Sentenza sezione III penale, 9 maggio 2012, n

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Sentenza sezione III penale, 9 maggio 2012, n
Archivio selezionato: Sentenze Cassazione Penale
ESTREMI
Autorità: Cassazione penale sez. II
Data udienza: 09 maggio 2012
Numero: n. 32840
CLASSIFICAZIONE
GIUDIZIO PENALE ORDINARIO - Dibattimento avanti al tribunale in composizione collegiale:
correlazione tra l'imputazione contestata e la sentenza - in genere
SENTENZA - Correlazione tra accusa e sentenza - Giudizio di appello - Attribuzione al fatto
contestato di una diversa qualificazione giuridica in sentenza - Contraddittorio - Esercizio del
diritto in sede di legittimità - Possibilità. INTESTAZIONE
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DAVIGO
Piercamill - Presidente
Dott. GENTILE
Domenico
- Consigliere Dott. DE CRESCIENZO Ugo
- Consigliere Dott. DIOTALLEVI
Giovanni
- Consigliere Dott. D'ARRIGO
Cosim - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
D.D., nato in (OMISSIS);
alias
S.F., nato a (OMISSIS);
alias
S.N.;
avverso la sentenza n. 269 emessa in data 13 maggio 2011 dalla Corte
d'Appello di Perugia.
Sentita la relazione svolta in pubblica udienza dal consigliere dott.
Cosimo D'Arrigo;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.
D'ANGELO Giovanni, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
FATTO
RITENUTO IN FATTO
In data 13 maggio 2011 la Corte d'appello di Perugia ha parzialmente riformato la condanna inflitta
dal g.u.p. in sede a D.D. (alias S.F., alias J.N.); in particolare, diversamente qualificando il fatto
contestato (inizialmente ascritto all'ipotesi delittuosa di cui all'art. 624-bis cod. pen. ed invece
ritenuto dal giudice di secondo grado più correttamente qualificabile come ricettazione), ha ridotto la pena ad anni due di reclusione ed Euro 600,00 di multa, così ridotta per la scelta del rito abbreviato.
Contro tale sentenza l'imputato propone ricorso per l'annullamento deducendo a sostegno tre
motivi.
La prima censura riguarda la falsa applicazione della legge penale (ma in realtà si tratterebbe semmai di inosservanza di norme processuali poste a pena di nullità) consistita, secondo la prospettazione del ricorrente, nella menomazione del diritto di difesa in relazione alla diversa
qualificazione del reato, ritenuta direttamente in sentenza; in particolare, la diversa qualificazione
del fatto in grado di appello violerebbe l'art. 6 CEDU, in quanto in tal modo sarebbe precluso
all'imputato di discutere in contraddicono della diversa imputazione in almeno un grado di giudizio di
merito (Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, 20 aprile 2006 - I.H. ed altri contro Austria).
Con il secondo motivo di ricorso l'imputato deduce il vizio di motivazione in ordine al diniego delle
attenuanti generiche, nonostante il suo stato di incensuratezza; sul punto la corte territoriale
avrebbe del tutto omesso di considerare le specifiche deduzioni contenute nell'atto di appello.
Il terzo motivo di ricorso attiene alla mancata concessione del beneficio della sospensione
condizionale della pena, in ordine alla quale la corte d'appello non avrebbe adeguatamente
motivato, omettendo di considerare il suo stato di incensuratezza e l'inesistenza di carichi pendenti.
DIRITTO
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato e deve essere rigettato.
2. La questione prospettata dall'imputato con il primo motivo di ricorso ha già costituito oggetto di pronuncia da parte della Corte europea dei diritti dell'uomo, nel caso Drassich contro Italia ric. n.
25575/04 (sentenza 11/12/2007).
Nell'occasione la Corte europea ha ritenuto che il combinato disposto dell'art. 6 CEDU, comma 1 e 3,
lett. a) e b), relativo al diritto ad un equo processo, configura il diritto dell'imputato ad essere
informato della natura e dei motivi dell'accusa formulata a suo carico, ivi compresa la qualificazione
giuridica del fatto reato, e del diritto di disporre del tempo e delle facilitazioni necessarie a
preparare la difesa.
