Scarica PDF - Il Giornale D`Italia
Transcript
Scarica PDF - Il Giornale D`Italia
Anno VI - Numero 26 - Mercoledì 1 febbraio 2017 Direttore: Francesco Storace Roma, via Giovanni Paisiello n. 40 Politica Attualità Roma Bersani pronto a lasciare la ditta Strage di Viareggio, ecco le condanne Questione stadio, Raggi al palo Vignola a pag. 2 Sarra a pag. 5 Fruch a pag. 4 IL 25 MARZO GRANDE CORTEO PER LE STRADE DI ROMA di Gianni Alemanno ì, il 25 marzo saranno proprio lì, in Campidoglio, nel cuore della nostra Roma. Si chiamano Angela Merkel, Jean Claude Juncker, Francois Hollande e tutti i leader dell’Unione europea. Ci sarà anche Gentiloni, ma non se ne accorgerà nessuno. Motivo del summit: la celebrazione del 60° anniversario della firma dei Trattati di Roma, quelli istitutivi della Comunità europea, che avvenne proprio nella magnifica Sala degli Orazi e Curiazi del Campidoglio. Fu l’atto di nascita di quella lunga e intricata vicenda che ci ha portato nel vicolo cieco di un apparato burocratico europeo sostanzialmente asservito alle indicazioni politiche della Germania della Merkel e delle dinamiche tecnocratiche delle lobby economiche di Bruxelles. I Trattati di Roma firmati 60 anni fa erano imperfetti: risentivano troppo di quel Manifesto di Ventotene intestato ad Altiero Spinelli, che tutti esaltano ma che probabilmente nessuno ha letto. In quel manifesto c’era già il seme dell’errore: l’idea di un Super-Stato federale che imbrigliasse e poi cancellasse le Nazioni europee colpevoli - nella visione di Spinelli - di aver provocato due guerre mondiali. I Trattati di Roma, però, mitigavano questa tendenza negativa lasciando ancora molto spazio e dignità alle appartenenze nazionali. Questo anche perché in quegli anni era ancora vivo e operante Charles De Gaulle, alfiere dell’“Europa dei popoli e delle Nazioni”. Nel corso di questi 60 anni, sotto la spinta delle ideologie liberiste e progressiste, la parte positiva dei Trattati è stata tradita per essere integralmente sostituita dalle logiche anti-nazionali delle tecnocrazie comunitarie. Per questo il 25 marzo ci saremo anche noi, non nelle meravigliose S NO A QUESTA EUROPA La bandiera giusta è quella della sovranità nazionale stanze del Campidoglio, ma in mezzo alla strada, in un grande corteo che con Azione nazionale e La Destra di Storace, ormai unite in vista del nostro Congresso di Fondazione, abbiamo indetto da Santa Maria Maggiore fino a via dei Fori Imperiali e al Colle fatale. Il corteo ha un titolo chiaro: “No a questa Europa”, per condannare il tradimento dei Trattati di Roma e dei sogni di civiltà dei popoli europei, ma soprattutto per dire ai cittadini italiani che se oggi manca lavoro, non c’è sviluppo e non c’è controllo dell’immigrazione, la colpa è innanzitutto dell’Euro e dell’Unione europea. Noi speriamo che questo corteo non sia solo nostro: vorremmo che nelle prossime settimane nascesse un comitato unitario di tutte le forze sovraniste italiane ed europee che devono manifestare insieme perché la posta in gioco è troppo importante. La riconquista della sovranità nazionale e popolare non consente a nessuno di giocare sul settarismo e sulle divisioni. Per questo sabato scorso abbiamo aderito al corteo di Giorgia Meloni per l’Italia sovrana, anche se gli organizzatori non ci avevano ufficialmente invitato. Noi vogliamo, invece, non solo invitare ma corresponsabilizzare pienamente tutti i movimenti sovranisti nell’organizzazione e nella gestione politica di questa grande manifestazione. Sarebbe bello vedere non solo noi, ma Salvini, Meloni, Fitto, Marine Le Pen, Geert Wilders, Frauke Petry, sfilare in prima fila a rappresentare un’altra Europa. Quando sia- mo andati in Questura a depositare il preavviso del corteo, ci hanno informato che tutte le altre piazze erano già occupate da movimenti di sinistra, anche loro impegnati a protestare non si sa bene su cosa. Sta quindi a noi sventolare la bandiera giusta, che è quella della sovranità nazionale. Farlo tutti insieme sarebbe la premessa simbolica per vincere non solo le elezioni italiane, ma quelle olandesi (che ci saranno già state), francesi e tedesche. Coraggio…è il nostro momento. STOCCOLMA RIPENSA LE SCELTE MILITARI. E INTANTO SI ADDESTRA CON L’ITALIA… DISOCCUPAZIONE GIOVANILE ALLE STELLE Torna la leva obbligatoria. In Svezia Divieto di futuro Calvo a pag. 3 LICENZIATA LA MINISTRA DI OBAMA Trump fa Giustizia Di Giorgi a pag. 6 rosse tracce nelle vicende belliche la Svezia non ne ha mai lasciate nel corso dei secoli. Compresa quella seconda guerra mondiale che pure in qualche maniera incendiò la vicina Finlandia, mentre Stoccolma si distinse sempre per la sua neutralità. Eppure adesso la Svezia, dopo averla abolita neanche sette anni fa, torna sui suoi passi e ripristina la leva obbligatoria, per ricostituire un esercito degno di questo nome. Il reclutamento di ragazzi e ragazze svedesi riguarderà i nati a partire dal 1999 ei ricomincerà a luglio. I nuovi militari – almeno quattromila all’anno - saranno così pronti per l’inizio del 2018. In Svezia hanno fatto due conti e hanno scoperto di ritrovarsi con appena 5.300 soldati, numero destinato ancora a scendere senza una leva obbligatoria, mentre i riservisti non sono neppure 4.000, quando ne servirebbero almeno 10.400. Per carità, la Svezia non sta subendo alcuna minaccia concreta da parte di Paesi esteri, G neppure confinanti, lassù nella placida Scandinavia. E non regge più di tanto la tesi che il vicino russo ha in animo di allargarsi, chissà come e chissà dove. Ci sono però un paio di dati che arrivano dalla lontana Stoccolma e che in qualche modo potrebbero riguardarci: dalla fine del 2015 la Svezia ha cambiato atteggiamento nelle politiche di accoglienza dei migranti: dopo aver allargato a dismisura i confini, soprattutto nei confronti dei siriani, adesso anche da quelle parti ci si sta rendendo conto che la “rotta balcanica” costituisce anche un pericolo, con le decine di migliaia di richieste di asilo non sempre e non solo pacifiche. Le richieste di asilo sono state tantissime, anche troppe se rapportate al numero di abitanti; e quindi il governo svedese ha cominciato ad avere difficoltà nella gestione e ha introdotto nuovi controlli. L’altro elemento, che gli svedesi hanno già considerato, è che un’Europa sguarnita (tanti sono i Paesi che hanno eliminato la leva obbligatoria) potrebbe causare problemi anche al trio di nazioni composto da Finlandia e Norvegia, oltre alla stessa Svezia. E il “vento svedese” comincia a soffiare anche più a sud: pure la Francia sta riconsiderando l’ipotesi di tornare al servizio militare obbligatorio. E pure da noi c’è chi si comincia a muovere in tal senso. Nelle settimane scorse c’è stato un primo scambio di esercitazioni tra esercito italiano e svedese: entrambi ora ridotti un po’ all’osso, ma se Roma prendesse spunto Igor Traboni da Stoccolma? 2 8 ATTUALITA’ Mercoledì 1 febbraio 2017 I GUAI DEL PD Bersani non garantisce più la “ditta” Altri segnali di insofferenza dopo le minacce di scissione di D’Alema: lo snodo sarà la direzione del 13 febbraio di Robert Vignola P otrebbe essere soltanto l’ennesimo “penultimatum”. Oppure il segnale che in molti aspettavano per dar vita a quella scissione del Pd a cui starebbe lavorando Massimo D’Alema, che ha già agitato lo spettro di una sua lista alle elezioni politiche. Ma non è solo una questione “pugliese”, visto che Michele Emiliano potrebbe essere la punta di diamante del movimento. Che Pierluigi Bersani possa avere una forza interna al partito capace di mettere in difficoltà Matteo Renzi è un dato di fatto, così come che tra i due i momenti di reale sinergia politica non superino quelli di uno scontro più o meno aperto. Naturalmente tutto si muove sullo sfondo di una decisione da prendere: quella sulla legge elettorale, che condizionerebbe due punti dolenti e mai chiariti dei dem: la composizione delle liste elettorali (e quindi il… posto di lavoro nella “ditta”, per mutuare una definizione cara proprio a Bersani) e la messa a punto delle alleanze. Va da sé che quindi la minoranza interna al partito veda malissimo l’accelerazione che Renzi pare voler dare alle ele- zioni anticipate. “Non minaccio nulla né garantisco nulla. Dirò quello che penso a partire dal problema che si chiama Italia”: le parole che alcuni cronisti sono stati in grado di strappargli alla Camera confermano lo scenario. Quale? Il possibile cambio di strategia all’orizzonte, visto come unica garanzia di sopravvivenza: finora i bersaniani hanno sempre combattuto le loro battaglie dentro al Pd, Bersani ha chiesto però, in materia di modifiche all’Italicum, di restituire la parola al Parlamento e allontanare le elezioni. L’ultimo candidato ufficiale alla presidenza del consiglio insiste poi con il Congresso. Non a caso, perché là potrebbe costringere Renzi al compromesso. Sostiene ad esempio Davide Zoggia: “Se alla Direzione del 13 febbraio, Renzi ci porta al voto anticipato, ma come facciamo noi della minoranza a metterci a fare campagna elettorale per Renzi? Che diciamo? Abbiamo sbagliato tutto sul referendum, sul jobs act? Senza un momento di confronto, senza un congresso, è uno scenario politicamente insostenibile”. Chissà allora che un ruolo chiave non possa giocarlo l’attuale premier Gentiloni. Il riferimento di Bersani al “problema Italia” pare proprio voler mettere il governo nelle condizioni di durare a lungo, pensando alle tante emergenze. Una parola d’ordine che trova vasta eco anche (e soprattutto) al di fuori del Pd. IL RETROSCENA Via dall’euro: la Lega ha un piano Salvini alla presentazione di un libro di Bagnai: “Su questo il Parlamento dovrebbe unirsi” scire dall’euro: cosa non impossibile, perché