Ricorda, Canta e Cammina Autunno

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Ricorda, Canta e Cammina Autunno
Ricorda, Canta e Cammina
Autunno
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Lunedì 29 settembre - S.S. Michele, Raffaele, Gabriele
Sabato 4 ottobre - San Francesco
Martedì 7 ottobre - B.V.M. del Rosario
Sabato 1 novembre - Tutti i Santi
Domenica 23 novembre - Cristo Re
Lunedì 8 dicembre—Immacolata Concezione
Sabato 13 dicembre—S. Lucia
Margherita, con la tua tenacia
che sempre ha caratterizzato la
tua personalità, sei arrivata ai
100 ANNI! (compiuti il 3 luglio)
Mario , anche se sei rimasto
poco (eri venuto in luglio del
2013), hai dato modo di esprimere tutta la tua giovialità
che ha caratterizzato la tua
permanenza insieme a noi.
Grazie!
Dutto Mario
Grazie per i preziosi consigli che
hai voluto condividere con gli
altri ospiti ed anche agli operatori!
Giordanengo Margherita
Fretti Olga
Mento Emilio
Durbano Spirito
Casasso Celestina
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Tempo d’autunno
Tempo d’autunno. Capodanno celtico. Si celebra morte e resurrezione
della natura, e per chi crede, dell’anima. Colori, sapori, umori, ricordano
che è il momento di fermarsi, di riflettere, di tirare somme. Autunno
come recupero di una dimensione interiore, riflessione, meditazione. L’estate rappresenta l’incontro con l’Altro,
la gioia, l’espansione massima dell’essere. Tuttavia occorre anche sapersi
ritirare in sé, l’Autunno ci richiama a noi stessi. L’intimità, prima che con
l’altro, va coltivata con se stessi. Quanto ti ascolti? Quanto ti dai ciò di
cui hai bisogno, senza aspettartelo dall’Altro? Pretenderlo? Quanto sei amico, intimo, con te stesso? Quanta accettazione incondizionata del tuo buio
interiore? Sai farti buona compagnia? Riesci a passare del tempo piacevole
con te? Più coltivi il tuo spazio interiore, più riuscirai a uscire da un modo
di relazionarti malsano, dipendente.
Autunno ci ricorda anche di saperci fermare, di stare soli con noi
stessi…. Si può imparare.
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“Palestra di Vita”
Speciale Ferragosto (martedì 12 agosto)
Dopo un’estate particolarmente piovosa e non
così calda…..finalmente un po’ di bel tempo è
arrivato... E allora, perché non
approfittarne? Oggi la “Palestra” si fa fuori,
all’aperto, vicino alla nuova “fattoria” con le nostre amiche, capre e galline! Difatti, appena iniziato l’incontro anche le caprette si sono unite a
noi nel canto (beee).
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Presenti a questo evento, oltre ai bravi conduttori Silvia
e Maurizio, anche Silvio, Paola e i cuochi, Bruno e Daniele che arrivano in bici!!!!
Silvio ci illustra il nuovo
progetto dei “giardini sensoriali” che già è stato iniziato con la posa della fontana in legno, scolpita
con tanta cura dagli amici dell’Associazione “I Poeta
del bosch”. Grazie di cuore a
Roberto, Gianni,Gigi e Giò’.
Silvia ha raccolto due belle teste di insalata del nostro orto
e le abbiamo consegnate ai cuochi….evviva!!!! Oggi mangiamo
“roba nostra!”
Paola, poi, interviene parlandoci degli acciugai che
arrivavano dalla Valle Macra….ma di questo trovate,
di seguito, un articolo più dettagliato e molto interessante!
E poi avanti con la “Palestra”: Canti, aneddoti, proverbi e, perché no….per ridere un po’, che fa sempre bene, qualche barzelletta ci tira su il morale! E allora? La settimana prossima
ci troviamo di nuovo qui? E perché no???
Speriamo che non piova!!!!!!!!!!!!
Gli allegri partecipanti
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LA STORIA DEGLI ACCIUGAI
Ci fu un tempo, ormai ignoto ai più e da molti dimenticato, in cui gli abitanti delle valli alpine, nella brutta stagione, erano costretti ad abbandonare la loro casa per andare
a cercare una fonte di guadagno altrove.
