insegnamento di istituzioni di diritto privato

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insegnamento di istituzioni di diritto privato
INSEGNAMENTO DI
ISTITUZIONI DI DIRITTO PRIVATO I
LEZIONE I
“INTRODUZIONE AL DIRITTO PRIVATO”
PROF.SSA ANNAFLORA SICA
Istituzioni di Diritto Privato I
Lezione I
Indice
1 La norma giuridica e la sanzione ---------------------------------------------------------------------- 3 2 Le fonti delle norme giuridiche ------------------------------------------------------------------------ 5 3 L’efficacia della norma giuridica e l’analogia ------------------------------------------------------ 9 4 Rapporto giuridico e sue vicende -------------------------------------------------------------------- 12 Soggetti del rapporto giuridico ---------------------------------------------------------------------------- 12 5 Le situazioni soggettive attive e passive ------------------------------------------------------------ 14 6 Classificazione dei diritti ------------------------------------------------------------------------------ 21 Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
(L. 22.04.1941/n. 633)
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1 La norma giuridica e la sanzione
Norma giuridica è il comando generale ed astratto rivolto a tutti i consociati con il quale si
impone ad essi una determinata condotta, sotto la minaccia di una determinata reazione (sanzione).
Caratteristiche delle norme giuridiche sono:
1. generalità: in quanto le norme sono rivolte alla comunità nella sua interezza;
2. astrattezza: in quanto la norma non prende mai in considerazione un singolo
caso particolare, ma prevede una situazione generale ed astratta (cd.
fattispecie);
3. obbligatorietà: in quanto l'osservanza della norma è garantita con la forza, e
cioè con la previsione di una particolare reazione contro chi non la osserva
(sanzione).
Dal punto di vista strutturale, la norma giuridica è composta da due elementi:
- precetto, cioè il comando contenuto nella norma o la regola comportamentale da
rispettare;
Bisogna, però, tener presente che vi sono anche delle norme che constano non di un comando
o di una regola, ma di una definizione (es. art. 1470, contratto di compravendita) o di una
elencazione (es. art. 1, disp. gen., indicazione delle fonti);
-
sanzione, cioè la minaccia di una reazione da parte dell'ordinamento giuridico per
l'ipotesi di violazione del precetto.
La sanzione è dunque la reazione che l'ordinamento giuridico minaccia a chi viola le norme.
Sanzioni sono:
1. la pena: che infligge al violatore un male che non è in relazione diretta con la
lesione compiuta;
2. l'esecuzione, in cui rientrano sia l'esecuzione forzata (per es. sui beni del debitore
insolvente) che la nullità dell'atto compiuto in violazione delle norme: con l'esecuzione
si realizza il risultato che si sarebbe ottenuto con l'obbedienza al comando;
3. il risarcimento e la riparazione: rivolte ad ottenere soltanto un equivalente di ciò
che si sarebbe ottenuto con l'obbedienza spontanea della norma.
A) In base al contenuto si distinguono delle norme giuridiche:
1. norme precettive: che contengono un comando rivolto ai destinatari (es.: art. 433);
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vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
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2. norme proibitive: che, invece di un comando, contengono un divieto (es.: art. 1471);
3. norme permissive: che concedono e garantiscono ai soggetti determinate facoltà (es.:
possibilità di proporre appello contro le sentenze di primo grado).
B) In base al tipo di comando contenuto nella norma si distinguono:
1.
norme cogenti (o imperative): sono quelle norme la cui applicazione è
imposta dall'ordinamento, prescindendo dalla volontà dei singoli (es.: norme penali);
2.
norme relative (o derogabili): la cui applicazione può essere evitata dagli
interessati; esse si distinguono, ulteriormente, in dispositive e suppletive.
In particolare: si dicono dispositive quelle che regolano un rapporto, ma consentono alle
parti di disciplinarlo diversamente (cfr. art. 1282); sono invece dette suppletive quelle norme
destinate a supplire all'inerzia dei privati, in quanto intervengono a regolare un rapporto solo io
mancanza della volontà delle parti (cfr. art. 1063).
C) In base alla sanzione si distinguono:
1.
norme perfette: sono quelle munite di sanzione;
2.
norme imperfette: non sono munite di sanzione (es.: art. 315);
3.
norme «minus quam perfectae»: sono quelle norme la cui inosservanza viene
punita con sanzioni non adeguate (es. artt. 89 e 140).
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2 Le fonti delle norme giuridiche
Per fonti delle norme giuridiche si intendono quegli atti o fatti dai quali traggono origine,
appunto, le norme, giuridiche, che valgono a formare il diritto oggettivo.
In particolare, le fonti si distinguono in:
• fonti di produzione: sono costituite da quegli atti o fatti cui l'ordinamento riconosce
l'idoneità a porre in essere norme giuridiche attraverso l'individuazione degli organi
titolari del potere e del procedimento di formazione dell'atto normativo;
• fonti di cognizione: sono costituite da quegli strumenti attraverso i quali le norme
vengono concretamente identificate e rese conoscibili.