l’entrata nella moneta unica non è “irreversibile”, come dicono tanti bene informati accostandola freudianamente ad un coma. Ma è importante essere preparati. E proprio a ciò sta lavorando, anzi ha già lavorato, un cospicuo team di economisti di università italiane e non. Uno squarcio di ciò c’è stato ieri sera alla presentazione di “Oltre l'euro, per tornare grandi”, dell’economista di sinistra Alberto Bagnai. A presentarlo era però Matteo Salvini, U il segretario federale della Lega Nord, sotto l’egida del gruppo degli euroscettici Enf (Europa delle nazioni e della libertà). “Non ci alleeremo con nessuno che sostiene questa folle Unione europea - ha chiarito Salvini l'euro è stato uno dei più grandi crimini economico e sociali compiuti davanti all'umanità”. Secondo il leader del Carroccio quella portata avanti dagli euroscettici è “una campagna di verità. Chi nega che l'uscita dall'euro sia necessaria è ingenuo, prezzolato o in malafede e noi non ci alleiamo con chi è ingenuo, prezzolato o in malafede”. In conferenza stampa con il responsabile economico Claudio Borghi Aquilini e l'europarlamentare Marco Zanni, ex Cinque Stelle da poco confluito nel gruppo Enf, Salvini ha auspicato che “su questo tutto il Parlamento si unisca. Chiunque si voglia alleare con noi deve condividere parte fondante di questo libricino”. Al suo fianco, come detto, Claudio Borghi Aquilini che ha illustrato parte del piano. Nel quale spicca una misura che, già di per sé, basterebbe a risollevare quell’economia nazionale da troppo tempo asfittica: il “pagamento immediato di tutti i debiti della Pubblica amministrazione in titoli di Stato di piccolo taglio”, liberamente trasferibili, con cui si possono pagare le tasse. “L'uscita dall'euro - ha sostenuto, dal canto suo Zanni - è una condizione necessaria ma non sufficiente: noi abbiamo un piano oltre l'euro. Chi non ha un piano B è un folle, perché il futuro per l'Italia, se rimaniamo in questo progetto, sarà la Grecia”. IMMIGRAZIONE ISLAM RADICALE CasaPound: “Nessun rispetto a chi abbandona le famiglie” Il Veneto ci prova: approvata in consiglio la legge anti-burqa otrebbe anche non essere la lingua della politically correctness. Ma somiglia a quella del buon senso. “Chi scappa dalla guerra, abbandonando genitori, moglie e figli non merita rispetto!”: è il testo degli striscioni, a firma CasaPound Italia, apparsi in un centinaio di città italiane da nord a sud. “In tanti potranno giudicare il nostro un messaggio 'choc' - spiega l'organizzazione in una nota - ma chi non ha fatto dell'ipocrisia la propria bandiera sa che non è possibile mettere sullo stesso piano chi abbandona P paese e famiglia al proprio destino per scappare in Europa in cerca di benessere e chi sceglie di resistere e combattere per la libertà del suo popolo”. “È per questo che il nostro rispetto - aggiungono – va ai siriani che vediamo combattere ogni giorno nell'esercito regolare del presidente Bashar al Assad per difendere la loro Nazione dall'oscurantismo dell'Isis, più che ai tanti "migranti" in fuga in Italia alla ricerca di sussidi e assistenza che nel loro paese non hanno lottato per ottenere”. l Consiglio regionale del Veneto ha approvato il progetto di legge nazionale sul divieto di indossare indumenti che rendano difficoltoso il riconoscimento del volto, noto come provvedimento 'anti burqa'. Con 31 voti a favore (Lega Nord-Gruppo Zaia Presidente-Lista Tosi-Veneto del FareVeneto Civico), otto contrari (Pd, Moretti Presidente e consigliere regionale Patrizia Bartelle M5S) quattro non partecipanti al voto (consiglieri M5S). La proposta di legge vieta di indossare indumenti che rendano difficoltoso il riconoscimento del volto, ma inserisce anche la proposta di modifica del Codice penale con l'introduzione del reato di "Costrizione all'occultamento del volto". Ora il provvedi- I mento, che univa due diverse proposte di legge, una avanzata dal consigliere Sergio Berlato (FdI-An Mcr) l'altra con primo firmatario Alberto Villanova (Gruppo Zaia Presidente), verrà inviato al Parlamento nazionale. Anche se non mancano le critiche, guarda caso da quel movimento penta stellato che si è spaccato al momento del voto, con la consigliera Bartelle che parla di “discriminazione”. Via Giovanni Paisiello n.40 00198 Roma Tel. 06 85357599 - 06 84082003 Fax 06 85357556 email: [email protected] Direttore responsabile Francesco Storace Amministratore Roberto Buonasorte Capo Redattore Igor Traboni Società editrice Amici del Giornale d’Italia Sito web www.ilgiornaleditalia.org Per la pubblicità Responsabile Marketing Daniele Belli tel. 335 6466624 - 06 37517187 mail: [email protected] -----------------Autorizzazione del Tribunale di Roma n° 286 del 19-10-2012 3 Mercoledì 1 febbraio 2017 ATTUALITA’ DISOCCUPAZIONE AL 12% E TRA I GIOVANI RISALE SOPRA IL 40% Il non lavoro non nobilita l’uomo L’Istat certifica il totale insuccesso delle politiche economiche del governo Renzi. Gentiloni è avvisato LO SDEGNO DELLA LEGA Saltamartini: “E’ un bollettino di guerra” di Marco Zappa A (quasi) tre anni da quell’insuccesso chiamato Jobs Act la disoccupazione è ferma al 12% (il livello più alto da giugno 2015) mentre quella giovanile continua a salire e a dicembre ha sfondato il muro del 40% (40,1). Sono questi i risultati catastrofici raggiunti dall’esecutivo Renzi che testimoniano, se ancora ce ne fosse bisogno, la disfatta dell’ex premier e del confermato (anche nel governo Gentiloni) ministro del Lavoro Poletti. I dati dell’Istat rappresentano una catastrofe annunciata che dopo anni di chiacchiere e promesse (dell’ex esecutivo) rimaste lettera morta s’è “finalmente” materializzata. Fine del 2016 da horror, per il Rottamatore. E non solo per via delle sue dimissioni. Ma per tutti quegli indicatori economici che continuano a sbugiardarlo, fotografando quella che è l’amara realtà: deprimente. Tempi duri per Gentiloni. Che deve fare i conti con quel tasso di disoccupazione dei 15-24enni salito a livelli inimmaginabili. Le politiche del lavoro adottate dal suo predecessore si sono rivelate un fallimento e continuare sulla stessa lunghezza d’onda non è certo possibile. I risultati devastanti dovrebbero portare l’attuale ministro del Welfare a importanti riflessioni circa un passo indietro che per molti appare inevitabile. Ma anche il nuovo presidente del Consiglio è invitato a meditare attentamente. Perché così continuando si rischia il disastro più totale. Quello dei ragazzi senza una occupazione è un dramma sociale che necessita di una soluzione immediata. Tra giovani sempre più in fuga verso paesi che hanno dimostrato di sapere investire sulle nostre eccellenze e “pischelli” che trovano solo nella loro famiglia il rifugio da crisi e disoccupazione. Con la “paghetta” di mamma e papà (pochi nuclei ormai possono permettersela) che rappresenta l’unica magrissima consolazione dal sapore amarissimo. Millennials ma non solo. Perché i disoccupati rappresentano un esercito di 3.103.000 persone, in aumento di 9.000 unità su novembre e di 144.000 su dicembre 2015. Con il tasso di inattività stabile sui minimi storici al 34,8%. La commedia renziana è finita e adesso lo “spettacolo” da comico è diventato desolante. In un Paese che ha dimostrato coi fatti di non credere non solo nei giovani ma na Repubblica fondata sul non lavoro. Con la disoccupazione giovanile che è tornata a superare il 40% provocando le reazioni e lo sdegno non solo dell’opinione pubblica, ma anche della politica. Con il Carroccio che attraverso Barbara Saltamartini, vicepresidente alla Camera della Lega-NCS, chiede un immediato cambio di passo: “Oltre il 40% dei giovani è a casa senza lavoro. È un bollettino di guerra. Uno scempio – l’attacco della deputata - che condanna i ragazzi italiani a vivere in condizioni disagiate e senza speranza. Questo è il U frutto delle politiche scellerate del governo a guida Renzi e del suo gemello Gentiloni. Il fallimento del Jobs act è sotto gli occhi di tutti: non ci sono investimenti su innovazione e ricerca, non ci sono politiche di sviluppo industriale ma in compenso abbiamo un utilizzo smodato dei voucher, simbolo per eccellenza del precariato selvaggio. Serve un cambio di rotta immediato se non vogliamo affondare. Chi ha fatto solo danni è giusto che vada subito a casa. Si voti voto subito per mettere in campo un’alternativa seria e ridare futuro ai giovani e al Paese”. negli italiani in generale. Stretti nella morsa di una crisi infinita e alle prese con una disoccupazione dilagante che continua a mostrarsi spietata. Servono politiche giuste ed efficaci. Oltre a un’inversione di tendenza netta e decisa rispetto all’operato di Renzi che ha lasciato sul terreno sporco polemiche ma soprattutto voucher e precariato. FERMATE QUATTRO PERSONE (DUE CONVERTITE ALL’ISLAM), TRA QUESTE ANCHE L’AMMINISTRATORE DELEGATO DI SOCIETÀ ITALIANA ELICOTTERI Traffico d’armi con Iran e Libia: arrestati italiani “radicalizzati” L’inchiesta dei pm di Napoli parte da un’indagine sui rapporti tra il clan dei Casalesi e la mala del Brenta n presunto traffico di armi da guerra destinato all’Iran e a un gruppo legato all’Isis attivo in Libia. Fucili d’assalto, missili terra-aria e anticarro, prodotti da Paesi dell’ex blocco sovietico. Ma anche eliambulanze trasformate in elicotteri d’assalto. Un giro pericolosissimo d’affari che secondo gli inquirenti vedeva protagoniste pure la mala del Brenta e i Casalesi. E ancora: soldati del Califfato e mercenari sospettati di muovere armi in tutto il mondo. Ma soprattutto una coppia napoletana (di San Giorgio a Cremano, Mario Di Leva e Annamaria Fontana) convertitasi all’Islam e finita in manette che in salotto sfoggiava una foto ricordo con