APPUNTI SULLA FRAGILITA` di Filippo Pesaresi

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APPUNTI SULLA FRAGILITA` di Filippo Pesaresi
APPUNTI SULLA FRAGILITA' di Filippo Pesaresi
(da SACRAMENTARIA & SCIENZE RELIGIOSE - "Dalla fragilità alle fragilità"
a cura di Giancarlo Galeazzi – Rivista semestrale N. 37 Anno XX - 2011)
Il termine "fragilità", utilizzato per descrivere una (o la) condizione degli esseri umani nella attuale
situazione storica, obbliga ad alcune precisazioni preliminari, che mi permettono anche di
determinare il mio punto di vista sul tema.
In quanto psicologo e psicoterapeuta trovo l'etimo "fragilità" più consono alle discipline etiche,
filosofiche, religiose e biologiche. La psicologia - fatta eccezione per quella branca che è la
caratteriologia, per cui alcuni caratteri sono descritti come fragili - utilizza per le sue valutazioni
concetti descrittivi quali: funzionale/disfunzionale, benessere/malessere, adattato/disadattato,
consistente/inconsistente, sano/malato ecc.
Si potrebbe pensare che il concetto di "debolezza" con cui si descrive la difficoltà dell'Io di
fronte ai compiti di regolazione degli impulsi in riferimento alle norme, quando la cosa non riesca
o avvenga solo parzialmente, sia confrontabile con la "fragilità"'. Ritengo sia opportuno tenere
distinti i due concetti per il fatto che la "fragilità", attiene più alla filosofia della persona, mentre
la "debolezza" descrive meglio le inefficienze funzionali dell'Io.
1. Rivelatori psichici della "fragilità"
Gli stati emotivi/affettivi hanno una funzione intuitiva/cognitiva prenoetica di sé. L'analisi del loro
contenuto è rivelativa del "sentire" di sé originario, e in quanto tale, fondativo della coscienza di sé.
Il primo "manifestarsi" della coscienza di sé accompagna quella particolare esperienza di sé, che
l'individuo vive quando percepisce di "essere-al-mondo". Non si tratta di un "esperirsi" immediato:
non siamo cioè in presenza di un assoluto auto-rivelarsi, ma ci conosciamo attraverso gli stati di
1
coscienza emotivi/affettivi, che accompagnano ogni nostra esperienza. Jaspers ritiene che la
coscienza esistenziale si formi proprio attraverso tutte le nostre esperienze. Nel suo
pensiero una posizione primaria hanno gli stati emotivi/affettivi che emergono dalle
situazioni limite dell'esistenza, quali la morte, il dolore e la colpa, che possiamo considerare come
altrettanti volti della "fragilità".
Ritengo che ci si debba soffermare su un'altra situazione-limite, significativamente rintracciabile in
tutte le altre, e cioè il sentimento della "paura": la paura radicale che si accompagna alla
percezione di esistere (ex-sístere) 2. L'accorgersi di "essere-gettati" nell'esistenza ci fa sentire
davvero esposti, come il bambino che viene "esposto", abbandonato, e finchè non viene
accolto, è solo, "gettato fuori", senza risorse per prendersi-in-carico.
Il "fobos" in tutte le sue variazioni (angoscia, fobia, spavento, DAP)3 è per P. Prini segno della
finitezza umana: "Non è una paura a cui l'uomo può reagire difendendosi o dandosi alla fuga o
comunque cercando di salvarsi (...) Il panico, che i greci chiamavano fobos, è la Paura con la m maiuscola che non si precisa in nessun oggetto di riferimento e contro il quale non c'è nulla da
fare"4.
Nella pratica psicoterapica l'individuo che espone (o tenta di esporre) la propria esperienza fobica,
1 Jasper K., Filosofia, UTET Torino 1996 p. 676 seguenti
2 L'esistenza ci "espone": cioè ci fa sentier "posti fuori". Vocabolario etimologico della lingua italiana, Ed. Polaris,
1991
3 Angoscia: sentimento che nasce da un'attesa del pericolo più minaccioso quanto più sconosciuto. Fobia: difesa
dall'angoscia generata da qualsiasi situazione. Spavento: sentimetno che si scatena quando il pericolo ci tropa
impreparati. DAP (Disturbo da attacchi di panico): un terrore intollerabile che paralizza il pensiero e la volontà e si
sperimenta di morire.
