Nota per Osservatorio - Dipartimento di Scienze Politiche

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Nota per Osservatorio - Dipartimento di Scienze Politiche
Ammessa l’azione di adempimento nel processo amministrativo
Andrea Carbone, Dottorando in Diritto amministrativo presso l'Università di Roma “La
Sapienza”
[Per maggiori approfondimenti sia consentito rinviare alla nostra nota Fine delle perplessità
sull’azione di adempimento, in Foro amm. TAR, n. 5/2011, pp. 1499 ss.]
L’azione di adempimento, uno degli istituti più controversi in sede di redazione del Codice del
processo amministrativo, trova, con la sentenza del TAR Lombardia 8 giugno 2011, n. 1428,
nuovi spunti in ordine alla sua ammissibilità.
Le vicende relative a questo strumento processuale, avente ad oggetto la condanna della
pubblica amministrazione all’emanazione di un provvedimento, sono note.
Sconosciuto nell’ordinamento italiano, improntato su un paradigma impugnatorio, esso ha
trovato invece cittadinanza nel processo amministrativo tedesco, ove il § 42 della legge
processuale amministrativa prevede espressamente la Verpflichtungsklage, cioè “la condanna
all’emanazione di un atto amministrativo rifiutato o omesso”.
Al momento della codificazione, tale azione era stata oggetto di apposita previsione nel testo
provvisorio approvato dalla Commissione del Consiglio di Stato. Tuttavia, il Consiglio dei
Ministri ha preferito espungere la disposizione dal testo definitivo, preoccupato di non meglio
precisati “maggiori oneri” che sarebbero potuti derivare per la finanza pubblica.
Rimane però nel Codice la norma relativa all’azione di condanna, la quale può avere ad
oggetto anche l’adozione delle misure idonee a tutelare la situazione giuridica soggettiva
dedotta in giudizio (artt. 30, comma 1, e 34, lett. c), c.p.a.). Su questa base la dottrina ha
ritenuto di poter ricavare in via interpretativa l’ammissibilità dell’azione di adempimento,
atteso che l’adozione del provvedimento costituirebbe appunto la misura idonea a tutelare la
situazione di carattere pretensivo del privato.
Tale impostazione era stata già accolta, in un importante obiter dictum, dall’Adunanza
Plenaria del Consiglio di Stato, 23 marzo 2011, n. 3.
La sentenza del TAR Lombardia, tuttavia, fa un notevole passo in avanti. Non solo, infatti,
l’ammissibilità dell’azione di adempimento viene sancita in via principale, ma – ciò che più
rileva – viene accolta nel merito l’istanza del privato.
Nel caso di specie si trattava di un agente di polizia che chiedeva il trasferimento ad altra sede
per motivi familiari. Il TAR, annullando il diniego illegittimo, afferma che il potere
discrezionale della pubblica amministrazione di disporre o meno il trasferimento si sarebbe
‘esaurito’ nel caso concreto, in relazione alla risultanze dell’istruttoria procedimentale e
soprattutto ai documenti forniti dal privato all’Amministrazione. Condanna dunque
quest’ultima a trasferire il ricorrente nella sede richiesta.
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Importante il principio che si ricava da detta pronuncia: la possibilità del g.a. di conoscere
della fondatezza dell’istanza non è limitata, secondo i giudici lombardi, all’azione
amministrativa vincolata – come invece tendeva per lo più a ritenere la giurisprudenza
prevalente in tema di ricorso avverso il silenzio. Anche laddove si sia di fronte ad una
fattispecie discrezionale, sarà comunque possibile per il giudice condannare la P.A.
all’adozione dell’atto richiesto laddove risultino esauriti, in ragione degli accertamenti di fatto
o delle risultanze del procedimento, i margini per una scelta di merito da parte
dell’Amministrazione: si recepisce così la teoria tedesca dell’Ermessensreduzierung auf Null,
cioè l’azzeramento della discrezionalità per assenza di alternative nel caso concreto (su cui già
TAR Trento, 16 dicembre 2009, n. 305).
Rimane tuttavia l’incognita di chi debba dimostrare la spettanza del provvedimento. La
pronuncia sul punto non è eccessivamente prolissa, limitandosi ad affermare che deve essere
il ricorrente ad allegare in giudizio gli elementi di fatto atti a dimostrare la fondatezza della
pretesa. Tuttavia, le peculiarità di un giudizio volto a valutare in positivo le modalità di
esercizio del potere dovrebbero consigliare un maggior ricorso da parte del giudice ai suoi
poteri ‘inquisitori’, di cui all’art. 64, comma 3, c.p.a.
Altra questione di particolare importanza riguarda la possibilità di ritenere ‘esaurita’ la
discrezionalità a fronte della risposta dell’Amministrazione ad un ordinanza cautelare – come
accade nel caso trattato dal TAR Lombardia – e non ad una sentenza di primo grado. Ci si
potrebbe chiedere, in altri termini, se gli effetti della sentenza possano essere paragonati a
quelli di un provvedimento cautelare, per sua natura interinale e provvisorio.
Invero a noi sembra che tale problematica debba essere affrontata sotto un diverso profilo.
In particolare, si deve notare come nel caso trattato dalla sentenza sopra richiamata si era di
fronte ad un remand o ordinanza propulsiva, un provvedimento, cioè, che ha lo scopo di
ordinare all’Amministrazione di valutare particolari profili che potrebbero portare ad un
ripensamento sul diniego – così instaurando di fatto una sorta di ‘dialogo’ tra
Amministrazione e giurisdizione.
Siamo quindi distanti dal tradizionale strumento cautelare, caratterizzato dai tradizionali
profili della strumentalità, della interinalità e della provvisorietà. I remand infatti, perlomeno
nei casi come quello sopra descritto, servono piuttosto a provocare una riconsiderazione della
fattispecie da parte della P.A.; a causare, in altre parole, una emersione dei fatti che non erano
stati oggetto di analisi (o comunque non erano stati opportunamente tenuti presenti)
dall’autorità amministrativa.
Sotto questo punto di vista, essi si avvicinano di più a strumenti di tipo istruttorio, idonei a
permettere al giudice una piena valutazione delle modalità di esercizio del potere.
Così chiarita la natura dell’ordinanza propulsiva – e tenuta in disparte la diversa questione se
una siffatta snaturalizzazione della tutela cautelare possa o meno considerarsi ammissibile –
non sembra potersi revocare in dubbio la possibilità che il giudice amministrativo debba
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ricavare l’esaurimento degli spazi di discrezionalità anche dalla valutazione dell’esercizio
dell’azione amministrativa successivo all’emanazione di un remand.
Sul punto del resto la giurisprudenza era pacifica nel ritenere che dall’ordinanza propulsiva
derivassero effetti conformativi (ex multis Cons. St, sez. V, 19 febbraio 2007, n. 833). La
sentenza in esame, pertanto, non fa altro che adattare questa impostazione al nuovo
strumento di condanna all’adempimento.
Luglio 2011
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