l’ex premier iraniano Ahmadinejad. Nei guai (indagato a piede libero) anche il figlio Luca e un libico tutto ora irreperibile, Mogamud Alì Shawish. U Sono questi gli effetti di un’inchiesta della Dda di Napoli che ha provocato sequestri e accertamenti in tutta Italia: da Ve- nezia a Roma passando pure per l’Aquila e Salerno. Al centro delle indagini anche l’amministratore delegato della Società Italiana Elicotteri, Andrea Pardi (arrestato), già coinvolto precedentemente in un’altra inchiesta sul traffico di armi e reclu- tamento di mercenari tra Italia e Somalia. E’ proprio da quel procedimento che ha preso spunto l’indagine dei pm partenopei, che ieri ha portato al fermo di quattro persone accusate di traffico internazionale di armi e di materiale “dual use”, di produzione straniera. E di aver introdotto elicotteri e missili in paesi soggetti ad embargo senza le necessarie autorizzazioni ministeriali. Presunti reati che sarebbero stati commessi tra il 2011 e il 2015. Per gli inquirenti - stando alle intercettazioni agli atti dell’inchiesta - i coniugi Di Leva sarebbero addirittura stati in contatto con i rapitori dei quattro italiani sequestrati in Libia nel 2015. Una storiaccia, quella, che s’è conclusa lo scorso marzo con la morte di Fausto Piano e Salvatore Failla. E la fuga di Gino Pollicandro e Filippo Calcagno. L’indagine nasce appunto nel 2011 quando gli investigatori hanno scoperto che una persona appartenente ad un clan camorristico dell’area casalese era stata contattata da un affiliato alla mala del Brenta con precedenti per traffico d’armi. Quest’ultima sarebbe stata infatti alla ricerca di uomini esperti di armamenti da inviare alle Seychelles per l’addestramento di un battaglione di somali. Gli approfondimenti avrebbero permesso di ricostruire una mappa internazionale del commercio di armi di produzione estera. Attraverso attività connesse con il commercio mondiale avvalendosi di società con sedi pure in Ucraina e Tunisia. Un affare milionario, stando alle ipotesi dei pm, davvero sconvolgente. In un’indagine che, però, potrebbe avere ancora molto da dire. Dai potenziali effetti devastanti. 4 ATTUALITA’ Mercoledì 1 febbraio 2017 A OTTO ANNI DAL TERRIBILE INCIDENTE, COSTATO LA VITA A TRENTADUE PERSONE Viareggio, condannati i manager delle Ferrovie Sette anni agli ex amministratori Mauro Moretti, Michele Elia e Vincenzo Soprano. Pene più pesanti per i responsabili della Gatx Rail, la società che aveva affittato i carri cisterna di Barbara Fruch rano le 23,48 del 29 giugno 2009, quando il deragliamento del treno merci 50325 Trecate-Gricignano alla stazione di Viareggio e la conseguente fuoriuscita di gas da una cisterna contenente Gpl perforatasi nell’urto, causò forti esplosioni ed un imponente incendio che distrusse molte case. Morirono 32 persone e ne rimasero ferite altre 25. A otto anni da quella strage è arrivata la sentenza di primo grado. Il Tribunale di Lucca, presieduto da Gerardo Boragine, ha condannato a sette anni l’ex amministratore di Ferrovie Mauro Moretti, nella veste di ex ad di Rfi, e Michele Mario Elia, ex amministratore delegato di Rete ferroviaria italiana; l’accusa ne aveva chiesti rispettivamente 16 e 15. Comminata la pena a 7 anni e 6 mesi anche a Vincenzo Soprano, ex ad di Trenitalia e di Fs Logistica e sette anni a Mario Castaldo, come direttore della Divisione Trenitalia Cargo. Sul banco degli imputati c’erano 33 persone e 9 società. L’accusa per tutti a vario titolo era di disastro ferroviario, incendio colposo, omicidio E colposo plurimo, lesioni personali. Le condanne più pesanti sono state inflitte ai responsabili della Gatx Rail, la società che aveva affittato i carri cisterna alle Ferrovie dello Stato. Nove anni e sei mesi a Rainer Kogelheide, amministratore di Gatx Rail Germania, e a Peter Linowski, responsabile sistemi di manutenzione di Gatx Rail Germania. Nove anni anche per Johannes Mansbarth, amministratore delegato di Gatx Rail Austria, e Uwe Konnecke, responsabile delle Officine Jungenthal di Hannover. Otto anni invece per Andreas Schroter delle Officine Jungenthal, e Helmut Brodel e Uwe Kriebel, sempre della Jungenthal. Gli altri condannati sono Giuseppe Pacchioni (7 anni), Daniele Gobbi Frattini (6 anni e 6 mesi), Paolo Pizzadini (6 anni e 6 mesi), Emilio Maestrini (6 anni e 6 mesi), Giulio Margarita (6 anni e 6 mesi). Sei anni di reclusione sono stati comminati a Giovanni Costa, Giorgio Di Marco, Salvatore Andronico, Enzo Marzilli, Francesco Favo, Alvaro Fumi. Otto gli assolti invece per non aver commesso il fatto: Andreas Barth e Andreas Carlsson, della Jungenthal di Hannover, Joachim Lehmann, supervisore esterno della Jungenthal, Massimo Vighini, Calogero Di Venuta, responsabile della direzione compartimentale di Firenze Movimento infrastrutture, Giuseppe Farneti, sindaco revisore di Fs prima e poi di Italferr, Gilberto Galloni, a.d. di Fs Logistica, Angelo Pezzati, predecessore di Di Venuta, Stefano Rossi e Mario Testa. Assolti anche Moretti dai reati a lui ascritti come a.d. di Ferrovie e Vincenzo Soprano, limitatamente ai reati ascritti come ex dirigente di Fs. Esclusa la responsabilità per illecito amministrativo anche di Ferrovie dello Stato Spa, di Fs Logistica, di Cima Riparazione. Presenti in aula i familiari delle vittime, che hanno ascoltato le parole del giudice in religioso silenzio. Ieri erano arrivati in corteo al Polo fieristico, dove si svolge il processo, con uno striscione:“Viareggio 29-6-2009 niente sarà più come prima”. Per oggi è stata convocata una conferenza stampa: solo in quella sede parleranno i parenti delle vittime, riunite nell’associazione “Il mondo che vorrei”, come hanno spiegato dai responsabili Daniela Rombi e Marco Piagentini. FIRENZE - LA PROCURA DISPONE MISURE CAUTELARI Assalto alla libreria: arrestati dieci anarchici Accusati di “di aver costituito un’associazione a delinquere che ricorreva alla violenza per affermare la propria ideologia”. Tra gli episodi contestati anche gli attacchi ad alcune sedi di Casa Pound anno pianificato azioni violente contro avversari politici e forze dell’ordine, assaltando anche la sede di CasaPound. Ad agire è stato un gruppo di anarcoinsurrezionalisti di Firenze: tre persone sono finite agli arresti domiciliari, tra cui due donne ritenute il vertice dell’associazione, e altre sette destinatarie di misure restrittive come l’obbligo di dimora o di presentazione alla polizia giudiziaria. Il blitz è scattato ieri mattina nella città toscana nell’ambito dell’ope- H razione ‘Panico’, condotta da Polizia e Carabinieri, coordinati dalla Procura della Repubblica fiorentina, diretta dal procuratore capo Giuseppe Creazzo. Le forze dell’ordine hanno anche eseguito il sequestro preventivo dello stabile conosciuto col nome di “villa panico”, nel parco di San Salvi a Firenze. Si è reso necessario l’intervento degli artificieri per un involucro sospetto, poi rivelatosi innocuo. L’edificio, secondo gli investigatori, era “la principale base logistica dell'as- sociazione per delinquere di ispirazione anarchica”. Il gruppo, secondo quanto ricostruito da due indagini di digos e carabinieri, era organizzato in maniera gerarchica; tra i tre ‘capi’ due donne e ognuno, nell’ambito delle ‘azioni’, avvale un ruolo prestabilito. Gli indagati “sono accusati di aver costituito un’associazione a delinquere in seno ai predetti ambienti, che ricorreva alla pratica della violenza per affermare la propria ideologia”. I reati conte- stati sono violenza, resistenza e lesioni a pubblico ufficiale, danneggiamenti di sedi politiche e edifici del centro storico oltre che di mezzi delle forze dell'ordine e di soccorso. Non solo. Gli anarchici sono accusati anche di porto di armi improprie, detenzione e trasporto di materiale esplodente, violenza privata nei confronti di cittadini, fino alla rapina impropria. I fatti riguardano episodi di violenza commessi nel corso del 2016. In particolare l’irruzione il 14 gennaio in un centro CasaPound armati di mazze e bastoni, un ordigno esplosivo piazzato davanti alla libreria Il Bargello (vicina a CasaPound) il 3 febbraio (simile a quello esploso a capodanno in cui è rimasto ferito un artificiere). Poi ancora resistenza e violenza a pubblico ufficiale il giorno successivo nel corso di una manifestazione non autorizzata, scontri con le forze dell’ordine, il 21 aprile e una manifestazione non autorizzata il 25 aprile scorso, nel corso della quale furono imbrattati edifici, anche con scritte minacciose contro le forze dell’ordine, e furono aggrediti alcuni cittadini che protestavano contro gli imbrattamenti. Sempre in quest’occasione, alcuni degli indagati aggredirono la proprietaria di un bar per rubare bottiglie di alcolici. “L'indagine non riguarda le idee politiche di queste persone ma i reati compiuti all’interno di un più ampio movimento politico” ha detto il procuratore capo Giuseppe Creazzo spiegando come le indagini non riguardano l’esplosione della bomba la mattina di Capodanno ha provocato il ferimento grave di un artificiere della polizia. Gli investigatori non escludono ora azioni di protesta da parte di gruppi anarchici in risposta agli arresti: aumentati i servizi di sorveglianza. IL FRIULI VENEZIA GIULIA PERDE PEZZI: LA KONNER , CHE PRODUCE ELICOTTERI, SI TRASFERISCE IN PUGLIA Effetto Serracchiani, le aziende se ne vanno nnesima azienda costretta a trasferirsi. Ma questa volta la destinazione non è l’estero, bensì il sud Italia. Così se una volta era il Meridione a guardare al Nord per gli affari, ora avviene anche il contrario. Dove? In Friuli Venezia Giulia. E la “colpa” è della Regione. A puntare il dito contro l’Ente capitanato dalla vicesegretaria del Pd Debora Serracchiani