioni mentre sta interpretando al
di là di quelle relative alla sua professione;
2) L’interprete non deve assumere le vesti dell’utente o del professionista
dell’ente che fornisce il servizio.
Valero Garcés e Barés ci dicono che nella pratica, entrambe le figure (interpretemediatore), sono presenti nel panorama spagnolo, ma all’interno del contesto dei servizi
pubblici, non sono accompagnate da una adeguata preparazione. Vi è stata una lenta
evoluzione grazie agli sforzi delle ONGs, di personale volontario e di alcune istituzioni
locali, ma ciò che manca è un concreto sostegno a livello regionale o nazionale (Valero
Garcés-Barés 2002a: 21-22).
Martin e Abril-Martí sostengono che, fra tutte le persone che entrano in contatto
con l’immigrato, la figura del mediatore interculturale assume un rilievo particolare.
Non si tratta di una professione che si sovrappone alla interpretazione sociale (IS), ma
che può contribuire al pieno sviluppo della stessa e al suo completamento (Martin-Abril
Martí 2002: 58).
Risulta curiosa come notano le autrici, l’assenza di tematiche linguistiche nei
piani di studio dedicati alla mediazione interculturale, così come la mancata
preoccupazione per l’argomento espressa a volte dai professionisti.
Se il mediatore interculturale assume il ruolo di professionista bilingue, ovvero
rappresentante
dell’Amministrazione
capace
di
comunicare
direttamente
con
l’immigrato nella sua lingua senza il bisogno di ricorre all’interpretariato, allora questo
159
può essere l’ inizio di una serie di possibili soluzioni ritenute idonee. Ma nel momento
in cui tale professionista, oltre alla sue funzioni, svolge anche funzioni di interpretariato
tra l’immigrato e altri professionisti dell’Amministrazione, è fondamentale che lo
manifesti, definendo quale ruolo sta assumendo in quel momento e distinguendo una
funzione dall’altra. Se ciò non avviene, i risultati saranno la perdita di credibilità tanto
nel mediatore, quanto nell’interpretariato quale attività, così come delle aspettative del
ruolo dell’interprete, il che ci conduce al succitato circolo vizioso della mancata
professionalizzazione della IS (Martin-Abril Martí 2002: 58-59).
Per quanto riguarda i contributi sulla comunicazione interlinguistica, secondo
Valero Garcés e Barés, occorre precisare innanzitutto, che essi sono il frutto dello sforzo
congiunto di persone ed enti che credono in una società multiculturale (Valero GarcésBarés 2002a: 22) .
I contributi principali si possono suddividere in quattro blocchi:
1) Gli articoli di ricercatori e professionisti di prestigio nel campo della
comunicazione interlinguistica, quali Ann Corsellis o Helge Niska;
2) I contributi sull’attività dell’interprete/traduttore nei servizi pubblici in
Spagna;
3) I lavori che si concentrano sulla professione dell’interprete e traduttore
realizzati al di fuori della Spagna;
4) Contributi vari dedicati alla professionalizzazione del traduttore e alla
traduzione di linguaggi specializzati propri derivati dai servizi pubblici
(Valero Garcés-Barés 2002a: 22-24).
5.4.2 SFIDE E TECNICHE NELLA MEDIAZIONE CULTURALE
Mentre a livello internazionale si parla di “community intepreting” o “liaison
interpreting”, in Spagna si utilizza l’etichetta di “intérprete de enlace, intermediario
lingüístico, intérprete social, mediador cultural”, ecc. (El Hasnaoui 2005: 83).
Indipendentemente dal termine utilizzato, gli studiosi sono concordi nel definire
l’impossibilità di delinearne un profilo specifico e nell’incalzante necessità di dotare di
professionalità questa figura.
160
Il motivo principale per la formazione dei mediatori è il crescente flusso di
immigrati. La maggior parte dei mediatori oggi in Spagna non sono preparati,
conoscono idiomi diversi dalla lingua ufficiale dello Stato e la loro buona volontà è
l’unica garanzia del rispetto del principio di riservatezza.
Secondo quanto riferisce El Hasnaoui, gli sforzi dell’ Amministrazione sembrano
focalizzarsi quasi esclusivamente su aspetti diversi dalla mediazione, delegando
l’attenzione verso le nuove necessità ad altri organismi, tradizionalmente più coinvolti
nei problemi di assistenza sociale, ovvero le numerose ONGs sparse sul territorio. Ad
esempio, la Ley Orgánica 10/2002 del 23 dicembre (BOE 24) dedica l’articolo 42 del
capitolo VII alla incorporazione nel sistema educativo degli alunni stranieri, sostenendo
che:
“para los alumnos que desconozcan la lengua y cultura españolas, o que presentan
graves carencias en conocimientos básicos, las Administraciones educativas
desarrollarán programas específicos de aprendizaje con la finalidad de facilitar su
integración en el nivel correspondiente”
Un elemento centrale di questa legge sono le “Aulas de enlace” del Programma
“Escuelas de Bienvenida” (El Hasnaoui 2005: 83-85).
Tuttavia i rapporti con l’Amministrazione non si limitano ai centri educativi. La
realtà quotidiana del gruppo di immigrati non consiste solo nel soddisfare le necessità
scolastiche dei più piccoli e della loro integrazione in collegi ed istituti, ma include
anche l’inoltro di documenti ai commissariati, nel compilare moduli, nel redigere
elaborati, leggerne altri, andare dal medico ma anche presentarsi in tribunale.
El Hasnaoui precisa che è responsabilità dell’Amministrazione fornire i mezzi
necessari, affinché i professionisti possano svolgere il proprio lavoro in maniera
soddisfacente, non solo per l’immigrato, il rifugiato o il turista, ma anche per i
professionisti stessi, il professore, il medico, il funzionario, ecc.
La principale sfida che deve affrontare un interprete è l’unione della competenza
linguistica, pragmatica, socioculturale e strategica al fine di rendere possibile la
competenza interpretativa, ovvero non solo deve conoscere due lingue, ma deve saperle
usare (El Hasnaoui 2005: 85).
Vediamo nel dettaglio le quattro competenze così come vengono definite da El
Hasnaoui:
161
1) Competenza linguistica: è la produzione ed interpretazione dell’insieme
di regole del sistema linguistico, ovvero l’uso corretto della lingua da
un punto di vista grammaticale. È il punto di partenza per un interprete
qualificato, ma non per un “intermediario linguistico” (mediatore), il
quale spesso non ha una padronanza perfetta delle due lingue;
2) Competenza socioculturale: è intesa come il grado di familiarità che si
ha con il contesto sociale e culturale nel quale si utilizza una
determinata lingua;
3) Competenza pragmatica: in una situazione comunicativa non vi sono
solo elementi linguistici, ma compaiono anche una serie di elementi
paralinguistici, come le espressioni facciali, i gesti, l’intonazione, la
postura, ecc. Dall’emittente al destinatario, l’intermediario deve essere
in
grado
di
riprodurre
perfettamente
tutte
le
componenti
paralinguistiche;
4) Competenza strategica: consiste soprattutto nella capacità di definire,
correggere, sfumare, sostituire omissioni, reiterare tutti i “difetti” della
comunicazione orale, per far giungere il messaggio nella maniera più
corretta (El Hasnaoui 2005: 85-87).
La seconda sfida è la presenza dei tecnicismi delle differenti discipline.
La terza sfida consiste nel vincere certe diffidenze da parte dell’utente che
ostacolano una comunicazione efficace, il pudore per esempio in un ospedale o la
diffidenza in un commissariato.
La quarta sfida infine è l’impossibilità, nella maggior parte dei casi, di lavorare in
condizioni adeguate. È la sfida più preoccupante. È urgente assicurare la professionalità
dei mediatori, perché è una garanzia per gli utenti bisognosi e può dar diritto inoltre a
questi intermediatori linguistici di esigere una contrattazione migliore, superando la
condizione di precarietà nella quale vivono oggi (El Hasnaoui 2005: 87).
5.5 I&ISSPP COME PROFESSIONE
162
Secondo Valero Garcés, vari professionisti sostengono che vi sono varie tappe nel
processo verso una comunicazione effettiva e reale in società multiculturali con
minoranze che non conoscono o conoscono molto poco la lingua e cultura della
maggioranza (Valero Garcés 2006: 66).
L’autrice cita Ann Corsellis (2002: 182-186), la quale menziona tre processi
paralleli di cambio che si sviluppano in maniera consecutiva, ciascuno dei quali si
riferisce ad uno degli anelli della catena comunicativa:
1) Gli operatori dei servizi pubblici;
2) Gli utenti dei servizi pubblici che non conoscono la lingua;
3) Gli intermediari che agevolano la comunicazione.
Ciascuno di questi anelli passa attraverso un processo di cambio. Il modello di Corsellis
secondo Valero Garcés è applicabile alla realtà della società spagnola.
Processo A. I servizi pubblici. Le fasi che i servizi pubblici attraversano sono:
1) Mancanza di riconoscimento del problema;
2) Negazione del problema e tentativi di trovare delle soluzioni, a volte poco
ragionevoli;
3) Riconoscimento (accettazione del problema);
4) Analisi e proposte di soluzioni, che consta di ulteriori tre passi:
a) Progressi a livello locale attraverso iniziative personali o private;
b) Istituzionalizzazione a livello nazionale;
c) Coerenza a livello locale all’interno di un contesto nazionale,
nell’adottare
una
serie
di
provvedimenti
generali:
codici
deontologici; reclutamento di interpreti professionisti, ecc.
Processo B. Gli intermediari:
1) Mancanza di riconoscimento del problema;
2) Riconoscimento del problema e risposte;
3) Processo di regolarizzazione professionale.
Processo C. Coloro che non parlano la lingua del paese o del servizio pubblico.
In questo caso è necessario parlare di un individuo e non di un gruppo, poiché le
condizioni personali di ciascun individuo sono molto diverse da quelle degli altri. Per
tale motivo, non possiamo indicare un processo statico per un gruppo, ma tracciare
163
semmai nelle parole di Valero Garcés, un processo adattabile secondo le variabili del
momento e che tenga in considerazione i fattori intervenuti prima della migrazione e
post-migrazione (Valero Garcés 2006: 67-69).
Valero Garcés cita poi Roda Roberts (1994: 127-138), la quale indicava diverso
tempo fa norme simili per la professionalizzazione della T&ISSPP:
1) Chiarimento della terminologia, ovvero trovare una definizione condivisa
all’unanimità;
2) Precisazione del ruolo dell’interprete nei servizi pubblici;
3) Sviluppo di programmi di formazione per gli interpreti;
4) Sviluppo di programmi di formazione per i formatori degli interpreti;
5) Sviluppo di programmi per i professionisti che lavorano come interpreti;
6) Certificazione per gli interpreti nei servizi pubblici.
Valero Garcés aggiunge che tutte queste fasi sono ugualmente accettate da Ann
Corsellis (2003: 71-90) e da altri studiosi e praticanti della T&ISSPP (Valero Garcés
2006: 69-70).
5.5.1
INTERNET:
STRUMENTO
UTILE
PER
IL
PROGRESSO
NELLA
PROFESSIONALIZZAZIONE DELLA T&ISSPP
Lo sviluppo costante e rapido della nuove tecnologie informatiche e soprattutto di
internet, così come l’accesso agevolato agli stessi da parte delle popolazione, sta
trasformando la rete in un potente strumento di informazioni, nonché il punto di
incontro per praticanti, ricercatori, formatori e pubblico in generale (Valero Garcés
2006: 70).
Sono sempre più numerose le organizzazioni o istituzioni, anche pubbliche, che
utilizzano la rete come mezzo di diffusione di informazioni o per stabilire contatti,
scambiarsi materiali o offrire risorse. Le possibilità di collaborazione a progetti
nazionali o internazionali aumenta, così come la riduzione di costi e tempo impiegati
nella traduzione e interpretazione.
Nel caso dell’ interpretazione, l’esistenza di organizzazioni che offrono servizi 24
ore su 24 ore in varie lingue, sia gratuitamente attraverso le sovvenzioni delle istituzioni
164
statali o di contributi che provengono da privati, sia in forma diretta attraverso o la
telefonia mobile o la videoconferenza, sta offrendo nuove opportunità ed estendendo la
necessità di rispondere tempestivamente alle sfide che pone la convivenza di persone di
cultura diversa, in uno spazio di tempo e luogo ridotto.
La comparsa di pagine web che sono il riflesso di progetti in corso o già portati a
termine sono molto frequenti. In esse è possibile raccogliere informazioni specifiche sul
progetto, ma anche articoli, collegamenti e materiali che sono una buona fonte di dati e
ricerche empiriche applicabili ad altri paesi o contesti (Valero Garcés 2006: 70-71).
L’autrice ci riferisce che in ambito legale-amministrativo, in particolare, sono
numerose le pagine web che offrono informazioni, collegamenti utili, pubblicazioni e
materiali relativi alla T&ISSPP. Si tratta però di un volume ridotto di testi disponibili in
rete e non sempre di facile accesso rispetto ad esempio all’area sanitaria.
Attualmente, varie sezioni e uffici dei governi e dei servizi pubblici stanno
incorporando alla rete vari documenti che facilitino l’accesso alla popolazione dalla
propria abitazione o dal posto di lavoro. Ci riferiamo ad esempio ad alcune pagine
dell’organizzazione statunitense NAJIT (National Association of Judiciary Interpreters
and Translators), o alla australiana NAATI (The Australian National Accreditation
Authority for Translators and Interpreters) o alla sezione del governo statunitense
incaricata della difesa dei diritti civili (www.australia-migration.com/page/NAATI-info)
(Valero Garcés 2006: 72).
5.5.2 PRINCIPI METODOLOGICI DELLA PROFESSIONALIZZAZIONE DELLA
T&ISSPP
È importante precisare, come nota Valero Garcés, che non tutte le persone bilingue,
sono necessariamente traduttori e/o interpreti. Da qui sorge il problema della definizione
del ruolo di questi intermediari linguistici (Valero Garcés 2006: 91).
Vi sono fondamentalmente due modelli secondo l’autrice: 1) Modello della
advocacy e 2) Modello della ”imparzialità”. Il primo, riferito principalmente all’ambito
sanitario implica la difesa del paziente da parte dell’interprete, il quale sta dalla sua
parte, fa domande, consiglia il paziente e offre opinioni personali sui temi trattati
durante la visita e in seguito lo avverte dei rischi che comporta per esempio omettere o
165
dare troppe informazioni, non essere imparziale, creare confusione nel passare dal ruolo
di interprete a quello di avvocato, preoccuparsi di questioni che non lo riguardano e così
via. Al contrario, nel secondo modello, l’interprete ripete fedelmente ciò che sente e le
parti coinvolte si esprimono con la propria voce. L’interprete in questo caso è un alter
ego della persona per la quale sta interpretando ed è capace di trasmettere il messaggio e
produrre l’effetto esattamente come farebbe l’interlocutore (Valero Garcés 2006: 92).
Wadensjö propone altri due modelli di interpretazione, o meglio altri due ruoli che
l’interprete può ricoprire e che non si escludono a vicenda, anzi sono complementari in
determinate circostanze, come nel caso dell’interpretazione bilaterale, e li definisce
“relaying others’ talk” e “co-coordinating others’ talk”. Il primo coincide con il
modello dell’imparzialità, nel quale l’interprete è invisibile, mentre il secondo con il
modello della advocacy, nel quale il colloquio medico-paziente è influenzato
dall’interprete (Valero Garcés 2006: 92).
Dall’altro lato, per essere biculturali è necessario possedere secondo Para Taft
(1981: 73):
a) Conoscenze storiche, sociali e culturali: storia, folklore, tradizioni,
costumi, valori e tabù, il popolo, le relazioni interpersonali, ecc. (in
entrambe le lingue);
b) Abilità comunicative: padronanza del linguaggio scritto e orale e di altri
tipi di comunicazione: linguaggio corporale, gesti, segni, simboli, ecc.;
c) Abilità tecniche adatte alla situazione: saper utilizzare il computer, saper
comunicare per telefono, vestirsi adeguatamente alle situazioni, conoscere
il contesto e sapersi muovere in esso, ecc.;
d) Abilità sociali: conoscenza delle norme che regolano la convivenza nella
società, la capacità di autocontrollo a seconda della situazione e della
cultura (competenza socioculturale).
È necessario cioè possedere una grande sensibilità interculturale che permetta
all’interprete di negoziare il significato in entrambe le culture ed essere capace di
trasmetterlo ai membri dell’altra comunità nella loro lingua (Valero Garcés 2006: 9394).
166
È proprio su questo punto secondo Valero Garcés che sorgono le divergenze al
momento di definire il ruolo del traduttore o interprete come mediatore culturale. Due
sono anche in questo caso le tendenze principali. La prima si rifà ad autori come Kondo
(1990: 59) o Roy (1993), i quali tentano di porre dei limiti all’intervento dell’interprete
/traduttore e che considerano che, se riuscire a trasmettere il significato di un
termine/espressione implica lavorare su dei concetti e non sulle parole, allora non
ammettono che ciò si possa definire una traduzione. La seconda, d’altro canto, si rifà ad
autori come Brislin (1981: 213) o Knapp-Potthof e Knapp (1981: 183), i quali ritengono
necessaria la visibilità dell’interprete, in quanto terzo elemento presente nello scambio
comunicativo ed inoltre ribadiscono che, entro certi limiti, il mediatore culturale può
prendere delle iniziative ed essere più visibile (Valero Garcés 2006: 94).
5.5.3
IL
CODICE
DEONTOLOGICO:
PUNTO
DI
PARTENZA
NELLA
PROFESSIONALIZZAZIONE DELLA T&ISSPP
Secondo Valero Garcés, i quattro principi base di qualsiasi codice deontologico o norme
di buona prassi sono:
1) Riservatezza;
2) Imparzialità;
3) Fedeltà;
4) Integrità.
Tali principi hanno denominazioni e obiettivi molto diversi nei diversi codici esistenti.
Spesso si tratta di principi basilari o di raccomandazioni che i professionisti sono tenuti
ad osservare. Non esistono codici universali (Valero Garcés 2006: 95).
Un esempio valido per la Spagna è il codice deontologico della TRINOR
(Asociación de Traductores del Norte de España). I tre principi fondamentali sono: la
Qualità; la Riservatezza; la Lealtà.
3.1. Calidad
Todo traductor o intérprete que realice un trabajo directa o indirectamente para
TRINOR deberá hacerlo con la máxima calidad. La calidad del trabajo implica la
capacidad del traductor para realizzarlo, la calidad del contenido y la puntualidad con
la que se hace.
167
3.2. Confidencialidad
En el ejercicio de sus funzione, el traductor o intérprete inevitablemente accederà a
información de carácter más o menos privado. Por lo tanto, la Confidencialidad es un
aspecto integral de su profesion. Las normas relativas a la Confidencialidad no
prescriben.
3.3. Lealtad
La Lealtad es uno de los pilares básicos del trabajo profesional. Esta lealtad se deberá
mantener tanto hacia el cliente final como hacia los posibles internediarios, inclusive
TRINOR. Las normas a la Lealtad no prescriben (Valero Garcés 2006: 96-98).
5.5.4
L’ASPETTO
CULTURALE,
EMOTIVO
E
PSICOLOGICO
NELLA
PROFESSIONALIZZAZIONE DELLA T&ISSPP
Valero Garcés sostiene che l’aspetto culturale sia un fattore rilevante nell’ambito della
professionalizzazione della T&ISSPP. La cultura è un insieme di fattori, ovvero norme
e convenzioni, che regolano il comportamento dei membri di una società. Possedere una
competenza culturale significa conoscere e saper interpretare questi fattori (Valero
Garcés 2006: 103).
I traduttori/interpreti ed in generale, qualsiasi persona che funga da intermediario
tra due culture, devono possedere tale competenza: prendere coscienza della propria
cultura e dei meccanismi che vi sono alla base e, al tempo stesso, imparare a valutare
correttamente i fenomeni culturali estranei alla propria cultura.
Uno dei temi ricorrenti nella letteratura e nella pratica della T&ISSPP è la cultura.
Ed è ancora più importante nel caso della mediazione interculturale, area ancora in fase
di definizione in Spagna, ma strettamente legata, per certi aspetti, alla T&ISSPP, per lo
meno in alcuni paesi.
Oltre alle competenze di base che gli interpreti per i servizi pubblici condividono
con gli interpreti professionisti in altri ambiti, ad esempio la competenza cognitiva e
linguistica e il codice etico, essi presentano alcune caratteristiche specifiche, che li
distinguono sia dal resto dei professionisti della traduzione/interpretazione, sia per
l’importanza che tali caratteristiche possono assumere nello svolgimento della loro
attività (Valero Garcés 2006: 166).
Di particolare rilievo sono due aspetti: l’influenza del fattore psicologico e di
quello emotivo.
168
È oramai scontato dire che, il compito che si richiede ad un intermediario
linguistico nei servizi pubblici va molto più in là della semplice traduzione di
informazioni. All’interprete si chiede sempre più spesso di essere una sorta di
“consulente culturale”, il che implica che deve saper spiegare costumi, valori o credenze
tanto agli operatori dei servizi pubblici quanto agli utenti degli stessi per i quali funge
da intermediario.
Svolge il suo lavoro anche in situazioni critiche e tratta argomenti delicati
(richieste di asilo politico, torture, miseria, solitudine, ecc.), avvicinandosi così al
mediatore e senza esserne a conoscenza prima. Gli si chiede inoltre che sia capace di
dare il giusto valore ad aspetti concreti quali il sentimento di affiliazione alla comunità,
la distribuzione delle funzioni, dei ruoli e delle responsabilità nella famiglia e rispetto ad
essa, di spiegare concetti quali disgrazia, onore, religione e fede nelle le varie culture e
fra i membri di esse (Valero Garcés 2006: 166-167).
A volte poi è necessario parlare del singolo individuo e non del suo gruppo di
appartenenza ed in questo caso la presa in considerazione di avvenimenti migrazione,
durante la migrazione e post-migrazione può essere molto utile ai fini della preparazione
dell’interprete nell’ottica di un modello flessibile e adattabile ad ogni situazione.
Se inoltre prendiamo in considerazione le caratteristiche degli utenti a cui presta il
proprio servizio:
a) Utenti in situazioni difficili con i quali l’interprete può condividere alcune
caratteristiche (dati biografici, esperienze, l’appartenenza ad una stessa
etnia, ecc.);
b) Utenti che hanno vissuto esperienze di violenza, patito torture o perdite di
familiari e amici;
c) Utenti con uno stato emotivo e psicologico provato e le cui conversazioni
hanno contenuti molto negativi;
d) Impossibilità di un aiuto diretto da parte dell’interprete;
allora, non è difficile secondo Valero Garcés, essere portati a credere che l’interprete
che funge da intermediario tra due lingue e due culture, debba possedere una alta
stabilità emotiva per portare a termine con successo la mediazione (Valero Garcés 2006:
167-168).
169
D’altro canto, gli operatori dei servizi pubblici, non comprendono facilmente il
ruolo dell’interprete/traduttore e non sono ben disposti a collaborare con lui/lei. Di
conseguenza, gli/le chiedono di svolgere mansioni non direttamente associate alla sua
professione (effettuare chiamate telefoniche ai familiari, spiegare termini tecnici,
compilare moduli, scrivere rapporti, ecc.).
Vi è tuttavia un accordo generalizzato tra i praticanti della T&ISSPP, ricercatori e
formatori, sull’importanza di una formazione specifica per poter svolgere tutte le
mansioni richieste ad un interprete in una vasta gamma di situazioni e contesti.
Valero Garcés ritiene che tale formazione dovrebbe includere misure di
prevenzione e di monitoraggio. La formazione previa dovrebbe basarsi sulla diffusione
di informazioni in merito a:
a) Argomenti che possono presentare aspetti emotivi perniciosi (la
comunicazione di una cattiva notizia, la descrizione di torture, il rapporto
con persone violente, ecc.);
b) Formazione psicologica di base su aspetti quali stress, ansietà, deviazioni
comportamentali, ecc.;
c) Riconoscimento di fattori portatori potenziali di stress;
d) Riconoscimento dei sintomi e delle strategie per affrontare un possibile
impatto psicologico legato allo svolgimento dell’attività;
e) Allenamento nelle strategie di affrontamento, quali per esempio
l’empatia o l’autostima, necessarie per svolgere la professione in contesti
di volta in volta differenti (Valero Garcés 2006: 168).
Gli studi sul versante psicologico ed emotivo dell’interprete nei servizi pubblici
sono molto pochi. Sono quattro i contributi rilevanti in questa area secondo l’autrice: 1)
“Apoyo psicológico dirigido a los empleados humanitarios”, realizzato da autori vari
nel 2001; 2) “The Psycological and Emotional Effects of Community Interpreting”
realizzato nel 2000 da Karen Baistow nel Regno Unito; 3) “Medical Interpreters have
feelings too”, realizzato da vari autori a Ginevra nel 1999 e 4) appunti per una guida
sulla buona condotta dell’interprete come mediatore interlinguistico. Questo studio in
particolare, raccoglie i risultati di una ricerca realizzata dagli studenti del corso di
“Mediazione Interlinguistica”, impartito dalla EMSI di Madrid tra il 2001 e il 2003 e
170
nell’Università di Alcalá tra il 2001 e il 2003, all’interno del Programma di Formazione
di Traduttori e Interpreti per i Servizi Pubblici (Valero Garcés 2006: 171).
5.6 ASPETTI SPECIFICI DELLA TRADUZIONE PER I SERVIZI PUBBLICI
L’obiettivo principale della traduzione per i servizi pubblici o traduzione sociale è,
come già detto, dare un’informazione specifica ad un pubblico altrettanto specifico,
ovvero un pubblico che risponde ad una minoranza culturale e/o linguistica (Valero
Garcés 2002b: 62).
Avendo questo obiettivo, il traduttore si trasforma in mediatore socio-culturale,
con abilità specifiche e preparazione adeguata, che vanno oltre la conoscenza della
lingua e cultura, poiché sono richieste certe abilità interculturali quali: a) lavorare con
due lingue, una delle quali possiede uno status sociale inferiore all’altra, che appartiene
alla cultura dominante; b) garantire una certa neutralità e distacco anche quando si
lavora per la stessa comunità etnica; c) essere consapevole della mancanza di
educazione o delle differenze culturali in ambo le comunità; d) mostrare abilità nel
fungere da ponte linguistico e culturale, al momento di trattare argomenti specifici che
possono essere tabù per alcune comunità; e) conoscere la terminologia specifica relativa
agli argomenti di lavoro ed infine f) essere capace di cambiare registro o di sapersi
adattare in funzione della cultura destinataria (ibidem).
Valero Garcés sostiene che, oltre alla conoscenza delle lingue e culture, il
traduttore per i servizi pubblici deve possedere una certa sensibilità culturale per
riconoscere e lavorare in dei contesti socio-linguistici specifici, nei quali fattori come la
cultura d’origine, l’età, lo status sociale ed educativo delle persone sono determinanti.