L'espressione fonte di cognizione si riferisce, dunque, al momento della conoscenza o della
conoscibilità, non a quello della creazione della norma giuridica, e sta ad indicare i documenti e le
pubblicazioni ufficiali attraverso cui può aversi conoscenza del testo delle norme (es.: Gazzetta
Ufficiale della Repubblica Italiana, Raccolte di atti etc.).
Altra importante distinzione è quella tra:
-
fonti atto: costituite da manifestazioni di volontà normativa espresse da organi dello
Stato-soggetto, o di altri enti a ciò legittimati dalla Costituzione, che trovano, di
norma, la loro formazione in un testo normativo;
-
fonti fatto: consistenti in un comportamento oggettivo cui il nostro ordinamento
riconosce, nella sussistenza di determinate condizioni, l'idoneità a porre in essere
norme rilevanti per l'ordinamento giuridico (es.: la consuetudine).
L'art. 1 delle disposizioni sulla legge in generale sancisce che sono fonti del diritto le leggi, i
regolamenti, le norme corporative e gli usi.
Le fonti del diritto sono, dunque, poste tra di loro in un ordine strettamente gerarchico,
da cui consegue che una fonte subordinata non può mai porsi in contrasto con una
fonte sovraordinata.
Al vertice della gerarchia delle fonti di produzione vi è la Costituzione (entrata in vigore il 1°
gennaio 1948), che è la legge fondamentale dello Stato e rappresenta il principale punto di
riferimento di tutto il sistema normativo.
Le leggi costituzionali sono poste nella scala gerarchica sullo stesso piano della Costituzione,
in quanto vengono emanate dal Parlamento, mediante l'adozione di una procedura più complessa di
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quella prevista per le leggi ordinarie.
Su un gradino inferiore troviamo le leggi ordinarie formali e sostanziali (fonti primarie).
Sono leggi formali quelle leggi approvate dal Parlamento, secondo la procedura ordinaria
espressamente prevista dalla Costituzione.
Sono invece leggi sostanziali (o materiali) le leggi delegate o decreti legislativi e i decreti
legge approvati dal Consiglio dei ministri in seguito ad una legge delega del Parlamento (decreti
legislativi) o adottate in determinate ipotesi straordinarie di urgenza e necessità (decreti legge), purché
convertite in legge dalle Camere.
Per legge si intende qualsiasi atto normativo posto in essere dagli organi competenti
nei modi e nelle forme previste dalla Costituzione. Rientrano in tale ampio concetto: la
Costituzione e le leggi costituzionali, le leggi ordinarie in senso stretto, le leggi delegate e i
decreti legge.
II Parlamento fa le leggi che vengono promulgate dal Presidente della Repubblica e
successivamente pubblicate nella Gazzetta Ufficiale.
Equiparati alla legge sono il decreto legislativo delegato (emanato dal Governo in base ad
una legge-delega ex art. 76 Cost.) ed il decreto legge (emanato dal Governo in casi straordinari
di necessità ed urgenza e convertito poi in legge dalle Camere exart. 77 Cost.).
Il sistema piramidale delle fonti del diritto caratterizzato dalla rigidità della nostra Carta
Costituzionale fa sì che la legge ordinaria, gli atti ad essa equiparati e le leggi regionali non possano
mai porsi in contrasto con la Costituzione.
L’organo preposto a dirimere tali eventuali antinomie è la Corte Costituzionale (giudice delle
leggi).
Sotto la legge e gli atti ad essa equiparati, quali fonti secondarie, vi sono i regolamenti
dell'Esecutivo, che sono atti formalmente amministrativi ma sostanzialmente normativi. Si tratta, infatti,
di norme giuridiche emanate dagli organi del potere esecutivo nei limiti della potestà normativa loro
conferita.
L'attività regolamentare del Governo trova attualmente la sua fonte nell'art. 17 della L. n.
400/1988 che, per la prima volta, ha introdotto una disciplina ampia ed articolata dei vari tipi di
regolamento adottabili dal Governo (regolamenti esecutivi, di attuazioneintegrazione, indipendenti, di
organizzazione, delegati).
Quali fonti di secondo grado i regolamenti non possono porsi in contrasto non solo con la
Costituzione, ma neanche con la legge.
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Competente a giudicare dell'eventuale contrasto è in tal caso qualsiasi giudice, ma solo ai fini
della disapplicazione della norma illegittima, mentre il potere di annullare le norme poste dal
regolamento spetta unicamente al Giudice Amministrativo.
A livello regionale le fonti secondarie sono rappresentate dai regolamenti regionali che, a seguito della recente modifica del Titolo V della Costituzione, hanno oggi la possibilità di essere emanati
dalle regioni non più solamente in ordine alle materie di loro competenza esclusiva, ma anche con
riguardo alle numerose materie a competenza legislativa ripartita o concorrente. Infine, a, livello di enti
locali, ai sensi dei TU. delle leggi sull'ordinamento degli enti locali del 2000, fonti normative di rango
secondario sono gli Statuti ed i Regolamenti, con un vincolo esplicito per i regolamenti di rispetto delle
disposizioni statutarie.
