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Franco Buzzi CONFRONTO E DIALOGO INTERNO ED ESTERNO Il decreto Unitatis Redintegratio sull'unità dei cristiani Per i 50 anni dal Vaticano II Milano-Foligno, 5 dicembre 2015 © Edizioni Newsletter Veneranda Biblioteca Ambrosiana. Milano 2015 Franco Buzzi Il decreto Unitatis Redintegratio sull’unità dei cristiani Tra i documenti più significativi del Concilio Ecumenico Vaticano II figura senz’altro il decreto sull’ecumenismo, Unitatis redintegratio (1964). Con esso la Chiesa cattolica entrò nel vivo della problematica ecumenica che l’aveva vista assente e arroccata sulle sue posizioni durante gli anni in cui le altre confessioni cristiane si erano raccolte nel «Consiglio ecumenico delle chiese» (CEC), nato ad Amsterdam nel 1948. Non è qui il caso di ripercorrere, sia pure velocemente, le diverse fasi del movimento ecumenico, da poco dopo la metà dell’Ottocento fino al Vaticano II. A questo scopo esistono già ottimi strumenti1. Qui mi limito soltanto a riferire l’atteggiamento significativo di K. Barth, quando, constatando l’assenza della Chiesa cattolica alla sessione plenaria del CEC ad Amsterdam (23 agosto 1948), aveva giudicato un fatto provvidenziale l’assenza di Roma e di Mosca, come se si trattasse di un’opportuna liberazione da compagni con cui non potremmo neppure formare qui una comunità imperfetta, perché […] non vogliono fare il passo che li potrebbe condurre dal clericalismo a Gesù Cristo: unica condizione che possa permettere un dialogo o anche un semplice incontro tra cristiani di tradizioni e origini diverse2. 1 Oltre all’opera monumentale R. Rouse-S.C. Neill-H. Fey, Storia del movimento ecumenico, 4 voll., Il Mulino-Dehoniane, Bologna 1973-1982; P. Neuner, Breve manuale dell’ecumene, Queriniana, Brescia 1986; P.F. Fumagalli, Ecumenismo, Bibliografica Editrice, Milano 1996; L. Sartori, L’unità dei cristiani. Commento al decreto conciliare sull’ecumenismo, Messaggero, Padova 1992, pp. 7-32; É. Fouilloux, Il cammino dell’ecumensimo, in M. Guasco-E. Guerriero-F. Traniello (a cura di), I cattolici nel mondo contemporaneo, Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo 1991 (= A. Flische-V. Martin, Storia della Chiesa, XXIII), pp. 495-516. 2 Cito da L. Sartori, L’unità dei cristiani, cit., p. 36. 3 50° del Vaticano II Foligno 5 dicembre 2015 Un cambiamento di clima. Giovanni XXIII e l’ecumenismo La situazione era profondamente cambiata, quando Giovanni XXIII, il 25 gennaio 1959, convocato il Sacro Collegio nell’Aula Maggiore del Monastero di S. Paolo fuori le Mura, annunciava il suo intento di tenere il Sinodo diocesano per Roma, di indire il Concilio Ecumenico e di procedere all’aggiornamento del Codice di Diritto Canonico3, ma soprattutto concludeva il suo discorso con un toccante accenno alla questione ecumenica: Da tutti imploriamo un buon inizio, continuazione, e felice successo di questi propositi di forte lavoro, a lume, ad edificazione ed a letizia di tutto il popolo cristiano, a rinnovato invito ai fedeli delle Comunità separate a seguirCi anch’esse amabilmente in questa ricerca di unità e di grazia, a cui tante anime anelano da tutti i punti della terra4. Anzi, non è fuori luogo ricordare che il testo preparato e letto da Giovanni XXIII in quella circostanza era ancor più attento e ben disposto nei confronti dei cristiani delle altre confessioni. Intendeva infatti esprimere «un amabile e rinnovato invito ai fedeli delle Chiese separate a partecipare con noi a questo convito di grazia e di fraternità, a cui tante anime anelano da tutti i punti della terra»5. Questa 3 Discorsi Messaggi Colloqui del Santo Padre Giovanni XXIII, vol. I, Tipografia Poliglotta Vaticana, Città del Vaticano 1963 (1a ristampa), pp. 129-133, in particolare, p. 132. 4 Ibid., p. 133. 5 L’edizione originale del discorso è stata pubblicata da L. Capovilla. A essa si riferisce il commento di A. Melloni, “Questa festiva ricorrenza”. Prodromi e preparazione del discorso di annuncio del Vaticano II, «Rivista di storia e letteratura», 28 (1992), pp. 607643, in particolare p. 630, con p. 641, ll. 445-456; cfr. R. Aubert, La preparazione, in M. Guasco-E. Guerriero-F. Traniello (a cura di), La chiesa del Vaticano II (1958-1978), 2 voll., San Paolo, Cinisello Balsamo 1994 (= A. Flische-V. Martin, Storia della Chiesa, XXV/12), I, p. 132. 4 Unitatis Redintegratio Franco Buzzi sensibilità ecumenica, che apre al comune banchetto della verità, della grazia e della fraternità, emergerà poi in modo del tutto ufficiale a dare corpo a uno dei compiti, se non il principale, dell’intero Concilio, il quale vorrà essere appunto “ecumenico”. Il papa ne parlò, nella sua solenne allocuzione di apertura (11 ottobre 1962), dopo aver precisato che la salvezza voluta da Dio per tutti gli uomini (cfr. 1 Tim 2,4), viene garantita dalla pienezza della verità fedelmente trasmessa, promossa e difesa: La Chiesa cattolica ritiene pertanto suo dovere adoperarsi attivamente perché si compia il gran mistero di quella unità, che Gesù Cristo ha invocato con ardente preghiera dal Padre celeste nell’imminenza del suo sacrificio. […] Anzi, a ben considerare questa stessa unità, impetrata da Cristo per la sua Chiesa, sembra quasi rifulgere di un triplice raggio di superna luce benefica: l’unità dei cattolici tra di loro, che deve conservarsi esemplarmente saldissima; l’unità di preghiera e di ardenti desideri con cui i cristiani separati da questa Sede Apostolica aspirano ad essere uniti con noi; infine l’unità nella stima e nel rispetto verso la Chiesa cattolica, da parte di coloro che seguono religioni ancora non cristiane6. Il particolare interesse di papa Giovanni per il discorso ecumenico risulta anche dall’istituzione di un Segretariato per l’unità dei cristiani. Il 16 maggio 1959 Giovanni XXIII aveva istituito la Commissione antepreparatoria, presieduta dal Cardinale di Stato Domenico Tardini (18881961), il quale, com’è noto, era assai poco interessato al discorso ecumenico e per nulla affatto preoccupato di 6 Giovanni XXIII, Allocuzione del Sommo Pontefice nel solennissimo rito di apertura, in Discorsi Messaggi Colloqui, cit., vol. IV, pp. 587-588. Cfr. Ioannis XXIII allocutio, in Il Concilio Vaticano II, testo ufficiale e traduzione italiana (= Enchiridion Vaticanum. Documenti), a cura del Centro Dehoniano, Edizioni Dehoniane, Bologna 1968, VI edizione (ristampa), pp. [48]-[49]. Sullo spirito di questo discorso, improntato più all’accoglienza che non alla condanna, vedi G. Alberigo, Breve storia del concilio Vaticano II, Il Mulino, Bologna 2005, pp. 43-45. 