4 Prini P., L'ambiguità dell'essere; Marietti, Genova, 1989, pag. 51
evidenzia una forma di afasia, che è indice di uno stato di messa-tra-parentesi della coscienza di sé.
Rimane il ricordo di uno "scuotimento" contro cui si infrangono gli sforzi di autocontrollo, e il
senso di "confusione/ smarrimento" totale.
Ritengo che tra i segni della "fragilità" umana la paura sia quello più radicale, perché ontologico,
nel senso che è il più intrinseco all'esistenza stessa.
Ogni epoca ha sperimentato la sua paura e ne ha espresso un volto. Quali i volti della paura del
nostro tempo? ( Il compito è della sociologia). Quale peso sulle scelte individuali e collettive ha questo
forte e pereasivo sentimento?5
2. Natura dialettica della fragilità
Il concetto di "fragilità" fa riferimento, rinvia a qualcosa che accade e che non dovrebbe essere
accaduto. Accade a "qualcosa" pensata e realizzata con carattere di stabilità, durata, consistenza,
efficienza, riuscita ecc. che inopinatamente deflagra "va in pezzi" (fràngere: andare in pezzi, da cui
fragile)6.
La "fragilità" è sempre inaspettata e suscita sempre sorprese e sconcerto .
In molti ambiti si corre ai ripari, stud iando modelli di realizzazione di costruzioni o altro,
indicizzati proprio in riferimento alle attese di durata, stabilità, resistenza, ecc. Ciò che riesce nel
campo fisico, non pare riuscire in ambiti ben più impegnativi e importanti, che riguardano la
nostra esistenza: società e persona. E di seguito tutte le strutture che riguardano il vivere sociale
e individuale: moralità, giustizia, lavoro, famiglia, scuola, ecc., amore, sessualità, responsabilità,
libertà ecc..
Sul terreno psicologico la riflessione sulla "fragilità" della persona, tenendo presente il suo aspetto
dialettico, mi induce ad affermare che "fragili" ci si diventa e l'indice di "fragilità" personale
aumenta quanto più rincorriamo modelli strutturali psichici fortemente legalizzati (a forte struttura
super-egoica). La pratica clinica ci aiuta a comprendere che, quanto più l'lo tende a strutturarsi, di
fronte alle sollecitazioni mutevoli della realtà, in modalità fortemente difensive, che si manifestano
come oppositività, impermeabilità,
arroccamento (arcigno), immutabilità, -a tteggiamenti vissuti come rimedi alla "fragilità" - tanto più
diventa fragile.
L'Io-rigido diventa tale quando sentendosi minacciato, attaccato, insicuro, in stato di continua
allerta, si arrocca in una difesa ad oltranza fino all'isolmento psicofisico quasi assoluto. Fino a
perdere il contatto non solo con il mondo esterno, ma con parti vitali di sé, come nei casi estremi
della atelesia e della anacoresi. Nei casi di atelesia l'Io disconosce come proprie le spinte ad agire,
perché vissute come pericolose per il contatto che comporta con il mondo minaccioso. E
l'anacoresi (cammino a ritroso) realizza il tentativo delPio di rifugiarsi in quella che Betelhaim definiva
"fortezza vuota" dalla quale vengono estromesse anche le proprie rappresentazioni, non
sentendole più come "sue ", ma come estranee, guidate da altri e somministrate dal mondo
esterno. Questa tendenza difensiva dell'Io si manifesta in forme più attenuate, ma non per
questo meno pericolose, quando ci si rifiuta di riconoscere come propri alcuni bisogni, perché
considerati "non degni" del proprio ideale (Io-ideale). E si utilizzano categorie morali e/o religiose per
disconoscerli e negarli (es. sono tentazione demoniache), evitando così di prenderli in consapevole
considerazione e armonizzarli con le reali esigenze di coerenza dell'Io consapevole di sé e delle