Infine troviamo gli usi o consuetudini, fonti (terziarie) non scritte caratterizzate dalla necessaria
compresenza di due elementi:
-
oggettivo, per cui il comportamento deve essere tenuto dalla generalità dei soggetti in modo
costante ed uniforme nel tempo;
-
soggettivo, per cui deve sussistere la convinzione della giuridica doverosità di quel
comportamento (cd. opinio iuris ac necessitatis).
Gli usi possono regolare solo materie non disciplinate dalla legge (cd. consuetudine praeter
legem) e quelle già regolamentate dalla legge nei limiti in cui siano da questa espressamente richiamati (cd. consuetudine secundum legem).
Non è ammesso, invece, l'uso contra legem.
Un riferimento agli usi quali fonti del diritto si ritrova nell'art. 1374, mentre non costituiscono
fonti normative gli usi negoziali (art. 1340) e quelli intèrpretativi (art. 1368).
Il diritto comunitario è costituito dall'insieme delle norme giuridiche emanate da tali
istituzioni.
In particolare tra le fonti normative comunitarie è possibile individuare:
-
i regolamenti, che hanno portata generale, sono obbligatori in tutti i loro elementi e
sono direttamente applicabili in ciascuno degli Stati membri;
-
le direttive, che vincolano, invece, ciascuno Stato membro cui sono rivolte per
quanto riguarda ilrisultato da raggiungere, lasciando liberi gli organi nazionali di
scegliere la forma e i mezzi con cuiraggiungere il risultato;
-
le decisioni della Corte di giustizia dell'U.E.
Per lo studio del diritto privato, grande importanza, tra le leggi ordinarie, riveste il Codice
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Civile, approvato con Regio decreto 16 marzo 1942, n. 262 ed entrato in vigore il successivo 21 aprile.
Il codice vigente, in particolare, si compone di una parte introduttiva e di sei libri.
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3 L’efficacia della norma giuridica e l’analogia
A) L'efficacia nel tempo
L'efficacia di una norma giuridica è circoscritta sia da limiti di tempo sia da limiti
spaziali.
1) Entrata in vigore ed abrogazione
La norma giuridica entra in vigore, cioè spiega in pieno la sua efficacia erga omnes, dopo:
- la promulgazione da parte del Presidente della Repubblica;
- la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale;
il decorso di un certo periodo di tempo (di regola, 15 giorni) dalla pubblicazione (cd.
vacatio legis).
Trascorso tale periodo, la legge diviene obbligatoria per tutti e nessuno può invocarne
l'ignoranza per sottrarsi ai suoi comandi (ignorantia legis non excusat).
Tuttavia, la vigenza di una norma giuridica non presenta effetti illimitati nel tempo, dovendo necessariamente coordinarsi con la possibilità che, a causa della inesauribilità delle fonti di produzione
previste dal nostro ordinamento, queste dettino nel tempo contenuti diversi, in contrasto con quelli
posti dalle fonti preesistenti.
Tale eventualità di conflitto tra più fonti (dotate della stessa forza giuridici, ma adottate in
tempi diversi) viene risolta attraverso lo strumento giuridico dell'abrogazione della norma precedente
ad opera di quella successiva.
L'abrogazione della norma giuridica, cioè la cessazione della sua efficacia, si realizza per:
- dichiarazione espressa del legislatore;
- dichiarazione tacita del legislatore (per incompatibilità con una nuova disposizione o per
successiva nuova regolamentazione dell'intera materia); - referendum popolare (art. 75 Cost.);
- decisione di illegittimità costituzionale pronunziata dalla Corte Costituzionale; - cause
intrinseche (ad es. la legge è emanata per un certo periodo di tempo).
2) Irretroattività
L’art 11 delle disposizioni preliminari al Codice Civile sancisce il principio
dell’irretroattività delle norme giuridiche «La legge non dispone che per l’avvenire, essa non ha
effetto retroattivo»; la legge, cioè, non estende la sua efficacia a rapporti verificatisi nel tempo
antecedente alla sua emanazione.
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Tale principio, ispirato ad esigenze di certezza del diritto, è, tuttavia, derogabile in via
eccezionale,
ed infatti:
sono retroattive le leggi penali più favorevoli al reo (art. 2 c.p.);
sono retroattive le leggi di interpretazione autentica;
sono retroattive le leggi di ordine pubblico che tutelano i fondamentali interessi dello
Stato;
Il legislatore può ritenere opportuno estendere gli effetti di una legge anche al passato
(es. aumenti di stipendio con decorrenza retrodatata).
Il sopravvenire di una nuova legge determina problemi pratici di notevole importanza
riguardo alle situazioni in via di definizione.
Il legislatore, al fine di risolvere tali problemi e di dirimere eventuali conflitti, detta
delle norme transitorie.
In mancanza di norme transitorie le questioni vengono risolte dalla dottrina e dalla giurisprudenza
prevalenti: in base alla teoria del fatto compiuto in virtù della quale le nuove norme non estendono la
loro efficacia ai fatti compiuti sotto il vigore della legge precedente, benché dei fatti stessi siano pendenti
gli effetti; oppure in base alla teoria del diritto quesito, secondo cui il diritto acquistato non può
essere eliminato da una legge successiva, anche se è possibile che muti la disciplina dei poteri e
delle facoltà che lo caratterizzano e i suoi modi di esercizio.