Ad esempio, il trattamento di argomenti come il denaro, il sesso, i generi alimentari e le
bevande, la religione, le malattie come il cancro e l’AIDS possono essere tabù in una
società, ma non necessariamente in un’altra e possono essere trattati in maniera diversa.
171
La traduzione di questi temi richiede l’intervento del traduttore per impedire che si
rompa la comunicazione o detto in altro modo, affinché le parti familiarizzino l’una con
l’altra, favorendo l’integrazione sociale (Valero Garcés 2002b: 64)
L’aspetto più difficile nel pensiero dell’autrice è decidere fino a che punto sia
necessario intervenire. Innanzitutto appare ovvio che, per produrre testi adeguati, senza
dare troppa informazione né lasciare troppi significati impliciti, si richiede un alto grado
di professionalizzazione, che molto spesso sono volontari o persone malpagate e senza
nessuna preparazione che fungono da traduttori.
Nella comunicazione nei servizi pubblici dove si hanno contatti con utenti
stranieri intervengono numerosi fattori. Tre agenti principali secondo Valero Garcés
sono: 1) l’iniziatore del processo di traduzione; 2) il tipo di traduzione e 3) il modo di
tradurre (Valero Garcés 2006: 202).
Per quanto riguarda l’iniziatore processo di traduzione, nei paesi che hanno una
forte tradizione, gli interessati a produrre materiale tradotto sono istituzioni governative
con competenze in tema sanitario, legale, educativo o amministrativo, ONGs, sindacati
o altre associazioni di gruppi etnici. Possono anche appartenere alla cultura dominante o
alla cultura d’arrivo. E anche il proposito della traduzione può essere diverso: si può
trattare di una traduzione o di un adattamento per una comunità specifica.
Per quanto riguarda i tipi di testi che vengono tradotti, generalmente sono di tre
tipi: 1) informazione sui servizi sociali e istituzionali, che descrivono le loro funzioni, il
modo per accedervi, ecc.; 2) testi di carattere sanitario o amministrativo che coprono un
ampia gamma di temi, da quelli informativi, per esempio sulla vaccinazione o sulla
gravidanza; 3) documenti officiali e semi-ufficiali (transazioni commerciali, contratti di
locazione e compravendita, ecc.).
Tali testi possono includere una terminologia specifica che a volte rappresenta una
spina nel fianco per il traduttore e che deve essere capace di produrre un testo per il
lettore scegliendo il lessico più appropriato, il registro e lo stile (Valero Garcés 2006:
202-203).
Per quanto riguarda la modalità di traduzione, i materiali disponibili in altre
lingue, riflettono in generale due tendenze: 1) da un lato, materiali tradotti dalle
istituzioni governative e 2) dall’altro, testi tradotti da ONGs o associazioni di gruppi
etnici specifici.
172
In Spagna, la produzione di testi tradotti in lingue diverse è una realtà incipiente
se comparata al volume di testi prodotti in altri paesi. Ma anche qui si è ben lontani,
come ci ricorda Valero Garcés, dal produrre materiali autentici in lingue minoritarie,
anche se cresce il numero di testi (Valero Garcés 2006: 203).
La tipologia di testi che troviamo in Spagna è suddivisa in 3 aree: 1) documenti
ufficiali; 2) guide dei servizi; 3) opuscoli informativi.
I documenti ufficiali sono documenti pubblicati dagli uffici del governo la cui
finalità è, nella maggior parte dei casi, informare il cittadino o l’immigrato sulle leggi o
sui temi che gli interessano per regolarizzare la sua situazione o integrarsi nella società,
ad esempio “La guía para el proceso de regularización de los extranjeros”, edita nel
2000 dall’Amministrazione Generale dello Stato in inglese, francese e arabo. Altri
documenti ufficiali tradotti in varie lingue sono i moduli per richiedere vari servizi, per
esempio le richieste di permesso di soggiorno e di lavoro, in cui vengono richiesti dati
personali, di residenza o in relazione alla situazione del richiedente in Spagna. Le lingue
in cui vengono tradotti questi documenti sono inglese, francese, arabo, cinese e russo.
Le Guide dei Servizi sono documenti pubblicati generalmente da municipi, ONGs
e dalle Comunità Autonome. Lo scopo è generalmente agevolare la conoscenza e l’uso
delle risorse. Le Guide si rivolgono alla popolazione immigrata, ma vengono utilizzate
anche dagli operatori dei servizi e costituiscono uno strumento informativo che serve a
favorire l’integrazione. Uno dei primi esempi è “Guía Informativa para Inmigrantes de
Alcalá de Henares”. La Guida fu pubblicata nel 1997, Anno Europeo contro il
Razzismo, dal Consigliere della Salute e Benessere Sociale del Comune di Alcalá e
collaborarono ONGs come Caritas o l’associazione polacca “Águila Blanca”, molto
conosciuta ad Alcalá. I contenuti di tale guida sono tradotti in quattro lingue: spagnolo,
rumeno, polacco e arabo. Altra guida in corso di elaborazione è la “Guía Básica
Multilingüe de Atención al Paciente” (spagnolo-arabo, spagnolo-bulgaro, spagnolofrancese, spagnolo-inglese, spagnolo-rumeno, spagnolo-russo), che si aggiunge ad un
corpus di documenti di carattere sanitario tradotti dal gruppo FITISPOS (Grupo de
Formación e Investigación en Traducción e Interpretación en los Servicios Püblicos)
dell’Università di Alcalá (Valero Garcés 2006: 204-205).
Gli opuscoli informativi sono documenti pubblicati generalmente da organismi
ufficiali come l’Istituto di Migrazioni e Servizi Sociali (IMERSO), dipendente dal
173
Ministero del Lavoro e degli Affari Sociali o dalle Comunità Autonome in
collaborazione con l’INSALUD, ONGs o sindacati. Questo tipo di documenti, così
come le guide, hanno obiettivi e proposte diverse. I temi trattati sono vari. In quanto al
contenuto e alla qualità, si osservano due tendenze: 1) i materiali prodotti dalle
istituzioni sono testi che presentano una traduzione letterale e meno sensibile alla
cultura specifica; 2) i testi prodotti dalle ONGs o dalle associazioni di gruppi etnici
specifici sono adattati alla realtà socio-culturale dei destinatari.
Un esempio per tutti è la “Guía de Salud para Inmigrantes y Refugiados” in
spagnolo, inglese, francese, arabo e cinese con informazioni su temi relativi ad una
alimentazione sana, la cura del corpo e l’ igiene personale, la salute materna, la salute
dei bambini, la salute mentale e consigli pratici su quando rivolgersi al medico. La
traduzione è letterale, perdendo a volte efficacia, in quanto viene meno una certa
sensibilità culturale rispetto alla popolazione a cui si rivolge (Valero Garcés 2006: 206207).
5.7 L’UFFICIO DI INTERPRETARIATO IN SPAGNA
Oggigiorno tutti i paesi dispongono di un servizio di traduzione e interpretazione che
realizza attività di mediazione linguistica per i governi e le autorità ufficiali. In Spagna
esiste la “Oficina de Interpretación de Lenguas”, che dipende direttamente dal
Ministero per gli Affari Esteri (Cáceres Würsig 2004: 127).
Andando un po’ a ritroso nel tempo, a metà del XIX secolo, cominciarono ad
essere utilizzati indistintamente i termini Segreteria e Ufficio, nel momento in cui la
Segreteria passò a dipendere dal Ministero dell’Interno.
Tuttavia, il cambio della denominazione si produsse nel 1870, quando apparve la
prima norma legislativa che regolava le Carriere Diplomatica, Consolare e degli
Interpreti. Attraverso questa legge venne regolarizzata la figura dell’interprete presso le
ambasciate e i consolati.
Gli interpreti che prestavano il loro servizio fuori dalla Spagna, potevano essere
aggregati in seguito al superamento di un esame. La loro missione consisteva nel
tradurre e interpretare presso l’ambasciata o il consolato pertinente, mentre l’Ufficio di
174
Interpretariato era l’organo incaricato di preparare e valutare l’esame per gli interpreti
giurati che conferiva il Ministero dell’Interno (Cáceres Würsig 2004: 137-138).
Gli interpreti giurati, invece, prestavano il loro servizio nelle provincie del regno.
Presso l’Ufficio, inoltre, si realizzavano traduzioni dei documenti presentati in pubblico
per valutarne la correttezza, di documenti spediti dai tribunali, dai ministeri, dalle
autorità e, a volte, documenti del Ministero dell’Interno.
Come rilevano gli autori, oggi vi sono poche informazioni sull’Ufficio di
Interpretariato. A tal proposito ricordano che sul sito del Ministero per gli Affari Esteri
non vi è alcun riferimento ad esso. Vi sono informazioni solo sull’interprete giurato,
così come il bando degli esami ufficiali per gli interpreti giurati. L’assenza dell’Ufficio
sul sito del Ministero spagnolo è un ulteriore prova, secondo gli autori, dello scarso
riconoscimento della mediazione linguistica in Spagna.
Per tale ragione, le uniche informazioni sull’organizzazione dell’attuale Ufficio
riguardano il regolamento, i bandi d’esame per traduttori/interpreti ed interpreti giurati e
le interviste ai capi d’area dell’Ufficio. Attualmente, l’Ufficio di Interpretariato dipende
dal Ministero per gli Affari Esteri ed è il massimo organo dell’Amministrazione Statale
in materia di traduzione e interpretazione di lingue (Cáceres Würsig 2004: 138).
L’organizzazione e l’attività dell’Ufficio furono regolate con il Decreto Reale
2555/1977 del 27 agosto. In seguito, il regolamento, nel quale vengono descritte le
competenze dello stesso, fu modificato parzialmente mediante il Decreto Reale
752/1992 del 27 giugno. Nel 1991 fu creato il Corpo di Traduttori e Interpreti assegnato
al Ministero degli Affari Esteri che assunse le funzioni dell’ormai estinto Corpo di
Interpretariato.
Sebbene il regolamento non lo menzioni, l’Ufficio è diviso in due sezioni: una
sezione di traduzione diretta e una di traduzione inversa e interpretariato, sotto la
supervisione diretta di un capo d’area nel primo caso e di un caporeparto nel secondo
(Cáceres Würsig 2004: 138-139).
5.7.1 FUNZIONI DELL’UFFICIO DI INTERPRETARIATO
L’Ufficio di Interpretariato, d’accordo con il regolamento del 1992, svolge le seguenti
funzioni (Cáceres Würsig 2004: 139):
175
a) Nell’area della traduzione:
• Traduzione ufficiale in castigliano dei trattati e dei convegni
internazionali ai quali partecipa lo Stato spagnolo;
• Traduzione inversa di quei testi che lo Stato spagnolo è obbligato a
consegnare ad altri stati in virtù degli accordi internazionali;
• Traduzione inversa e diretta di documenti di carattere diplomatico,
consolare o amministrativo del Ministero degli Affari Esteri, così come
di tutti quei documenti degli organi superiori di Stato relativi alle
relazioni estere e di cui vi deve essere attestazione ufficiale.
b) Nell’area dell’interpretariato:
• Interpretazione di atti in cui intervengono rappresentanti degli organi
superiori dell’Amministrazione Statale, sia in territorio nazionale che al
di fuori di esso.
c) Nell’area della revisione e della consulenza linguistica:
• Confronto delle traduzioni dei trattati e dei convegni internazionali e altri
testi redatti in lingue straniere, la cui pubblicazione in castigliano è
obbligatoria, in virtù dell’ordinamento legale vigente;
• Partecipazione, in qualità di esperti linguistici in traduzione e/o
interpretariato, in riunioni di conferenze o commissioni incaricate della
negoziazione in occasione di Trattati, accordi e convegni internazionali,
sia in territorio nazionale, che al di fuori di esso e assistenza ad altri
Ministeri e organi dell’Amministrazione Statale in materia di traduzioni
e interpretariati;
• Confronto, revisione o traduzione dei documenti spediti dalle autorità
giudiziarie, che devono essere conformi a quanto previsto dalle norme
processuali, laddove il Ministero di Giustizia non abbia previsto un’ altra
procedura per la prestazione di questo servizio;
• Risolvere perizie e consultazioni relative alla traduzione e interpretazione
di lingue e glossari terminologici in materie di sua competenza.
d) Organizzazione di esami per l’interprete giurato (Cáceres Würsig 2004: 139140).
176
L’Ufficio è l’organo di comunicazione ufficiale con le istituzioni competenti in
traduzione e interpretariato della UE, organismi internazionali e paesi stranieri. Ha
inoltre contatti con le istituzioni simili delle Comunità Autonome. L’Ufficio è inoltre il
membro fondatore della “Conference of Translation Services of European States”,
creata nel 1982 (Cáceres Würsig 2004: 141).
5.8 LA SITUAZIONE PROFESSIONALE DEL TRADUTTORE IN SPAGNA
Negli anni ’90 vi erano solo quattro centri di formazione per traduttori, tre dei quali si
occupavano di formare interpreti: l’Istituto Universitario di Lingue Moderne e
Traduttori di Madrid e le tre EUTI di Barcellona-Bellaterra, Granada e Las Palmas
(Benítez 1994: 619-620).
Due erano in quegli anni le associazioni a livello nazionale:
1) La Sezione Autonoma di Traduttori di Libri dell’Associazione Collegiale
degli Scrittori, fondata nel 1983;
2) L’Associazione Professionale Spagnola di Traduttori e Interpreti
(APETI), fondata nel 1954, che riunisce traduttori di generi differenti (di
libri, di impresa, interpreti giurati) ed interpreti (di conferenza,
simultaneisti e di consecutiva).
Vi erano poi associazioni di traduttori di catalano, gallego e basco (Benítez 1994:
623-624).
La professione di interprete e traduttore è certamente una delle più appassionanti,
ma poco riconosciuta finora e di scarso prestigio. La creazione in Spagna della FIT
(Facultades de Traducción e Interpretación) è servita a ravvivare degli studi che
storicamente sono sempre stati posti in secondo piano (Pujol Puente 2000: 225).
Nel 1995 venne fondata TRIAC (Traductors i Intèrprets Associats Pro-Col.legi)
da un gruppo di studenti e neolaureati e professionisti che possedevano il vecchio titolo
EUTI. Uno dei problemi maggiori nella professione del traduttore secondo Pujol Puente
è la mancanza di consapevolezza nell’utente e nella società in generale, della difficoltà
di questo lavoro e della preparazione accademica e personale necessaria per svolgere
con buoni risultati tale attività.
177
Per TRIAC è fondamentale far capire all’utente che tradurre non è né facile, né
automatico. La mancanza di riconoscimento comporta il mantenimento di prezzi bassi
da parte dei traduttori, al fine di evitare che persone incompetenti svolgano il lavoro
proprio dei traduttori.
Un altro neo della professione è rappresentato dall’isolamento nel quale lavorano
molti traduttori. La traduzione e l’interpretazione richiedono in generale un grosso
lavoro individuale, che prevede pochi momenti aggregativi (Pujol Puente 2000: 226227).
Per tale motivo, i membri di TRIAC di cui Pujol Puente era Presidentessa,
ritengono che solo la creazione di un collegio professionale possa aiutare a risolvere
questi problemi. Le associazioni di traduttori e/o interpreti in Spagna sono di due tipi.
Le prime sono associazioni settoriali (interpreti di conferenza, traduttori giurati, ecc.) e
sebbene funzionino bene, possono proteggere solo gli interessi di un collettivo ristretto e
isolato dal resto dei professionisti. Le seconde sono le associazioni di tipo nazionale,
che non funzionano come dovrebbero, in quanto succede spesso che i professionisti
vivono in luoghi differenti, si conoscono poco e non possono interagire e ciò non
permette alle stesse associazioni di essere efficaci (Pujol Puente 2000: 227-228).
Il collegio professionale è una lobby giuridica riconosciuta, con funzione di
rappresentare il collettivo che si occupa del consolidamento della professione nella
società e che permette un maggior accesso ai poteri legislativo ed esecutivo.
Il collegio professionale dei traduttori e degli interpreti abbraccerebbe tutti i
professionisti della traduzione e dell’interpretazione e per tale ragione dovrebbe
rispondere della salvaguardia dei loro interessi generali e settoriali. Il collegio si
costituisce per mezzo della legge e tale status permetterebbe allo stesso di avvicinarsi
alle amministrazioni che si occupano della legislazione e curano gli interessi della
professione e di avvicinarsi anche al mondo delle università.
Altro aspetto importante è la capacità giuridica del collegio di stabilire delle
tariffe orientative, aspetto impensabile finora per qualsiasi altro tipo di organizzazione
associazionista (Pujol Puente 2000: 228).
Vi sono poi secondo gli autori altri temi molto importanti: il primo è l’obbligo di
iscrizione al collegio. Legalmente, una volta costituito il collegio, le persone che vi si
possono iscrivere saranno solo i professionisti e saranno obbligati per legge ad iscriversi
178
per esercitare. Per tale motivo, uno degli aspetti più delicati dello statuto del collegio è
quello della specificazione delle condizioni di adesione al collegio. Il secondo tema
importante è la territorialità del collegio. Si tratta di una questione molto discussa. La
creazione di un collegio autonomistico è fattibile amministrativamente e politicamente
(Pujol Puente 2000: 229).
I principali obiettivi della associazione sono:
•
Creazione di un collegio professionale dei traduttori/interpreti;
•
Orientamento professionale;
•
Svolgimento di attività relative alla professione.
Per il futuro gli autori sperano nella creazione di un codice deontologico della
professione, così come di un contratto per poter salvaguardare gli accordi tra
professionisti e utenti.
TRIAC è stata in seguito accettata come membro della FIT, il che permette di
mantenere un contatto diretto con associazioni, sindacati e collegi di tutto il mondo
(Pujol Puente 2000: 229-230).
A partire dal 1 gennaio 2009 il nome è mutato in APTIC (Associació Profesional
de Traductor i Intèrprets de Catalunya), a partire dalla fusione delle due associazioni di
traduttori e intepreti della Catalogna: la Asociación de Traductores y de Intérpretes de
Cataluña (ATIC) e Traductores e Intérpretes Asociados pro Colegio (TRIAC), che
hanno operato separatamente fino allo scorso anno (http://www.aptic.cat/ accesso
10/01/2010).
5.9 LA NECESSITÀ DELLA FORMAZIONE DEI TRADUTTORI-INTERPRETI
La formazione di traduttori ed interpreti si sta realizzando attualmente in Spagna in più
di venti centri universitari, che offrono corsi di laurea in traduzione e interpretazione. La
proliferazione di tali centri si deve in buona parte alla domanda suscitata dall’adesione
della Spagna alla UE nel 1986 (Baigorri et al. 2005: 218).
Le nuove necessità presenti nella società si sono riflesse nei piani di studio di
determinate università e in programmi specifici di formazione per l’interpretazione per i
179
servizi pubblici, come quelli offerti presso l’università di Alcalá. Tuttavia le iniziative
sono insufficienti per far fronte alla situazione emergente.
La formazione specifica degli interpreti deve basarsi non solo sull’appoggio delle
università, ma anche di tutte le istituzioni pubbliche interessate al problema.
È fondamentale la collaborazione tra i richiedenti dei servizi di interpretazione
(istituzioni pubbliche e/o private, ONGs) e i centri che possono impartire la formazione.
In tal senso è necessario che le autorità pubbliche cambino atteggiamento e riconoscano
l’importanza di avere degli interpreti preparati.
Ricorrere ad agenzie di traduzione e interpretariato che offrano servizi specifici,
senza un controllo sulla qualità, né delle condizioni lavorative da parte dei utenti di tali
agenzie, contribuisce a fomentare il precariato degli interpreti e la fuga dei migliori
professionisti verso mercati più attrattivi (Baigorri et al. 2005: 218-219).
Tenendo in conto la rigidità amministrativa delle università nel modificare i propri
piani di studio e la scarsità di mezzi per accrescere l’offerta delle lingue, non è difficile
immaginare che la formazione degli interpreti per i servizi pubblici in generale e per i
medici, in particolare, si dovrà realizzare attraverso programmi monografici di una
formazione, nei quali i parlanti nativi di una lingua costituiscono un’eccellente fonte di
attrattiva per gli studenti (Baigorri et al. 2005: 219).
In Spagna vi sono due centri principali di ricerca e formazione in questo campo:
l’Università di Alcalá de Henares e l’Università di Granada. Presso l’Università di
Granada venne offerto nel 1999 il primo corso di dottorato dedicato a questo tema e da
questa università il gruppo di ricerca GRETI ha sviluppato vari studi sulla valutazione
della qualità dei servizi prestati dagli interpreti nei servizi sociali (Sales Salvador 2005).
Ma senza dubbio è l’Università di Alcalá de Henares quella che ha portato avanti
uno studio più sistematico, grazie al “Grupo de Formación e
Investigación en
Traducción e Interpretación en los Servicios Públicos” (FITISPOs), coordinato da
Carmen Valero-Garcés, la quale ha scritto maggiormente sull’argomento. Fu proprio
questo gruppo ad organizzare il primo congresso in Spagna sulla traduzione e
interpretazione nei servizi pubblici nel 2002.
Una differenza sottile, ma importante tra il gruppo dell’Università di Granada e il
gruppo dell’Università di Alcalá, è che il primo, guidato da Anne Martin, utilizza
180
l’etichetta di “interpretazione sociale”, mentre il secondo preferisce “interpretazione per
i servizi pubblici”.
Per progettare un corso di formazione di traduttori e interpreti nei servizi pubblici
è necessario conoscere i servizi pubblici, gli utenti, le persone che vi lavorano come
traduttori/interpreti e coloro che aspirano a diventarvi.
Il gruppo di ricerca FITISPOs dell’Università di Alcalá a partire dal 1999 ha
realizzato vari progetti di ricerca e ha avuto il merito di aver stabilito contatti con i
servizi pubblici per conoscere la realtà esistente, i punti di vista e le necessità di
traduzione/interpretazione di questi casi, così come per conoscere le necessità
linguistiche degli utenti. Partendo dai risultati di questa ricerca e dalle conoscenze
acquisite dai componenti del gruppo, come ricercatori e come professionisti, è stata
proposta un’attività formativa che pretende dare risposte alle necessità attraverso la
combinazione di conoscenze teoriche e pratiche delle istituzioni pubbliche (Sales
Salvador 2005).
In particolare si tratta di un corso di specializzazione in Interpretazione per i
Servizi Pubblici, attivo dal 2001-2002 (Valero Garcés 2004).
Il corso si rivolge sia a studenti laureati che diplomati, questi ultimi possono però
seguire solo 3 moduli anziché 4. I tre moduli sono:
1) Comunicazione interlinguistica: introduzione alla T&ISSPP
2) Traduzione e Interpretazione in ambito sanitario;
3) Traduzione e Interpretazione in ambito legale-amministrativo.
Gli studenti laureati possono optare per un corso di specializzazione post-laurea,
in T&ISSPP nei servizi pubblici (500 ore), che prevede oltre ai 3 moduli succitati anche
un quarto modulo, definito “On-Site formazione”. Questo modulo include traduzione,
interpretazione,
terapia
culturale e
conoscenze delle procedure
istituzionali,
supervisionate da un tutor. Esso risponde a due obiettivi secondo Valero Garcés: da un
lato, permette agli studenti di mettere in pratica la formazione teorica e pratica e di
apprendere le procedure istituzionali attraverso l’osservazione, il contatto e l’interazione
con gli operatori e gli utenti; dall’altro, la presenza di tirocinanti nei servizi pubblici,
accresce
la
consapevolezza
negli
operatori
181
dell’importanza
del
ruolo
di
traduttori/interpreti professionisti nelle relazioni tra gli operatori istituzionali e gli utenti
che non conoscono la lingua della maggioranza o delle istituzioni (Valero Garcés 2004).
Negli ultimi anni poi è in corso un progetto per creare una disciplina di “esercizi
di interpretazione (mediazione linguistica e culturale) in ambito sociale”; si tratta di una
disciplina che pretende avere carattere interuniversitario e che unisce la Spagna e altri
paesi europei, attraverso una rete di docenti provenienti da tre università europee:
Salamanca, Hildesheim (Germania) e Bologna-Forlì (Italia) (Baigorri et al. 2005: 219220).
La mediazione linguistico-culturale orale nella UE è stata realizzata in due campi:
l’interpretazione di conferenza e l’interpretazione sociale, intesa nel senso più ampio
(tribunali, immigrazione, polizia, ospedali, ecc.).
La prima pone sfide considerevoli in questo momento, dovuto in particolare
all’ampliamento della UE, con uno sguardo ai criteri tradizionali di qualità ed
efficienza, affinché i politici, i funzionari e i cittadini in generale, possano comunicare
nelle loro rispettive lingue nei rapporti con le istituzioni.
La seconda, denominata “sociale”, non riguarda tutti i paesi, né viene contemplata
allo stesso modo nei sistemi sociali di tutti gli Stati membri (Baigorri et al. 2005: 220).
Il progetto ha: 1) una pertinenza sociale, poiché le situazioni che si simulano e si
studiano servono per far fronte ad un problema sempre più presente nelle nostre società;
2) una pertinenza accademica, poiché permette di dotare di contenuti indicativi, validi in
vari paesi, una disciplina necessaria in programmi di formazione pratica di un certo
livello, in un contesto di armonizzazione e convergenza tra le istituzioni universitarie,
con uno sguardo allo spazio europeo comune di educazione superiore e infine 3) una
pertinenza professionale, poiché mira ad un profilo di interprete sociale, figura
necessaria nelle odierne società (Baigorri et al. 2005: 220-221).
Gli obiettivi fondamentali sono 2:
•
Elaborare una serie di esempi di situazioni-tipo basate su incontri
multilingue
e
multiculturali
in
collaborazione
con
le
autorità
corrispondenti, così come con le ONGs, associazioni di immigrati, ecc.
Ogni situazione avrà una scheda didattica, nella quale si analizzerà il caso
da vari punti di vista: linguistico, sociale, culturale, deontologico;
182
•
Contribuire alla definizione di un profilo professionale di interprete sociale
o comunitario, che conduca ad un accreditamento ufficiale di interprete
sociale professionale, ispirata alla figura dell’interprete giurato, che esiste
in Spagna da molto tempo.
La metodologia che si seguirà sarà fondamentalmente empirica e consisterà in:
1) Riflessione e preparazione;
2) Fase 1: registrazione delle situazioni;
3) Fase 2: montaggio;
4) Valutazione e feedback;
5) Elaborazione della memoria e presentazione dei risultati (Baigorri et al.
2005: 221-222).
5.9.1 LA FORMAZIONE DEGLI INTERPRETI PER I SERVIZI PUBBLICI: IL
CASO DELLA COMUNITÀ AUTONOMA CANARIA
L’Università de La Laguna organizza a partire dal 1988 un corso di formazione postuniversitario, ovvero un master dedicato alla formazione di interpreti di conferenza,
tanto nella modalità consecutiva, quanto in quella simultanea. Tale master fu creato in
seguito alla crescente domanda di interpreti professionisti, che si è creata per vari
motivi, tra cui l’entrata della Spagna nella UE (Luis Estévez-Toledano Buendía 2002:
71).