è proprio l’azienda in questione: la Konner di Amaro (Udine), nota soprattutto per la produzione di elicotteri venduti in tutto in E mondo, che ha deciso di investire 90 milioni nell’area ex Miroglio, a Castellaneta (Taranto). Destino incerto dunque per lo stabilimento friulano che produce turbine ed elicotteri ultraleggeri e occupa 22 dipendenti, che rischiano il posto. Forse manterrà in loco solo la sezione ricerca e sviluppo. Il titolare della Konner Sergio Bortoluz era pronto ad ampliare la sua ditta, ma lo farà a Castellaneta, dove vuole assumere 300 persone per impiegarle in quattro catene di montaggio, anche grazie ad un finanziamento. L’azienda è stata l’unica a presentare un piano industriale (presso Invitalia) per il sito ex-Miroglio offrendo opportune garanzie. Un piano di sviluppo, quello dell’azienda, che si voleva fare già un anno e mezzo fa proprio in quello stabilimento in Carnia (regione storica del Friuli), ma non è stato possibile. “Io volevo investire qui da noi ha dichiarato l’imprenditore a Maurizio Cescon, giornalista del Messaggero Veneto - invece è stata la Regione Puglia a darmi credito. I loro funzionari sono stati più volte da me, per vedere come lavoriamo”. Aveva preso contatti con la Regione Friuli Venezia Giulia. “Abbiamo avuto un unico contatto, qualche tempo fa, con l’assessore Bolzonello, poi nessuno si è più fatto vedere o sentire. Ma cosa fanno in quegli uffici a Trieste? Non si rendono conto che stiamo perdendo le industrie? Ne abbiamo il 53% in meno rispetto all’anno 2000”. Poi ammette come ci siano state proposte anche dall’estero. “Avevo degli investitori russi pronti a comprare tutto, volevano che trasferissi tutto là da loro. Ma io ci tengo a lavorare e a sviluppare il business nel mio Paese. E ripeto lo avrei fatto ben volentieri nella regione dove pago un milione di euro di tasse, fino all’ultimo centesimo. Invece non mi è stata data questa possibilità”. L’ennesima azienda che abbandona la zona dell’alto Friuli, la Carnia. Una notizia che arriva a poche settimane dalla scelta di un’altra: a metà gennaio infatti anche il titolare delle Esse di Raveo, Aldo Bonanni, aveva annunciato la scelta di trasferirsi a breve a Kirchbach, in Carinzia, dove sono già stati acquistati dei capannoni. I motivi? Tassazione più bassa e il desiderio di una B.F. burocrazia più snella. 5 Mercoledì 1 febbraio 2017 DA ROMA E DAL LAZIO LA CONFERENZA DI SERVIZI CONCEDE ALTRI TRENTA GIORNI DI PROROGA AL CAMPIDOGLIO PER ESPRIMERE I PARERI Stadio Roma, Raggi allunga il brodo Ma l’assessore all’Urbanistica, Berdini, resta una spina nel fianco del sindaco e dei 5 Stelle di Giuseppe Sarra O ra l’amministrazione Raggi non ha più alibi sulla partita dello Stadio della Roma, giunta praticamente ai supplementari. Dovrà rispondere sì o no al progetto entro trenta giorni, concessi ieri dalla Conferenza di Servizi tra Campidoglio, Città metropolitana, Regione Lazio, governo e proponenti. Una risposta che comunque dovra essere ben motivata dal Comune di Roma in entrambi i casi, non solo per giustificare un’impasse infinita ma soprattutto per il congelamento dell’iter della nuova casa giallorossa. Ma da Palazzo Senatorio si serpeggia che dovrebbe arrivare il fatidico sì, nonostante le resistenze dell’assessore all’Urbanistica e ai Lavori Pubblici, Paolo Berdini. Anche perché qualora dal Campidoglio arrivasse un “no” al progetto, lo stato finanziario dell’Ente potrebbe essere compromesso da una possibile condanna per danno erariale a favore dei proponenti, cioè l’As Roma e i costruttori Parnasi; che sembrano aver perso la pazienza di fronte alle rassicurazioni del sindaco di Roma, Virginia Raggi, che, al momento, non si sono mai trasformate in atti concreti. Eppure il Dipartimento Urbanistica del Comune ha predisposto e protocollato da diverse settimane la tanto attesa variante sul nuovo Stadio giallorosso a Tor di Valle. Una variante che confermerebbe più o meno l’attuale progetto. Di fatto sembra più o meno una “pezza d’appoggio” per i funzionari capitolini, che non correrebbero il rischio di essere chiamati a rispondere di danno erariale. Ma, incredibilmente, la variante non è mai arrivata in giunta. E l’ostacolo da superare è sempre l’assessore Berdini, che può soltanto resistere per dimostrare di essere stato un duro e puro oppositore allo Stadio della Roma, ma è impossibilitato ad intervenire. Perché ormai non c’è più tempo per cambiare la delibera di pubblica utilità approvata dall’amministrazione Marino, nella quale le cubature ammontano a circa 977mila metri cubi totali. Insomma, la Conferenza di Servizi del 31 gennaio non è stata assolu- tamente “decisoria”. Ha semplicemente assecondato, per ora, la richiesta della giunta pentastellata in evidente difficoltà. E anche i vari incontri informali tra Campidoglio e Regione Lazio, già fortemente infastidita per il ritardo sulle integrazioni documentali, non hanno portato a nessun passo avanti. “Questo mese sarà importante per avere uniformità di pareri”: è convinto l’assessore all’Urbanistica alla Regione Lazio, Michele Civita. Ieri, intanto, è arrivato il via libera sull’impatto ambientale da Roma Capitale, mentre dalla Città Metropolitana di Roma Capitale, il cui sindaco è sempre la Raggi, è giunto il parere negativo. Anche se dovrebbero esseci tutte le condizioni affinché l’ex Provincia torni sui suoi passi. Ecco perché la Conferenza di Servizi ha comunque espresso un parere favorevole. Al di là del responso della giunta Raggi, tutti gli enti dovranno completare le procedure urbanistiche di competenza entro e non oltre il 3 marzo. Anche se l’atto vitale sarà ovviamente lo schema della convenzione tra Campidoglio e proponenti, in sostanza il contratto che stabilirà quali saranno le opere da costruire nella prima fase. Nel frattempo un’importante presa di posizione è arrivata dall’Autorità di bacino del Tevere, che, attraverso una lettera inviata sia al Comune di Roma che alla Regione Lazio, non ravvede rischi di inondazione dell’area di Tor di Valle perché sarebbero le opere stesse previste dal progetto ad abbassarli drasticamente, fino a renderli praticamente nulli. Si scioglierebbe così un’altra perplessità sollevata dal Campidoglio sul rischio idrogeologico. Nella lettera il dipartimento dell’Urbanistica, stando a chi l’ha letta, scrive di conseguenza di ritenere che “la Conferenza di Servizi non possa concludersi con esito favorevole”. Ma da parte dell’Autorità di Bacino il parere sarebbe invece favorevole. Però i pentastellati non ci stanno e per voce di Enrico Stefàno, presidente della commissione comunale ai Trasporti, rilanciano: “Lo Stadio si farà se verranno ridotte le cubature”. Quindi, ha concluso Stefàno a Tele Radio Stereo, “il Movimento 5 Stelle non è contrariamo allo stadio e punta a un accordo entro il prossimo mese”. Una volontà che è aleatoria ad oggi? Sembra proprio di sì. Le parti attendono che la giunta Raggi passi dalle parole ai fatti. O meglio, agli atti. LA FIMMG: NECESSARIO AGGIORNARE LE GRADUATORIE E AUMENTARE I POSTI DI SPECIALIZZAZIONE Assistenza sanitaria, suona l’allarme nel Lazio Nel prossimo quinquennio andranno in pensione 1.377 medici, ma i rimpiazzi sono solo cinquecento. I restanti arriveranno da Romania e Polonia? assistenza sanitaria sarà a rischio nel Lazio. Entro il 2021 nel Lazio andranno in pensione 1.377 medici (1.183 di base, 115 pediatri e 67 di continuità assistenziale). I rimpiazzi, però, saranno solo circa cinquecento. L’allarme è stato lanciato dalla Federazione dei medici di medicina generale, che ha chiesto un intervento della Regione Lazio. “Servono contromisure urgenti, non si può pensare di rimandare L’ il problema ai prossimi anni perché così facendo saremo costretti a prendere dei medici da altri Paesi”, ha spiegato il segretario della Fimmg Roma e vicesegretario nazionale, Pierlugi Bartoletti, all’agenzia Dire. Secondo l’analisi dell’Ente nazionale di previdenza e assistenza medici (Enpam) - effettuata considerando che nel 2017 il requisito di vecchiaia è di 67 anni e 6 mesi, e a partire dal 2018 diventerà di 68 anni - quest’anno il Lazio per- derà 126 medici di base, 9 pediatri e 8 medici di guardia medica. Numeri simili nel 2018, mentre a partire dal 2019 l’aumento è esponenziale: andranno in pensione 289 medici di base, che diventeranno 339 nel 2020 e scenderanno di poco (318) nel 2021. “I problemi sono due: i rimpiazzi sono presi dalla graduatoria regionale (oggi composta da 1.350 persone) che non è aggiornata da anni e contiene nominativi di medici che già lavorano. Inoltre i posti di specializzazione disponibili ogni anno sono solo 70. Va quindi aumentato il numero, ma non si puo' perdere tempo”, ha chiarito Bartoletti. Non va meglio nella penisola. Infatti, secondo alcuni calcoli, nei prossimi dieci anni in tutta Italia andranno in pensione 4.720 medici. Perché l’età media dei 354.000 medici in attività è pari a 54 anni, addirittura per i primari è di 61 anni. “C’è un’intera generazione che si prepara ad andare in pensione- ha concluso Bartoletti- ma dietro non c’è n’é una nuova, pronta a subentrare”. Altrimenti il rischio è l’importazione di medici provenienti da altri Paesi, alla faccia della valorizzazione delle professionalità italiane. “E non mi riferisco all'Inghilterra - ha attaccato il segretario regionale della Fimmg, Maria Corongiu - che richiede continua- mente dottori italiani perché noi abbiamo una cultura a tutto tondo, ma, con tutto il rispetto, a Polonia e Romania”. IL PIANO ILLUSTRATO DALL’ASSESSORE MONTANARI POTREBBE RIAPRIRE LA STAGIONE DELLE PROTESTE e l’aumento delle percentuali di raccolta differenziata sono ancora un’incognita nella Capitale, il piano dei rifiuti di Pinuccia