Il Legislatore, al fine di risolvere i conflitti fra diritto italiano e straniero ed identificare la
legge applicabile, ha dettato le cd. norme di diritto internazionale privato.
Tali norme, quindi, sono norme interne dello Stato, volte a stabilire quale legge vada
applicata nel caso in cui un rapporto giuridico presenti elementi di estraneità rispetto all'ordinamento giuridico (es.: se un rapporto è posto in essere da stranieri in Italia o concluso all'estero da
italiani): per l'analisi concreta di tali norme si veda la legge 31-5-1995, n. 218 (Riforma del sistema
italiano di diritto internazionale privato).
Spesso il giudice si trova di fronte a casi pratici (cd. fattispecie concrete) che nessuna
norma positiva direttamente prevede e disciplina (si parla in queste ipotesi di lacune
dell'ordinamento).
Il giudice, non potendo creare egli stesso la «regola di diritto» idonea a colmare il vuoto
normativo, né potendo rifiutarsi di risolvere il caso pratico portato alla sua attenzione, può
sopperire alle deficienze legislative applicando la disciplina giuridica dettata per un caso simile o
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per una materia analoga (analogia legis).
Il ricorso all'analogia, oltre a costituire espressione del principio di uguaglianza di trattamento
(ubi eadem legis ratio, ibi eadem legis dispositio), rappresenta altresì un postulato che discende dalla
accertata completezza dell'ordinamento giuridico, per cui qualsiasi caso può essere risolto sulla base
delle regole contemplate da tale ordinamento.
II ricorso all'analogia è ammissibile solo se poggia sui seguenti presupposti:
-
il caso in questione non deve essere previsto da alcuna norma;
-
devono esservi significative somiglianze tra la fattispecie prevista dalla legge e
quella non prevista;
-
il rapporto di somiglianza deve riguardare gli elementi della fattispecie prevista che
hanno costituito la giustificazione stessa della disciplina data dal legislatore.
Il ricorso all'analogia non è ammesso (art: 14 preleggi):
1. rispetto alle leggi penali sfavorevoli al reo (cd. in malam partem), in forza del
principio di legalità (nullum crimen, nulla poena sine lege), per cui non si può
essere incriminati per un fatto che, al momento in cui è stato commesso, non
può considerarsi reato in base alla legge;
2. rispetto alle leggi eccezionali, in quanto il tenore eccezionale delle stesse ne
sconsiglia l'applicazione in altre, diverse circostanze.
Non sempre, però, sono rinvenibili norme dettate per fattispecie analoghe ed occorre allora
individuare un criterio che consenta di superare qualsiasi lacuna.
Tale criterio è indicato dalla stessa logica del procedimento analogico che, analizzando i
vari nessi di identità esistenti tra i vari casi e le singole regole che li disciplinano, perviene ad
individuare principi sempre più vasti che possono valere a mettere in relazione tra loro casi che
appaiono prime facie notevolmente lontani.
Sono questi i principi generali dell'ordinamento giuridico dello Stato cui fa riferimento lo
stesso secondo comma dell'art. 12 delle preleggi, la maggior parte dei quali sono impliciti nel
sistema da cui dovranno essere desunti per risolvere casi non previsti (analogia iuris).
L’ analogia non va confusa con l'interpretazione estensiva: con quest'ultima, infatti, si resta
sempre nell'ambito della norma, che viene intesa nel suo significato più ampio; con l'analogia,
invece, si è al di fuori dei confini della norma, perché il caso da regolare non rientra nella norma
medesima, anche se a questa si attribuisce il più ampio significato possibile.
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4 Rapporto giuridico e sue vicende
Si dice rapporto giuridico ogni relazione tra soggetti del diritto disciplinata
dall'ordinamento giuridico.
In ogni rapporto giuridico si possono individuare:
1.
i soggetti;
2.
il contenuto;
3.
l'oggetto.
Soggetti del rapporto giuridico
I soggetti tra i quali intercorre il rapporto giuridico sono detti parti dello stesso; in
relazione a costoro, tutti gli altri soggetti estranei al rapporto sono detti terzi.
Le parti sono titolari delle situazioni giuridiche soggettive in cui si articola il rapporto.
Va rilevato che i soggetti di diritto non sono necessariamente esseri umani: possono infatti
essere persone fisiche o giuridiche.
La qualifica di soggetto dipende comunque dall'ordinamento, sicché la medesima entità
materiale potrà essere considerata soggetto da un ordinamento ma non da un altro: la stessa
persona fisica, se è sempre soggetto di diritto in tutti gli odierni ordinamenti statuali, non lo è, ad
esempio, nell'ordinamento internazionale.
Il rapporto giuridico tra due soggetti sorge, si modifica e si estingue al verificarsi di
determinate fattispecie, fatti tipici ai quali la norma collega determinati effetti giuridici.
Tali fatti tipici, per la loro rilevanza nel campo del diritto, possono essere definiti fatti
giuridici: sono previsti dalla norma che al loro verificarsi ricollega un effetto giuridico, ossia la
nascita, la modificazione o l'estinzione di un rapporto giuridico.
