APPUNTI DI MECCANICA RAZIONALE Maria Stella Mongiov`ı
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APPUNTI DI MECCANICA RAZIONALE Maria Stella Mongiov`ı
APPUNTI DI MECCANICA RAZIONALE Maria Stella Mongiovı̀ 1 INTRODUZIONE La Meccanica Razionale è quella parte della Fisica Matematica che studia le leggi generali del movimento e dell’equilibrio dei corpi o delle loro parti. Ovviamente, nei fenomeni fisici, il movimento non interviene mai da solo: ad esempio, se si osserva un’automobile che cammina, il fatto che i vari pezzi della carrozzeria siano rigidi proviene da certe proprietà degli atomi che sono studiate nella Fisica dello Stato Solido, mentre la viscosità e la fluidità del carburante, o del liquido di raffreddamento, o i fenomeni che si verificano all’interno della camera di combustione sono strettamente legati a processi di vario tipo: termico, chimico, elettromagnetico, ecc. La Meccanica Razionale si limita allo studio della più semplice forma di moto, quello meccanico, intendendo per moto meccanico variazioni con il tempo della posizione dei corpi relativamente ad altri. Poichè lo stato di equilibrio è un caso particolare di moto, la Meccanica Razionale include anche lo studio dell’equilibrio dei corpi. Le osservazioni dei vari fenomeni naturali mostrano che non tutte le proprietà dei corpi coinvolti nel fenomeno in questione influiscono sull’andamento del fenomeno o sul suo risultato finale. Per esempio, è noto dall’esperimento che una trave poggiata su due supporti agisce su di essi con forze che sono dipendenti essenzialmente dalla posizione dei supporti e non dalla deflessione della trave (purchè tale deflessione sia piccola). Pertanto nel determinare tali forze, possiamo sostituire la trave reale con una trave indeformabile (perfettamente rigida). Nello studio di altri fenomeni, argomenti analoghi conducono alla nozione di modelli di corpi (punto materiale, punto carico, corpo rigido, ecc.). Notiamo tuttavia che in natura non esistono corpi rigidi, punti materiali, punti dotati di carica, ecc. e che tutte queste sono astrazioni che ci permettono, attraverso la formulazione di un modello matematico, di considerare teoricamente il fenomeno in questione e di risolvere il problema proposto. Ogni tentativo, infatti, di risolvere anche il più semplice problema senza ricorrere ad uno di tali modelli semplificati è destinato a fallire. Il presente corso è dedicato allo studio della meccanica classica ed è basato sulle leggi che vennero stabilite da G. Galilei e da I. Newton. Alla fine del 190 secolo ed all’inizio del 200 secolo è stato mostrato che le leggi della meccanica classica non sono applicabili al moto di particelle subatomiche ed a corpi che si muovono con velocità vicine a quelle della luce. La meccanica quantistica e la meccanica relativistica, che affrontano lo studio di tali fenomeni, indicano i limiti di validità della meccanica classica. Tutto ciò non diminuisce tuttavia il ruolo della meccanica classica che continua a rimanere uno strumento indispensabile per lo studio del moto di corpi macroscopici le cui velocità sono piccole confrontate con quella della luce, cioè tutti i moti di cui si occupa usualmente l’ingegneria. I metodi della Meccanica Razionale. La Meccanica Razionale, cosı̀ come le altre parti della Fisica Matematica, usa largamente il metodo dell’astrazione. L’applicazione di tale 2 metodo consente di stabilire, attraverso la generalizzazione dei risultati sperimentali e della pratica tecnologica, alcune leggi generali, che prendono il ruolo di assiomi. Tutte le altre proposizioni della disciplina possono essere derivate da questi assiomi con deduzioni logiche e calcoli matematici. Poichè la Meccanica Razionale tratta maggiormente con relazioni quantitative, è chiaro che in essa la Matematica deve giocare un ruolo molto importante. Tuttavia, sebbene il corso di Meccanica Razionale contenga pochi riferimenti a studi sperimentali, anche per questa disciplina, come per ogni altra scienza, la dimostrazione finale delle sue leggi e proposizioni risiede nella pratica e nell’esperimento: solamente attraverso una verifica sperimentale si può decidere se una data ipotesi o una teoria è o no corretta. I.1. Note storiche. La Meccanica è una delle scienze più antiche. Sebbene i più antichi manoscritti di meccanica giunti a noi appartengono al 40 secolo a.C., i resti di antiche strutture mostano che già molto prima alcuni concetti della meccanica erano noti. La prima parte della Meccanica Razionale che iniziò a svilupparsi fu la Statica, la scienza che tratta dell’equilibrio dei corpi materiali. Nella prima parte del 30 secolo a.C. vennero gettate le sue basi, principalmente nei lavori di Archimede (circa 287-212 a.C.). Egli studiando l’equilibrio della leva introdusse il concetto di baricentro, e scoprı̀ la ben nota legge dell’idrostatica che deve a lui il nome. Le basi della Cinematica, ed, in particolare, della Dinamica (la parte della Meccanica Razionale che studia il moto dei corpi in connessione con le loro interazioni) vennero gettate da Galileo (1564-1642) e da Newton (1642-1727) soltanto alla fine del 160 secolo ed all’inizio del secolo successivo. Il periodo di quasi 2000 anni separante i tempi di Archimede e di Newton, può essere caratterizzato, in relazione agli sviluppi della Meccanica, come un tempo in cui venne accumulata una grande quantità di dati sperimentali, riguardanti vari tipi di moto meccanico (in particolare, il moto dei corpi celesti) e di un sistematico, sebbene lento, sviluppo di metodi matematici. Questo materiale sperimentale, lo sviluppo della Matematica, le grandi scoperte fatte da N. Copernicus (1473-1543), da J.Kepler (1571-1630) e soprattutto da Galileo, immediato predecessore di Newton, consentirono a quest’ultimo di scoprire le leggi generali della Meccanica (che da lui presero il nome) e di creare adeguati metodi matematici (il calcolo differenziale ed integrale) rendendo possibile l’applicazione di queste leggi generali e delle loro conseguenze alla risoluzione di problemi pratici. Nel 180 e 190 secolo infine vennero formulati i metodi analitici della Meccanica Razionale (L. Euler (1707-1787), J.D’Alembert (1717-1783), J.L. Lagrange (1736-1813), K.G.J. Jacobi (1804-1851), W.R. Hamilton (1805-1865), J.H. Poincaré (1854-1912) e altri). Lo sviluppo della moderna tecnologia ha condotto allo studio indipendente di alcune particolari parti della Meccanica, cosı̀ come l’idrodinamica, l’aerodinamica, la gasdinamica, la teoria dell’elasticità, la teoria della plasticità, la resistenza dei materiali, ecc. Tuttavia, i metodi utilizzati da queste scienze nel risolvere problemi sono tutti basati sui metodi della Meccanica Razionale e più in generale della Fisica Matematica. I.2. Argomenti di Meccanica Razionale. Il corso di Meccanica Razionale è diviso 3 in tre parti, la Cinematica, la Statica e la Dinamica. In Cinematica si studia il moto dei corpi, in maniera puramente geometrica, senza tener conto dei fattori che lo causano. La Statica riguarda le leggi dell’equilibrio dei corpi materiali e le regole di riduzione di sistemi di forze a sistemi di forma più semplice. Infine la Dinamica studia il moto dei corpi in relazione con le forze che agiscono su di essi e che lo causano. 1.3. Nozioni introduttive Per avere una visione chiara della Meccanica è necessario possedere una descrizione matematica rigorosa dei concetti di tempo e di spazio. Cercheremo adesso di descrivere brevemente dal punto di vista matematico, tali concetti. Il Tempo. Il concetto di tempo accompagna ogni nostra conoscenza, anche intuitiva, del mondo che ci circonda. Quando prendiamo coscienza di qualcosa che esiste, questo qualcosa non si presenta soltanto come esistente, ma come esistente ora; è inoltre possibile introdurre un ordine negli avvenimenti, per mezzo delle relazioni di prima e di dopo. Per poter applicare i metodi propri della matematica alla descrizione di tempo, dobbiamo ammettere, almeno in linea di principio, che sia possibile fissare, con accuratezza arbitraria, un punto del tempo o istante, e che, dati due tali punti sia possibile dire quale venga prima e quale dopo. Inoltre, la relazione di prima e di dopo deve avere la seguente proprietà: se A, B e C sono tre istanti di tempo, e se A precede B e B precede C, allora A precede C. Due istanti qualsiasi A e B, dove A precede B, determinano un intervallo orientato di tempo, che contiene tutti gli istanti che seguono A e precedono B. Il succedersi degli eventi, ci si presenta ordinato in un continuo, per cui, tra due istanti di tempo comunque vicini, possiamo sempre pensare un istante intermedio, e senza buchi. L’insieme di tutti gli istanti può dunque essere modellato, dal punto di vista matematico, con l’insieme (continuo e ordinato) dei numeri reali. Lo Spazio. Le nostre senzazioni ci si presentano come il susseguirsi di eventi, di cui pensiamo di poter fissare l’immagine istantanea. In questa immagine istantanea i diversi corpi occupano differenti posizioni: i punti dello spazio. La descrizione in termini matematici dei punti dello spazio, richiede l’uso di concetti geometrici. Anche lo spazio ci si presenta come un continuo, ma non è unidimensionale, come il tempo: è un continuo tridimensionale. Questo comporta l’assenza di una relazione d’ordine (non ha senso dire che un punto dello spazio precede un’altro). Per descrivere i punti dello spazio si fissano delle linee preferenziali, in generale delle rette (idealizzazioni di corpi rigidi), e si individua la posizione di ogni punto dello spazio rispetto a queste rette prefissate. Un ulteriore risultato dell’esplorazione dello spazio, è che in esso (in una prima approssimazione) vale la geometria euclidea. Lo spazio fisico può cosı̀ essere modellato come uno spazio puntuale euclideo di dimensione 3. Nel seguito, lo spazio fisico sarà indicato con E3 . L’insieme a 4 dimensioni E3 × R, costituito dai quadrivettori (x, y, z, t), dove (x, y, z) indica in punto di E3 e t ∈ R in istante temporale, prende il nome di spazio-tempo. 4 PARTE I CALCOLO VETTORIALE E GEOMETRIA DELLE MASSE 5 CAPITOLO 1 ALGEBRA VETTORIALE 1.1. QUANTITÀ SCALARI, VETTORIALI, TENSORIALI. Nello studio della Meccanica Razionale si incontrano quantità di vario tipo: scalari, vettori, tensori. Una quantità scalare, o semplicemente uno scalare, è una quantità che è specificata soltanto dal suo valore numerico, relativo ad una fissata unità, e non è legata ad alcuna direzione nello spazio. Esempi di quantità scalari sono la massa di un corpo o il suo volume, la temperatura, l’energia. Una quantità vettoriale, o semplicemente un vettore, è specificato, oltre che dal suo valore numerico, anche da una definita direzione (orientata) nello spazio. Esempi di vettori sono le forze, le velocità, gli spostamenti. Una quantità tensoriale, o semplicemente un tensore, è una quantità che per essere individuata ha bisogno di più vettori. Un endomorfismo tra spazi vettoriali è un esempio di tensore. 1.2. I VETTORI LIBERI. Siano A e B due punti qualunque dello spazio euclideo tridimensionale E3 . Si chiama segmento orientato AB (indicato anche con AB o con B − A) un segmento su cui è fissato un verso di percorrenza. Un segmento orientato AB è dunque individuato da una coppia ordinata (A, B) di punti dello spazio. Il primo punto prende il nome di origine del segmento, il secondo di estremo. Due segmenti orientati AB ed A0 B 0 si dicono equipollenti se hanno la stessa direzione, la stessa lunghezza (o modulo) e lo stesso verso. Figura 1.2.1 6 Si verifica immediatamente che la relazione di equipollenza sopra definita gode delle seguenti proprietà: è riflessiva (AB è equipollente a se stesso), simmetrica (se AB è equipollente ad A0 B 0 , A0 B 0 è equipollente ad AB) e transitiva (se AB è equipollente ad A0 B 0 ed A0 B 0 è equipollente ad A00 B 00 , allora AB è equipollente ad A00 B 00 (f ig. 1.2.1a)). La relazione di equipollenza ora definita permette di suddividere l’insieme dei segmenti orientati dello spazio in sottinsiemi, che chiameremo classi di equipollenza: ogni classe è costituita da tutti e soli i segmenti orientati equipollenti ad un dato segmento. Una classe di equipollenza è quindi individuata da uno qualsiasi dei segmenti orientati che la costituiscono, ad esempio i segmenti AB, A0 B 0 e A00 B 00 di f ig. 1.2.1a sono tutti appartenenti alla stessa classe. Per individuare la classe si può allora scegliere come rappresentante uno qualunque tra essi. Chiameremo vettore libero (o vettore geometrico o vettore fisico o semplicemente vettore) (non nullo) una classe definita dalla relazione di equipollenza. Definiamo infine vettore nullo la classe delle coppie ordinate (A, A). Denoteremo con V l’insieme delle classi di equipollenza sopra definite. Un vettore sarà sempre indicato con lettere minuscole in grassetto ( x, y, z, u, v, w, ecc.), o con lettere corsive sottosegnate (x,y,z,u,v,w, ecc.), o con freccie (~x, ~y , ~z, ~u, ~v , w, ~ ecc.); uno scalare ¯¯¯¯¯ ¯ (numero reale) con una lettera corsiva non sottosegnata (λ, µ, a, b, ecc.). Il vettore nullo verrà indicato indifferentemente con o e con 0. Chiameremo direzione, verso e modulo di un vettore rispettivamente la direzione, il verso e la lunghezza di un suo qualsiasi rappresentante. Al vettore nullo non può essere associata nè una direzione nè un verso, il suo modulo invece è zero. Un vettore libero v, può essere rappresentato graficamente tramite una qualunque coppia di punti (A, B) appartenenti alla classe di equivalenza individuata dal vettore v. Il segmento orientato AB, viene anche chiamato vettore applicato, ed indicato, oltre che AB e B − A, anche con il simbolo (A, v). Il punto A prende il nome di punto di applicazione del vettore v; il punto B, estremo. Si definisce Somma o Risultante di due vettori v1 e v2 il vettore v1 + v2 , che denoteremo anche con R, il cui rappresentante può essere ottenuto nel seguente modo: si applichi il vettore v1 un un punto A qualsiasi dello spazio e si ponga successivamente l’origine del vettore v2 nell’estremo B di v1 . Sia C l’estremo del vettore v2 , applicato in B. Il segmento orientato AC è un rappresentante del vettore v1 + v2 . Come si verifica immediatamente, v1 + v2 coincide con la diagonale del parallelogrammo costruito su v1 e v2 (f ig. 1.2.1b). Si definisce Moltiplicazione o Prodotto del vettore v per lo scalare λ il vettore, che indicheremo con λv, avente la stessa direzione di v, lunghezza uguale al prodotto della lunghezza di v per il valore assoluto dello scalare λ e verso concorde o discorde con v a seconda che il numero reale λ sia positivo o negativo (f ig. 1.2.1c). Utilizzando le notazioni AB e B − A, la somma e la differenza di due vettori possono 7 essere eseguite con le seguenti regole formali: AB + BC = AC (B − A) + (C − B) = C − A (1.2.1) AC − BC = AB (C − A) − (C − B) = B − A (1.2.2) OSSERVAZIONE 1.2.1: L’insieme delle classi di equipollenza V, dotato delle operazioni sopra definite, gode delle seguenti proprietà: a) x + y = y + x, ∀x, y ∈ V b) (x + y) + z = x + (y + z), ∀x, y, z ∈ V c) ∃o ∈ V tale che o + x = x, ∀x ∈ V d) ∀x ∈ V, ∃ − x ∈ V tale che (−x) + (x) = o e) 1x = x, ∀x ∈ V f) a(bx) = (ab)x, ∀x ∈ V, ∀a, b ∈ R g) (a + b)x = ax + bx ∀x ∈ V, ∀a, b ∈ R h) a(x + y) = ax + ay ∀x, y ∈ V, ∀a ∈ R Conseguentemente, l’insieme delle classi di equipollenza, dotato delle operazioni sopra definite, costituisce uno spazio vettoriale sui reali. OSSERVAZIONE 1.2.2: In maniera analoga a come abbiamo definito i vettori dello spazio possiamo definire i vettori del piano e i vettori della retta, semplicemente scegliendo i punti A e B su un piano o su una retta. 