Che cosa resta del Concilio

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Che cosa resta del Concilio
Corriere del Ticino
SABATO 11 APRILE 2009
PRIMO PIANO
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Parla il teologo don SandroVitalini
Che cosa resta del Concilio?
«La Curia romana ha prevalso, ma la Chiesa attiva va avanti»
L’apparato curiale di Roma ha vinto e, alla fine, lo
slancio del Concilio Vaticano II si è spento. Joseph
Ratzinger, che inizialmente era entusiasta del Concilio, a un certo punto ne ha avuto paura: la Chiesa cattolica non sarebbe più stata la stessa. Tuttavia, la
gente comune, i semplici fedeli, hanno capito che il
Cristianesimo è essenzialmente una vita d’amore, di
CARLO SILINI
L’INTERVISTA
’’
! Don Vitalini, da quando il Papa ha
tolto la scomunica ai vescovi lefebvriani, la Chiesa cattolica attraversa
un momento travagliato.
«Sì. Ma mi sembra che lo scollamento dal Concilio Vaticano II sia
iniziato molto prima».
Quanto prima?
«Sono rimasto impressionato da
un libro di Karl Rahner (gesuita
tedesco, uno dei più importanti
teologi cattolici del Novecento,
morto nel 1984, n.d.r.) che ricordava come la prima sessione del
Concilio fosse stata una primavera inaspettata, ma in seguito,
con il pontificato di Paolo VI,
l’apertura conciliare era stata attenuata e poi del tutto negata. Sono rimasto impressionato anche
dalla lettura dei diari di padre
Yves Congar (teologo e poi cardinale francese, tra i principali fautori della teologia conciliare, morto nel 1995, n.d.r.) nei quali spiega che la Curia romana era particolarmente negativa nei confronti del Concilio Vaticano II. Mi
rendo conto che, a distanza di decenni, il predominio dell’apparato curiale sulla collegialità episcopale in comunione con il vescovo di Roma è stato netto e ha
fatto sì che lo slancio del Concilio
voluto da Papa Giovanni XXIII si
sia spento».
Che cosa ricorda di Papa Giovanni?
«Tra le altre cose non dimenticherò mai la sua morte che ha
coinvolto tutta l’umanità. In un
certo senso tutti si sono sentiti
figli di questo semplice uomo
che con la sua bontà aveva conquistato il mondo al di là di ogni
frontiera religiosa. Questo episodio ha marcato la storia, perché
ci ha fatto capire che forse possiamo riscoprire un vincolo di
fraternità in Gesù Cristo, grazie
anche alla struttura ecclesiale,
quando questa è al servizio della bontà, della carità, dell’agape.
Mentre laddove questo servizio
non viene esercitato in modo
diaconale, il mondo non riconosce più il Vangelo di Gesù Cristo».
Lei sostiene, semplificando, che l’apparato curiale romano non ha mai digerito le riforme del Concilio Vaticano
II. E Papa Benedetto XVI?
«Quandohaaccompagnatoilcardinal Frings al Concilio Vaticano
II,ilgiovaneteologoRatzingerdovevaesserneparticolarmenteentusiasta. Non so quale ragione l’ha portato, già come teologo, a
guardare con diffidenza allo spirito del Concilio. Certo, questo
Concilioèstatol’avvenimentoforse più grande chela Chiesa cattolicaabbiaconosciutoneisuoiventun secolidi esistenza. Seguendo
la linea del Concilio Vaticano II
avremmopotutorealizzarel’unitàfraicristiani(chesononotoriamente divisi in molte confessioni; cattolici, evangelici, ortodossi,emoltealtre,n.d.r.).Vistelepremesse conciliari, Paolo VIriteneva che l’unità fosse possibile già
prima della fine del XX secolo. Di
fatto,ilgiovaneteologoRatzinger
sièpercosìdireimpauritodifronte a questa apertura cheeffettivamenteportatuttelechiesecristiane, che io chiamo sorelle, a un
cambiamento.Insistosulfattoche
carità e di dedizione. Lo sostiene in questa appassionata intervista pasquale il teologo ticinese e pro-vicario generale della Diocesi di Lugano don Sandro Vitalini, per molti anni professore di dogmatica all’Università di Friburgo. Recentemente è stato pubblicato
un sunto del suo pensiero teologico nel breve saggio
«Voglio dirti qualcosa di Dio» (edizioni Dehoniane).
siamotutti“cristianiseparati”dal
momento che, essendo divisi tra
noi, non siamo neanche in piena
comunionecolPadreche ci ha rivelato in Gesù Cristo la sua chiara volontà di “essere una cosa sola”, come si legge nel Vangelo di
Giovanni.Anchenella differenza
dellenostretradizionidobbiamo
vivere in un’atmosfera di comunionechecipermettaperlomeno
di spezzare insieme il pane eucaristico».