Montanari, neo assessore all’Ambiente di Roma S Capitale, illustrato in un’audizione in Commissione Ecomafie ha generato una violenta reazione dal territorio e che comunque potrebbe riaprire la stagione delle proteste. Rifiuti, tensione alle stelle Per ridurre il 48% sia del rifiuto urbano che di quello organico, l’assessore della giunta Raggi ha previsto il raddoppio delle tonnellate nell’impianto di Ama a Maccarese, frazione di Fiumicino, e l’eventuale realizzazione di due nuovi impianti da 40mila tonnellate. Un’idea bocciata immediatamente dal sindaco di Fiumicino, Esterino Montino. “Non si è padroni in casa d’altri”, ha tuonato il primo cittadino. Ma i cittadini romani non possono dormire sonni tranquilli. Perché si sta valutando la possibile riconversione dell’impianto Salario, anche alla luce della progressiva saturazione degli impianti di Laurentino e Rocca Cencia, contro il quale i cittadini hanno denunciato in passato i devastanti miasmi che invadono interi quartieri. Poi, secondo Montanari, “altre 175mila tonnellate saranno trattate con la realizzazione di un centro di separazione spinta del multimateriale con annesso un centro di selezione per polimeri delle plastiche polimateriali”. Dove sarebbero realizzati i nuovi impianti? Negli ecodistretti individuati dall’ex amministrazione Marino e bocciati dall’ex assessore all’Ambiente Paola Muraro? Ma non è finita qui. L’assessore ha poi ribadito che sull’utilizzo delle discariche “dovremmo ragionare attentamente con la Regione, perché noi non vorremmo più che questo Paese si affidasse alle discariche”. Si ripresenta, dunque, il problema della gestione dei rifiuti romani, trasferiti gran parte nei 62 impianti in dieci regioni italiane e in tre Stati esteri. E se uno di questi va in sofferenza o chiude per manutenzione, come succede in estate, il sistema torna in difficoltà. Il ministro all’Ambiente, Gian Luca Galletti, ha già in passato invitato sia il governatore del Lazio, Nicola Zingaretti, che il sindaco di Roma, Virginia Raggi, a mandare in soffitta la stagione delle ideologie. Ma c’era e non c’è una soluzione condivisa. Da un lato la Regione ha chiesto ufficialmente l’indicazione di un sito a Roma Capitale, dall’altro i grillini hanno boc- ciato la richiesta prendendo, di fatto, altro tempo. Entrambi, però, hanno frenato sia la costruzione di un nuovo termovalorizzatore che la riattivazione dell’inceneritore di Malagrotta come previsto dall’articolo 35 del D.lgs 133/2016, denominato Sblocca Italia - dove ben due impianti di trattamento tmb sono ancora funzionanti e senza i quali Roma tornerebbe in emergenza, perché lì ogni giorno passa il 50 per cento dell’indifferenziato prodotto nella Città Eterna. Quale potrebbe essere la via d’uscita indolore? La delibera regionale numero 119 con cui la Regione Lazio ha di fatto concesso la possibilità di ampliare le volumetrie solo ai siti esistenti. 6 ESTERI Mercoledì 1 febbraio 2017 STATI UNITI Trump licenzia il ministro della Giustizia Sally Yates si era rifiutata di far applicare l’ordine esecutivo del presidente sull’immigrazione di Cristina Di Giorgi l procuratore generale Sally Yeats, capo del dipartimento della Giustizia americana (nominata da Barack Obama), che sarebbe dovuta rimanere in carica fino alla conferma, da parte del Senato, della nomina del suo successore designato Jeff Sessions, è stata rimossa dal suo incarico. Al suo posto è stato nominato Dana J. Boente, procuratore del distretto orientale della Virginia. Lo ha reso noto ieri la Casa Bianca, con una nota ufficiale in cui viene spiegato che il licenziamento è dovuto al fatto che la Yates “ha tradito” la sua missione, “rifiutando di applicare un ordine legale destinato a proteggere i cittadini degli Stati Uniti”. L'ordine in questione è il cosiddetto “Muslim ban”, il discusso provvedimento firmato venerdì scorso da Donald Trump con cui si bloccano gli ingressi negli Usa di persone provenienti da sette Paesi a maggioranza musulmana (sul punto il tycoon ha ricordato in un tweet che Obama nel 2011 ha fatto lo stesso quando “bandì per sei mesi i visti per i rifugiati dall'Iraq”. Ma allora nessuna polemica o critica agitò le acque dello scenario politico nazionale e internazionale, come sta invece avvenendo in questi giorni). I Un ordine, quello di Trump, al quale la Yates aveva fatto sapere di non voler dar seguito e a tal fine aveva scritto ieri una lettera a tutti gli avvocati del dipartimento di Giustizia, dicendo di non difendere il provvedimento:“Sono responsabile nel garantire che le posizioni che prendiamo in tribunale restino in linea con l'obbligo solenne di questa istituzione di perseguire sempre la giustizia e stare dalla parte di ciò che è giusto” aveva scritto Yates ai colleghi, precisando poi che “al momento, non sono convinta che la difesa dell'ordine ese- cutivo sia in linea con queste responsabilità né sono convinta che questo ordine esecutivo sia legale”. Tali critiche – sottolinea il New York Times – costituiscono un “rimprovero da un funzionario del governo ad un presidente in carica” che ricordano quanto avvenne nel 1973, quando Richard Nixon licenziò il procuratore generale e il suo vice per aver rifiutato di destituire il pubblico ministero incaricato del caso Watergate. Critiche che, come visto, sono costate alla Yates il posto. Quanto al nuovo ministro ad interim della Giustizia, Dana J. Boente si è detto “onorato” dell'incarico ricevuto (che ricoprirà per pochissimo tempo: è la nomina del suo successore è infatti attesa in queste ore) ed ha dichiarato di aver già “dato istruzioni agli uomini e alle donne del Dipartimento di fare il loro dovere e di difendere gli ordini del nostro presidente”. Piena applicazione del decreto su immigrazione e rifugiati dunque, per “garantire che il nostro popolo e la nostra nazione siano protetti”. Intanto, il portavoce della Casa Bianca Sean Spicer, ha ribadito che l'ordine serve alla sicurezza degli Stati Uniti: “E' ora di fare sul serio nel proteggere la nostra nazione. Premere per controlli più severi sulle persone che viaggiano da sette posti pericolosi non è una cosa estrema. E' ragionevole e necessario. Non aspetteremo di essere attaccati per capire come possiamo fare perché non succeda di nuovo”. Spicer ha inoltre accusato i deputati democratici di ritardare la conferma della nomina di Sessions “per ragioni politiche”. WASHINGTON La politica estera di The Donald I primi passi della nuova diplomazia americana, tra incontri ufficiali e conversazioni telefoniche a politica estera del presidente Donald Trump prende forma. Nei suoi primi passi - una serie di incontri ufficiali e conversazioni telefoniche - la nuova diplomazia americana di stampo repubblicano sta dando l’impressione di voler consolidare i rapporti con alcuni dei Paesi storicamente legati agli Stati Uniti e riappacificare gli animi quanto al “nemico storico” russo. Alcune di queste prime iniziative hanno però irrigidito il dialogo con altri Stati, le cui reazioni potrebbero provocare serie crisi diplomatiche. A tal pro- L posito fanno discutere, in particolar modo, due ordini esecutivi firmati da Trump la settimana scorsa: quello relativo al muro al confine con il Messico e quello con cui si sospende l’ingresso sul territorio americano alle persone provenienti da sette Paesi a maggioranza musulmana, in quanto ritenuti esposti al fondamentalismo islamico. La prima decisione ha chiaramente irritato la leadership messicana (è stato annullato l’incontro fra Trump e Peña Nieto previsto per ieri), che potrebbe rispondere con varie contromisure di natura economico-commerciale. Quanto alla seconda, interpretata da molti come un bando generale nei confronti di tutti i musulmani, ha causato una serie di accese proteste non solo negli Usa, ma anche nel resto del mondo. In linea generale va rilevato che il percorso diplomatico intrapreso dal governo Trump ha il potenziale di rovesciare gli equilibri politici mondiali. Il suo approccio nei confronti dell’Europa, per esempio, desta preoccupazioni all’interno delle istituzioni del Vecchio Continente, incredule dinanzi al possibile peggioramento dei rapporti con il fino ad ora alleato d'Oltreoceano. Che sta mostrando di prediligere gli accordi bilaterali a scapito di quelli a più parti. Lo dimostra la visita di Stato di Theresa May a Washington, che ha rafforzato l’eterno legame anglo-americano e gettato le basi per una rinnovata cooperazione in ambito commerciale e nella lotta al terrorismo islamico. Questo modo di procedere rischia, a lungo andare, di danneggiare l'Unione Europea, che tra l'altro Trump ha detto di considerare come “un veicolo per gli interessi tedeschi” (l'Ue dal canto suo considera il nuovo inquilino della Casa Bianca come una “minaccia”). Senza contare che l’intenzione del presidente americano, manifestata a più riprese, di scongelare il dialogo con la Russia di Putin e rimuovere le sanzioni, al fine di poter instaurare un rapporto cordiale tra le due superpotenze basato in primis sulla lotta all’Isis, isolerà l’Europa rendendola ancor meno rilevante sul palcoscenico internazionale. Quanto poi al Pacifico, Trump ha recentemente invitato il primo ministro giapponese Shinzo Abe all’Ufficio Ovale per un incontro che dovrebbe tenersi il 10 febbraio. E si è anche intrattenuto al telefono con il presidente sudcoreano, assicuran- dogli l’impegno degli Usa nella difesa del paese dinanzi la crescente minaccia rappresentata dalla Corea del Nord. Da ricordare, infine, che il tycoon ha garantito pieno sostegno ad Israele, fedele alleato dell’America, promettendo di riportare l’asse Usa-Israele ai tempi preObama. Insomma, ce n'è per tutti. E senz'altro se ne vedranno delle belle. Claudio