5 50° del Vaticano II Foligno 5 dicembre 2015 mettersi in ascolto del mondo7. Era perciò abbastanza urgente garantire fin dagl’inizi un’attenzione adeguata alla problematica del rapporto con i cristiani non cattolici, sottraendo al Sant’Uffizio la competenza diretta in materia e garantendo al tempo stesso la possibilità di superare quell’atteggiamento di diffidenza che per molti secoli aveva caratterizzato le relazioni intercorse tra cattolici e non cattolici8. Ciò accadde abbastanza presto, quando il 5 giugno 1960, il papa con il motu proprio Supremo Dei nutu istituì gli organi incaricati della preparazione diretta del Concilio. Nacquero così le dieci commissioni preparatorie, subordinate a una commissione centrale, alla quale vennero affidati compiti di supervisione e coordinamento dell’intero lavoro della singole commissioni. Con lo stesso motu proprio il papa istituiva anche il Segretariato per l’unità dei cristiani e ne stabilì il compito nel modo seguente: Mostrare maggiormente il nostro amore e la nostra benevolenza verso coloro che si chiamano cristiani, ma sono separati da questa Sede Apostolica, affinché essi possano seguire i lavori del Concilio e più facilmente trovare la via per raggiungere quell’unità per la quale Gesù Cristo rivolse al Padre celeste così ardente preghiera9. Il Segretariato per l’unità dei cristiani Sembrava dunque che il Segretariato, presieduto da Agostino Bea – il quale si avvalse dell’opera di Mons. Jan 7 Cfr. Aubert, La preparazione, cit., I, pp. 135-136. 8 Cfr. G. Alberigo, Il pontificato di Giovanni XXIII, in GuascoGuerriero-Traniello (a cura di), La chiesa del Vaticano II, cit., I, p. 27. 9 Prendo la citazione da Aubert, La preparazione, cit., I, p. 140. Sull’istituzione del Segretariato e la sua fondamentale importanza per l’orientamento ecumenico del Concilio esplicitamente voluto da Giovanni XXIII, vedi S. Schmidt, Giovanni XXIII e il Segretariato per l’unione dei cristiani, «Cristianesimo nella storia», 8 (1987), n. 2, pp. 95-117; S. Schmidt, Agostino Bea il cardinale dell’unità, Città Nuova, Roma 1987, pp. 342-351. 6 Unitatis Redintegratio Franco Buzzi Willebrands come segretario del nuovo organismo –, avesse soprattutto il compito di mantenere buone relazioni con i non cattolici. Effettivamente esso contribuì efficacemente a preparare l’invito degli “osservatori” non cattolici al Concilio. Sotto la direzione di Bea e di Willebrands il Segretariato si compose di 17 membri e 20 consultori, si articolò in 14 sottocommissioni e preparò ben 6 progetti di decreto sull’ecumenismo cattolico, sulla libertà religiosa e sugli ebrei. Mauro Velati ha studiato molto bene quali siano stati i compiti svolti dal questo organismo. Oltre a esercitare una funzione generale di vigilanza sul lavoro di tutte le commissioni, affinché non andasse perduta o non venisse contraddetta l’intenzione ecumenica originariamente voluta da Giovanni XXIII, il Segretariato, che andava elaborando testi propri su specifiche tematiche ecumeniche10, concepiva tutti i propri lavori in funzione del dialogo con i cristiani separati, creando le premesse «per l’inserimento della chiesa cattolica nel più grande movimento verso l’unità cristiana»11. Il lavoro del Segretariato si svolse in una costante capacità di ascoltare e di dialogare con gli osservatori non cattolici. Di fatto esso seppe recepire serenamente e fruttuosamente le critiche dei non cattolici, come quella del Pastore H. Roux, osservatore dell’Alleanza mondiale presbiteriana, e del Dr. L. Vischer, rappresentante del Consiglio mondiale delle Chiese di Ginevra. Il primo metteva in guardia – nel trattare dell’unità della Chiesa da parte dei cattolici –, da ogni specie di “proselitismo tattico”, allo scopo di ricondurre le chiese non cattoliche all’ubbidienza di Roma; tanto Roux quanto Vischer ritenevano che occorresse ripensare profondamente l’ecclesiologia, superando una comprensione troppo giuridica, per cercare, invece, di esprimere la realtà della chiesa a partire da Cristo 10 M. Velati, Una difficile transizione. Il cattolicesimo tra unionismo ed ecumenismo (1952-1964), Il Mulino, Bologna 1996, pp. 331-332. 11 M. Velati, La proposta ecumenica del segretariato per l’unità dei cristiani, in G. Alberigo-A. Melloni (a cura di), Verso il Concilio Vaticano II (1960-1962). Passaggi e problemi della preparazione conciliare, Marietti, Genova 1993, p. 343. 