Ma l’ecumenismo ristagna.
«Il documento di Lima (un testo
del 1982 intitolato “Battesimo, eucaristia, ministero”, n.d.r.), mi
sembra una premessa sufficiente
perché tutte le chiese cristiane si
ritrovino in un minimo di unità.
Ma proprio questa visione dell’unità ha potuto creare anche nel
professor Ratzinger la paura,
l’“horror vacui”».
Horror vacui?
«Sì, nel senso che tutte le chiese
cristianesisarebberodovuteadattareadunamodalitàdivitadiversa.Maavrebberorecuperatoquei
valori fondamentali che il Nuovo
Testamento e la primitiva era patristica ci trasmettono. In un certo senso, il Concilio Vaticano II è
ilpiùtradizionalistachecisia,perché affonda le proprie radici nella Tradizione più antica della
Chiesa. Questo può fare paura».
‘
A distanza di decenni
Il predominio dell’apparato curiale ha fatto sì che lo slancio
del Concilio Vaticano
II si sia spento
Perché?
«Perché, ad esempio, i dogmi
proclamati dalla Chiesa cattolica
dopo lo scisma di Oriente (la separazione tra chiese orientali e
occidentali a partire dal 1054,
n.d.r.) e anche dopo lo scisma con
il mondo protestante (nel XVI secolo, n.d.r.) dovevano essere ritenuti validi solo per quella porzione di chiesa che era vissuta separata dalla altre porzioni del popolo di Dio. Il Vaticano II sembra
ad alcuni una rivoluzione che determina quasi un crollo: non siamo più noi!».
E invece?
«E invece io ritengo che noi siamo maggiormente noi stessi
quanto più siamo fratelli e recuperiamo la ricchezza piena del
Nuovo Testamento, così come la
primitiva Tradizione ce l’ha trasmessa».
Poco dopo essere diventato Papa, il
22 dicembre 2005, Benedetto XVI ha
espresso il suo pensiero sulla corretta interpretazione del Concilio Vaticano II. Da una parte bocciava la cosiddetta «ermeneutica della discontinuità», ovvero tutti i tentativi di mostrare il Vaticano II come un momento di rottura rispetto alla precedente
tradizione. Dall’altra, difendeva l’«ermeneutica della riforma», ovvero l’idea
che il Vaticano II trasmettesse la dottrina antica presentandola semplicemente in forme e modi più adatti alla modernità. Non è così?
«Dipende da che cosa intendiamo col termine Tradizione. La
Tradizione della Chiesa è quella
realtà che ci trasmette la parola
viva che è Gesù Cristo e che ci è
offerta dal Nuovo Testamento. Io
penso che ci siamo staccati parzialmente da questa Tradizione
dopo la pace costantiniana (che
risale al 313 d.C., n.d.r.), quando
la Chiesa ha assunto delle prerogative di potenza mondana, tradendo il Vangelo. Se non interamente, in buona parte. Per cui la
nostra Tradizione è stata piuttosto infiacchita. Il Vaticano II, con
uno sforzo teologico di notevole
impegno, si è rifatto alla Tradizione più antica e certo ha corretto una tradizione più recente
che non era più nella linea di
quella antica».
Eppure gli attuali tradizionalisti, compresi i lefebvriani, accusano il Vaticano II dell’esatto contrario: di essersi
discostato dalla «vera» Tradizione...
«Faccio un altro esempio, più ticinese. Il professor Romano
Amerio (pensatore ticinese morto nel 1997, n.d.r.) nel suo volume “Iota unum” attacca il Concilio e i Papi, tacciandoli anche
di eresia, in quanto si sono staccati da una certa tradizione. Devo dire che ha ragione. Tra la
“Gaudium et spes” (uno dei principali documenti del Vaticano II,
n.d.r.) e il «Sillabo» (il testo di Pio
XI che nel 1864 condannava
quelli che riteneva i principali
errori del mondo moderno, tra
cui liberalismo, socialismo, comunismo; n.d.r.) c’è un abisso.
Bisogna però vedere se sia il “Sillabo” in maggiore armonia con
l’antica Tradizione, oppure la
“Gaudium et spes”. Giudichi un
lettore oggettivo...».
E lei, come professore di dogmatica,
come giudica?