Pasquini Peruzzi QUEBEC Strage moschea, incriminato giovane franco-canadese Si chiama Alexandre Bissonette l’uomo accusato dell’attentato in cui sono rimaste uccise sei persone lexandre Bissonette è ritenuto responsabile di aver compiuto domenica 29, insieme a un complice, la strage nella moschea di Quebec city, sparando sui fedeli riuniti per la preghiera della sera. L'uomo, di nazionalità francocanadese, era stato fermato poco dopo il fatto in seguito a una telefonata da lui stesso compiuta, con la quale aveva dichiarato di voler collaborare con le forze dell'ordine. E ieri, nel corso di una breve udienza in tribunale, è stato ufficialmente incriminato: sul suo capo ora pendono sei accuse di omicidio di primo grado e cinque A di tentato omicidio (tanti sono i feriti ricoverati in gravi condizioni). Studente di scienze politiche e antropologia alla Laval University (situata a poca distanza dalla moschea teatro dell'attentato), Bissonette potrebbe dover rispondere di altri capi di imputazione: “Le perquisizioni sono in corso e speriamo di ottenere le prove per contestare terrorismo e minacce alla sicurezza nazionale” fanno sapere dalla polizia, e precisano che il secondo uomo fermato, Mohamed Khadir (di origine marocchina) è stato interrogato come testimone. Quanto a Bissonette, pare che non abbia legami con organizzazioni jihadiste: lo ha scritto in un tweet la responsabile del Site Rita Katz, che dopo aver analizzato l'attività sui social del giovane, definisce tale possibilità “improbabile”. Su questa stessa linea i media canadesi, che lo hanno descritto come “nazionalista, antifemminista e seguace di Donald Trump”. A proposito delle vittime, in memoria delle quali in tutto il Canada si sono tenute veglie e commemorazioni, ne è stata resa nota l'identità: sono Azzeddine Soufiane (57 anni, macellaio, padre di tre figli), Khaled Belkacemi (60 anni, professore all'università Laval), Abdelkrim Hassen (41enne impiegato, anche lui padre di tre figli), Aboubaker Thabti (44 anni), Mamadou Tanou Barry (42 anni) e Ibrahima Barry (39), di origine guineiana. Stella Spada 7 Mercoledì 1 febbraio 2017 ESTERI SI RIACCENDE IL CONFLITTO TRA KIEV E LE REGIONI SEPARATISTE Donbass sotto attacco Negli ultimi giorni sono ripresi i bombardamenti. Colpiti anche obiettivi civili. Situazione drammatica ad Avdeevka di Cristina Di Giorgi a guerra in Donbass, negli ultimi giorni, si è riaccesa. E non accenna a placarsi. Secondo quanto comunicato dall’ufficio stampa del Ministero della Difesa della Repubblica Popolare di Donetsk “i comandanti ucraini, utilizzando il canale radio aperto per le mediazioni hanno proposto un cessate il fuoco che dopo essere stato confermato, è stato da loro stesso violato dando inizio ad un massiccio bombardamento dei territori della Dnr”. La scorsa notte i soldati di Kiev hanno tentato di sfondare le linee difensive della Repubblica popolare di Donetsk nei pressi della “zona industriale tra Avdeevka e Yasinovayaya - scrive su Donipress Vittorio Nicola Rangeloni, che si trova al fronte per seguire l'evolversi della situazione - tentando di ottenere il controllo dell'autostrada che collega Donetsk a Gorlovka. Gli attacchi sono stati respinti, ma sono costati parecchie perdite”. Il quartier generale delle truppe ucraine ha riferito nello contro sono stati uccisi tre soldati (e altri 20 sono rimasti feriti), mentre sul fronte dei militari di Donetsk “nelle ultime 24 ore” ci sarebbero stati quattro morti e sette feriti. A fronte dell'aggravarsi della situazione il presidente ucraino Poroshenko, in questi giorni in visita ufficiale a Berlino, ha anticipato il ritorno in Patria per seguire da vicino L la situazione, in particolare per quanto riguarda i “bombardamenti su Avdeevka”, in cui si è determinata una “situazione di emergenza che rasenta il disastro umanitario”. Per questo le autorità ucraine stanno progettando l'evacuazione della città, rimasta “a corto di acqua, gas ed elettricità”. Una situazione drammatica (soprattutto se si tiene conto delle temperature glaciali di questo periodo), che coinvolge circa 25mila persone, tra cui 2500 bambini. L'escalation della tensione ha avuto dunque non poche ripercussioni sulla popolazione del Donbass. In questo contesto rileva la notizia, di ieri sera, che “un bombardamento delle forze ucraine - ha dichiarato un portavoce del ministero della Difesa della Dnr citato dall'agenzia Interfax - ha interrotto la fornitura di energia elettrica alla miniera Zasiadko”. Circa duecento minatori sono rimasti per ore bloccati nelle gallerie della struttura, ma a quanto sembra - riferiscono i media - sono stati per fortuna portati in salvo. E non è tutto, perché i cittadini del Donbass hanno subito, negli ultimi giorni, ripetuti attacchi. Come quello del 24 gennaio sulle case del villaggio di Zaitsevo, colpite da “proiettili a carica incendiaria di Bmp2 da 30 mm” riferisce Vittorio Nicola Rangeloni. Che racconta anche, documentando quanto riferito con un dettagliato reportage video e fotografico in cui si vedono, tra le altre cose, i segni lasciati sulle case dai colpi di artiglieria (suo lo scatto a corredo di questo pezzo), di quanto avvenuto lunedì 30, quando “in seguito ai bombardamenti dei soldati ucraini” che hanno preso di mira “l'ospedale n.5 della città di Makeevka, una donna è rimasta uccisa ed altre due persone sono state gravemente ferite. Uno di loro non ce l'ha fatta. Anche il distretto Kievskij di Donetsk è stato colpito per tutta notte”. La città di Donetsk tra l'altro (in particolare alcuni quartieri residenziali della città) è stata fatta oggetto nelle scorse ore di ulteriori bombardamenti: “la centrale via Artema è stata colpita all'altezza del del centro commerciale Mayak Agenzia Regionale per lo Sviluppo e l’Innovazione dell’Agricoltura del Lazio e la zona della stazione ferroviaria ha riportato seri danni, un civile è rimasto ucciso” riferisce ancora Rangeloni. A fronte di tutto questo, politicamente parlando, le autorità ucraine, secondo quanto riporta la Tass, oltre ad aver chiesto “l’intervento di Nazioni Unite, Osce e Consiglio d’Europa” hanno anche “convocato una riunione d’emergenza del Gruppo di Contatto per l’Ucraina, al fine di discutere della pesante escalation del conflitto”, la cui responsabilità è attribuita ai ribelli di Donetsk. Che a loro volta accusano Kiev di aver bombardato la Repubblica quasi duemila volte soltanto nelle ultime 48 ore. In tale contesto, inoltre, il ministro degli Esteri ucraino - riferisce Sputnik news - ha dichiarato che a suo dire ciò che sta accadendo rappresenta un “arrogante disprezzo” degli obblighi della Russia (che peraltro ha ripetutamente affermato di “non prendere parte al conflitto interno ucraino”) nel quadro degli accordi di Minsk. Quegli stessi accordi in base ai quali Kiev avrebbe dovuto realizzare una riforma costituzionale basata sui principi del decentramento e dell'adozione di status speciale per le regioni di Donetsk e Lugansk. Il governo ucraino non ha ancora adempiuto a questa parte dell'accordo. Ma ha deciso, proprio in queste ore - lo ha annunciato il direttore della Polizia nazionale - di inviare rinforzi nella zona di guerra. 8 STORIA Mercoledì 1 febbraio 2017 LA TERRA DELLE CENTO CHIESE Sant’Antonio Abate, a Cornillo Nuovo Un vero gioiello del territorio, uno dei più preziosi sotto il profilo artistico: sulla parete di fondo, la vita del religioso è raffigurata su dodici riquadri di Emma Moriconi “D i 'Cornillo' e di 'Serra di Mollionico' si hanno notizie sin dal sec. XI, da quando cioè privati cittadini delle Terre Summatine donarono alcuni beni al Monastero di Farfa (anno 1068). Il paese ormai scomparso di 'Mollionico' o 'Miglionichi' era situato nei pressi di Cornillo Nuovo [...] Chiesa parrocchiale di Sant'Antonio Abate, un tempo annessa all'Abbazia di s. Lorenzo a Trione. Adorna di un portale cinquecentesco, scolpito in pietra del luogo e roso dal tempo. Campanile a vela, con due campane; interno ad una navata, con tetto a capriate [...] Nell'arco dell'edicola dove è posta la statua, affreschi raffiguranti s. Antonio abate e s. Antonio da Padova. Ne tre pinnacoli, altri affreschi: la Vergine e s. Sebastiano in preghiera davanti al Cristo in maestà contornato da cherubini ed altri che, purtroppo, vanno scomparendo. Sui pilastrini di sostegno dell'edicola, la data 1511 e la firma di Dionisio Cappelli. Sull'altare, ciborio cinquecentesco di legno dorato, del 1568. Alla parete di fondo, pregevole affresco diviso in 12 riquadri con episodi della vita di s. Antonio abate, descritti da didascalie in caratteri gotici sotto ogni dipinto. Nella parete destra di chi entra gli affreschi: s. Rocco; due Deposizioni della Croce; varie Immagini della Vergine; s. Lucia; s. Gregorio Magno; in quella di sinistra, nella nicchia, la Madonna coronata (con il Bambino che regge l'orbe), sedente sul tetto della S. Casa di Loreto: in alto Dio Padre; ai lati, s. Giovanni Battista e un santo Abate [...]". Questa è parte della descrizione che Andrea Massimi fornisce della Chiesa di Sant'Antonio Abate a Cornillo Nuovo di Amatrice nel suo libro "Itinerari amatriciani". Dell'edificio di culto parla ancora Don Luigi Aquilini nel suo "Amatrice tesori d'arte", in cui spiega: "Proseguendo sulla destra sulla statale 577 Amatrice - Lago di Campotosto dopo aver superato il bivio di Retrosi e, due km dopo quello di Capricchia e Preta, si raggiunge Cornillo Nuovo. [...]". Il Sacerdote spiega che l'appellativo "nuovo" arriva dopo la ricostruzione del piccolo centro, devastato nel corso delle guerre di successione tra Angioini e Aragonesi nel 1479. Prosegue la descrizione: "L'opera con tre cuspidi affrescate ha molta somiglianza con