Franco Buzzi CONFRONTO E DIALOGO INTERNO ED ESTERNO Il

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Franco Buzzi CONFRONTO E DIALOGO INTERNO ED ESTERNO Il
Franco Buzzi
CONFRONTO E DIALOGO
INTERNO ED ESTERNO
Il decreto Unitatis Redintegratio
sull'unità dei cristiani
Per i 50 anni dal Vaticano II
Milano-Foligno, 5 dicembre 2015
© Edizioni Newsletter
Veneranda Biblioteca Ambrosiana. Milano 2015
Franco Buzzi
Il decreto Unitatis Redintegratio
sull’unità dei cristiani
Tra i documenti più significativi del Concilio Ecumenico
Vaticano II figura senz’altro il decreto sull’ecumenismo,
Unitatis redintegratio (1964). Con esso la Chiesa cattolica
entrò nel vivo della problematica ecumenica che l’aveva
vista assente e arroccata sulle sue posizioni durante gli
anni in cui le altre confessioni cristiane si erano raccolte
nel «Consiglio ecumenico delle chiese» (CEC), nato ad
Amsterdam nel 1948. Non è qui il caso di ripercorrere, sia
pure velocemente, le diverse fasi del movimento ecumenico,
da poco dopo la metà dell’Ottocento fino al Vaticano II. A
questo scopo esistono già ottimi strumenti1. Qui mi limito
soltanto a riferire l’atteggiamento significativo di K. Barth,
quando, constatando l’assenza della Chiesa cattolica
alla sessione plenaria del CEC ad Amsterdam (23 agosto
1948), aveva giudicato un fatto provvidenziale l’assenza
di Roma e di Mosca, come se si trattasse di un’opportuna
liberazione
da compagni con cui non potremmo neppure
formare qui una comunità imperfetta, perché […]
non vogliono fare il passo che li potrebbe condurre
dal clericalismo a Gesù Cristo: unica condizione che
possa permettere un dialogo o anche un semplice
incontro tra cristiani di tradizioni e origini diverse2.
1
Oltre all’opera monumentale R. Rouse-S.C. Neill-H. Fey, Storia
del movimento ecumenico, 4 voll., Il Mulino-Dehoniane, Bologna
1973-1982; P. Neuner, Breve manuale dell’ecumene, Queriniana,
Brescia 1986; P.F. Fumagalli, Ecumenismo, Bibliografica Editrice,
Milano 1996; L. Sartori, L’unità dei cristiani. Commento al decreto
conciliare sull’ecumenismo, Messaggero, Padova 1992, pp. 7-32; É.
Fouilloux, Il cammino dell’ecumensimo, in M. Guasco-E. Guerriero-F.
Traniello (a cura di), I cattolici nel mondo contemporaneo, Edizioni
Paoline, Cinisello Balsamo 1991 (= A. Flische-V. Martin, Storia della
Chiesa, XXIII), pp. 495-516.
2
Cito da L. Sartori, L’unità dei cristiani, cit., p. 36.
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Un cambiamento di clima. Giovanni XXIII e l’ecumenismo
La situazione era profondamente cambiata, quando
Giovanni XXIII, il 25 gennaio 1959, convocato il Sacro
Collegio nell’Aula Maggiore del Monastero di S. Paolo fuori
le Mura, annunciava il suo intento di tenere il Sinodo
diocesano per Roma, di indire il Concilio Ecumenico
e di procedere all’aggiornamento del Codice di Diritto
Canonico3, ma soprattutto concludeva il suo discorso con
un toccante accenno alla questione ecumenica:
Da tutti imploriamo un buon inizio, continuazione,
e felice successo di questi propositi di forte lavoro,
a lume, ad edificazione ed a letizia di tutto il popolo
cristiano, a rinnovato invito ai fedeli delle Comunità
separate a seguirCi anch’esse amabilmente in
questa ricerca di unità e di grazia, a cui tante anime
anelano da tutti i punti della terra4.
Anzi, non è fuori luogo ricordare che il testo preparato e
letto da Giovanni XXIII in quella circostanza era ancor più
attento e ben disposto nei confronti dei cristiani delle altre
confessioni. Intendeva infatti esprimere «un amabile e
rinnovato invito ai fedeli delle Chiese separate a partecipare
con noi a questo convito di grazia e di fraternità, a cui
tante anime anelano da tutti i punti della terra»5. Questa
3
Discorsi Messaggi Colloqui del Santo Padre Giovanni XXIII,
vol. I, Tipografia Poliglotta Vaticana, Città del Vaticano 1963 (1a
ristampa), pp. 129-133, in particolare, p. 132.
4
Ibid., p. 133.
5
L’edizione originale del discorso è stata pubblicata da L.
Capovilla. A essa si riferisce il commento di A. Melloni, “Questa
festiva ricorrenza”. Prodromi e preparazione del discorso di annuncio
del Vaticano II, «Rivista di storia e letteratura», 28 (1992), pp. 607643, in particolare p. 630, con p. 641, ll. 445-456; cfr. R. Aubert, La
preparazione, in M. Guasco-E. Guerriero-F. Traniello (a cura di),
La chiesa del Vaticano II (1958-1978), 2 voll., San Paolo, Cinisello
Balsamo 1994 (= A. Flische-V. Martin, Storia della Chiesa, XXV/12), I, p. 132.
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sensibilità ecumenica, che apre al comune banchetto
della verità, della grazia e della fraternità, emergerà poi in
modo del tutto ufficiale a dare corpo a uno dei compiti, se
non il principale, dell’intero Concilio, il quale vorrà essere
appunto “ecumenico”. Il papa ne parlò, nella sua solenne
allocuzione di apertura (11 ottobre 1962), dopo aver
precisato che la salvezza voluta da Dio per tutti gli uomini
(cfr. 1 Tim 2,4), viene garantita dalla pienezza della verità
fedelmente trasmessa, promossa e difesa:
La Chiesa cattolica ritiene pertanto suo dovere
adoperarsi attivamente perché si compia il gran
mistero di quella unità, che Gesù Cristo ha
invocato con ardente preghiera dal Padre celeste
nell’imminenza del suo sacrificio. […] Anzi, a ben
considerare questa stessa unità, impetrata da
Cristo per la sua Chiesa, sembra quasi rifulgere
di un triplice raggio di superna luce benefica:
l’unità dei cattolici tra di loro, che deve conservarsi
esemplarmente saldissima; l’unità di preghiera e
di ardenti desideri con cui i cristiani separati da
questa Sede Apostolica aspirano ad essere uniti con
noi; infine l’unità nella stima e nel rispetto verso
la Chiesa cattolica, da parte di coloro che seguono
religioni ancora non cristiane6.