Era un’emigrazione che sovente non puntava ad aumentare le ricchezze della famiglia, ma semplicemente a non gravare sul consumo delle magre
risorse disponibili. Si partiva ancora bambini e ognuno s’ingegnava a trovare un lavoro, magari un mestiere peculiare; alcuni si affidavano alla forza fisica, altri all’ingegno e all’intraprendenza.
Gli acciugai (anchoier s in occitano, anciuè in piemontese,) della Valle
Maira …, a fine estate, ter minati i lavor i nei campi, scendevano al piano per vendere acciughe e pesce conservato. La merce da vendere la compravano in Liguria: non lavoravano il pesce, lo vendevano soltanto, girovagando in tutto il Piemonte, in Lombardia e persino in Veneto ed Emilia…
I più ritengono che tutto abbia avuto origine dal commercio del sale.
Da quel che si sa dai racconti dei vecchi, di solito partiva prima un capofamiglia, uno già
esperto, che andava nei porti della Liguria a comprare la merce per poi portarla o spedirla in
qualche città della pianura padana. Gli altri della famiglia, parenti o amici fidati, lo raggiungevano in quello che diveniva il loro campo base, punto di smistamento. Portavano con loro
i caratteristici carretti, “i caruss”, leggeri ma resistenti, costruiti tutti in valle, a Tetti di Dronero, per lo più colorati d’azzurro.
Durante i mesi invernali, in attesa di tornare al lavoro dei campi, giravano di quartiere in quartiere, di paese in paese, di cascina in cascina,
per strade inghiaiate o innevate, nelle piatte campagne o nelle valli alpine, sempre tirando o spingendo il loro caruss carico di pesce salato,
alla ricerca di qualche acquirente. Molti cominciavano da ragazzi, già
verso i dodici anni: si cercava così di non essere di peso per la famiglia, ma non sempre per tutti il guadagno finiva col coprire le spese.
Per alcuni fu l’inizio di una fortuna: più intraprendenti, scaltri o fortunati, ebbero modo di
dar vita a dei veri imperi economici con numerosi dipendenti e aziende tutte loro di lavorazione del pesce, addirittura in Spagna.
Nel secondo dopoguerra, la maggior parte abbandonò definitivamente il paese d’origine, e
scese in pianura per dedicarsi esclusivamente al commercio. Non più il carretto, ma mezzi a
motore, via via più comodi e attrezzati. Ancora oggi è possibile trovare qualche acciugaio
originario della Valle Maira tra i banchi del mercato, ma sono sempre meno. Era ed è un lavoro duro, così pochi figli hanno continuato il mestiere dei padri: grazie al benessere economico raggiunto hanno preferito dedicarsi a impieghi che prevedono la
cravatta. Molti di quelli che non hanno abbandonato la via percorsa da
generazioni sono ora titolari di supermercati o luccicanti negozi...
Un umile pesce, una valle alpina, tanti uomini tenaci: una storia
che non deve essere dimenticata.
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La Cappella della Maddalena
(argomento trattato a “Palestra di Vita” il giorno 8 luglio)
La Cappella dedicata a S. Maria Maddalena è probabilmente la chiesa più antica di Bernezzo e la più ricca di
storia (è "sopravvissuta" a ben due ondate di barbari).
Sorge su uno sperone roccioso nel verde della vegetazione e domina dall'alto tutta la pianura e il paese di Bernezzo.
La primitiva Chiesa venne distrutta dai Saraceni, durante una delle calate di "barbari", tra le
più feroci, che devastarono anche i piccoli centri come il nostro.
Nel XI secolo venne ricostruita una Chiesetta in stile romanico; anche di questa chiesa rimane
ben poco (sostanzialmente solo l'abside).
Lungo il lato sud essa fu sventrata e allungata fino ad assumere la forma attuale e furono realizzate la volta barocca in cotto, le finestre ovali
ecc.
Nei primi del 1800 si costruì la casetta, a fianco della chiesa, per l’eremita. Nel secolo scorso sorse ancora un'importante costruzione a fianco della Chiesa, un nuovo campanile alto 14 metri, costruito con la collaborazione degli abitanti di Bernezzo non solo con le offerte, ma soprattutto per il trasporto di sabbia, mattoni e altri materiali necessari.