7 50° del Vaticano II Foligno 5 dicembre 2015 stesso, dal quale essa riceve tutto il suo essere e la sua missione12. Di fatto, il 22 ottobre 1962, dunque appena all’inizio del Concilio, Giovanni XXIII aveva elevato il Segretariato per l’unità dei cristiani – che fino ad allora era rimasto un organismo privo di prerogative giuridiche – allo stesso rango delle commissioni conciliari. In tal modo anche il Segretariato si trovò nella condizione di poter presentare degli schemi da discutere in aula, con la possibilità di provvedere alla loro successiva rielaborazione ed eventualmente anche di “collaborare” con altre commissioni su temi comuni. Si deve pure notare un grande vantaggio sperimentato da questo organismo: a differenza delle dieci commissioni, il Segretariato si presentava fortemente omogeneo, nella direzione auspicata da Giovanni XXIII. Tuttavia tale vantaggio rappresentava al tempo stesso un limite: l’assenza di qualche rappresentante della minoranza non favorì per nulla la possibilità previa di verificare i testi, prima dell’effettiva presentazione in aula, circa la loro effettiva possibilità di essere recepiti positivamente13. Giovanni XXIII aveva dato il massimo credito al Segretariato per l’unità dei cristiani a motivo del suo rapporto personale di fiducia con il gesuita tedesco Agostino Bea, uomo religioso e dotto, che egli stimò moltissimo. Secondo Loris Capovilla Bea fu tra gli “amici dell’anima” di Giovanni XXIII, un amico con il quale Roncalli si apriva sempre, perché tra i due correva una sensibilità comune, nutrita da una preparazione spirituale post-tridentina assai rigorosa, attenta al bene universale delle anime. Bea, in particolare, condivideva in tutto e per tutto il programma “pastorale” del Concilio, che non poteva risolversi in un fatto intraecclesiale, ma doveva rispondere ai problemi che affliggono l’umanità14. Tra il 1960 e il 1963 fu costante 12 Cfr. Velati, Una difficile transizione, cit., pp. 347-349. 13 Cfr. R. Aubert, Organizzazione e funzionamento dell’Assemblea, in Guasco-Guerriero-Traniello (a cura di), La chiesa del Vaticano II, cit., I, pp. 207-208. 14 Cfr. Velati, Una difficile transizione, cit., pp. 367-368. 8 Unitatis Redintegratio Franco Buzzi la fiducia accordata a Bea da Giovanni XXIII. Possiamo tranquillamente dire, con Marco Velati, che tra il gesuita tedesco e il papa passarono i dossier più importanti e scottanti che qualificano l’intero pontificato di Giovanni XXIII e anche il Concilio nel suo insieme15. La messa a punto del documento sull’ecumenismo La maturazione del testo finale sull’ecumenismo fu molto faticosa, a partire dalle prime discussioni sullo schema Ut omnes unum sint, che era stato redatto dalla Commissione per le Chiese orientali, senza riguardo alcuno al mondo e alla problematica protestante16. L’assemblea conciliare decise che si elaborasse un testo comune, che fosse il frutto di una commissione mista in cui partecipassero il Segretariato per l’unità dei cristiani, la Commissione teologica e la Commissione per le Chiese orientali17. L’elaborazione del nuovo testo nei primi mesi del 1963 diede luogo, da capo, a spiacevoli episodi, a motivo di una mancata intesa tra il Segretariato e la Commissione per le Chiese orientali, circa il III capitolo, in cui quest’ultima escludeva che si prendessero in considerazione i rapporti con i protestanti. Tuttavia il Segretariato riuscì a elaborare un documento in cui si diede spazio anche al rapporto con i protestanti. All’ultimo momento vennero inseriti nello stesso documento altri due capitoli: il IV sull’ebraismo e il V sulla libertà religiosa18. 15 Sulla gigantesca figura di Bea, vedi J. Grootaers, Protagonisti del Concilio, in Guasco-Guerriero-Traniello (a cura di), La chiesa del Vaticano II, cit., I, pp. 394-404; ma anche l’imponente monografia di Schmidt, Agostino Bea il cardinale dell’unità, cit.; in sintesi, Fumagalli, Ecumenismo, cit., pp. 65-71. 16 Vedi, in traduzione francese, questo testo in C.-J. Dumont, La genèse du décret sur l’oecuménisme, «Istina», 10 (1964), pp. 474-488. 17 R. Aubert, Lo svolgimento del Concilio, in Guasco-GuerrieroTraniello (a cura di), La chiesa del Vaticano II, cit., I, p. 240. Su questa vicenda vedi anche Dumont, La genèse, cit., pp. 463-465. 18 Cfr. Aubert, Lo svolgimento del Concilio, cit., p. 249. 9 50° del Vaticano II Foligno 5 dicembre 2015 Il Segretariato, durante l’intersessione tra la prima e la seconda fase del Concilio19, riuscì a mettere a punto lo schema ecumenico. Esso dapprima (8 novembre 1963) venne distribuito ai padri composto dai soli primi tre capitoli, relativi, rispettivamente, ai princìpi dell’ecumenismo, l’esercizio dell’ecumenismo, i cristiani separati (chiese orientali e comunità nate nel XVI secolo); poi, a partire dal 17 novembre, il testo venne loro distribuito arricchito dei due ultimi, relativi, rispettivamente, al rapporto tra i cristiani e i non cristiani (in particolare gli ebrei), e alla libertà religiosa20. Le questioni cruciali Il nuovo documento venne esaminato in aula a partire dal 18 novembre 1963. Nello stesso mese di novembre gli osservatori non cattolici, giunti a conoscenza del testo, esprimevano i loro dubbi su alcuni punti fondamentali21: la chiesa cattolica sarebbe stata in grado di considerare l’unione altrimenti che come ritorno ad essa? Avrebbe riconosciuto l’ecclesialità delle comunità nate dalla Riforma? Il dialogo ecumenico sarebbe stato incentrato sulla tensione che esiste tra la pienezza della cattolicità, 19 R. Aubert, Premessa, in Guasco-Guerriero-Traniello (a cura di), La chiesa del Vaticano II, cit., I, pp. 121-128: Aubert distingue quattro periodi del concilio: 1o periodo: dall’11 ottobre 1962 all’8 dicembre 1962; 2o periodo: 29 settembre 1963-4 dicembre 1963; 3o periodo: 15 settembre 1964-21 novembre 1964; 4o periodo: 14 settembre 1965-8 dicembre 1965. 20 Cfr. Aubert, Lo svolgimento del Concilio, cit., pp. 266-267; Storia del Concilio Vaticano II, diretta da G. Alberigo, vol. III: G. Alberigo-J. Famerée-R. Kaczynski- A. Melloni-C. Soetens-E. Vilanova, Il concilio adulto. Il secondo periodo e la seconda intersessione, settembre 1963-settembre 1964, Il Mulino, Bologna 1998, pp. 277-296. 21 Cfr. Storia del Concilio Vaticano II, cit., vol. III, pp. 280-281. 