Il particolare interesse di papa Giovanni per il discorso
ecumenico risulta anche dall’istituzione di un Segretariato
per l’unità dei cristiani. Il 16 maggio 1959 Giovanni
XXIII aveva istituito la Commissione antepreparatoria,
presieduta dal Cardinale di Stato Domenico Tardini (18881961), il quale, com’è noto, era assai poco interessato al
discorso ecumenico e per nulla affatto preoccupato di
6
Giovanni XXIII, Allocuzione del Sommo Pontefice nel
solennissimo rito di apertura, in Discorsi Messaggi Colloqui, cit., vol.
IV, pp. 587-588. Cfr. Ioannis XXIII allocutio, in Il Concilio Vaticano
II, testo ufficiale e traduzione italiana (= Enchiridion Vaticanum.
Documenti), a cura del Centro Dehoniano, Edizioni Dehoniane,
Bologna 1968, VI edizione (ristampa), pp. [48]-[49]. Sullo spirito di
questo discorso, improntato più all’accoglienza che non alla condanna,
vedi G. Alberigo, Breve storia del concilio Vaticano II, Il Mulino,
Bologna 2005, pp. 43-45.
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mettersi in ascolto del mondo7. Era perciò abbastanza
urgente garantire fin dagl’inizi un’attenzione adeguata
alla problematica del rapporto con i cristiani non cattolici,
sottraendo al Sant’Uffizio la competenza diretta in materia
e garantendo al tempo stesso la possibilità di superare
quell’atteggiamento di diffidenza che per molti secoli
aveva caratterizzato le relazioni intercorse tra cattolici e
non cattolici8. Ciò accadde abbastanza presto, quando il 5
giugno 1960, il papa con il motu proprio Supremo Dei nutu
istituì gli organi incaricati della preparazione diretta del
Concilio. Nacquero così le dieci commissioni preparatorie,
subordinate a una commissione centrale, alla quale
vennero affidati compiti di supervisione e coordinamento
dell’intero lavoro della singole commissioni. Con lo stesso
motu proprio il papa istituiva anche il Segretariato per
l’unità dei cristiani e ne stabilì il compito nel modo
seguente:
Mostrare maggiormente il nostro amore e la nostra
benevolenza verso coloro che si chiamano cristiani,
ma sono separati da questa Sede Apostolica,
affinché essi possano seguire i lavori del Concilio
e più facilmente trovare la via per raggiungere
quell’unità per la quale Gesù Cristo rivolse al Padre
celeste così ardente preghiera9.
Il Segretariato per l’unità dei cristiani
Sembrava dunque che il Segretariato, presieduto da
Agostino Bea – il quale si avvalse dell’opera di Mons. Jan
7
Cfr. Aubert, La preparazione, cit., I, pp. 135-136.
8
Cfr. G. Alberigo, Il pontificato di Giovanni XXIII, in GuascoGuerriero-Traniello (a cura di), La chiesa del Vaticano II, cit., I, p. 27.
9
Prendo la citazione da Aubert, La preparazione, cit., I, p. 140.
Sull’istituzione del Segretariato e la sua fondamentale importanza
per l’orientamento ecumenico del Concilio esplicitamente voluto da
Giovanni XXIII, vedi S. Schmidt, Giovanni XXIII e il Segretariato per
l’unione dei cristiani, «Cristianesimo nella storia», 8 (1987), n. 2, pp.
95-117; S. Schmidt, Agostino Bea il cardinale dell’unità, Città Nuova,
Roma 1987, pp. 342-351.
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Willebrands come segretario del nuovo organismo –, avesse
soprattutto il compito di mantenere buone relazioni con i
non cattolici. Effettivamente esso contribuì efficacemente
a preparare l’invito degli “osservatori” non cattolici al
Concilio. Sotto la direzione di Bea e di Willebrands il
Segretariato si compose di 17 membri e 20 consultori, si
articolò in 14 sottocommissioni e preparò ben 6 progetti di
decreto sull’ecumenismo cattolico, sulla libertà religiosa
e sugli ebrei. Mauro Velati ha studiato molto bene quali
siano stati i compiti svolti dal questo organismo. Oltre a
esercitare una funzione generale di vigilanza sul lavoro
di tutte le commissioni, affinché non andasse perduta
o non venisse contraddetta l’intenzione ecumenica
originariamente voluta da Giovanni XXIII, il Segretariato,
che andava elaborando testi propri su specifiche
tematiche ecumeniche10, concepiva tutti i propri lavori
in funzione del dialogo con i cristiani separati, creando
le premesse «per l’inserimento della chiesa cattolica nel
più grande movimento verso l’unità cristiana»11. Il lavoro
del Segretariato si svolse in una costante capacità di
ascoltare e di dialogare con gli osservatori non cattolici. Di
fatto esso seppe recepire serenamente e fruttuosamente
le critiche dei non cattolici, come quella del Pastore H.
Roux, osservatore dell’Alleanza mondiale presbiteriana, e
del Dr. L. Vischer, rappresentante del Consiglio mondiale
delle Chiese di Ginevra. Il primo metteva in guardia –
nel trattare dell’unità della Chiesa da parte dei cattolici
–, da ogni specie di “proselitismo tattico”, allo scopo di
ricondurre le chiese non cattoliche all’ubbidienza di Roma;
tanto Roux quanto Vischer ritenevano che occorresse
ripensare profondamente l’ecclesiologia, superando
una comprensione troppo giuridica, per cercare, invece,
di esprimere la realtà della chiesa a partire da Cristo
10
M. Velati, Una difficile transizione. Il cattolicesimo tra
unionismo ed ecumenismo (1952-1964), Il Mulino, Bologna 1996, pp.
331-332.
11
M. Velati, La proposta ecumenica del segretariato per l’unità
dei cristiani, in G. Alberigo-A. Melloni (a cura di), Verso il Concilio
Vaticano II (1960-1962). Passaggi e problemi della preparazione
conciliare, Marietti, Genova 1993, p. 343.