Nonostante l’ottima reputazione di cui gode il corso, non copriva pienamente le
necessità specifiche e locali della comunità canaria. All’interno dell’isola, la domanda
di interpreti di conferenza è relativamente scarsa a causa dell’esiguo numero di eventi di
carattere internazionale che vi si celebrano. Tuttavia, il costante numero di turisti e il
crescente numero di residenti stranieri e di immigrati, configurano una società sempre
più multiculturale e multilingue, nella quale diventa imprescindibile la figura del
mediatore che assicuri la comunicazione tra i suoi abitanti. A tal fine, l’Università de La
Laguna organizzò nel 1998 un altro corso post-universitario, dedicato alla formazione di
interprete per i servizi pubblici.
183
La Spagna ci ricordano gli autori rappresenta un punto focale di attrazione per
flussi di turisti e di immigrati. In risposta al processo di espansione sperimentato
dall’economia spagnola nelle ultime decadi e l’integrazione nella UE, la Spagna si è
trasformata in un’ importante ricettrice di un gran numero di immigrati.
Inoltre bisogna considerare la posizione geografica, con un’ampia estensione di
costa a sud e ad est peninsulari, le Isole Canarie, l’attrazione culturale che esercita
sull’America Latina e la vicinanza all’Africa. Infine, l’attrattiva turistica è molto forte
(Luis Estévez-Toledano Buendía 2002: 71-72).
Le Canarie hanno sperimentato, a partire dagli anni ’50 del secolo scorso, un
cambio radicale nei propri comportamenti migratori. Da comunità di emigranti, si è
trasformata a partire dagli anni ’60 e ’70 in società d’accoglienza, in seguito all’impatto
del boom turistico.
Le nuove comunità di immigrati richiedono interventi di carattere assistenziale, da
qui ne consegue la necessità di reclutare interpreti. È possibile classificare in tre grandi
gruppi le comunità di stranieri che richiedono servizi di mediazione linguistica: 1) i
residenti stranieri, nei quali rientrano gli immigrati legali; 2) gli immigrati illegali che
non hanno regolarizzato la loro situazione e 3) i turisti. I luoghi in cui si richiedono i
servizi sono gli uffici dello Stato, ambulatori e ospedali, commissariati di polizia,
tribunali o altri uffici dell’Amministrazione della Giustizia, ONGs,ecc (Luis EstévezToledano Buendía 2002: 72-74).
Entrando nel merito del corso post-universitario in “Interpretazione di Lingue”
esso ha una durata di 9 mesi, che corrispondono a 500-600 ore di lezione annuali. I
candidati devono avere una laurea o un diploma di laurea e superare una prova selettiva.
L’obiettivo fondamentale del corso è formare alunni nella modalità di
interpretazione bilaterale o di trattativa, poiché è la modalità di interpretazione più
richiesta nei servizi succitati. Il corso è strutturato in due blocchi
distinti che si
insegnano in maniera simultanea. Da un lato vi sono i moduli tematici, nei quali si
trattano aspetti del lessico specializzato nei vari ambiti lavorativi: comunicazione
turistica, diritto, sanità, banca e finanza, nuove tecnologie, ecc. Dall’altro vi sono i
moduli specifici sull’interpretazione, nei quali si lavora su aspetti del linguaggio legati
all’interpretazione, la memoria, i metodi di documentazione o gli approcci e modelli
teorici del processo di interpretazione e l’applicazione degli stessi.
184
La dinamica delle lezioni si basa principalmente sull’interpretazione di trattativa
di dialoghi preparati dai professori che simulano situazioni reali. I professori
somministrano poi esercizi di traduzione a vista e traduzione scritta, che permettano ai
candidati di completare la parte orale dell’interpretazione e di preparare loro in maniera
completa (Luis Estévez-Toledano Buendía 2002: 74-75).
È fondamentale rendere consapevoli gli alunni dell’importanza della situazione
comunicativa, condizionata da vari fattori extralinguistici quali l’emittente e il
destinatario del messaggio, la funzione e le differenze culturali esistenti. Per favorire
l’analisi della situazione comunicativa, ogni due settimane, alunni e professori
organizzano una tavola rotonda, nella quale si discute un argomento concreto su cui
tutti devono documentarsi anzitempo. Durante la stessa, si stabiliscono diverse modalità
di interpretazione simultanea.
Il corso prevede due prove d’esame. Il primo nel mese di febbraio, di carattere
orientativo, tanto per gli alunni, quanto per i professori. Oltre ai professori, vengono
interpellati per la valutazione dei valutatori esterni, tra cui interpreti professionisti. Il
secondo ha una struttura simile, ma dopo lo stesso si stabilisce se l’alunno è adatto o
meno per svolgere la professione. Anche in questa occasione si invitano valutatori
esterni.
Gli alunni che superano il corso hanno una grossa probabilità di venire chiamati
per prestare il proprio servizio nei tribunali, nei commissariati di polizia e negli ospedali
(Luis Estévez-Toledano Buendía 2002: 75-76).
5.9.2 LA FORMAZIONE DEGLI INTERPRETI PER I SERVIZI PUBBLICI: IL
CASO DELLA COMUNITÀ AUTONOMA BASCA
La necessità di traduttori/interpreti nei servizi pubblici è sempre più evidente. Nella
Comunità Autonoma Basca il numero di immigrati se è triplicato a partire dalla metà
degli anni Ottanta e di conseguenza sono sorte una serie di nuove necessità totalmente
nuove nel panorama sociale (González-Auzmendi 2005: 289).
In seguito alla necessità sempre più urgente di interpreti e al constatare la loro
formazione precaria, nella Facoltà di Filologia, Geografia e Storia dell’Università del
Paese Basco si decise di organizzare il corso di “Fondamenti di Interpretazione
185
Sociale”, con il fine di fornire agli alunni delle conoscenze e delle tecniche base della
materia. Grazie alla sovvenzione del Dipartimento di Immigrazione del Governo Basco,
fu raggiunto uno degli obiettivi principali: che il costo delle matricole fosse accessibile.
Il corso aveva poi 7 crediti impartiti in maniera intensiva in un orario flessibile.
Il numero di stranieri residenti nella comunità basca ha sperimentato un aumento
significativo negli ultimi 5 anni e ciò ha prodotto un cambiamento significativo nella
struttura e composizione della società basca.
L’aumento della popolazione straniera si è verificato in pochi anni, cosicchè molte
istituzioni e organismi, così come la società in generale, non hanno saputo come
rispondere al fenomeno del multilinguismo e multiculturalismo (González-Auzmendi
2005: 289-290).
González e Auzmendi ribadiscono che affinché la vita di una persona straniera si
sviluppi regolarmente e perché si garantisca il suo benessere nella società di
accoglienza, risulta fondamentale che la stessa possa accedere ai servizi pubblici della
società in questione allo stesso modo del resto dei cittadini. Una delle barriere principali
con le quali si scontrano gli immigrati è la lingua.
Esse rilevano inoltre che sono sempre più le aree carenti di interpreti: ospedali,
ambulatori, centri di salute mentale, tribunali, servizi sociali dei comuni, ecc. Nel caso
della comunità basca, una delle principali motivazioni per organizzare il corso è stato il
bando di concorso del comune di Vitoria-Gasteiz, attraverso il quale si cercava di creare
un ufficio di collocamento di interpreti/traduttori sociali che esercitasse nell’ambito dei
servizi sociali del proprio comune.
Una volta scelti i candidati idonei, venne offerto loro un breve corso introduttorio
o seminario sull’interpretazione sociale e i fondamenti delle tecniche di interpretazione
utilizzate (González-Auzmendi 2005: 290-291).
Il collegio dei decani della Facoltà di Filologia, Geografia e Storia si assunse la
responsabilità di organizzare il corso.
L’opportunità si presentò con un bando di
concorso indetto dalla Direzione Generale di Immigrazione del Governo Basco,
attraverso il quale si concedevano sovvenzioni per l’organizzazione di corsi relativi
all’immigrazione.
Al momento di progettare il corso e di decidere il tipo di insegnamenti da
includere, ci si basò sul profilo degli alunni potenziali. Trattandosi del primo anno, il
186
corso assunse un carattere sperimentale. I moduli erano di carattere di carattere pratico.
Tutti gli alunni potevano iscriversi a tutti i moduli o a singoli moduli che potevano
interessare loro:
•
Teoria dell’interpretazione sociale;
•
Pratica generale delle modalità di interpretazione;
•
Terminologia;
•
Diritto;
•
Culture del mondo;
•
Pratiche di interpretazione;
•
Seminari (Gonález-Auzmendi 2005: 291-294).
Uno dei problemi principali rispetto al corpo docenti fu la scarsa esperienza che
esiste nella comunità basca nel campo della IS. Lingue come l’inglese e il francese non
posero problemi. Per le altre lingue, invece, si fece ricorso a professori provenienti da
altre università spagnole.
Per quanto riguarda l’orario, il corso iniziò a settembre del 2004 e terminò i primi
di novembre. I moduli si impartivano dal lunedì al venerdì e alcuni sabati mattina dalle
ore 17 alle ore 20.
Al corso si iscrissero 64 alunni, di cui 13 erano di origine straniera. Rispetto al
livello di istruzione degli alunni, la maggior parte erano diplomati o laureati, sebbene vi
era anche un gruppetto di 5 alunni che aveva la licenza media. Gli alunni erano così
suddivisi: 32 per l’inglese, 24 per il francese, 7 per l’arabo, 6 per il russo e 3 per il
cinese. Quindici alunni si iscrissero a più di una combinazione linguistica, mentre
quattordici si iscrissero a corsi singoli.
Per quanto riguarda gli attestati, ne vennero rilasciati 62. In caso di frequenza
irregolare, vennero rilasciati certificati solo per i moduli che gli alunni avevano seguito
regolarmente.
Terminato il corso, gli alunni furono chiamati a compilare un questionario di
valutazione generale del corso, che risultò molto positivo e si chiese loro, inoltre, di
esprimere commenti o dare suggerimenti per migliorarlo (González-Auzmendi 2005:
294-295).
187
5.10 L’INTEPRETAZIONE PER I SERVIZI PUBBLICI A SARAGOZZA
L’arrivo massiccio di immigrati a Saragozza di provenienza molto diversa gli uni dagli
altri e che non conoscono la lingua, ha sollecitato un’urgente richiesta di interpreti per
far fronte alle necessità dei nuovi arrivati (Martínez Lanzán 2005: 57).
Per rispondere alla richiesta di interpreti all’interno dei Servizi Sociali, il Comune
di Saragozza nel 1999 creò un Servizio Permanente di Interpreti e un Servizio
Telefonico di Interpretariato per Immigrati (SERPI), che costituisce un validissimo
punto di riferimento per gli immigrati, i quali possono richiedervi assistenza e che
risponderebbe all’idea di interpretazione sociale o per la comunità.
All’interno dei servizi sociali, si rivela sempre più importante la presenza di
traduttori/interpreti,
che
possano
fungere
da
mediatori
tra
l’immigrato
e
l’amministrazione, permettendo una comunicazione paritaria tra appartenenti a culture
differenti.
Nella città di Saragozza vivono numerosi stranieri residenti, ben integrati, molti
sono lavoratori qualificati impiegati nelle multinazionali, ma vi sono altrettanti
immigrati che necessitano di un servizio di interpretariato per integrarsi nella nuova
realtà (Martínez Lanzán 2005: 57-58).
In parte, come ricorda l’autrice, il delicato compito di agevolare l’accesso di
queste persone ai servizi pubblici è svolto da ONGs come Cáritas o SOS Racismo o le
associazioni di immigrati, 27 a Saragozza, create dagli immigrati o in alcuni casi dagli
aragonesi, consapevoli delle enormi difficoltà che incontrano i nuovi arrivati.
“La Casa de las Culturas y Solidaridad”, istituzione che fa parte dell’area dei
servizi sociali del Comune di Saragozza, fu aperta nel 1998 ed è attualmente un punto di
riferimento importante sia per gli immigrati, sia per molte ONGs che svolgono
programmi o attività con o per i nuovi arrivati, ma aperta anche ai cittadini, soprattutto
ragazzi nell’intento di fornire conoscenze su altre culture.
Fu
costituita
come
un
servizio
comunale,
specializzato
nel
favorire
l’organizzazione e lo sviluppo di attività volte alla sensibilizzazione sociale sul
fenomeno migratorio. Una dei servizi che offre la Casa in collaborazione con il “Real e
Ilustre Colegio de Abogados de Zaragoza” è un Servizio Permanente di Interpreti per
Immigrati e un Servizio Telefonico di Interpretariato (SERPI), che garantisce
188
l’assistenza agli stranieri che non conoscono la lingua e sono disagiati economicamente,
per mezzo dell’ausilio di un interprete (Martínez Lanzán 2005: 58-59).
Al momento è il tentativo più serio all’interno dell’amministrazione di Saragozza
di mettere in pratica quella che viene definita interpretazione per i servizi pubblici. È
finanziata dal Comune di Saragozza.
Le principali funzioni sono:
a) informare gli immigrati sui propri diritti e sulla propria condizione;
b) prestare servizi di assistenza sociale, giuridica, lavorativa;
c) essere un punto d’incontro tra gli immigrati, le loro associazioni e altre persone o
istituzioni interessate all’argomento;
d) facilitare l’accoglienza di immigrati e gli strumenti necessari per realizzare la loro
normalizzazione sociale e lavorativa;
e) rafforzare la partecipazione degli immigrati e delle minoranze (Martínez Lanzán
2005: 59).
Tali funzioni sono suddivise in due grandi aree: 1) l’area personale e sociale e 2) l’area
della multiculturalità, sensibilizzazione e tolleranza. Nell’area personale, all’interno del
Programma di Eliminazione delle Barriere di Comunicazione, vennero inserite lezioni
di spagnolo per stranieri e il Servizio Permanente di Interpreti (SERPI).
Il servizio è consapevole che una delle principali difficoltà della popolazione
immigrata nel processo di integrazione sociale è l’idioma. Per tale ragione vengono
impartite lezioni di spagnolo ed è stato costituito il SERPI (Martínez Lanzán 2005: 59).
5.10.1 IL SERPI
Il Servizio Permanente di Interpreti per Immigrati include un Servizio Telefonico di
Interpretariato, che si occupa di traduzione e interpretazione sociale a Saragozza
(Martínez Lanzán 2005: 60).
Per richiedere il servizio, i professionisti devono rivolgersi alla “Casa de las
Culturas” o al “Colegio de Abogados” a seconda dell’ambito di intervento. Il servizio è
attivo dal lunedì al venerdì dalle ore 9 alle ore 21, anche se attraverso il servizio
telefonico viene garantita un’assistenza permanente.
189
Il SERPI nasce dalla preoccupazione del Colegio de Abogados di Saragozza per i
temi sull’immigrazione. Dall’accordo tra il Governo di Aragona e il Colegio de
Abogados nacque il Servizio di Assistenza e Orientamento Giuridico per gli Immigrati
(S.A.O.J.I.), che garantisce l’assistenza gratuita a qualsiasi persona, soprattutto
immigrati, in materia di condizione degli stranieri, così come l’orientamento giuridico
nei confronti degli organi competenti, includendo la difesa di qualsiasi cittadino per
salvaguardare i diritti che riconosce lo Stato Spagnolo (Martínez Lanzán 2005: 60).
Dopo vari anni di funzionamento, S.A.O.J.I. mostra una carenza importante: non
possiede un servizio di interpreti qualificati, che affianchi i professionisti e che possa
garantire il diritto costituzionalmente riconosciuto agli stranieri di usufruire, nelle
interazioni con l’Amministrazione e nei processi che li vedono coinvolti, di una persona
che parli la loro lingua e faciliti lo scambio verbale con l’avvocato.
Da qui la collaborazione tra il Comune e il Colegio de Abogados, che si
concretizza nel Servizio Permanente di Interpreti per gli Immigrati (SERPI) ed un
Servizio Telefonico di Interpreti. L’accordo viene siglato il 26 aprile 1999 con una
durata di pochi mesi, ma è stato prorogato ed attualmente è un servizio consolidato
nell’area dei Servizi Sociali Specializzati (Martínez Lanzán 2005: 60-61).
Inizialmente il servizio fu creato per favorire l’integrazione sociale di quegli
immigrati che, con minima conoscenza dello spagnolo, si dedicavano alla
traduzione/interpretazione in maniera sporadica e poteva costituire uno sbocco
professionale per loro.
Per quanto riguarda i criteri di selezione, essi erano di due tipi: da un lato, la
qualifica tecnica, ovvero la qualità della traduzione o interpretazione e, dall’altro lato, i
traduttori/interpreti dovevano possedere una minima vocazione per la professione.
Nel 2000 il servizio era attivo in 17 lingue. Attualmente la richiesta è di interpreti
arabe per le donne arabe, le quali per ragioni culturali, rifiutano il contatto con interpreti
maschi. Il servizio mette a disposizione interpreti di tedesco, arabo, bielorusso, bulgaro,
cinese, dialetti africani (Senegal, Gambia, Ghana e Togo), dialetti arabi (berbero, ecc.),
dialetti indios, francese, olandese, inglese, italiano, lingue dell’ex Yugoslavia, lituano,
polacco, portoghese, rumeno, russo e ucraino.
Gli interpreti si impegnano a garantire:
190
a) l’assistenza immediata nel settore amministrativo/giuridico per il quale si
richiede l’intervento;
b) l’assistenza telefonica, nel caso in cui questa si renda necessaria per il
personale accreditato;
c) l’accreditamento presso il Colegio de Abogados delle prestazioni effettuate al
fine di procedere alla liquidazione;
d) la partecipazione obbligatoria alle riunioni che si convocano periodicamente
(Martínez Lanzán 2005: 61-62).
Dal canto loro, la Casa de las Culturas e il Colegio de Abogados facilitano i
contatti con gli interpreti.
Essi dispongono di un carnet accreditante la loro appartenenza al Servizio che ha
lo scopo di agevolare il loro accesso alle varie istanze ufficiali, soprattutto tribunali e
commissariati di polizia.
Per quanto riguarda i compensi, gli interpreti guadagnano 24 euro (4.000 pesetas)
all’ora o sessione superiore a mezz’ora nei casi di assistenza verbale e 6 centesimi di
euro per parola (10 pesetas), nel caso delle traduzioni.
Da quando è attivo il servizio, è in costante aumento la richiesta di interpreti
presso i commissariati di polizia, gli ospedali e i servizi sociali in genere, il che
conferma la necessità di avere un servizio di traduzione/interpretazione permanente
nell’area dei Servizi Pubblici che riveste il SERPI (Martínez Lanzán 2005: 62).
191
CAPITOLO VI
INTERPRETARE PER LA GIUSTIZIA IN SPAGNA
6.1 TRADURRE E INTERPRETARE PER LA GIUSTIZIA
Il lavoro degli interpreti-traduttori nell’ambito dell’Amministrazione della Giustizia in
Spagna si svolge principalmente in ambito penale-processuale. La ragione consiste nel
fatto che, in ambito penale si lavora d’ufficio, mentre i ricorsi civili, sociali o
contenzioso-amministrativi, sono atti di giurisdizione volontaria, ovvero si lavora su
richiesta di parte, ed in questo caso, sono le parti che devono procurarsi un interprete o
la documentazione tradotta da un interprete giurato, sebbene può accadere che i
traduttori del Servizio dell’Amministrazione della Giustizia, siano chiamati a realizzare
traduzioni o interpretariati in quei casi in cui l’organo giudiziario lo reputi necessario, al
fine di dettare una sentenza “giusta”, ovvero per poter contare su di un interprete
imparziale che non favorisca nessuna delle parti in conflitto (Ibáñez de Opacua 2000:
157).
Inoltre, non è necessario essere interprete giurato per poter lavorare
nell’Amministrazione della Giustizia in Spagna. Il titolo richiesto attualmente dal
Ministero della Giustizia è il BUP (Bachillerato Unificato Polivalente).
L’autrice sostiene che il rapporto lavorativo dell’interprete/traduttore con
l’Amministrazione della Giustizia presenta 3 modalità distinte:
1) Interprete-traduttore freelance o autonomo, al quale l’organo giudiziario
ricorre quando necessita di un interprete-traduttore di una lingua/e non
presenti nell’organico o nel caso in cui siano presenti nell’organico, in
orari o giorni lavorativi extra;
2) Interprete-traduttore temporaneo: ha un contratto temporaneo con il
Ministero della Giustizia ed è assegnato ad un organo giudiziario
determinato. Le sue funzioni sono uguali a quelle dell’interprete-traduttore
fisso;
192
3) Interprete-traduttore di ruolo: gli interpreti-traduttori fissi ottengono il
posto per concorso-opposizione (Ibáñez de Opacua 2000: 157-159).
Dopo gli esami di opposizione e una volta superati, il tribunale esaminatore terrà
in conto i titoli o altri meriti degli aspiranti. Una volta superata l’opposizione,
l’interprete-traduttore è destinato ad un organo giudiziario, senza che il Ministero
impartisca un corso di formazione.
Ibáñez de Opacua ci ricorda che il lavoro di un interprete-traduttore
nell’Amministrazione della Giustizia in Spagna dipende molto dall’organo ufficiale al
quale viene assegnato e della lingua o lingue con la quale/le quali lavora. Vi sono
lingue, ad esempio l’arabo, per le quali il lavoro di interpretariato supera di molto quello
di traduzione, mentre per altre lingue, come nel caso dell’inglese, del francese, del
tedesco e altre lingue si realizzano tante traduzioni quanti interpretariati (Ibáñez de
Opacua 2000: 160-161).
L’organico attuale dell’Amministrazione della Giustizia è formato da 55
traduttori-interpreti, di cui 24 fissi e 32 interini e vi sono 10 posti vacanti (Sánchez et al.
2004: 94).
Le combinazioni linguistiche più frequenti sono: arabo-francese; tedesco-inglese;
francese-inglese. Vi sono poi posti con una sola lingua: francese o inglese. Il resto delle
combinazioni linguistiche hanno solo uno o due posti: cinese-inglese; portogheseinglese; polacco-francese; italiano-portoghese; basco-francese e catalano-francese.
Per quanto riguarda la distribuzione territoriale, la Comunità dove vi sono più
traduttori-interpreti è quella di Madrid.
La settimana lavorativa dei traduttori-interpreti di ruolo è di 37,5 ore. Il lavoro si
svolge dal lunedì al venerdì, ma vi sono tre posti con giornata lavorativa da mercoledì a
domenica. L’obiettivo è assicurare la presenza di traduttori-interpreti di ruolo nei
tribunali di difesa durante il fine settimana. Generalmente, fuori dall’orario abituale
(sera o fine settimana), i tribunali di difesa ricorrono ad interpreti autonomi (Sánchez et
al. 2004: 94-96).
Per quanto riguarda infine i mezzi materiali di cui fa uso l’interprete-traduttore in
ambito giudiziario Sánchez et al. sostengono siano pochi e ancora più scarsi risultano i
mezzi informatici. Vi sono traduttori-interpreti che non hanno un proprio ufficio e che
193
utilizzano come supporto solo una macchina da scrivere o sono obbligati ad utilizzare il
proprio computer (Sánchez et al. 2004: 97).
6.1.2 ASPETTI DELLA TRADUZIONE NELL’AMMINISTRAZIONE DELLA
GIUSTIZIA: TIPI DI TESTI
La traduzione a vista si utilizza frequentemente in giudizio, poiché si tratta
generalmente di documenti rilevanti per la causa e che non si possono tradurre per
mancanza di tempo (Ibáñez de Opacua 2000: 167).
Quando questo succede, l’interprete dovrà chiedere al Presidente o al giudice, il
permesso di leggere il documento per familiarizzare con il contenuto, i termini e lo stile
dello stesso e per poter effettuare una traduzione adeguata.
È raccomandabile secondo l’autrice leggere i testi prima di tradurli, poiché questa
tecnica facilita la loro comprensione e, se possibile, fare un glossario dei termini che
pongono difficoltà o quelli che si ripetono e che il traduttore conosce, ma che possono
avere varie accezioni.
Allo stesso modo dell’interpretariato, la traduzione deve essere fedele
all’originale, ovvero il traduttore deve rispettare non solo il contenuto, ma anche lo stile,
il registro e la grammatica utilizzata (Ibáñez de Opacua 2000: 167).
Per quanto riguarda i testi che si traducono all’interno dell’Amministrazione della
Giustizia, essi si possono classificare come segnalano Sánchez et al. in tre macrogeneri:
1) i documenti propriamente giuridici (atti, sentenze, legislazione, rogatorie
internazionali); 2) i documenti giudiziari, ovvero documenti non giuridici inclusi in un
processo giudiziario e all’interno di questi, testi generali (certificati di reclusi,
documenti vari) e 3) testi di altre specialità: da certificati personali alla documentazione
di un processo seguito all’estero, documenti notarili, atti di costituzione e statuti delle
società, contratti, deposizioni, sentenze, ordinanze, atti di accusa, indagini peritali,
articoli di codice, documentazione bancaria, ecc. (Sánchez et al. 2004: 101).
Allo stesso tempo, a volte, si rende necessario trascrivere e tradurre conversazioni
telefoniche, un compito molto difficile, così come confrontare la trascrizione-traduzione
di conversazioni effettuate da traduttori assegnati al Ministero dell’Interno e che
saranno esibite come prove in sede di giudizio (Sánchez et al.2004: 101).
194
I problemi che i traduttori al servizio dell’Amministrazione della Giustizia devono
affrontare non sono pochi. Ibáñez de Opacua ci ha segnalato i più importanti:
•
Il linguaggio giuridico è molto tecnico e concettuale e le istituzioni o
figure giuridiche non sempre si corrispondono da un paese all’altro;
•
Nessuno supervisiona le traduzioni;
•
Il traduttore deve leggere quanto più può sui vari ordinamenti giuridici;
elaborare glossari; liste bilingue con termini giuridici e/o tecnici;
consultare dizionari mono e bilingue, ecc.
•
La mancanza di tempo per poter realizzare una buona traduzione dal
punto di vista stilistico (Ibáñez de Opacua 2000: 168-169).
6.1.3 SITUAZIONE ATTUALE DELLA TRADUZIONE/INTERPRETAZIONE
NELL’AMMINISTRAZIONE DELLA GIUSTIZIA
Nonostante l’aumento del numero di traduttori/interpreti fissi che si è verificato degli
ultimi anni nell’Amministrazione della Giustizia in Spagna, il gruppo non ha acquisito
un peso maggiore, poiché a causa della creazione delle Comunità Autonome, si è
moltiplicato il numero degli interlocutori, i modi di intendere il servizio, sono state
introdotte modifiche delle condizioni lavorative, ecc. (Sánchez et al. 2004: 86).
Per quanto riguarda la legislazione che regola la fornitura di servizi di traduzione
e interpretariato, nell’ambito della giustizia, gli autori segnalano l’importanza della
regolamentazione e della giurisprudenza esistente al riguardo, tanto in ambito
internazionale quanto nazionale, soprattutto in ambito penale.