1.3 SOMMA O RISULTANTE DI PIÙ VETTORI Il risultante R di tre vettori v1 , v2 e v3 può essere ottenuto applicando il vettore v1 in un qualunque punto A, ponendo successivamente il punto di applicazione del vettore v2 sull’estremo B di v1 ed infine applicando sull’estremo C del vettore v2 il vettore v3 . Figura 1.3.1 8 Il segmento orientato AD, congiungente l’origine A di v1 , con l’estremo D di v3 , individua un rappresentante del vettore R. Si vede immediatamente che il vettore R è la diagonale principale del parallelepipedo costruito sui tre vettori v1 , v2 e v3 (f ig. 1.3.1a). Allo stesso modo, per sommare n vettori v1 , v2 , ... , vn basta costruire una poligonale i cui elementi sono i vettori vi (i = 1, 2, ...n); il risultante R, si ottiene congiungendo l’origine del primo vettore con l’estremo dell’ultimo. Poichè la somma di vettori soddisfa la proprietà commutativa, il risultante R è indipendente dall’ordine utilizzato per costruire la poligonale (f ig. 1.3.1b e c). Vale la seguente regola formale, che generalizza la (1.2.1): A1 A2 + ... + An−1 An = A1 An (A2 − A1 ) + ... + (An − An−1 ) = An − A1 (1.3.1) 1.4. DECOMPOSIZIONE DI UN VETTORE Ha interesse, in Meccanica Razionale, decomporre un vettore v nella somma di due o tre vettori, verificanti determinate proprietà. DECOMPOSIZIONE SECONDO DUE DIREZIONI NON PARALLELE: Siano r1 ed r2 due rette non parallele, che individuano le due direzioni assegnate. Figura 1.4.1 Per comodità supporremo tali rette complanari. Sia v un vettore appartenente alla giacitura individuata dalle due rette r1 ed r2 . Sia A il punto di intersezione delle due rette r1 ed r2 . Applichiamo in A il vettore v. Costruiamo il parallelogramma che si appoggia sulle due rette r1 ed r2 e che ha come diagonale il vettore v, tracciando dall’estremo B del vettore applicato (A,v) due rette s1 ed s2 rispettivamente parallele ad r1 ed r2 . I punti di intersezione C e D di queste rette con r1 ed r2 sono proprio gli estremi dei vettori applicati AC e AD, rappresentanti dei vettori v1 e v2 cercati (f ig. 1.4.1). I vettori v1 e v2 cosı̀ ottenuti, prendono il nome di vettori componenti (o componenti vettoriali) di v secondo le due direzioni orientate r1 ed r2 . DECOMPOSIZIONE SECONDO UNA DIREZIONE ED UNA GIACITURA: Siano r e π una retta ed un piano non paralleli, individuanti la direzione e la giacitura assegnati. Se v è parallelo ad r o appartiene alla giacitura di π la decomposizione si effettua banalmente. Supponiamo dunque v non parallelo ad r nè appartenente alla giacitura del piano π. Sia A il punto di intersezione tra la retta r ed il piano π. Applichiamo il vettore v nel punto A. Il vettore applicato (A,v) e la retta r individuano un piano π1 , non parallelo 9 a π. Sia s la retta di intersezione tra i due piani π e π1 . Ripetendo nel piano π1 la decomposizione - di cui al punto precedente - del vettore v secondo le due direzioni r ed s, si ottengono i due vettori v1 e v2 cercati (f ig. 1.4.2). Tali vettori prendono il nome di componenti vettoriali di v secondo la direzione orientata r e la giacitura π. Figura 1.4.2 DECOMPOSIZIONE SECONDO TRE DIREZIONI NON COMPLANARI: Siano r1 , r2 ed r3 tre rette non complanari, individuanti le tre direzioni assegnate. Per semplicità supporremo tali rette uscenti tutte da uno stesso punto A. Sia v un generico vettore. Applichiamo il vettore v nel punto A. I tre vettori v1 , v2 e v3 cercati si trovano immediatamente costruendo il parallelepipedo con vertice in A, che si appoggia sulle tre rette r1 , r2 ed r3 e che ha come diagonale principale il vettore v. Tale costruzione può essere fatta nel seguente modo: sia π1 il piano individuato dalla retta r3 e dal vettore v; sia poi s la retta di intersezione di tale piano π1 con il piano π2 , individuato dalle rette r1 ed r2 . Dopo aver decomposto il vettore v nei due vettori v3 e v0 , rispettivamente paralleli ad r3 e ad s, si decomponga in vettore v0 nei due vettori v1 e v2 rispettivamente paralleli ad r1 ed r2 (f ig. 1.4.3). I tre vettori v1 , v2 e v3 prendono il nome di componenti vettoriali del vettore v secondo le tre direzioni orientate r1 , r2 ed r3 . Figura 1.4.3 10 1.5. MATRICI. Siano aij numeri reali; n ed m numeri naturali. Sia: a11 a21 . A = (aij ) = . ai1 . am1 a12 a22 . . ai2 . am2 . . . . . . . . a1j . a2j . . . . . aij . . . amj . . . . . . . . a1n . a2n . . . . . ain . . . amn (1.5.1) una matrice con m righe ed n colonne. Come è usuale, nell’elemento generico aij di questa matrice, il primo indice è l’indice di riga, il secondo, l’indice di colonna. Indicheremo con M(m, n) l’insieme di tutte le matrici di tipo (m, n). Se scegliamo n = 1 otteniamo l’insieme M(m, 1) dei vettori colonna con m componenti: a11 a1 a21 a2 . . . . .. v= = ai1 ai . . . . . . am1 am Se scegliamo m = 1 otteniamo l’insieme M(1, n) dei vettori riga ad n componenti: ³ v = a11 a12 ´ · · a1i ³ · a1n = a1 a2 · · ai · an ´ Se scegliamo m = n otteniamo l’insieme M(n, n) delle matrici quadrate. ESEMPI DI MATRICI: a) Si chiama Matrice nulla la matrice O i cui elementi sono tutti nulli. O = (aij ) aij = 0 ∀i, ∀j b) Si chiama Matrice unità o Matrice identica la matrice quadrata U i cui elementi indicheremo con il simbolo U = (δij ), dove: ½ δij = Il simbolo δij qui introdotto prende il nulla e identica si scrivono: 0 0 O = 0 0 0 0 1 0 i=j i 6= j (1.5.2) nome di simbolo di Kronecker. Se n=3 le matrici 0 0 0 1 0 0 U = 0 1 0 0 0 1 SOMMA DI DUE MATRICI: Date le due matrici A = (aij ) e B = (bij ) si definisce somma delle matrici A e B la matrice C = (cij ) i cui elementi si ottengono sommando i rispettivi elementi delle due matrici A e B: C =A+B (cij ) = (aij + bij ) 11 ∀i, ∀j (1.5.3) PRODOTTO DI UNA MATRICE PER UN NUMERO REALE: Dati la matrice A = (aij ) ed il numero reale λ, si definisce prodotto della matrice A per lo scalare λ, la matrice C = (cij ) i cui elementi si ottengono moltiplicando i corrispondenti elementi della matrice A per lo scalare λ: C = λA (cij ) = (λaij ) ∀i, ∀j (1.5.4) MATRICI SIMMETRICHE ED ANTISIMMETRICHE: Prende il nome di Matrice simmetrica una matrice quadrata i cui elementi verificano la relazione: aij = aji ∀i, ∀j. Si chiama Matrice antisimmetrica (o emisimmetrica) una matrice quadrata i cui elementi verificano la relazione aij = −aji (∀i, ∀j). TRASPOSTA DI UNA MATRICE: Si chiama Matrice trasposta di una matrice quadrata A = (aij ), la matrice quadrata AT ottenuta dalla matrice A scambiando le righe con le colonne: AT = (aTij ) = (aji ) Si verifica immediatamente che la trasposta della trasposta di una matrice A coincide con ³ ´T la matrice di partenza: AT = A. Osserviamo infine che se A è una matrice simmetrica risulta AT = A, mentre se A è una matrice antisimmetrica risulta AT = −A. MATRICI DIAGONALI: Esempi particolari di matrici simmetriche sono le Matrici diagonali. Si chiama Matrice Diagonale una matrice quadrata D i cui elementi soddisfano la condizione: aij = 0 i 6= j. Nel caso particolare di n=3 una matrice diagonale si scrive: d1 D= 0 0 0 d2 0 0 0 d3 DECOMPOSIZIONE DI UNA MATRICE: Si verifica immediatamente che sommando ad una matrice A la sua trasposta si ottiene una matrice simmetrica: aij + aTij = aij + aji = aji + aTji mentre sottraendo ad una matrice A la sua trasposta si ottiene una matrice antisimmetrica: aij − aTij = aij − aji = −(aji − aTji ) Osservato poi che risulta 1 1 A = (A + AT ) + (A − AT ) 2 2 concludiamo che una qualunque matrice A si può sempre decomporre nella somma di due matrici, una simmetrica ed una antisimmetrica. La matrice (A + AT )/2 prende il nome di parte simmetrica della matrice A, la matrice (A − AT )/2 prende il nome di parte antisimmetrica della matrice A. 12 PRODOTTO DI DUE MATRICI: Date le due matrici A = (aij ) e B = (bij ), tali che il numero di colonne di A coincida con il numero di righe di B, si definisce prodotto righe per colonne delle due matrici la matrice C = (cij ), tale che: C = AB à n X (cij ) = ! aik bkj ∀i, ∀j (1.5.5) k=1 DETERMINANTE DI UNA MATRICE QUADRATA: Prende il nome di determinante di una matrice quadrata il numero reale: detA = X (−1)σ(p) a1j1 a2j2 ...ahjh ...anjn (1.5.6) p∈P dove la sommatoria è estesa all’insieme P costituito dalle n! permutazioni degli indici di colonna jh e dove σ(p) è +1 o -1 a seconda che la permutazione p = (j1 , j2 , ...jn ) sia pari o dispari rispetto a quella fondamentale. MATRICI SINGOLARI E MATRICI NON SINGOLARI: Una matrice quadrata A si dice non singolare o singolare a seconda che il suo determinante risulti o no diverso da zero. Vale la seguente proprietà: Il determinante del prodotto di due matrici quadrate non singolari A e B è uguale al prodotto dei determinanti: det(AB) = det A det B INVERSA DI UNA MATRICE: Data la matrice quadrata non singolare A = (aij ), si definisce inversa di A la matrice A−1 che verifica le seguenti condizioni: A−1 A = AA−1 = I (1.5.7) Posto A−1 = (bij ), ed indicato con αij l’aggiunto dell’elemento aij di A, si verifica che: bij = αji detA MATRICE ORTOGONALE: una matrice quadrata A = (aij ) si dice ortogonale se: A−1 = AT (1.5.8) Le matrici ortogonali godono delle seguenti proprietà: n X n X ahs aks = δhk s=1 ash ask = δhk (1.5.9) s=1 Dimostrazione: per dimostrare la (1.5.9)1 moltiplichiamo a sinistra la (1.5.8) per la matrice A ottenendo AAT = U , cioè: n X ars aTsl = δrl (1.5.10) s=1 Quest’ultima relazione, poichè risulta aThk = akh , è proprio la (1.5.9)1 . La (1.5.9)2 si verifica analogamente moltiplicando a destra la (1.5.8) per la matrice A. 13 Una matrice ortogonale è ovviamente non singolare e risulta: det A = det AT = det A−1 = ±1 (1.5.11) CONVENZIONE DELLA SOMMATORIA TACITA. Talvolta, in Fisica Matematica, allo scopo di semplificare le notazioni, si utilizza la seguente convenzione, nota come convenzione di Einstein o della sommatoria tacita: ogni volta che in un monomio compare due volte lo stesso indice, si deve sottintendere il segno di sommatoria rispetto a quell’indice. Quando in una formula viene utilizzata la convenzione di Einstein, ogni indice deve comparire in essa non più di due volte. In una data espressione, un indice che compare una sola volta prende il nome di indice libero, un indice che compare due volte prende il nome di indice ripetuto o indice saturato. Supponiamo ad esempio di scrivere una formula che contenga vettori e matrici con tre componenti: sia cioè n=3. In tal caso, ad ogni indice libero corrispondono 3 formule, una per ogni valore dell’indice. Se in una espressione compare invece un indice ripetuto, tale indice si deve sottintendere sommato da 1 a 3. ESEMPI: le formule (1.5.3)2 , (1.5.5)2 (1.5.9) e (1.5.10) con la convenzione di Einstein si scivono, più semplicemente: cij = aij + bij , cij = aik bkj , ahs aks = δhk , ars aTsl = δrl . (1.5.12) Si noti che in ciascuna delle formule sopra scritte compaiono due indici liberi, conseguentemente ciascuna di tali formule è una forma compatta per scrivere 32 espressioni. Ad esempio, la (1.5.12)2 equivale alle 9 uguaglianze: c11 = a11 b11 + a12 b21 + a13 b31 c21 = a21 b11 + a22 b21 + a23 b31 c31 = a31 b11 + a32 b21 + a33 b31 c12 = a11 b12 + a12 b22 + a13 b32 c22 = a21 b12 + a22 b22 + a23 b32 c32 = a31 b12 + a32 b32 + a33 b32 c13 = a11 b13 + a12 b23 + a13 b33 c23 = a21 b13 + a22 b23 + a23 b33 c33 = a31 b13 + a32 b23 + a33 b33 1.6 DIMENSIONE E BASI NELL’INSIEME DEI VETTORI LIBERI Richiamiamo le seguenti definizioni: n vettori v1 , v2 , ..., vn si dicono linearmente dipendenti se esiste una loro combinazione lineare a coefficienti non tutti nulli, che risulti uguale al vettore nullo. n vettori che non sono linearmente dipendenti si dicono linearmente indipendenti. Ciò equivale a dire che l’essere λ1 v1 + λ2 v2 + λ3 v3 + ... + λn vn = o implica λ1 = λ2 = λ3 = ... = λn = 0. Uno spazio vettoriale V si dice di dimensione infinita se, comunque preso il numero intero n, esistono in V n vettori linearmente indipendenti. Uno spazio vettoriale V si dice di dimensione n se esistono in V n vettori linearmente indipendenti, ma comunque presi n + 1 vettori essi sono linearmente dipendenti. Nel seguito ci occuperemo soltanto di spazi vettoriali di dimensione finita n. Quando vorremo indicare esplicitamente la dimensione dello spazio scriveremo Vn . Si chiama base di uno spazio vettoriale Vn una qualunque n-pla di vettori linearmente indipendenti. Nel seguito i vettori che compongono una base saranno indicati con il simbolo ei , e l’insieme degli n vettori con {e1 , e2 , ..., en }, con {ei }(i=1,...,n) o semplicemente con {ei }. Si dimostra che, in uno spazio vettoriale Vn di dimensione n, comunque preso un vettore v ed una base {ei }, sono determinati in maniera univoca n numeri reali vi , tali che: v = v1 e1 + v2 e2 + ... + vn en (1.6.1) 14 Gli n numeri reali vi , cosı̀ determinati, prendono il nome di componenti (più precisamente componenti controvarianti) del vettore v nella base {ei }. Vettori paralleli. Due vettori x e y, non nulli, si dicono paralleli (o collineari) se hanno la stessa direzione. Si verifica facilmente che y è parallelo a x e scriveremo y||x, se e solo se se esiste uno scalare m 6= 0 tale che y = mx. Due vettori paralleli sono dunque linearmente dipendenti. Se m > 0, diremo che y è parallelo e concorde con x; se m < 0, diremo che y è parallelo e discorde con x. Vettori complanari. Tre vettori x, y e z non nulli si dicono complanari se hanno direzioni parallele ad uno stesso piano. Si verifica facilmente che tre vettori complanari sono linearmente dipendenti (cioè uno di essi si può esprimere come combinazione lineare degli altri due). Basi nell’insieme dei vettori liberi. Abbiamo visto nel par. 1.1.4 che ogni vettore libero dello spazio fisico può essere espresso come somma di tre vettori non complanari. Mostriamo adesso che tre qualsiasi vettori non complanari {e1 , e2 , e3 } costituiscono una base. Sia dunque v un qualunque vettore e siano r1 , r2 , r3 tre rette, passanti per un generico punto A, parallele a {e1 , e2 , e3 }. Effettuando la decomposizione di cui al punto precedente, possiamo determinare tre vettori v1 , v2 e v3 , rispettivamente paralleli a e1 , e2 e e3 , tali che: v = v1 + v2 + v3 Essendo v1 , v2 , e v3 rispettivamente paralleli a e1 , e2 ed e3 esisteranno tre scalari λ1 , λ2 e λ3 tali che: v1 = λ1 e1 , v2 = λ2 e 2 v3 = λ 3 v 3 possiamo cosı̀ scrivere: v = λ1 e1 + λ2 e2 + λ3 v3 (1.6.2) I tre scalari λ1 , λ2 , λ3 sono proprio le componenti del vettore v nella base {ei }. Abbiamo cosı̀ mostrato che i vettori liberi dello spazio fisico costituiscono uno spazio vettoriale di dimensione tre. Allo stesso modo si mostra che l’insieme dei vettori del piano è uno spazio vettoriale di dimensione 2 e che l’insieme dei vettori della retta è uno spazio vettoriale di dimensione 1. LEGGE DEL CAMBIAMENTO DI BASE. Siano {e1 , e2 , e3 } ed {u1 , u2 , u3 } due basi dello spazio vettoriale V3 . Convenzionalmente chiameremo vecchia la base {ej } nuova la base {ui }. Sia poi Aij la componente i-esima del vettore ej nella nuova base {ui }; sia cioè: e1 = A11 u1 + A21 u2 + A31 u3 e2 = A12 u1 + A22 u2 + A32 u3 e3 = A13 u1 + A23 u2 + A33 u3 La matrice A = (Aij ): à A = (Aij ) = A11 A21 A31 15 A12 A22 A32 A13 A23 A33 (1.6.3) ! (1.6.4) in cui il primo indice, l’indice di riga i, è relativo alla vecchia base mentre il secondo indice, l’indice di colonna j, è relativo alla nuova, consente di passare dai vettori della vecchia base ai vettori della nuova e prende il nome di Matrice del cambiamento di base. Si verifica facilmente che risulta det A 6= 0. Conseguentemente, il sistema di equazioni (1.6.3) è invertibile. Indichiamo con A−1 la matrice inversa della matrice A; come è noto essa è definita dalla relazione: A−1 A = AA−1 = I La legge che consente di passare dai vettori della vecchia base a quelli della nuova si ottiene invertendo le equazioni (1.6.3); denotando con Āij le componenti della matrice inversa della matrice A, è: u1 = Ā11 e1 + Ā21 e2 + Ā31 e3 u2 = Ā12 e1 + Ā22 e2 + Ā32 e3 u3 = Ā13 e1 + Ā23 e2 + Ā33 e3 (1.6.5) Un vettore, essendo un ente intrinseco, non varia al variare della base; variano invece le sue componenti. Indichiamo con vi le componenti del vettore v nella vecchia base e con vj0 quelle nella nuova base. Poniamo cioè: v= 3 X v j ej = i=1 3 X vi0 ui i=1 Le componenti (vj ) del vettore v nella vecchia base, risultano ovviamente legate alle componenti (vi0 ) di v nella nuova base. Si ottiene infatti, dopo qualche calcolo: v10 = A11 v1 + A21 v2 + A31 v3 v20 = A12 v1 + A22 v2 + A32 v3 v30 = A13 v1 + A23 v2 + A33 v3 cioè: à v10 v20 v30 ! à = A11 A21 A31 A12 A22 A32 A13 A23 A33 !à (1.6.6) v1 v2 v3 ! (1.6.7) Abbiamo cosı̀ ottenuto la legge che consente di passare dalle vecchie componenti di un vettore v alle nuove. Viceversa, nella legge che consente di passare dalle nuove componenti alle vecchie compare la matrice inversa della matrice A. Si ottiene infatti: à v1 v2 v3 ! à = Ā11 Ā21 Ā31 Ā12 Ā22 Ā32 Ā13 Ā23 Ā33 !à v10 v20 v30 ! (1.6.8) Osserviamo infine che il passaggio dalla vecchia base ei alla nuova base uj (equazione (1.6.5)) è retto dalla matrice A = (Aij ), mentre il passaggio dalle componenti di v nella base ei a quelle nella base uj , come abbiamo osservato, è retto dalla sua inversa A−1 = (Āji ). ESERCIZIO 1.6.1: Sia V3 uno spazio vettoriale di dimensione 3. Sia {ei } una sua base. (a) Verificare che i vettori u1 = e1 − 2e3 u2 = e1 + e2 − e3 u3 = e1 − e2 + e3 costituiscono un’altra base. (b) Scrivere la matrice A del cambiamento di base e la sua inversa A−1 . (c) Sia v un vettore di V3 . Siano (1, 2, 4) le sue componenti nella base {ei }. Determinare le componenti di v nella base {ui }. 