l'edicola di Santa Savina in Voceto [Voceto è un'altra frazione di Ama- trice, NdR]. Sotto l'arcata troneggia la maestosa figura di S. Antonio Abate. È in terra corra policroma (il colore però è quasi del tutto perduto). È seduto sul trono; ha l'aureola e non più il campanello e il libro sulle mani. L'Antinori, in un suo manoscritto, lo attribuisce a Saturnino dei Gatti allievo di Silvestro rischia dell'Aquila collocandone l'esecuzione al 1521. Sul pinnacolo di sinistra è ritratta la Vergine, a destra il martire Sebastiano mentre nella cuspide centrale è effigiato il Cristo nell'atto di proteggere la piccola comunità di Cornillo e la chiesina. [...]". La descrizione è lunga e appassionante, la Chiesa di Cornillo Nuovo è un vero gioiello del territorio, uno dei più preziosi sotto il profilo artistico. Sulla parete di fondo, la vita di S. Antonio abate è raffigurata su dodici riquadri, ecco come la descrive don Aquilini: "sono come grandi pagine di un libro illustrato per i fedeli dell'epoca in gran parte analfabeti. Gli insegnamenti religiosi passano attraverso la vita e i comportamenti di quest'uomo di preghiera, celebre lottatore contro i demoni". La descrizione del Sacerdote è ancora molto dettagliata, e di meraviglie come questa si potrebbe non smettere mai di parlare. Ciò che però oggi preme sottolineare, ciò che fa male, tanto, è che Sant'Antonio Abate a Cornillo Nuovo ha subito danni enormi dai terremoti che hanno colpito negli ultimi mesi il territorio amatriciano. Una parte della bella chiesa era stata messa in sicurezza. Il porticato e la facciata purtroppo no. Progetto pronto, non ancora eseguito. E il sisma ha continuato a ferire a morte questi tesori dell'arte italiana. La bella Chiesa di Cornillo mostra ora la lunetta con Sant'Antonio Abate, e pietre, dietro le quali si spera con fervore di trovare quanti più affreschi possibile ancora recuperabili. Nella speranza che sia presto, prestissimo. Perché questa terra ha già perduto troppo. STORIA NOSTRA 1967, il restauro della Chiesa di Sant’Agostino Un’esperienza diretta, una testimonianza preziosa, per raccontare uno dei simboli della Amatrice che fu Q uel cumulo di pietre che oggi identifica la chiesa di S. Agostino risveglia in me tantissimi ricordi. Conoscevo quella chiesa come casa mia. Benché ancora giovane, lì ho passato un anno meraviglioso, forse uno dei più belli della mia vita professionale. Lì ho fatto di tutto. Questa chiesa, da tanti anni chiusa, a causa dei vari lavori da eseguire a cura della Soprintendenza di Roma, nel 1967, fu definitiva- mente riaperta. Fu mio padre a vincere la gara di appalto dei lavori di sistemazione interna. Era un grande piacere per lui mettere mano a quel monumento che da sempre era stata la sua parrocchia. Quanti ricordi lo legavano a quella chiesa. Tutto veniva toccato con sacralità e rispetto. Anche le direttive che, secondo i criteri di restauro del momento venivano imposte, destavano in lui qualche contrarietà. Parlo dell’abbattimento delle due statue in gesso a destra e sinistra dell’altare, come della cantoria, per essere sostituita da una specie di ambulacro in mattoni all’ingresso. Un'altra sofferenza fu il dovere per forza smontare il sovrastante organo. Strumento che per tantissimi anni fu dato per disperso, quando invece, alcuni anni or sono, lo ritrovai con somma gioia smontato nelle stanze superiori della torre. Intuii che mio padre, per il suo carattere conservativo, lo fece salire lì per non mandarlo disperso tra le cose da buttare. Da un attento esame delle parti importanti dell’organo ho potuto vedere che era uno strumento del 1790 costruito ad opera di tale Domenico Antonio D’Onofrio di Sulmona. Questa notizia, come tante altre circa gli organi di Amatrice, si può trovare nel volume “Storie di re Organo” a cura di Vincenzo Di Flavio. Tra le tante altre opere eseguite ci fu anche l’abbattimento degli altari laterali, cosa che portò alla scoperta di alcuni meravigliosi affreschi nella parete sinistra, oggi completamente perduta. Mi affiora alla mente una particolarità che di certo si fa notare, sono in due quadri che ora adornavano a destra e sinistra l’altare maggiore, al posto delle due demolite statue in gesso. Sia l’uno che l’altro hanno la stessa sagoma e sono uguale a quella del vano che ospita la statua del Sacro Cuore. Bene quei due dipinti, nelle diverse fasi liturgiche dell’anno, andavano a coprire la statua. Gli affreschi rinvenuti, nella parete sinistra, vennero subito restaurati da esperti e riportati all’antico splendore. Anche tutti i quadri che erano nella chiesa, vennero rimessi in sesto e ripuliti da un pittore e restauratore locale, Alberto Bresi, che per tanti ha prestato la sua opera all’Istituto Don Minozzi. Con lui ebbi il piacere di collaborare a ridare alla luce e risi- stemare tutte quelle belle opere che da tanti anni giacevano depositate nel retro della sacrestia. Tanti altri sono i ricordi di quell’anno di restauro. Sostituendo il mattonato, furono richiuse le tombe poste sotto il pavimento, come furono asportate le acquasantiere dalla oramai chiusa chiesa di S. Giuseppe, per ricollocarle qui a S. Agostino. Tutti questi ricordi, ogni volta che rientravo in chiesa per assistere ad una funzione, mi portavano molto spesso a distrarmi e ricondurmi a quei bellissimi periodi dove ogni lavoro era nuovo, ogni esperienza veniva vissuta senza fatica con la sola voglia di apprendere e di fare. Con questo, spero che si possa comprendere, perché tanto dolore mi affligge nel veder crollare pezzo dopo pezzo non soltanto una parte del mio lavoro giovanile, ma soprattutto un monumento che alla fine del Corso, con l’annessa Porta Carbonara, indicava quanto fosse importante questa Città. Giulio Aniballi 9 Mercoledì 1 febbraio 2017 SOCIETA’ TRADIZIONI E MISTERI POPOLARI Sono cominciati i ‘Giorni della merla’ Sono tante le storie che ruotano intorno al periodo più freddo dell’anno di Chantal Capasso L a tradizione vuole che gli ultimi tre giorni di gennaio (o gli ultimi due di gennaio ed il primo di febbraio) siano ricordati come i Giorni Della Merla, ad indicare uno dei periodi più freddi dell’anno. Ma da come nasce questa antica credenza, entrata oramai a far parte della vita di tutti. Nel 1740, Sebastiano Pauli, ipotizzò due spiegazioni plausibili sulla nascita di questa espressione: la prima ipotesi spiega che ai tempi si doveva far passare un cannone, chiamato Merla, oltre il Po, e si aspettarono proprio gli ultimi giorni di Gennaio per farlo perché in quel periodo il fiume gelava garantendo un più facile il passaggio del cannone da una riva all’altra. Mentre la seconda spiegazione suppone che le tre giornate prendano il nome da una nobile signora di Caravaggio, chiamata De Merli, che, dovendo attraversare il Po per raggiungere il marito, poteva fare solo in quei giorni, essendo il fiume ghiacciato. Ma le storie e teorie sull’origine di quei giorni non finiscono qui. Una tradizione popolare racconta, invece di una leggenda con due diverse versioni, riguardante, appunto, una merla. La prima versione racconta la storia della merla e dei suoi pulcini che, per ripararsi dal gran freddo, si rifugiarono dentro un comignolo e ne uscirono il primo Febbraio, tutti grigi a causa della fuliggine. Da quel giorno tutti i merli femmina ed i pulcini furono grigi. La seconda versione della leggenda è un po’più articolata, e racconta di una merla che ogni anno subiva i soprusi del mese di Gennaio, invidioso dell’ammirazione per il becco giallo e le penne bianchissime dell’uccello. Stanca di tutto questo, un anno la merla decise di fare provviste sufficienti per un mese, rinchiudendosi nella sua tana per tutto il mese di Gennaio, che ai tempi della leg- LUTTO NEL MONDO DEI VIDEOGIOCHI genda era composto solo da 28 giorni. L’ultimo giorno del mese la merla uscì dalla tana ed iniziò a cantare, pensando di aver beffato il rivale. Gennaio si offese al tal punto da chiedere in prestito 3 giorni a Febbraio, scatenando bufere di neve, pioggia, vento e gelo. Per ripararsi, la merla si gettò in un camino e lì rimase per questi 3 giorni, sì salvandosi ma ingrigendo il suo piumaggio a causa della fuliggine, e così rimase sempre con le piume grigie. Come in tutte le leggende, esiste un fondo di verità: infatti nel calendario romani Gennaio aveva solo 28 giorni (ma in quel calendario Febbraio non ne ha mai avuti 30). Sempre secondo la leggenda, se i giorni della merla sono freddi, la Primavera sarà bella; se sono caldi, la Primavera arriverà in ritardo. Particolarmente diffusa nella Pianura Padana, lungo il Po, la leggenda del merlo appare anche in una citazione dantesca sempre in riferimento alla sua morale, che vede l’uccello ingannato dal clima rigido di Gennaio. Evidentemente le leggende sui giorni della Merla sono nate in un'epoca in cui gennaio era molto più freddo di oggi, e le genti, non disponendo di strumenti adeguati, accusava il freddo degli ultimi giorni come il più intenso dell'anno, ma oggi, numeri alla mano, non è più così. PIAGGIO GITA E’ morto Masaya Makamura, La valigia diventa autonoma Dai creatori della Vespa il robot cargo personale che ti segue ovunque il papà di Pac-Man Gli appassionati di gaming piangono il fondatore di Namco che si è spento all’età di 91 anni S e esiste un videogioco storico che ha appassionato grandi e piccini degli anni ’80 quello è senza dubbio PacMan. Che non ha nulla da invidiare ai sofisticati “colleghi” moderni. E poche settimane fa, si è spento il suo creatore, all’età di 91 anni Masaya Makamura L’ideatore del videogioco icona dei tempi andati nelle sale giochi, nato a Tokyo il 24 dicembre 1925, a soli 30 anni ha fondato l’azienda che sarebbe poi stata conosciuta nel tempo