La legislazione internazionale, che la Spagna ha sottoscritto, forma parte
dell’ordinamento giuridico del paese. Ci riferiamo alla “Dichiarazione Universale dei
Diritti dell’uomo e del cittadino” (10 dicembre 1948), dove si afferma il principio ad un
diritto equo, anche se il testo è semplicemente una raccomandazione. In secondo luogo,
il “Patto Internazionale dei Diritti Civili e Politici (16 dicembre 1966) e infine
nell’ambito del Consiglio d’Europa, il Convegno Europeo sui Diritti Umani (4
novembre 1950) (Sánchez et al. 2004: 86-87).
Dal suo canto, la UE avanza verso un’integrazione maggiore in tutti gli ambiti.
Così, già il Trattato di Maastricht introdusse una nuova dimensione nell’integrazione
195
europea: la cooperazione in materia di Giustizia e Affari Interni. In tal senso, nel
Consiglio Europeo di Tampere si gettarono le basi per la creazione di uno Spazio
Europeo di Giustizia: miglior accesso alla giustizia; mutuo riconoscimento delle
risoluzioni giudiziarie; coordinamento delle varie istanze degli Stati membri in materia
giudiziaria. Tale evoluzione del diritto e della pratica comunitaria è confermata dalla
“Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea”, che all’articolo 21 proibisce
qualsiasi forma di discriminazione per la lingua e che consacra il diritto alla tutela
giudiziaria all’articolo 47 (Sánchez et al. 2004: 88).
Gli autori ribadiscono che la legislazione nazionale spagnola garantisce allo stesso
modo il diritto ad un accesso paritario alla giustizia. Tale garanzia risale in Spagna alla
fine del XIX secolo, con l’emanazione della “Ley de Enjuiciamento Criminal”
(LECrim), ovvero il Codice di Procedura Penale spagnolo, che regola la presenza
dell’interprete in ambito giudiziario. Concretamente sono gli artt. 440-441-442 che
dispongono l’assistenza dell’interprete-traduttore. Tali articoli si basano sull’assistenza
dell’interprete nella deposizione testimoniale, ma la sua attività è molto più ampia e si
applica a qualsiasi persona nei suoi rapporti con la giustizia.
In particolare, l’articolo 441 è quello che regola la nomina dell’interprete:
El intérprete será elegido entre los que tengan título de tales, si lo hubiere en el pueblo.
En su defecto será nombrado un maestro de correspondiente idioma, y si tampoco lo
hubiere, cualquier persona que lo sepa.
Da questo articolo si evince che, la prima persona che può essere autorizzata a svolgere
l’attività di interprete è colei che possiede un titolo di interprete. L’articolo stabilisce in
effetti tre possibilità di nomina dell’ interprete: 1) colui/colei che possiede un titolo; 2)
un “maestro” della lingua, anche senza titolo; 3) qualsiasi persona che conosca la
lingua.
Tuttavia, la LECrim, segnalano gli autori, si contraddice, poiché, nel Titolo II (del
procedimento abbreviato per determinati delitti), all’articolo 785, paragrafo 1 stabilisce
che:
Cuando los imputados o testigos no hablaren o no entendieren el idioma espaňol, se
procederà de conformidad con lo dispuesto en los artículos 398, 440 y 441 de esta Ley,
sin que sea preciso que el intérprete designado tenga titúlo oficial (Sánchez et al. 2004:
88-90).
196
6.1.4 GLI INTERPRETI-TRADUTTORI DELL’AMMINISTRAZIONE DELLA
GIUSTIZIA
Il corpo di interpreti-traduttori dell’Amministrazione della Giustizia è relativamente
nuovo, poiché fino agli anni ’80 non compare nella stessa la figura dell’interpretetraduttore fisso (Sánchez et al. 2004: 91).
Tale è la sua definizione nel Convegno Collettivo per il Personale Lavorativo
dell’Amministrazione della Giustizia del 1996, alla quale rinvia il Convegno Collettivo
Unico del 1998 e che è vigente attualmente:
Es el trabajador que con la titulación de Bachillerato Unificado Polivalente o
equivalente, bajo la dependencia funcional del órgano al que esté adscrito, realiza
funciones de traducción e interpretación de un idioma extranjero o lengua vernácula al
español o viceversa.
La descrizione delle funzioni risulta vaga e imprecisa e al tempo stesso,
sufficientemente amplia da poter inglobare qualsiasi tipo di traduzione, sia diretta che
inversa, che si ritenga conveniente raccomandare.
Tanto nel mondo lavorativo professionale, quanto in tutte le istituzioni
internazionali, i traduttori-interpreti lavorano solo da una o varie lingue straniere verso
la sua lingua materna (Sánchez et al. 2004: 91).
Nell’Amministrazione della Giustizia, il traduttore è anche interprete. L’assistenza
dell’interprete costituisce uno dei diritti fondamentali del detenuto, diritto che è
contemplato nell’articolo 520 della LECrim. Pertanto, gli interpreti formano parte dei
professionisti d’ufficio che lo Stato è obbligato a riconoscere in ambito penale, mentre
in ambito civile, gli interpreti vengono designati su richiesta di parte, come già detto,
salvo in determinati casi.
Gli autori ribadiscono che, nella definizione precedente, non si fa riferimento alla
specializzazione
richiesta
per
svolgere
l’attività
di
interprete
e
traduttore
nell’Amministrazione della Giustizia. Tanto le traduzioni che vi si realizzano:
legislazione, atti, sentenze, ricorsi in appello, rogatorie internazionali, ecc. quanto gli
interpretariati: deposizioni di detenuti o testimoni, giudizi orali, ecc. sono altamente
197
specializzati e richiedono una certa familiarità con il linguaggio giuridico e il
procedimento penale (Sánchez et al. 2004: 92).
Le traduzioni e gli interpretariati che si realizzano nell’Amministrazione della
Giustizia, nonostante il loro carattere giuridico, non sono giurate, ovvero, non è
obbligatorio che le effettuino professionisti accreditati con il titolo di traduttore giurato.
D’altro canto, però, le prove per ottenere il titolo consistono in una traduzione
diretta e una traduzione inversa su una tematica generale e una traduzione giuridica in
castigliano. Vi è anche una prova orale, ma non di interpretariato, ovvero, l’interpretetraduttore dell’Amministrazione della Giustizia possiede competenze più vaste, poiché
realizza al tempo stesso traduzione giuridica inversa e interpretariato giuridico.
Ortega (1999) definisce nella maniera seguente la situazione attuale:
El traductor oficial de la Administración de Justicia debe tener una doble o triple
combinación lingüística de trabajo, ha de saber traducir e interpretar en los dos sentidos
(directa e inversa) y, además, debe conocer tanto la problemática de los documentos
judiciales de naturalezza jurídica […] como la de los textos generales o especializados
que puedan convertirse en documentos judiciales en virtud de su inclusión en un
proceso judicial (Sánchez et al. 2004:92-93).
6.2
LA
NECESSITÀ
DELLA
LINGUA
ARABA
NELLA
TRADUZIONE
GIURIDICA
La Facoltà di Traduzione e Interpretariato di Granada è stata la pioniera
nell’includere la lingua araba accanto al tedesco, il francese e l’inglese nel piano di studi
a partire dall’anno 2001-2002 (El Ghazouani 2008).
Oggi la Spagna conta 4 milioni di immigrati e tra questi il gruppo più numeroso è
rappresentato da quello di lingua araba, con a capo il marocchino. Tale situazione ha
fatto sì che vi fosse negli anni una richiesta crescente di interpreti-traduttori e mediatori
interculturali di lingua araba nei vari organismi e istituzioni.
Per ciò che riguarda la formazione continua, in quanto all’ insegnamento della
traduzione dall’arabo allo spagnolo, l’autore segnala i due centri più importanti:
1) La Scuola di Traduttori di Toledo che dipende dall’Università di CastillaLa Mancha dove si offrono tutti gli anni una varietà di laboratori e un
seminario:
198
•
Laboratori di testi delle NazioniUnite;
•
Laboratori di traduzione giornalistica;
•
Laboratori di testi classici;
•
Laboratori di traduzioni di saggi;
•
Laboratori di traduzioni giuridiche;
•
Laboratori di traduzioni di carattere economico;
Questi laboratori assieme al seminario di traduzione di arabo/spagnolo che si
organizza tutti gli anni (settembre) portano al conseguimento del Corso di
Specializzazione in Traduzione arabo-spagnolo (post-laurea) (El Ghazouani 2008).
Inoltre è stato organizzato per la prima volta nell’anno 2006-2007 un laboratorio
di interpretazione simultanea arabo/spagnolo. Per quanto riguarda la lingua araba, si
offrono corsi di arabo colto, dialetto marocchino e calligrafia araba.
2) L’Università di Alcalá, che organizza corsi di traduzione e interpretariato
di carattere giuridico-legale e amministrativo in lingua araba/spagnola e
altre lingue come cinese, inglese, francese, polacco, rumeno e russo.
Questi corsi si svolgono generalmente tra gennaio e febbraio ad Alcalá de
Henares.
Attualmente, come ci dice El Ghazouani, è evidente il consistente aumento di
arabo parlanti e di ispano parlanti, soprattutto per via della crescente cooperazione tra i
paesi di lingua ispanica, guidati dalla Spagna e i paesi di lingua araba, per le attività di
traduzione e l’interpretariato in entrambe le lingue, specialmente giuridica e giurata e
dei traduttori-interpreti che lavorano in commissariati, ospedali, tribunali, istituzioni
penitenziarie (El Ghazouani 2008).
La necessità che hanno i traduttori di dizionari specifici in ambito giuridico è una
esigenza diffusa ormai da anni. In tal senso, è meritevole l’iniziativa dell’autore del
presente articolo, di creare un dizionario giuridico nella combinazione linguistica
spagnolo-arabo. Tale dizionario fu concepito all’inizio come uno strumento di lavoro e
come un sussidio per gli studenti di traduzione e interpretariato, ma in seguito si
dimostrò che il suo utilizzo sarebbe stato utile sia per gli avvocati, sia per qualsiasi altro
professionista che direttamente o indirettamente lavora nel campo del diritto.
199
Il lavoro, ci riferisce l’autore, non fu semplice sia per l’inesistenza di dizionari
giuridici arabo-spagnolo e viceversa; in secondo luogo, per l’assenza di univocità dei
termini giuridici nei paesi arabi e infine per l’incongruenza tra i sistemi legali, che
rappresenta l’ostacolo maggiore per il traduttore giurato.
Il dizionario raccoglie 3000 entrate. È un ampio repertorio lessico, nel quale si è
cercato di colmare le numerose carenze lessicografiche che vi erano fino ad allora nel
campo della traduzione giuridica. Il dizionario inoltre raccoglie anche termini d’uso
comune impiegati in campo giuridico (El Ghazouani 2008).
6.3 LA REALTÀ DELLA TRADUZIONE E INTERPRETAZIONE GIUDIZIARIA IN
ANDALUSIA
L’Andalusia è una delle regioni spagnole con una maggiore concentrazione di
popolazione straniera e pertanto potrebbe essere definito come un campo molto
esplorato per lo studio del fenomeno traduttivo e interpretativo per i servizi pubblici in
Spagna (Martin 2006: 130).
Nell’opinione dell’autrice, il fenomeno migratorio ha suscitato molto interesse a
livello accademico. Frutto di tale interesse è la nascita del gruppo di ricerca GRETI con
sede nella FTI dell’Università di Granada, che si basa nella ricerca sull’ interpretazione
e traduzione per i servizi pubblici. Nella stessa università è presente il Laboratorio di
Studi Interculturale, pioniere nella ricerca sull’immigrazione da una prospettiva
antropologica e sociologica, oltre ad aver offerto uno dei primi corsi di formazione di
mediatori interculturali a livello post-universitario in Spagna.
Allo stesso modo, l’Università di Almeria ha un progetto di ricerca amplio che indaga il
problema della immigrazione e della comunicazione e nella stessa università venne
organizzato un interessante congresso nel novembre del 2004 sulla Traduzione, Cultura
e Immigrazione (Martin 2006: 131).
La Comunità Autonoma Andalusa è la comunità autonoma più popolata della
Spagna. Inoltre, l’Andalusia è una delle principali zone turistiche del paese e ha un alto
indice di popolazione residente che procede da altre parti dell’Europa, residenti che
formano un altro gruppo di popolazione straniera.
200
Un’altra caratteristica della popolazione straniera in Andalusia è la sua diseguale
distribuzione tra la costa e le zone interne.
Tali dati dimostrano che vi è una necessità potenziale di traduzione e
interpretariato nei servizi pubblici in Andalusia (Martin 2006: 130-132).
Nei tribunali in Andalusia, ci riferisce Martin, la situazione in quanto alla
traduzione e all’interpretariato è molto varia. In seguito al trasferimento di competenze
in materia di giustizia dal Ministero di Giustizia alla Giunta dell’ Andalusia nel 1997, si
è passati da un modello di assunzione diretta ad uno di subappalto dei servizi di
traduzione e interpretariato al settore privato, così come avviene in altre regioni della
Spagna.
Vi sono in Andalusia 10 interpreti fissi assegnati ai vari tribunali della comunità
autonoma, di cui 5 a Malaga, 2 a Siviglia, 1 ad Almeria e 2 a Cadice. Questi interpreti
furono nominati prima del trasferimento delle competenze alla Giunta dell’Andalusia.
In Andalusia, la privatizzazione dei servizi di traduzione e interpretariato di
ambito giuridico iniziò nel 2003 mediante il sistema di gara d’appalto dei concorsi
pubblici per provincia con validità di un anno, rinnovabili a due. La prima gara
d’appalto venne pubblicata sul BOE dell’Andalusia il 18 luglio del 2003 e coinvolgeva
la provincia di Jaen.
Per quanto riguarda gli onorari degli interpreti, oscilla tra i 45 e i 56 euro l’ora, ma
la remunerazione effettiva degli interpreti è generalmente di 24 euro l’ora (Martin 2006:
137-138).
È certo che, come sostiene l’autrice, quando la Giunta dell’Andalusia assunse le
competenze in materia di giustizia, si scontrò con la stessa mancanza di organizzazione
che affligge la fornitura di servizi di interpretariato giuridico in Spagna in generale, così
come il ricorso a soluzioni ad hoc che non necessariamente garantiscono la tutela
giuridica effettiva. La situazione si aggravò nei primi anni, quando nella provincia di
Malaga, la Giunta dovette far fronte allo sciopero dei traduttori-interpreti freelance per
l’insoluto dei compensi di vari anni.
Una soluzione potrebbe essere stata la creazione di un ufficio integrato di
interpretariato e traduzione da parte della Giunta dell’Andalusia, per procedere poi
all’organizzazione del servizio internamente (Martin 2006: 139-140).
201
6.4 L’INTERPRETARIATO NEI TRIBUNALI NELLA PROVINCIA DI ALICANTE
La qualità del servizio prestato dagli interpreti di tribunale è fondamentale per il
cittadino, poiché costituisce la garanzia ultima che i suoi diritti verranno rispettati.
La comunità accademica e l’Amministrazione spagnola in generale rimproverano
agli interpreti di non offrire un servizio di qualità e di dar luogo quindi a possibili
ingiustizie (González Lara 2005: 148).
Le ragioni per scegliere la provincia di Alicante come contesto geografico per
l’analisi dell’autrice sono due: 1) l’aumento progressivo del numero di immigrati che fa
sì che i servizi di traduzione e interpretariato lavorino incessantemente e 2) il fatto che
la Comunità Valenciana assieme alla Catologna e al Paese Basco adottano un triplo
sistema per nominare gli interpreti che lavorano negli organi giudiziari pertinenti:
contratto temporaneo- collaborazione autonoma- a tempo indeterminato.
L’analisi descrittiva di González Lara si basa sul metodo enunciato da Wadensjö
(1998) che consisteva in:
a) L’osservazione diretta di una serie di situazioni reali, che coinvolgono gli
interpreti di tribunale nella provincia di Alicante, per verificare in loco
qual era la loro situazione e quali i problemi e le difficoltà che
riscontravano nel lavoro;
b) Realizzazione di una serie di interviste personali o telefoniche e la
restituzione del questionario via mail.
Sia le domande delle interviste che quelle del questionario giravano in torno a 3
nuclei fondamentali:
1) il processo di accreditamento;
2) formazione ed esperienza professionale;
3) situazione lavorativa.
Le persone coinvolte erano le più disparate: funzionari, avvocati, PM, giudici,
agenzie e interpreti (González Lara 2005: 149).
202
Per quanto riguarda il punto 1, è interessante scoprire che la maggior parte degli
interpreti di tribunale della provincia di Alicante, non si sono sottoposti ad alcun
procedimento di accreditamento riconosciuto a livello ufficiale. L’unica interprete di
ruolo della provincia di Alicante aveva dovuto superare un concorso-opposizione
convocato dal Ministero della Giustizia consistente in due prove eliminatorie.
Sono le agenzie, ci riferisce González Lara, a stabilire i criteri di selezione degli
interpreti di tribunale con contratto di assunzione. Ad esempio, il processo di selezione
seguito dall’agenzia che ha assunto l’Amministrazione per fornire i servizi nei tribunali
della provincia di Alicante, consisteva in una intervista posteriore alla lettura del
curriculum del candidato, durante la quale si controllavano unicamente le conoscenze
linguistiche.
Tale sistema risulta limitato e non garantisce la qualità del servizio.
Per quanto riguarda il punto 2, la formazione dovrebbe costituire uno dei pilastri
per qualsiasi interprete di tribunale interessato ad offrire un servizio di qualità, poiché
risulta evidente che un interprete con una formazione solida, vacillerà di meno e
disporrà di armi migliori per risolvere i problemi.
Sebbene ricorda l’autrice, nella provincia di Alicante esista una facoltà di
traduzione e interpretariato che offre nei suoi piani di studio una buona formazione a
tutti coloro interessati all’ambito giuridico, la maggior parte degli interpreti che
lavorano nei tribunali della provincia, paradossalmente, non possiedono alcun titolo
specifico in traduzione e interpretariato (González Lara 2005: 150-151).
Tra i 35 intervistati, tutti possedevano un titolo universitario. Tuttavia, solo una
minoranza di 10 aveva un titolo relativo a traduzione e interpretariato. Ciò si traduce
nelle parole di González Lara in una scarsa conoscenza da parte degli interpreti della
terminologia legale e del protocollo seguito nei tribunali. Questi interpreti, coscienti
della loro posizione di svantaggio, dimostravano comunque interesse nel cercare di
migliorare la propria formazione iniziale, attraverso la frequentazione di corsi di
formazione avanzati e laboratori di traduzione.
Per quanto riguarda l’esperienza professionale, la maggior parte degli intervistati
non possedeva un’esperienza professionale significativa in questo campo.
In merito al punto 3, infine, le condizioni lavorative dell’interprete di tribunale
non sono stati oggetto di uno studio esaustivo da parte dei teorici dell’interpretariato in
203
tribunale. Ciò come premessa per sostenere che la qualità del servizio prestato dagli
interpreti di tribunale nella provincia di Alicante è pessima (González Lara 2005: 152).
Coloro che si dedicano all’interpretariato in contesti legali sono maggiormente
interessati a certi aspetti quali il compenso, la sicurezza sociale, i termini del contratto,
ecc. Le autorità dovrebbero tenere in conto tali preoccupazioni se l’obiettivo è quello di
garantire al cittadino straniero che ha problemi con la giustizia, un servizio di qualità.
Le variabili analizzate dall’autrice sono:
• il comportamento degli interpreti e la loro relazione con un possibile
codice etico.
Curiosamente, ci rivela González Lara, le interviste realizzate hanno rivelato che gli
interpreti erano coscienti in maniera intuitiva di quale doveva essere il proprio
comportamento nei processi nei quali erano chiamati ad intervenire, nonostante la
maggior parte di essi non avessero né un’esperienza precedente nel contesto giuridico,
né studi specifici in questo campo;
• difficoltà degli interpreti, suddivise in: a) problemi linguistici; b)
problemi relativi alle asimmetrie delle diverse culture; c) problemi
relativi
allo stato emotivo dell’interprete; d) problemi relativi al
processo in sé; e) problemi etici;
• condizioni lavorative.
Vi sono sostanziali differenze conferma l’autrice tra i vari gruppi che lavorano come
interpreti di tribunale nella provincia di Alicante: interpreti fissi, autonomi o con
contratto. Il primo gruppo è quello che gode di condizioni migliori, poiché sono
funzionari, sono retribuiti mensilmente e hanno i contributi versati. Gli interpreti di
tribunale autonomi generalmente esigono all’ora tra i 20 e i 40 euro, devono fatturare e
devono versare i contribuiti per conto proprio all’Istituto di Previdenza Sociale. Infine,
gli interpreti che lavorano per le agenzie sono coloro che versano nelle condizioni
lavorative peggiori, poiché vengono pagati poco, non hanno i contributi versati, né sono
assicurati contro gli infortuni ed incidenti nel corso dei loro spostamenti (González Lara
2005: 154).
• rapporti con gli altri partecipanti.
Fra tutte le possibili relazioni che l’interprete possa avere con le parti coinvolte in un
processo, le più problematiche sono quelle con il detenuto e i suoi familiari, con gli
204
avvocati e soprattutto con i giudici. Nel caso del detenuto e dei suoi familiari,
l’interprete viene percepito in una posizione superiore, in quanto conosce la lingua in
cui si svolge il processo e di conseguenza come un “salvatore”. Nel caso degli avvocati
e dei PM, la relazione dell’interprete con essi è nulla, in quanto i PM ignorano
l’interprete e si vedono minacciati dai suoi interventi. La terza relazione è la più
problematica e ha le sue origini in due diversi modi di intendere il ruolo dell’interprete:
a) l’opinione generalizzata da parte dei giudici intervistati che l’interprete sia un
semplice “canale”, attraverso il quale l’informazione originale viene filtrata e viene
trasformata in un messaggio in una lingua d’arrivo; b) la convinzione da parte
dell’interprete di essere legittimato ad intervenire in qualsiasi momento del processo,
sempre che sia opportuno e favorisca il buono svolgimento dello stesso (González Lara
2005: 153-155).
6.5 VERSO LA CREAZIONE DI STRUTTURE STABILI E PROFESSIONALI IN
AMBITO GIURIDICO
L’interpretazione giudiziaria gode di una condizione migliore rispetto ad esempio
all’interpretariato per la polizia o nelle carceri (Ortega Herráez-Foulquié Rubio 2005:
182).
La situazione dell’ interpretazione in ambito giudiziario in Spagna presenta certe
somiglianze con la situazione che riscontriamo presso i commissariati di polizia.
Tuttavia, nota l’autore, gran parte delle differenze sono date dalla configurazione
propria dello Stato Spagnolo, ovvero a causa dell’esistenza delle Comunità Autonome
(CC.AA.), di cui 8 sono competenti nella gestione dei mezzi materiali e personali
dell’Amministrazione della Giustizia, il che si traduce nell’esistenza di numerose
differenze nella considerazione dei servizi di interpretazione giudiziaria e nello status
professionale del quale gode l’interprete giuridico.
Mentre il Ministero della Giustizia e le CC.AA. di Galizia, Catalogna e Valencia
richiedono all’interprete unicamente un diploma, altre come l’Andalusia e le Canarie,
richiedono almeno un diploma universitario o ancora il Paese Basco e Madrid
richiedono una laurea.
205
Il numero degli interpreti fissi è molto ridotto, per cui le varie Amministrazioni
ricorrono ad interpreti freelance. Da un lato vi sono casi in cui l’Amministrazione si
basa su personale fisso e si serve anche di interpreti freelance che vengono contattati
direttamente dai tribunali, senza che esista a priori alcun requisito, salvo l’iscrizione
nelle liste di interpreti che potrebbero esistere presso gli Uffici Territoriali del Ministero
della Giustizia corrispondenti. Dall’altro, vi sono quelle CC.AA. che, sebbene abbiano
interpreti fissi, hanno optato per l’esternalizzazione del servizio, ovvero nell’affidare i
servizi di interpretariato ad imprese private attraverso gare di appalto pubbliche. In
questo caso, gli interpreti fissi devono coesistere con gli interpreti che lavorano per
l’appalto che si aggiudica il servizio (Ortega Herráez-Foulquié Rubio 2005: 186-187).
Numerose critiche piovono sul sistema delle gare d’appalto. Vi sono due critiche
principali: 1) la mancanza di diligenza nel selezionare il personale e 2) le tariffe misere
che offrono le imprese subappaltatrici.
Una delle prime conclusioni che si possono fare, nell’opinione degli autori è che,
nel variopinto panorama della Spagna e nonostante gli sforzi compiuti da alcune
CC.AA., il diritto ad un processo equo non viene garantito allo stesso modo in tutto il
territorio.
L’interpretazione giuridica in Spagna ha un lungo cammino da percorrere per
giungere alla tanto desiderata professionalizzazione, armonizzazione delle pratiche,
riconoscimento,ecc (Ortega Herráez-Foulquié Rubio 2005: 188-189).
Tuttavia, secondo gli autori, la Spagna possiede una serie di fattori che potrebbero
contribuire a cambiare la situazione:
• l’interpretazione giuridica in Spagna può contare su numerosi centri nei
quali si può conseguire la Laurea in Traduzione e Interpretazione e titoli
post-laurea in materia;
• in Spagna esiste la figura dell’interprete giurato, unico professionista
accreditato della traduzione e interpretazione che tuttavia, si è visto
progressivamente escluso dall’ambito della polizia e della giustizia
penale (Ortega-Herráez-Foulquié Rubio 2005: 189-190).
La situazione che contraddistingue la Spagna sostiene l’autore rende più difficile
il processo di omogeneizzazione e professionalizzazione, che neanche la legislazione
206
spagnola attuale sembra incoraggiare. Una soluzione parziale potrebbe venire dalla UE
e più concretamente, dalle iniziative che si stanno sviluppando al fine di potenziare lo
Spazio di Libertà, Sicurezza e Giustizia. Così, la Commissione Europea, nella sua
Proposta di Decisione Quadro del Consiglio sulle “Garanzie procedurali a favore di
indagati e degli imputati in procedimenti penali nel territorio dell’Unione Europea”,
manifesta la sua intenzione nel promuovere un livello di adempimento degli artt. 5
(diritto alla sicurezza e alla libertà) e 6 (diritto ad un processo equo) della Convenzione
Europea dei diritti dell’uomo.
E per tale ragione è necessario stabilire un livello minimo nell’acceso a diritti
considerati fondamentali, come l’assistenza di un avvocato e “il diritto di comprendere
la natura e la causa dell’accusa, dal quale si ricava il diritto alla traduzione di documenti
e ad un interprete qualora l’imputato non comprenda la lingua del processo”.