16 1.7. PRODOTTO SCALARE TRA DUE VETTORI LIBERI In V3 si definisce la seguente operazione, detta Prodotto Scalare. Tale operazione associa ad ogni coppia di vettori u e v il numero reale, che indicheremo u · v, ottenuto moltiplicando la lunghezza dei due vettori per il coseno dell’angolo α che essi formano. Indicando con u il modulo (la lunghezza) del vettore u e con v il modulo del vettore v, si ha: u · v = u v cosα (1.7.1) In particolare se u · v = ±u v, i due vettori u e v sono paralleli (concordi o discordi a seconda che valga il segno + o il segno -). Uno spazio vettoriale dotato di un prodotto scalare prende il nome nome di spazio vettoriale euclideo e verrà nel seguito indicato con il simbolo E. Ad esempio, lo spazio euclideo tridimensionale sarà indicato con E3 . PROPRIETÀ DEL PRODOTTO SCALARE: Il prodotto scalare gode delle seguenti proprietà: ∀x, y, z ∈ E3 , e ∀λ ∈ R a) x · y = y · x b) λ(x · y) = (λx) · y = x · (λy) c) x · (y + z) = x · y + x · z d) x · x ≥ 0 e x · x = 0 =⇒ x = o VETTORI ORTOGONALI: due vettori v1 e v2 si dicono ortogonali se il loro prodotto scalare si annulla: v1 · v2 = 0. In tal caso scriveremo v1 ⊥ v2 . MODULO DI UN VETTORE: Il modulo del vettore v può essere espresso utilizzando l’operazione di prodotto scalare, si ha infatti: √ v = |v| = v · v ≥ 0 VERSORI: Prende il nome di versore un qualunque vettore di modulo unitario. Ha interesse considerare il versore di un vettore v o il versore di una retta r. Il versore del vettore v nel seguito verrà denotato con il simbolo vers v o con v̂; esso è espresso da: v̂ = vers v = v . v (1.7.2) COMPONENTE ORTOGONALE DI UN VETTORE RISPETTO AD UN ALTRO VETTORE. Siano u e v due vettori. Prende il nome di componente ortogonale del vettore v rispetto al vettore u il prodotto scalare del vettore v per il versore del vettore u: vu = v · û. 17 (1.7.3) Utilizzando questa definizione, il prodotto scalare tra due vettori risulta espresso da: v · u = u vu = v uv COMPONENTE SCALARE DI UN VETTORE SECONDO UNA DIREZIONE ORIENTATA. Sia r una retta orientata ed ûr un suo versore. Prende il nome di componente scalare (o proiezione ortogonale o componente covariante) del vettore v secondo la retta r il prodotto scalare (f ig 1.7.1): vr = v · ûr . (1.7.4) Figura 1.7.1 PROPRIETÀ DELLE COMPONENTI SCALARI DI UN VETTORE SECONDO UNA DIREZIONE. Sia r una retta orientata e ûr il suo versore. Dati n vettori v1 , v2 , ..., vn , sia R = v1 + v2 + ... + vn . Per la linearità del prodotto scalare risulta: R · ûr = v1 · ûr + v2 · ûr + ... + vn · ûr Figura 1.7.2 Possiamo dunque affermare che la componente scalare del risultante di n vettori secondo la direzione della retta orientata r è uguale alla somma delle componenti dei singoli vettori secondo la direzione orientata r (vedi fig. 1.7.2): Rr = v1r + v2r + ... + vnr 18 (1.7.5) ESERCIZIO 1.7.1: Determinare le componenti del vettore OP di fig. 1.7.3 secondo le direzioni dell’asse x e dell’asse y in funzione delle quantità xA e ξP . Figura 1.7.3 Detta h la lunghezza del lato AB del triangolo ed α l’angolo che BC forma con BA, si ha OP = OA + AB + BP , e quindi: xP = xA + ξP sin α; yP = h − ξP cos α. BASI ORTONORMALI: Come abbiamo detto, nello spazio V3 una base è costituita da tre generici vettori non complanari. Una base di vettori mutuamente ortogonali e di modulo unitario, prende il nome di base ortonormale. Sia {c1 , c2 , c3 } una generica base ortonormale di E3 . Si verifica immediatamente che tali vettori soddisfano le relazioni: c1 · c1 = 1 c2 · c2 = 1 c3 · c3 = 1 c1 · c2 = 0 c1 · c3 = 0 c2 · c3 = 0 Utilizzando il simbolo di Kronecker δij , introdotto nella (1.5.2), tali relazioni possono scriversi in forma compatta: ci · cj = δij ∀i, j (1.7.6) ANGOLO TRA DUE VETTORI. COSENI DIRETTORI DI UN VETTORE E DI UNA RETTA. Il coseno dell’angolo formato dai due vettori u e v è dato da: d cos u v = û · v̂ = u·v . uv (1.7.7) Ad esempio, i coseni degli angoli che il vettore v forma con i versori di una base ortonormale sono: v2 v3 v1 , cos cd , cos cd , (1.7.8) cos cd 2v = 3v = 1v = v v v conseguentemente le componenti di un vettore in una base ortonormale non sono altro che le proiezioni ortogonali del vettore sui versori della base. In particolare, le componenti di un versore sono i coseni degli angoli che il versore forma con gli assi coordinati: d d v̂ = (cos cd 1 v, cos c 2 v, cos c 3 v) . (1.7.9) Chiameremo versore della retta orientata r, e lo indicheremo con vers r, il vettore di modulo unitario avente la direzione ed il verso della retta r. Cosı̀ le componenti, in una 19 base ortonormale, del versore ur di una data retta r, sono proprio i coseni direttori della retta, cioè i coseni degli angoli che la retta r forma con gli assi coordinati: d d vers r = ur = (cos cd 1 r, cos c 2 r, cos c 3 r) . (1.7.10) COMPONENTI DI UN VETTORE DI V3 IN UNA BASE ORTONORMALE: Sia v un vettore di V3 e {ci } una base ortonormale. Le componenti di v nella base {ci } si identificano con le proiezioni ortogonali di v sui tre versori della base: v1 = v · c1 , v2 = v · c2 , v3 = v · c3 (1.7.11) Pertanto, in una base ortonormale, per un generico vettore v vale la seguente scomposizione: v = v1 c1 + v2 c2 + v3 c3 = (v · c1 )c1 + (v · c2 )c2 + (v · c3 )c3 (1.7.12) ESPRESSIONE DEL PRODOTTO SCALARE DI DUE VETTORI MEDIANTE LE LORO COMPONENTI IN UNA BASE ORTONORMALE: Sia {ci } una base ortonormale in E3 . Dati i due vettori v e w, siano v1 v = v2 v3 w1 w = w2 w3 (1.7.13) le loro componenti nella base {ci }. Risulta: v·w =( 3 X vi c i ) · i=1 3 X (wj cj ) j=1 Ricordando la (1.7.6) si deduce subito: v · w = v1 w 1 + v2 w 2 + v3 w 3 (1.7.15) Osserviamo infine che il prodotto scalare dei due vettori si può calcolare effettuando il prodotto righe per colonne del vettore riga (v1 v2 v3 ), trasposto del vettore (1.7.13)1 , per il vettore colonna (1.7.13)2 : ³ v · w = v1 v2 v3 ´ w1 · w2 w3 (1.7.15) ESERCIZIO 1.7.2 Sia {ci } una base ortonormale nell’insieme dei vettori fisici V3 . a) Determinare il modulo ed il versore del vettore v le cui componenti nella base {ci } sono (1,2,-3). b) Dato il vettore v=(1,1,1) determinare la componente (scalare) del vettore v, secondo la bisettrice dell’angolo formato dai versori c1 e c2 . 20 c) Sia v1 = 1 la prima componente di un vettore v; siano α = √12 e β = √12 i coseni degli angoli che il vettore v forma con i versori c1 e c2 . Determinare il modulo di v e le componenti v2 e v3 . RELAZIONE TRA COMPONENTI E PROIEZIONI ORTOGONALI DI UN VETTORE IN UNA BASE OBLIQUA: Come abbiamo visto, in una base ortonormale, le componenti del vettore v si identificano con le proiezioni ortogonali di questo vettore sui versori della base. Questa proprietà ovviamente non è più vera in una base non ortonormale. A titolo di esempio, determiniamo la relazione tra componenti e proiezioni ortogonali di uno stesso vettore x ∈ V2 in una base di vettori non ortonormale. Figura 1.7.4 Sia {e1 , e2 } una base obliqua di V2 . Per semplificare sopporremo i due vettori e1 ed e2 di modulo unitario. Sia cioè e1 · e1 = 1, e2 · e2 = 1 e e1 · e2 = cos θ, essendo θ l’angolo formato dai due versori e1 e e2 (vedi f ig. 1.7.4). Denotiamo con x1 e x2 le componenti del vettore x di V2 , e con x̃1 e x̃2 le proiezioni ortogonali di x sui due versori della base. Si ha: x̃1 = x · e1 = (x1 e1 + x2 e2 ) · e1 = x1 e1 · e1 + x2 e2 · e1 = x1 + cos θ x2 x̃2 = x · e2 = (x1 e1 + x2 e2 ) · e2 = x1 e1 · e2 + x2 e2 · e2 = cos θ x1 + x2 Le componenti e le proiezioni ortogonali del vettore x sono indicate in f ig. 1.7.4. Come si vede in una base obliqua esse non coincidono. Le componenti di x sono infatti i due lati del parallelogramma (di lati rispettivamente paralleli ai due versori della base) di cui x è la diagonale, che differiscono dalle proiezioni ortogonali del vettore x sulle rette di versori e1 ed e2 . Allo stesso modo si verifica che le componenti di un vettore v di V3 , in una base obliqua di versori, sono i tre lati del parallelepipedo (di lati rispettivamente paralleli ai versori della base) di cui v è la diagonale, e differiscono dalle proiezioni ortogonali di v sui versori della base obliqua. Notiamo infine che in una base obliqua un vettore può essere individuato sia dalle sue componenti che dalle sue proiezioni ortogonali sui versori della base. Per questo motivo, le 21 proiezioni ortogonali vengono talvolta chiamate anch’esse componenti del vettore x. Per distinguere i due tipi di componenti in una base obliqua, le prime si chiamano componenti oblique (o controvarianti), le seconde componenti ortogonali (o covarianti). L’utilizzo dei termini componenti controvarianti e componenti covarianti fà riferimento alla legge di variazione di queste quantità al variare della base. Infatti, come abbiamo visto nel paragrafo 1.6, le componenti oblique si trasformano al variare della base con la legge (1.6.8) in cui compare la matrice inversa della matrice del cambiamento di base A; si può verificare invece che le proiezioni ortogonali al variare della base si trasformano con una legge in cui compare la matrice A. CARATTERE VETTORIALE O TENSORIALE DI UN ENTE MATEMATICO. Spesso, nella pratica, un vettore viene fissato assegnando una terna di numeri, cioè assegnando le sue componenti in una data base. Tuttavia, come abbiamo detto, un vettore è un ente intrinseco, cioè indipendente dalla particolare base scelta per rappresentarlo. Conseguentemente, per assegnare un vettore non è lecito assegnare semplicemente una n-pla di numeri, ma bisogna anche assegnare la legge con cui questi numeri si trasformano al variare della base. Ciò vale in generale anche per enti matematici più complessi (a due o più indici). 1.8. SPAZI ORIENTATI. BASI CONCORDI E DISCORDI. SCALARI, VETTORI E TENSORI DISPARI. Indichiamo con B l’insieme di tutte le basi di uno spazio vettoriale Vn di dimensione n. Due basi {ei } e {ui } si dicono concordi o discordi a seconda che il determinante della matrice A che consente di passare dall’una all’altra sia positivo o negativo. Si ottiene in tal modo una relazione tra basi, che risulta essere una relazione di equivalenza. Una base è infatti banalmente concorde con se stessa. Poi se risulta positivo il determinante della matrice che consente di passare dalla base {ei } alla base {ui }, risulta ovviamente anche positivo il determinante della matrice inversa, che consente di passare dalla base {ui } alla {ei }; infine siano {ei }, {ui } e {ci } tre basi, e sia {ei } concorde con {ui } ed {ui } concorde con {ci }; si verifica facilmente che {ei } risulta concorde con {ci }. La relazione testè definita induce nello spazio vettoriale Vn un orientamento. Tale relazione infatti induce nell’insieme di tutte le basi B una suddivisione in classi di equivalenza. Conveniamo di chiamare positive le basi appartenenti ad una qualsiasi delle due classi definite dalle relazione di equivalenza, negative le altre. Indichiamo con B+ e B− tali classi. Lo spazio vettoriale Vn , dotato delle sole basi B+ , si dice orientato positivamente, e verrà nel seguito da noi denotato con Vn+ . Lo spazio vettoriale Vn , dotato delle sole basi B− , si dice orientato negativamente e verrà denotato con Vn− . Si chiamano pseudoscalari o scalari dispari gli scalari, dipendenti da elementi di Vn , che cambiano segno quando Vn cambia orientamento. Si chiamano pseudovettori o vettori dispari gli enti geometrici ad un indice che cambiano segno quando Vn cambia orientamento. Si chiamano pseudotensori o tensori dispari gli enti geometrici a due o più indici che cambiano segno quando Vn cambia orientamento. Riassumendo, gli scalari, i vettori e i tensori dispari sono degli enti matematici che hanno carattere vettoriale (tensoriale) separatamente in Vn+ e in Vn− , ma si mutano nell’opposto quando Vn cambia orientamento. 22 1.9. SPAZI DI PUNTI Nei numeri precedenti, partendo dal concetto intuitivo di spazio fisico, abbiamo costruito lo spazio vettoriale dei vettori geometrici liberi, associando ad ogni coppia di punti (A,B) di tale spazio un segmento orientato, e poi definendo nell’insieme dei segmenti orientati la relazione di equipollenza. Viceversa, partendo dal concetto geometrico astratto di spazio vettoriale si può associare ad esso un insieme di punti, e trasportare su tale insieme la struttura di spazio vettoriale e di spazio euclideo. Sia V uno spazio vettoriale reale. Sia E un qualsiasi insieme i cui elementi saranno chiamati punti ed indicati con le lettere dell’alfabeto latino A,B,C..... L’insieme E si dice uno spazio puntuale affine associato a V, se esiste una applicazione τ : E ×E −→ V che ad ogni coppia ordinata di punti (A,B) di E associa un ben determinato vettore v di V (v = τ (A,B)) che soddisfa i seguenti assiomi: a) Fissato ad arbitrio un punto O di E, ad ogni vettore v di V, è associato in maniera unica un altro punto P di E, tale che τ (O,P)= v. b) Se alla coppia ordinata (A,B) l’applicazione τ associa il vettore v1 ed alla coppia ordinata (B,C) il vettore v2 , allora alla coppia (A,C) deve corrispondere il vettore v1 + v2 : Osserviamo che, fissato ad arbitrio un vettore v ∈ V, in base all’assioma a) esistono infinite coppie ordinate (A,B) tali che τ (A,B)=v. Prefissando un punto O, ne scegliamo una. Conseguentemente, la proprietà a) stabilisce che i punti di uno spazio affine possono essere messi in corrispondenza biunivoca con gli elementi di uno spazio vettoriale, una volta prefissato un punto O dello spazio affine. In uno spazio affine E la coppia ordinata (O,P) ∈ V ×V prende il nome di vettore applicato nel punto O e si indica con uno qualunque dei seguenti simboli: (O,P)=(O,v)=(v,O)= P-O. Si verificano facilmente le seguenti ulteriori proprietà di uno spazio affine: c) L’applicazione τ fa corrispondere alla coppia ordinata (A,A) il vettore nullo. d) Se alla coppia ordinata (A,B) corrisponde il vettore v, alla coppia ordinata (B,A) corrisponde il vettore -v. RIFERIMENTI IN UNO SPAZIO AFFINE. I concetti di dimensione e di base per uno spazio vettoriale conducono in maniera immediata ai concetti di riferimento in uno spazio puntuale affine e di coordinate (cartesiane) di un punto P di uno spazio affine. Prende il nome di dimensione di uno spazio puntuale affine En , la dimensione dello spazio vettoriale Vn cui è associato lo spazio affine. In uno spazio puntuale affine En , prende il nome di retta, passante per il punto O ed individuata dal vettore u, il luogo di punti P tali che P-O = λu, dove λ è un qualunque numero reale. 23 Dati due punti A e B la retta passante per tali punti è ovviamente l’insieme dei punti P tali che P-A= λ AB. L’insieme {O,ei } di un punto O ∈ En e di una base {ei } dello spazio Vn , prende il nome di riferimento di En di origine O. Le rette passanti per O, individuate dai vettori ei , (i = 1, 2, ...n), si chiamano assi del riferimento. Le componenti xi del vettore OP=P-O nella base {ei }, si chiamano coordinate cartesiane o coordinate rettilinee del punto P nel riferimento di origine O ed assi xi . RIFERIMENTI ORTONORMALI. In uno spazio puntuale euclideo, prende il nome di riferimento ortonormale l’insieme {O,ci } di un punto O ∈ En e di una base {ci } di vettori ortogonali e di modulo unitario. RIFERIMENTI NEL PIANO. Indichiamo con E2 l’insieme dei punti del piano. Come abbiamo visto nel numero precedente, prefissato un punto O∈ E2 , i punti del piano possono essere messi in corrispondenza biunivoca con i vettori di V2 . Sia {c1 , c2 } una base ortonormale dello spazio vettoriale bidimensionale V2 . Come si verifica immediatamente, i vettori di tale base, individuano nel piano, due rette mutuamente ortogonali, passanti per O. Denoteremo con x1 , x2 tali rette. L’insieme {O, c1 , c2 } (o indifferentemente l’insieme {O, x1 , x2 }) prende il nome di riferimento cartesiano ortogonale di origine O assi x1 , x2 e versori c1 e c2 , o semplicemente di riferimento ortonormale nel piano. Figura 1.9.1 Siano (x1 , x2 )T , le componenti di un generico vettore x nella base {c1 , c2 }. Poichè, prefissato un punto O, i punti del piano possono essere messi in corrispondenza biunivoca con i vettori di V2 , il vettore x individua nel piano un punto P (l’estremo del vettore OP). I due numeri (x1 , x2 ) individuano univocamente il punto P, nel riferimento {O, x1 , x2 } e prendono il nome di coordinate cartesiane ortogonali del punto P dello spazio E2 , nel riferimento dato. ORIENTAMENTO DEL PIANO. Agli spazi puntuali si trasporta un maniera naturale il concetto di orientamento introdotto per gli spazi vettoriali (par. 1.8). Nel piano prende il nome di riferimento positivo un riferimento {O, x1 , x2 } in cui x1 ruota in senso antiorario per sovrapporsi a x2 (f ig. 1.9.1a). Ovviamente, un riferimento 24 negativo nel piano è un riferimento in cui x1 ruota in senso orario per sovrapporsi a x2 (f ig. 1.9.1b). RIFERIMENTI NELLO SPAZIO. Indichiamo con E3 l’insieme dei punti dello spazio fisico. Prefissato un punto O∈ E3 , i punti dello spazio fisico possono essere messi in corrispondenza biunivoca con i vettori di V3 . Sia {c1 , c2 , c3 } una base dello spazio vettoriale V3 . Come si verifica immediatamente, i vettori di tale base, individuano nello spazio fisico, tre rette mutuamente ortogonali, passanti per O. Denoteremo con x1 , x2 , x3 tali rette. L’insieme {O, c1 , c2 , c3 } (o indifferentemente l’insieme {O, x1 , x2 , x3 }) prende il nome di riferimento ortonormale nello spazio fisico o di terna trirettangola di origine O assi x1 , x2 , x3 e versori c1 , c2 e c3 . Siano (x1 , x2 , x3 )T , le componenti di un generico vettore x nella base {ci }. Poichè, prefissato un punto O, i punti dello spazio fisico possono essere messi in corrispondenza biunivoca con i vettori di V3 , il vettore x individua nello spazio fisico un punto P (l’estremo del vettore OP). I tre numeri (x1 , x2 , x3 ) individuano univocamente il punto P, nel riferimento {O, x1 , x2 , x3 } e prendono il nome di coordinate cartesiane ortogonali del punto P dello spazio E3 , nel riferimento dato. Figura 1.9.2 ORIENTAMENTO DELLO SPAZIO. Nello spazio prende il nome di riferimento ortonormale positivo o anche terna trirettangola levogira quel riferimento in cui un osservatore disposto come c3 (come x3 ) e guardante c1 (x1 ) abbia c2 (x2 ) alla sua sinistra (f ig. 1.9.2). Si chiama riferimento ortonormale negativo o anche terna trirettangola destrogira quel riferimento in cui un osservatore disposto come c3 (come x3 ) e guardante c1 (x1 ) abbia c2 (x2 ) alla sua destra. Una terna obliqua di vettori {ei } (linearmente indipendenti) si dice positiva o negativa 25 a seconda che risulti positivo il determinante della matrice che consente di passare dalla base {ei } alla base {ci }. 