proprie finalità. Si scinde l'unità del soggetto in parti, che d'ora in avanti saranno vissute come
estranee e eterogenee tra loro a iniziare dalla frattura ( fràngere ) tra mentale, spirituale e
corporeo: giustificando i cedimenti istintuali come necessità del corpo, la cui soddisfazione non
5 Bourke J., Paura. Una storia culturale, Il Sole 24 Ore, Milano 2011
6 La parola fragilità rinvia al latino "frang-ere" spezzare, da uci il sostantivo "frag-mentum": pezzo, frammento
contamina la purezza della vita spirituale, perché realtà tra loro autonome (Cartesio). E l'Io è
impegnato a tenerle distinte, per non sentirsi egli stesso in pericolo. A questa primaria "frattura"
seguiranno altre non meno estranianti e pericolose per l'integrità dell'Io ( es. amore/sessualità,
etica/libertà, dovere/piacere). A questa situazione dell'lo si arriva non solo per le dinamiche
interne, ma anche attraverso le pratiche educative. Ogni qualvolta 1'Io è costretto a
disattendere e negare le proprie tendenze, per adeguarsi alle esigenze e alle norme della famiglia,
del gruppo, delle Chiese, delle mode e della società. Quando queste agenzie di socializzazione
non aiutano una rielaborazione personale delle indicazioni comportamentali, ma obbligano
all'assunzione dei modelli strutturati omogenei e egualitari, creano situazioni di eteronomia, ch
attivano nell'Io le dinamiche delle difese rigide, reattive e potenzialmente disgregatrici. Per cui si
puo' affermare che "fragili" non ci si nasce ma ci si diventa.
A fronte c'è un altro tipo di persona che nasce dalla "creatività auto-realizzatrice" che Rogers
descrive come "persona pienamente funzionante" la cui condizione fondamentale è l'"apertura
all'esperienza"7.
2. 1. Dalla difesa all'apertura
Entro queste due polarità si estende e sviluppa la dinamica della "fragilità" tra resistenza nevroticadisperazione e apertura alla vita-speranza. L'insistenza sulla "fragilità" riduce la spinta vitale che
deriva all'uomo e in particolare al credente, dalla seconda delle virtù teologali: la speranza8.
L'apertura al processo vitale implica una crescente disponibilità alle esperienze che realizza l'opposto
dell'atteggiamento di difesa.
Qualsiasi esperienza, che provenga da dentro di sé o derivi da stimoli esterni fisici e sociali,
viene elaborata dalla coscienza, che sia in accordo o in disaccordo con l'immagine di sé, è
riconosciuta come parte di sé senza le distorsioni o le negazioni, derivanti dai meccanismi di difesa.
Il soggetto è capace di ascoltarsi e aprirsi ai propri sentimenti, a quelli negativi come positivi. Sono
suoi il timore, lo scoraggiamento, la pena, come il coraggio, la tenerezza, la curiosità. "Una
tale persona - scrive Rogers - è dunque capace di vivere tutti i propri sentimenti senza
sentirsi da essi minacciata, è giudice di se stessa, ma un giudice aperto e disposto a valorizzare
tutti i dati qualsiasi parte derivino; è integralmente impegnata nel processo di essere e di divenire
se stessa, e in tal modo scopre di essere profondamente e realisticamente sociale. (...) Diventa un
organismo che funziona pienamente, ma a causa della corrente di coscienza che fluisce
liberamente dalla sua esperienza, diventa anche una persona pienamente funzionante" 9
La persona aperta al processo vitale è un essere profondamente creativo. Apertura al mondo,
disponibilità alle realizzazioni più dinamiche con l'ambiente fisico e sociale rendono l'individuo un
interessato costruttore del proprio sé individuale e sociale. Nell'esercizio della libertà di scelta si sente
impegnato a operare per la realizzazione dell'intera mappa dei bisogni personali e sociali.