Nel catino interno della piccola abside di appena 4 m di diametro si
conserva il più antico affresco che si può osservare a Bernezzo che vanta la venerabile età di circa 1000 anni. "Sono effigiati tutt'attorno alla
parete semicircolare, ritti e con i loro simboli i dodici apostoli nelle linee rigide e severe dello
stile bizantino.
L’eremita che viveva presso la chiesa accoglieva le persone che passavano (la Maddalena era
infatti luogo di rifugio per i pellegrini che transitavano, in collegamento con San Michele della
Chiusa), ed era sempre pronto ad avvisare gli abitanti del paese, appena si alzavano nubi minacciose col pericolo di grandine col suono della campana (per riuscire a suonare anche in caso di malattia, si era costruito un piccolo campanile all’interno della casa).
Alcuni presenti ricordano con piacere la figura dell’ultima eremita vissuta presso la chiesa della Maddalena; si chiamava Lina (per la gente “Lina “dla Madalena”) che viveva lassù e si recava solo in paese a chiedere la carità ogni 15/20 giorni, continuando quel sevizio fino alla sua
morte, avvenuta verso gli anni ‘60.
La cappella della Maddalena è ora simbolo per tutto il comune di Bernezzo e, dal Giubileo dell’anno 2.000, ogni anno, la domenica prima della festa, le tre comunità parrocchiali si incontrano per festeggiare, con una Santa Messa, preceduta dalla processione che parte
da Bernezzo, e continuare poi con
il pranzo conviviale aperto a tutti i
partecipanti.
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L’ESTATE DI SAN MARTINO
Era l'11 novembre: il cielo era coperto, piovigginava e tirava un ventaccio che penetrava
nelle ossa; per questo il cavaliere era avvolto
nel suo ampio mantello di guerriero. Ma ecco
che lungo la strada c'è un povero vecchio coperto soltanto di pochi stracci, spinto dal vento, barcollante e tremante per il
freddo. Martino lo guarda e sente una stretta al cuore. "Poveretto, - pensa - morirà per il gelo!" E pensa come fare per dargli un po' di sollievo. Basterebbe una
coperta, ma non ne ha. Sarebbe sufficiente del denaro, con il quale il povero potrebbe comprarsi una coperta o un vestito; ma per caso il cavaliere non ha con
sé nemmeno uno spicciolo. E allora cosa fare? Ha quel pesante mantello che lo
copre tutto.
Gli viene un'idea e, poiché gli appare buona, non
ci pensa due volte. Si toglie il mantello, lo taglia
in due con la spada e ne dà una metà al poveretto. "Dio ve ne renda merito!", balbetta il mendicante, e sparisce. San Martino, contento di avere fatto la carità, sprona il cavallo e se ne va sotto
la pioggia, che comincia a cadere più forte che
mai, mentre un ventaccio rabbioso pare che voglia portargli via anche la parte di
mantello che lo ricopre a malapena. Ma fatti pochi passi ecco che smette di piovere, il vento si calma. Di lì a poco le nubi si diradano e se ne vanno. Il cielo diventa sereno, l'aria si fa mite. Il sole comincia a riscaldare la terra obbligando il
cavaliere a levarsi anche il mezzo mantello.
Ecco l'estate di San Martino, che si rinnova ogni anno
per festeggiare un bell'atto di carità ed anche per ricordarci che la carità verso i poveri è il dono più gradito a Dio. Ma la storia di San Martino non finisce qui.
Durante la notte, infatti, Martino sognò Gesù che lo
ringraziava mostrandogli la metà del mantello, quasi
per fargli capire che il mendicante incontrato era proprio lui in persona.
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Melanzane, tutti i benefici del colore viola
Frutta e verdura sono veri e propri concentrati di salute.
Non a caso gli esperti consigliano di mangiarne in totale
almeno 5 porzioni al giorno, variando il più possibile la
scelta e basandola su una caratteristica facile da analizzare: il colore. Quest'ultimo dipende infatti dalle stesse molecole che forniscono a frutta e verdura le loro proprietà salutari. Un
esempio? La buccia viola delle melanzane, il cui colore dipende dalla presenza di quantità elevate di antociani, molecole che esercitano un'azione
antiossidante che protegge le cellule dai danni dei radicali liberi. I benefici del consumo di melanzane non finiscono però qui.