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stesso, dal quale essa riceve tutto il suo essere e la sua
missione12. Di fatto, il 22 ottobre 1962, dunque appena
all’inizio del Concilio, Giovanni XXIII aveva elevato il
Segretariato per l’unità dei cristiani – che fino ad allora
era rimasto un organismo privo di prerogative giuridiche
– allo stesso rango delle commissioni conciliari. In tal
modo anche il Segretariato si trovò nella condizione di
poter presentare degli schemi da discutere in aula,
con la possibilità di provvedere alla loro successiva
rielaborazione ed eventualmente anche di “collaborare”
con altre commissioni su temi comuni. Si deve pure notare
un grande vantaggio sperimentato da questo organismo:
a differenza delle dieci commissioni, il Segretariato
si presentava fortemente omogeneo, nella direzione
auspicata da Giovanni XXIII. Tuttavia tale vantaggio
rappresentava al tempo stesso un limite: l’assenza di
qualche rappresentante della minoranza non favorì
per nulla la possibilità previa di verificare i testi, prima
dell’effettiva presentazione in aula, circa la loro effettiva
possibilità di essere recepiti positivamente13. Giovanni
XXIII aveva dato il massimo credito al Segretariato per
l’unità dei cristiani a motivo del suo rapporto personale
di fiducia con il gesuita tedesco Agostino Bea, uomo
religioso e dotto, che egli stimò moltissimo. Secondo Loris
Capovilla Bea fu tra gli “amici dell’anima” di Giovanni
XXIII, un amico con il quale Roncalli si apriva sempre,
perché tra i due correva una sensibilità comune, nutrita
da una preparazione spirituale post-tridentina assai
rigorosa, attenta al bene universale delle anime. Bea, in
particolare, condivideva in tutto e per tutto il programma
“pastorale” del Concilio, che non poteva risolversi in un
fatto intraecclesiale, ma doveva rispondere ai problemi
che affliggono l’umanità14. Tra il 1960 e il 1963 fu costante
12
Cfr. Velati, Una difficile transizione, cit., pp. 347-349.
13
Cfr. R. Aubert, Organizzazione e funzionamento
dell’Assemblea, in Guasco-Guerriero-Traniello (a cura di), La chiesa
del Vaticano II, cit., I, pp. 207-208.
14
Cfr. Velati, Una difficile transizione, cit., pp. 367-368.
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la fiducia accordata a Bea da Giovanni XXIII. Possiamo
tranquillamente dire, con Marco Velati, che tra il gesuita
tedesco e il papa passarono i dossier più importanti e
scottanti che qualificano l’intero pontificato di Giovanni
XXIII e anche il Concilio nel suo insieme15.
La messa a punto del documento sull’ecumenismo
La maturazione del testo finale sull’ecumenismo fu molto
faticosa, a partire dalle prime discussioni sullo schema Ut
omnes unum sint, che era stato redatto dalla Commissione
per le Chiese orientali, senza riguardo alcuno al mondo
e alla problematica protestante16. L’assemblea conciliare
decise che si elaborasse un testo comune, che fosse il
frutto di una commissione mista in cui partecipassero
il Segretariato per l’unità dei cristiani, la Commissione
teologica e la Commissione per le Chiese orientali17.
L’elaborazione del nuovo testo nei primi mesi del 1963
diede luogo, da capo, a spiacevoli episodi, a motivo di una
mancata intesa tra il Segretariato e la Commissione per
le Chiese orientali, circa il III capitolo, in cui quest’ultima
escludeva che si prendessero in considerazione i rapporti
con i protestanti. Tuttavia il Segretariato riuscì a elaborare
un documento in cui si diede spazio anche al rapporto con
i protestanti. All’ultimo momento vennero inseriti nello
stesso documento altri due capitoli: il IV sull’ebraismo e il
V sulla libertà religiosa18.
15
Sulla gigantesca figura di Bea, vedi J. Grootaers, Protagonisti
del Concilio, in Guasco-Guerriero-Traniello (a cura di), La chiesa del
Vaticano II, cit., I, pp. 394-404; ma anche l’imponente monografia
di Schmidt, Agostino Bea il cardinale dell’unità, cit.; in sintesi,
Fumagalli, Ecumenismo, cit., pp. 65-71.
16
Vedi, in traduzione francese, questo testo in C.-J. Dumont, La
genèse du décret sur l’oecuménisme, «Istina», 10 (1964), pp. 474-488.
17
R. Aubert, Lo svolgimento del Concilio, in Guasco-GuerrieroTraniello (a cura di), La chiesa del Vaticano II, cit., I, p. 240. Su questa
vicenda vedi anche Dumont, La genèse, cit., pp. 463-465.
18
Cfr. Aubert, Lo svolgimento del Concilio, cit., p. 249.
9
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Il Segretariato, durante l’intersessione tra la prima e la
seconda fase del Concilio19, riuscì a mettere a punto lo
schema ecumenico. Esso dapprima (8 novembre 1963)
venne distribuito ai padri composto dai soli primi tre capitoli,
relativi, rispettivamente, ai princìpi dell’ecumenismo,
l’esercizio dell’ecumenismo, i cristiani separati (chiese
orientali e comunità nate nel XVI secolo); poi, a partire
dal 17 novembre, il testo venne loro distribuito arricchito
dei due ultimi, relativi, rispettivamente, al rapporto tra i
cristiani e i non cristiani (in particolare gli ebrei), e alla
libertà religiosa20.
Le questioni cruciali
Il nuovo documento venne esaminato in aula a partire
dal 18 novembre 1963. Nello stesso mese di novembre gli
osservatori non cattolici, giunti a conoscenza del testo,
esprimevano i loro dubbi su alcuni punti fondamentali21:
la chiesa cattolica sarebbe stata in grado di considerare
l’unione altrimenti che come ritorno ad essa? Avrebbe
riconosciuto l’ecclesialità delle comunità nate dalla
Riforma? Il dialogo ecumenico sarebbe stato incentrato
sulla tensione che esiste tra la pienezza della cattolicità,
19
R. Aubert, Premessa, in Guasco-Guerriero-Traniello (a cura
di), La chiesa del Vaticano II, cit., I, pp. 121-128: Aubert distingue
quattro periodi del concilio: 1o periodo: dall’11 ottobre 1962 all’8
dicembre 1962; 2o periodo: 29 settembre 1963-4 dicembre 1963;
3o periodo: 15 settembre 1964-21 novembre 1964; 4o periodo: 14
settembre 1965-8 dicembre 1965.
20
Cfr. Aubert, Lo svolgimento del Concilio, cit., pp. 266-267;
Storia del Concilio Vaticano II, diretta da G. Alberigo, vol. III:
G. Alberigo-J. Famerée-R. Kaczynski- A. Melloni-C. Soetens-E.
Vilanova, Il concilio adulto. Il secondo periodo e la seconda
intersessione, settembre 1963-settembre 1964, Il Mulino, Bologna
1998, pp. 277-296.
21
Cfr. Storia del Concilio Vaticano II, cit., vol. III, pp. 280-281.