La Commissione si pronuncia a favore della ricerca di una soluzione alla
situazione descritta, che è simile nel resto dei paesi della UE. Così nella sua proposta si
legge che:
art. 67
La qualità dell’interpretazione e della traduzione deve essere sufficientemente elevata
affinché il sospettato possa comprendere la natura e la causa dell’accusa.
Art. 68
Gli Stati membri devono assicurare che nella propria giurisdizione vi sia un sistema che
permetta che gli avvocati, giudici, accusati o qualsiasi altra persona coinvolta in un
processo penale che venga a conoscenza che un determinato interprete non ha garantito
la qualità dell’interpretazione richiesta, o che in un caso concreto non sia stata
raggiunta, possa informarsi al fine di offrire un altro traduttore o interprete (Ortega
Herráez- Foulquié Rubio. 2005: 190-191).
6.6 IPOTESI DI INTERVENTO DELL’INTERPRETE IN PROCEDIMENTI
GIUDIZIARI GIÀ AVVIATI
L’intervento di un interprete al servizio dell’Amministrazione della Giustizia in Spagna
inizia nel momento in cui la persona assistita giunge alla sede dell’organo giudiziario
competente nella causa (Ibáñez de Opacua 2000: 162)
207
Il primo intervento dell’interprete consiste nel tradurre alla persona che farà la
deposizione davanti al giudice, quali sono i suoi diritti e subito dopo averlo informato
dei capi d’accusa a suo carico, lo assiste nella prima deposizione giudiziaria
Come sottolinea Ibáñez de Opacua, le difficoltà per l’interprete in questa fase
sono varie, in particolare la non conoscenza dei fatti e l’impossibilità di prepararsi, sia a
causa del segreto istruttorio, sia per mancanza di tempo, ecc.
La prima deposizione riguarda “i fatti”, per cui una volta compreso il delitto di cui
si accusa la persona che fa la deposizione, per l’interprete non sarà difficile tradurre,
poiché conosce la terminologia del caso. La durata della stessa varia, può essere di
mezzora o di alcune ore. Una volta terminata la deposizione, l’interprete deve tradurre
alla persona il verbale della stessa, affinché dia la sua approvazione e la firmi e poi
l’interprete
deve
effettuare
una
traduzione
a
vista,
molto
frequente
nell’Amministrazione della Giustizia, anche se in questo caso si tratta di ripetere
nuovamente ciò che ha detto il dichiarante e che figura per iscritto (Ibáñez de Opacua
2004: 162-163).
Mentre si inoltra il procedimento, l’interprete deve essere presente nelle varie
pratiche relative alla persona contro la quale è in corso lo stesso, ad esempio nella
notifica degli atti, mandati, provvedimenti, nelle ingiunzioni, nella pratica di
determinate prove, ecc., il che implica la necessità di spiegare termini specifici
dell’ordinamento giuridico spagnolo e che risulta essere uno dei compiti più difficili.
Nella fase finale dell’ istruzione, dovrà assisterla nella deposizione istruttoria, che
generalmente è breve, dopo dovrà notificarle l’Atto del Procedimento, il che significa il
termine della fase istruttoria e il trasferimento della procedura al tribunale che andrà a
giudicare i fatti (Ibáñez de Opacua 2000: 163-164).
Per quanto riguarda il giudizio orale, segnala l’autrice, questo è la fase
processuale più importante. In vista della causa, il compito dell’interprete risulta
paradossalmente più facile, perché ha la possibilità di prepararsi nel caso in cui avesse
la possibilità di accedere agli atti, ma spesso, sfortunatamente, non è possibile farlo. Ciò
che generalmente fanno gli interpreti-traduttori è richiedere le Provvisorie di
Qualificazione dell’accusa e della difesa o l’Atto del Procedimento dettato dal Giudice
Istruttore.
208
Occorre precisare come sottolinea l’autrice che non si interpreta tutto il processo,
infatti,
l’attività
dell’interprete
si
limita
alla
traduzione
della
deposizione
dell’imputato/i, dei testimoni o dei periti stranieri nel caso in cui siano presenti e infine
le affermazioni dell’imputato, precedute dal riassunto delle allegazioni delle parti che fa
il Presidente del Tribunale che non conosce la causa (Ibáñez de Opacua 2000: 164-165).
Le difficoltà per l’interprete sono diverse: da un lato una forte tensione, perché
non sa come si svolgerà il processo, uno stato emotivo che però si supera nel momento
in cui inizia il processo e l’interprete si concentra sul lavoro, dall’altro la distanza che lo
separa dall’imputato.
In quanto all’indagine periziale, questa può essere molto complicata, poiché i
periti sono esperti in un campo determinato del sapere che l’interprete molto spesso non
conosce, come medicina, balistica, calligrafia, dattiloscopia, chimica, ecc. e utilizzano
termini specializzati. Ciò che può fare l’interprete in questo caso è accedere alle
indagini peritali in spagnolo e nella lingua di lavoro, oppure tentare di parlare con
qualche perito prima della deposizione e cercare i termini che probabilmente
utilizzeranno (Ibáñez de Opacua 2000: 165).
6.7 L’INTERPRETE DI TRIBUNALE IN SPAGNA
L’interpretazione di tribunale è stata oggetto di studio di numerosi articoli, che hanno
proiettato un’immagine piuttosto critica dei richiedenti e dei fornitori dei servizi
pubblici in Spagna (Pérez González 2002: 77).
Sono spesso i giudici che si occupano di valutare le competenze degli interpreti
stranieri attraverso una breve conversazione in spagnolo, senza che vi sia invece un
controllo analogo nel caso degli interpreti spagnoli.
Tale negligenza è molto più grave quanto l’accesso a e l’esercizio di questa
attività presenta serie deficienze. A differenza di quanto accade nei paesi anglofoni, la
Spagna è carente di programmi di abilitazione e di formazione specifici per interpreti di
tribunale.
L’autore segnala che, coloro che sono chiamati a svolgere questa forma di
interpretariato provengono da tre gruppi:
209
a) gli interpreti dell’Amministrazione della Giustizia, i quali svolgono
l’attività nei tribunali giuridicamente più importanti;
b) gli interpreti giurati, che lavorano per lo più nella cause civili, ove la
parte che ha richiesto la collaborazione si fa carico della retribuzione;
c) qualsiasi soggetto ritenuto idoneo che conosca la lingua, può essere
nominato “traduttore periziale”, dopo aver prestato il dovuto giuramento.
Oggi, la precarietà economica dell’Amministrazione della Giustizia in Spagna
obbliga numerosi organi giurisdizionali a ricorrere ad interpreti ad hoc che non hanno
abilità linguistiche, né forensi, mettendo così in pericolo il diritto costituzionale di
ciascun individuo di avere un’assistenza legale gratuita e le garanzie processuali dovute
(Pérez González 2002: 77-78).
Inoltre, ricorda Pérez González, gli interpreti di tribunale spagnoli non hanno un
codice deontologico univoco, mentre nei paesi anglofoni sono uno strumento di
straordinaria importanza. L’obiettivo è quello di orientare gli interpreti nel prendere le
decisioni inerenti al processo di mediazione linguistica.
Alcuni autori hanno minimizzato la carenza di codici deontologici in Spagna,
appellandosi al fatto che i procedimenti giudiziari spagnoli si basano soprattutto su
pratiche scritte. L’interprete veniva chiamato per tradurre a vista alcuni documenti
rilevanti o interpretare per una cerchia ristretta di attori (avvocati, imputati e il giudice).
A tale ridotto margine di intervento dell’interprete, si sommava il fatto che i destinatari
delle traduzioni legali specialistiche non erano sensibili all’impiego o all’omissione di
elementi linguistici precisi (Pérez González 2002: 78-79).
6.7.1 LA NORMATIVA SPAGNOLA
Il diritto all’interprete presso i tribunali giudiziari in Spagna è garantito dalla
legislazione vigente:
• Ley de Enjuiciamiento Civil artt. 142-143;
• Ley de Enjuiciamiento Criminal artt. 440, 443, 444 e 520.2;
• Costituzione Spagnola artt. 17.3 e 24;
210
• Ley Orgánica 4/2000 sui Diritti e Libertà degli Stranieri e la loro integrazione
sociale, modificata dalla Legge 8/2000 articolo 22, così come da numerosi
convegni internazionali sottoscritti dalla Spagna (Martin 2006: 136).
Chi scrive vuole menzionare anche La Ley de Entranjería, articolo 22, dove si
afferma che:
Artículo
22.
Derecho
a
la
asistencia
jurídica
gratuita.
1. Los extranjeros que se hallen en España y que carezcan de recursos económicos
suficientes según los criterios establecidos en la normativa de asistencia jurídica gratuita
tienen derecho a ésta en los procedimientos administrativos o judiciales que puedan
llevar a la denegación de su entrada, a su devolución o expulsión del territorio español y
en todos los procedimientos en materia de asilo. Además, tendrán derecho a la
asistencia de intérprete si no comprenden o hablan la lengua oficial que se utilice.
2. Los extranjeros residentes que acrediten insuficiencia de recursos económicos para
litigar tendrán derecho a la asistencia jurídica gratuita en iguales condiciones que los
españoles en los procesos en los que sean parte, cualquiera que sea la jurisdicción en la
que se sigan (http://servicios.laverdad.es/servicios/especiales/leyextran/ accesso
17/12/2009).
La Costituzione Spagnola del 1978 non contempla espressamente il diritto
all’assistenza di un interprete e alla traduzione. Neanche l’attuale “Ley Orgánica del
Poder Judicial” del 1985 e le sue varie riforme, prende in considerazione il problema
del diritto ad un interprete nel processo penale e l’unico articolo che dedica alla lingua è
il 231 che tenta di conciliare la lingua ufficiale dello Stato, il castigliano, con le lingue
ufficiali proprie della varie Comunità Autonome (Palomo del Arco 2007: 193).
Nella Ley de Enjuiciamiento Criminal, la regolamentazione, anche se più ampia,
continua ad essere insufficiente, frammentaria e incompleta. Alludono all’interprete in
fase di detenzione, l’articolo 520.2, in fase istruttoria, gli artt. 398, 440, 441 e 762.8 e
per il dibattimento orale, l’articolo 711.
Nell’analisi di tale normativa, l’autore osserva che:
a) la regolamentazione più dettagliata dell’assistenza dell’interprete è
contemplata in sede testimoniale;
b) una della maggiori lacune è il diritto alla traduzione dei documenti;
c) altra omissione è costituita dalla non gratuità del servizio dell’interprete e
del traduttore;
d) la
regolazione
delle
procedure
dove
si
contempla
l’assistenza
all’interprete: detenzione, deposizioni nella fase istruttoria e nell’udienza,
risulta insufficiente, poiché non contempla altre procedure processuali che
211
non integrano deposizioni o udienze (perizie, riconoscimento medico,
ecc.);
e) sebbene venga designato l’interprete, questa figura risulta così articolata:
1) in primo luogo saranno scelti coloro che possiedono un titolo; 2) in
secondo luogo, un “maestro” della lingua; 3) qualsiasi persona che
conosca la lingua; d) infine, qualora tali condizioni non si verificassero, è
necessario ricorrere all’Ufficio di Interpretariato di Lingue del Ministero
degli Affari Esteri;
f) l’interprete deve prestare in presenza dell’imputato o del testimone che
non conosce il castigliano, un giuramento di svolgere bene e fedelmente
l’incarico; nonostante ciò è considerato un perito;
g) la procedura tipo che contempla la Ley de Enjuiciamiento è l’assistenza
dell’interprete alla deposizione dell’imputato o testimone che non conosce
il castigliano, in tal senso prevede che per sua intercessione si facciano
all’imputato/testimone le domande e si ricevano risposte per suo tramite;
h) ma non si contempla l’assistenza dell’interprete all’imputato/testimone che
non conosce il castigliano, nelle udienze e comparse, al fine di ottenere
una conoscenza precisa delle deposizioni, requisitorie e comparse
conclusionali;
i) l’esigere dall’interprete che traduce le deposizioni degli imputati/
testimoni che non conoscono la lingua, di metterle a verbale nella lingua
dell’imputato/testimone, e in seguito in castigliano, è un modo per
controllare la sua attività, anche se tale riforma centenaria del diritto
processuale raramente viene osservata nella pratica forense (Palomo Del
Arco 2007: 193-196).
La Costituzione Spagnola cita all’articolo 17.3 il diritto fondamentale di ogni
persona detenuta ad essere informata in forma immediata e comprensibile dei suoi diritti
e delle ragioni della sua detenzione. L’articolo 24 della Costituzione cita invece il diritto
ad ottenere la tutela giudiziaria effettiva dei Giudici e Tribunali, proibendo che si renda
vulnerabile la persona che esercita i suoi diritti e interessi legittimi (Ortega Herráez et
al. 2007: 257)
212
Affinché tali decreti costituzionali possano realizzarsi nei casi in cui il cittadino
non conosca la lingua ufficiale del paese, sostengono gli autori, è necessaria l’esistenza
di interpreti qualificati e accreditati nei tribunali, nelle udienze, presso i Tribunali
Superiori di Giustizia, nelle Udienze Nazionali e presso il Tribunale Supremo, che
collaborino con i giudici, PM e funzionari giudiziari e assistano queste persone.
Così come riferiscono gli autori, nella situazione attuale, qualsiasi persona, senza
alcun tipo di controllo da parte del Ministero di Giustizia o Comunità Autonoma
competente, può esercitare le funzioni di interprete-traduttore. L’unico requisito
formale, ma solo una volta iniziata l’udienza, è il giuramento o “promessa” di svolgere
la sua attività bene e fedelmente.
La maggior parte della lacune osservate nella fornitura dell’interpretazione e
traduzione in sede giudiziaria hanno le proprie radici nel disconoscimento non solo
della figura professionale del traduttore-interprete, ma nel disconoscimento del suo
ruolo e delle ripercussioni che lo stesso può avere nello svolgimento di un processo
(Ortega Herráez 2007 et al. : 157-266).
Così, sono numerosi gli studi di carattere empirico che cercano di dimostrare che
la presenza di un interprete in una sala delle udienze può alterare la natura stessa
dell’incontro comunicativo.
Recentemente, Ortega Herráez (2006) ha portato a termine una ricerca scientifica,
nella quale dimostrava che gli interpreti affermavano di modificare il registro degli
interlocutori, il che può avere gravi conseguenze al momento per esempio di valutare la
credibilità di un imputato/testimone. Al tempo stesso, tale ricerca metteva in evidenza la
sottovalutazione da parte degli attori di un processo, delle possibilità di collaborazione
con un interprete, al fine di trarre il massimo profitto dalla sua presenza e agevolare in
tal modo lo svolgimento dello stesso.
Uno dei risultati più sorprendenti fu constatare che in Spagna non viene garantita
la traduzione integrale dei processi. A volte gli interpreti non sono collocati in posti
adeguati che permettano loro di tradurre tutto alla persona che necessita del suo servizio
e il loro intervento si limita a tradurre per esempio le domande e le risposte delle
deposizioni dell’imputato/testimone. Nei casi in cui, invece, per la sua collocazione, la
traduzione integrale fosse possibile, l’interprete può non avere a disposizione la
strumentazione necessaria per realizzare per esempio una interpretazione simultanea
213
sussurrata o anche se ce l’ha, l’autorità giudiziaria gli impone di limitarsi a tradurre solo
le domande e le risposte, o ancora, il processo si svolge ad una velocità tale che è
materialmente impossibile interpretare simultaneamente e, nella migliore delle ipotesi,
l’interprete è costretto a riferire un riassunto di quanto viene detto (Ortega Herráez et al.
2007: 266).
6.7.2 RIFORME PROCESSUALI
La nostra epoca è testimone di un processo globale di cambiamenti nel panorama
giuridico caratterizzato dalla moltiplicazione degli operatori giuridici e dal pluralismo
giuridico transnazionale (Pérez González 2002: 79).
La manifestazione più diretta di tale processo di globalizzazione in Spagna è
l’entrata in vigore della “Ley Organica del Jurado” (LO 5/1995), d’accordo con il
decreto raccolto nell’articolo 125 della Costituzione.
L’approvazione della LO 5/1995 precisa l’autore ha comportato riforme
importanti che rappresentano un cambio radicale delle procedure processuali in Spagna.
Il fattore di traino di tali cambiamenti appare evidente nelle Considerazioni Preliminari
della nuova LO 5/1995 IV.3, dove viene enunciato il principale obiettivo, che è
raggiungere “la oralidad, inmediación y publicidad en la prueba que ha de derogar la
presunción de inocencia”.
Pertanto la Ley del Jurado dispone che l’udienza inizi con le allegazioni previe di
entrambe le parti. Questa sarà la prima volta in cui le parti si dirigeranno ai giurati per
esporre quali sono le proprie posizioni, i capi d’imputazione, le prove richieste,
l’obiettivo delle prove e anticipare quali saranno le linee guida della strategia adottata
dalla parte avversa (Pérez González 2002: 79-81).
Le allegazioni previe o deposizioni preliminari sono un’innovazione della Legge e
risultano di grande importanza perché in questa nuova tappa, gli oneri delle prove
devono essere eseguite durante il processo, non durante la fase di istruzione del
sommario.
L’esclusione delle pratiche istruttorie, che non hanno più efficacia probatoria,
suppone che gli interrogatori degli imputati e dei testimoni durante l’udienza
acquisiscano un’importanza fondamentale. Gli interrogatori e i controinterrogatori si
214
generalizzano e il giudice che presiede l’udienza si preoccupa che la fase interrogatoria
si attenga alle norme sulla legittimità o meno di certe domande.
In tal modo, si stabilisce un procedimento basato sui principi accusatorio e di
contraddizione tra le parti, previsti nella Costituzione, semplificando al tempo stesso la
fase dell’inchiesta per evitare un suo prolungamento eccessivo.
Il risultato di queste riforme consiste nel fatto che, i procedimenti spagnoli innanzi
ad un giurato acquistano un carattere spontaneo ed imprevedibile, un aspetto
impensabile fino a qualche anno fa, imponendo così nuove esigenze per la pratica
forense degli avvocati spagnoli e di conseguenza degli interpreti che devono veicolarla
in un’altra lingua (Pérez González 2002: 81).
L’autore cita García Montes (1999), secondo il quale questo cambio di attitudine
dovrebbe prodursi anche prima dell’inizio dell’udienza. In tale contesto è
raccomandabile per gli avvocati:
•
chiarire le proprie posizioni ed esporre gli argomenti in maniera semplice,
incluso per i cittadini minimamente alfabetizzati;
•
rafforzare le qualità emotive a discapito dell’indole intellettuale;
•
pianificare attentamente l’esposizione dell’argomento d’accordo con il
profilo psicologico dei giurati;
•
redigere con diligenza le argomentazioni.
Sebbene tali raccomandazioni debbano essere tenute in considerazione durante
tutta l’udienza, la loro osservanza, sostiene Pérez González, è fondamentale durante la
presentazione degli argomenti delle parti e dell’argomento di chiusura, momento chiave
per la persuasione strategica dei giurati (Pérez González 2002: 81-82).
Tali raccomandazioni che snelliscono la fase processuale, hanno delle
ripercussioni sull’interprete, che si trova a lavorare in un contesto imprevedibile, senza
avere alcuna informazione previa sul caso, poiché tutto si svolge in aula e nell’assoluta
incertezza. D’altro canto però, la semplificazione delle formulazioni giuridiche, agevola
l’interprete nella traduzione dei concetti, spesso ostici, e nel veicolarli in un’altra lingua
attraverso un linguaggio più semplice e di più immediata comprensione per l’assistito.
215
OSSERVAZIONI CONCLUSIVE
L’obiettivo di questo lavoro era quello di delineare la figura dell’interprete di tribunale e
del mediatore linguistico-culturale in due paesi europei, l’Italia e la Spagna. Per quanto
riguarda la situazione degli interpreti, risultano evidenti in entrambi i paesi le difficoltà
che tali professionisti incontrano nello svolgere la loro professione in maniera adeguata.
Italia e Spagna non devono solo fronteggiare il problema della mancanza di fondi, ma
soprattutto quella della mancanza di un Albo nazionale per gli interpreti di tribunale, di
requisiti per lo svolgimento della professione, di formazione e di riconoscimento del
ruolo. Succede quindi che chiunque può ricoprire tale ruolo, pur non essendo
professionista e non avendo una formazione. I compensi pertanto sono molto bassi e ne
consegue che la qualità dei servizi di traduzione-interpretariato è molto scarsa. In
Spagna, la situazione si complica ulteriormente, data la presenza delle Comunità
Autonome in cui viene riconosciuta come lingua ufficiale una lingua diversa dal
castigliano, per cui vi è la necessità di effettuare traduzioni e interpretariati nella lingua
propria di ciascuna comunità.
Per quanto riguarda invece l’ambito della mediazione linguistico-culturale, anche
qui il panorama è molto complesso, a causa del mancato riconoscimento non solo
giuridico, ma anche sociale di tale professione. Effettivamente, la figura del mediatore
riveste ancora poco valore nella società italiana, dove l’esigenza dell’attività del
mediatore ha cominciato a farsi sentire a partire dagli anni Novanta del secolo scorso, in
seguito alla prime ondate migratorie. Attualmente il mediatore presta la propria
collaborazione nell’ambito dei servizi sociali, è mal retribuito, è spesso chiamato ad
operare in qualità di interprete, per cui gli si chiede di attenersi strettamente alla
traduzione di quanto l’utente dice, mentre il suo lavoro prevede di assistere l’utente
anche da un punto di vista culturale. Lo dice infatti la parola stessa, il mediatore è colui
che “sta nel mezzo”, fa da ponte o tramite non solo tra due lingue, bensì tra due culture.
Oggi in Italia, numerosi corsi universitari sono offerti sulla mediazione, dal nord al sud,
ognuno dei quali sta cercando di differenziarsi dall’altro e di darsi un taglio diverso.
216
In Spagna, come ampiamente detto nell’elaborato, la mediazione linguisticoculturale è un campo quasi ancora in esplorato, nonostante negli ultimi anni vi siano
stati numerosi tentativi, provenienti soprattutto dal mondo delle università, di indagare e
approfondire questa professione. Si parla così di “traducción e intepretación en los
servicios públicos”, ma non di mediazione, intendendo con servizi pubblici tutti quegli
ambiti che richiedono un’assistenza di tipo non solo linguistica, ma anche sociale,
proprio come in Italia. L’etichetta di mediatore sottende però quella di interprete,
laddove in realtà l’interprete svolge un effettivo ruolo di mediazione. A livello
universitario, vi sono alcune proposte interessanti di corsi offerti nell’ambito
dell’interpretazione per i servizi pubblici, di cui la pioniera è stata l’università di Alcalá.
Chi scrive ha scelto di proporre un questionario ai mediatori linguistico-culturali
per l’Italia e agli interpreti per la Spagna, dai quali è stato possibile trarre delle
interessanti conclusioni e degli interessanti spunti di riflessione.
I questionari per i mediatori sono stati sottoposti a mediatori della regione Emilia
Romagna. Gli undici soggetti intervistati hanno tra i 30 e i 40 anni, sono quasi tutte
donne, il che denota già una certa propensione verso la professione da parte delle stesse
rispetto alla controparte maschile. Lavorano tra la provincia di Bologna e di Ravenna,
presso i comuni, i CIE, i centri di accoglienza per immigrati, le questure, i servizi sociali
in genere. Le madrelingue più comuni sono in ordine: arabo, albanese, russo/moldavo,
rumeno e infine croato e la lingua woolof (dialetto francese). Le lingue di lavoro più
usate, oltre all’italiano sono: l’inglese, il francese, l’albanese, il russo/moldavo, il
rumeno, raramente lo spagnolo e il croato. Tutti gli intervistati possiedono un livello di
istruzione superiore o una laurea, non necessariamente linguistica e hanno seguito un
corso di formazione per mediatori linguistici in Italia. La maggior parte presta il proprio
servizio in tribunale, presso enti o associazioni che forniscono assistenza agli immigrati,
poi presso le CIE e gli uffici di Polizia. La frequenza di tale collaborazione è variabile,
generalmente è fornita più di una volta a settimana.
Per quanto riguarda i problemi che sorgono durante un’interpretazione, la maggior
parte risponde “raramente”, altri rispondono “ a volte”, solo una mediatrice risponde
“spesso”. Secondo gli intervistati i problemi sorgono a causa delle scarse conoscenze
terminologiche (giuridiche nel nostro caso) che l’assistito ha. In relazione alle qualità
che un buon mediatore deve possedere, le più importanti sono: 1) autonomia nel gestire
217
la comunicazione con l’assistito; 2) capacità di relazionarsi positivamente con
l’assistito; 3) chiarezza nell’esposizione; 4) riservatezza. Sorprende che solo per tre
mediatori sia importante mantenere un atteggiamento imparziale. Al fine di instaurare
un rapporto di fiducia con il mediatore, secondo gli intervistati, è necessario
condividerne il sesso, il gruppo etnico e il credo religioso con un accento maggiore sul
gruppo etnico.
In relazione alle modalità di interpretazione utilizzare durante il lavoro, la
maggior parte ricorre alla bilaterale o in alcuni casi ad un sistema misto. Metà di essi
prende appunti per la traduzione e tutti si esprimono in prima o in terza persona a
seconda dei casi. Tutti gli intervistai sono concordi nel sostenere che il compito del
mediatore includa principalmente la capacità di semplificare e spiegare i termini tecnici
per l’assistito. In riferimento alla questione dell’imparzialità, i mediatori sostengono che
sia molto importante o addirittura fondamentale mantenerla, in contraddizione questa
risposta con quella data prima in relazione alle qualità che dovrebbe possedere un buon
mediatore, in cui solo tre mediatori ritenevano fosse imprescindibile nel svolgere il
proprio lavoro essere imparziali.
Un importante dato viene dalla risposta sulla domanda in relazione al
comportamento più adeguato del mediatore qualora si accorgesse che l’imputato sta
mentendo: quattro sostengono che sia importante segnalarlo, gli altri non saprebbero
come comportarsi. Infine, un ulteriore dato importante risulta dalla consapevolezza che i
mediatori hanno della necessità di seguire dei corsi d’aggiornamento che vertano sulle
seguenti tematiche: a) aspetti giuridico-legali; b) problematiche della comunicazione; c)
terminologia tecnica specifica e per alcuni di essi, d) anche la deontologia merita di
essere approfondita.
Nei suggerimenti/commenti richiesti agli intervistati come ultima domanda, essi
segnalano oltre alla necessità dei corsi d’aggiornamento, la possibilità di incontrare
prima l’assistito o l’utente dei servizi pubblici in generale, avere maggiori informazioni
e strumenti adeguati per svolgere nel migliore dei modi la propria collaborazione e il
riconoscimento del ruolo.
Passando alla Spagna, gli interpreti di tribunale intervistati, ai quali il questionario
è stato sottoposto per posta elettronica, appartengono ad alcune associazioni di
interpreti, riconosciute a livello nazionale, molto simili alla AITI italiana. Anche in
218
questo caso, la maggior parte degli intervistati sono donne, l’età oscilla tra i 25 e i 60
anni. Le madrelingue sono: spagnolo/gallego e olandese. Le lingue più utilizzate al
lavoro sono: inglese, galego, portoghese, tedesco, italiano. Possiedono un titolo di
studio universitario, spesso una laurea in interpretariato e hanno seguito corsi di
formazione post-universitari. Lavorano indistintamente in ambito civile e penale.