Nella buccia di questi prodotti dell'orto si trovano anche fibre che aiutano
a tenere sotto controllo il peso (o addirittura a perdere i chili di troppo)
aumentando il senso di sazietà e riducendo l'appetito. Non solo, le fibre,
così come il potassio, la vitamina C, la vitamina B6 e i flavonoidi presenti
nelle melanzane proteggono la salute del cuore.
A questi benefici va aggiunta l'attività antitumorale esercitata sia dall'acido clorogenico che dalle antocianine. Fra queste la nasunina, particolarmente concentrata nella buccia delle melanzane, protegge anche la salute
delle cellule nervose contrastando i danni causati dai radicali liberi alle
loro membrane. Più in generale, le antocianine facilitano il flusso del sangue nel cervello e contrastando l'infiammazione a livello cerebrale, proteggendo così memoria e capacità cognitive.
Ai vantaggi di una dieta ricca di melanzane si contrappongono poche controindicazioni. A fare attenzione alla loro quantità deve essere solo chi soffre di
carenze di ferro e chi invece è predisposto ai calcoli ai reni. La nasunina, infatti, può sottrarre ferro alle cellule, mentre gli ossalati presenti in
questi ortaggi possono contribuire alla formazione dei calcoli. Per tutti gli
altri, largo alle melanzane nell'alimentazione quotidiana.
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La parola ai nostri cuochi:
Ricette con le melanzane
Melanzane alla provenzale
Ingredienti (per 4 persone):
2 melanzane medie - 500 g di pomodori - 2 costole di sedano
100 g di olive nere snocciolate - un cucchiaio di capperi sotto sale
un cucchiaio di aceto - 4 cucchiai di olio - un pizzico di zucchero
sale - pepe
Preparazione:
Tagliate le melanzane a fette dello spessore di un cm e cospargetele di sale grosso. Scottate i pomodori in acqua bollente, scolateli, spellateli e tritateli. Tagliate a rondelle le olive.
Mondate il sedano, lavatelo, eliminate i filamenti e le parti più dure e tagliatelo a fettine.
Lavate le melanzane sotto l'acqua, asciugatele e tagliatele a dadi. Scaldate 2 cucchiai di
olio in un tegame, unitevi le melanzane, fate dorare per 5 minuti, poi scolatele.
Versate nel tegame 2 cucchiai di olio, unite i pomodori e il sedano, fate cuocere per
3 minuti a fuoco vivo, unite le olive, i capperi dissalati; insaporite con una presa di sale,
lo zucchero e una macinata di pepe. Spruzzate di aceto e lasciate evaporare.
Continuate la cottura, coperto, per 10 minuti. Aggiungete le melanzane, regolate di sale
e cuocete ancora per 10 minuti, mescolando. Servite caldo o tiepido.
Rotoli di melanzane
1. Ingredienti (per 4 persone):
4 melanzane piccole - 4 cucchiai di pangrattato - 4 cucchiai di parmigiano grattugiato
Mozzarella - 3 cucchiai di sugo di pomodoro - olio extravergine d'oliva - sale
ciuffetto di basilico
Preparazione:
Dopo aver mondato le melanzane, tagliatele a fette e friggetele nell'olio da frittura. A parte
amalgamate il pangrattato, il parmigiano grattugiato e una manciata di basilico tritato;
spruzzate di sale e aggiungete l'olio necessario a ottenere un impasto alquanto sodo.
Mettete su ogni fetta di melanzana poco di questo impasto, poi una strisciolina di Mozzarella e arrotolate a formare degli involtini. In una pirofila mettete il sugo di pomodoro, adagiatevi gli involtini, coprite con poco sugo e infornate a 180° per una ventina di minuti.