Va precisato che gli effetti giuridici non derivano direttamente dai fatti, ma dalle norme che
li prevedono.
Il fatto giuridico per effetto del quale è attribuito ad un soggetto un diritto soggettivo è
detto titolo del diritto stesso.
Il diritto può essere acquisito da un soggetto a titolo originario o a titolo derivativo,
secondo che all'acquisizione non corrisponda o corrisponda la perdita di titolarità del medesimo
diritto da parte di altro soggetto; nel secondo caso, il soggetto che perde la titolarità è detto autore
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o dante causa, quello che l'acquista successore o avente causa e si realizza una successione di
soggetti nel rapporto giuridico (ossia una modificazione soggettiva dello stesso).
La successione può essere a titolo universale, quando il successore subentra in tutti i
rapporti di cui è parte il dante causa (il tipico esempio è la successione mortis causa che consegue
alla perdita di soggettività giudica da parte del dante causa), o a titolo particolare, quando invece il
successore subentra solo in determinati rapporti.
Al fine di agevolare la conoscenza di determinati fatti giuridici, l'ordinamento può
prevedere forme di pubblicità, con lo scopo di garantire la certezza dei rapporti che da tali fatti
traggono origine.
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5 Le situazioni soggettive attive e passive
Il contenuto del rapporto giuridico è il complesso delle situazioni giuridiche soggettive
nelle quali il rapporto stesso si articola.
Per situazione giuridica soggettiva si intende la posizione giuridicamente rilevante di un
soggetto nei confronti di un altro.
In diritto per situazione giuridica soggettiva s'intende la posizione giuridicamente rilevante
di un soggetto di diritto nei confronti di un altro.
Le situazioni giuridiche soggettive costituiscono il contenuto dei rapporti giuridici.
Il concetto di situazione giuridica soggettiva si distingue da quello di status che può essere
definito come la posizione di un soggetto rispetto ad un determinato gruppo sociale, dalla quale
derivano determinate situazioni giuridiche soggettive (ad esempio, dallo status di cittadino
derivano il diritto di voto e l'obbligo di prestare servizio militare).
La teoria delle situazioni soggettive, elaborata da Santi Romano, è di matrice privatistica
ma può essere estesa a tutti i rami del diritto, perché in ogni settore della vita giuridica vi sono
norme che pongono un soggetto in relazione con le cose e con gli altri soggetti e qualificano così
la sua situazione giuridica (di proprietario, debitore, lavoratore dipendente ecc.).
Queste norme hanno funzione garantistica ed assicurano il rispetto delle sfere giuridiche e
delle autonomie altrui.
Le situazioni giuridiche soggettive possono essere distinte in attive e passive secondo che
comportino un vantaggio o uno svantaggio per il loro titolare.
La forma elementare di rapporto giuridico prevede un soggetto attivo, titolare di una
situazione giuridica attiva, alla quale corrisponde una situazione giuridica passiva in capo ad un
soggetto passivo.
Spesso, però, la struttura del rapporto non è così semplice, essendo lo stesso scomponibile
in una pluralità di rapporti elementari, nei quali non sempre tutte le situazioni attive o passive sono
attribuite alla medesima parte.
Sono situazioni giuridiche attive:
- il diritto soggettivo;
- il potere giuridico;
- la potestà;
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- il diritto potestativo;
- la facoltà;
- l'aspettativa;
- l'interesse legittimo.
Sono situazioni giuridiche passive:
- il dovere;
- l'obbligo;
- la soggezione;
- l'onere.
In realtà per alcune delle situazioni ora elencate, quali la potestà o l'onere, la classificazione
tra le attive o passive non è netta, presentando le stesse sia un aspetto di vantaggio che uno di
svantaggio per il titolare.
I diritti soggettivi sono quelle posizioni giuridiche soggettive di vantaggio che
l'ordinamento giuridico (ossia il diritto oggettivo) riconosce e garantisce al soggetto per soddisfare
un suo interesse sostanziale, accordandogli una serie di facoltà e poteri per consentire in via
immediata e diretta la realizzazione dell'interesse medesimo e per reagire nel caso della sua lesione
ad opera di terzi.
Nella dottrina giusnaturalistica si è molto discusso se il diritto soggettivo sia:
• uno status "riconosciuto" al singolo, nel senso che l'ordinamento si limita a
qualificare uno status che il singolo aveva in natura già prima della qualificazione
normativa;
• uno status "conferito" al singolo (la concezione positivista afferma che senza
l'intervento normativo il singolo non sarebbe titolare di alcuno status).
A seconda che la realizzazione dell'interesse, che costituisce il substrato materiale del
diritto soggettivo, richieda o meno la cooperazione di terze persone, si è soliti distinguere tra diritti
assoluti (che siffatta cooperazione non richiedono e che sono, come tradizionalmente si dice,
tutelati erga omnes), e diritti relativi (per la realizzazione dei quali è necessario l'intervento, sia
pure in negativo, come nel caso dei diritti potestativi, di un terzo).