10
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alla quale tutte le chiese e le comunità cristiane aspirano e
che tutte rivendicano, e il fatto che essa non è pienamente
realizzata, persistendo gli elementi di divisione nell’unica
chiesa? A queste domande che si ponevano gli osservatori
sono da aggiungere quelle che i padri del concilio si
ponevano22: si tratta dei princìpi dell’ecumenismo
cattolico o dei princìpi cattolici dell’ecumenismo? Favorire
l’ecumenismo significa promuovere l’indifferentismo
e trascurare il dovere di invitare alla conversione? Le
comunità uscite dalla Riforma si devono chiamare
“chiese”? Esistono elementi positivi del protestantesimo
che devono essere riconosciuti e sottolineati? Non
gioverebbe prendere atto e riconoscere pubblicamente
che esiste una gerarchia nelle verità? Si sarebbero
effettivamente profilati due modi diversi di affrontare la
questione, vale a dire due atteggiamenti ecclesiologici
completamente diversi: da un lato i tradizionalisti, rimasti
sulle posizioni controriformiste, secondo cui una ed una
sola è la vera Chiesa alla quale è possibile unicamente
ritornare, se non si vuole rimanerne esclusi; dall’altro
una visione più evangelica e aperta, che ammette una
gerarchia nelle verità, ed è incline a pensare l’unità della
chiesa nei termini più articolati di una partecipazione
differenziata all’unico mistero di Cristo e della sua Chiesa.
La presentazione del testo
L’onore di presentare ai padri, il 18 novembre 1963, lo
schema elaborato dal Segretriato per l’unità dei cristiani
toccò al cardinale Amleto Giovanni Cicognani, l’allora
Segretario di Stato e presidente della Commissione
delle chiese orientali23. Egli delineò in breve i contenuti
22
Cfr. ibid., pp. 282-283.
23
Acta synodalia sacrosancti concilii oecumenici Vaticani II,
vol. II, pars V (d’ora in poi AS II, 5), pp. 468-472. Una presentazione
sintetica di tutto l’iter del documento sull’ecumenismo si trova in J.W.
O’Malley, Che cos’è successo nel Vaticano II, Vita e Pensiero, Milano
2010, pp. 197-202.
11
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dei cinque capitoli, dopo un’introduzione ampia tesa
a dimostrare come il vocabolo “ecumenismo” non fosse
affatto estraneo alla Chiesa cattolica e ai suoi supremi
pastori. L’uso di tale termine è attestato in Paolo VI e
Giovanni XXIII, ma anche in Pio XI e Pio XII, e risale fino a
Leone XIII. Cicognani dimostrava di essere particolarmente
attento alle esigenze dei tempi, quando rivendicava
come urgente, soprattutto nella contemporaneità, che
il Concilio Vaticano II assumesse questa tematica per
dedicarle spazio e riflessione, per favorire, se non altro,
«l’unità sincera degli animi», qualora non fosse possibile
raggiungere «l’unità della fede»24.
La relazione di Martin
Molto chirificatrice e significativa si presentò la relazione
che monsignor Joseph-Marie Martin, arcivescovo di
Rouen, dedicò ai primi tre capitoli dello schema25. Egli
dichiara immediatamente che non intende perdersi nel
ricostruire la storia di questo schema, ma che vuole
«potius intimum eius spiritum ostendere», insomma
va alla ricerca della vera preoccupazione di cui tale
schema si fa carico nei confronti dei padri, che vengono
immediatamente messi di fronte alle loro responsabilità.
«Lo schema non è un manuale di teologia, né un titolo
del Codice di Diritto Canonico, né un trattato di storia»,
e ciò non a motivo d’ignoranza della dottrina cattolica,
né perché si intenda considerare come una bagatella il
Diritto canonico o la storia. Inoltre lo schema presuppone
24
AS II, 5, p. 469: «Nil igitur mirum, si Concilium Vaticanum
secundum hanc eandem materiam pertractandam susceperit maiore
quadam extensione, cum id sane postulent nostri temporis condiciones,
cum homines inter se libere congrediuntur, colloquia serunt, vitae
commercia et itinera habent, in quibus complures inveniunt qui ob
religiosam fidem a se discrepant. Quodsi in hisce rerum adiunctis
unitas fidei attingi nequit, urget tamen ut sincera unitas animorum
foveatur […]».
25
Ibid., pp. 472-479.
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come data per acquisita la dottrina esposta nella
Costituzione dogmatica De Ecclesia26. Che cos’è allora
positivamente? È un decreto sobriamente “irenico”,
“pastorale”, cioè adatto all’istruzione del popolo in materia
ecumenica, e “nuovo”, perché nessun Concilio ecumenico
prima di questo si è mai occupato di tali problemi. Tale
trattazione esplicita è oggi richiesta dal fatto scandaloso
della divisione all’interno dell’unica Chiesa di Cristo, un
fatto che paralizza l’evangelizzazione. Conclusi questi
suggerimenti ermeneutici, Martin passa all’esposizione
dei capitoli dello schema. Insiste particolarmente
sull’esercizio concreto dell’ecumenismo, che non è fatto
di dispute e di parole, ma dall’assumere concretamente
quei mezzi naturali e soprannaturali indicati da Giovanni
XXIII e Paolo VI, come necessari al raggiungimento dello
scopo. Essi sono: il rinnovamento spirituale, consistente
in autentica conversione e santità di vita; la supplice
preghiera continua, unanime e condivisa, per l’unità;
l’amorevole conoscenza reciproca; la cooperazione coi
fratelli separati nelle opere di carità.
L’invito ai padri da parte di Martin consiste nel rassicurarli
che, nella preparazione e nella discussione di questo
schema, si è fatto di tutto e ancora si dovrà fare lo
stesso, per eliminare ogni compromesso, ogni forma di
ambiguità e di machiavellismo, per lasciarsi guidare da
rettitudine d’intenzione e purezza di cuore nella ricerca
sincera della verità. Perciò si è altresì evitato di ribadire
e ricordare con crudezza le differenze che ci dividono, al
26
Ovviamente la chiarificazione principale sarà quella che
emergerà nella discussione sul capitolo I, n. 8 § 2 della Lumen
Gentium, relativo al “Mistero della Chiesa”, là dove si dice che
«l’unica Chiesa di Cristo, che nel Simbolo professiamo una, santa,
cattolica e apostolica […], in questo mondo costituita e organizzata
come società, sussiste (subsistit) nella Chiesa cattolica, governata dal
successore di Pietro e da Vescovi in comunione con lui, ancorché al di
fuori del suo organismo si trovino parecchi elementi di santificazione e
di verità, che, quali doni propri della Chiesa di Cristo, spingono verso
l’unità cattolica» (LG I, 8 § 2).