Più in generale è stato affermato che il citato principio impone l'onere di una informazione precisa e completa in ordine all'accusa gravante sull'imputato, nel rispetto del principio del contraddittorio, in
modo tale da offrire alle parti la possibilità di conoscere e di dibattere ogni questione essenziale per lo svolgimento del processo, specie se si tratta di questioni relative a motivi sollevati d'ufficio.
3. Il principio sovranazionale è stato, peraltro, inserito anche nel tessuto dell'ordinamento interno mediante la trasposizione, pressochè letterale, della medesima formula nel corpo dell'art. 111 Cost., comma 3, (come modificato con legge costituzionale 23 novembre 1999, n. 2).
La norma sancisce il diritto della persona accusata di un reato a essere "informata ... della natura e
dei motivi della accusa" e non v'è dubbio che l'enunciazione della qualificazione giuridica dei fatti addebitati concorra a definirne la "natura" dell'addebito e le relative conseguenze sanzionatorie (v.
Sez. 1, 29/04/2011, n. 18590 - Rv. 250275).
Il diritto tutelato dalla Costituzione e dalla CEDU deve essere correlato al potere del giudice,
previsto dall'art. 521 c.p.p., comma 1, di dare al fatto una definizione giuridica diversa da quella
contenuta nel capo di imputazione. Ciò impone un'interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 521 cod. proc. pen., tale da escludere che l'esercizio del potere-dovere previsto da tale
La norma sancisce il diritto della persona accusata di un reato a essere "informata ... della natura e
dei motivi della accusa" e non v'è dubbio che l'enunciazione della qualificazione giuridica dei fatti addebitati concorra a definirne la "natura" dell'addebito e le relative conseguenze sanzionatorie (v.
Sez. 1, 29/04/2011, n. 18590 - Rv. 250275).
Il diritto tutelato dalla Costituzione e dalla CEDU deve essere correlato al potere del giudice,
previsto dall'art. 521 c.p.p., comma 1, di dare al fatto una definizione giuridica diversa da quella
contenuta nel capo di imputazione. Ciò impone un'interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 521 cod. proc. pen., tale da escludere che l'esercizio del potere-dovere previsto da tale
disposizione possa determinare concreto ed irreparabile pregiudizio alle facoltà di difesa dell'imputato, di cui il diritto al contraddicono costituisce un baluardo di anticipata tutela.
4. Il principio che il D. invoca in questa sede è dunque fondato, ma deve essere correttamente inteso ed applicato.
Il fatto giudicato dalla Corte di Strasburgo riguardava, infatti, un caso di riqualificazione giuridica dei
fatti oggetto di Imputazione avvenuta per la prima volta solo in sede di procedimento in
Cassazione. La riqualificazione aveva condotto all'individuazione di un reato diverso da quello per il
quale era stato perseguito in primo e secondo grado, con la conseguente impossibilità di difendersi nei confronti della nuova accusa emersa solo nell'ultimo grado del giudizio.
La Corte europea, in particolare, ha rimarcato che: a) non risultava che il P.M. o la Corte di
cassazione avesse sottolineato l'opportunità della riqualificazione dei fatti in una fase anteriore del procedimento; b) il ricorrente non era stato avvertito della possibilità di tale riqualificazione; c) all'imputato non era stata data l'occasione di dibattere in contraddittorio la nuova accusa; d) alla
luce della normativa nazionale, una successiva riqualificazione dell'accusa non era sufficientemente
prevedibile per l'imputato.
Solo costatando queste condizioni il Giudice sovranazionale è giunto ad affermare che l'accusato non aveva avuto la possibilità di esercitare il proprio diritto alla difesa in modo concreto ed effettivo. Ed infatti la Corte europea, ben lungi dall'aver affermato il divieto di riqualificazione giuridica della
fattispecie anche ex officio, si è limitata ad osservare che l'esercizio di tale prerogativa nell'esercizio della giurisdizione può rivelarsi in contrasto coi principi fondamentali della CEDU laddove, in concreto, l'imputato non sia informato, in tempo utile, non solo dei fatti materiali addebitatigli, ma
anche della qualificazione giuridica data ad essi.
5. La concreta applicazione del principio in commento porta dunque alla conclusione che la
riqualificazione giuridica dei fatti effettuata dalla corte d'appello direttamente in sentenza è senz'altro legittima. Tanto si ricava, a fortiori, dalla considerazione che la Corte europea avrebbe
ritenuto del pari legittima anche la medesima operazione compiuta nell'ambito della sentenza della
Corte di cassazione, se solo fosse stata preceduta, nell'ambito del medesimo giudizio di legittimità, dalla contestazione in udienza al opera del P.G..