In diritto il termine potere (o capacità) designa una situazione giuridica soggettiva attiva
consistente nella possibilità attribuita ad un soggetto di produrre determinati effetti giuridici, ossia
di costituire, modificare o estinguere un rapporto giuridico, attraverso un atto giuridico.
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Secondo una diffusa impostazione teorica, dovuta ad Hans Kelsen, l'esercizio di un potere
si risolve sempre nella produzione di una norma, sia quando si estrinseca in atti normativi, quelli
che rientrano tra le fonti del diritto (costituzione, legge, regolamento ecc.), sia quando si estrinseca
in altri atti giuridici (sentenza, provvedimento amministrativo, negozio giuridico ecc.), solo che,
nel secondo caso, le norme prodotte non hanno le caratteristiche delle generalità e astrattezza che
presentano invece quelle degli atti normativi.
L'attribuzione di un potere ad un soggetto comporta una corrispondente situazione giuridica
soggettiva, detta soggezione, in capo al soggetto parte del rapporto giuridico che può essere
costituito, modificato o estinto dal titolare del potere.
La mancanza di soggezione rispetto ad un potere è detta immunità.
La fonte del potere può essere una norma o la volontà del titolare di un diritto (si pensi, ad
esempio, al potere di rappresentanza).
La conformità alla norma dell'atto giuridico con il quale viene esercitato un potere è detta
validità.
Il potere può essere conferito ad un soggetto nel suo interesse o nell'interesse altrui.
Quando il potere viene conferito nell'interesse altrui prende il nome di ufficio o potestà.
In questo caso l'esercizio del potere costituisce al tempo stesso l'adempimento di un dovere,
ragion per cui in dottrina si usa parlare di potere-dovere.
Quando invece viene concessa ad un soggetto la possibilità di modificare la sfera giuridica
altrui nel suo interesse, il potere prende il nome di diritto potestativo.
Mentre le potestà sono tipiche, seppur non esclusive, del diritto pubblico, i diritti potestativi
sono tipici del diritto privato.
Il potere è ritenuto una situazione giuridica soggettiva elementare che può andare a
comporre situazioni soggettive complesse, come si è già visto nel caso della potestà.
Infatti, alcuni diritti soggettivi possono essere scomposti in situazioni giuridiche
elementari, tra cui poteri: si pensi al diritto di proprietà che, tra le situazioni elementari che lo
compongono, annovera una serie di poteri, ad esempio quello di alienare il bene.
Rientra nel concetto di potere anche l'azione: può essere infatti definita come il potere
attribuito ad un soggetto giuridico di provocare l'esercizio della giurisdizione da parte di un
giudice, avviando un processo.
La potestà (detta anche ufficio) è la situazione giuridica soggettiva che consiste
nell'attribuzione di un potere ad un soggetto allo scopo di tutelare un interesse altrui.
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Lezione I
L'interesse a tutela del quale il potere è attribuito può essere privato (come nel caso dei
genitori che esercitano una serie di poteri nell'interesse del figlio minore) o pubblico (come nel
caso del funzionario di un ente pubblico).
A differenza dei diritti soggettivi, nella potestà il titolare non può scegliere se esercitare o
meno i poteri attribuitigli, né può rinunciare agli stessi, ma deve esercitarli nell'interesse del
beneficiario.
Nello stesso tempo, però, può opporsi contro chiunque pretenda di esercitare al suo posto i
poteri di cui è titolare.
La potestà costituisce quindi, allo stesso tempo, un potere e un dovere, tanto che si suole
parlare di potere-dovere.
La potestà si contrappone al diritto potestativo perché questo è attribuito nell'interesse del
titolare.
Per tale motivo il diritto potestativo è una situazione giuridica soggettiva propria del diritto
privato, mentre la potestà, pur essendo presente anche nel diritto privato, è tipica del diritto
pubblico.
Il diritto potestativo è la situazione giuridica soggettiva che ha per contenuto il potere di un
soggetto di produrre determinati effetti giuridici mediante una dichiarazione unilaterale di volontà
(ossia un atto giuridico unilaterale di natura negoziale), al quale corrisponde una situazione di
soggezione del destinatario, tenuto a subire tali effetti nella propria sfera giuridica.
Il concetto di diritto potestativo è stato introdotto in epoca recente dalla dottrina tedesca, in
particolare dallo Zitelmann e dal Seckel, che hanno posto accanto ai diritti soggettivi assoluti e a
quelli relativi la categoria del Rechte des rechtlichen Konnens (diritto del potere giuridico) o del
Gestaltungsrechte (diritto formativo).
Nella dottrina italiana il merito di aver contribuito in maniera determinante al recepimento
della categoria del diritto potestativo spetta al Chiovenda, al quale si deve anche il nome stesso di
tali diritti: "potremmo chiamarli diritti potestativi perché si esauriscono in una potestà".
Esempi di diritto potestativo nell'ordinamento giuridico italiano sono:
• il diritto del proprietario del fondo di rendere comune il muro divisorio;
• il diritto di riscatto convenzionale nella vendita;
• il diritto di accettare l'eredità;
• il potere di scelta nelle obbligazioni alternative;
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• il diritto dell'opzionario di determinare la conclusione del contratto con la sua sola
dichiarazione di volontà.