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fine di non rinnovare inutilmente il dolore. Con grande
finezza psicologica e spirituale Martin insiste anche sulla
necessità dell’autentico dialogo come unico metodo di
rapporto tra cristiani separati: occorre dire la verità, non
sottacerla, occorre però dirla in modo tale che essa possa
essere autenticamente intesa nel suo senso da parte
dell’ascoltatore, e in modo tale che tanto chi parla quanto
chi ascolta possano, con reciproco aiuto, comprendere
insieme, in modo sempre più profondo, la Parola di Dio. Nel
modo più assoluto il dialogo non nasce dall’indifferentismo
e non termina ad esso. Il vero dialogo si rifiuta di tacere
una verità, ma al tempo stesso vuole esprimerla evitando
qualsiasi durezza nel parlare, affinché la verità sia
ascoltata e sia perfettamente intesa27. È pure importante
sottolineare che Martin si sentì in perfetta sintonia con
lo spirito ecumenico di Paolo VI, come confermano le
parole finali della sua relazione, direttamente riprese da
un’allocuzione di Paolo VI agli osservatori: «après de si
longues années de séparation, après de si douloureuses
polémiques, recommencer à s’aimer les uns les autres:
voilà ce qui rend cette rencontre mémorable et plaine de
promesses»28.
Il dibattito sullo schema
Si sa che, nel dibattito sullo schema, la maggioranza dei
padri, sia pure con riserve a proposito di qualche punto
particolare, si dichiarò a favore del medesimo. Tuttavia
non mancarono osservazioni pesanti e orientamenti
profondamente diversi da quello espresso dal Segretariato.
Tra gli interventi contrari spicca in particolare quello del
cardinal Ernesto Ruffini, arcivescovo di Palermo, tipico
rappresentante dell’«intransigentismo» cattolico italiano29.
Egli esprime le sue perplessità a partire dall’uso del
termine “ecumenismo” che ritiene ambiguo, in quanto non
27
Cfr. AS II, 5, pp. 475-476.
28
Ibid., p. 479.
29
Cfr. Grootaers, Protagonisti del Concilio, cit., pp. 486-494. Il
testo del suo intervento si trova in AS II, 5, pp. 528-530.
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coincidente con la qualifica di “ecumenico” con la quale
si denota il Concilio Vaticano II. Il Concilio è ecumenico,
perché è “universale”, mentre il termine “ecumenismo”
qui, in casa cattolica, indica soltanto un certo tipo di
apostolato. Inoltre tale vocabolo viene usato dai protestanti
con un’accezione diversa da come lo usano i cattolici: essi
intendono con questa parola il movimento che dovrebbe
far passare tutte le chiese esistenti dalla loro attuale forma
ecclesiale, che è solo un prodotto inventato dagli uomini
– Chiesa cattolica compresa! –, alla vera chiesa voluta
da Dio. È dunque per lo meno necessario un lavoro che
precisi il termine “ecumenismo” sottraendolo a qualsiasi
fraintendimento possibile. Vorrebbe inoltre che nel testo
del decreto apparisse in modo più chiaro quale tipo di
ecumenismo si intenda proporre e promuovere: esso,
secondo lui, in accordo con tutta la tradizione, non può
essere inteso in altro modo che come “ritorno” dei fratelli
separati all’unico ovile di Cristo, «cuius Supremus Pastor
invisibilis est Christus, visibilis autem Christi Vicarius
Summus Pontifex»30. Vorrebbe altresì che si precisasse
che esiste una maggiore vicinanza tra la Chiesa cattolica
e le chiese orientali, piuttosto che con i protestanti e le
loro innumerevoli sette. Ruffini constata anche una certa
mancanza di ordine espositivo nello schema e chiede che
si produca un testo più succinto, visto che le medesime
questioni sulla natura della Chiesa sono già trattate
nello schema de Ecclesia. L’intervento dell’arcivescovo di
Palermo comprende anche osservazioni relative agli ultimi
due capitoli dello schema (rapporto con i non-cristiani e
libertà religiosa), aspetti dai quali, ai nostri fini, possiamo
qui prescindere.
È interessante ricordare come l’esperto conciliare Yves
Congar, dopo avere assistito in aula agli eventi del 18
novembre, abbia premurosamente annotato nel suo
diario:
30
AS II, 5, p. 529.
15
50° del Vaticano II
Foligno 5 dicembre 2015
Lettura della relazione sullo schema De oecumenismo
[…], fatta dal cardinale Cicognani stesso. È un testo
piuttosto mediocre, nello stile delle encicliche, che
pretende di dire che la Chiesa ha sempre fatto
quello che si doveva fare: che è falso. Non c’è spirito
ecumenico in questo testo. Ma il fatto che sia il
segretario di Stato stesso a leggerlo potrà disarmare
alcuni oppositori, o almeno tranquillizzarli. […]
Mons. Martin legge poi con sentimento e un certo
tono d’interiorità la relatio generale. Il tono del testo è
molto diverso, ha un pathos cristiano! […] La relatio
è ampiamente applaudita. Molti, sicuramente, ne
hanno ricavato un’emozione. […] Raccolgo le mie
impressioni della seduta di stamattina. Si sono
chiaramente manifestate due mentalità, o, meglio,
due mondi: che abisso fra l’evangelismo della
relatio di mons. Martin e coloro che, come Ruffini
e i due cardinali spagnoli, sono soltanto attaccati a
un passato… superato31!!!
Se il cardinal Ruffini, come si è detto, impersonava al
meglio la posizione cattolica tradizionale32, l’intervento
del cardinale americano Joseph Ritter, che parlò anche
a nome di un gruppo di vescovi degli Stati Uniti, faceva
intravvedere nuove prospettive e aperture33. Da lui venne
un apprezzamento incondizionato alla linea tracciata
dal documento presentato da Martin: esso andava nella
direzione giusta dell’«aggiornamento», tanto caldeggiato
dal Concilio stesso; significava la fine delle polemiche
controriformistiche e suggeriva i giusti mezzi per arrivare
all’unità, tramite la preghiera, lo studio, il dialogo e
l’azione. Da buon americano, sensibile portatore della
cultura della tolleranza, dei diritti umani e, in particolare,
31
Y. Congar, Diario del Concilio, 2 voll., San Paolo, Cinisello
Balsamo 2005, vol. I, pp. 480-484, con tagli.
32
Ruffini ritornò sull’argomento nella discussione dello
schema il 2 dicembre, ribadendo la sua tesi dell’ecumenismo del
ritorno: «Manifestum est Oecumenismum, qua apostolatum ad fratres
christianos seiunctos nobiscum coniungendos, respondere non solum
fragranti desiderio Regnum Christi, secundum Dei voluntatem,
extendendi, sed etiam modernae necessitati, quam Patres conciliares
omnes in suis animis alte sentiunt», AS II, 6, p. 339.
33
AS II, 5, pp. 536-538.