1.10. ISOMETRIE In Meccanica, particolarmente nello studio dei moti rigidi e nei moti relativi, hanno particolare importanza le bijezioni tra spazi vettoriali e tra spazi affini che conservano le lunghezze e gli angoli. Siano En ed Fn due spazi euclidei di uguale dimensione. Una bijezione f di En in Fn si dice isometrica, se conserva il prodotto scalare. In altre parole, diremo che i due spazi vettoriali euclidei En ed Fn sono isometrici, se, presi ad arbitrio due vettori x1 e x2 di En , detti y1 ed y2 i corrispondenti elementi di Fn (y1 = f (x1 ) y2 = f (x2 )), risulta x1 · x2 = y1 · y2 (1.9.1) Ovviamente una isometria f , conservando il prodotto scalare tra due vettori, conserva anche l’angolo che essi formano e le loro lunghezze. Una bijezione f tra due spazi puntuali euclidei En e Fn si dice isometrica se, detti A1 , A2 , A3 , A4 quattro punti arbitrari di En e B1 , B2 , B3 , B4 i loro corrispondenti in Fn secondo l’applicazione f , risulta: A1 A2 · A3 A4 = B1 B2 · B3 B4 (1.9.2) Una isometria tra due spazi puntuali euclidei è pertanto una bijezione che conserva le distanze tra i punti e gli angoli tra le rette. 1.11. PRODOTTO VETTORIALE Sia V3+ uno spazio vettoriale euclideo di dimensione 3, dotato delle sole basi levogire (cioè uno spazio orientato positivamente). Siano u e v due vettori di V3+ . Prende il nome di prodotto vettoriale o esterno di u e v un vettore, che indicheremo con u ∧ v, la cui direzione è ortogonale alla giacitura individuata da u e v, il cui modulo è uguale all’area del parallelogramma costruito su u e v ed il cui verso è tale che la terna u, v, u ∧ v sia levogira (fig 1.11.1). Figura 1.11.1 Indicato con α il minore tra gli angoli che formano i due vettori u e v, risulta: |u ∧ v| = uv sin α (1.11.1) PROPRIETÀ DEL PRODOTTO VETTORIALE: si verificano facilmente le seguenti proprietà: a) il prodotto vettoriale di due vettori u e v si annulla se uno dei due vettori è nullo oppure se i due vettori sono paralleli. 26 b) il prodotto vettoriale è anticommutativo, risulta infatti: u ∧ v = −v ∧ u (1.11.2) c) il prodotto vettoriale di due vettori è bilineare; si ha infatti: (λu) ∧ v = u ∧ (λv) = λ(u ∧ v) u ∧ (v1 + v2 ) = u ∧ v1 + u ∧ v2 (u1 + u2 ) ∧ v = u1 ∧ v + u2 ∧ v (1.11.3) Le proprietà a) e b) sono di verifica immediata. La proprietà c) verrà dimostrata alla fine del prossimo paragrafo. Osserviamo infine che, indicati con c1 , c2 , c3 i versori di un un riferimento trirettangolo levogiro, risulta: c1 ∧ c2 = c3 c2 ∧ c3 = c1 c3 ∧ c1 = c2 (1.11.4) c1 ∧ c1 = 0 c2 ∧ c2 = 0 c3 ∧ c3 = 0 In V− 3 il prodotto vettoriale dei due vettori u e v può essere definito come quel vettore la cui direzione è ortogonale alla giacitura individuata da u e v, il cui modulo è uguale all’area del parallelogramma costruito su u e v ed il cui verso è tale che la terna u, v, u ∧ v sia destrogira, cioè concorde con l’orientamento di V− 3 . Il prodotto vettoriale dei due vettori u e v si muta dunque nell’opposto quando si passa da un riferimento positivo ad uno negativo: esso pertanto costituisce uno pseudovettore e non un vettore. 1.12. PRODOTTO MISTO Sia V3+ uno spazio vettoriale euclideo di dimensione 3, dotato delle sole basi levogire. Siano u, v e w tre vettori di V3+ . Prende il nome di Prodotto misto dei tre vettori u, v e w lo scalare che si ottiene moltiplicando vettorialmente tra loro i primi due vettori e moltiplicando quindi scalarmente il risultato cosı̀ ottenuto per il terzo vettore: u ∧ v · w = (u ∧ v) · w (1.12.1) Ricordando le definizioni di prodotto scalare e di prodotto vettoriale, indicando con θ l’angolo che formano i due vettori u e v e con φ l’angolo che il vettore w forma con u ∧ v, si ottiene: u ∧ v · w = uvw sin θ cos φ (1.12.2) Figura 1.12.1 27 Deduciamo dunque che il modulo del prodotto misto dei tre vettori u, v e w è il volume del parallelepipedo costruito sui tre vettori u, v e w (vedi f ig. 1.12.1). Possiamo dire poi che il prodotto misto dei tre vettori u, v e w è positivo o negativo a seconda che i tre vettori costituiscano, nell’ordine, una terna positiva o una terna negativa. In precedenza abbiamo definito terne positive quelle individuate da una base di vettori positiva (vedi paragrafo 1.9). Quel che precede ci porta ad individuare un facile metodo per stabilite se una terna è concorde o discorde con una terna trirettangola levogira. Si verifica infatti che una terna obliqua è levogira se i vettori w e u ∧ v formano un angolo minore di π/2, cioè se si trovano dallo stesso lato rispetto al piano individuato da u e v, è destrogira se l’angolo che essi formano è maggiore di π/2. Conseguentemente, una terna è levogira se il prodotto misto dei tre versori che la individuano è positivo, è invece destrogira, se tale prodotto misto è negativo. Da quanto detto si deduce che condizione necessaria e sufficiente perchè tre vettori siano complanari è che il loro prodotto misto si annulli. SIMBOLO DI RICCI O LEVI-CIVITA In V3+ si definisce il seguente ente matematico a tre indici, noto come tensore alternante o simbolo di Ricci o simbolo di Levi-Civita: ( ²ijk = 1 0 −1 se (ijk) è una permutazione di posto pari su (123) se almeno due dei tre indici (ijk) sono uguali se (ijk) è una permutazione di posto dispari su (123) (1.12.3) In una base ortonormale levogira si verifica subito che si ha: ²ijk = ci ∧ cj · ck (1.12.4) Come mostra la precedente relazione il tensore di Levi-Civita non è un tensore, ma uno pseudo tensore, in quanto esso cambia segno nel passare da una base levogira ad una base destrogira. LINEARITÀ DEL PRODOTTO VETTORIALE Dimostriamo adesso la linearità del prodotto vettoriale (Proprietà c). E’ sufficiente far vedere che si ha: u ∧ (λ1 v1 + λ2 v2 ) = λ1 u ∧ v1 + λ2 u ∧ v2 (1.12.4) Moltiplichiamo il primo membro della (1.12.5) per un qualsiasi vettore w di V3+ . Risulta: u ∧ (λ1 v1 + λ2 v2 ) · w = w ∧ u · (λ1 v1 + λ2 v2 ) = = λ1 (w ∧ u · v1 ) + λ2 (w ∧ u · v2 ) = = λ1 (u ∧ v1 · w) + λ2 (u ∧ v2 · w) = = (λ1 u ∧ v1 + λ2 u ∧ v2 ) · w Conseguentemente, qualunque sia w, risulta: [u ∧ (λ1 v1 + λ2 v2 ) − λ1 u ∧ v1 − λ2 u ∧ v2 ] · w = 0 da quest’ultima relazione, per l’arbitrarietà di w si deduce la (1.12.5). COMPONENTI DEL PRODOTTO VETTORIALE IN UNA BASE ORTONORMALE LEVOGIRA: Calcoliamo la componente k-esima del prodotto vettoriale di u ∧ v. Utiliz28 zando la proprietà appena dimostrata, possiamo scrivere: 3 X (u ∧ v)k = u ∧ v · ck ( i=1 ui c i ) ∧ ( 3 X vj c j ) · c k = j=1 3 X 3 X ui vj ci ∧ cj · ck i=1 j=1 otteniamo cosı̀: u ∧ v = (u2 v3 − u3 v2 )c1 + (u3 v1 − u1 v3 )c2 + (u1 v2 − u2 v1 )c3 (1.12.6) Concludiamo dunque che le componenti del prodotto vettoriale dei due vettori u e v, di componenti (u1 , u2 , u3 ) e (v1 , v2 , v3 ), sono proprio i minori di secondo ordine della matrice in cui, ordinatamente, nella prima riga vi sono le componenti del vettore u, nella seconda le componenti del vettore v: µ ¶ u1 u2 u3 (1.12.7) v1 v2 v3 Una regola pratica per calcolare il prodotto vettoriale di due vettori, di cui sono note le componenti in una data base ortonormale, consiste nel calcolare il determinante di una matrice in cui nella prima riga vi sono i versori degli assi, nella seconda le componenti del primo vettore, nella terza le componenti del secondo vettore: ¯ ¯c ¯ 1 ¯ u ∧ v = ¯ u1 ¯ ¯ v1 c2 u2 v2 ¯ c3 ¯¯ ¯ u3 ¯ ¯ v3 ¯ (1.12.8) Un’altra espressione del prodotto vettore in componenti verrà data nel capitolo successivo, quando sarà introdotto l’operatore assiale. ESPRESSIONE DEL PRODOTTO MISTO IN UN RIFERIMENTO ORTONORMALE LEVOGIRO: Come abbiamo visto, le componenti del prodotto vettoriale dei due vettori u=(u1 , u2 , u3 ) e v=(v1 , v2 , v3 ) sono espresse dalle relazioni: (u ∧ v)1 = u2 v3 − u3 v2 (u ∧ v)2 = u3 v1 − u1 v3 (u ∧ v)3 = u1 v2 − u2 v1 (1.12.9) o anche dai minori di secondo ordine della matrice (1.12.7). Ricordando quindi l’espressione del prodotto scalare di due vettori in una base ortonormale, si ottiene subito: u ∧ v · w = (u2 v3 − u3 v2 )w1 + (u3 v1 − u1 v3 )w2 + (u1 v2 − u2 v1 )w3 o anche: ¯ ¯u ¯ 1 ¯ u ∧ v · w = ¯¯ v1 ¯ w1 u2 v2 w2 ¯ u3 ¯¯ ¯ v3 ¯¯ w3 ¯ ESERCIZIO 1.12.1. Calcolare l’area del triangolo avente come vertici i punti P = (2, 3, 5), Q = (4, 2, −1), R = (3, 6, 4). 29 (1.12.10) (1.12.11) ESERCIZIO 1.12.2. Calcolare il volume del parallelepipedo costruito sui tre vettori le cui componenti in un riferimento ortonormale levogiro sono: v1 = (3, −1, 0) v2 = (0, 1, 2) v3 = (1, 5, 4) 1.13. DOPPIO PRODOTTO VETTORIALE Sia V3 lo spazio vettoriale euclideo di dimensione 3, non orientato, dotato cioè sia delle basi levogire che di quelle destrogire. Siano u, v e w tre vettori di V3 . Prende il nome di doppio prodotto vettoriale il vettore: (u ∧ v) ∧ w (1.13.1) Come si verifica immediatamente, il doppio prodotto vettoriale risulta un vettore di V3 , e non uno pseudovettore. Osserviamo che il risultato del doppio prodotto vettoriale (1.13.1), dovendo essere ortogonale sia a u ∧ v che a w, deve giacere nel piano di u e di v. il risultato del doppio prodotto (1.13.1) deve potersi esprimere, dunque, come combinazione lineare dei due vettori u e v. Si dimostra che vale la seguente identità: (u ∧ v) ∧ w = (u · w)v − (v · w)u (1.13.2) La dimostrazione della (1.13.2) si può effettuare osservando che entrambi i membri della (1.13.2) hanno le stesse le componenti in una base ortonormale assegnata; mostriamo che si identificano le componenti secondo la direzione del primo versore. Risulta infatti: (u ∧ v) ∧ w]1 = [(u ∧ v) ∧ w] · c1 = = (u2 v3 − u3 v2 )c1 ∧ w · c1 + (u3 v1 − u1 v3 )c2 ∧ w · c1 + +(u1 v2 − u2 v1 )c3 ∧ w · c1 = = (u3 v1 − u1 v3 )w3 c2 ∧ c3 · c1 + (u1 v2 − u2 v1 )w2 c3 ∧ c2 · c1 = = (u3 v1 − u1 v3 )w3 − (u1 v2 − u2 v1 )w2 ma è anche: [(u · w)v − (v · w)u]1 = [(u · w)v − (v · w)u] · c1 = = (u1 w1 + u2 w2 + u3 w3 )v1 − (v1 w1 + v2 w2 + v3 w3 )u1 = = (u2 w2 + u3 w3 )v1 − (v2 w2 + v3 w3 )u1 PROPRIETÀ DEL DOPPIO PRODOTTO VETTORIALE: Il doppio prodotto vettore non è associativo. Dalla (1.13.2) si deduce che il doppio prodotto vettore non gode della proprietà associativa: (u ∧ v) ∧ w 6= u ∧ (v ∧ w) (1.13.3) u ∧ (v ∧ w) = (w ∧ v) ∧ u = (u · w)v − (v · u)w (1.13.4) Si ha infatti: 30 Concludiamo dunque che il doppio prodotto vettoriale soddisfa la proprietà associativa (u ∧ v) ∧ w = u ∧ (v ∧ w) solo se il vettore v risulta contemporaneamente ortogolare sia a u che a w (v · u = v · w = 0), oppure se i vettori u e w sono paralleli: (v · u)w = (v · w)u. Identità di Jacobi: Il doppio prodotto vettoriale soddisfa la seguente identità, detta identità di Jacobi, di verifica immediata: u ∧ (v ∧ w) + v ∧ (w ∧ u) + w ∧ (u ∧ v) = 0 (1.13.5) 1.14. DIVISIONE VETTORIALE Dati due vettori non nulli u e v la divisione vettoriale consiste nel ricercare quei vettori x tali che: v∧x=u (1.14.1) Scelto un riferimento ortonormale in V3 , dette (ui ) e (vi ) le componenti dei vettori u e v, e indicate con (xi ) quelle del vettore incognito x, la (1.14.1) equivale ad un sistema di tre equazioni nelle incognite (x1 , x2 , x3 ): 0 v3 −v2 −v3 0 v2 v2 x1 u1 −v1 x2 = u2 0 x3 u3 (1.14.2) In generale, l’equazione (1.14.1) non ammette soluzioni. La condizione di compatibilità si determina subito osservando che, se esiste un vettore x che soddisfa la (1.14.1), deve essere anche, ovviamente: v∧x·v =u·v e quindi i due vettori u e v devono essere ortogonali: u·v =0 (1.14.3) Osserviamo ancora che, in base al teorema di Rouché-Capelli, se è soddisfatta la (1.14.3), l’equazione (1.14.1) ammette infinite soluzioni. Tra le infinite soluzioni della (1.14.1) ricerchiamo quella individuata dal vettore x0 che risulta ortogonale sia a u che a v. A tale scopo, scritta la (1.14.1) con x0 al posto di x, moltiplichiamo vettorialmente a destra entrambi i membri di tale equazione per il vettore v: (v ∧ x0 ) ∧ v = u ∧ v Sviluppando il doppio prodotto vettore che compare a primo membro della precedente equazione e tenendo conto della ortogonalità tra u ed x0 , si ottiene: v 2 x0 = u ∧ v Pertanto, la soluzione cercata è: x0 = u∧v v2 31 (1.14.4) Tutte le altre soluzioni della (1.14.1) si ottengono ora aggiungendo al vettore x0 dato dalla (1.14.4) un qualsiasi vettore parallelo a v. Concludiamo dunque che, sotto l’ipotesi di compatibilità (1.14.3), la (1.14.1) ammette le infinite soluzioni: u∧v x = x0 + λv = + λv (1.14.5) v2 ESERCIZIO 1.14.1. Dati i due vettori v=(1,1,1) e w=(2,-2,0), risolvere l’equazione vettoriale: w =x∧v 1.15. BASE RECIPROCA Come abbiamo visto, in uno spazio (vettoriale o affine) euclideo, è sempre possibile introdurre una base ortonormale. Nei problemi concreti che incontreremo nello studio della meccanica razionale, sceglieremo, di solito, come base del nostro spazio proprio una siffatta base. In alcuni problemi di fisica e di meccanica, è talvolta più opportono introdurre basi oblique. Ciò accade, ad esempio, nello studio dei reticoli cristallini: la loro conformazione infatti porta naturalmente a introdurre basi tali che i piani da essi individuati siano proprio i piani di ”simmetria” del cristallo. Anche in altri problemi (ad es. lo studio dell’ellisse d’inerzia) è utile il concetto di base reciproca. Sia V3 uno spazio vettoriale euclideo di dimensione 3. Siano {ui } e {cj } una base obliqua ed una base ortonormale di V3 . Fissato un generico vettore v di V3 , denotiamo con vi le sue componenti nella base obliqua {ui } e con vj0 quelle nella base ortonormale {cj }: v= 3 X vi ui = i=1 3 X vj0 cj (1.15.1) j=1 Determiniamo la relazione tra le componenti controvarianti di v nella base obliqua e quelle nella base ortonormale. Sia A = (Aji ) la matrice del cambiamento di base; riscriviamo la legge del cambiamento di base (1.6.6): ( v10 = A11 v1 + A21 v2 + A31 v3 v20 = A12 v1 + A22 v2 + A32 v3 v30 = A13 v1 + A23 v2 + A33 v3 (1.15.2) È questo un sistema di tre equazioni nelle tre incognite v1 , v2 , v3 . Osserviamo che nelle colonne della matrice di tale sistema compaiono le componenti, nella base ortonormale, dei vettori ui della base obliqua. Si ha dunque: det(Aji ) = u1 ∧ u2 · u3 6= 0 (1.15.3) Si ha poi: u2 ∧ u3 u3 ∧ u1 u1 ∧ u2 ·v v2 = ·v v3 = ·v (1.15.4) u1 ∧ u2 · u3 u1 ∧ u2 · u3 u1 ∧ u2 · u3 Vediamo dunque che le componenti controvarianti del vettore v nella base {ui } si possono ottenere moltiplicando scalarmente il vettore v per i tre vettori: v1 = U1 = u2 ∧ u3 u1 ∧ u2 · u3 U2 = u3 ∧ u1 u1 ∧ u2 · u3 U3 = u1 ∧ u2 u1 ∧ u2 · u3 (1.15.5) I tre vettori U1 , U2 ed U3 , cosı̀ definiti sono tre vettori linearmente indipendenti, e costituiscono la cosiddetta base reciproca della base {ui }. Essi soddisfano la relazione: ui · Uj = δij (1.15.6) Utilizzando i vettori {Uj } della base reciproca possiamo scrivere: v = (v · U1 )u1 + (v · U2 )u2 + (v · U3 )u3 (1.15.7) v = (v · u1 )U1 + (v · u2 )U2 + (v · u3 )U3 (1.15.8) Si ha poi dualmente: 32 1.16. ESERCIZI DI RIEPILOGO 1) In una base ortonormale levogira {c1 , c2 , c3 } siano dati i vettori v1 = c1 − 2c2 + c3 e v2 = 3c1 + c2 + 2c3 . Calcolare il coseno dell’angolo che essi formano. 2) Sia V3 uno spazio vettoriale di dimensione 3 e sia {ei } una sua base. (a) Verificare che i vettori u1 = −2e3 u2 = e1 + e2 − e3 u3 = e1 − e2 + e3 sono linearmente indipendenti, mentre i vettori w1 = e2 − 2e3 w2 = e1 − e3 w3 = e1 − e2 + e3 sono linearmente dipendenti. (b) Mostrare che le due terne di numeri (4,-1,3), (5,7,1) non si possono interpretare come le componenti oblique (o controvarianti) di uno stesso vettore nelle due basi {ei } ed {ui }. 3) Sia E3 uno spazio vettoriale euclideo e {ci } una base ortonormale. Dato il vettore v di componenti (1,2,3), nella base {ci }, determinare la sua componente scalare secondo la bisettrice, orientata in un qualunque verso, dell’angolo individuato dai versori c1 e c2 . 4) In una terna trirettangola levogira trovare il coseno dell’angolo formato dalle bisettrici c e yz, c supposto prefissato su tali rette un orientamento. degli angoli xy √ √ 5) In uno spazio vettoriale euclideo sia {ci } una base ortonormale. Siano v1 = ( 3, 2, 2) √ √ e v2 = (1, 5, 3) due vettori. Determinare i vettori s = v1 + v2 e d = v1 − v2 . Dimostrare che s ⊥ d. 6) Calcolare l’angolo formato dalle diagonali del quadrilatero avente i vertici in (0,0,0), (3,2,0), (4,6,0), (1,3,0). 7) Sia V2 uno spazio vettoriale di dimensione 2 ed {c1 , c2 } una sua base ortonormale. Siano µ ¶ µ ¶ 2 1 e1 = e2 = 1 1 due vettori di V2 . (a) Mostrare che costituiscono una base di V2 . (b) Determinare le componenti oblique e le proiezioni ortogonali del vettore v = 5e1 + 3e2 nella base {e1 , e2 }. (c) Determinare l’area del parallelogrammo costruito su e1 ed e2 . 