"Non sarà necessariamente «adattato» alla cultura del suo ambiente e certamente non sarà un
conformista. Ma in ogni epoca e in ogni cultura saprà vivere in modo costruttivo, in armonia
sufficiente con la propria cultura da trovare un giusto equilibrio delle proprie esigenze. In certi climi
culturali potrà essere molto infelice ma anche allora continuerà a «divenire» se stesso e a
10
comportarsi in modo da soddisfare pienamente i proprio bisogni più profondi" . Impegnato a
diventare pienamente se stesso, si adopererà a creare condizioni a che anche gli altri possano
7 Rogers C., Per una teoria della creatività, pag. 95-110 in Anderson H.H.
8 Per il tema della speranza e del cambiamento nella prospettiva cristiana confronta: 2Pt 3,13; Ap. 21, 1; Ap. 21, 5;
Rom. 6,6 sg
9 Rogers C., La terapia centrata sul cliente, Martienelli, Firenze, 1970
10 Ib p. 193
liberamente scegliere essere pienamente se stessi.
Maslow nelle ricerche sulle caratteristiche dell'"uomo che realizza se stesso" aveva osservato che
questo individuo aveva risolto nel suo modo di essere molte dicotomie ritenute aprioristicamente
come ineliminabili. La prima e più profonda tra esse quella tra egoismo e altruismo: si fondevano
insieme non come incompatibili, ma piuttosi in una unità sensibile e dinamica: individui dall'ego
marcato erano capa del massimo annullamento dell'ego a vantaggio degli altri. Altre dicotom
superate: cognizione/ volizione, istinto/ragione, dovere/piacere, lavoro divertimento ecc....11
2.2. Dai valori come sistema ai valori come esperienza
E' osservazione condivisa la difficoltà in cui le culture contemporanee trovano di fronte alla
possibilità di enunciare "valori" universali. "Si ha spesso la sensazione che (...) si sia perduta ogni
possibilità di raggiungere una base comune interculturale da cui guardare ai valori"12. Questa
situazione descrive l'altro volto della "fragilità" umana: non solo difficoltà di proposta dei valori,
ma affermazione del "valore" della più piena autonomia (nomos autos: che vive con proprie leggi,
se stesso come legge) che è alla base della inconciliabilità delle proposizioni etiche, rifiutate perché
comunque percepite come autoritarie e imposte. E in quanto tali percepite "estranee" al
proprio sé profondo. Di fronte alla deriva delle posizioni soggettivistiche e narcisistiche, l'individuo
stesso per ottenere la soddisfazione dei propri bisogni finisce per assoggettarsi a sistemi di valori
concettualizzati o a una qualche autorità che induce all'obbedienza a norme proposte arbitrariamente
come valori. Se si analizza il modo in cui le persone mature e auto-realizzate adottano norme
regolatrici del proprio comportamento si osserva che esse raggiungono il livello più alto della
moralità secondo la classificazione di Kohlberg: valori e diritti sono quelli che ogni essere
razionale vorrebbe vedere rispettati in una società morale.
L'aspetto più interessante è osservare che queste persone sperimentano un profondo accordo
tra le esigenze di una legge morale e universale e il loro sistema interno di valutazione,
realizzando una vera autonomia morale. Si scopre che in esse è operativo un "processo di
valutazione" che guida le loro scelte.
Ritengo che quando per molte ragioni, e spesso per carenze educative, gli individui sono privi
del loro "processo di valutazione", o fanno ricorso a sistemi di valori concettualizzati
imponendosi di seguirli rigidamente o sentendosi profondamente insicuri e minacciati si
abbandonano alle proprie reazioni istintuali provvisorie. Anche la "fragilità" etica è più un
prodotto derivato che strutturale. Il "processo di valutazione" fa parte di quella apertura
all'esperienza, che caratterizza il corso vitale consapevole. Se questa capacità in proprio di
valutare non si struttura, gli individui a livello soggettivo e collettivo soffrono di una forma di
cecità morale, per cui non si sviluppa in loro una vera disponibilità alla vita morale.13
3. Quale io?
Di fronte a questo interrogativo voglio ribadire una mia convinzione profonda, che mi deriva dalla
mia attività di sacerdote, di psicoterapeuta, di docente e di osservatore dei miei processi interni,
attraverso i quali oggi, sono quello che sono. Questa convinzione la posso enunciare in questo
modo: la mia soggettività - comunque intesa - il mio volto, emerge continuativamente dalle e nelle
mie esperienze. Il volto di ogni altro emerge continuativamente dal flusso delle sue proprie
11 Maslow A., La creatività nell'individuio che realizza il proprio Io, p. 111-124 in
anderson H.H.