Nessuno di essi ha seguito un corso di mediazione e non tutti ritengono sia necessario
distinguere la figura dell’interprete da quella del mediatore.
La maggior parte non si ritiene soddisfatta della propria condizione lavorativa e
precisa più volte che non esiste in Spagna la figura dell’interprete di tribunale come
viene comunemente intesa in Italia. Si parla di interprete giurato e spesso per svolgere
questo lavoro, si ricorre a non professionisti. Alcuni sostengono sia necessario un
maggior riconoscimento della figura dell’interprete, da parte delle associazioni, altri si
ritengono piuttosto soddisfatti.
Secondo gli intervistati in alcuni casi gli imputati considerano la presenza
dell’interprete un ostacolo, lo vedono come un notaio o un tramite dei giudici, degli
avvocati, mentre altre volte la loro presenza non intacca l’esito del processo.
Per quanto riguarda la posizione lavorativa, tutti svolgono altre attività oltre a
quella di interprete, ma contrariamente all’Italia considerano la loro attività di interpreti
giurati come un’attività potenzialmente a lungo termine, in quanto è gratificante, gli
assistiti spesso manifestano l’esigenza di avere un interprete durante un processo, le
retribuzioni sono soddisfacenti.
La modalità più utilizzata per l’interpretazione è la consecutiva con l’ausilio o
meno di appunti. E’ interessante notare che gli interpreti ricevono delle informazioni sul
caso previamente al processo, il che aiuta loro nelle preparazione dello stesso. Le
competenze necessarie per svolgere l’attività di interprete di tribunale sono: a) il
bilinguismo; b) il biculturalismo in alcuni casi;
c) la conoscenza specifica degli
ordinamenti giuridici. Per quanta riguarda invece le caratteristiche personali di un
interprete, essi ritengono siano fondamentali: 1) autocontrollo; 2) resistenza fisica; 3)
capacità di adattamento; 4) capacità di prevenire i conflitti; 5) capacità di ascolto; 6)
capacità di trovare le soluzioni più appropriate.
In merito alla deontologia, gli aspetti più importanti sono: l’imparzialità e il
mantenimento del segreto professionale. In relazione al loro rapporto con i giudici, gli
219
avvocati, i PM, sostengono di esser visti spesso come collaboratori/assistenti e in tal
caso alcuni tentano di chiarire la propria imparzialità o non fanno nulla. La persona
utilizzata nel riferire i contenuti delle affermazioni degli assistiti è la seconda persona
(usted) che esprime un grado di cortesia, o utilizzano indistintamente la prima o la
seconda persona di cortesia. Tutti sostengono di poter interagire con l’assistito e la
maggior parte non si ritiene in alcun modo responsabile dell’esito del processo, mentre
c’è chi dice di sentirsi un po’ responsabile.
I due questionari proposti, pur non essendo paragonabili, in quanto l’uno indaga
sulla figura del mediatore linguistico-culturale e l’altro su quella dell’interprete di
tribunale, ci confermano però la complessità del panorama italiano e spagnolo, che pur
essendo così affini, presentano al proprio interno sfumature molto intense, che varrebbe
la pena approfondire.
220
BIBLIOGRAFIA
Alimenti Rietti A., C., (1999) Il traduttore di tribunale, in AA. VV., La traduzione:
saggi e documenti IV, “Quaderni di Libri e Riviste d’Italia”, Roma, Ministero dei beni
culturali, 1999.
Alimenti Rietti A., C., (2005) La formazione dell’interprete-traduttore giudiziario in
Europa: il progetto Grotius II, in Russo M., Mack G., (a cura di) (2005).
Aluffi Pentini A., (a cura di) (2004) La mediazione interculturale. Dalla biografia alla
professione, Milano: Franco Angeli.
Andolfi M., (a cura di) (2003) La mediazione culturale, Milano: Franco Angeli.
Arangüena Fanego C., (a cura di) (2007) Garantías procesales en los procesos penales
en la Unión Europea, Lex Nova.
Baigorri J., Alonso I., Canas R., Martín O., Palacio E., Russo M., Otero O., (2005)
Presentación de una red temática interuniversitaria en el área de la mediación
lingüística y cultural en los servicios públicos, in Valero Garcés C., (a cura di) (2005).
Ballardini E., (2002) The interpreter/translator in Italian criminal proceedings: quality
of linguistic assistance for non Italian speaking foreigners, in Garzone et al. (eds.)
(2002).
Ballardini E., (2005) L’interprete nel processo penale italiano: profile professionale e
ipotesi di formazione, in Russo M., Mack G., (a cura di) (2005).
Belpiede A., (2002) Mediazione culturale. Esperienze e percorsi formativi, Torino:
UTET.
221
Benítez E., (1994) La situación profesional del traductor en España, in Raders M.,
Martín-Gaitero R. (a cura di) (1994).
Bonafé-Schmitt J.P., (1997) Una, tante mediaizoni dei conflitti, in Pisapia G., V.,
Antonucci D., (a cura di) (1997).
Brunette L., Bastin G., Hemlin I., Clarke H., (eds.) (2003) The Critical Link 3:
Interpreters in the Community. Selected Papers from the Third International
Conference on Interpreting in Legal, Health and Social Service Settings, Montréal,
Québec, Canada 22-26 May 2001. Amsterdam: John Benjamins Publishing Company.
Cáceres Würsig I., (2004) La Oficina de Interpretación de Lenguas: desde sus orígines
a la actualidad, in Cruces Colado S., Alonso A., L., (a cura di) (2004).
Castiglioni M., (1997) La mediazione linguistico-culturale. Principi, strategie,
esperienze, Milano: Franco Angeli.
Ceccatelli Gurrieri G., (2003) Mediare culture. Nuove professioni tra comunicazione e
intervento, Roma: Carocci.
Ceretti A., (1997) Progetto per la costituzione di un Ufficio di Mediazione Penale press
oil Tribunale per i minorenni di Milano, in Pisapia G., V., Antonucci D., (a cura di)
(1997).
Chesher T., Statyer H., Doubine V., Jaric L., Lazzari R., (2003) Community-Based
Interpreting. The Interpreter’s Perspective, in Brunette et al. (eds.), (2003).
Corsellis A., Hertog E., Martinsen B., Ostarhild E., Vanden Bosch Y., (2003) European
Equivalencies in Legal Interpreting and Translation, in Brunette et al. (eds.) (2003).
Cruces Colado S., Alonso A., L., (a cura di) (2004) La traducción en el ámbito
institucional: autonómico, estatal y europeo, Universidad de Vigo.
222
Curtotti-Nappi D., (2002) Il problema delle lingue nel processo penale, Milano:
Giuffrè.
El Hasnaoui A. Z., (2005) Retos y tecnicas en la mediación cultural, in Valero Garcés
C., (a cura di) (2005).
Favaro G., (a cura di) (2001) Parole a più voci, Milano: Franco Angeli.
Favaro G., Fumagalli M., (2004) Capirsi diversi, Roma: Carocci.
Fumagalli M., (2004) Facciamo il punto, in Favaro G., Fumagalli M., (2004).
Gaiba F., (1999) Interpretation at the Nuremberg Trial, in Interpreting, International
Journal of Research Vol. 4(1), 1999. Amsterdam: John Benjamins Publishing
Company.
Garzone G., Mead P., Viezzi M., (eds.), (2002) Perspective on Interpreting, Bologna:
CLUEB.
Garzone G., Rudvin M., (2003) Domain specific English and Language Mediation in
Professional and Institutional Settings, Milano: Arcipelago Edizioni.
Garwood C., (2005) La formazione dell’interprete di trattativa in ambito giudiziario, in
Russo M., Mack G., (a cura di) (2005).
González D., R., Vázquez V., F., Mikkelson H., (1991) Foundamentals of Court
Interpretation, Durham: Carolina Academic Press.
González E., Auzmendi L., (2005) Formación en la interprétación social: pasos hacia
la profesionalización, in Valero Garcés C., (a cura di) (2005).
223
González Lara E., (2005) La intepretación ante los tribunales en el siglo XXI en la
provincia de Alicante: ¿una interprétación de calidad?, in Valero Garcés C., (a cura di)
(2005).
Hertog E., Corsellis A., Rasmussen K. W., van den Bosch Y., van der Vlis E.J., KeijzerLambooy H., (2007) From Aequitas to Aequalitas. Establishing standards in legal
interpreting and translation in the European Union, in Wadensjö et al. (eds.) (2007).
Ibáñez de Opacua P., A., (2000) La traducción y la interpretación en la Administración
de Justicia, in Kelly D., (a cura di) (2000).
Kelly D., (a cura di) (2000) La traducción y la interpretación en Espaňa hoy:
perspectivas profesionales, Granada: Comares.
La mediazione in ambito giudiziario, in INTERPRES “La mediazione linguistico
culturale fra buone prassi e potenzialità”, Programma LLP Leonardo Da Vinci TOI
2007 LLP-LDV/TOI/2007/IT/158, pp. 23-24.
Luis Estévez J. A., Toledano Buendía C., (2002) La formación de intérpretes en los
servicios públicos en la comunidad autónoma canaria, in Valero Garcés C. e Barés M.
(eds.) (2002).
Luka G., (2005) Il mediatore interculturale, in Russo M., Mack G., (a cura di) (2005).
Mack G., (2005) Interpretazione e mediazione: alcune osservazioni terminologiche, in
Russo M., Mack G., (a cura di) (2005).
Martin A., (2000) La interpretación social en Espaňa, in Kelly D., (a cura di) (2000).
Martin A., Abril Martí I., (2002) Los límites difusos del papel del intérprete social in
Valero Garcés C. e Barés M. (eds.) (2002).
224
Martínez Lanzán G., (2005) La interpretación social en Zaragoza, in Valero Garcés C.,
(a cura di) (2005).
Martinsen B., (2002) Public service inteprreting: challenges and how to meet them, in
Garzone et al. (eds.) (2002).
Merlini R., (2005) Alla ricerca dell’interprete ritrovato, in Russo M., Mack G., (a cura
di) (2005).
Messina A., (2002) Quality research and quality standards in interpreting: the state of
art, in Garzone et al. (eds.) (2002).
Mikkelson (2000) Introduction to Court Interpreting, Manchester, UK & Northampton
MA: St. Jerome Publishing.
Murer B., (2001) L’Ufficio Stranieri del Comune di Milano e il servizio di
Interpretariato, in Favaro G., (a cura di) (2001).
Ortega-Herráez J., M., Foulquié Rubio A., I., (2005) La interpretación en el ámbito
jurídico en Espaňa: hacia la creación de estructuras estables y profesionales, in Valero
Garcés C., (a cura di) (2005).
Ortega-Herráez J., M., et al. (2007) Los intérpretes judiaciales ante la propuesta de
decisión marco del Consejo sobre garantías procesales en los procesos penales de la
Unión Europea, in Arangüena Fanego C., (a cura di) (2007).
Palomo del Arco A., (2007) Derecho a la asistencia de intérprete y derecho a la
traducción de documentos en el proceso penal: Priméra aproximación a su contenido
en el ordinamiento espaňol, in Arangüena Fanego C., (a cura di) (2007).
Pérez González L., (2002) Interpretar para la justicia. ¿Interpretar para la injusticia?
in Valero Garcés C. e Barés M. (eds.) (2002).
225
Pisapia G., V., Antonucci D., (a cura di) (1997) La sfida della mediazione, Padova:
CEDAM.
Pöchhacker F., (1999) “Getting Organized”: The Evolution of Community Interpreting,
in Interpreting, International Journal of Research Vol. 4(1), 1999. Amsterdam: John
Benjamins Publishing Company.
Pöchhacker F., (2004) Introducing Interpreting Studies, London: Routledge.
Pujol Puente M., (2000) Hacia un colegio profesional: TRIAC, in Kelly D., (a cura di)
(2000).
Raders M., Martín-Gaitero R., (a cura di) (1994) IV Encuentros complutenses en torno a
la traducción 24-29 de febrero de 1992. Editorial Complutense.
Rudvin M., (2002) How neutral is “neutral”?issue in interaction and participation in
community interpreting, in Garzone et al. (eds.) (2002).
Rudvin M., (2003a) Interpreting for Public Service: Some institutional, Professional
and intercultural aspects, in Garzone G., Rudvin M., (2003).
Rudvin M., (2003b) Cross-cultural issues in Community Interpreting, in Garzone G.,
Rudvin M., (2003).
Rudvin M., (2005) La formazione di interpreti in ambito sociale in Italia e all’estero, in
Russo M., Mack G., (a cura di) (2005).
Rudvin M., (2007) Socio cultural constraints and the public service interpreter.
Professionalism and ethics in community interpreting: The impact of individualism
versus collective group identity on interpreting strategies and performance on notion of
226
professionalism, in Intepreting, International Journal of Research Vol. 9(1), 2007.
Amsterdam: John Benjamins Publishing Company.
Russo M., Mack G., (a cura di) (2005) Interpretazione di trattativa, Milano: Hoepli.
Sambataro E., (2008) “Deontologia Professionale: coordinate di orientamento del
professionista traduttore e/o interprete. Autoregolamentazione e libero mercato”, in
“La professione del Traduttore e dell’interprete: deontologia, qualità e formazione
permanente”, CONGRESSO INTERNAZIONALE AITI, Bologna 6-7 giugno 2008.
Sánchez Aldea P., Ibáñez de Opacua P. A., Ortega-Herráez J., M., Blázques Plaza S.,
(2004) Situación actual de la práctica de la traducción y de la intepretación en la
Administración de Justicia, in Cruces Colado S., Alonso A., L., (a cura di) (2004).
Schweda Nicholson N., (1994) Professional ethics for court and community
interpreters, in Professional Issue for Translators and Interpreters, American
Translators Association, Scholarly Monograph Series. Hammond L., D., (ed.), Vol. VII,
Amsterdam/Philadelphia: John Benjamins Publishing Company.
Tarozzi M., (1998) La mediazione educativa. “mediatori culturali” tra uguaglianza e
sofferenza, Bologna: CLUEB.
Valero Garcés C., Barés M., (eds.) (2002) Traducción e interpretación en los servicios
públicos: nuevas necesidades para nuevas realidades, Madrid: Universidad de Alcalá.
Valero Garcés C., Barés M., (2002a) Nuevas necesidades para nuevas realidades en la
comunicación intercultural. Traducción e intepretación en los servicios públicos in
Valero Garcés C. e Barés M. (eds.) (2002).
Valero Garcés C., (2002b) Traducir de y para los que llegan: una incipiente realidad,
in Valero Garcés C. e Barés M. (eds.) (2002).
227
Valero Garcés C., (2005) Traducción como mediación entre lenguas y culturas, Madrid:
Universidad de Alcalá.
Valero Garcés C., (2006) Formas de mediación intercultural: traducción e
interpretación en los servicios públicos: conceptos, datos, situaciones y práctica,
Granada: Comares.
Wadensjö C., (1998) Intepreting as Interaction, London/New York: Longman.
Wadensjö C., Dimitrova B. E., Nilsson A.L., (eds.) (2007) The Critical Link 4.
Professionalisation of interpreting in the community: Selected papers from the 4th
International conference on Interpreting in Legal, Health and Social Service Settings.
Amsterdam/Philadelphia: John Benjamins Publishing Company.
SITOGRAFIA
Codice deontologico AITI http://www.aiti.org/codice_deontologico.html
Codice deontologico ANITI http://www.aniti.it/associazione/associazione_codice.asp
Codice deontologico AIIC http://www.aiic.net/ViewPage.cfm/article24.htm
Codice deontologico RID http://www.rid.org/ethics/code/index.cfm
NAATI http://www.naati.com.au/index.asp
ASETRAD http://www.asetrad.org/
APTIC http://www.aptic.cat/
228
Articolo
24
della
Costituzione
http://www.quirinale.it/qrnw/statico/costituzione/costituzione.htm
Articolo
6
CEDU
www.echr.coe.int/nr/rdonlyres/Od3304d1-f396-414a-a6c1-
97b316f9753a/O/italianitalien.pdf
Articolo Avvocato Nicola Ianniello, presidente dell'A.N.V.A.G. Associazione
Nazionale Volontari Avvocati per il Gratuito patrocinio e la difesa dei non abbienti
http://www.overlex.com/leggiarticolo.asp?id=1398
Articolo
143
codice
di
procedura
penale
http://www.pianetagratis.it/codicionline/codiceprocedurapenale/l24.htm
Delibera
regionale
Emilia
Romagna
http://www.documenti.comune.parma.it/normative/DELIBERA%20REG%2030-0704,%20n.%201576_8890_1_4_S_RNS.pdf
LA MEDIAZIONE GIUDIZIARIA RACCOMANDAZIONE DEL CONSIGLIO D’EUROPA n.19 del
15.9.1999
www.lexetjus.net/.../Libro%20La%20Giurisdizione%20e%20la%20Mediazione%20W
ORD%20...
I mediatori penali http://www.regione.taa.it/Giudicidipace/Mediatori.aspx
Ley de extranjería http://servicios.laverdad.es/servicios/especiales/leyextran/
El Ghazouani A., A., (2008) El Mercado professional en traducción jurídica y jurada y
en
mediación
intercultural:
el
caso
de
la
lengua
http://www.um.es/tonosdigital/znum15/secciones/tritonos-1-Abdellatif.htm
árabe
accesso
17/12/2009.
Garzone G., (2002) The cultural turn. Traduttologia, interculturalità e mediazione
linguistica
229
http://www.club.it/culture/culture2002/giuliana.garzone/corpo.tx.garzone.html accesso
12/10/2009.
Garzone
G.,
(2009)
L’interprete
e
il
mediatore:
aspetti
deontologici
http://amsacta.cib.unibo.it/2626/3/Volume_121109.pdf accesso 12/10/2009.
Longhi A., (2006) L’interprete nel processo penale italiano: perito, consulente tecnico
o
professionista
virtuale?
http://www.intralinea.it/volumes/ita_more.php?id=350_0_2_0_C accesso 13/11/2009.
Maffei F., (2009) La mediazione linguistico culturale e aspetti di sicurezza
http://www.intralinea.it/volumes/ita_more.php?id=350_0_2_0_C accesso 10/11/2009.
Martin A., (2006) La realidad de la traducción e interpretación en los servicios
públicos en Andalucía
http://dialnet.unirioja.es/servlet/articulo?codigo=2198698
accesso 18/12/2009.
Sales Salvador D., (2008) Panorama de la mediación intercultural y la
traducción/interpretación
en
los
servicios
públicos
en
http://www.aulaintercultural.org/IMG/pdf/panorama_mediacion_intercultural.pdf
Espaňa
accesso
17/11/2009.
Valero Garcés C., Taibi M., (2004) Professionalizing Public Service Translation and
Interpreting in Spain http://www.criticallink.org/files/CL4_ValeroGarces_Taibi.pdf
accesso 18/11/2009.
230
APPENDICE A
I CODICI DEONTOLOGICI
CODICE DEONTOLOGICO AITI
Titolo I - Principi generali
Articolo 1. Ambito di applicazione
Le norme deontologiche si applicano a tutti i traduttori e gli interpreti nell'esercizio
della loro attività e nei rapporti tra loro e con i terzi.
Articolo 2. Potestà disciplinare e regolamentare
Spetta agli organi disciplinari la potestà di irrogare sanzioni per violazione delle norme
deontologiche, spetta altresì agli organi dell'Associazione precisare le regole di condotta
per la migliore tutela del decoro della professione.
Articolo 3. Volontarietà dell'azione
La responsabilità disciplinare discende dalla volontarietà dell'azione indipendentemente
dal dolo o dalla colpa. Oggetto di valutazione è il comportamento complessivo
dell'incolpato sicché, anche quando siano mossi vari addebiti nell'ambito di uno stesso
procedimento, la sanzione deve essere unica.
Articolo 4. Attività all'estero
Nell'esercizio di attività professionale all'estero traduttori e interpreti sono soggetti alle
norme deontologiche interne nonché alle norme deontologiche dell'Associazione
presente nel Paese in cui viene svolta l'attività, se ciò è previsto a condizioni di
reciprocità.
Articolo 5. Dovere di probità, dignità e decoro
Il traduttore e l'interprete devono ispirare la propria condotta all'osservanza dei doveri di
probità, dignità e decoro.
È fatto divieto al traduttore e all'interprete, nell'esercizio della professione, di esprimere
opinioni politiche o personali e di rilasciare dichiarazioni pubbliche circa la propria
ideologia politica.
231
Articolo 6. Dovere di lealtà e correttezza
Il traduttore e l'interprete devono svolgere la propria attività professionale con lealtà e
correttezza.
Al traduttore e all'interprete è assolutamente vietato trarre un utile personale da
informazioni di cui vengano a conoscenza nell'esercizio della professione.
L'interprete deve svolgere il proprio incarico con obiettività ed equidistanza, e
l'interprete di tribunale deve tenere sempre presente il fatto che opera nell'interesse
superiore della Giustizia.
Il traduttore deve eseguire a regola d'arte e personalmente l'incarico affidatogli.
Articolo 7. Dovere di diligenza
Il traduttore e l'interprete devono adempiere ai propri doveri professionali con diligenza.
In particolare devono rispettare le modalità e i termini dell'incarico. I traduttori devono
altresì rispettare i termini di consegna se espressamente previsti e sottoscritti e devono
curare l'aspetto esteriore del testo tradotto.
Articolo 8. Dovere di segretezza e riservatezza
È dovere del traduttore e dell'interprete conservare il segreto sull'attività prestata e
mantenere comunque la riservatezza sugli affari trattati. Il traduttore e l'interprete
devono inoltre provvedere alla salvaguardia dei documenti in loro possesso.
Articolo 9. Dovere di indipendenza
Il traduttore e l'interprete hanno il dovere di mantenere la propria indipendenza
nell'esercizio dell'attività professionale. Devono avere coscienza dell'importanza del
proprio lavoro conservando autonomia di decisione sulle scelte tecniche e sulle modalità
di svolgimento dello stesso.
Articolo 10. Dovere di competenza
L'accettazione di un determinato incarico professionale fa presumere la competenza a
svolgere quell'incarico. In ogni caso il traduttore e l'interprete devono comunicare al
232
committente le circostanze impeditive alla prestazione dell'attività richiesta e così
eventualmente la necessità dell'integrazione con altro collega.
Articolo 11. Dovere di aggiornamento professionale
È dovere del traduttore e dell'interprete curare costantemente la propria preparazione
professionale, sia in campo strettamente linguistico sia riguardo alla propria cultura
generale e specialistica.
Articolo 12. Dovere di adempimento previdenziale e fiscale
Il traduttore e l'interprete hanno il dovere di provvedere agli adempimenti previdenziali
e fiscali prescritti dalle norme in vigore.
Articolo 13. Dovere di evitare incompatibilità
È dovere del traduttore e dell'interprete evitare situazioni di incompatibilità e comunque
segnalare al committente eventuali motivi di conflitto d'interesse che possano
compromettere la qualità della prestazione, richiedendo, nel dubbio, il parere
dell'Associazione.
Articolo 14. Divieto di pubblicità
È vietata qualsiasi forma di pubblicità dell'attività professionale; al fine del rispetto del
diritto del pubblico all'informazione, è consentita la pubblicità specifica e informativa,
indicativa del proprio particolare ramo di attività o specializzazione, purché attuata con
discrezione e in modo da non recare offesa alla dignità della professione.
Articolo 15. Divieto di intermediazione
Il traduttore e l'interprete, nell'esercizio della loro attività, devono astenersi da qualsiasi
forma di intermediazione a scopo di lucro.
Articolo 16. Dovere di rispettare le condizioni di lavoro
È dovere del traduttore e dell'interprete rispettare le condizioni di lavoro definite
dall'AITI.
233
Titolo II. Rapporti con i colleghi
Articolo 17. Rapporto di colleganza
Il traduttore e l'interprete devono mantenere sempre nei confronti dei colleghi un
atteggiamento di cordialità e lealtà, al fine di rendere più serena e corretta l'attività
professionale.
Devono astenersi da ogni attività o forma di pubblicità che possa arrecare danno o
pregiudizio ad altri colleghi. In particolare non devono esprimere critiche sui colleghi
per il loro operato, né ingenerare la convinzione della superiorità o convenienza delle
proprie prestazioni.
Articolo 18. Divieto di accaparramento di clienti
Il traduttore e l'interprete si asterranno da qualsiasi comportamento che possa definirsi
"concorrenza sleale".
È fatto inoltre divieto al traduttore e all'interprete di sfruttare informazioni,
eventualmente ottenute, riguardanti i committenti di altri colleghi o di approfittare di
incarichi in équipe al fine di accaparrarsi committenti.
Articolo 19. Notizie riguardanti i colleghi
È tassativamente vietata la diffusione di notizie relative alla persona e ai comportamenti
di un collega.
Eventuali violazioni del codice deontologico devono essere rappresentate per iscritto
esclusivamente agli organi disciplinari.
Titolo III. Rapporti con i committenti
Articolo 20. Rapporto di fiducia
Il rapporto di fiducia è alla base dell'attività professionale.
Articolo 21. Mancata prestazione di attività
Costituisce violazione dei doveri professionali, sanzionabile anche disciplinarmente, il
mancato o ritardato svolgimento dell'incarico ricevuto, quando la mancanza sia riferibile
234
a negligenza o trascuratezza (indipendentemente dal fatto che ne derivi pregiudizio agli
interessi del committente).
Articolo 22. Obbligo di informazione
Il traduttore e l'interprete devono rendere note al committente le condizioni di lavoro
applicabili all'incarico e fornirgli tutte le informazioni relative.
Articolo 23. Obbligo di restituzione di documenti
Il traduttore e l'interprete sono tenuti a restituire al committente tutta la documentazione
ricevuta, quando questi ne faccia richiesta.
Articolo 24. Azioni contro il committente per il pagamento del compenso
In ottemperanza a quanto previsto dalle condizioni di lavoro, il traduttore e l'interprete
devono richiedere che gli incarichi siano conferiti per iscritto.
Ove la corresponsione del compenso non avvenga entro i termini prescritti il traduttore
e l'interprete possono procedere giudizialmente nei confronti del committente per il
pagamento delle proprie prestazioni professionali.
Articolo 25. La testimonianza del traduttore o dell'interprete
Per quanto possibile, il traduttore e l'interprete devono astenersi dal deporre come
testimoni su circostanze apprese nell'esercizio della propria attività professionale o
inerenti all'incarico ricevuto.
Titolo IV. Rapporti con le altre associazioni
Articolo 26.
Devono essere favoriti i rapporti con le altre associazioni di categoria, ai fini della
circolazione delle informazioni e dell'attuazione di azioni comuni a tutela della
professione.