8) Calcolare l’area del triangolo avente come vertici i punti P=(1,3,-1), Q=(0,2,1), R=(3,6,1). 33 9) Calcolare il volume del parallelepipedo costruito sui tre vettori le cui componenti in un riferimento ortonormale levogiro sono v1 = (0, −1, 0), v2 = (0, 1, 2), v3 = (1, 2, 4). 10) Determinare il volume del parallelepipedo avente un vertice nell’origine O degli assi e gli spigoli uscenti da O, unitari e paralleli alle bisettrici degli angoli xy, ˆ yz ˆ e xz. ˆ 11) Dati i due vettori v=(0,1,1) e w=(2,2,-2), determinare il luogo dei punti P dello spazio tali che: w = OP ∧ v 12) Siano i, j, k i versori di una base ortonormale. Dati i tre vettori u1 = 3i − 4j u2 = 3j + 4k u3 = −i + j + 2k (a) mostrare che essi costituiscono una base e determinare la base reciproca {Ûj }. (b) esprimere il vettore v: v = 5i−3j+8k come combinazione lineare dei tre vettori {ui } e dei tre vettori {Ûj }. 34 CAPITOLO II TRASFORMAZIONI LINEARI E TENSORI 2.1 TRASFORMAZIONI LINEARI Siano V e V0 due spazi vettoriali reali. Come è noto, prende il nome di omomorfismo o applicazione lineare di V in V0 l’applicazione L di V in V0 L : x ∈ V −→ τ x ∈ V0 (2.1.1) che soddisfa le relazioni: a) L(x + y) = Lx + Ly b) L(λx) = λLx, ∀x, y ∈ V ∀x ∈ V, ∀λ ∈ R Prende il nome di trasformazione lineare o operatore lineare o endomorfismo un’applicazione lineare L di V in sè. L’insieme di tutte le trasformazioni lineari di V in sè verrà nel seguito indicato con il simbolo Lin (V): Lin (V) = {L : V → V : L lineare} (2.1.2) Come è noto, in un generico spazio vettoriale di dimensione finita, ad ogni endomorfismo può essere associato un ente a due indici (la matrice delle sue componenti, in una data base), che si trasforma al variare della base con una legge tensoriale. Per questo motivo, gli endomorfismi in uno spazio vettoriale vengono anche chiamati tensori doppi o tensori del secondo ordine. ESEMPI DI TRASFORMAZIONI LINEARI In un generico spazio vettoriale reale sono definiti, in particolare, i seguenti endomorfismi: 1) L’endomorfismo nullo O, che associa ad ogni vettore x il vettore nullo o: O : x ∈ V −→ O x = o 2) L’endomorfismo identico U, che associa ad ogni vettore x il vettore x stesso: U : x ∈ V −→ U x = x 3) L’omotetia vettoriale τλ , detta anche moltiplicazione per lo scalare λ, che associa ad ogni vettore x il vettore ad esso parallelo λx: τλ : x ∈ V −→ τλ x = λx 35 2.2. TENSORI DOPPI NEGLI SPAZI EUCLIDEI Come abbiamo visto nel capitolo precedente, gli spazi vettoriali che si incontrano nello studio della Meccanica Razionale sono spazi, a due o tre dimensioni, dotati di prodotto scalare. Ci limiteremo pertanto a studiare gli endomorfismi in un spazio vettoriale euclideo, di dimensione 2 e di dimensione 3. TRASFORMAZIONI LINEARI IN UNO SPAZIO EUCLIDEO BIDIMENSIONALE. Sia E2 uno spazio vettoriale euclideo bidimensionale (l’insieme dei vettori del piano). È noto che, scelta una base in E2 , l’insieme dei vettori piani può essere messo in corrispondenza biunivoca e isomorfa con le coppie ordinate di numeri reali e quindi con l’insieme dei numeri complessi C. In particolare, scelta in E2 una base ortonormale positiva {c1 , c2 }, al vettore x, di componenti (x1 , x2 ), possiamo far corrispondere biunivocamente il numero complesso z di parte reale x1 e coefficiente dell’immaginario x2 : x = (x1 , x2 ) ∈ E2 ←→ z = x1 + ix2 ∈ C Cosı̀ come un numero complesso, ogni vettore del piano x è suscettibile di una rappresentazione esponenziale. Detti infatti x il modulo del vettore x e θ l’angolo che il vettore x forma con il vettore c1 , ricordando la formula di Eulero, possiamo scrivere: x = x(cos θ + i sin θ) = xeiθ Nell’insieme dei numeri complessi la moltiplicazione per un numero complesso prefissato z0 è una trasformazione lineare; è immediato infatti constatare che la trasformazione che al numero complesso z associa il numero complesso z0 z verifica la relazione: z0 (λ1 z1 + λ2 z2 ) = λ1 z0 z1 + λ2 z0 z2 ∀z1 , z2 ∈ C ∀λ1 , λ2 ∈ R In base all’isomorfismo tra vettori piani e numeri complessi l’operazione di moltiplicazione per un numero complesso può essere definita anche nell’insieme E2 dei vettori piani. Dato il numero complesso z = x1 + ix2 , la moltiplicazione del vettore v=(v1 , v2 ) per il numero complesso z, viene definita nel seguente modo: z : v = (v1 , v2 ) ∈ E2 −→ zv = (x1 v1 − x2 v2 , x1 v2 + x2 v1 ) ∈ E2 Posto v=veiθ , la moltiplicazione del vettore v per il numero complesso z = ρeiφ dà come risultato il vettore di modulo ρv ed argomento θ + φ: w = zv = ρvei(θ+φ) Consideriamo in particolare la moltiplicazione di un vettore piano per il numero complesso i: i : v = (v1 , v2 ) ∈ E2 −→ iv = (−v2 , v1 ) ∈ E2 π π utilizzando la notazione esponenziale iv = ei 2 (veiθ ) = vei(θ+ 2 ) , è immediato constatare che il vettore iv si ottiene ruotando di 90o in verso antiorario il vettore x; la moltiplicazione 36 per i si identifica dunque con l’operatore che ruota i vettori del piano di 90o in verso antiorario. Per tale motivo, la moltiplicazione per il numero complesso i viene anche chiamata operatore manovella. Si verifica anche facilmente che la moltiplicazione del vettore x per il numero complesso z di modulo ρ ed argomento φ, consiste nel moltiplicare il vettore x per il modulo ρ del numero complesso z e quindi ruotare il vettore cosı̀ ottenuto di un angolo φ in verso antiorario. L’OPERATORE ASSIALE Consideriamo lo spazio euclideo tridimensionale dotato delle sole basi positive E+ 3 . Sia u + un generico vettore di E3 . Prende il nome di operatore assiale o semplicemente assiale l’endomorfismo che associa ad ogni vettore x appartenente a E+ 3 il risultato del prodotto vettoriale tra u ed x: u∧ + : x ∈ E+ 3 −→ (u∧)x = u ∧ x ∈ E3 (2.2.1) L’endomorfismo assiale, dunque, trasforma i vettori dell’intero spazio E+ 3 , nei vettori + ortogonali ad u; manda cioè i vettori dell’intero spazio E3 , nei vettori di un piano, la cui giacitura è ortogonale a quella del vettore u. Sia {i, j, k} una terna di versori tra di loro ortogonali. L’assiale k∧ agisce sui vettori dell’intero spazio, trasformandoli nei vettori del piano π ortogonale a k. Se consideriamo dunque la restrizione dell’operatore k∧ ai vettori del piano π (individuato dai versori i e j) constatiamo immediatamente che l’operatore k∧ agisce su ogni vettore di π ruotandolo di 90o in verso antiorario. Esso dunque si identifica con l’operatore manovella i. LA DIADE O PRODOTTO TENSORIALE Sia E un generico spazio vettoriale euclideo. Siano u e v due vettori di E. Prende il nome di prodotto tensoriale o diade fra i due vettori u e v il tensore, che indicheremo con u⊗v (un’altra notazione, frequentemente usata, è uv) che agisce sul vettore x moltiplicandolo scalarmente per il vettore u e moltiplicando infine lo scalare ottenuto per il vettore v: u ⊗ v : x ∈ E −→ u ⊗ v x = (u · x)v (2.2.2) La diade quindi, trasforma i vettori dell’intero spazio E nel sottinsieme di E costituito dai vettori paralleli al vettore v. OPERATORI DI PROIEZIONE Consideriamo la diade u ⊗ u, dove u è un versore, ad esempio il versore di una data direzione r, ed analizziamo come essa agisce sui vettori dell’intero spazio. Si ha, ∀x ∈ E: u ⊗ u x = (u · x)u = xr u. Come vediamo la diade u ⊗ u agisce sul vettore x trasformandolo nel suo vettore proiezione secondo la direzione della retta r. Nel seguito denoteremo tale operatore con: P|| (u) := u ⊗ u e lo chiameremo operatore di proiezione sulla retta r di versore u. 37 (2.2.3) In particolare, se c1 , c2 e c3 sono i versori di un riferimento ortogonale in uno spazio tridimensionale E3 , possiamo scrivere: x = x1 c1 + x2 c2 + x3 c3 = (c1 ⊗ c1 + c2 ⊗ c2 + c3 ⊗ c3 ) x, da cui deduciamo: U = c1 ⊗ c1 + c2 ⊗ c2 + c3 ⊗ c3 . (2.2.4) P⊥ (u) := U − u ⊗ u (2.2.5) Infine, l’operatore è il vettore proiezione nel piano perpendicolare ad u, infatti si ha: [P⊥ (u)x] · x = [(U − u ⊗ u) x] · x = 0 e P|| (u) + P⊥ (u) = I. 2.3. COMPONENTI DI UN OPERATORE LINEARE Ci limiteremo, in questo paragrafo, a considerare le componenti di un operatore lineare in uno spazio euclideo tridimensionale V3 in una base ortonormale. Siano L un tensore doppio di E3 e c1 , c2 , c3 i versori di una base ortonormale. Applichiamo il tensore L ai versori della base, e sia Lij la componente i-esima del vettore Lcj nella base ortonormale {ci }. Poniamo cioè: Lij = ci · (Lcj ) ovvero: L11 Lc1 = L21 L31 (2.3.1) L12 Lc2 = L22 L32 I 9 numeri Lij prendono il nome di componenti matrice: L11 L = (Lij ) = L21 L31 L13 Lc3 = L23 L33 (2.3.2) del tensore L nella base {ci } mentre la L12 L22 L32 L13 L23 L33 (2.3.3) prende il nome di matrice delle componenti del tensore L nella base {ci }. Mostriamo che tale matrice determina univocamente il tensore L, una volta scelta la base. Sia dunque v un generico vettore di E3 . Indichiamo con w il risultato dell’applicazione del tensore L al vettore v: w = Lv (2.3.4) Siano vi le componenti del vettore v nella base {ci } e wi quelle del vettore w: w1 w= wi ci = w2 i=1 w3 v1 v= vj cj = v2 j=1 v3 3 X 3 X Si ha, per la linearità dell’operatore L: w = Lv = L( 3 X vj c j ) = j=1 38 3 X j=1 vj Lcj (2.3.5) Il vettore w trasformato del vettore v tramite l’operatore L si ottiene come combinazione lineare, con coefficienti vi , dei trasformati degli elementi della base {ci }. Conseguentemente, esso risulta individuato una volta noti i tre vettori Lc1 , Lc2 e Lc3 , trasformati degli elementi della base. Sostituendo adesso le (2.3.2) nella (2.3.5) si ricava: w= 3 X wi ci = i=1 3 X vj Lij ci i,j=1 cioè: wi = 3 X Lij vj (2.3.6) j=1 ovvero, utilizzando la notazione matriciale: w1 L11 w2 = L21 w3 L31 L12 L22 L32 L13 v1 L23 v2 L33 v3 ESEMPI Componenti dell’endomorfismo nullo e dell’endomorfismo identico. Applicando la (2.3.1), si deduce subito: Oij = ci · (Ocj ) = 0 Uij = ci · (Ucj ) = δij (2.3.7) quindi, le matrici delle componenti di tali endomorfismi, in un spazio euclideo tridimensionale sono proprio la matrice nulla e la matrice identità: 0 0 0 (Oij ) = 0 0 0 0 0 0 1 0 0 (Uij ) = 0 1 0 0 0 1 (2.3.8) Componenti dell’operatore assiale. Si ha, applicando la (2.3.1): (u∧)ij = ci · (u ∧ cj ) = 3 X uk ci · (ck ∧ cj ) = − k=1 3 X uk ci · (cj ∧ ck ) (2.3.11) k=1 P Utilizzando il tensore di Ricci ²ijk = ci ·(cj ∧ck ), la (2.3.11) si scrive (u∧)ij = − 3k=1 ²ijk uk . Concludendo, nello spazio euclideo tridimensionale, orientato positivamente E+ 3 , la matrice delle componenti dell’assiale è: 0 ((u∧)ij ) = u3 −u2 −u3 0 u1 u2 −u1 0 (2.3.12) Componenti della diade. Si ha, applicando la (2.3.1): (u ⊗ v)ij = ci · (u ⊗ v cj ) = uj vi 39 (2.3.9) deduciamo quindi che, in un spazio euclideo tridimensionale, la matrice delle componenti del prodotto tensoriale tra u e v è: u1 v 1 ((u ⊗ v)ij ) = u1 v2 u1 v 3 u2 v1 u2 v2 u2 v3 u3 v 1 u3 v 2 u3 v 3 In particolare, si ha, detti c1 , c2 , c3 i versori di una base ortonormale: à ((c1 ⊗ c1 )ij ) = à ((c2 ⊗ c1 )ij ) = à ((c3 ⊗ c1 )ij ) = 1 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 1 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 1 0 0 ! à , ((c1 ⊗ c2 )ij ) = ! à , ((c2 ⊗ c2 )ij ) = ! à , ((c3 ⊗ c2 )ij ) = 0 1 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 1 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 1 0 ! (2.3.10) à , ((c1 ⊗ c3 )ij ) = ! à , ((c2 ⊗ c3 )ij ) = ! à , ((c3 ⊗ c3 )ij ) = 0 0 1 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 1 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 1 ! , ! , ! . Componenti dell’operatore manovella. Ricordando che l’operatore manovella è la restrizione ad E+ 2 dell’operatore c3 ∧ possiamo scrivere: µ (irs ) = 0 −1 1 0 ¶ (2.3.13) 2.4. OPERAZIONI TRA ENDOMORFISMI. PRODOTTO TRA TENSORI Nell’insieme Lin (V) delle trasformazioni lineari vengono definite, in maniera naturale, la somma ed il prodotto per uno scalare. Prende il nome di somma dei due operatori L1 e L2 , l’operatore L1 + L2 tale che: (L1 + L2 )v = L1 v + L2 v (2.4.1) Prende il nome di prodotto dell’operatore L per il numero reale λ (scalare), l’operatore λL tale che: (λL)v = λ(Lv) (2.4.2) L’insieme Lin (V) munito di tali operazioni assume la struttura di spazio vettoriale; l’elemento neutro di tale spazio vettoriale è l’endomorfismo nullo O, l’elemento unità è l’endomorfismo identico U. Nell’insieme Lin (V) è definito anche il prodotto tra tensori L1 ◦L2 , nel seguente modo: (L1 ◦ L2 )v = L1 (L2 v) (2.4.4) Si verifica immediatamente che le componenti in una base {ei } della somma di due operatori, del prodotto di un operatore per uno scalare e del prodotto di due operatori sono: 40 (L1 + L2 )ij = (L1 )ij + (L2 )ij (λL)ij = λLij (L1 ◦ L2 )ij = Pn h=1 (L1 )ih (L2 )hj BASI NELLO SPAZIO DELLE TRASFORMAZIONI LINEARI Se E ha dimensione n, Lin (E) è uno spazio vettoriale di dimensione n2 . Una base di tale spazio vettoriale è costituita dagli n2 tensori ci ⊗ cj . Ad esempio, nel caso in cui n = 3, si verifica facilmente che, detta L una qualunque trasformazione lineare di E3 , si ha: L= 3 X Lij ci ⊗ cj . (2.4.3) i,j=1 2.5. TRASPOSTO DI UN TENSORE. DILATAZIONI OPERATORE TRASPOSTO DI UN OPERATORE A. In uno spazio vettoriale euclideo En si chiama operatore trasposto o aggiunto del tensore A l’operatore AT (indicato anche A+ o Ã) definito dalla relazione: (Ax) · y = x · (AT y) ∀x, ∀y (2.5.1) Vale la seguente proprietà, che ci limitiamo ad enunciare: se A è lineare, anche l’operatore AT è lineare. Il tensore AT in una data base, è individuato da n2 componenti. Sia {ci } una base ortonormale; scritta la (2.5.1) per i versori di tale base, risulta: (Aci ) · cj = ci · (AT cj ). (2.5.2) Il primo membro della (2.5.2), per la (2.3.1), è la componente Aji dell’operatore A nella base prefissata, mentre il secondo membro è la componente di posto ij dell’operatore AT ; denotata quest’ultima con ATij , la (2.5.2) porge: ATij = Aji (2.5.3) Pertanto, in una base ortogonale, la matrice delle componenti dell’operatore aggiunto AT di un operatore A è la matrice trasposta della matrice delle componenti dell’operatore A. TENSORI SIMMETRICI O DILATAZIONI Un operatore D che coincide con il suo aggiunto, cioè tale che (Dx) · y = x · (Dy) ∀x, ∀y (2.5.5) prende il nome di operatore autoaggiunto o anche tensore simmetrico o dilatazione. In una base ortonormale la matrice delle componenti di una dilatazione D è una matrice simmetrica. 41 ESEMPIO: La diade (v, v) è una dilatazione. Infatti: [(v, v)x] · y = (v · x)(v · y) = x · [(v, v)y] Tensori simmetrici si incontrano nello studio della dinamica dei corpi rigidi (tensore d’inerzia) e nello studio della cinematica e della meccanica dei continui deformabili. Il termine dilatazione per indicare un tensore simmetrico trae origine proprio dallo studio della deformazione dei continui tridimensionali. DIREZIONI UNITE E SPETTRO DI UN TENSORE SIMMETRICO Sia D un tensore. Cerchiamo, se esistono delle direzioni u tali che: Duku (2.5.6) cioè tali che la dilatazione del vettore u sia ad esso parallela. Ricordiamo che prende il nome di autovettore v dell’operatore D corrispondente all’autovalore λ un vettore v tale che Dv = λv (2.5.7) Osservato che se v è un autovettore associato all’autovalore λ anche il prodotto di v per un qualunque numero reale λ è un autovettore, possiamo affermare che l’equazione (2.5.7) individua semplicemente una direzione che prende il nome di direzione unita dell’operatore D associata all’autovettore λ. È noto che un operatore simmetrico ammette sempre tre autovalori λi reali (eventualmente coincidenti) e tre autovettori linearmente indipendenti. Mostreremo adesso che questi tre autovettori individuano tre direzioni unite mutualmente ortogonali, mostreremo cioè che, detti u1 , u2 ed u3 i versori di queste direzioni unite, risulta: ui · uj = δij (2.5.8) Supponiamo dapprima che i tre autovalori λ1 , λ2 e λ3 siano distinti. Siano u1 , u2 e u3 tre autovettori associati ai tre autovalori λi ; sia cioè: Du1 = λ1 u1 Du2 = λ2 u2 Du3 = λ3 u3 (2.5.9) Calcoliamo, ad esempio, il prodotto scalare u1 · u2 ; utilizzando (2.5.5), (2.5.7) e (2.5.9), si deduce: 1 λ2 1 u1 · u2 = (Du1 ) · u2 = u1 · (Du2 ) = u1 · u2 λ1 λ1 λ1 Da questa relazione, essendo λ1 6= λ2 si deduce u1 · u2 = 0. Supponiamo adesso che ad uno stesso autovalore λ siano associati i due autovettori e1 ed e2 . In questo caso, come si verifica immediatamente, ogni vettore combinazione lineare di e1 ed e2 è ancora un autovettore associato all’autovalore λ. All’autovalore λ sono dunque associate infinite direzioni unite, tutte quelle del piano individuato da e1 ed e2 . Possiamo quindi scegliere due vettori u1 ed u2 che, appartendo al piano individuato da e1 ed e2 , risultano direzioni unite per l’operatore simmetrico D e sono ortogonali. 