La facoltà è la situazione soggettiva della persona che può lecitamente compiere un atto,
ovvero indica che una determinata azione è consentita dalla norma.
Si distingue dalla nozione di potere, in quanto in quest'ultimo caso il soggetto può
efficacemente compiere un atto, ovvero produrre gli effetti, le determinate conseguenze giuridiche
legate a tale atto.
L'aspettativa è una posizione di attesa di un effetto acquisitivo incerto.
Si pensi ad esempio all'aspettativa di cui è titolare l'acquirente di un bene in virtù di un
contratto sottosposto a condizione sospensiva non ancora verificatasi. In tal caso il titolare
dell'aspettativa è destinatario dell'effetto sperato (l'acquisto della proprietà del bene) ma non ha
una pretesa o un potere in ordine alla sua produzione.
All'aspettativa è peraltro riconosciuta una rilevanza giuridica autonoma rispetto alla
situazione acquisitiva finale: essa infatti è tutelata contro la mala fede della controparte, e può
essere opposta ai terzi acquirenti mediante la trascrizione del titolo di acquisto e legittima il
titolare all'esperimento dei rimedi di tipo cautelare predisposti dall'ordinamento giuridico.
L'aspettativa può essere oggetto di trasferimento sia inter vivos che mortis causa.
Al contrario della cessione del diritto condizionato, la cui relativa fattispecie contrattuale è
inquadrabile fra i contratti commutativi, la cessione dell'aspettativa rientra fra i contratti aleatori
poiché non è dato alle parti di prevedere "con buona approssimazione", l'esatta struttura del
sinallagma.
È, infatti, probabile che a fronte del pagamento di un prezzo ( per l'acquisto di un diritto
condizionato sospensivamente o risolutivamente) manchi di fatto la controprestazione (mancato
avveramento della condizione sospensiva o avveramento della condizione risolutiva).
La cessione di un diritto condizionato, al contrario, rimane sottoposta alle sorti del diritto
ceduto, dando luogo, se del caso, ad obblighi restitutori.
L' interesse legittimo può essere definito come la pretesa che un atto amministrativo sia
legittimo, riconosciuta a quel soggetto, che rispetto al potere discrezionale della Pubblica
Amministrazione, si trova in una particolare posizione, detta posizione legittimante, rispetto a
quella della generalità dei soggetti.
L'interesse legittimo è una delle situazioni giuridiche soggettive riconosciute dal diritto
italiano. Per interesse legittimo si intende quella situazione soggettiva di vantaggio riconosciuta
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dal legislatore come intimamente connessa ad una norma che garantisce in via primaria l'interesse
generale, di modo che quest'ultimo prevale ove l'amministrazione utilizzi correttamente il suo
potere.
Il diritto soggettivo invece è una situazione soggettiva di vantaggio riconosciuta
automaticamente come degna di tutela nei riguardi sia dei privati sia della pubblica
amministrazione.
Il dovere è la situazione giuridica passiva di base del diritto.
È caratterizzato da indeterminatezza e dal carattere negativo del comando che impone.
È riferito indistintamente a tutti e consiste in una pura astensione dal compiere determinate
azioni.
Il dovere può assumere la forma ora di un divieto, ora di un comando.
Il divieto è un dovere che impone una condotta omissiva, il comando è un dovere che
impone una condotta commissiva.
Si definisce obbligo la situazione soggettiva della persona, che è tenuta ad un certo
comportamento.
L'obbligo consiste nel fare o non fare una certa cosa, e quindi si può configurare sia come
un dovere positivo che come dovere negativo.
In quest'ultimo caso, si può parlare di divieto.
Si trova nella situazione di obbligo colui verso il quale si esercita una pretesa di
adempimento di un diritto soggettivo
Con il termina soggezione si indica la situazione soggettiva della persona che, pur non
essendo gravata da un obbligo a seguire una certa condotta, deve tuttavia subire gli effetti del
potere di altri.
Il termine ricorda la situazione di chi è soggetto all'autorità altrui.
L'esempio più chiaro è quello del minorenne, che si trova in soggezione nei confronti dei
genitori (o del genitore o del tutore) che esercita la potestà ovvero la tutela del minore
nell'interesse dello stesso.
Il genitore, infatti, può prendere decisioni e compiere gli atti che il minore, in quanto tale,
non può compiere e che tuttavia sono nell'interesse del minore stesso, che può solo subire gli
effetti delle azioni del genitore.
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Il termine si estende anche a casi in cui una persona non è investita di autorità, ma che
comunque si trova in una situazione tale da rendere un'altra persona soggetta all'esercizio del
proprio potere.
Ad esempio, l'articolo 874 del codice civile prevede che, se Tizio costruisce un muro sul
confine, Caio, proprietario del terreno confinante, ha il potere di chiedere la comunione del muro.
In questo caso, Tizio si trova in una situazione di soggezione, qualora la richiesta di Caio
abbia i giusti requisiti.
In diritto l'onere è la situazione giuridica soggettiva passiva caratterizzata dal fatto che il
soggetto su cui grava è tenuto ad un determinato comportamento nel proprio interesse, poiché in
mancanza si verificherebbe un effetto giuridico a lui sfavorevole o non si verificherebbe un effetto
giuridico a lui favorevole.