«Io sono certo che la “Gaudium
et spes” sia maggiormente nella
linea dell’antica Tradizione, soprattutto del Nuovo Testamento
rispetto al “Sillabo”, del quale io
mi vergogno. Anche se si dice che
sia stato scritto in un determinato periodo della storia. Ma Gesù ci
ha invitato – e Papa Giovanni ha
fatto altrettanto – a leggere i segni dei tempi attuali. Gli autori
del “Sillabo” non hanno letto i segni dei tempi che loro stavano vivendo, e pertanto hanno scritto
delle realtà che non sono conformi al Nuovo Testamento, al Vangelo di Gesù Cristo».
Qual è lo stato della teologia nella
Chiesa cattolica di oggi?
«Comeprofessoreinpensioneda
anni non ho più la capacità di seguirelateologiainmodopuntuale e preciso. Ma non sono stato
particolarmente impressionato
da pubblicazioni recenti. Salvo
dalleproduzionineglistudibiblici. Mi pare che dal punto di vista
esegetico ci siano pubblicazioni
notevoli che ci mostrano la consonanza tra il pensiero evangelico e quellocattolico.Dal punto di
vista dogmatico, cito ora, perché
li ho davanti a me, due libri interessanti: uno di Giordano Frosini
“Un nuovo volto di Dio”, e uno di
VitoMancuso“L’animaeilsuodestino”.Quivedounosforzo,anche
incampoitalofono,perchélateologianonabbiaa ripetere schemi
stantii e superati. Non dimentichiamo che la Chiesa è una realtà
vivaehabisognodirigenerarsicostantemente. Rilevo globalmente un certo immobilismo».
Come lo spiega?
«Mi sembra che si abbia quasi
paura di essere condannati se si
sfora da quelle che sarebbero le
imposizioni attuali. E questo non
è un bene. La teologia ha bisogno di libertà. Anche il professor Ratzinger nel 1965 ha firmato una dichiarazione che chiedeva a Roma maggior libertà per
i teologi. ll teologo deve avere la
MOMENTO TRAVAGLIATO Cardinali, a sinistra, e vescovi, a destra,
sotto la statua di San Pietro (Ap). In alto: don Vitalini. (foto Maffi)
libertà di proporre anche nuove
soluzioni senza essere necessariamente bersagliato. È solo nella ricerca lenta e fatta su strade
che eventualmente possono rivelarsi sbagliate, o eventualmente giuste, che la teologia può
avanzare. Non avremmo mai
avuto un Vaticano II se non avessimo avuto teologi che hanno
pagato di persona per le loro
idee, come i già citati padre Congar e Karl Rahner».
Ma Roma, in un certo senso, è costretta a vigilare sull’ortodossia delle nuove tesi teologiche...
«D’accordo. Però i teologi hanno
bisogno di libertà anche perché
il Magistero della Chiesa non si
trovi sempre a condannare ciò
che a dieci anni di distanza è obbligato a riconoscere come del
tutto valido».
Lei oggi è uno dei collaboratori del
vescovo di Lugano in Curia vescovile.
Che rapporti ci sono tra i vescovi delle diocesi locali e il Vaticano?
«Icontattirelativamentemodesti
che ho con la conferenza episcopale svizzera non mi permettono
di dare un giudizio oggettivo al
proposito.Faccio soltanto notare
che il vescovo di Luganopiù volte
a Roma è intervenuto per sottolinearecomeivescovinonsianodei
prefetti della sede apostolica, ma
successoridegliapostoliincomunioneconilvescovodiRoma.Noto ancora come il comunicato
pubblicato dalla conferenza episcopaleelveticadopolariammissione dei lefebvriani nella Chiesa
cattolicaèstatountestocoraggioso. I vescovi hanno mostrato un
coraggiochetalunimezzidiinformazione–midispiacefarloosservare – non hanno comunicato all’opinione pubblica».
I vertici della Chiesa cattolica, oggi,
sono soprattutto preoccupati di emanare delle norme?
«Non penso che i fedeli badino
molto alla normatività, preferiscono lavorare nel concreto. La
Chiesa attiva esiste e fa molto.
Penso, ad esempio, a quanto la
Conferenza di San Vincenzo de
Paoli (una realtà cattolica impegnata soprattutto in opere di carità a favore dei poveri, n.d.r.) fa
in tutto il Ticino per sollevare tante persone e famiglie che si trovano in gravi angustie materiali
e spirituali. Credo che se vogliamo parlare di Chiesa dobbiamo
incontrarci su questo livello molto pratico. La gente quasi non si
accorge di tante disposizioni canoniche e di tante direttive che
contraddicono quelle precedenti (ad esempio per ciò che riguarda l’assoluzione generale nel sacramento della confessione, prima concessa e ora negata). La
gente ha capito che il Cristianesimo è essenzialmente una vita
d’amore, di carità e di dedizione».
