Alejos - Pontificia Università della Santa Croce

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Pontificia Università della Santa Croce - Concilio Vaticano II - Roma, 3-4 maggio 2012
IL VALORE PERMANENTE DI UNA RIFORMA PER LA NUOVA EVANGELIZZAZIONE
La dichiarazione "Gravissimum Educationis"
ABSTRACT
PROF.SSA CARMEN JOSÈ ALEJOS GRAU
UNIVERSITÀ DI NAVARRA/ PAMPLONA
Con 35 voti contrari e più di 2000 a favore, il 28 ottobre 1965 veniva approvata la Dichiarazione
Gravissimum Educationis (GE), dopo un percorso burrascoso e sette redazioni, oltre all’ottava che
divenne poi quella definitiva.
La prima domanda che ci si può porre è la seguente: perchè fu necessario che il Concilio si occupasse
dell’educazione, quando in precedenza non si era mai pensato a un documento specifico su questo
tema?
La prima ragione potrebbe ricavare dal fatto che ci furono più di 80 proposte nella Commissione
Antepreparatoria riguardante tale argomento. Ma, oltre a questo, il motivo principale forse lo si può
rinvenire nel contesto storico in cui si svolse il concilio. Negli anni ’60, infatti, l’educazione acquisì
una importanza decisiva per tutti i paesi sviluppati o in via di sviluppo. Inoltre, in molti di essi si
erano creati dei problemi concernenti le istituzioni scolastiche pubbliche e quelle cattoliche. Cosicché,
nell’ambiente aperto del Concilio, si ritenne utile ricordare la dottrina precedente, esaminadone i
diversi problemi per poterla adeguare o cambiare alla luce dei nuovi tempi.
Probabilmente fu un documento scarsamente considerato e, nel contesto di un Concilio come quello
del Vaticano II, è stato ritenuto poco importante. Malgrado ciò, a distanza di tempo, si può affermare
che i Padri Conciliari tracciarono una linea ben precisa di proposte sull’educazione cristiana nei suoi
differenti livelli, e sui diritti e doveri di quanti ne avrebbero usufruito. Va anche ricordato che la GE è
assai impregnata dallo spirito di apertura e di attenzione al mondo che caratterizza la Gaudium et
Spes; che il termine “educazione” la troviamo in parecchi documenti conciliari, come si può notare
nella Gaudium et Spes, Lumen Gentium, Apostolicam Actuositatem e Dignitatis Humanae; e che,
secondo la GE, l’educazione è un diritto necessario per sviluppare le capacità personali atte
raggiungere il fine naturale e il fine soprannaturale di ciascun uomo.
Così, la novità della GE non va cercata nel suo contenuto ma nel tono e nella prospettiva adottata sul
tema dell’educazione, più aperta di quella del magistero precedente:
– non è fondata sui diritti cattolici, ma sul diritto di ogni uomo a un’educazione completa;
– si rifiuta di ridurre l’educazione cristiana a un mero insegnamento separato dalle altre attività
educative;
– imposta l’educazione come un processo continuo per tutte le età;
– si riferisce a una visione dell’educazione cristiana che non è separata dalla maturazione umana
e cristiana, ma ne è parte integrante;
– sottolinea l’importanza della formazione catechetica non solo dei bambini ma anche degli
adulti;
– riconosce due modi di presenza cristiana nella realtà scolastica: il primo attraverso i professori
e gli studenti cristiani nelle scuole pubbliche, e il secondo attraverso la scuola cattolica.
Le idee della GE hanno trovato eco nel magistero posteriore al Vaticano II, e le sue affermazioni sono
presenti tanto in vari documenti magisteriali quanto in diversi interventi dei Pontefici: nel Codice di
Diritto Canonico, nel Catechismo della Chiesa Cattolica, nel Compendio della dottrina sociale della
Chiesa, e nei recentissimi Lineamenta (2011) della XIII Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei
Vescovi, dedicata alla Nuova Evangelizzazione, o nella Nota con indicazioni pastorali per l’Anno
della Fede (2012).
Giovanni Paolo II ha dedicato alla Dichiarazione GE (1985 e 1996) due discorsi specifici, oltre a
numerosi interventi sull’educazione alla fede e sulla catechesi; e Benedetto XVI ha tenuto nella
Conferenza Episcopale Italiana una serie di discorsi sull’“emergenza educativa”.
Come affermava Giovanni Paolo II, “l’educazione rappresenta un ambito di vitale importanza nella
Chiesa e nella società. Non poteva, pertanto, mancare nel magistero del Concilio Vaticano II una
riflessione su tale tematica” (Angelus del 4 febbraio 1996)