Tali rapporti sono riservati al Presidente Nazionale, eventualmente coadiuvato dai
Presidenti delle Commissioni Nazionali, o ai suoi delegati personali esclusivamente
nell'ambito della delega loro conferita.
235
Articolo 27.
L'appartenenza dei soci AITI ad altre associazioni o gruppi è ammessa purché lo Statuto
o i Regolamenti e gli scopi degli stessi non siano in contrasto con le disposizioni dello
Statuto, del Regolamento, del Codice Deontologico o delle Condizioni di Lavoro AITI.
Articolo 28.
I soci dell'AITI che appartengano anche ad altre associazioni o gruppi, nei quali
rivestano cariche rappresentative o dai quali siano delegati, devono astenersi dal
partecipare agli incontri tra associazioni, onde evitare situazioni conflittuali.
236
AIIC CODE OF PROFESSIONAL ETHICS
I. Purpose and Scope
Article 1
a. This Code of Professional Ethics (hereinafter called the "Code") lays down the
standards of integrity, professionalism and confidentiality which all members of
the Association shall be bound to respect in their work as conference
interpreters.
b. Candidates shall also undertake to adhere to the provisions of this Code.
c. The Council, acting in accordance with the Regulation on Disciplinary
Procedure, shall impose penalties for any breach of the rules of the profession as
defined in this Code.
II. Code of Honour
Article 2
a. Members of the Association shall be bound by the strictest secrecy, which must
be observed towards all persons and with regard to all information disclosed in
the course of the practice of the profession at any gathering not open to the
public.
b. Members shall refrain from deriving any personal gain whatsoever from
confidential information they may have acquired in the exercise of their duties as
conference interpreters.
Article 3
a. Members of the Association shall not accept any assignment for which they are
not qualified. Acceptance of an assignment shall imply a moral undertaking on
the member's part to work with all due professionalism.
b. Any member of the Association recruiting other conference interpreters, be they
members of the Association or not, shall give the same undertaking.
c. Members of the Association shall not accept more than one assignment for the
same period of time.
Article 4
237
a. Members of the Association shall not accept any job or situation which might
detract from the dignity of the profession.
b. They shall refrain from any act which might bring the profession into disrepute.
Article 5
For any professional purpose, members may publicise the fact that they are conference
interpreters and members of the Association, either as individuals or as part of any
grouping or region to which they belong.
Article 6
a. It shall be the duty of members of the Association to afford their colleagues
moral assistance and collegiality.
b. Members shall refrain from any utterance or action prejudicial to the interests of
the Association or its members. Any complaint arising out of the conduct of any
other member or any disagreement regarding any decision taken by the
Association shall be pursued and settled within the Association itself.
c. Any problem pertaining to the profession which arises between two or more
members of the Association, including candidates, may be referred to the
Council for arbitration, except for disputes of a commercial nature.
III. Working Conditions
Article 7
With a view to ensuring the best quality interpretation, members of the Association:
a. shall endeavour always to secure satisfactory conditions of sound, visibility and
comfort, having particular regard to the Professional Standards as adopted by the
Association as well as any technical standards drawn up or approved by it;
b. shall not, as a general rule, when interpreting simultaneously in a booth, work
either alone or without the availability of a colleague to relieve them should the
need arise;
c. shall try to ensure that teams of conference interpreters are formed in such a way
as to avoid the systematic use of relay;
d. shall not agree to undertake either simultaneous interpretation without a booth or
whispered interpretation unless the circumstances are exceptional and the quality
of interpretation work is not thereby impaired;
238
e. require a direct view of the speaker and the room and therefore will not agree to
working from screens except in exceptional circumstances where a direct view is
not possible, provided the arrangements comply with the Association's
appropriate technical specifications and rules;
f. shall require that working documents and texts to be read out at the conference
be sent to them in advance;
g. shall request a briefing session whenever appropriate;
h. shall not perform any other duties except that of conference interpreter at
conferences for which they have been taken on as interpreters.
Article 8
Members of the Association shall neither accept nor, a fortiori, offer for themselves or
for other conference interpreters recruited through them, be they members of the
Association or not, any working conditions contrary to those laid down in this Code or
in the Professional Standards.
IV. Amendment Procedure
Article 9
This Code may be modified by a decision of the Assembly taken with a two-thirds
majority of votes cast, provided a legal opinion has been sought on the proposals.
Version 2009
239
CODICE DEONTOLOGICO
di A.N.I.T.I.
Preambolo
Il traduttore e l'interprete hanno il compito di trasmettere nella lingua in cui traducono
gli stessi concetti e messaggi del testo originale, senza aggiunte o omissioni, al meglio
delle loro capacità professionali, rispettando tutti gli aspetti sia linguistici, sia culturali
del testo originale. Il traduttore e l'interprete devono favorire la comunicazione ed il
colloquio restando in posizione di neutralità.
Titolo I – Principi generali
Art. 1. Ambito di applicazione.
Le norme deontologiche si applicano a tutti i traduttori e interpreti aderenti all'A.N.I.T.I.
nell'esercizio della loro attività e nei rapporti tra loro e con i terzi.
Art. 2. Potestà disciplinare e regolamentare.
Ove l’associato violi anche una sola delle regole deontologiche che si è impegnato a
rispettare con l’iscrizione all’associazione, è facoltà del Consiglio Direttivo, sentito il
parere del Collegio dei Probi Viri, adottare la sanzione disciplinare dell’esclusione dello
stesso dall’associazione.
Art. 3. Volontarietà dell'azione.
La responsabilità disciplinare discende dalla volontaria inosservanza dei doveri e delle
regole di cui al presente codice, anche se determinata da una condotta omissiva. Oggetto
di valutazione discrezionale da parte del Consiglio Direttivo, ai fini dell’eventuale
adozione del provvedimento di esclusione, è non solo la violazione specifica addebitata
ma anche il comportamento complessivo dell'associato, tenuto conto della gravità del
fatto, dell’eventuale recidiva e delle specifiche circostanze soggettive ed oggettive che
hanno concorso a determinare l’infrazione.
Art. 4. Attività all'estero.
Nell'esercizio di attività professionale all'estero, traduttori e interpreti sono soggetti alle
norme deontologiche interne nonché alle norme deontologiche dell'Associazione
240
presente nel Paese in cui viene svolta l'attività, se ciò è previsto, a condizioni di
reciprocità. In caso di conflitto prevalgono le norme interne.
Art. 5. Dovere di probità, dignità e decoro.
Il traduttore e l'interprete devono ispirare la propria condotta all'osservanza dei doveri di
probità, dignità e decoro. È fatto divieto al traduttore e all'interprete, nell'esercizio della
professione, di esprimere opinioni politiche o personali e di rilasciare dichiarazioni
pubbliche circa la propria ideologia politica o religiosa. Con la propria attività di
traduzione, i traduttori o interpreti non devono contribuire in maniera consapevole alla
perpetrazione di reati o azioni illecite.
Art. 6. Dovere di lealtà e correttezza.
Il traduttore e l'interprete devono svolgere la propria attività professionale con lealtà e
correttezza. Al traduttore e all'interprete è vietato trarre un utile personale da
informazioni di cui vengano a conoscenza nell'esercizio della professione o
nell'adempimento di un incarico. L'interprete deve svolgere il proprio incarico con
obiettività ed equidistanza, e l'interprete di tribunale deve tenere sempre presente il fatto
che opera nell'interesse superiore della Giustizia. Il traduttore deve eseguire a regola
d'arte e personalmente l'incarico affidatogli.
Art. 7. Dovere di diligenza.
Il traduttore e l'interprete devono adempiere ai propri doveri professionali con diligenza.
In particolare devono rispettare le modalità e i termini dell'incarico. I traduttori devono
altresì rispettare i termini di consegna se espressamente previsti e sottoscritti e devono
curare l'aspetto formale del testo tradotto.
Art. 8. Dovere di segretezza e riservatezza.
È dovere del traduttore e dell'interprete conservare il segreto sull'attività prestata e
mantenere comunque la riservatezza sugli affari trattati. Il traduttore e l'interprete
devono inoltre provvedere alla salvaguardia dei documenti e dei dati in loro possesso.
Il traduttore e l'interprete sono tenuti a richiedere il rispetto del segreto professionale
anche ai propri collaboratori, dipendenti e praticanti e, comunque, a tutte le persone che
cooperano nello svolgimento dell'attività professionale.
Art. 9. Divieto di intermediazione e dovere di indipendenza.
241
Traduttori e interpreti, nell'esercizio dell'attività professionale, hanno il dovere di
conservare la propria indipendenza e difendere la verità della traduzione da pressioni o
condizionamenti esterni.
I soci di A.N.I.T.I. non devono porre in essere attività di intermediazione nel settore
delle traduzioni e dell’interpretariato.
La collaborazione tra professionisti nelle lingue e nei settori di loro competenza non
costituisce attività d’intermediazione.
Traduttori e interpreti non devono tener conto di interessi personali.
Art. 10. Dovere di competenza.
Il traduttore e l'interprete non devono accettare incarichi che sappiano di non poter
svolgere con adeguata competenza. In ogni caso il traduttore e l'interprete devono
comunicare al committente le circostanze impeditive alla prestazione dell'attività
richiesta e così eventualmente la necessità dell'integrazione con altro collega.
L'accettazione di un determinato incarico professionale fa presumere la competenza a
svolgere quell'incarico.
Art. 11. Dovere di aggiornamento professionale.
È dovere del traduttore e dell'interprete curare costantemente la propria preparazione
professionale, sia in campo strettamente linguistico sia riguardo alla propria cultura
generale e specialistica con particolare riferimento ai settori nei quali é svolta l'attività.
Art. 12. Dovere di adempimento previdenziale e fiscale. Assicurazione.
Il traduttore e l'interprete hanno il dovere di provvedere agli adempimenti previdenziali
e fiscali prescritti dalle Leggi cogenti e dalle norme in vigore.
E' dovere morale del traduttore e dell'interprete assicurarsi contro i rischi professionali,
anche per il tramite di associazioni.
Art. 13. Dovere di evitare incompatibilità.
È dovere del traduttore e dell'interprete evitare situazioni di incompatibilità e comunque
segnalare al committente eventuali motivi di conflitto d'interesse che possano
compromettere la qualità della prestazione, richiedendo, nel dubbio, il parere
dell'Associazione.
Art. 14. Pubblicità.
242
È consentita la pubblicità specifica e informativa, in ordine al proprio particolare ramo
di attività o specializzazione, purché attuata con discrezione e in modo da non recare
offesa alla dignità della professione.
Art. 15. Dovere di rispettare le condizioni di lavoro.
È dovere del traduttore e dell'interprete rispettare le condizioni di lavoro definite
dall'A.N.I.T.I.
Titolo II - Rapporti con i colleghi
Art. 16. Rapporto di colleganza.
Il traduttore e l'interprete devono mantenere sempre nei confronti dei colleghi un
atteggiamento di cordialità e lealtà, al fine di rendere più serena e corretta l'attività
professionale. Devono astenersi da ogni attività o forma di pubblicità che possa arrecare
danno o pregiudizio ad altri colleghi. In particolare non devono esprimere critiche sui
colleghi per il loro operato, né ingenerare la convinzione della superiorità o convenienza
delle proprie prestazioni.
È tassativamente vietata la diffusione di notizie relative alla persona e ai comportamenti
di un collega. Eventuali violazioni del codice deontologico devono essere rappresentate
per iscritto esclusivamente agli organi disciplinari.
Art. 17. Divieto di accaparramento di committenti.
Il traduttore e l'interprete si asterranno da qualsiasi comportamento che possa essere
qualificato come "concorrenza sleale". È fatto inoltre divieto al traduttore e all'interprete
di sfruttare informazioni, eventualmente ottenute, riguardanti i propri committenti o i
committenti di altri colleghi o di approfittare di incarichi in équipe al fine di
accaparrarsi committenti.
Art. 18. Rapporti con i collaboratori di studio e con i praticanti.
Traduttori e interpreti devono consentire ai propri collaboratori di migliorare la
preparazione professionale, compensandone la collaborazione in proporzione all'apporto
ricevuto.
Traduttori e interpreti sono tenuti verso i praticanti ad assicurare l'effettività ed a
favorire la proficuità della pratica al fine di consentire un'adeguata formazione,
mettendo a disposizione un adeguato ambiente di lavoro.
243
Il praticante, nell'esercizio dell'attività di pratica, é tenuto al rispetto delle presenti
norme deontologiche.
Titolo III - Rapporti con i committenti
Art. 19. Rapporto di fiducia.
Il rapporto fiduciario è alla base dell'attività professionale.
Art. 20. Mancata prestazione di attività.
Costituisce violazione dei doveri professionali, sanzionabile anche disciplinarmente, il
mancato o ritardato svolgimento dell'incarico ricevuto, quando la mancanza sia riferibile
a negligenza o trascuratezza (indipendentemente dal fatto che ne derivi pregiudizio agli
interessi del committente).
Art. 21. Obbligo di informazione.
Il traduttore e l'interprete devono rendere note al committente le condizioni di lavoro
applicabili all'incarico e fornirgli tutte le informazioni relative.
Art. 22. Obbligo di restituzione di documenti.
Il traduttore e l'interprete sono tenuti a restituire al committente tutta la documentazione
ricevuta, quando questi ne faccia richiesta.
Art. 23. Azioni contro il committente per il pagamento del compenso.
In ottemperanza a quanto previsto dalle condizioni di lavoro, il traduttore e l'interprete
devono richiedere che gli incarichi siano conferiti per iscritto. Ove la corresponsione del
compenso non avvenga entro i termini prescritti il traduttore e l'interprete possono
procedere giudizialmente nei confronti del committente per il pagamento delle proprie
prestazioni professionali.
Art. 24. La testimonianza del traduttore o dell'interprete.
Per quanto possibile, il traduttore e l'interprete devono astenersi dal deporre come
testimoni su circostanze apprese nell'esercizio della propria attività professionale o
inerenti all'incarico ricevuto.
Titolo IV - Rapporti con le altre associazioni
Art. 25. Rapporti con altre associazioni
Devono essere favoriti i rapporti con le altre associazioni di categoria, ai fini della
circolazione delle informazioni e di attuazione di azioni comuni a tutela della
professione. Tali rapporti sono riservati al Presidente, o ai suoi delegati personali,
esclusivamente nell’ambito della delega loro conferita.
244
Art. 26. Adesione ad altre Associazioni.
L'appartenenza dei soci A.N.I.T.I. ad altre associazioni o gruppi è ammessa purché lo
Statuto o i Regolamenti e gli scopi degli stessi non siano in contrasto con le disposizioni
dello Statuto, del Regolamento, delle Norme Deontologiche A.N.I.T.I.
Art. 27. Incompatibilità tra le cariche di diverse Associazioni.
I soci ANITI che rivestono cariche rappresentative in ANITI devono astenersi, salvo
approvazione del Consiglio Direttivo, dall'assumere cariche anche in altre associazioni
di traduttori ed interpreti per evitare situazioni di conflitto, a meno che il cumulo delle
cariche o la partecipazione ad incontri possa, a giudizio del Consiglio Direttivo, giovare
alla collaborazione tra le associazioni stesse. I soci ANITI che rivestono cariche
rappresentative in altre associazioni di traduttori ed interpreti non possono entrare nel
Consiglio Direttivo né assumere la posizione di funzionari in ANITI, analogamente a
quanto sopra.
Disposizione finale
Art. 28. Norma di chiusura.
Le disposizioni specifiche di questo codice costituiscono esemplificazioni dei
comportamenti più ricorrenti e non limitano l’ambito di applicazione dei principi
generali di libertà, buon senso, decoro, dignità, diligenza, prudenza e perizia.
Approvato il 27 novembre 2004. Aggiornato il 10.02.2005 e successivamente il
09/06/2007.
245
APPENDICE B
QUESTIONARI
CUESTIONARIO PARA INTÉRPRETES
A – DATOS PERSONALES
Edad:
Sexo:
Nacionalidad:
Lugar de trabajo (ciudad):
Lengua A (lengua materna):
Lengua/s B (desde la/s que traduce y hacia la/s que traduce):
Lengua/s C (desde las que traduce):
Otras lenguas que conoce pero que NO UTILIZA en su trabajo:
1. ¿Está inscrito en un colegio de tribunal?
sí
no
2. ¿Es miembro de alguna asociación de intérpretes?
sí (especificar)
no
3. ¿En qué ámbito del sector judicial trabaja frecuentemente?
civil
penal
4. ¿Desde y hacia qué lengua?
5. ¿Desde hace cúanto tiempo trabaja Ud. como intérprete?
B - FORMACIÓN
1. Usted tiene:
diploma
licenciatura (especificar el sector):
especializaciones pos-licenciatura (especificar):
2. ¿Ha seguido cursos de interpretación ?
246
sí
no
2.1 Si la respuesta es sí, ¿quién organizaba el curso?
universidad
agencias
asociaciones de intérpretes
otros (especificar)
2.2 Si la respuesta es no, ¿cómo ha aprendido las diferentes técnicas de interpretación?
(especificar)
3. ¿Ha seguido un curso de formación para mediadores?
sí
no
Si la respuesta es NO, vaya a la sección C
3.1 Si ha contestado sí, ¿quién lo organizaba? (indicar el nombre al lado de la opción
elegida)
entes institucionales, asociaciones, cooperativas,
gubernamentales que se ocupan de immigración
universidad
otro (especificar)
organizaciones
no
3.2 El curso duraba:
menos de 50 horas
entre 51 y 150 horas
entre 151 y 500 horas
entre 501 y 1000 horas
entre 1001 y 1500 horas
más de 1500 horas
3.3 Para usted, ¿cúal ha sido el aspecto más útil del curso? (seleccionar una o más
opciones)
la teoría
la práctica
el encuentro con otros mediadores
ejercicios prácticos
técnicas de traducción
otro (especificar)
247
3.4 ¿Cúales han sido para usted los puntos débiles del curso? (seleccionar una o más
opciones)
contenidos muy complejos
muchas horas de teoría
muchas horas de práctica
organización muy rígida
contenidos banales
pocas horas de teoría
pocas horas de práctica
organización poco flexible
C – FIGURA PROFESIONAL
1. ¿Cómo definiría la situación profesional en España para el intérprete de tribunal?:
muy positiva
positiva
bastante satisfactoria
poco satisfactoria
decepcionante
2. Para usted, ¿es importante distinguir el intérprete del mediador cultural?
sí
no
no sé
Si ha contestado sí, motive su respuesta: ¿cúales son las diferencias entre las dos
profesiones?
3. Para usted, ¿hay un adecuado reconocimiento de su profesión por parte de la
institución en la que trabaja?
sí
bastante
no
no sé
Si ha contestado no, motive su respuesta:
4a. Cuando Ud. trabaja en un proceso, ¿piensa que los participantes en el
procedimiento judicial tienen una adecuada comprensión de su cargo y de sus
competencias?
sí
bastante
no
no sé
Si ha contestado no, motive su respuesta:
248
5a. ¿Cree Ud. que los participantes en el procedimiento judicial ven la figura del
intérprete como obstáculo?
sí
no
depende de la situación (especificar):
no sé
5b. ¿Cree Ud. que los acusados ven la figura del intérprete como elemento como
obstáculo?
sí
no
depende de la situación (especificar):
no sé
6. Llegar a ser intérprete en ámbito judicial ha sido para una usted una elección:
casual
surgida a raíz de un curso de formación
relacionada con sus competencias y conocimientos
derivada de su motivación personal
otro (especificar)
7. Considera la actividad de intérprete de tribunal:
un trabajo temporal, porque:
un trabajo potencialmente definitivo, porque:
8. Actualmente, además de la interpretación de tribunal, ¿realiza otra actividad
profesional?
sí
no
8.1 Si ha contestado sí, ¿cúal es esa actividad?
interpretación de conferencia
interpretación para los servicios públicos (hospitales, escuelas, …)
traducción
mediación cultural
enseñanza
otro (especificar)
249
D – CARGO Y COMPETENCIAS
1. ¿Es posible que se llame a un intérprete para traducir cuando hay más de un acusado?
sí
no
2. En estas ocasiones, ¿se nombra a más de un intérprete o se puede nombrar a más de
uno?
es nombrado un sólo intérprete
es nombrado más de un intérprete
3. Durante el proceso, ¿qué técnicas interpretativas utiliza normalmente?
consecutiva con apuntes
consecutiva sin apuntes
chuchotage / susurrado
otro (especificar)
4. ¿Recibe alguna información previa respecto al encargo que le ha sido confiado?
sí
no
4.1 Si ha contestado sí, ¿qué tipo de instrumentos utiliza para la preparación?
diccionarios
glosarios
referencias jurídicas
crónica local
medios locales / medios nacionales
otro (especificar)
5. ¿Cúales tendrían que ser los conocimientos y las competencias fundamentales de un
buen intérprete de tribunal? (elegir una o más opciones)
bilingüismo
biculturalismo
conocimiento del derecho (penal, civil)
otro (especificar)
6. ¿Qué características personales debe tener un buen intérprete de tribunal? (elegir una
o más opciones)
autocontrol
resistencia física
250
espíritu de adaptación
rapidez
capacidad para prevenir/mediar conflictos
capacidad para encontrar soluciones innovadoras
capacidad de escucha activa
empatía
otro (especificar)
7. Un intérprete tiene que ser:
español
extranjero
no es importante
E – DEONTOLOGÍA PROFESIONAL
1. Ponga en orden de importancia los siguientes aspectos de la profesión de intérprete
(donde 1 indica más importante y 6 menos importante):
mantener el secreto profesional
mantener la imparcialidad entre las partes
fidelidad escrupulosa (el intérprete no puede ni añadir ni quitar algo a lo que ha
dicho)
respetar las diferencias culturales
conquistar la confianza de los interlocutores
garantizar una comunicación correcta y equilibrada entre las partes
2. ¿Siente empatía o se identifica con los usuarios de su mismo origen?
sí, siempre; me parece natural e inevitable
sí, aunque intento contrastarlo y quedarme en una posición equidistante e
imparcial
depende de quién está en frente de mí
no, consigo separar el ámbito profesional del ámbito personal/emotivo
3. ¿Cree que es dificil ser neutral en su profesión?
muy difícil
difícil
bastante difícil
fácil
4. ¿Cree que los jueces, fiscales y abogados entre otors la consideran
colaborador/a- asistente/a?
sí
no
no sé
251
un/una
4a. En ese caso, ¿cómo se presenta ante ellos?
aclaro mi imparcialidad y autonomía en un encuentro precedente con el
representante de la justicia
aclaro mi imparcialidad y autonomía durante el encuentro con una intervención
directa
aclaro mi autonomía e imparcialidad en un encuentro sucesivo con el representante
de la justicia, si durante el encuentro ha habido malentendidos y/o conflictos.
no hago nada
5a. Si el fiscal/abogado/juez habla con el acusado de manera más o menos ofensiva
apelando a estereotipos, considera más justo:
no traducir ni comentar, sino esperar el enunciado siguiente
no traducir, pero señalar después del proceso que la expresión estereotipada era
inadecuada
traducir de todos modos porque ya había especificado que lo traduciría todo
traducir, pero señalar inmediatamente el uso inadecuado de la expresión
estereotipada
traducir, pero señalar después del proceso que la expresión estereotipada
utilizada era inadecuada
otro (especificar)
5b. Si el acusado dirige al fiscal/abogado/juez términos ofensivos, considera más justo:
no traducir ni comentar, sino esperar el enunciado siguiente
no traducir, pero señalar después del proceso que la expresión estereotipada era
inadecuada
traducir de todos modos porque ya había especificado que lo traduciría todo
traducir, pero señalar inmediatamente el uso inadecuado de la expresión
estereotipada
traducir, pero señalar después del proceso que la expresión estereotipada
utilizada era inadecuada
otro (especificar)
6. Mientras traduce, ¿puede llegar a omitir elementos del enunciado original para que el
enunciado de llegada sea más breve?
sí, cuando traduzco tanto lo que dice el acusado como lo que dice el
fiscal/abogado/juez
sí, pero sólo cuando traduzco lo que dice el acusado
sí, pero sólo cuando traduzco lo que dice el fiscal/abogado/juez
no, jamás
6.1 Si ha contestado sí (a una de las tres primeras posibilidades), motive su respuesta:
252
7. Mientras traduce prefiere utilizar la primera persona del singular (“yo”) o la segunda
persona del singular de cortesía (“usted”)?
primera persona tanto para el acusado como para el fiscal/juez/abogado
segunda persona de cortesía tanto para el acusado como para el fiscal
/juez/abogado
primera persona para el acusado y segunda persona de cortesía para el
fiscal/juez/abogado
primera persona para el fiscal/juez/abogado, segunda persona de cortesía persona
para el acusado
utilizo ambas indiferentemente
8. Para usted,
neutralidad?
¿el tratamiento de cortesía transmite una impresión de mayor
sí
no
no sé
9. ¿Puede el intérprete interactuar con la persona para la que está interpretando?
sí
no
9.1 Si ha contestado sí, ¿de qué manera?
puede explicarle un concepto o añadir algo al original para ser más claro
puede confraternizar o entrevistarse con la persona para la que está interpretando
otro (especificar)
10. ¿Se considera de alguna manera responsable del éxito del proceso?
totalmente responsable
responsable al 50%
poco responsable
no, de ningún modo
Otras anotaciones o comentarios:
MUCHAS GRACIAS POR SU COLABORACIÓN
253
QUESTIONARIO PER MEDIATORI LINGUISTICI E CULTURALI
Per “mediatore linguistico e culturale” si intendono qui l’interprete & il mediatore
culturale
A. Informazioni Generali
B. Problematiche e Qualità della Mediazione
C. Deontologia Professionale
D. Formazione
BLOCCO A: INFORMAZIONI GENERALI
1. Luogo e tipologia di lavoro
2. Sesso
□M
□F
3. Età
4. Qual è la sua madrelingua?
5. Quali sono oltre all’italiano le sue lingue di lavoro?
6. Qual è la sua formazione? (Gli studi)
7. Ha fatto un corso di mediazione?
□ Sì
□ No
8. Circostanze in cui viene richiesta la sua opera di interpretazione:
□ Udienze in tribunale
□ Denunce/Verbali presso gli uffici di Polizia
□ Udienze/Interviste al Centro identificazione ed espulsione
□ Interpretariati presso Associazioni o Enti che forniscono assistenza agli immigrati
(specificare)
9. Con quale frequenza presta la sua collaborazione presso la sua istituzione?
□ Una volta alla settimana
□ Più volte alla settimana
□ Una volta al mese
□ Più volte al mese
□ Altro
9. Da quanto tempo presta la sua collaborazione presso tale istituzione?
BLOCCO B: PROBLEMATICHE E QUALITÁ DELLA MEDIAZIONE
10. In base alla sua esperienza, sorgono mai problemi di comunicazione durante
un’interpretazione?