16
Unitatis Redintegratio
Franco Buzzi
della libertà religiosa34, Ritter sottolineò anzitutto che
la questione della libertà religiosa avrebbe meritato
di essere trattata come la premessa e il presupposto
indispensabile per impostare in modo adeguato la
questione dell’ecumenismo35. Poi insistette sulla necessità
di presentare in modo ancora più chiaro, nell’esporre i
principi dell’ecumenismo, l’importanza della celebrazione
eucaristica «sicut signum et causa unitatis Ecclesiae»,
di affermare esplicitamente la validità degli ordini e dei
sacramenti delle Chiese orientali, e di evitare, per quanto
possibile, una terminologia che sarebbe potuta apparire
offensiva, per esempio, astenendosi dall’esprimere giudizi
sulla validità delle ordinazioni e dell’eucaristia celebrata
dai protestanti, e caldeggiando l’uso del termine Chiesa/
Chiese anche per le cosiddette comunità ecclesiali. Qui
andrebbe ricordato anche il parere espresso, nel gennaio
1963, dal teologo di Taizé, Max Thurian, il quale ponendosi
dal punto di vista delle comunità protestanti, dichiarava
che, agli occhi dei non-cattolici, il rifiuto da parte della
Chiesa romana del titolo di «chiese» alle comunità cristiane
nate dalla Riforma, poteva apparire come «une espéce de
“mesquinerie”» e che, viceversa, il Concilio avrebbe dato
un grande segno efficace di unità «en acceptant ce titre
d’Églises»36.
Il giorno successivo, cioè il 19 novembre 1963, i cardinali
Paul-Émile Léger, arcivescovo di Montréal, e Franz König,
arcivescovo di Vienna, diedero parere positivo e offrirono
34
Ibid., p. 537: «Oportet incorporari considerationes de libertate
absoluta actus fidei; de dignitate humanae personae necnon eius
conscientia inviolabili; ac de incompetentia totali gubernii civilis in
iudicio ferendo super Evangelium Christi et eius inetrpretationem.
Proinde declaratio haec reaffirmabit independentiam completam
Ecclesiae ab ullo gubernio civili in adimplenda eius missione».
35
Ibidem: «Cum consideremus libertatem religiosam esse
fundamentum et praerequisitum relationum aecumenicarum cum
aliis corpribus christianis, strenue urgemus ut tractatio de hoc
subiecto incorporetur intra schema ante considerationem exercitii
oecumenismi».
36
Cfr. Velati, Una difficile transizione, cit., p. 356.
17
50° del Vaticano II
Foligno 5 dicembre 2015
appoggio allo schema sull’ecumenismo. L’arcivescovo
canadese, Léger, trovò il documento in piena sintonia
con lo slancio ecumenico di Giovanni XXIII e Paolo VI:
questa nuova disposizione spirituale, a operare per
l’unità dei cristiani, non può essere interpretata come un
mero slancio affettivo o sentimentale di generosità, che
presto è votato a svanire. «Haec nova dispositio mentis
revera ab Evangelio inspiratur, a Spiritu Sancto procedit,
nec nos recedere possumus»37. Poi esprime anche, con
delicatezza, qualche preoccupazione a motivo di ciò che
questo nuovo spirito richiede ai credenti cattolici: «Pondus
historiae superare debemus» e dobbiamo superare anche
un atteggiamento ispirato meramente alla prudenza
dell’attesa, per preferire una nuova prudenza, quella
richiesta dal dialogo: «Prudentia quae non ad solam
tuitionem sed et ad unionem tendit, prudentia vera est
et catholica»38. Anche il cardinal König riscontra nello
schema le intenzioni del Concilio Vaticano II e quelle
che furono già di papa Giovanni XXIII e ora sono proprie
di Paolo VI. Propone alcuni miglioramenti al testo e in
particolare ritiene che il semplice titolo di «comunità»
uscite dalla Riforma non sia sufficiente a dar ragione degli
elementi ecclesiali efficacemente presenti in esse. Perciò
propone che esse vengano chiamate «comunità ecclesiali»,
«inquantum sunt communitates elementis ecclesiasticis
informatae»39.
Tuttavia occorre ricordare che l’intervento più notevole
del 19 novembre fu quello del vescovo coadiutore
di Strasburgo, Léon-Arthur Elschinger40. Nelle sue
parole, che invitano i padri a mettere in chiaro alcune
condizioni alle quali soltanto l’ecumenismo potrà avere
seguito nella Chiesa cattolica, si sente lo stesso afflato
evangelico che ispirò la relazione di mons. Martin. La
prima condizione è la disponibilità da parte cattolica a
riconoscere e confessare gli errori commessi contro la
37
38
39
40
18
AS II, 5, p. 551.
Ibidem.
Ibid., p. 554.
Ibid., pp. 562-566.
Unitatis Redintegratio
Franco Buzzi
verità in alcuni periodi della storia, quando capitò che
la divina verità rivelata «maiore cum fervore a fratribus
nostris seiunctis honorata fuit»41. La seconda consiste
nel fatto di voler riconoscere, spontaneamente e insieme,
quel tanto di verità che le dottrine dei fratelli separati
contengono, smettendo di considerarle, com’è stato fatto
per secoli, integralmente false. In terzo luogo è tempo di
assumere un atteggiamento meno passivo e statico nei
confronti della verità rivelata e di lasciarci stimolare, con
fede viva, anche dai fratelli separati a una comprensione
sempre più profonda della verità che non è mai posseduta
perfettamente da nessuno, «quamdiu in itinere sumus»42.
Infine occorre cominciare a distinguere tra unità nella
fede e la legittima diversità nelle opinioni teologiche, la
quale non compromette l’unità della fede, della carità e
del culto divino: la diversità non è un impedimento, ma
una ricchezza, che meglio ci introduce alla pienezza della
verità che supera le nostre forze43. Anzi, queste legittime
differenze di dottrina, di culto e di devozione vanno
riconosciute e promosse tra i nostri fratelli separati44.
Iter finale e approvazione del documento
La votazione del 21 novembre 1963 approvò a larghissima
maggioranza lo schema nei suoi primi tre capitoli. Da
questo momento in poi l’iter del De oecumenismo – che fu
modificato dal Segretariato, tenendo conto del materiale
raccolto e dei suggerimenti pervenuti45 – comportò
41
Ibid., p. 563.
42
Ibid., p. 564.
43
Ibidem.
44
Ibid., p. 565: «dico: fratres nostri seiuncti ius habent ut in illis
istas differentias noin certe ignoremus vel recusemus, sed fraterne,
admiranter et concordi zelo foveamus».
45
Per le modifiche del testo che era stato approvato il 21
novembre 1963, vedi in modo sintetico: L. Jaeger, Il decreto conciliare
“Sull’ecumenismo”. Storia, contenuto e significato, Morcelliana,
Brescia 1965, pp. 34-35.