10 Unitatis Redintegratio Franco Buzzi alla quale tutte le chiese e le comunità cristiane aspirano e che tutte rivendicano, e il fatto che essa non è pienamente realizzata, persistendo gli elementi di divisione nell’unica chiesa? A queste domande che si ponevano gli osservatori sono da aggiungere quelle che i padri del concilio si ponevano22: si tratta dei princìpi dell’ecumenismo cattolico o dei princìpi cattolici dell’ecumenismo? Favorire l’ecumenismo significa promuovere l’indifferentismo e trascurare il dovere di invitare alla conversione? Le comunità uscite dalla Riforma si devono chiamare “chiese”? Esistono elementi positivi del protestantesimo che devono essere riconosciuti e sottolineati? Non gioverebbe prendere atto e riconoscere pubblicamente che esiste una gerarchia nelle verità? Si sarebbero effettivamente profilati due modi diversi di affrontare la questione, vale a dire due atteggiamenti ecclesiologici completamente diversi: da un lato i tradizionalisti, rimasti sulle posizioni controriformiste, secondo cui una ed una sola è la vera Chiesa alla quale è possibile unicamente ritornare, se non si vuole rimanerne esclusi; dall’altro una visione più evangelica e aperta, che ammette una gerarchia nelle verità, ed è incline a pensare l’unità della chiesa nei termini più articolati di una partecipazione differenziata all’unico mistero di Cristo e della sua Chiesa. La presentazione del testo L’onore di presentare ai padri, il 18 novembre 1963, lo schema elaborato dal Segretriato per l’unità dei cristiani toccò al cardinale Amleto Giovanni Cicognani, l’allora Segretario di Stato e presidente della Commissione delle chiese orientali23. Egli delineò in breve i contenuti 22 Cfr. ibid., pp. 282-283. 23 Acta synodalia sacrosancti concilii oecumenici Vaticani II, vol. II, pars V (d’ora in poi AS II, 5), pp. 468-472. Una presentazione sintetica di tutto l’iter del documento sull’ecumenismo si trova in J.W. O’Malley, Che cos’è successo nel Vaticano II, Vita e Pensiero, Milano 2010, pp. 197-202. 11 50° del Vaticano II Foligno 5 dicembre 2015 dei cinque capitoli, dopo un’introduzione ampia tesa a dimostrare come il vocabolo “ecumenismo” non fosse affatto estraneo alla Chiesa cattolica e ai suoi supremi pastori. L’uso di tale termine è attestato in Paolo VI e Giovanni XXIII, ma anche in Pio XI e Pio XII, e risale fino a Leone XIII. Cicognani dimostrava di essere particolarmente attento alle esigenze dei tempi, quando rivendicava come urgente, soprattutto nella contemporaneità, che il Concilio Vaticano II assumesse questa tematica per dedicarle spazio e riflessione, per favorire, se non altro, «l’unità sincera degli animi», qualora non fosse possibile raggiungere «l’unità della fede»24. La relazione di Martin Molto chirificatrice e significativa si presentò la relazione che monsignor Joseph-Marie Martin, arcivescovo di Rouen, dedicò ai primi tre capitoli dello schema25. Egli dichiara immediatamente che non intende perdersi nel ricostruire la storia di questo schema, ma che vuole «potius intimum eius spiritum ostendere», insomma va alla ricerca della vera preoccupazione di cui tale schema si fa carico nei confronti dei padri, che vengono immediatamente messi di fronte alle loro responsabilità. «Lo schema non è un manuale di teologia, né un titolo del Codice di Diritto Canonico, né un trattato di storia», e ciò non a motivo d’ignoranza della dottrina cattolica, né perché si intenda considerare come una bagatella il Diritto canonico o la storia. Inoltre lo schema presuppone 24 AS II, 5, p. 469: «Nil igitur mirum, si Concilium Vaticanum secundum hanc eandem materiam pertractandam susceperit maiore quadam extensione, cum id sane postulent nostri temporis condiciones, cum homines inter se libere congrediuntur, colloquia serunt, vitae commercia et itinera habent, in quibus complures inveniunt qui ob religiosam fidem a se discrepant. Quodsi in hisce rerum adiunctis unitas fidei attingi nequit, urget tamen ut sincera unitas animorum foveatur […]». 25 Ibid., pp. 472-479. 12 Unitatis Redintegratio Franco Buzzi come data per acquisita la dottrina esposta nella Costituzione dogmatica De Ecclesia26. Che cos’è allora positivamente? È un decreto sobriamente “irenico”, “pastorale”, cioè adatto all’istruzione del popolo in materia ecumenica, e “nuovo”, perché nessun Concilio ecumenico prima di questo si è mai occupato di tali problemi. Tale trattazione esplicita è oggi richiesta dal fatto scandaloso della divisione all’interno dell’unica Chiesa di Cristo, un fatto che paralizza l’evangelizzazione. Conclusi questi suggerimenti ermeneutici, Martin passa all’esposizione dei capitoli dello schema. Insiste particolarmente sull’esercizio concreto dell’ecumenismo, che non è fatto di dispute e di parole, ma dall’assumere concretamente quei mezzi naturali e soprannaturali indicati da Giovanni XXIII e Paolo VI, come necessari al raggiungimento dello scopo. Essi sono: il rinnovamento spirituale, consistente in autentica conversione e santità di vita; la supplice preghiera continua, unanime e condivisa, per l’unità; l’amorevole conoscenza reciproca; la cooperazione coi fratelli separati nelle opere di carità. L’invito ai padri da parte di Martin consiste nel rassicurarli che, nella preparazione e nella discussione di questo schema, si è fatto di tutto e ancora si dovrà fare lo stesso, per eliminare ogni compromesso, ogni forma di ambiguità e di machiavellismo, per lasciarsi guidare da rettitudine d’intenzione e purezza di cuore nella ricerca sincera della verità. Perciò si è altresì evitato di ribadire e ricordare con crudezza le differenze che ci dividono, al 26 Ovviamente la chiarificazione principale sarà quella che emergerà nella discussione sul capitolo I, n. 8 § 2 della Lumen Gentium, relativo al “Mistero della Chiesa”, là dove si dice che «l’unica Chiesa di Cristo, che nel Simbolo professiamo una, santa, cattolica e apostolica […], in questo mondo costituita e organizzata come società, sussiste (subsistit) nella Chiesa cattolica, governata dal successore di Pietro e da Vescovi in comunione con lui, ancorché al di fuori del suo organismo si trovino parecchi elementi di santificazione e di verità, che, quali doni propri della Chiesa di Cristo, spingono verso l’unità cattolica» (LG I, 8 § 2). 