Una simile "avvisaglia" della possibilità di una diversa qualificazione giuridica dei fatti giudicati - in
alternativa alla semplice oggettiva prevedibilità di quest'esito del giudizio - è quindi considerata come elemento sufficiente ad avvertire l'imputato "in tempo utile" per approntare le proprie difese.
A maggior ragione la medesima soluzione si impone quando la riqualificazione dei fatti è compiuta dalla corte d'appello, dal momento che in tal caso all'imputato residua comunque la possibilità di difendersi dalla nuova imputazione quantomeno in sede di legittimità.
Nè vale osservare, in contrario, che i limiti del giudizio di legittimità non consentirebbero l'esercizio di un'adeguata attività difensiva. Infatti, la questione della qualificazione giuridica del fatto (e non di accertamento materiale dello stesso) rientra fra i casi tipici del ricorso per cassazione (art. 606
c.p.p., lett. b) e quindi può essere adeguatamente discussa anche in ultima istanza.
6. Non può, quindi, convenirsi con l'affermazione secondo cui è senz'altro nulla la sentenza d'appello con la quale sia stata attribuita al fatto contestato una diversa qualificazione giuridica senza che
l'imputato abbia preventivamente avuto modo di interloquire sul punto (Sez. 5, 28/10/2011, n. 6487
- Rv. 251730). Invero, la garanzia del contraddicono in ordine alla diversa definizione giuridica del
fatto operata dal giudice è assicurata pur quando l'imputato abbia comunque avuto modo di interloquire sul tema in una delle fasi del procedimento (Sez. 1, Sentenza 18/02/2010, n. 9091 - Rv.
246494) e quindi pure solo nel grado di legittimità (v. anche Sez. 2, 26/02/, n. 14674 - Rv. 246922).
E' quindi conclusivamente possibile affermare il seguente principio di diritto.
L'osservanza del diritto al contraddittorio in ordine alla natura - e quindi alla qualificazione giuridica dei fatti di cui l'imputato è chiamato a rispondere, sancito dall'art. 6 CEDU, comma 1 e 3, lett. a) e b), e dall'art. 111 Cost., comma 3, è assicurata anche quando il giudice d'appello provveda alla riqualificazione dei fatti direttamente in sentenza, senza preventiva interlocuzione sul punto, in
quanto l'imputato può comunque pienamente esercitare il diritto di difesa proponendo ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 606 c.p.p., lett. b), trattandosi di questione di diritto la cui trattazione
non incontra limiti nel giudizio di legittimità.
Per l'effetto, non sussiste la nullità denunciata dal ricorrente con il primo motivo di ricorso, che deve essere quindi rigettato.
7. Pari sorte incontrano gli altri due motivi di ricorso, che possono essere trattati congiuntamente.
L'imputato si duole del vizio di motivazione in ordine al diniego sia delle attenuanti generiche, sia del
beneficio della sospensione condizionale della pena; osserva che, in entrambi i casi, avrebbero
dovuto giovargli il suo stato di incensuratezza e l'assenza di carichi pendenti.
Invero, la corte territoriale ha adeguatamente motivato sul punto, osservando che l'imputato è munito di più generalità e che l'uso ingiustificato di vari alias connota negativamente la personalità del D. ed impedisce di accertare con certezza se egli sia davvero incensurato. Il dato è ritenuto impeditivo alla concessione delle attenuanti generiche così come della sospensione condizionale della pena, cui osta altresì la valutazione dei precedenti giudiziari riportati sotto diversi nomi e l'impossibilità di formulare una prognosi benigna circa la futura astensione dalla commissione di ulteriori reati.
Tale motivazione, immune da vizi logici o giuridici, si sottrae ad ogni sindacato di legittimità e rientra nell'ambito di una valutazione di merito.
8. Il ricorso è quindi infondato in relazione ad ognuno dei motivi dedotti e deve essere interamente rigettato.
Ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., l'imputato deve essere condannato al pagamento delle spese
del procedimento.
P.Q.M.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 9 maggio 2012.
Depositato in Cancelleria il 21 agosto 2012
Cassazione penale sez. II, 09 maggio 2012 (udienza) , n. 32840
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