12 Rogers C. La terapia centrata sul cliente, Martinelli, Firenze 1970
13 Kolhbeg L., Essys on Moral Development, 1981
esperienze. Qualsiasi esse siano: positive o negative, accettabili o inaccettabili, nobili o meno
nobili. Dai miei peccati, come dalle mie virtù. Quando queste esperienze sono vissute come
"esperienze", cioè come "parti inerenti e coscienti di un processo costante di esperienza completa"
14
e determinate dal "processo di valutazione", che mi appartiene e al quale sono impegnato ad
attenermi. Ne derivano alcune conseguenze:
 la vita piena è un processo e non uno stato;
 è una direzione non una destinazione15;
 è una possibilità e non un aobbligatorietà16;
 è cambiamento e non ripetizione;
 è deformazione pittosto che conformazione17.
Per rispondere all'interrogativo: quale Io? La pratica clinica mi fa incontrare due strutture dell'Io con
dinamiche opposte: un "IO esperienziale" o un "IO riservato".
L'"Io-riservato" è custode di se stesso, riflessivo (piegato su se stesso), difeso, incapsulato,
oppositivo, arroccato, in allerta, teso. Nell'esperienza, vive la minaccia, l'attacco; la teme, lotta
per sfigurarla e distorcerla per "renderla compatibile" con il suo sé. All'estremo è autistico e si
presenta con i segni della più forte rigidità. E in quanto tale "fragile".
All'opposto l'"Io- esperenziale" è aperto, curioso, non teme il cambiamento, accetta la sfida e il
confronto, è desideroso di misurarsi, accetta punti di vista plurimi, trova in qualsiasi esperienza
una possibilità di crescita, è sicuro di sé e non teme di perdersi nella molteplicità del reale. E'
dialogico e sperimentale. E' il contrario della rigidità: è un io-flessibile.
Quanto questo Io esprime la "tensione e lo sforzo di realizzare sempre più le proprie
potenzialità" e il "coraggio di essere" 18 tanto l'altro si confronta con la propria paura di essere,
con la spinta a ritirarsi, e misurarsi con la propria impotenza, lamentandosi e/o protestando.
Utilizza la sensazione del rischio della propria destrutturazzione ("fragilità") per attivare difese
nevrotiche paralizzanti.
L'Io-esperienziale si confronta positivamente con la personalità funzionante:
 vedere se stessi e gli altri in modi articolati, stabili e precisi (identità);
 mantenere relazioni intime, stabili e soddisfacenti (relazioni oggettuali);
 fare esperienza dentro di sé, e percepire negli altri, l'intera gamma degli affetti appropriati a
una certa età (tolleranza degli affetti);
 regolare impulsi e affetti in modi che favoriscono l'adattamento e la soddisfazione, con un
ricorso flessibile a difese o strategie di coping (regolazione degli affetti);
 funzionare secondo una sensibilità morale coerente e matura (integrazione del Super-Io,
dell'Io ideale e dell'ideale dell'Io);
 comprendere, anche se non necessariamente conformarsi alle nozioni convenzionali di ciò
che è realistico (esame di realtà);
 rispondere in modo positivo agli stress e riprendersi da eventi dolorosi senza difficoltà
eccessive (forza dell'Io e resilienza)19.
Questo Io-flessibile aperto alle esperienze, mentre apprende a misurarsi con tutti gli stati
dell'esistenza, faticando alla propria costruzione, è anche capace di cercare e accettare, senza
14
15
16
17
18
19
Rogers C. La terapia centrata sul cliente, Martinelli, Firenze 1970
Ib p. 185
Cfr Mt 21, 28, 32: Parabola dei due figli
Cfr Rom 12, 2; Fil 3,10
Rogers C., La terapia centrata sul cliente, Martinelli, Firenze 1970
PDM, Manuale diagnostico psicodinamico, Cortina, Milano 2008
sentirsi umiliato, ogni forma di aiuto, umano e/o religioso (apertura alla Grazia), che lo porti
oltre il limite, ove possibile. Ma è anche capace di accettare e vivere la propria finitezza.