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Progetto di domiciliarità “Veniamo a Trovarvi”
Notizie dal territorio
Intervista a Neta
(a cura di Patrizia e Silvio)
Prima di sposarmi abitavo a Tet Chapel, una borgata sopra la Vallera, mio marito invece era di Bernezzo. Ci siamo conosciuti in tempo di guerra, lui era partigiano; la mia famiglia cercava di dar loro
una mano, io ho fatto anche la staffetta partigiana, portavo loro le
lettere, rischiando ogni volta la pelle.….Così ci siamo conosciuti...
Proprio dovuto all’aiuto che si dava ai partigiani ho rischiato più volte di farmi ammazzare;
una volta appena uscita di casa due persone mi
aspettavano e mi hanno invitata ad andare con loro
dicendomi che mi portavano in municipio. Volevano
saper se era vero che facevo la staffetta ai partigiani,
probabilmente una persona che noi credevamo di fiducia aveva fatto la spia.
Più volte abbiamo dato ospitalità notturna a partigiani
e li facevamo dormire nel fienile, mio padre era preoccupato : “un giorno o l’altro ci bruciano tutto! O ci uccidono” , diceva.
Un giorno arriva un ufficiale fascista e mi dice: “Ci risulta che voi date ospitalità a partigiani.” Io rispondo prontamente: “ Se viene gente di notte e dorme nel portico, noi da qui
non sentiamo e non vediamo nulla.” A questa risposta mi ha minacciata di ucciderrmi, allora io risposi: “uccidetemi pure, tanto morire una volta o morire un’altra è lo stesso….”
ribatté l’ufficiale: “ma lei è proprio coraggiosa” , ed io: “Se in questi tempi uno non è coraggioso, muore di paura.” Così mi lasciò andare...
Mi ricordo che una volta, vicino alla Croce di Monte Tamone, ci è caduta una bomba a poca distanza; per fortuna siamo rimasti illesi tutti...si
vede che non era la nostra ora!
Con tutto quello che ho fatto e passato, avanti e indietro per le strade, proprio per dare una mano e come
“staffetta”, devo dire che mai nessuno mi ha fatto del
male.
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Mi sono sposata all’età di 19 anni (nel 1942), mio marito
ne aveva 23. Ci siamo sposati quasi di nascosto, a Caraglio alle 7 del mattino senza dirlo ai genitori perché erano contrari (in particolare mio padre), al nostro matrimonio. Dopo la Messa siamo partiti per il nostro viaggio di nozze! , meta: Mondovì in Tranvai, con ritorno la sera stessa.
Tornati a casa comunicai prima a mia madre del nostro matrimonio, la
quale , subito mi fece un “cicchetto”, ma poi comprese che ci amavamo sul serio (d’altra parte anche lei, a suo tempo era successa una cosa simile!) e tutto andò a posto.….e la sera abbiamo festeggiato da mia suocera che ci aveva preparato un buon piatto di raviole.
La nostra vita coniugale ebbe inizio così….con tanti, tanti sacrifici.
Io ho lavorato per parecchi anni a Cuneo (mi spostavo prima
con la bici, in seguito il marito mi acquistò un motorino), al ristorante “Tre Citroni”, locale molto conosciuto a quei tempi; lì
ho conosciuto persone famose quali, Giolitti, Galimberti e
Giorgio Bocca. Giorgio Bocca, autore di numerosi libri sulla resistenza è venuto parecchie
volte a trovarmi anche a casa.
Nel dopoguerra, causa mancanza di lavoro, io e mio marito ci trasferimmo nel sud della Francia, ai confini della Spagna, sui Pirenei. Mio marito
lavorava in una impresa di legnami, io ero in gravidanza del primo figlio,
nonostante ciò aiutavo mio marito nei boschi. Nei primi due anni
c’era carenza di cibo (veniva distribuito saltuariamente con la tessera) e mi ricordo che in quel periodo il nostro pasto quotidiano era polenta e girasoli. Nel 1947 nacque Attilio e l’anno dopo Liliana. Mia
suocera ci raggiunse in Francia per darci una mano ad allevare i figli. Siamo rimasti là per una decina d’anni, poi siamo
ritornati a Bernezzo e mio marito ha trovato lavoro presso
un’azienda di legnami di Dronero e successivamente ha fatto
l’autista per un’impresa edile. Nel 1952 è nato Evasio.
Purtroppo Attilio ed Evasio sono già deceduti; è triste per
una madre veder morire i propri figli!