42 Concludendo, possiamo affermare che se λ1 6= λ2 6= λ3 esistono tre direzioni privilegiate lungo le quali la dilatazione del vettore v è parallela al vettore stesso. Se i versori di queste direzioni vengono scelti come base del nostro spazio vettoriale, la matrice delle componenti di D assume forma diagonale. Nel caso in cui due dei tre autovalori sono uguali, sono direzioni unite tutte quelle di un piano, nonchè la direzione ortogonale alla giacitura di suddetto piano. Nel caso infine in cui tutti e tre gli autovalori sono uguali allora ogni direzione è una direzione unita. DECOMPOSIZIONE SPETTRALE Sia Y un sottospazio lineare di E. Chiamiamo complemento ortogonale di Y il sottospazio lineare di E definito da: Y⊥ := {x ∈ E : x · y = 0, ∀y ∈ Y } I due sottospazi Y e Y⊥ decompongono E, nel senso che, fissato un qualunque vettore x di E, esistono e sono unici due vettori y e y⊥ , il primo appartenente a Y il secondo a Y⊥ tali che: x = y + y⊥ Sia D un tensore simmetrico e supponiamo che esso ammetta tre autovalori λ1 , λ2 e λ3 distinti. Come abbiamo visto, esistono tre sottospazi di E (i tre autospazi costituiti dai vettori paralleli agli autovettori u1 , u2 ed u3 ) che sono invarianti sotto l’azione di D. Se i versori di queste direzioni vengono scelti come base di E3 , la matrice Dhk delle componenti di D assume la seguente forma diagonale: à λ1 0 0 0 λ2 0 0 0 λ3 ! Da quanto detto si deduce che il tensore D ammette la seguente decomposizione: D = λ1 u1 ⊗ u1 + λ2 u2 ⊗ u2 + λ3 u3 ⊗ u3 (2.5.10) detta decomposizione spettrale. In generale, anche quando gli autovalori non sono tutti distinti, gli autospazi di un tensore simmetrico D in Lin(E) decompongono lo spazio vettoriale E. Nel caso in cui gli autovalori di D sono tutti coincidenti, la matrice delle componenti di D è una matrice diagonale in un qualunque sistema di riferimento ed il tensore D è un tensore isotropo. 2.5a. FORMA QUADRATICA ASSOCIATA AD UNA DILATAZIONE Sia D un endomorfismo simmetrico nello spazio vettoriale En di dimensione n. Nello spazio puntuale euclideo En associato allo spazio vettoriale En , si consideri la forma quadratica f definita dal seguente prodotto scalare: f = (D OP ) · OP (2.5.11) Detto {O, xi } (i = 1, 2, ..., n) un generico riferimento ortogonale, in componenti la forma quadratica è individuata da un polinomio omogeneo di secondo grado nelle variabili (x1 , x2 , ...xn ) = x. Si ottiene infatti, sviluppando: f= n X Dhk xk xh h,k=1 Ricordiamo che una forma quadratica f si dice definita positiva se f (x) > 0, ∀x ∈ Rn ; 43 (2.5.12) definita negativa se f (x) < 0, ∀x ∈ Rn ; semidefinita positiva se f (x) ≥ 0, ∀x ∈ Rn , con f (x) = 0 per almeno un x; semidefinita negativa se f (x) ≤ 0, ∀x ∈ Rn , con f (x) = 0 per almeno un x; indefinita se f (x) assume valori sia positivi che negativi. CONICA ASSOCIATA AD UN ENDOMORFISMO SIMMETRICO IN E2 Nel piano affine E2 , prende il nome di conica associata alla trasformazione lineare simmetrica D (o conica indicatrice della dilatazione D) il luogo dei punti di E2 definiti dalla uguaglianza: D OP · OP = costante (2.5.13) Nel riferimento {O; x, y} l’equazione (2.5.13) si scrive: D11 x2 + D22 y 2 + 2D12 xy = cost (2.5.14) Osserviamo che a seconda del segno degli autovalori della dilatazione D, la forma quadratica (2.5.12) risulta definita, semidefinita o indefinita, e la conica associata (2.5.14) è un ellisse, una parabola degenere in due rette parallele, o un iperbole. In particolare, se la forma quadratica (2.5.12) è definita positiva (cioè se tutti e due gli autovalori della dilatazione D sono positivi) e la costante c è anch’essa positiva, la conica è un ellisse. BREVI RICHIAMI SULLE CONICHE A CENTRO. Ricordiamo che una conica è una curva algebrica del secondo ordine, pertanto essa è il luogo dei punti del piano che soddisfa un’equazione del tipo: a11 x2 + a22 y 2 + 2a12 xy + 2a13 x + 2a23 y + a33 = 0 (2.5.15) Se si effettua un cambiamento del sistema di riferimento l’equazione (2.5.15) si trasforma, come si può verificare facilmente, in un’equazione dello stesso tipo. Si verifica però che il cambiamento di riferimento lascia invariate le seguenti tre quantità scalari, dette invarianti della conica: ¯ ¯ ¯ a ¯ ¯ ¯ ¯ 11 a12 a13 ¯ ¯ a ¯ ¯ ¯ ¯ 11 a12 ¯ D = ¯ a21 a22 a23 ¯ D33 = ¯ ¯ T = a11 + a22 (2.5.16) ¯ ¯ ¯ a21 a22 ¯ ¯ a31 a32 a33 ¯ Una conica C si dice di tipo ellittico, parabolico o iperbolico a seconda che risulti D33 > 0, D33 = 0, D33 < 0. Nel seguito ci interesseremo soltanto delle coniche per le quali risulta D33 6= 0, dette coniche a centro. Si può dimostrare facilmente che, con un opportuno cambiamento di variabili, se risulta D33 6= 0, si può fare in modo che i termini lineari nella (2.5.15) si annullino. In questo caso l’equazione della conica si scrive: a11 x2 + a22 y 2 + 2a12 xy + a33 = 0 (2.5.17) e, come si vede, è del tipo (2.5.14). Nel seguito considereremo coniche a centro scritte nella forma (2.5.14) (o (2.5.17)). Come vedremo in questo caso il centro della conica, che è centro di simmetria, coincide con l’origine del sistema di riferimento. 44 DIREZIONI CONIUGATE DI UN ENDOMORFISMO SIMMETRICO Data una dilatazione D, prendono il nome di direzioni coniugate della dilatazione due direzioni, individuate dai versori u e u0 , tali che u · Du0 = u0 · Du = 0 (2.5.18) La corrispondenza che associa ad ogni direzione u la direzione u0 ad essa coniugata prende il nome di involuzione delle direzioni coniugate. In componenti, posto u = (α, β) e u0 = (α0 , β 0 ), la (2.5.18) si scrive: a11 αα0 + a12 (αβ 0 + α0 β) + a22 ββ 0 = 0. (2.5.19) DIAMETRI DI UNA CONICA. Si consideri una conica C ed un fascio di rette parallele che la intersecano. Sia u = (α, β) il versore che individua la direzione comune delle rette del fascio. Prende il nome di diametro della conica C coniugato alla direzione u il luogo dei punti P soddisfacenti la relazione: LOP · u = 0 (2.5.20) (a11 x + a12 y)α + (a12 x + a22 y)β = 0 (2.5.21) che in componenti si scrive Come si vede, fissato il versore u, il diametro coniugato alla direzione u è una retta passante per il punto O, che prende il nome di centro della conica. Come si può verificare facilmente, per tale punto passano anche tutti gli altri diametri della conica. FIGURA 2.5.1 Sono di facile verifica le seguenti due proprietà, che ci limitiamo ad enunciare: PROPRIETÀ 1: Il diametro della conica C coniugato alla direzione u è il luogo dei punti medi delle corde della conica ottenute intersecando la conica con le rette del fascio di direzione u. PROPRIETÀ 2 : Se il diametro d coniugato alla direzione u incontra la conica in un punto P , la retta s passante per P di versore u è tangente alla conica C in P . 45 In particolare, i diametri della conica coniugati alle direzioni degli assi coordinati hanno equazioni: a11 x + a12 y = 0 a12 x + a22 y = 0 (2.5.22) Il punto O è centro di simmetria della conica; infatti il diametro d coniugato alla direzione u contiene una corda P Q della conica con direzione u0 individuata dalla (2.5.18) e quindi il diametro d0 , coniugato alla direzione u0 , per la proprietà 2, passerà per il punto O, punto medio della corda P Q. FIGURA 2.5.2 La corrispondenza nel fascio di rette di centro O individuata dalla (2.5.18) che associa al diametro d il suo diametro coniugato d0 si dice involuzione dei diametri coniugati. ASSI DI UNA CONICA A CENTRO. Mostriamo che in una conica a centro esistono sempre due diametri mutuamente ortogonali. Questi diametri si chiamano assi di simmetria ortogonale della conica, o semplicemente assi della conica. Per determinarli basta osservare che essi devono soddisfare le due relazioni: ½ u · Du0 = 0 u · u0 = 0 (2.5.23) Questo sistema o ammette infinite soluzioni, nel caso in cui C è una circonferenza (perchè allora ogni diametro è asse di simmetria ortogonale) o ammette due soluzioni reali che individuano due direzioni fra loro ortogonali, che sono gli assi di simmetria ortogonale della conica, le loro intersezioni reali con C si chiamano vertici. EQUAZIONE CANONICA DI UNA CONICA A CENTRO. Gli assi della conica sono proprio le direzioni unite dell’endomorfismo D a cui la conica è associata; infatti, se si assume come sistema di riferimento {O; x, y} quello coincidente con gli assi della conica, quest’ultima sarà rappresentata dall’equazione λ 1 x2 + λ 2 y 2 = c (2.5.24) dove λ1 e λ2 sono gli autovalori della dilatazione D. Supposto ad esempio λ1 > 0, escludendo i casi in cui la conica sia immaginaria o degenere, a seconda dei segni di λ2 e c, si hanno le seguenti equazioni canoniche; 46 Ellisse. Supponiamo che sia λ1 > 0, λ2 > 0. Posto allora λ1 = c/a2 e λ2 = c/b2 si ottiene: x2 y 2 + 2 =1 a2 b che è l’equazione canonica dell’ellisse. Come caso particolare si ottiene la circonferenza se risulta λ1 = λ2 > 0 Iperbole: Se risulta λ1 > 0, λ2 < 0, posto λ1 = c/a2 e λ2 = −c/b2 si ottiene: x2 y 2 − 2 =1 a2 b QUADRICA ASSOCIATA AD UNA DILATAZIONE IN E3 . Nello spazio puntuale euclideo E3 associato allo spazio vettoriale E3 , si consideri la forma quadratica f definita dal seguente prodotto scalare: f = (D OP ) · OP (2.5.30) Detto {O, xi } un generico riferimento ortogonale, in componenti si ha: f= 3 X Dhk xk xh (2.5.31) h,k=1 Prende il nome di quadrica associata alla dilatazione D (o quadrica indicatrice della dilatazione D) il luogo dei punti di E3 definiti dalla uguaglianza: D OP · OP = costante (2.5.32) Nel riferimento {O; x, y, z} la (2.5.32) si scrive: D11 x2 + D22 y 2 + D33 z 2 + 2D12 xy + 2D13 xz + 2D23 yx = cost (2.5.33) Osserviamo che a seconda del segno degli autovalori della dilatazione D, la forma quadratica (2.5.31) risulta definita, semidefinita o indefinita, e la quadrica associata (2.5.33) è un ellissoide, un paraboloide o un iperboloide. In particolare, se la forma quadratica (2.5.31) è definita positiva (cioè se tutti e tre gli autovalori della dilatazione D sono positivi) e la costante c è anch’essa positiva, la quadrica è un ellissoide, la cui equazione è proprio la (2.5.33). Da quanto dedotto in precedenza, si deduce infine che, se si effettua in E3 un cambiamento del sistema di riferimento, scegliendo come nuovi assi y1 , y2 , y3 proprio le direzioni unite della dilatazione, l’equazione (2.5.33) assume la seguente forma canonica: λ1 y12 + λ2 y22 + λ3 y32 = c In tale nuovo riferimento, la matrice dhk delle componenti dell’operatore D assume forma diagonale: λ1 0 0 0 0 λ2 0 0 λ3 47 ESERCIZIO 1: Nello spazio vettoriale euclideo V3 sia ortonormale {ci }, sono: à d1 Dij = 0 0 (a) mostrare che si tratta di una dilatazione singolare. data la dilatazione D, le cui componenti, in una base 0 1 −1 0 −1 1 ! (b) determinare le direzioni unite della dilatazione D. (c) Scrivere la matrice delle componenti di D, nella base individuata dai versori delle direzioni unite. (d) Individuare la quadrica associata alla dilatazione. ESERCIZIO 2: Nello spazio vettoriale euclideo E3 sia data ortonormale {ci }, sono: à d1 2 D= 2 1 3 −1 (a) mostrare che si tratta di una dilatazione non singolare. la dilatazione D, le cui componenti, in una base 3 −1 1 ! (b) determinare le direzioni unite della dilatazione D. (c) Scrivere la matrice delle componenti di D, nella base individuata dai versori delle direzioni unite. (d) Individuare la quadrica associata alla dilatazione. TENSORI ANTISIMMETRICI. DECOMPOSIZIONE DI UN TENSORE Accanto ai tensori simmetrici si definiscono i tensori antisimmetrici, come quei tensori tali che WT = −W (2.5.14) Si verifica facilmente che la matrice delle componenti di un tensore antisimmetrico è una matrice antisimmetrica. Un esempio di tensore antisimmetrico, nello spazio E3 è l’operatore assiale. Viceversa, si può mostrare che ad ogni tensore antisimmetrico W si può associare sempre un vettore w tale che W = w∧. L’insieme di tutti i tensori doppi simmetrici S(E) costituisce un sottospazio vettoriale dello spazio Lin (E) e cosı̀ anche l’insieme W(E) di tutti i tensori antisimmetrici. Ogni tensore L ∈ Lin (E) può essere decomposto nella somma di un tensore simmetrico Ls e di un tensore antisimmetrico Lw nel seguente modo: L = Ls + Lw dove 1 Ls := (L + LT ) 2 1 Lw := (L − LT ) 2 (2.5.15) 2.6. TENSORI ORTOGONALI. In uno uno spazio vettoriale euclideo E, prende il nome di tensore ortogonale o operatore isometrico un operatore Q che conserva il modulo di ogni vettore x: |Qx| = |x| (2.6.1) Un tensore ortogonale Q soddisfa le seguenti proprietà: PROPRIETÀ 1: Un tensore ortogonale è invertibile ed il suo inverso Q−1 è anch’esso un tensore ortogonale. 48 Il fatto che il tensore Q è invertibile discende subito dall’osservare che il nucleo di Q (cioè l’insieme dei vettori x tali che Qx=o) coincide col vettore nullo. Ovviamente, anche il tensore Q−1 è ortogonale; infatti, posto u=Qx, la (2.6.1) equivale alla uguaglianza: |u| = |Q−1 u| PROPRIETÀ 2: Un tensore ortogonale Q conserva il prodotto scalare tra due generici vettori. Qx · Qy = x · y ∀x, y (2.6.3) Dimostrazione: Essendo Q ortogonale, risulta: |Q(x + y)| = |x + y| Ma si ha, ricordando la definizione di modulo di un vettore x: |Q(x + y)|2 = Q(x + y) · Q(x + y) = |Qx|2 + |Qy|2 + 2Qx · Qy |x + y|2 = (x + y) · (x + y) = |x|2 + |y|2 + 2x · y Uguagliando le due ultime relazioni, tenendo presente la (2.6.1) e semplificando, si ricava la (2.6.3). PROPRIETÀ 3: Il tensore inverso di un tensore ortogonale coincide con il suo trasposto: Q−1 = QT (2.6.4) Dimostrazione: Sia QT il trasposto del tensore Q e siano x e y due generici vettori di E. Applicando la (24.7) ai vettori x e Qy possiamo scrivere: Qx · Qy = x · QT (Qy) cioè, tenendo presente la (2.6.3): x · [(QT ◦ Q)y] = x · y da quest’ultima relazione, per l’arbitrarietà di x e di y, si deduce: QT ◦ Q = U PROPRIETÀ 4. Dalla definizione (2.6.1) e dalla (2.6.3) si deduce la seguente importante proprietà dei tensori ortogonali: Un tensore ortogonale conserva il modulo di ogni vettore e l’angolo tra due vettori; esso è pertanto una isometria di E in sè. Un tensore ortogonale Q trasforma dunque i vettori cs di una base ortonormale nei vettori Js = Qcs di un’altra base, anch’essa ortonormale. Js = Qcs 49 (2.6.5) Osserviamo in particolare che, dato in En un generico vettore v=(vi ), risulta: w = Qv = 3 X Qvs cs = s=1 3 X vs J s (2.6.6) s=1 cioè il tensore Q trasforma il generico vettore v in un vettore w, che ha come componenti, rispetto alla nuova base {Jh } le stesse componenti del vettore v nella vecchia base {ck }. Ricordando adesso la (2.6.4), moltiplicando a sinistra la (2.6.5) per il trasposto QT del tensore Q, si ottiene: cs = QT Js . (2.6.7) Determiniamo le componenti dell’operatore Q nella base {ci }. Si ha: Qhk = ch · (Qck ) = ch · Jk ; (2.6.8) d’altra parte risulta anche: 3 X ch = (ch · Jk )Jk Jh = k=1 Si ha cioè: ch = 3 X Qhk Jk 3 X (Jh · ck )ck (2.6.9) k=1 Jh = k=1 3 X k=1 Qkh ck = 3 X QThk ck (2.6.10) k=1 da cui constatiamo, ricordando la formula (2.6) del capitolo 1, che la matrice Qhk è una matrice di cambiamento di base, tra basi ortonormali. Essa infatti consente di passare dalla nuova base {Jh } alla vecchia base {ck }. La sua inversa Q−1 = QT consente di passare dalla vecchia base alla nuova. Concludiamo dunque che il tensore Q ha due interpretazioni differenti. La prima interpretazione (detta attiva) consente di passare dai versori ci di una base ortonormale ad i versori Ji di un’altra base anch’essa ortonormale. La seconda (detta passiva) interpreta la matrice Qhk come matrice di cambiamento di base: dai vettori Ji ai vettori ci . PROPRIETÀ 5: La matrice delle componenti di un operatore ortogonale, in una base ortonormale, è una matrice ortogonale. Dimostrazione. Sia {ci } una base ortonormale; sia poi (Qij ) la matrice delle componenti dell’operatore Q nella base assegnata. Dalla (2.6.4) si deduce: T Q−1 rs = Qrs = Qsr Concludiamo dunque che, in una base ortonormale, la matrice delle componenti di un tensore ortogonale è una matrice ortogonale. Se si interpreta tale matrice come matrice di cambiamento di base tra basi ortonormali, ritroviamo la nota proprietà che, in uno spazio vettoriale euclideo, la matrice di cambiamento di base - tra basi ortonormali - è una matrice ortogonale. Mostriamo adesso che gli elementi di una matrice ortogonale non sono indipendenti. Tenendo presente la (2.6.10)2 e ricordando che jh sono i versori di una base ortonormale, si ricava: jh · jk = 3 X (Qih ci )(Qsk cs ) = i,s=1 3 X i,s=1 50 Qih Qsk δis = 3 X s=1 Qsh Qsk cioè: 3 X Qsh Qsk = δhk (2.6.11) s=1 Allo stesso modo, utilizzando la (2.6.10)1 , si ricava: 3 X Qhs Qks = δhk (2.6.12) s=1 Osserviamo infine che la matrice delle componenti di un operatore ortogonale soddisfa la relazione det(Qij ) = ±1 (2.6.13) Un tensore ortogonale Q, per cui risulta det(Qij ) = +1 è detto operatore ortogonale positivo. Un operatore ortogonale Q, per cui risulta det(Qij ) = −1 è detto operatore ortogonale negativo. In particolare, se Q è un tensore ortogonale positivo, esso conserva anche l’orientamento delle basi, invece un tensore ortogonale negativo manda una base levogira in una base destrogira e viceversa. PROPRIETÀ 6: I tensori ortogonali formano un gruppo rispetto al prodotto di tensori definito nella (24.6). Si lascia come esercizio al lettore la verifica di questa proprietà. Denoteremo con O(E) il gruppo dei tensori ortogonali: O(E) := {Q ∈ Lin (E) : Qx · Qx = x · x, ∀x ∈ E} (2.6.14) e lo chiameremo gruppo ortogonale. TENSORI ORTOGONALI POSITIVI. ROTAZIONI Consideriamo uno spazio vettoriale euclideo di dimensione 3, e lo spazio affine E3 ad esso associato. Le considerazioni ora fatte, ci portano ad affermare che, fissato un punto O di E3 , il tensore Q agisce su un