19
50° del Vaticano II
Foligno 5 dicembre 2015
un andamento sostanzialmente positivo e favorevole
all’approvazione finale, tant’è vero che, alla fine del
terzo periodo, scorporati definitivamente i capitoli che
riguardavano la relazione con le religioni non cristiane e
la libertà religiosa, i tre capitoli sull’ecumenismo, vennero
approvati con la stragrande maggioranza dei voti tra il 10
e il 14 novembre 196446. Nulla faceva sospettare che nei
giorni successivi, tra il 15 e il 20 novembre, ci sarebbe stato
un triplice intervento di Paolo VI, con richieste pressanti
al Segretariato per l’unità dei cristiani di apportare
nuove modifiche, delle quali l’assemblea conciliare era
del tutto all’oscuro47. In ogni caso, il decreto fu votato
con esito assolutamente favorevole il 20 novembre 1964
e il giorno successivo. Il 21 novembre fu promulgato da
Paolo VI. Si pensa che queste ultime esitazioni del papa
siano state indotte, in parte, da giochi della minoranza
che non accettava l’approvazione del decreto, e, in parte,
da scrupoli stilistici e precisione dottrinale attribuibili al
temperamento dello stesso Paolo VI48. Il testo finale, in
ogni caso, è risultato immutato nella sua sostanza.
L’ecumenismo di Paolo VI
Qui approfitto per precisare i sentimenti autenticamente
ecumenici di papa Paolo VI. Com’è noto papa Giovanni
morì il 3 giugno 1963. Il cardinale Giovanni Battista
Montini, arcivescovo di Milano, fu eletto papa, con il
46
Cfr. Storia del Concilio Vaticano II, diretta da G. Alberigo,
vol. IV: A. Melloni (a cura di), La chiesa come comunione. Il terzo
periodo e la terza intersessione, settembre 1964-settembre 1965, Il
Mulino, Bologna 1999, p. 436.
47
Ibid., pp. 437-440. Sull’intervento finale di papa Paolo VI, cfr.
anche P. Duprey, Paul VI et le décret sur l’oecuménisme, in Paolo VI
e i problemi ecclesiologici al Concilio. Colloquio internazionale di
studio, Brescia 19-20-21 settembre 1986, Istituto Paolo VI, Brescia
1989, pp. 238-248,
48
Melloni (a cura di), La chiesa come comunione, cit., pp. 442444.
20
Unitatis Redintegratio
Franco Buzzi
nome di Paolo VI, il 21 giugno dello stesso anno. Benché,
in qualche momento della sua vita, non gli fosse stata del
tutto estranea l’idea di un ecumenismo del ritorno49, fin
da subito fu chiara la sua volontà di continuare l’opera
del Concilio e l’impegno per l’ecumenismo50. Per lui era
evidente che il Concilio, pur mantenendosi nella propria
tradizione dottrinale, avrebbe potuto sfrondare elementi
che nella Chiesa potevano rappresentare qualche ostacolo
nel rapporto di confronto e dialogo con le altre confessioni.
Tanto i primi discorsi di Paolo VI quanto i suoi interventi
durante la seconda fase del concilio sono stati studiati
da Pierre Duprey, che ha indubbiamente riscontrato una
visione ecumenicamente aperta, corroborata anche da
gesti altamente simbolici e coraggiosi: penso alla pubblica
richiesta di perdono ai fratelli separati al momento di
apertura del secondo periodo conciliare (29 settembre
1963)51 e al pellegrinaggio del papa a Gerusalemme, nel
gennaio 1964, per incontrare il patriarca Atenagora di
Costantinopoli, il patriarca Benedetto di Gerusalemme e
il patriarca armeno di Gerusalemme52.
Il «mistero della Chiesa» e il significato pieno del documento
finale
Non posso qui addentrarmi in un’analisi, né generale né
particolare, del documento finale53. Intendo però, alla
49
Velati, Una difficile transizione, cit., p. 375.
50
Ibid., p. 374; Duprey, Paul VI et le décret sur l’oecuménisme,
cit., pp. 225-238.
51
Summi Pontificis Pauli VI allocutio secunda Ss. Concilii
periodo ineunte, in Il Concilio Vaticano II, cit., p. [107], n. 176*.
52
Cfr. Duprey, Paul VI et le décret sur l’oecuménisme, cit., pp.
233-238.
53
Decretum de Oecumenismo (= UR), in Il Concilio Vaticano
II, cit., pp. 286-325. Per l’edizione sinottica del testo, accompagnato
dai documenti relativi all’iter, vedi: F. Gil Hellín, Decretum de
Oecumenissmo Unitatis Redintegratio, Libreria Editrice Vaticana,
Città del Vaticano 2005; Per uno sguardo sintetico sul contenuto: J.-
21
50° del Vaticano II
Foligno 5 dicembre 2015
luce del suo iter, porre in evidenza lo spirito e il significato
ecumenico di cui esso è l’effettiva rappresentazione54.
Abbiamo potuto osservare, come, durante le discussioni
conciliari, si siano confrontate almeno due tendenze
principali: quella di una minoranza tradizionale e
conservatrice e quella di una maggioranza aperta
agli sviluppi promettenti dell’ecumenismo. Il decreto
sull’ecumenismo, rappresenta un’applicazione pastorale
della costituzione dogmatica sulla Chiesa. Esso, nelle sue
formulazioni dottrinali, dipende in tutto e per tutto dalle
questioni poste a proposito della Chiesa. Questa, nella
Lumen Gentium, è stata definita come «mistero» in cui si
manifesta e si compie il «mistero di Cristo».
L’idea tradizionale dell’ecumenismo inteso come un
puro e semplice “movimento di ritorno” presupponeva
la realtà di una chiesa assunta in senso rigorosamente
giuridico, come il blocco monolitico di una societas
perfecta, alle cui strutture non si può più aggiungere
nulla, né dall’interno né dall’esterno. Chi è fuori non può
farne parte, se non rientrando in essa. Al più, nella linea
di un ecumenismo ai primi passi in casa cattolica, si
poteva parlare per le confessioni cristiane non cattoliche,
di una specie di votum, cioè del desiderio di entrare a
far parte della Chiesa cattolica. Ma sono evidenti i limiti
di questa concezione: il votum è per lo più individuale,
non riguarda una formazione ecclesiale nel suo insieme;
inoltre il votum definisce in senso qualitativamente troppo
M. Mayeur (a cura di), Krise und Erneuerung (1958-2000), Deutsche
Ausgabe, Herder, Freiburg-Basel-Wien 2002 (= Die Geschicte des
Christentums, 13), pp. 88-89; K. Rahner-H. Vorgrimler, Kleines
Konzilskompendium, Herder, Freiburg-Basel-Wien, 1966, 200330, pp.