Ora sono qui, ho la fortuna di vivere in casa mia, attorniata
dall’amore di mia figlia, del genero e dei nipoti; in particolare
mio nipote Gianluca ha deciso di stabilirsi con me e mi accudisce con tanta dolcezza.
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Mento Emilio: il primo gelataio artigianale di Borgo S. Dalmazzo
Intervista a cura di Enrico Salvagno e Marco Giraudo
Mi chiamo Emilio Mento e sono nato a Pamparato l’11 agosto 1923. Ho tre figli, e sono purtroppo rimasto vedovo, dopo tanti anni di matrimonio, alla fine dello scorso anno. Ho trascorso la mia infanzia a Pamparato, e durante la seconda guerra mondiale sono poi stato internato in un campo di concentramento in Germania, dove ho trascorso alcuni mesi terribili,
prima di essere liberato dai russi. Nel dopoguerra mi sono sposato e mi sono trasferito a
Borgo San Dalmazzo, dove ho intrapreso, con l’aiuto di mio cognato che già si occupava di
gelati, l’attività di gelataio, e vado fiero di essere stato il titolare della prima gelateria di quel
paese, in via Marconi, luogo dove ho vissuto gran parte della mia vita. Avevamo, mia moglie e io, un laboratorio, dove preparavamo i gelati, alcuni dei quali, come il limone e la nocciola, con la frutta fresca, mentre per altri si adoperavano alcuni preparati sotto forma di
succhi e sciroppi. Gli altri ingredienti necessari erano il latte e l’acqua. Durante i ‘festin’ giravo per i paesi del circondario con un carretto a pedale, e successivamente, con una motoretta Ape, e quando mi vedevano
passare i bambini richiamavano la mamma a gran voce per farsi acquistare un bel gelato. Vaniglia e cioccolato erano i gusti
più richiesti, e i gelati venivano serviti in coni e cialde. Mia moglie preparava persino i pinguini, tanto eravamo moderni! Se si
trattava di una festa importante, arrivavamo a preparare persino dieci chili di gelato per volta. Ricordo che i primi nostri gelati costavano una lira…
Acquistavamo il ghiaccio,
che aveva le dimensioni
all’incirca di una balla di
fieno, lo sminuzzavamo, e
lo inserivamo in una ghiacciaia di rame posta sul carretto, aggiungendo tra i listoni ghiacciati del sale al fine
di rallentarne lo scioglimento.
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La preparazione della ghiacciaia richiedeva anche tre-quattro
ore di tempo, mentre avevamo non più di due ore a disposizione per vendere i gelati prima che il ghiaccio si sciogliesse
completamente. I gelati, preparati al mattino nel laboratorio
da me e mia moglie, venivano conservati in vaschette di acciaio. Era davvero un piacere osservare i bimbi mentre attendevano con ansia che raccogliessi i vari gusti di gelato con la
paletta e preparassi loro i coni!
Enrico e Marco
Maura e Enrico
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Ma che cos’è un proverbio?
Argomento trattato a Palestra di Vita
Il proverbio (dal latino proverbium) è una massima che contiene norme,
giudizi, dettami o consigli espressi in maniera sintetica, molto spesso in
metafora e in rima, e che sono stati desunti dall'esperienza comune. Essi
generalmente riportano una verità (o quello che la gente ritiene sia vero):
si dice infatti che i proverbi sono frutto della saggezza popolare o della cosiddetta "filosofia popolare" o spontanea[1], ma v'è chi sostiene che altro
non siano che la versione codificata di luoghi comuni o del senso comune.
Possono contenere similitudini. Metafore o similitudini sono tratte da usi, costumi, leggende del popolo
nella cui lingua è nato il proverbio. Ma molti proverbi sono comuni a più lingue diverse.
In genere si raccolgono e si studiano in quanto patrimonio culturale, testimonianza di epoche passate,
sopravvivenza di esperienze un tempo importanti, e per non dimenticare tutto questo ve ne proponiamo
alcuni:
A boce ferme a s' avrà chi guadagna
A bocce ferme si saprà chi vince
Come nel gioco delle bocce, molto praticato in Piemonte, è necessario
attendere che ogni giocatore abbia completato i suoi tiri per valutare il
punteggio, così spesso nella vita è meglio attendere che tutto sia fermo per valutare chi trarrà guadagno da una data situazione.