riferimento levogiro di origine O ed assi x1 , x2 , x3 di versori c1 , c2 , c3 , trasformandolo in un riferimento levogiro di origine O ed assi y1 , y2 , y3 di versori J1 , J2 , J3 . Possiamo dunque dire che un tensore ortogonale positivo caratterizza una rotazione rigida dello spazio intorno ad un punto fisso O. ESEMPIO 1. L’operatore manovella, già definito nel paragrafo 2, è un operatore ortogonale, infatti esso, ruotando semplicemente i vettori di E2 , non ne altera il modulo. Esso inoltre conserva l’orientamento delle basi; è dunque un operatore ortogonale positivo. Verifichiamo che la matrice (19.13) delle sue componenti è una matrice ortogonale. È sufficiente mostrare che il prodotto righe per colonne della matrice (iij )T per la matrice 51 (iij ) è uguale alla matrice identità: µ QT ◦ Q = 0 −1 1 0 ¶µ 0 1 −1 0 ¶ µ = 1 0 0 1 ¶ (2.6.15) ESEMPIO 2. Nello spazio euclideo tridimensionale E3 , è un ortogonale positiva la rotazione Qz (φ) di un angolo φ, intorno ad un asse, ad esempio l’asse di versore c3 . Infatti, tale operatore, come nel piano l’operatore manovella, non altera il modulo dei vettori di E3 , nè l’orientamento delle basi. Come si verifica immediatamente, la matrice delle sue componenti è: cos φ − sin φ 0 (Qz (φ))ij = sin φ cos φ 0 0 0 1 (2.6.16) Ovviamente tale matrice è una matrice ortogonale. ³ ´ Osservazione. Se si pone φ = π2 , otteniamo Qz π2 , cioè la rotazione di 90o in verso antiorario, intorno all’asse z. Ovviamente la restrizione di tale operatore ai vettori del piano c1 , c2 si identifica con l’operatore manovella. Come mostrato nel paragrafo 2, l’operatore manovella è anche la restrizione, allo spazio E2 , dell’operatore c3 ∧. Tuttavia i due tensori ³ ´ π Qz 2 e c3 ∧ non si identificano, come si evidenzia subito osservando che, mentre il primo è un tensore ortogonale positivo, non singolare, il secondo, avendo come componenti una matrice antisimmetrica, è singolare. I tensori ortogonali positivi costituiscono un sottogruppo (proprio) del gruppo ortogonale O(E), che si indica con SO(E) := {Q ∈ O(E) : detQ = 1} 52 (2.6.17) CAPITOLO III SISTEMI DI VETTORI APPLICATI Nello studio dei fenomeni meccanici si incontrano spesso grandezze vettoriali che dipendono anche dal punto dello spazio in cui vengono applicate. Esempi di tali grandezze sono le Forze. Le forze, infatti vengono applicate a punti di corpi materiali, ed il loro effetto dipende dal punto del corpo in cui vengono applicate. È dunque indispensabile, nello studio della Meccanica, approfondire lo studio degli insiemi di vettori applicati. 3.1. VETTORI APPLICATI. Ricordiamo che prende il nome di vettore applicato una coppia ordinata (A,B) di punti dello spazio E3 . Un vettore applicato è dunque quel particolare ente geometrico caratterizzato da modulo, direzione, verso e punto di applicazione. Nel seguito lo indicheremo con il simbolo (A, v). (3.1.1) La retta a passante per A e parallela al vettore v si dice retta di applicazione o retta di azione del vettore v. Figura 3.1.1 Accanto al concetto fondamentale di vettore applicato, si introduce in Meccanica Razionale anche il concetto di cursore. Prende il nome di cursore l’ente geometrico caratterizzato da modulo, direzione, verso e retta di applicazione, che verrà nel seguito indicato con il simbolo (a, v). (3.1.2) Cosı̀, ad esempio, i due vettori applicati (A,v) e (B,v) di f ig 3.1.1 rappresentano lo stesso cursore. Invece (A,v) e (C,v) rappresentano due cursori diversi, perchè applicati su diverse rette di applicazione. I tre vettori applicati (A,v), (B,v) e (C,v) sono invece tre rappresentanti dello stesso vettore v. 53 3.2. MOMENTO POLARE Sia (A,v) un vettore applicato nel punto A, e Q un punto qualsiasi dello spazio puntuale euclideo tridimensionale E3 . Si chiama momento polare del vettore applicato (A,v) rispetto al polo Q il prodotto vettoriale: MQ = QA ∧ v (3.2.1) Si noti che al momento polare MQ ora definito non viene associato alcun punto di applicazione. Esso è pertanto un vettore libero. DETERMINAZIONE ANALITICA DEL MOMENTO POLARE Sia {O, x, y, z} un riferimento ortonormale positivo in E3 e siano i, j, k i suoi versori. Dette (xA , yA , zA ) le coordinate del punto A, (xQ , yQ , zQ ) le coordinate del punto Q e (vx , vy , vz ) le componenti del vettore v, risulta: ¯ ¯ i ¯ ¯ QA ∧ v = ¯¯ xA − xQ ¯ vx j yA − yQ vy ¯ ¯ k ¯ ¯ zA − zQ ¯¯ vz ¯ (3.2.2) Esercizio 3.2.1: Calcolare il momento del vettore v= (3, −1, 2)T , applicato nel punto P di coordinate (0,1,2), rispetto al punto Q di coordinate (3,1,0). DETERMINAZIONE SINTETICA DEL MOMENTO POLARE Si consideri il piano π contenente la retta di applicazione a del vettore applicato (A,v) ed il punto Q, che si suppone esterno alla retta a (f ig. 3.2.1a). Il momento polare MQ , che per comodità è stato applicato in Q, è un vettore (libero), diretto normalmente al piano π, che vede antioraria la rotazione che porta QA su v. Per individuare facilmente il verso del vettore momento polare di (A,v) rispetto al polo Q, possiamo anche dire che il verso è tale che il vettore MQ , supposto applicato in Q, veda scorrere il vettore v sulla sua retta di applicazione, in verso antiorario. Figura 3.2.1 Se si sceglie nel piano π, che contiene a e Q, un riferimento con origine Q, assi x e y su questo piano e z ortogonale a π, in modo che {Q,x, y, z} sia un riferimento ortogonale levogiro, detti i, j e k i versori di tali assi, il momento del vettore v rispetto al polo Q 54 risulta parallelo all’asse z, mentre il suo verso è concorde con k (cioè uscente dal foglio) se il punto Q vede scorrere v sulla sua retta di applicazione in verso antiorario (vedi f ig. 3.2.1a), è discorde con k (cioè entrante dentro il foglio) se il punto Q vede scorrere v sulla sua retta di applicazione in verso orario (vedi f ig. 3.2.1b). Figura 3.2.2 Il modulo del momento polare MQ , essendo uguale all’area del parallelogrammo costruito su QA e v, è dato da: MQ = |MQ | = |QA| |v| sin α dove α è l’angolo tra QA e v. Denotiamo con b la distanza della retta a di applicazione del vettore v dal polo Q e con v il modulo del vettore v; possiamo scrivere: MQ = bv (3.2.3) Il numero reale positivo b ora introdotto, prende anche il nome di braccio del vettore applicato (A,v) rispetto al polo Q. Il momento polare soddisfa le seguenti proprietà: Proprietà 3.2.1: Il momento polare di un vettore applicato si annulla se e solo se il punto Q appartiene alla retta a di applicazione del vettore v. MQ = 0 ⇐⇒ Q∈a (3.2.4) Proprietà 3.2.2: Il momento polare di un vettore applicato non varia se si sposta il vettore sulla sua retta di applicazione. DIMOSTRAZIONE: Sia A’ un qualunque altro punto della retta a di applicazione del vettore v (f ig. 3.2.3). Si ha: QA’ ∧ v = (QA+AA’) ∧ v = QA ∧ v + AA’ ∧ v essendo AA’ e v paralleli, il loro prodotto vettoriale si annulla, otteniamo cosı̀: QA’ ∧ v = QA ∧ v 55 (3.2.5) Figura 3.2.3 Pertanto, il concetto di momento polare resta definito anche per i cursori; notiamo invece che tale concetto non ha senso per i vettori liberi. L’esigenza di introdurre in Meccanica il concetto di momento di un vettore rispetto a un punto (e quindi il concetto di prodotto vettoriale tra vettori) appare evidente quando si considera ad esempio l’effetto di una forza (A,F), applicata in un punto A di un corpo rigido girevole intorno ad un asse fisso, passante per Q: infatti, come si vedrà in seguito, il vettore QA∧F rappresenta totalmente tale effetto, in quanto è in grado di tener conto, con il suo modulo |MQ | = bF , della forza F e della sua distanza dall’asse di rotazione, con la sua direzione dell’asse di rotazione e con il suo verso del senso della rotazione. Il concetto di momento di una forza rispetto a un punto è un concetto fondamentale della statica (cioè dell’equilibrio) dei corpi rigidi. Ciò si comprende, ad esempio, considerando una leva (cioè un’asta AB, di lunghezza l, imperniata in un suo punto C). L’esperienza insegna che, se il perno C è il punto medio dell’asta AB, se si applica una forza F sul punto A della leva, perchè l’asta sia in equilibrio è necessario applicare nel punto B una forza F, identica a quella che è stata applicata in A. Se invece il perno C è posto ad una distanza disuguale dai due estremi, ad esempio, |AC| = l/3 e |CB| = 2l/3, le forze che devono essere applicate nei punti A e B della leva sono inversamente proporzionali alle distanze di A e B dal perno C. Soddisfano cioè la relazione: CA ∧ FA = −CB ∧ FB 3.3. MOMENTO ASSIALE Sia (A,v) un vettore applicato, a la sua retta di applicazione, r una retta orientata dello spazio, di versore û, e Q un qualunque punto di r. Si chiama Momento assiale del vettore applicato (A,v) rispetto alla retta orientata r, lo scalare: Mr = QA ∧ v · û (3.3.1) DETERMINAZIONE ANALITICA DEL MOMENTO ASSIALE Sia {O, x, y, z} un riferimento ortonormale positivo in E3 , dette (xA , yA , zA ) le coordinate del punto A, (xQ , yQ , zQ ) le coordinate del punto Q, (vx , vy , vz )T le componenti del vettore 56 v, (ux , uy , uz )T le componenti del versore û, possiamo scrivere: ¯ ¯x − x Q ¯ A ¯ QA ∧ v · û = ¯ vx ¯ ¯ ux yA − yQ vy uy ¯ zA − zQ ¯¯ ¯ vz ¯ ¯ uz ¯ (3.3.2) Osserviamo che la definizione di momento assiale sembra non ben posta, in quanto appare dipendere dal punto Q della retta r. Vale invece la seguente: Proprietà 3.3.1. Il momento assiale non varia quando si fa variare Q sulla retta r. DIMOSTRAZIONE: Sia Q’ un punto di r, distinto da Q. Calcoliamo il prodotto misto dei tre vettori Q’A, v, e û. Si ha: Q’A ∧ v · û = (Q’Q+QA) ∧ v · û = Q’Q ∧ v · û + QA ∧ v · û Osservando che Q’Q è parallelo a û, si deduce che il prodotto misto Q’Q ∧ v · û si annulla; conseguentemente: Q’A ∧ v · û = QA ∧ v · û (3.3.3) Ovviamente, anche per il momento assiale vale la seguente: Proprietà 3.3.2. Il momento assiale non varia quando si fa variare il punto di applicazione del vettore v sulla retta a. Notiamo cosı̀ che il concetto di momento assiale, come quello di momento polare, resta definito anche per i cursori. È importante osservare la seguente: Proprietà 3.3.3. Il momento assiale si annulla se e solo se la retta di azione di v è parallela od incidente la retta a. Infatti, in tal caso, i tre vettori QA, v e û risultano complanari, e quindi il loro prodotto misto si annulla. DETERMINAZIONE SINTETICA DEL MOMENTO ASSIALE Consideriamo dapprima il caso particolare in cui la retta a di applicazione del vettore v e la retta r risultano perpendicolari tra loro e non incidenti. È questo il caso che si presenta quando il vettore v appartiene ad un piano π e la retta r è ortogonale al piano π. Denotiamo con z tale retta, con k il suo versore, e sia Q il punto di intersezione tra z e π (vedi f ig. 3.3.1a). In questo caso il momento polare MQ risulta parallelo a z, ed il suo modulo coincide con il valore assoluto del momento assiale Mz . In questo caso, pertanto, il momento polare del vettore v rispetto al punto Q si scrive: MQ = Mz k con Mz = ±|MQ | (3.3.4) Detta b la distanza della retta a dal polo Q, v il modulo del vettore v e k il versore del piano π, si ha: Mz = QA ∧ v · k = ±bv (3.3.5) dove è da prendere il segno + se il versore k, uscente da π, supposto applicato in Q, vede il vettore v scorrere in verso antiorario, il segno - nel caso opposto (vedi f ig. 3.3.1b). 57 Figura 3.3.1 Consideriamo adesso il caso in cui le rette r ed a non sono perpendicolari tra di loro. Sia Q un punto di r e π il piano che contiene Q e la retta di applicazione a del vettore v (f ig. 3.3.2). Figura 3.3.2 Sia α l’angolo che la retta r forma con la direzione di MQ (ovviamente ortogonale a π). Detto b il braccio di v rispetto a Q, risulta: Mr = bv cos α (3.3.6) Una differente determinazione del momento assiale si ottiene considerando il piano π per A ortogonale ad r; sia Q il punto di intersezione tra r e π (vedi f ig. 3.3.3a). Decomponiamo v secondo le tre direzioni mutuamente ortogonali individuate da r, QA e dalla direzione ortogonale al piano π, (tali componenti si sogliono anche chiamare componenti cilindriche del vettore v). Siano v1 , v2 , v0 tali vettori componenti. Solo il componente v0 di v ortogonale sia ad r che a QA contribuisce al prodotto misto. Detta d la lunghezza del vettore QA, si ha: Mr = ±dv 0 (3.3.7) 58 (a) (b) Figura 3.3.3 Un altro modo per effettuare una determinazione sintetica del momento assiale è il seguente. Siano Q∗ ∈ r e A∗ ∈ a i punti di minima distanza tra r ed a (vedi figura 3.3.3b). Come è noto, il vettore Q∗ A∗ che congiunge tali punti è ortogonale sia ad r che ad a. Calcoliamo il momento assiale del vettore applicato (A,v) rispetto ad r. Se si scompone v nei suoi componenti v⊥ e v00 , rispettivamente normale e parallelo ad r, solo il componente v⊥ ortogonale ad r contribuisce al momento assiale. Si ottiene cosı̀, detto u il versore di r: Mr = QA ∧ v · u = Q∗ A∗ ∧ v⊥ · u (3.3.8) Notiamo adesso che i tre vettori Q∗ A∗ , v⊥ ed u sono mutuamente ortogonali. Denotata con b∗ = |Q∗ A∗ | la distanza tra le due rette a ed r, e con v⊥ il modulo del vettore v⊥ , risulta: Mr = ±b∗ v⊥ (3.3.9) ove è da prendersi il segno + o il segno - a seconda che la terna Q∗ A∗ , v⊥ e u sia levogira o destrogira. ESERCIZIO 3.3.1. Determinare il momento del vettore v = (−1, 1, 2)T applicato nel punto A = (1, 1, 0) rispetto all’asse z. DETERMINAZIONE ANALITICA. Si ha: ¯ ¯ 1 ¯ ¯ Mz = OA ∧ v · c3 = ¯ −1 ¯ ¯ 0 ¯ 1 0 ¯¯ ¯ 1 2¯ = 2 ¯ 0 1¯ DETERMINAZIONE SINTETICA. Con riferimento alla figura 3.3.3b, scelto Q coincidente con O e la retta r come asse z, decomponiamo il vettore v nei due componenti parallelo e ortogonale all’asse z. Si ha: v⊥ = (−1, 1, 0)T e v00 = (0, 0, 2)T . Constatato che √ solo v⊥ contribuisce a Mz e che OA è perpendicolare a v⊥ , osservando che |OA| = 2 e √ |v⊥ | = 2, si deduce subito √ √ Mz = 2 2 = 2 59 3.4. SISTEMI DI VETTORI APPLICATI: RISULTANTE E MOMENTO Dicesi Sistema di vettori applicati l’insieme formato da più vettori applicati. Un sistema di forze applicate in punti di un corpo rigido è un esempio di sistema di vettori applicati. Un insieme costituito da un numero finito di forze applicate in punti distinti dello spazio si dirà discreto, un insieme costituito da infiniti vettori applicati in una regione continua dello spazio si dirà continuo. Parleremo nel primo caso di forze concentrate in punti del corpo rigido (ad esempio un insieme di molle o di funi), nel secondo caso di una sollecitazione distribuita (o continua) di forze (ad esempio la forza peso, che agisce su ogni elemento del corpo rigido in esame). RISULTANTE DI UN SISTEMA DI VETTORI APPLICATI Sia Σ = {(A1 , v1 ), (A2 , v2 ), ..., (An , vn )} un sistema di vettori applicati. Si definisce Risultante di Σ il vettore libero, somma vettoriale dei singoli vettori applicati: n R= X vi (3.4.1) i=1 MOMENTO RISULTANTE POLARE DI UN SISTEMA DI VETTORI APPLICATI Si definisce Momento risultante polare MQ di Σ rispetto al polo Q il vettore libero, somma dei momenti polari dei singoli vettori applicati: MQ = n X QAi ∧ vi (3.4.2) i=1 Lo studente stia ben attento a non confondere il momento risultante di Σ con il momento del risultante R. Non ha senso, infatti, parlare di momento del risultante R, in quanto, quest’ultimo, come del resto MQ è un vettore libero. MOMENTO RISULTANTE ASSIALE DI UN SISTEMA DI VETTORI APPLICATI Si definisce Momento risultante assiale Mr di Σ rispetto alla retta r di versore û lo scalare somma dei momenti assiali dei singoli vettori applicati: Mr = n X QAi ∧ vi · û (3.4.3) i=1 FORMULA DI TRASPOSIZIONE DEI MOMENTI Determiniamo la legge di variazione del momento risultante MQ al variare del polo Q rispetto a cui esso è calcolato. Preso comunque un altro punto P, decomponendo il vettore PAi nella somma di P Q e di QAi , si ottiene: MP = n X P A i ∧ vi = i=1 n X (P Q + QAi ) ∧ vi i=1 60 applicando la linearità del prodotto vettoriale: MP = n X i=1 P Q ∧ vi + n X QAi ∧ vi = P Q ∧ i=1 n X vi + MQ i=1 Ricordando la definizione di risultante del sistema di vettori applicati, otteniamo infine la seguente Legge di variazione del momento polare: MP = MQ + PQ ∧ R (3.4.4) È importante osservare la seguente proprietà, di cui si lasca la verifica al lettore: Proprietà 3.4.1: Il momento risultante polare MQ non dipende dal polo se e solo se il sistema Σ è a risultante nullo. COPPIE. Si chiama coppia il sistema formato da due vettori applicati, paralleli, discordi e di uguale modulo. Si chiama intensità della coppia il valore comune del modulo di ciascun vettore della coppia. Si chiama braccio della coppia la distanza tra le rette di applicazione dei due vettori. Una coppia di braccio nullo è una coppia di vettori che hanno la stessa retta di applicazione. Figura 3.4.1 Valgono le seguenti proprietà, di verifica immediata: Proprietà 3.4.2: Il risultante di una coppia è nullo: R=0. Proprietà 3.4.3. il momento di una coppia non dipende dal polo: MQ = MP ∀Q, ∀P Per questo motivo, nel seguito, nell’indicare il momento di una coppia, scriveremo semplicemente M, senza indicare il polo. Siano (A,v) e (B,-v) i due vettori della coppia. Sia π il piano che la contiene e N il versore normale al piano π. Determiniamo il momento della coppia. Scegliamo come polo il punto di applicazione di uno dei due vettori, ad esempio B. Si ha: M = MB = BA ∧ v = ±bvN 61 (3.4.6) Figura 3.4.2 Il momento polare è un elemento caratteristico delle coppie, in quanto, data una coppia, è unico il suo momento M; viceversa, dato un vettore momento M, esso è sempre rappresentabile tramite una coppia in cui il vettore v ed il braccio b siano tali che vb = M e la terna AB, v, M sia levogira. Ovviamente, vi sono infinite coppie atte a rappresentare un dato momento M. In particolare osserviamo che il momento di una coppia non varia se il piano che la contiene si sposta parallelamente a se stesso o ruota di un angolo qualsiasi intorno ad un asse ad esso perpendicolare. Infine, il momento assiale di una coppia rispetto ad una retta orientata r, di versore u, denotato con α l’angolo formato tra il versore N ortogonale al piano della coppia ed il versore u della retta r, è dato da: Mr = ±bv cos α. 3.5. TEOREMI DI VARIGNON. Vale il seguente teorema di Varignon per il momento polare: Teorema 3.5.1: Se i vettori di Σ sono applicati su rette concorrenti in un punto A, il momento risultante di Σ rispetto ad un polo Q coincide con il momento rispetto a Q del risultante R di Σ applicato in A. Figura 3.5.1 DIMOSTRAZIONE: Ricordando che il momento polare non varia trasportando i vettori lungo la loro retta di applicazione, si ha: MQ = n X i=1 QAi ∧ vi = n X QA ∧ vi = QA ∧ i=1 n X i=1 62 vi = QA ∧ R Vale un analogo teorema di Varignon per il momento risultante assiale: Teorema 3.5.2: Se i vettori di Σ sono applicati su rette concorrenti in un punto A, il momento risultante assiale di Σ rispetto ad una retta r coincide con il momento rispetto ad r del risultante R di Σ applicato in A. La dimostrazione di questo teorema è una immediata conseguenza del teorema precedente. 