□ Spesso
□ A volte
254
□ Raramente
□ Mai
11. Se sì, a cosa sono dovuti?
□ Il mediatore LC tende ad essere visto dall’accusato/il richiedente asilo come “alleato”
□ Il mediatore LC tende ad essere visto dal giudice/dal rappresentante delle istituzioni
come “alleato”
□ L’assistito ha scarse conoscenze specifiche (giuridiche) e non comprende la
terminologia
□ Insorgono incomprensioni tra giudice e assistito/tra rappresentante delle istituzioni e
richiedente asilo a causa di differenze culturali
□ Altro
12. Quali tra le seguenti qualità ritiene più importanti per un mediatore LC? (4 risposte)
□ Autonomia nel gestire la comunicazione con l’assistito
□ Capacità di relazionarsi positivamente con l’assistito
□ Chiarezza nell’esposizione
□ Conoscenza dell’ordinamento giuridico – procedurale
□ Conoscenza terminologica tecnica
□ Imparzialità
□ Precisione nel tradurre il senso di quanto viene detto
□ Precisione nel tradurre ogni singola parola di quanto viene detto
□ Riservatezza (segreto professionale)
□ Rispetto per l’assistito
13. Secondo Lei, quanto è importante che il mediatore linguistico LC abbia in comune
con l’assistito?:
Legenda: per niente importante (1);
(3)
Il sesso
Il gruppo etnico
Il credo religioso
abbastanza importante (2);
molto importante
( )
( )
( )
14. Le capita di incontrare personalmente l’assistito prima della seduta di lavoro?
□ Spesso
□ A volte
□ Raramente
□ Mai
15. Se sì, di cosa discute?
255
16. Quanto è importante questo secondo Lei?
□ Irrilevante
□ Poco importante
□ Abbastanza importante
□ Molto importante
□ Fondamentale
17. Quale modalità di interpretazione utilizza più di frequente?
□ Bilaterale
□ Chuchotage
□ Sistema misto
□ Altro
18. Prende appunti per la traduzione?
□ Sì
□ No
19. Di solito parla:
□ In prima persona
□ In terza persona
□ E’ indifferente
20. Ritiene che il compito di un mediatore LC includa anche:
□ Semplificare e spiegare i termini tecnici per l’assistito
□ Riassumere frasi molto lunghe dell’assistito
□ Omettere frasi che non riguardano l’oggetto del discorso per evitare perdite di tempo
□ Spiegare all’interlocutore eventuali riferimenti culturali
□ Nel tradurre, adattare quanto viene detto alla cultura del destinatario della traduzione
□ Informare le parti nel caso di fraintendimenti nella conversazione
□ Altro (specificare):
BLOCCO C: DEONTOLOGIA PROFESSIONALE
21. Quanto ritiene importante che il mediatore LC si comporti in maniera imparziale?
□ Irrilevante
□ Poco importante
□ Abbastanza importante
□ Molto importante
□ Fondamentale
256
22. Se il mediatore LC si accorge che l’accusato sta mentendo su questioni importanti,
come dovrebbe comportarsi nei confronti del giudice?
□ Lo deve segnalare
□ Non lo deve segnalare
□ Non so, dipende dal contesto (specificare):
BLOCCO D: FORMAZIONE
23. Ritiene che ai mediatori LC che si occupano di processi penali/assistenza ai
richiedenti asilo possano essere utili corsi d’aggiornamento?
□ Sì
□ No
□ Non so
24. Se sì, su quali argomenti? (max 3 risposte)
□ Aspetti giuridico - legali
□ Deontologia professionale
□ Problematiche della comunicazione interculturale
□ Tecniche di interpretazione
□ Terminologia tecnica specifica
□ Altro (specificare):
25. Secondo lei quali strumenti o iniziative potrebbero migliorare la qualità del servizio
di mediazione/interpretazione nell’ambito dell’assistenza all’accusato durante un
processo penale/al richiedente asilo?
26. Eventuali commenti
SI RINGRAZIA PER LA GENTILE COLLABORAZIONE
257
APPENDICE C
DELIBERA REGIONALE REGIONE EMILIA ROMAGNA
OGGETTO: Prime disposizioni inerenti la figura professionale del
“Mediatore Interculturale”
Prot. n.
Delibera n. 1576 del 30 luglio 2004
___________________________________________________________
LA GIUNTA DELLA REGIONE EMILIA ROMAGNA
Viste:
la L.R. 30 giugno 2003, n.12 “Norme per l’uguaglianza delle
opportunità di accesso al sapere per ognuno e per tutto l’arco
della vita, attraverso il rafforzamento dell’istruzione e della
formazione professionale, anche in integrazione tra loro” ;
la propria deliberazione n. 936 del 17 maggio 2004 avente
per oggetto “Orientamenti, metodologia e struttura per la
definizione del sistema regionale delle qualifiche”;
gli
"Indirizzi
per
il
sistema
formativo
integrato
dell'istruzione,
della
formazione
professionale,
dell'orientamento e delle politiche del lavoro - Biennio
2003/2004" approvati con deliberazione del Consiglio regionale
n. 440 del 19/12/2002 (proposta della Giunta regionale n. 2359
del 2/12/2002);
la propria deliberazione n. 177 del 10/02/2003 avente ad
oggetto "Direttive Regionali in ordine alle tipologie di azione
ed alle regole per l’accreditamento degli organismi di
formazione professionale";
la propria deliberazione n. 1263 del 28 giugno 2004 recante
“Approvazione disposizioni attuative del Capo II Sezione III
“Finanziamento delle attività e sistema informativo della L.R.
12/2003;
258
la L.R. 24 marzo 2004 n.5 “Norme per l’integrazione sociale
dei
cittadini
stranieri
immigrati.
Modifiche
alle
Leggi
Regionali 21 febbraio 1990, n. 14 e 12 marzo 2003, n. 2” ed, in
particolare l’art. 17, comma e, ove sono previste azioni volte
al consolidamento di competenze attinenti alla mediazione socioculturale, secondo la normativa regionale in materia di
formazione professionale, e finalizzate alla individuazione ed
alla valorizzazione di una specifica professionalità;
Considerato che la Regione Emilia Romagna, in coerenza con
gli articoli 4, 5 e 32 della L.R. 12/2003 sopracitata e nelle
more di una definizione a livello nazionale di standard
condivisi per il riconoscimento di qualifiche nazionali, ha
avviato un lavoro di riordino e razionalizzazione dell’elenco
delle qualifiche regionali riconosciute, in coerenza con gli
esiti delle diverse indagini sui fabbisogni realizzate a livello
nazionale e regionale;
Precisato
che
il
percorso
tecnico
e
concertativo
sull’individuazione delle qualifiche regionali, attuato secondo
la procedura prevista dalla sopracitata deliberazione n.
936/2004 e tutt’ora in corso, ha esaminato ad oggi una parte
delle qualifiche regionali, tra cui anche la qualifica di
“Mediatore Interculturale”, di cui all’allegato 1) parte
integrante e sostanziale del presente atto, ove sono indicate le
prime disposizioni in ordine agli standard professionali della
figura stessa;
Precisato che, sulla base delle informazioni fornite dal
Servizio Politiche per l’Accoglienza e l’Integrazione Sociale
dell’Assessorato alle Politiche Sociali, il numero degli
operatori presenti sul territorio regionale, che svolgono da
anni attività di mediazione interculturale all’interno dei
servizi sociali, scolastici, giudiziari, sanitari, ecc., è
stimato ad oggi in circa 350-400 unità;
Preso atto che, in relazione a tali operatori ed ai sensi
dell’art.5, comma 1 della L.R. 12/2003, risulta indispensabile
attivare in tempi brevi specifiche azioni formative finalizzate
al conseguimento della qualifica di “Mediatore Interculturale”;
Ritenuto pertanto di dover procedere all’adozione delle
prime disposizioni inerenti la figura professionale del
“Mediatore Interculturale”, fatte salve eventuali modifiche ed
integrazioni che potranno essere ulteriormente concordate in
sede di definitiva validazione del completo elenco delle
qualifiche regionali e nelle more di dare piena attuazione
all’art. 32 della L.R. 12/2003 e da quanto ivi stabilito;
259
Precisato
che
i
contenuti
previsti
nelle
prime
disposizioni inerenti la figura professionale di “Mediatore
Interculturale”, come riportato nell’allegato 1), costituiscono
“standard professionali essenziali” di riferimento anche per la
progettazione formativa ed il rilascio della qualifica medesima;
Ritenuto opportuno, al fine di garantire l’omogeneità
degli interventi su tutto il territorio regionale, rimandare ad
un successivo apposito atto l’individuazione degli standard
formativi del percorso, con particolare riferimento a durata,
requisiti e modalità di accesso dei partecipanti;
Sentita la Commissione regionale tripartita in
data 22/07/2004;
Dato
atto
del
parere
in
ordine
al
presente
provvedimento, ai sensi dell'art. 37, comma 4, della Legge
Regionale 26 novembre 2001 n. 43 e della propria
deliberazione n. 447/2003, di regolarità amministrativa
espresso dal Direttore Generale Cultura, Formazione e
Lavoro, dott.ssa Cristina Balboni;
Su proposta dell’Assessore regionale competente per
materia;
A voti unanimi e palesi
D E L I B E R A
1. di approvare, per le motivazioni espresse in premessa,
l’allegato 1), parte integrante e sostanziale del presente
atto, contenente le prime disposizioni inerenti la figura
professionale del “Mediatore Interculturale”, nelle more
dell’adozione
dell’elenco
completo
delle
qualifiche
regionali e dei relativi standard professionali e nelle
more di dare piena attuazione all’art. 32 della L.R.
12/2003 e da quanto ivi stabilito;
2. di stabilire che, al fine di garantire l’omogeneità degli
interventi su tutto il territorio regionale, saranno
individuati con successivo apposito atto gli standard
formativi del percorso, con particolare riferimento a
durata, requisiti e modalità di accesso dei partecipanti;
3. di disporre infine la pubblicazione integrale del presente
atto nel Bollettino Ufficiale della Regione Emilia Romagna.
260
Allegato 1)
alla delibera di Giunta Regionale n.
PRIME
DISPOSIZIONI
INERENTI
MEDIATORE INTERCULTURALE
LA
FIGURA
PROFESSIONALE
DEL
D
C
R
Z
O
N
E
S
N
T
E
T
C
A
DEEESSSC
CR
RIIIZ
ZIIIO
ON
NE
ES
SIIIN
NT
TE
ET
TIIIC
CA
A
Il Mediatore interculturale è in grado di accompagnare la relazione tra immigrati e contesto di
riferimento, favorendo la rimozione delle barriere linguistico-culturali, la conoscenza e la
valorizzazione delle culture d’appartenenza, nonché l’accesso a servizi pubblici e privati. Assiste le
strutture di servizio nel processo di adeguamento delle prestazioni offerte all’utenza immigrata.
Può operare all’interno di servizi pubblici e privati (ufficio stranieri, ASL, scuole, ecc.) e strutture
che promuovono l’integrazione socio-culturale.
AArreeaa PPrrooffeessssiioonnaallee
ASSISTENZA SOCIALE, SANITARIA , SOCIO - SANITARIA
PPrrooffiillii ccoollleeggaattii –– ccoollleeggaabbiillii aalllaa ffiigguurraa
Sistema di riferimento
Repertorio delle professioni ISFOL
Denominazione
Attività associative
♦ Mediatore culturale
261
CAPACITÀ
UNITÀ DI COMPETENZA
1. Diagnosi
bisogni e risorse
dell’utente
immigrato
(ESSERE IN GRADO DI)
2. Orientamento
relazione utente
immigrato/servizi
3. Intermediazione
linguistica
4. Mediazione
interculturale
CONOSCENZE
(CONOSCERE)
interpretare esigenze e bisogni dell’immigrato
relativamente allo specifico percorso migratorio
Fenomeni e dinamiche
dei processi migratori
identificare e distinguere eventuali disagi dovuti
alla dimensione vissuta di migrante -scarsa
padronanza linguistica, ecc.-
Caratteristiche della
presenza di immigrati
nel territorio di
riferimento
Lingua di provenienza
parlata e scritta
Lingua italiana parlata e
scritta
Modelli e strutture dei
servizi di pubblica utilità
in Italia e nel paese di
origine degli immigrati:
servizi sociosanitari,
educativo-scolastici,
lavorativi, ecc.
Organizzazione e
funzionamento dei
servizi di pubblica utilità
in Italia: procedure di
accesso, linguaggio
tecnico, operatori, ecc.
Norme e leggi regionali,
nazionali e comunitarie
su diritti e doveri dei
cittadini immigrati
fornire elementi di comprensione delle modalità
comunicative e di relazione delle diverse
culture
Tecniche di base della
comunicazione e
gestione dei colloqui
individuare gli ostacoli che impediscono una
efficace relazione comunicativa
Tecniche di
interpretariato
interpretare i codici culturali dei soggetti
coinvolti nella relazione comunicativa -utente
immigrato/operatore italiano/immigrati-
Tecniche e strumenti di
base di gestione delle
relazioni interculturali
Elementi di base di
sociologia ed
antropologia culturale
Principi fondamentali di
pedagogia interculturale
e psicologia
dell’immigrazione
riconoscere condizioni personali e
professionali dell’immigrato quali risorse da
valorizzare nei diversi contesti di riferimento
tradurre bisogni e risorse proprie dell’individuo
in linee e proposizioni di accompagnamento ed
assistenza
trasferire all’immigrato elementi conoscitivi
della realtà sociale ed organizzativa di
riferimento
esplicitare modelli e regole dei servizi di
pubblica utilità pubblici e privati
rendere consapevole l’immigrato dei propri
diritti e doveri rispetto al contesto sociale di
riferimento
trasmettere all’operatore dei servizi elementi di
conoscenza e di rappresentazione del
problema e della realtà di cui l’immigrato è
portatore
comprendere ed interpretare linguaggio e
significati della comunicazione in lingua
straniera
decodificare e trasmettere all’utenza immigrata
codici di comunicazione verbale e non espressi
dall’operatore italiano
facilitare lo scambio tra le diverse parti - utenza
immigrata e servizi/istituzioni italiane ed
immigrati- al fine di anticipare l’eventuale
insorgere di incomprensioni
individuare ed incoraggiare occasioni di
incontro e confronto tra culture diverse
sostenere il contesto organizzativo in processi
di adeguamento dei servizi rivolti all’immigrato
262
INDICAZIONI PER LA VALUTAZIONE DELLE UNITÀ DI COMPETENZA
UNITÀ DI
OGGETTO DI
COMPETENZA
OSSERVAZIONE
1. Diagnosi
bisogni e risorse
dell’utente
immigrato
Le operazione
di diagnosi dei
bisogni
dell’utente
immigrato
2. Orientamento Le operazione
di orientamento
relazione utente
immigrato/servizi nella relazione
INDICATORI
raccolta sistematica di
3.
Intermediazione
linguistica
Le operazioni di intermediazione
linguistica
4. Mediazione
interculturale
Le operazioni di mediazione
interculturale
263
ATTESO
MODALIT
À
Bisogni e risorse
dell’immigrato
circoscritte ed
elaborate
Informazioni sui
servizi offerti e
sulla domanda
veicolate
correttamente
Colloqui verbali e
materiali tradotti
ed interpretati
Azioni/interventi
di mediazione ed
interculturalità
realizzati
Prova pratica in situazione
utente/servizi
informazioni circa la natura
dei bisogni espressi
dall’immigrato
elaborazione di percorsi di
accompagnamento ed
introduzione al sistema
italiano dei servizi
erogazione di interventi
formativi/informativi su
servizi territoriali e relative
procedure e regolamenti
assistenza all’operatore dei
Servizi nella codifica della
domanda espressa
traduzione linguistica nelle
relazioni utente immigrato
ed operatore italianoimmigrati
redazione in lingua
straniera di materiali
informativi, comunicati,
avvisi, ecc.
erogazione di interventi
formativi/informativi a
sostegno dell’integrazione
sociale
assistenza alla definizione
di nuovi servizi o
miglioramento dei servizi
erogati in funzione di
necessità specifiche
dell’utenza immigrata
RISULTATO
IL CODICE DI COMPORTAMENTO DEL MEDIATORE LINGUISTICO
CULTURALE ELABORATO DALLA COOPERATIVA KANTARA10
□ All’inizio del colloquio, il mediatore linguistico culturale si presenta e spiega qual è il
suo ruolo. Egli è presente in quanto mediatore linguistico culturale e, in quanto tale,
dovrà svolgere il suo compito in ogni caso in presenza dell’operatore italiano e
dell’utente straniero.
□ Il mediatore linguistico culturale è tenuto a tradurre l’integrità di ciò che una delle
parti dice all’altra e viceversa. Per integrità si intende: un resoconto completo e
adeguato, non necessariamente letterale, di tutto ciò che viene detto. Il principio è quello
di fare una traduzione precisa e fedele. Una tentazione è naturalmente della più grande
importanza quando si tratta di cifre, date, nome e, ad esempio, nozioni mediche o
giuridiche. Il mediatore linguistico culturale deve inoltre decodificare i contenuti
presenti nella comunicazione in modo che siano comprensibili a entrambe le parti.
□ Il mediatore linguistico culturale si asterrà da ogni forma di prestazione di servizi e
non può e non deve esprimere opinioni personali. Egli è tenuto al segreto professionale.
□ Il mediatore linguistico culturale deve parlare in modo chiaro e comprensibile e se
eventualmente prende appunti al fine di evitare dimenticanze, questi appunti sono
coperti dal segreto professionale. Se nella traduzione di un particolare o di un termine
sorgono dei dubbi, il mediatore linguistico culturale deve informare tutte e due le parti e
chiedere l’autorizzazione per effettuare una verifica.
□ Il mediatore linguistico culturale deve interrompere in tempo un discorso troppo
lungo al fine di procedere a una corretta comunicazione del contenuto del messaggio per
l’altra parte.
□ Il mediatore linguistico culturale deve fare da ponte nella comunicazione fra operatore
italiano e utente straniero, perciò deve evitare di conversare con una delle parti
escludendo l’altra. Egli non deve lasciarsi coinvolgere in una posizione nella quale sia
lui a condurre la conversazione invece dell’operatore del servizio o dell’utente. Il
10
Questo codice di comportamento è prodotto della discussione avvenuta all’interno del Corso di
Formazione Professionale F.S.E. n. 781/97 per Mediatori linguistico-culturale nell’ambito dell’area della
salute mentale gestito dal Gruppo per le relazioni transculturali con il finanziamento della Comunità
Europea e della Regione Lombardia.
264
mediatore linguistico culturale rende la comunicazione possibile tra le due parti e non
conduce lui stesso la conversazione.
□ Se il mediatore linguistico è chiamato a intervenire in una situazione in cui conosce
personalmente l’utente, deve immediatamente farlo sapere all’operatore del servizio.
□ Se il mediatore linguistico culturale nota che l’utente straniero o l’operatore del
servizio è trattato in modo scortese, egli è tenuto a restare neutrale e non fare commenti
personali. Egli dovrà tradurre le considerazioni scortesi o offensive, verbalizzando la
situazione di conflitto. Spetterà rispondere a chi è direttamente coinvolto. Questi potrà
rispondere solo se il mediatore linguistico culturale traduce ciò che è stato detto. È
preferibile che egli non traduca direttamente le ingiurie o le offese e si limiti a dire
‹‹l’interessato è in collera, esprime ingiurie o commenti offensivi››. In una situazione
difficoltosa, egli deve tentare, nella misura in cui ciò è possibile, di portare a termine il
suo compito, di gestione dei conflitti. Alla fine dell’intervento la cooperativa deve
essere avvertita in modo che la gestione di una ulteriore richiesta di prestazione possa
essere valutata accuratamente. Se una delle parti dice: ‹‹Io non voglio che sia tradotto
ciò che le dirò›› il mediatore linguistico culturale deve immediatamente interrompere
l’interessato e dirgli che, i quel caso, non può continuare con l’intervento di mediazione.
Il mediatore linguistico culturale deve informate il suo interlocutore del suo ruolo. Una
eccezione a questa regola è costituita dalle informazioni che il mediatore linguistico
culturale potrà ricevere all’inizio dell’intervento da parte dell’operatore del servizio
sulla natura del colloquio.
□ Il mediatore linguistico culturale non deve lasciarsi influenzare da nessuna delle parti
implicate nel colloquio. Egli non deve cadere nella tentazione di difendere una causa a
favore dell’utente o dell’operatore. Deve mostrare comprensione per il fatto che in
alcune circostanze l’utente lo consideri un compatriota che è in grado di capire la sua
situazione, tuttavia deve evitare di colludere con una delle parti.
□ Il mediatore linguistico culturale non deve accettare né soldi, né regali, né inviti di
nessun tipo, egli deve dare all’intervento un carattere professionale al fine di evitare che
l’utente o l’operatore del servizio non si aspettino un comportamento diverso da quello
previsto dal suo ruolo. Se questo dovesse accadere il mediatore linguistico culturale
deve spiegare che egli è già remunerato dalla Cooperativa per la quale lavora.
265
□ Il mediatore linguistico culturale non deve lasciarsi tentare dalla possibilità di
esprimere opinioni personali, anche nel caso in cui gli venga richiesto. Egli deve
spiegare che è presente solo in qualità di mediatore nella comunicazione fra utente
straniero e operatore italiano; l’operatore del servizio è l’unico specialista nella materia.
Egli darà informazioni sull’organizzazione del servizio o sulle differenze culturali
sempre in relazione al contenuto del colloquio o della visita in corso. Queste
informazioni devono essere tradotte per una o per l’altra parte.
□ Se egli desidera che la sua vita privata sia rispettata è preferibile che dia l’indirizzo
dell’ente per cui lavora e non dia mai il suo indirizzo e numero di telefono privati. Nel
caso di un intervento telefonico, è preferibile che non dia il suo nome ma dica
semplicemente ‹‹parla l’interprete di lingua… della cooperativa››.
□ In linea di principio il mediatore linguistico culturale non dovrebbe fare delle
traduzioni scritte durante l’intervento di mediazione, l’operatore del servizio può
richiedere una traduzione scritta direttamente alla cooperativa. In caso di necessità di
una traduzione orale di un documento scritto nel corso di un intervento non deve
tradurre parola per parola, la traduzione deve limitarsi a un resoconto generale del
contenuto del documento per l’operatore del servizio.
Il mlc deve essere sempre cosciente del fatto che egli è considerato dal committente e
dall’utente il rappresentante della cooperativa per la quale lavora. Sarebbe auspicabile
che l’interprete non faccia alcun commento che possa nuocere alla reputazione della
cooperativa per la quale lavora. Sarebbe conveniente che non facesse commenti
riguardo il committente, la retribuzione, il progetto e i colleghi.
Il MLC è tenuto a un comportamento discreto e non invadente e deve evitare di
essere il centro della conversazione. Sarebbe auspicabile che evitasse di dare
un’impressione di trascuratezza, tanto nel suo abbigliamento quanto nel suo
comportamento.
Se il mediatore linguistico culturale considera che la situazione diviene troppo
difficile per sé, sia perché egli si trova davanti a un caso di coscienza sia perché egli è
oggetto di minacce, può interrompere l’intervento senza entrare in discussione con le
parti. In questo caso egli deve contattare telefonicamente la cooperativa. La cooperativa,
in accordo con il Servizio, deciderà se l’intervento deve proseguire oppure no.
266
RINGRAZIAMENTI
Giunta al termine del lavoro, è doveroso per me ringraziare coloro che mi hanno
permesso di realizzarlo e quanti mi hanno sostenuta ed accompagnata, con tanto ardore
e pazienza, in questo lungo percorso universitario.
Desidero innanzitutto ringraziare la cara Professoressa Rudvin, la mia relatrice, la
quale mi ha trasmesso la passione per la professione di cui tratterò nel mio elaborato e
che mi ha guidata con estrema pazienza e bontà d’animo. Parimenti, desidero
ringraziare vivamente la Professoressa Pano, mia correlatrice, la quale oltre ad avermi
dato preziosi suggerimenti ed avermi aiutata in buona parte della tesi, si è mostrata
molto disponibile e pronta ad ascoltarmi, ogni qualvolta ho richiesto il suo intervento. Il
suo contributo è stato per il presente lavoro fondamentale.
È ora il momento di ringraziare quanti mi hanno aiutata ai fini pratici della tesi: la
Professoressa Anna Caterina Alimenti, interprete presso il Tribunale Civile e Penale di
Roma e docente della Libera Università degli Studi San Pio V di Roma, che pur
essendomi lontana fisicamente, si è resa fin da subito molto presente ed è stata non solo
mia consigliera, ma soprattutto un’ottima amica e confidente; la Dott.ssa Maffei, Vice
Questore aggiunto della Polizia di Stato, responsabile della sezione di polizia giudiziaria
presso la procura della repubblica di Bologna, che con molto affetto e grande umiltà, mi
ha permesso di realizzare interessanti colloqui presso la Questura e mi ha sostenuta; la
Dott.ssa Chiara Paola Cocchi, dell’Ufficio Interpreti della Questura di Bologna, che mi
ha fornito, assieme alle sue colleghe, molti spunti e suggerimenti nella fase iniziale del
mio lavoro; la Dott.ssa Elena Sambataro, membro AITI, la quale ha fornito un originale
e personale
contributo alla la mia tesi; le docenti dell’Università di Forlì ed in
particolare la Prof.ssa Gianna Guidi e la Prof.ssa M.J. González Rodríguez; la Dott.ssa
Deborah Previti, della Cooperativa UCODEP, la quale si è mostrata molto sensibile al
mio lavoro e ha reso possibile il mio incontro con i mediatori linguistico-culturali;
Rehana Ferdous, impiegata presso il Comune di Bologna, dove si occupa di assistenza
agli stranieri, che ringrazio con sincera gratitudine e affetto, poiché ha seguito con
interesse la mia tesi, oltre ad essere stata la prima mediatrice con la quale ho preso
contatti e mi ha inoltre permesso di vivere personalmente la sua esperienza di
267
interprete/mediatrice presso il tribunale di Bologna, in una calda e lontana giornata di
luglio 2009.
Un affettuoso ringraziamento ai miei genitori, validissimo e sempiterno punto di
riferimento, poiché senza il loro supporto economico e morale e i loro sacrifici non
avrei potuto realizzare e portare a termine i miei studi con immensa soddisfazione e
perché mi hanno sempre permesso di realizzare i miei sogni e le mie aspirazioni.
Ringrazio il mio adorato fratello Enrico, che con grande amore mi sostiene
quotidianamente con la sua presenza; il mio compagno di vita Francesco, che con
amore, pazienza e infondendomi sempre molto coraggio, mi ha “sopportata” e
accompagnata durante questi anni universitari, sostenendo le mie battaglie e
condividendo con me grandi gioie e talvolta dispiaceri.
Ringrazio i miei vecchi cari colleghi di Cosenza, che pur essendo lontani, mi
hanno sempre incoraggiata e sostenuta e i miei nuovi colleghi di Bologna, in particolare
Anna, che oltre ad essere mia compagna di avventura, è divenuta mia grande amica.
Ringrazio infine tutti coloro che, pur non essendo stati citati direttamente, sono
sempre presenti nel mio cuore e nella mente.
268