come Namco, uno dei nomi più importanti del mondo videoludico. La formula del gioco era tanto semplice quanto avvincente: si era chiamati a controllare una sfera di colore giallo, guidandola tra i corridoi di un labirinto con visuale rigorosamente dall’alto. L’obiettivo era quello di mangiare tutti i pallini sparsi per la schermata, facendo attenzione a non farsi catturare dai fantasmi colorati. Raggiungendo una delle pillole lampeggianti la situazione veniva capovolta, permettendo di catturare i nemici rimandandoli temporaneamente al centro del livello. Tantissimi i sequel e gli adattamenti per tutte le piattaforme in commercio negli ultimi tre decenni. Alcune curiosità: il nome all’esordio in Giappone era Puckman (“chiudere e aprire la bocca”), cambiato poi in occasione del debutto negli USA, l’idea originale venne a Iwatani guardando una pizza dalla quale era stata tolta una fetta e raggiungendo il livello 256 si verificava un bug piuttosto singolare, metà scher- mata giocabile, l’altra no. Nel 2007 il governo giapponese ha introdotto Nakamura nell’Ordine del Rising Sun, per il contributo fornito alla crescita dell’industria locale. Nel 2010 ha inoltre fatto il suo ingresso nella International Video Game Hall of Fame, a testimonianza di quanto il suo lavoro sia stato importante per la crescita del mercato videoludico. È rimasto CEO di Namco fino al 2002, tre anni prima della fusione con il concorrente Elvira Mami Bandai. P er chi teme di perdere la propria valigia durante i vari spostamenti e viaggi, ora potrà stare tranquillo: è nata la valigia robot che segue il suo proprietario ovunque lui vada. L’originalità dell’idea sta anche nel chi l’ha creata. L’inventore, altri non è che Piaggio, marchio da sempre legato alla mitica Vespa. Il robot si chiama Piaggio Gita e farà il suo debutto nel mondo giovedì 2 febbraio. Il legame con la mitica Vespa è diretto: Piaggio Gita è la creazione di Piaggio Fast Forward, siglato PFF società per nuovi progetti e prodotti crea- ta da Piaggio. Ma, basta osservare Piaggio Gita per capire che la parentela non è solo finanziaria e societaria ma si estende anche alla filosofia e al design. Le linee arrotondate, la forma delle maniglie e persino i colori di Piaggi Gita e altri dettagli rievocano immediatamente l’illustre Vespa. Questo robot che ha la capienza di una valigia è in grado di trasportare fino a 18 kg di peso seguendo ovunque il proprietario. Raggiunge la velocità massima di 35 km orari, quindi sufficiente per seguire l’utente anche durante gli spostamenti in bicicletta. Piaggio Gita può effettuare sterzate con un raggio pari a zero, per imitare i movimenti dell’uomo e per muoversi agevolmente anche sui marciapiedi. È progettato per farsi carico di spesa e oggetti trasportandoli al nostro posto: può seguire il proprietario ma anche spostarsi in modo completamente autonomo ovunque siano disponibili mappe dettagliate. Piaggio Gita sta scatenando la curiosità in rete ma mancano ancora diversi dettagli fondamentali, come per esempio l’autonomia e soprattutto il prezzo: tutto sarà svelato sembra il 2 febbraio. 10 IL LIBRO Mercoledì 1 febbraio 2017 UN NUOVO SPACCATO DELLA POLITICA ITALIANA IN QUESTO CAPITOLO DE “LA PROSSIMA A DESTRA” Quei funerali di Pino e Teodoro Fini contestato alle esequie di Rauti. E la visita commossa al capezzale di Buontempo Proponiamo oggi un altro paragrafo de “La prossima a destra” di Francesco Storace (editore Minerva, on line su www.amazon. com) in cui vengono ripercorse altre vicende particolari della destra italiana, non sempre positive e piacevoli, si cui comunque si stagliano le figure di Pino Rauti e Teodoro Buontempo. RIVOLTA IN CHIESA oveva finire così, con una plateale manifestazione di rancore all’interno di una chiesa, quasi si fosse in presenza del demonio in persona. E chi se li scorda i funerali di Pino Rauti, con la violenta contestazione a Gianfranco Fini... La presenza non gradita all’estremo saluto di una persona a cui si vuole rendere omaggio credo che sia una delle cose più brutte che si possano subire, si scatena la collera - a volte vera, a volte strumentale contro il bersaglio, si sfiora il linciaggio. Lo sa anche Fini, col quale usai una “minaccia” del genere nella discussione sulle candidature alle Politiche nel 2006, in prima applicazione dell’odioso porcellum dei nominati. Il presidente di An aveva riunito noi “colonnelli” per lavorare ai capilista di Camera e Senato, e sulla base dei sondaggi si collocavano i vari esponenti di partito nei posti immediatamente successivi. Un’operazione collegiale, in fondo teneva molto a “Checchino” Francesco Cosimi Proietti e pochi altri. Lavorò ad accontentare le correnti, a me ad esempio destinò la stesura del collegio senatoriale del Lazio da cui pretese solo l’estromissione dell’uscente Michele Bonatesta - che non sopportava - e ottennero così il jolly dell’elezione Laura Allegrini e Domenico Gramazio. Fini mi aiutò anche per garantire il seggio in Campania al povero Antonio Pezzella - un gentiluomo che ci ha lasciato troppo presto - e pretese in Sicilia da Mimmo Nania un posto in lista sicuro per Carmelo Briguglio. Arrivati alla circoscrizione delle Marche, c’erano tre posti disponibili - due alla Camera e uno al Senato - su quattro uscenti: i senatori Baldassarre e Magnalbò, i deputati Ciccioli e Conti. Quest’ultimo era sponsorizzato da me e benché fosse amico di Fini da antica data il Capo non ne voleva sapere per le legislature già trascorse in Parlamento. Ricorsi al cuore, che persino Gianfranco possedeva, in senso letterale. Giulio Conti aveva avuto infatti proprio un colpetto al cuore mesi prima e Nostro Signore ce lo aveva lasciato sulla terra. Feci a Fini: “Va bene, non candidiamo Conti, però glielo comunico io. Ovviamente se l’infarto torna a farsi sentire e ci resta secco, non venire ai funerali”. Capita la musica, il sacrificio toccò all’incolpevole Magnalbò. Conti era salvo, era deputato, era vivo. Ma al funerale di Rauti nessuno stratagemma poteva salvare l’allora presidente della Camera che si presentò in chiesa senza neppure avvisare i congiunti più stretti del D Gianfranco Fini contestato ai funerali di Pino Rauti “Buontempo ci aveva fatto la sorpresa di andarsene a ridosso del 25 aprile, Roma fu tappezzata di manifesti in suo onore che nessuno osò toccare, tanto era il rispetto per la sua figura e il dolore per la scomparsa” leader scomparso, a partire dalle figlie Isabella e Alessandra e dal genero Gianno Alemanno. Stavo nelle prime file della chiesa a due passi da piazza Venezia, che sentii un boato provenire dal fondo della navata. La folla ondeggiava, pensai subito ad un attacco dell’estrema sinistra che non rispettava neppure i morti. Invece, vidi sbucare Fini in mezzo ad un popolo di inferociti che, a rito iniziato, gliene urlavano di tutti i colori, e uno che pretendeva di prenderlo a ombrellate sul cranio. Per la sua scorta fu un momento davvero difficile e dovette riparare al fianco di Assunta Almirante che si mise a protezione; la stessa cosa la fede un’altra donna, una giornalista un tempo schierata contro Fini proprio al fianco di Rauti e poi diventata sua seguace, Flavia Perina. Io stesso uscii dalla Chiesa, la scena - lo confesso - non mi piacque affatto: anche se Gianfranco aveva sbagliato a presentarsi in quel modo che era apparso provocatorio ai più, e io stesso ci stavo in rotta davvero pesante, consideravo la contestazione una profanazione per il luogo. Si rischiò la stessa cosa qualche tempo dopo, quando morì inaspet- tatamente il presidente de La Destra, Teodoro Buontempo. Ne soffrii maledettamente, la notizia che era entrato in coma mi colpì particolarmente in quanto - pur frequentandolo assiduamente - aveva tenuta nascosta la sua malattia. Nei tre giorni in cui combatté la sua ultima battaglia, stazionai in clinica praticamente sempre. E tentavo di soddisfare ogni richiesta di Marina, la straordinaria moglie di Teo, e dei suoi figli Michele, Giovanni e Maria, i suoi gioielli. Appena Teodoro perse conoscenza, temendone la dipartita di lì a qualche ora, chiesi a Marina chi voleva che fosse avvisato. Lei mi fece i nomi di Renata Polverini, la presidente che lo aveva nominato assessore; di Nicola Zingaretti, il presidente che era arrivato dopo la loro giunta alla Regione; e Gianfranco Fini, di cui era stato amico per decenni, tra alterne vicende. Toccò a me telefonare alla storica segretaria, Rita Marino, per dirle che dovevo comunicare a Fini che Teodoro era entrato in coma. Non ci parlavamo da tantissimo tempo. Ma Buontempo era più importante di tutto e rassicurai Gianfranco che se avesse voluto partecipare al funerale del presidente de La Destra, nessuno avrebbe potuto impedirlo. E Teo era ancora vivo... Il giorno dopo, Marina mi disse che forse era inopportuno, che aveva avuto segnali di possibile contestazione. Dovetti chiamarlo di nuovo e gli dissi di raggiungerci in clinica. Fini si precipitò da noi e stette diverso tempo nella stanza in cui era ricoverato Teodoro, assieme a familiari e amici. Commosso, visibilmente commosso. Quella volta mi dispiacque davvero la sua assenza alle esequie. Buontempo ci aveva fatto la sorpresa di andarsene a ridosso del 25 aprile, Roma fu tappezzata di manifesti in suo onore che nessuno osò toccare, tanto era il rispetto per la sua figura e il dolore per la scomparsa. Io feci un turno di picchetto d’onore assieme a Giorgia Meloni, sembrava quasi il passaggio di un testimone ideale. Certo, Teodoro non avrebbe tollerato il casino venuto fuori a destra. E avrebbe bofonchiato qualcosa anche allo stesso Fini, “che però non era solo quando si decideva tutto”, ripeteva spesso. DOMANI IL CAPITOLO “GLI AMICI SE NE VANNO”