A l’è cariasse ‘d bòsch verd
Si è caricato di legna verde
Vista la scarsa utilità per far fuoco di una legna che non sia ben secca, si usa quest’espressione per indicare qualcuno che si prenda carico di persone che non gli sono che d’impaccio.
A l’han mandalo a spané ‘d melia
Lo hanno mandato a sgranare la meliga
Visto che si trattava di un lavoro piuttosto noioso, mandare qualcuno a farlo significava in realtà mandare a quel paese!
A l’è mej ‘n aso vivo che ‘n dotor mòrt
Meglio un asino vivo che un dottore morto
Proverbio notissimo in tutti i dialetti, assai usato per giustificare la scarsa attitudine ( o voglia) per gli studi.
A l’è mej frusté de scarpe che d’linseuj
Meglio consumare scarpe che lenzuola
Efficace immagine per ribadire l’importanza di essere in buona salute, “ fòra da let”come si dice in terra
subalpina.
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Come fare per sconfiggere la sedentarietà? Dagli esperti ecco una regola
per evitare i disturbi che possono interessare chi trascorre molto tempo
seduto. Il consiglio è stato pensato per gli anziani, ma di certo lo possiamo ritenere valido per tutti: contro la sedentarietà è bene alzarsi dalla sedia per 10 minuti ogni ora e camminare.
E' quanto emerge da una serie di studi recenti raccolti nel libro di un
esperto nella lotta alla sedentarietà. "Alzati: perché la tua sedia ti sta uccidendo e cosa puoi fare". Questo il titolo del libro, a dir poco inequivocabile. La malattia dello
stare seduti è stata cor relata a 34 patologie diverse, dal declino cognitivo al diabete di tipo 2,
dal cancro all'ictus fino alle cardiopatie.
Chi trascorre meno tempo seduto vive più a lungo.
Resta valido il suggerimento di fare almeno 30 minuti di attività fisica al
giorno, ma ciò non può contr astare gli effetti negativi dello stare sempre seduti. Dunque secondo l'endocrinologo bisogna alzarsi dalla sedia
almeno 10 minuti ogni ora e muoversi.
Il consiglio è valido soprattutto per gli adulti sedentari
e per i pensionati che vogliano vivere ancora a lungo e
pieni di energia dopo una vita di lavoro. L'esperto consiglia anche di fare spesso delle brevi camminate, ad
esempio semplicemente in giardino.
Altri suggerimenti utili sono: piegare la biancheria
stando in piedi, pedalare sulla cyclette guardando la tv, passeggiare per la
casa mentre si parla al telefono, portare a passeggio il cane, salire le scale, ballare. Si tratta di un 'insieme di buone abitudini molto semplici da
mettere in pratica per vincere la sedentarietà. Ricordate che muoversi di più e fare
una camminata di almeno 30 minuti al
giorno secondo gli studi più recenti aiuta
a prevenire il diabete e l'obesità, migliorare le difese immunitarie, aumentare la produttività e non solo...
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INSIEME ALLEGRAMENTE
Gite, escursioni ed eventi del periodo estivo.
Nonostante un’estate un po’ piovosa e poco calda, non ha ostacolato le nostre uscite e i vari
eventi programmati.
Mercoledì 2 luglio: Gioco dell’Oca a San Pietro di Monterosso
Giovedì 10 luglio: Visita al museo dei fossili a San Rocco
I fossili esposti nelle vetrine fanno parte di una raccolta privata e sono il risultato di 35 anni di ricerche,
di preparazione e di studio.
L'esposizione comprende quasi 500 esemplari e spaziano dai vegetali agli animali di diverse specie, vertebrati e invertebrati.
Martedì 22 luglio:
Case di riposo
senza frontiere a
Valdieri
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Lunedì 28 luglio:
festa campestre a San Giacomo
Mercoledì 27 agosto:
Festa ‘nsema a Bernezzo
Giovedì
11 settembre:
“da Payo”
il gelataio
a Vallera
Giovedì 18 settembre:
causa maltempo la gita ai
“Cumbalot”
ha portato i
“Cumbalot” a
Casa Don Dalmasso
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C'era una volta una gara ... di ranocchi. L'obiettivo era arrivare in cima a una gran torre. Richiamata dall'insolito
spettacolo, si radunò molta gente per vedere e fare il tifo.