13 50° del Vaticano II Foligno 5 dicembre 2015 fine di non rinnovare inutilmente il dolore. Con grande finezza psicologica e spirituale Martin insiste anche sulla necessità dell’autentico dialogo come unico metodo di rapporto tra cristiani separati: occorre dire la verità, non sottacerla, occorre però dirla in modo tale che essa possa essere autenticamente intesa nel suo senso da parte dell’ascoltatore, e in modo tale che tanto chi parla quanto chi ascolta possano, con reciproco aiuto, comprendere insieme, in modo sempre più profondo, la Parola di Dio. Nel modo più assoluto il dialogo non nasce dall’indifferentismo e non termina ad esso. Il vero dialogo si rifiuta di tacere una verità, ma al tempo stesso vuole esprimerla evitando qualsiasi durezza nel parlare, affinché la verità sia ascoltata e sia perfettamente intesa27. È pure importante sottolineare che Martin si sentì in perfetta sintonia con lo spirito ecumenico di Paolo VI, come confermano le parole finali della sua relazione, direttamente riprese da un’allocuzione di Paolo VI agli osservatori: «après de si longues années de séparation, après de si douloureuses polémiques, recommencer à s’aimer les uns les autres: voilà ce qui rend cette rencontre mémorable et plaine de promesses»28. Il dibattito sullo schema Si sa che, nel dibattito sullo schema, la maggioranza dei padri, sia pure con riserve a proposito di qualche punto particolare, si dichiarò a favore del medesimo. Tuttavia non mancarono osservazioni pesanti e orientamenti profondamente diversi da quello espresso dal Segretariato. Tra gli interventi contrari spicca in particolare quello del cardinal Ernesto Ruffini, arcivescovo di Palermo, tipico rappresentante dell’«intransigentismo» cattolico italiano29. Egli esprime le sue perplessità a partire dall’uso del termine “ecumenismo” che ritiene ambiguo, in quanto non 27 Cfr. AS II, 5, pp. 475-476. 28 Ibid., p. 479. 29 Cfr. Grootaers, Protagonisti del Concilio, cit., pp. 486-494. Il testo del suo intervento si trova in AS II, 5, pp. 528-530. 14 Unitatis Redintegratio Franco Buzzi coincidente con la qualifica di “ecumenico” con la quale si denota il Concilio Vaticano II. Il Concilio è ecumenico, perché è “universale”, mentre il termine “ecumenismo” qui, in casa cattolica, indica soltanto un certo tipo di apostolato. Inoltre tale vocabolo viene usato dai protestanti con un’accezione diversa da come lo usano i cattolici: essi intendono con questa parola il movimento che dovrebbe far passare tutte le chiese esistenti dalla loro attuale forma ecclesiale, che è solo un prodotto inventato dagli uomini – Chiesa cattolica compresa! –, alla vera chiesa voluta da Dio. È dunque per lo meno necessario un lavoro che precisi il termine “ecumenismo” sottraendolo a qualsiasi fraintendimento possibile. Vorrebbe inoltre che nel testo del decreto apparisse in modo più chiaro quale tipo di ecumenismo si intenda proporre e promuovere: esso, secondo lui, in accordo con tutta la tradizione, non può essere inteso in altro modo che come “ritorno” dei fratelli separati all’unico ovile di Cristo, «cuius Supremus Pastor invisibilis est Christus, visibilis autem Christi Vicarius Summus Pontifex»30. Vorrebbe altresì che si precisasse che esiste una maggiore vicinanza tra la Chiesa cattolica e le chiese orientali, piuttosto che con i protestanti e le loro innumerevoli sette. Ruffini constata anche una certa mancanza di ordine espositivo nello schema e chiede che si produca un testo più succinto, visto che le medesime questioni sulla natura della Chiesa sono già trattate nello schema de Ecclesia. L’intervento dell’arcivescovo di Palermo comprende anche osservazioni relative agli ultimi due capitoli dello schema (rapporto con i non-cristiani e libertà religiosa), aspetti dai quali, ai nostri fini, possiamo qui prescindere. È interessante ricordare come l’esperto conciliare Yves Congar, dopo avere assistito in aula agli eventi del 18 novembre, abbia premurosamente annotato nel suo diario: 30 AS II, 5, p. 529. 15 50° del Vaticano II Foligno 5 dicembre 2015 Lettura della relazione sullo schema De oecumenismo […], fatta dal cardinale Cicognani stesso. È un testo piuttosto mediocre, nello stile delle encicliche, che pretende di dire che la Chiesa ha sempre fatto quello che si doveva fare: che è falso. Non c’è spirito ecumenico in questo testo. Ma il fatto che sia il segretario di Stato stesso a leggerlo potrà disarmare alcuni oppositori, o almeno tranquillizzarli. […] Mons. Martin legge poi con sentimento e un certo tono d’interiorità la relatio generale. Il tono del testo è molto diverso, ha un pathos cristiano! […] La relatio è ampiamente applaudita. Molti, sicuramente, ne hanno ricavato un’emozione. […] Raccolgo le mie impressioni della seduta di stamattina. Si sono chiaramente manifestate due mentalità, o, meglio, due mondi: che abisso fra l’evangelismo della relatio di mons. Martin e coloro che, come Ruffini e i due cardinali spagnoli, sono soltanto attaccati a un passato… superato31!!! Se il cardinal Ruffini, come si è detto, impersonava al meglio la posizione cattolica tradizionale32, l’intervento del cardinale americano Joseph Ritter, che parlò anche a nome di un gruppo di vescovi degli Stati Uniti, faceva intravvedere nuove prospettive e aperture33. Da lui venne un apprezzamento incondizionato alla linea tracciata dal documento presentato da Martin: esso andava nella direzione giusta dell’«aggiornamento», tanto caldeggiato dal Concilio stesso; significava la fine delle polemiche controriformistiche e suggeriva i giusti mezzi per arrivare all’unità, tramite la preghiera, lo studio, il dialogo e l’azione. Da buon americano, sensibile portatore della cultura della tolleranza, dei diritti umani e, in particolare, 31 Y. Congar, Diario del Concilio, 2 voll., San Paolo, Cinisello Balsamo 2005, vol. I, pp. 480-484, con tagli. 32 Ruffini ritornò sull’argomento nella discussione dello schema il 2 dicembre, ribadendo la sua tesi dell’ecumenismo del ritorno: «Manifestum est Oecumenismum, qua apostolatum ad fratres christianos seiunctos nobiscum coniungendos, respondere non solum fragranti desiderio Regnum Christi, secundum Dei voluntatem, extendendi, sed etiam modernae necessitati, quam Patres conciliares omnes in suis animis alte sentiunt», AS II, 6, p. 339. 