Il soggetto sul quale grava l'onere è libero di tenere o meno il comportamento e in ciò
l'onere si distingue dall'obbligo e dal dovere, la cui inosservanza comporta, invece, l'applicazione
di una sanzione: il mancato adempimento dell'onere non comporta alcuna sanzione ma il
realizzarsi dell'effetto giuridico sfavorevole o il non realizzarsi dell'effetto giuridico favorevole.
L'esempio classico è rappresentato dall'onere della prova, presente nella generalità degli
ordinamenti ed enunciato per quello italiano dall'art. 2697 del Codice civile: chi agisce in giudizio
per far valere un diritto deve fornire la dimostrazione dei fatti su cui tale diritto si fonda, così come
chi gli oppone un'eccezione deve dimostrare i fatti sui cui essa si fonda.
Se la parte non assolve all'onere della prova, il giudice deciderà la causa in modo
sfavorevole alla stessa.
Nel linguaggio giuridico con onere (o peso o modus) s'intende anche una disposizione
accessoria del negozio giuridico a titolo gratuito che impone un'obbligazione al destinatario della
liberalità (ad esempio: l'obbligazione di destinare una parte dell'immobile donato a ricovero per i
poveri).
Nell'ordinamento italiano l'onere, inteso in questo senso, è previsto da Codice civile per la
donazione (art. 793), l'istituzione di erede o legatario (art. 647) e per l'alienazione gratuita di
un'immobile o la cessione gratuita di un capitale (art. 1861); si ritene, però, che possa essere
apposto alla generalità dei negozi giuridici a titolo gratuito.
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6 Classificazione dei diritti
Non tutte le situazioni sopra elencate possono essere considerate elementari; alcune, infatti,
sono ulteriormente scomponibili.
Di solito sono considerate situazioni elementari:
• sul lato attivo del rapporto, il diritto soggettivo, il potere e la facoltà;
• sul lato passivo del rapporto, il dovere, l'obbligo e la soggezione.
Il diritto soggettivo è la pretesa che altri tenga il comportamento (che può sostanziarsi in un
"dare", in un "fare" o in un "non fare") prescritto dalla norma.
Questo è il significato più ristretto del termine, ma non l'unico; nel linguaggio giuridico,
infatti, il termine viene utilizzato anche per indicare:
• una generica situazione giuridica attiva (diritto nel senso di pretesa, potere o
facoltà);
• un complesso di situazioni giuridiche, attive o passive, con al centro una situazione
giuridica attiva (è questa l'accezione del termine quando si parla, ad esempio, di "diritto di
proprietà").
I diritti soggettivi si distinguono in:
-
relativi, se possono essere fatti valere nei confronti di uno o più soggetti determinati;
-
assoluti, se, invece, possono essere fatti valere nei confronti di qualsiasi soggetto.
Va detto che alcune impostazioni teoriche riducono il diritto assoluto ad un fascio di diritti
relativi. I diritti, relativi o assoluti, sono detti patrimoniali quando corrispondono a interessi di
natura economica, ossia suscettibili di essere valutati in denaro.
Il diritto relativo patrimoniale caratterizza una particolare specie di rapporto giuridico,
d'importanza fondamentale nel diritto privato: l'obbligazione; il soggetto attivo e passivo da tale
rapporto sono denominati creditore e debitore.
In capo al soggetto passivo del rapporto giuridico sussiste:
• un dovere, se il soggetto attivo è titolare del corrispondente diritto assoluto;
• un obbligo, se il soggetto attivo è titolare del corrispondente diritto relativo.
Mentre i diritti soggettivi sono situazioni statiche, poteri e facoltà sono situazioni
dinamiche. In particolare, la facoltà è la possibilità di tenere un determinato comportamento e,
quindi, l'opposto del dovere o obbligo.
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Il potere, invece, è la possibilità attribuita dall'ordinamento ad un soggetto di produrre
effetti giuridici, ossia di creare, modificare o estinguere un rapporto giuridico.
Se il soggetto attivo del rapporto è titolare di un potere, in capo al soggetto passivo sussiste
la corrispondente soggezione.
Oggetto del rapporto giuridico è un bene, su cui cade un interesse tutelato dall'ordinamento.
In questo caso il termine bene assume un significato ampio, comprendendo tutto ciò che
abbia attitudine a soddisfare un bisogno umano, materiale o spirituale (talvolta si usa con questo
significato la locuzione "bene della vita").
In tale accezione rientrano, quindi, non solo le cose (beni in senso stretto) ma anche le
attività umane (prestazioni) atte a soddisfare un bisogno umano.
La tensione che spinge l'uomo verso un bene prende il nome di interesse; quando l'interesse
è giudicato rilevante dall'ordinamento giuridico, esso può costituire oggetto di rapporti giuridici.
Questo significa che non tutti gli interessi sono ritenuti meritevoli di tutela dall'ordinamento: quelli
che l'ordinamento ritiene di tutelare assurgono a situazioni giuridiche soggettive, gli altri
rimangono meri interessi di fatto.
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