Tuttavia Roma si pronuncia su molte
questioni: dall’eutanasia, all’aborto;
dal divorzio, ai preservativi...
‘
La Pasqua? Vedo la
resurrezione in persone molto semplici e
buone che si occupano degli altri, come
fece il dottor Maggi
«Su questo punto anche i mass
media hanno una loro responsabilità. Mi è spiaciuto che a proposito del viaggio papale in Africa si sia evidenziata la questione del profilattico e si sia dimenticato il messaggio di protesta
contro i crimini della guerra e
della fame che è stato fatto dal
vescovo di Roma. Mi sembra che
a volte l’informazione sia filtrata in modo subdolo e la nostra
gente ne resti impressionata».
I media a volte «gonfiano» le notizie, è vero. Ma la questione del preservativo, per quanto amplificata in
questo caso, non è un semplice dettaglio.
«È un fatto, e credo che lo si riconosca da parte di tutti, che là
dove c’è un’infezione in una famiglia l’uso dei profilattico è necessario perché anche l’altro co-
niuge non sia infettato. Ma mi
sembra altrettanto evidente che
non sarà certo la diffusione dei
profilattici a bloccare l’AIDS. È
con un comportamento maggiormente umano, più intelligente, più fondato sui valori antropologici che si potrà sperare di
debellare questa malattia».
La Chiesa di oggi ha o non ha un
problema con la modernità e la laicità?
«Credo che si debba riconoscere che il dialogo non sia attualmente condotto in maniera saggia. Anche perché si ha l’impressione che l’autorità ecclesiastica
voglia, quasi necessariamente,
immischiarsi nelle questioni che
sono dibattute a livello politico.
Questa commistione non ci fa
che del danno».
Vuol dire che la Chiesa non deve fare politica?
«No. Voglio dire che credo che
la Chiesa debba proclamare dei
princìpi, ma anche poi rispettare uno stato laico che non necessariamente si ispira ai princìpi cattolici. Ritengo, ad esempio, nostro dovere far presente
agli scienziati che dobbiamo rispettare la vita già al suo nascere. Si può insomma dare una
presentazione serena della posizione della Chiesa senza dare
l’impressione che la Chiesa detenga l’assoluta verità e coloro
che non la seguono siano nell’errore».
Ma esiste ancora, nella Chiesa cattolica una gerarchia delle verità? Non
c’è la tendenza ad equiparare le direttive secondarie ai dogmi?
«Questo è un grave errore. La gerarchia delle verità è fondamentale. Perché la verità è Dio. Noi
camminiamo verso la verità, ma
siamo lontani dalla sua pienezza. Soltanto nella pienezza della contemplazione, al di là del
velo della morte, potremo dire
di essere di fronte alla verità. E
anche allora non arriveremo mai
a comprenderla. Dunque, dobbiamo sottolineare la nostra piccolezza, l’incapacità che abbiamo di abbracciare la verità che
è Dio stesso. Non dobbiamo sostituirci a Dio. In una visione
molto strana, corrente ai tempi
del primo Concilio vaticano, si
era arrivati a chiamare il Papa
“vice-Dio”, perché si pensava che
avessimo sulla terra un sostituto della Trinità. È un errore. Siamo tutti fragili, poveri, abbiamo
tutti bisogno di correzione. Pensando anche a tutti gli errori
commessi dalla Chiesa e dal suo
Magistero nella storia dovremmo diventare molto umili».
Quale pensiero l’accompagnerà nella Pasqua, quest’anno?
«Penso a persone molto semplici e buone, alla gente che si occupa degli altri, dei malati e degli anziani, alla gente che si impegna nelle missioni, come i nostri presbiteri in Ciad... In loro
vedo la risurrezione del Signore.
Penso alla Pasqua del dottor
Maggi, un uomo semplicissimo
e modestissimo che ha però vissuto nella serenità e nella gioia
perché ha potuto fare della sua
vita un servizio per i poveri nel
Camerun. Non gli sono certo
mancate le difficoltà. Ma non si
è mai scomposto. Perché era
quasi ossessionato dalla necessità di aiutare i molti poveri che
senza di lui non avrebbero avuto né guarigione, né salute. È bello pensare che i suoi ospedali sono una resurrezione per quelle
popolazioni. Penso perciò ad
una Pasqua incarnata. Tolstoji,
nel romanzo “Resurrezione”, mostra come un uomo che passa
dall’egoismo all’atruismo scopre
una dimensione completamente nuova della vita. La dimensione dell’amore, che è una dimensione divina».