217-227 (introduzione particolare al decreto).
54
Mi riferisco a due testi fondamentali: Y. Congar, Le
développemente de l’évaluation ecclésiologique des Églises noncatholiques, in G. Békés-V. Vajta (a cura di ), Unitatis redintegratio
1964-1974. The impact of the decree on ecumenism, Editrice
Anselmiana, Roma 1977, pp. 63-97; J. Ratzinger, Mon Concile Vatican
II, Éditions Artège, Paris 2011, pp. 116-134.
22
Unitatis Redintegratio
Franco Buzzi
generico il particolare rapporto che dovrebbe vincolare
una confessione non cattolica alla Chiesa cattolica,
tant’è vero che tale votum potrebbe definire anche la
possibile relazione che collega i non credenti a coloro che
professano la fede cattolica. Oppure si faceva ricorso alla
teoria, ultimamente agostiniana, dei vestigia, cioè dei
“resti” o “rimasugli” della Chiesa vera, quella cattolica,
che rimarrebbero nelle comunità ecclesiali che si sono
separate.
In realtà il Concilio Vaticano II intese fare certamente un
passo in avanti anche rispetto a questa concezione dei
vestigia, che in fondo presuppone sempre la Chiesa di
Cristo come perfettamente e esclusivamente identica con
la Chiesa cattolica, compiutamente definita anche nelle
sue strutture giuridiche. Infatti il Vaticano II afferma
che la Chiesa di Cristo non si identifica puramente e
semplicemente con la Chiesa cattolica romana. Certo,
la Chiesa di Cristo esiste nella (subsistit in)55 Chiesa
cattolica, governata dal successore di Pietro e dai vescovi
in comunione con lui, dove l’espressione subsistit in
(espressione ripresa in UR)56 consente di riconoscere al
tempo stesso che la Chiesa cattolica è la Chiesa di Cristo
e degli apostoli, e che, cionondimeno, l’unica Chiesa di
Cristo non si riduce affatto alla Chiesa cattolica, perché
anche in altre chiese o comunità ecclesiali si trovano
numerosi elementi di santificazione e di verità:
tra gli elementi o beni dal complesso dei quali
la stessa Chiesa è edificata e vivificata, alcuni,
anzi, parecchi e segnalati, possono trovarsi fuori
dei confini visibili della Chiesa cattolica, come la
Parola di Dio scritta, la vita della grazia, la fede,
la speranza e la carità, e altri doni interiori dello
Spirito Santo ed elementi visibili: tutte queste cose,
le quali provengono da Cristo e a lui conducono,
giustamente appartengono all’unica Chiesa di
Cristo57.
La Chiesa cattolica è dunque la vera Chiesa di Cristo in
55
56
57
LG 8, § 2, in Il Concilio Vaticano II, cit., p.137, n. 305.
UR I, 4 § 3, in ibid., cit., p. 297, n. 510.
UR I, 3 § 2, in ibid., cit., p. 293, n. 504.
23
50° del Vaticano II
Foligno 5 dicembre 2015
senso propriamente “precisivo”, non “esclusivo”: anche i
cristiani che non fanno parte della Chiesa cattolica sono
nondimeno membra del corpo di Cristo che è la Chiesa.
Essi sono in comunione reale e vera con la Chiesa, anche
se la loro comunione è imperfetta58. Il linguaggio è dunque
di comunione, non di esclusione: di «comunione» che
prevede gradi o livelli diversi di «partecipazione». In tal
modo, la visione conciliare della Chiesa fondata su Cristo
non consente una considerazione meramente giuridica
dell’istituzione ecclesiastica, ma richiede un’ecclesiologia
che ponga in piena luce e in primo piano il «mistero
della Chiesa» come frutto del «mistero di Cristo» e
dell’iniziativa della Trinità. La Chiesa acquista tutto il suo
significato a partire dall’Incarnazione, dalla Pentecoste
e dal compimento escatologico del Regno di Dio: proprio
questa visone misterico-spirituale richiede che tra gli
“elementi o i beni” costitutivi della Chiesa figurino, anche
e a pieno titolo, gli elementi spirituali personalmente
e comunitariamente vissuti59. È altresì ovvio che, da
questo punto di vista, la Chiesa cattolica, pur essendo
«lo strumento generale di salvezza», per mezzo del quale
«si può ottenere tutta la pienezza dei mezzi di salvezza»60,
non garantisce ai fedeli cattolici che le appartengono una
perfezione tale che, nella storia e nel tempo che ci separa
dalla visione beatifica, non possa essere incrementata,
incoraggiata e soccorsa dai doni che lo Spirito del Risorto
diffonde anche nelle altre confessioni cristiane.
L’entusiasmo e la freschezza ecumenica che si è registrata
attorno al Concilio Ecumenico Vaticano II, sotto i due
pontificati di Giovanni XXIII e Paolo VI, si smorzò nel
decennio della contestazione, la quale a sua volta determinò
un orientamento di ricerca di identità confessionale sia
58
Cfr. UR I, 3 §1, ibidem, n. 503. Vedi Congar, Le développemente
de l’évaluation, cit., pp. 72-73.
59
Cfr. Congar, Le développemente de l’évaluation, cit., pp. 7879.
60
UR I, 3 § 5, in Il Concilio Vaticano II, cit., p. 295, n. 507.
24
Unitatis Redintegratio
Franco Buzzi
in campo protestante che in campo cattolico61. Per ridare
animo al movimento ecumenico, penso sia più che mai
opportuna un ripresa serena di studi su quel prodigio di
vita spirituale che fu il tempo del Concilio, le cui fonti
di dottrina e di spiritualità sono ancor oggi tutt’altro che
esauste.
61
A modo di sintesi si veda: È. Fouilloux, L’ecumenismo da
Giovanni XXIII a Giovanni Paolo II, in Guasco-Guerriero-Traniello (a
cura di), La chiesa del Vaticano II, cit., II, pp. 249-270.
25
Finito di stampare
il 7 dicembre 2015
in edizione elettronica
L’INVITO
RIPENSANDO IL CONCILIO
VATICANO II
ECUMENISMO
RAPPORTO CON LE RELIGIONI NON CRISTIANE
LIBERTÀ RELIGIOSA
TRA DUE PONTIFICATI
SABATO
05/12/15
CON IL PATROCINIO DI
PALAZZO TRINCI 09:00-13:00 DIOCESI DI
FOLIGNO
15:30-19:00 FOLIGNO
COMUNE DI FOLIGNO
REGIONE UMBRIA
LA LOCANDINA