33 AS II, 5, pp. 536-538. 16 Unitatis Redintegratio Franco Buzzi della libertà religiosa34, Ritter sottolineò anzitutto che la questione della libertà religiosa avrebbe meritato di essere trattata come la premessa e il presupposto indispensabile per impostare in modo adeguato la questione dell’ecumenismo35. Poi insistette sulla necessità di presentare in modo ancora più chiaro, nell’esporre i principi dell’ecumenismo, l’importanza della celebrazione eucaristica «sicut signum et causa unitatis Ecclesiae», di affermare esplicitamente la validità degli ordini e dei sacramenti delle Chiese orientali, e di evitare, per quanto possibile, una terminologia che sarebbe potuta apparire offensiva, per esempio, astenendosi dall’esprimere giudizi sulla validità delle ordinazioni e dell’eucaristia celebrata dai protestanti, e caldeggiando l’uso del termine Chiesa/ Chiese anche per le cosiddette comunità ecclesiali. Qui andrebbe ricordato anche il parere espresso, nel gennaio 1963, dal teologo di Taizé, Max Thurian, il quale ponendosi dal punto di vista delle comunità protestanti, dichiarava che, agli occhi dei non-cattolici, il rifiuto da parte della Chiesa romana del titolo di «chiese» alle comunità cristiane nate dalla Riforma, poteva apparire come «une espéce de “mesquinerie”» e che, viceversa, il Concilio avrebbe dato un grande segno efficace di unità «en acceptant ce titre d’Églises»36. Il giorno successivo, cioè il 19 novembre 1963, i cardinali Paul-Émile Léger, arcivescovo di Montréal, e Franz König, arcivescovo di Vienna, diedero parere positivo e offrirono 34 Ibid., p. 537: «Oportet incorporari considerationes de libertate absoluta actus fidei; de dignitate humanae personae necnon eius conscientia inviolabili; ac de incompetentia totali gubernii civilis in iudicio ferendo super Evangelium Christi et eius inetrpretationem. Proinde declaratio haec reaffirmabit independentiam completam Ecclesiae ab ullo gubernio civili in adimplenda eius missione». 35 Ibidem: «Cum consideremus libertatem religiosam esse fundamentum et praerequisitum relationum aecumenicarum cum aliis corpribus christianis, strenue urgemus ut tractatio de hoc subiecto incorporetur intra schema ante considerationem exercitii oecumenismi». 36 Cfr. Velati, Una difficile transizione, cit., p. 356. 17 50° del Vaticano II Foligno 5 dicembre 2015 appoggio allo schema sull’ecumenismo. L’arcivescovo canadese, Léger, trovò il documento in piena sintonia con lo slancio ecumenico di Giovanni XXIII e Paolo VI: questa nuova disposizione spirituale, a operare per l’unità dei cristiani, non può essere interpretata come un mero slancio affettivo o sentimentale di generosità, che presto è votato a svanire. «Haec nova dispositio mentis revera ab Evangelio inspiratur, a Spiritu Sancto procedit, nec nos recedere possumus»37. Poi esprime anche, con delicatezza, qualche preoccupazione a motivo di ciò che questo nuovo spirito richiede ai credenti cattolici: «Pondus historiae superare debemus» e dobbiamo superare anche un atteggiamento ispirato meramente alla prudenza dell’attesa, per preferire una nuova prudenza, quella richiesta dal dialogo: «Prudentia quae non ad solam tuitionem sed et ad unionem tendit, prudentia vera est et catholica»38. Anche il cardinal König riscontra nello schema le intenzioni del Concilio Vaticano II e quelle che furono già di papa Giovanni XXIII e ora sono proprie di Paolo VI. Propone alcuni miglioramenti al testo e in particolare ritiene che il semplice titolo di «comunità» uscite dalla Riforma non sia sufficiente a dar ragione degli elementi ecclesiali efficacemente presenti in esse. Perciò propone che esse vengano chiamate «comunità ecclesiali», «inquantum sunt communitates elementis ecclesiasticis informatae»39. Tuttavia occorre ricordare che l’intervento più notevole del 19 novembre fu quello del vescovo coadiutore di Strasburgo, Léon-Arthur Elschinger40. Nelle sue parole, che invitano i padri a mettere in chiaro alcune condizioni alle quali soltanto l’ecumenismo potrà avere seguito nella Chiesa cattolica, si sente lo stesso afflato evangelico che ispirò la relazione di mons. Martin. La prima condizione è la disponibilità da parte cattolica a riconoscere e confessare gli errori commessi contro la 37 38 39 40 18 AS II, 5, p. 551. Ibidem. Ibid., p. 554. Ibid., pp. 562-566. Unitatis Redintegratio Franco Buzzi verità in alcuni periodi della storia, quando capitò che la divina verità rivelata «maiore cum fervore a fratribus nostris seiunctis honorata fuit»41. La seconda consiste nel fatto di voler riconoscere, spontaneamente e insieme, quel tanto di verità che le dottrine dei fratelli separati contengono, smettendo di considerarle, com’è stato fatto per secoli, integralmente false. In terzo luogo è tempo di assumere un atteggiamento meno passivo e statico nei confronti della verità rivelata e di lasciarci stimolare, con fede viva, anche dai fratelli separati a una comprensione sempre più profonda della verità che non è mai posseduta perfettamente da nessuno, «quamdiu in itinere sumus»42. Infine occorre cominciare a distinguere tra unità nella fede e la legittima diversità nelle opinioni teologiche, la quale non compromette l’unità della fede, della carità e del culto divino: la diversità non è un impedimento, ma una ricchezza, che meglio ci introduce alla pienezza della verità che supera le nostre forze43. Anzi, queste legittime differenze di dottrina, di culto e di devozione vanno riconosciute e promosse tra i nostri fratelli separati44. Iter finale e approvazione del documento La votazione del 21 novembre 1963 approvò a larghissima maggioranza lo schema nei suoi primi tre capitoli. Da questo momento in poi l’iter del De oecumenismo – che fu modificato dal Segretariato, tenendo conto del materiale raccolto e dei suggerimenti pervenuti45 – comportò 41 Ibid., p. 563. 