Cominciò la gara, ma in realtà, la gente probabilmente non
credeva possibile che i ranocchi raggiungessero la cima, e
tutto quello che si ascoltava erano frasi del tipo: "Ma che
pena!!! Non ce la faranno mai!" E così alcuni ranocchi, che
percepirono questi commenti, cominciarono a desistere,
sfiduciati, tranne uno, che continuava a cercare di raggiungere la cima. Ma la gente continuava:
"... Che pena!!! Non ce la faranno mai!..."
Sennonché molti ranocchi si diedero per vinti tranne il
solito ranocchio testardo che continuava ad insistere.
Alla fine, tutti desistettero tranne quel ranocchio testardo, che, solo e con grande sforzo, raggiunse alla fine, la cima.
Quindi, com'è naturale che fosse, gli altri vollero sapere come avesse fatto e uno degli altri ranocchi più curiosi si avvicinò per chiedergli
come avesse fatto a concludere quella difficile prova. Non ottenne risposta. E cosi
si scoprì che quel ranocchio vincitore... era sordo!
Morale: non ascoltare le persone con la pessima abitudine di essere negative... derubano le migliori speranze del tuo cuore! Ricorda sempre il potere che hanno le
parole che ascolti o leggi. Per cui, preoccupati di essere sempre POSITIVO!
Riassumendo: Sii sempre sordo quando qualcuno ti
dice che non puoi realizzare i tuoi sogni. E ricorda:
l'ottimismo è la concezione filosofica secondo la quale
il mondo è ordinato positivamente e il bene deve necessariamente prevalere sul male. L’ ottimismo, quello
vero, consiste nella capacità di non farsi abbattere dalle difficoltà ma di vederle come momenti di crescita
personale assumendo così un punto di vista più distaccato che consente di cogliere le diverse opportunità e
di dare il meglio di se.
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VEDIAMO L’ALTRO DAVVERO COME E’?
Una breve storia zen, IL SAGGIO E LE DOMANDE, recita:
C’era una volta un vecchio saggio seduto ai bordi di un’oasi all’entrata di una città
del Medio Oriente.
Un giovane si avvicinò e gli domandò:
“Non sono mai venuto da queste parti. Come sono gli abitanti di questa città?”
L’uomo rispose a sua volta con una domanda:
“Come erano gli abitanti della città da cui venivi?”
“Egoisti e cattivi. Per questo sono stato contento di partire di là”.
“Così sono gli abitanti di questa città!”, gli rispose il vecchio
saggio.
Poco dopo, un altro giovane si avvicinò all’uomo e gli pose la stessa domanda:
“Sono appena arrivato in questo paese. Come sono gli abitanti di questa città?”
L’uomo rispose di nuovo con la stessa domanda:
“Com’erano gli abitanti della città da cui vieni?”.
“Erano buoni, generosi, ospitali, onesti. Avevo tanti amici e ho fatto molta fatica a
lasciarli!”.
“Anche gli abitanti di questa città sono così!”, rispose il vecchio
saggio.
Un mercante che aveva portato i suoi cammelli all’abbeveraggio aveva udito le conversazioni e quando il secondo giovane si
allontanò si rivolse al vecchio in tono di rimprovero:
“Come puoi dare due risposte completamente differenti alla stessa domanda posta
da due persone?
“Figlio mio”, rispose il saggio, “ciascuno porta nel suo cuore ciò che è.
Chi non ha trovato niente di buono in passato, non troverà niente di buono neanche qui.
Al contrario, colui che aveva degli amici leali nell’altra città, troverà anche qui degli amici leali e fedeli.
Perché, vedi, ogni essere umano è portato a vedere negli altri quello che è nel suo
cuore.
Morale:
Nella vita si trova sempre ciò che si aspetta di trovare.. perché ognuno proietta all’esterno ciò che risiede dentro di sé.
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Buon Autunno!!!!!!!!!!!!
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