42 Ibid., p. 564. 43 Ibidem. 44 Ibid., p. 565: «dico: fratres nostri seiuncti ius habent ut in illis istas differentias noin certe ignoremus vel recusemus, sed fraterne, admiranter et concordi zelo foveamus». 45 Per le modifiche del testo che era stato approvato il 21 novembre 1963, vedi in modo sintetico: L. Jaeger, Il decreto conciliare “Sull’ecumenismo”. Storia, contenuto e significato, Morcelliana, Brescia 1965, pp. 34-35. 19 50° del Vaticano II Foligno 5 dicembre 2015 un andamento sostanzialmente positivo e favorevole all’approvazione finale, tant’è vero che, alla fine del terzo periodo, scorporati definitivamente i capitoli che riguardavano la relazione con le religioni non cristiane e la libertà religiosa, i tre capitoli sull’ecumenismo, vennero approvati con la stragrande maggioranza dei voti tra il 10 e il 14 novembre 196446. Nulla faceva sospettare che nei giorni successivi, tra il 15 e il 20 novembre, ci sarebbe stato un triplice intervento di Paolo VI, con richieste pressanti al Segretariato per l’unità dei cristiani di apportare nuove modifiche, delle quali l’assemblea conciliare era del tutto all’oscuro47. In ogni caso, il decreto fu votato con esito assolutamente favorevole il 20 novembre 1964 e il giorno successivo. Il 21 novembre fu promulgato da Paolo VI. Si pensa che queste ultime esitazioni del papa siano state indotte, in parte, da giochi della minoranza che non accettava l’approvazione del decreto, e, in parte, da scrupoli stilistici e precisione dottrinale attribuibili al temperamento dello stesso Paolo VI48. Il testo finale, in ogni caso, è risultato immutato nella sua sostanza. L’ecumenismo di Paolo VI Qui approfitto per precisare i sentimenti autenticamente ecumenici di papa Paolo VI. Com’è noto papa Giovanni morì il 3 giugno 1963. Il cardinale Giovanni Battista Montini, arcivescovo di Milano, fu eletto papa, con il 46 Cfr. Storia del Concilio Vaticano II, diretta da G. Alberigo, vol. IV: A. Melloni (a cura di), La chiesa come comunione. Il terzo periodo e la terza intersessione, settembre 1964-settembre 1965, Il Mulino, Bologna 1999, p. 436. 47 Ibid., pp. 437-440. Sull’intervento finale di papa Paolo VI, cfr. anche P. Duprey, Paul VI et le décret sur l’oecuménisme, in Paolo VI e i problemi ecclesiologici al Concilio. Colloquio internazionale di studio, Brescia 19-20-21 settembre 1986, Istituto Paolo VI, Brescia 1989, pp. 238-248, 48 Melloni (a cura di), La chiesa come comunione, cit., pp. 442444. 20 Unitatis Redintegratio Franco Buzzi nome di Paolo VI, il 21 giugno dello stesso anno. Benché, in qualche momento della sua vita, non gli fosse stata del tutto estranea l’idea di un ecumenismo del ritorno49, fin da subito fu chiara la sua volontà di continuare l’opera del Concilio e l’impegno per l’ecumenismo50. Per lui era evidente che il Concilio, pur mantenendosi nella propria tradizione dottrinale, avrebbe potuto sfrondare elementi che nella Chiesa potevano rappresentare qualche ostacolo nel rapporto di confronto e dialogo con le altre confessioni. Tanto i primi discorsi di Paolo VI quanto i suoi interventi durante la seconda fase del concilio sono stati studiati da Pierre Duprey, che ha indubbiamente riscontrato una visione ecumenicamente aperta, corroborata anche da gesti altamente simbolici e coraggiosi: penso alla pubblica richiesta di perdono ai fratelli separati al momento di apertura del secondo periodo conciliare (29 settembre 1963)51 e al pellegrinaggio del papa a Gerusalemme, nel gennaio 1964, per incontrare il patriarca Atenagora di Costantinopoli, il patriarca Benedetto di Gerusalemme e il patriarca armeno di Gerusalemme52. Il «mistero della Chiesa» e il significato pieno del documento finale Non posso qui addentrarmi in un’analisi, né generale né particolare, del documento finale53. Intendo però, alla 49 Velati, Una difficile transizione, cit., p. 375. 50 Ibid., p. 374; Duprey, Paul VI et le décret sur l’oecuménisme, cit., pp. 225-238. 51 Summi Pontificis Pauli VI allocutio secunda Ss. Concilii periodo ineunte, in Il Concilio Vaticano II, cit., p. [107], n. 176*. 52 Cfr. Duprey, Paul VI et le décret sur l’oecuménisme, cit., pp. 233-238. 53 Decretum de Oecumenismo (= UR), in Il Concilio Vaticano II, cit., pp. 286-325. Per l’edizione sinottica del testo, accompagnato dai documenti relativi all’iter, vedi: F. Gil Hellín, Decretum de Oecumenissmo Unitatis Redintegratio, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2005; Per uno sguardo sintetico sul contenuto: J.- 21 50° del Vaticano II Foligno 5 dicembre 2015 luce del suo iter, porre in evidenza lo spirito e il significato ecumenico di cui esso è l’effettiva rappresentazione54. Abbiamo potuto osservare, come, durante le discussioni conciliari, si siano confrontate almeno due tendenze principali: quella di una minoranza tradizionale e conservatrice e quella di una maggioranza aperta agli sviluppi promettenti dell’ecumenismo. Il decreto sull’ecumenismo, rappresenta un’applicazione pastorale della costituzione dogmatica sulla Chiesa. Esso, nelle sue formulazioni dottrinali, dipende in tutto e per tutto dalle questioni poste a proposito della Chiesa. Questa, nella Lumen Gentium, è stata definita come «mistero» in cui si manifesta e si compie il «mistero di Cristo». L’idea tradizionale dell’ecumenismo inteso come un puro e semplice “movimento di ritorno” presupponeva la realtà di una chiesa assunta in senso rigorosamente giuridico, come il blocco monolitico di una societas perfecta, alle cui strutture non si può più aggiungere nulla, né dall’interno né dall’esterno. Chi è fuori non può farne parte, se non rientrando in essa. Al più, nella linea di un ecumenismo ai primi passi in casa cattolica, si poteva parlare per le confessioni cristiane non cattoliche, di una specie di votum, cioè del desiderio di entrare a far parte della Chiesa cattolica. Ma sono evidenti i limiti di questa concezione: il votum è per lo più individuale, non riguarda una formazione ecclesiale nel suo insieme; inoltre il votum definisce in senso qualitativamente troppo M. Mayeur (a cura di), Krise und Erneuerung (1958-2000), Deutsche Ausgabe, Herder, Freiburg-Basel-Wien 2002 (= Die Geschicte des Christentums, 13), pp. 88-89; K. Rahner-H. Vorgrimler, Kleines Konzilskompendium, Herder, Freiburg-Basel-Wien, 1966, 200330, pp. 217-227 (introduzione particolare al decreto). 54 Mi riferisco a due testi fondamentali: Y. Congar, Le développemente de l’évaluation ecclésiologique des Églises noncatholiques, in G. Békés-V. Vajta (a cura di ), Unitatis redintegratio 1964-1974. The impact of the decree on ecumenism, Editrice Anselmiana, Roma 1977, pp. 63-97; J. Ratzinger, Mon Concile Vatican II, Éditions Artège, Paris 2011, pp. 116-134. 22 Unitatis Redintegratio Franco Buzzi generico il particolare rapporto che dovrebbe vincolare una confessione non cattolica alla Chiesa cattolica, tant’è vero che tale votum potrebbe definire anche la possibile relazione che collega i non credenti a coloro che professano la fede cattolica. Oppure si faceva ricorso alla teoria, ultimamente agostiniana, dei vestigia, cioè dei “resti” o “rimasugli” della Chiesa vera, quella cattolica, che rimarrebbero nelle comunità ecclesiali che si sono separate. In realtà il Concilio Vaticano II intese fare certamente un passo in avanti anche rispetto a questa concezione dei vestigia, che in fondo presuppone sempre la Chiesa di Cristo come perfettamente e esclusivamente identica con la Chiesa cattolica, compiutamente definita anche nelle sue strutture giuridiche. Infatti il Vaticano II afferma che la Chiesa di Cristo non si identifica puramente e semplicemente con la Chiesa cattolica romana. Certo, la Chiesa di Cristo esiste nella (subsistit in)55 Chiesa cattolica, governata dal successore di Pietro e dai vescovi in comunione con lui, dove l’espressione subsistit in (espressione ripresa in UR)56 consente di riconoscere al tempo stesso che la Chiesa cattolica è la Chiesa di Cristo e degli apostoli, e che, cionondimeno, l’unica Chiesa di Cristo non si riduce affatto alla Chiesa cattolica, perché anche in altre chiese o comunità ecclesiali si trovano numerosi elementi di santificazione e di verità: tra gli elementi o beni dal complesso dei quali la stessa Chiesa è edificata e vivificata, alcuni, anzi, parecchi e segnalati, possono trovarsi fuori dei confini visibili della Chiesa cattolica, come la Parola di Dio scritta, la vita della grazia, la fede, la speranza e la carità, e altri doni interiori dello Spirito Santo ed elementi visibili: tutte queste cose, le quali provengono da Cristo e a lui conducono, giustamente appartengono all’unica Chiesa di Cristo57. La Chiesa cattolica è dunque la vera Chiesa di Cristo in 55 56 57 LG 8, § 2, in Il Concilio Vaticano II, cit., p.137, n. 305. UR I, 4 § 3, in ibid., cit., p. 297, n. 510. UR I, 3 § 2, in ibid., cit., p. 293, n. 504. 23 50° del Vaticano II Foligno 5 dicembre 2015 senso propriamente “precisivo”, non “esclusivo”: anche i cristiani che non fanno parte della Chiesa cattolica sono nondimeno membra del corpo di Cristo che è la Chiesa. Essi sono in comunione reale e vera con la Chiesa, anche se la loro comunione è imperfetta58. Il linguaggio è dunque di comunione, non di esclusione: di «comunione» che prevede gradi o livelli diversi di «partecipazione». In tal modo, la visione conciliare della Chiesa fondata su Cristo non consente una considerazione meramente giuridica dell’istituzione ecclesiastica, ma richiede un’ecclesiologia che ponga in piena luce e in primo piano il «mistero della Chiesa» come frutto del «mistero di Cristo» e dell’iniziativa della Trinità. La Chiesa acquista tutto il suo significato a partire dall’Incarnazione, dalla Pentecoste e dal compimento escatologico del Regno di Dio: proprio questa visone misterico-spirituale richiede che tra gli “elementi o i beni” costitutivi della Chiesa figurino, anche e a pieno titolo, gli elementi spirituali personalmente e comunitariamente vissuti59. È altresì ovvio che, da questo punto di vista, la Chiesa cattolica, pur essendo «lo strumento generale di salvezza», per mezzo del quale «si può ottenere tutta la pienezza dei mezzi di salvezza»60, non garantisce ai fedeli cattolici che le appartengono una perfezione tale che, nella storia e nel tempo che ci separa dalla visione beatifica, non possa essere incrementata, incoraggiata e soccorsa dai doni che lo Spirito del Risorto diffonde anche nelle altre confessioni cristiane. L’entusiasmo e la freschezza ecumenica che si è registrata attorno al Concilio Ecumenico Vaticano II, sotto i due pontificati di Giovanni XXIII e Paolo VI, si smorzò nel decennio della contestazione, la quale a sua volta determinò un orientamento di ricerca di identità confessionale sia 58 Cfr. UR I, 3 §1, ibidem, n. 503. Vedi Congar, Le développemente de l’évaluation, cit., pp. 72-73. 59 Cfr. Congar, Le développemente de l’évaluation, cit., pp. 7879. 60 UR I, 3 § 5, in Il Concilio Vaticano II, cit., p. 295, n. 507. 24 Unitatis Redintegratio Franco Buzzi in campo protestante che in campo cattolico61. Per ridare animo al movimento ecumenico, penso sia più che mai opportuna un ripresa serena di studi su quel prodigio di vita spirituale che fu il tempo del Concilio, le cui fonti di dottrina e di spiritualità sono ancor oggi tutt’altro che esauste. 61 A modo di sintesi si veda: È. Fouilloux, L’ecumenismo da Giovanni XXIII a Giovanni Paolo II, in Guasco-Guerriero-Traniello (a cura di), La chiesa del Vaticano II, cit., II, pp. 249-270. 25 Finito di stampare il 7 dicembre 2015 in edizione elettronica L’INVITO RIPENSANDO IL CONCILIO VATICANO II ECUMENISMO RAPPORTO CON LE RELIGIONI NON CRISTIANE LIBERTÀ RELIGIOSA TRA DUE PONTIFICATI SABATO 05/12/15 CON IL PATROCINIO DI PALAZZO TRINCI 09:00-13:00 DIOCESI DI FOLIGNO 15:30-19:00 FOLIGNO COMUNE DI FOLIGNO REGIONE UMBRIA LA LOCANDINA