3.6. INVARIANTE SCALARE, MOMENTO MINIMO E ASSE CENTRALE Prende il nome di invariante scalare o trinomio invariante del sistema di vettori applicati Σ il prodotto scalare del momento polare MQ per il risultante R. I = MQ · R (3.6.1) Come si verifica facilmente, tale quantità risulta invariante al variare del polo. Infatti: MQ · R = (MP + QP ∧ R) · R = MP · R Anche la componente di MQ parallela ad R non varia al variare del polo. Si verifica infatti immediatamente: MQ · vers R = MP · vers R (3.6.2) È utile decomporre il vettore MQ nei suoi due componenti parallelo e normale al vettore R; denotiamo con ~µ il vettore proiezione di MQ su R e con NQ il vettore proiezione di MQ sul piano π ortogonale ad R: ~µ = P||R MQ = (MQ · vers R) vers R, NQ = P⊥R MQ = MQ − ~µ. (3.6.3) Come si verifica facilmente, risulta: MQ · R = (~µ + NQ ) · R = ~µ · R da cui, indicato con µ il modulo del vettore ~µ, si ha: I = ±µR (3.6.4) ove è da prendere il segno + o il segno - a seconda che i due vettori ~µ ed R siano concordi o discordi. Osserviamo infine che, essendo ~µ ed NQ ortogonali tra loro risulta: |MQ | ≥ µ Mostreremo nel prossimo paragrafo che esistono punti di E3 rispetto ai quali il momento del sistema di vettori applicati Σ è proprio uguale a ~µ. Per questo motivo ~µ prende il nome di momento minimo (cioè di modulo minimo) del sistema Σ ed è anche spesso indicato con Mmin . Risulta: ~µ = Mmin = I I vers R = 2 R. R R 63 (3.6.5) ASSE CENTRALE DI UN SISTEMA DI VETTORI APPLICATI Sia Σ un sistema di vettori applicati, di risultante R e momento risultante rispetto al polo Q MQ . Decomponiamo MQ nei suoi due componenti parallelo e normale al vettore R; con le notazioni introdotte nel numero precedente: MQ = ~µ + NQ (3.6.6) Determiniamo il luogo dei punti A dello spazio tali che: NQ = QA ∧ R (3.6.7) Si tratta di un’equazione vettoriale nella incognita QA. Quest’equazione ammette certamente soluzioni poichè per costruzione NQ è ortogonale ad R. In quest’ipotesi, come mostrato nel primo capitolo, sappiamo che l’equazione vettoriale ammette infinite soluzioni, e che il luogo cercato è una retta. Per determinarla moltiplichiamo l’ultima equazione a destra vettorialmente per R; si ottiene: NQ ∧ R = (QA ∧ R) ∧ R = (QA · R)R − R2 QA Ricavando da quest’equazione QA, si ha: QA = R ∧ NQ QA · R + R R2 R2 Il vettore (R ∧ NQ )/R2 è un vettore ortogonale sia ad R che a NQ , di modulo NQ /R; il vettore (QA · R/R2 )R è un generico vettore parallelo ad R. Otteniamo cosı̀: QA = R ∧ NQ + λR R2 (3.6.8) Figura 3.6.1 Mostriamo che la retta a cosı̀ trovata non dipende dal punto Q, rispetto a cui è stato calcolato il momento risultante di Σ. A tale scopo, supponiamo che, scegliendo come polo un punto Q0 , diverso da Q, si pervenga ad una retta a0 . Denotati con A0 i punti della retta a0 , possiamo scrivere: MQ0 = ~µ + Q0 A0 ∧ R ma anche MQ = ~µ + QA ∧ R 64 Sottraendo membro a membro: MQ0 − MQ = (Q0 A0 − QA) ∧ R (3.6.9) ma è anche, per la formula di trasposizione dei momenti: MQ0 − MQ = QQ0 ∧ R (3.6.10) Uguagliando (3.6.9) e (3.6.10), si ottiene: (Q0 Q -Q0 A0 + QA) ∧ R = 0 deduciamo dunque A0 A∧R=0; il che implica che A0 A è parallelo a R. Poichè A appartiene alla retta a, ed A0 alla retta a0 , deduciamo che le due rette a e a0 devono coincidere. Il luogo cercato è dunque la retta a, parallela ad R, contenuta nel piano π, passante per Q, ortogonale a NQ e distante dal punto Q la quantità d = NQ /R. Infine, la retta a è tale che la terna QA∗ , R, NQ è levogira, avendo indicato con A∗ il punto di a distante d da Q. La retta a di cui si è provata l’esistenza e l’unicità prende il nome di asse centrale del sistema di vettori applicati Σ. Per determinarla, una volta noti i vettori caratteristici del sistema Σ possiamo utilizzare la formula (3.6.8), che si può anche scrivere, ricordando che essendo ~µ parallelo ad R risulta R ∧ NQ = R ∧ MQ , nel seguente modo: QA = R ∧ MQ + λR R2 (3.6.11) o anche, fissato un qualunque punto O: OA = OQ + R ∧ MQ + λR R2 (3.6.12) Questa relazione consente di scrivere l’equazione dell’asse centrale a in forma parametrica, in funzione del parametro λ. PROPRIETÀ DELL’ASSE CENTRALE L’asse centrale di un sistema di vettori applicati gode delle seguenti proprietà: a) è parallelo al risultante R di Σ. b) è il luogo dei punti A∈ E3 tali che MA ||R oppure è nullo. Risulta infatti MA = ~µ. c) è il luogo dei punti A∈ E3 rispetto ai quali il momento del sistema di vettori applicati è minimo. Oltre che sfruttando la formula (3.6.12), l’asse centrale di un sistema di vettori applicati Σ può essere determinato facilmente utilizzando la proprietà b). Introduciamo per semplicità un sistema di assi cartesiani ortogonali con origine O coincidente con Q e tale che il risultante R di Σ sia parallelo all’asse z ed il momento risultante rispetto a O sia contenuto nel piano y, z (f ig. 3.6.1). Denotiamo con (0, 0, Rz )T le componenti del risultante R, con (0, MOy , MOz )T le componenti del momento MO e 65 con (xA , yA , zA ) le coordinate del punto A. Applicando la formula di trasposizione (3.4.4) il momento risultante del sistema rispetto al polo A vale: MA = (−Rz yA , MOy + Rz xA , MOz ) Imponendo che MA coincida con ~µ si ottiene l’equazione dell’asse centrale (nel riferimento scelto): ½ yA = 0 M xA = − ROy ESERCIZIO 3.6.1. Dato il sistema di quattro vettori applicati Σ = {( A 1 ,v1 ) ;(A2 , v2 ) ; (A3 , v3 ) ;(A4 , v4 ) } dove A1 =(0,0,1), v1 = [1, 1, 0]T ; A2 =(-1,0,1), v2 = [−1, 1, 0)]T ; A3 =(0,1,1), v3 = [1, 1, 1]T ; A4 =(0,0,1), v4 = [0, 0, 1)]T ; determinare: a) il risultante ed il momento risultante di Σ rispetto ai poli O=(0,0,0) e Q=(0,0,2); b) l’invariante scalare; c) i due componenti µ ~ ed NQ del momento polare parallelo e normale al risultante; d) l’asse centrale di Σ. √ RISOLUZIONE. Si ha R = (1, 3, 2)T e R = |R| = 14. Per il calcolo di MO , osservato che A1 e A4 coincidono, applicando il teorema di Varignon, possiamo sostituire ai due vettori applicati (A1 , v1 ) e (A4 , v4 ) il loro risultante w1 = v1 + v4 applicato in A1 = A4 . Ugualmente, possiamo sostituire ai due vettori applicati (A2 , v2 ) e (A3 , v3 ) il loro risultante w2 = v2 + v3 applicato in A2 = A3 . Si ha: 0 −1 0 1 0 2 0 0 −1 −1 −2 MO = 1 0 0 1 + −2 0 0 2 = 1 + 0 = 1 0 0 0 1 0 0 0 1 0 0 0 Per calcolare MQ possiamo applicare la legge di trasposizione dei momenti, ottenendo −2 0 2 0 1 4 MQ = MO + QO ∧ R = 1 + −2 0 0 3 = −1 0 0 0 0 2 0 L’invariante scalare è: I = MO · R = 1 Il momento minimo ~µ è: I 1 1 µ = 2R = 3 R 14 2 66 Si ha poi µ ¶ 2 55 17 ,− ,− 14 14 14 Infine, l’equazione dell’asse centrale si può determinare con la formula (3.6.12): NQ = MQ − µ = −2 +λ 1 R ∧ Mo 1 0 −2 3 −2 414 OA = + λR = 0 −1 1 + λ 3 = − 14 + 3λ 2 2 R 14 −3 1 7 0 0 2 + 2λ − 14 ESERCIZIO 3.6.2 Cinque forze, di uguale intensità F = 2N , sono applicate nei vertici di un cubo, di spigolo l = 10 cm, come in figura. Determinare: a) il risultante ed il momento risultante di Σ rispetto ai poli O=(0,0,0) e Q=(0,10,10); b) l’invariante scalare; c) i due componenti µ ~ ed NQ del momento polare parallelo e normale al risultante; d) l’asse centrale di Σ. ESERCIZIO 3.6.3 Un corpo rigido è sottoposto all’azione di tre forze F1 , F2 e F3 , parallele agli assi coordinati, dirette come in figura. I loro punti di applicazione A, B e C distano a, b e c dall’origine degli assi. Determinare a) i due componenti µ ~ ed NO del momento polare parallelo e normale al risultante; b) la condizione che devono soddisfare le tre forze perchè il loro asse centrale passi per l’origine O delle coordinate. 67 3.7. EQUIVALENZA E RIDUCIBILITÀ DI SISTEMI DI VETTORI APPLICATI Il concetto di equivalenza tra sistemi di vettori applicati è strettamente legato al problema dello studio dell’equilibrio e del moto dei sistemi rigidi: come vedremo in seguito, infatti, sistemi di forze equivalenti applicate ad un corpo rigido, producono gli stessi effetti (globali, non le stesse azioni interne) sul comportamento meccanico (statico e dinamico) dei corpi rigidi. DEFINIZIONE: Due sistemi di vettori applicati Σ e Σ0 si dicono equivalenti se hanno uguale risultante ed uguale momento risultante rispetto ad un qualsiasi polo: R = R0 MQ = M0 Q , ∀Q ∈ E3 (3.7.1) Osserviamo che basta verificare che R = R0 e che MQ = M0 Q per un solo Q. Sotto queste ipotesi infatti si ha: MP = MQ + PQ ∧ R = M0 Q + PQ ∧ R0 = M0 P (3.7.2) 3.7.1 OPERAZIONI INVARIANTIVE. È importante determinare le operazioni che è possibile effettuare su un sistema di vettori applicati Σ se si vuole ottenere un sistema Σ0 equivalente al sistema dato. Tali operazioni prendono il nome di operazioni invariantive. Dato un sistema di vettori applicati Σ, consideriamo il seguente gruppo di operazioni, dette Operazioni elementari. a) la sostituzione di più vettori applicati in un punto con il loro risultante applicato in quel punto o viceversa la sostituzione di un vettore applicato con più vettori applicati nello stesso punto e che lo ammettono come risultante. b) l’aggiunta o la soppressione di una coppia di braccio nullo. Si ha la seguente importante proprietà, di verifica immediata: Proprietà 3.7.1: le operazioni elementari non alterano il risultante ed il momento risultante di un sistema di vettori applicati Σ. Conseguentemente, applicando ad un insieme di vettori applicati Σ un numero finito di operazioni elementari si ottiene un sistema Σ0 equivalente al sistema di partenza. Si definisce anche la seguente Operazione di trasporto: c) il trasporto di un vettore lungo la sua retta di applicazione. Conseguenza immediata della proprietà 3.2.2 è la seguente Proprietà 3.7.2: le operazioni di trasporto non alterano il risultante ed il momento risultante di un sistema di vettori applicati Σ. 68 Osserviamo che si può trasportare un vettore lungo la sua retta di applicazione con due successive operazioni elementari di tipo b). Sia (A,v) un vettore applicato sulla retta a. Sia B un altro punto della stessa retta a. Aggiungiamo al sistema Σ la coppia di braccio nullo costituita dai vettori {(B,v), (B, -v)}. Sottraiamo al sistema cosı̀ ottenuto la coppia costituita dai vettori {(A,v), (B, -v) }. Si ottiene in tal modo il vettore (B,v). 3.7.2. SISTEMI EQUILIBRATI Un sistema Σ si dice riducibile a 0 o equilibrato se con sole operazioni elementari si può passare dai vettori di Σ ad una o più coppie di braccio nullo. In un sistema equilibrato risulta: ½ R=0 MQ = 0 ∀Q (3.7.3) 3.7.3. MUTUA RIDUCIBILITÀ DI SISTEMI DI VETTORI APPLICATI. Le operazioni introdotte nei numeri precedenti in modo formale sono particolarmente significative quando il sistema Σ è un sistema di forze applicate ai punti di un corpo rigido; in tal caso, infatti, operando sul sistema di forze con le operazioni invariantive non si alterano la quiete o il movimento del corpo rigido. DEFINIZIONE: Si dice che il sistema di vettori applicati Σ è riducibile al sistema di vettori applicati Σ0 se con sole operazioni invariantive si può passare dai vettori di Σ ai vettori di Σ0 . Poichè le operazioni elementari non alterano il risultante ed il momento risultante del sistema possiamo dire che due sistemi che sono riducibili l’uno all’altro sono equivalenti. Viceversa, si può dimostrare che due sistemi di vettori applicati equivalenti Σ e Σ0 , costituiti ciascuno da un numero finito di vettori applicati, si possono sempre ridurre l’uno all’altro con un numero finito di operazioni invariantive. Basta infatti osservare che entrambi i sistemi Σ e Σ0 possono essere ridotti, con il procedimento illustrato negli esempi 3.8.3, 3.8.4 e 3.8.9 ad un vettore (il risultante R = R0 ) applicato in un punto prefissato A e ad una coppia di momento MA = M0 A . Nel caso di sistemi costituiti da infiniti vettori applicati (come ad esempio nel caso di forze distribuite) questa asserzione perde di senso. L’esperienza ci insegna tuttavia che anche i sistemi di forze distribuite possono essere sostituiti da un numero finito di forze. Nei problemi concreti si presentano spesso forze distribuite di natura diversa, equivalenti ciascuna ad un numero finito di forze applicate in più punti, ed è quindi importante saper effettuare in maniera semplice, ad esempio per via grafica, la riduzione di tale sistema di forze ad un sistema di forze più semplice. 69 3.8. APPLICAZIONI ED ESEMPI Mostriamo adesso, con semplici esempi, come è possibile da un dato sistema di vettori applicati Σ ottenerne un altro equivalente attraverso operazioni elementari e di trasporto. SISTEMI PIANI ESEMPIO 3.8.1. Dato il sistema di due vettori applicati Σ = {( A 1 , v1 ); (A2 , v2 )}, contenuti nel piano π, non formanti coppia. Mostrare che questo sistema è equivalente al risultante R = v1 + v2 applicato in un punto opportuno. I caso: le rette di azione dei due vettori sono incidenti nel punto C. (Figura 3.8.1a) Effettuiamo le seguenti operazioni: a) trasportiamo i due vettori v1 e v2 nel punto C. b) sostituiamo ai due vettori (C,v1 ) e (C,v2 ) il loro risultante R= v1 + v2 applicato in C. Figura 3.8.1a Figura 3.8.1b II caso: le rette di azione dei due vettori sono parallele (Figura 3.8.1b). Effettuiamo le seguenti operazioni: a) aggiungiamo la coppia di braccio nullo (A1 ,w); (A2 , w). b) sostituiamo ai due vettori (A1 , v1 ) e (A1 , w), applicati nello stesso punto il loro risul tante v1 + w applicato in A1 e ai due vettori (A2 , v2 ) e (A2 , −w), applicati nel punto A2 , il loro risultante v2 − w applicato in A2 . c) trasportiamo i due vettori v1 + w e v2 − w nel punto C, intersezione delle loro rette di applicazione. d) sostituiamo ai due vettori (C,v1 + w) e (C, v2 − w) il loro risultante R = v1 + v2 applicato in C. OSSERVAZIONE: In entrambi i casi la retta di applicazione del risultante R è l’asse centrale del sistema di vettori applicati. ESEMPIO 3.8.2. Nel piano π, mostrare che un vettore applicato (P,v), è equivalente a tre vettori applicati su tre rette a, b e c non concorrenti prefissate. 70 Sia C l’intersezione della retta di applicazione del vettore v con la retta c. Dopo aver trasportato il vettore v in C, lo si decomponga nei due vettori vc e v0 , rispettivamente paralleli alla retta c ed alla retta CQ, essendo Q l’intersezione delle rette a e b. Trasportato il vettore v0 nel punto Q, lo si decomponga infine nei due vettori va e vb , rispettivamente paralleli alle rette a e b. Figura 3.8.2 ESEMPIO 3.8.3. Nel piano π, mostrare che una coppia (P,v), (Q, -v) è equivalente ad un’altra coppia i cui punti di applicazione sono due punti assegnati A e B (di π). Basta decomporre il vettore v secondo le direzioni PA e PB ed il vettore -v secondo le direzioni di QA e QB. I quattro vettori ottenuti, si trasportano quindi nei due punti A e B e si sommano a due a due. Si ottiene una nuova coppia, i cui punti di applicazione sono proprio P e Q. Figura 3.8.3 ESEMPIO 3.8.4. Nel piano π, mostrare che una coppia (P,v), (Q, -v) è equivalente ad un’altra coppia i cui vettori sono perpendicolari alla retta che congiunge i punti di applicazione dei vettori. 71 Basta decomporre i due vettori v e -v secondo la direzione PQ e la direzione perpendicolare a PQ. Dei quattro vettori che si ottengono, due costituiscono una coppia di braccio nullo, gli altri due una coppia equivalente alla data. Figura 3.8.4 3.8.5. COPPIA DI TRASPORTO Dato un vettore applicato (P,v), costruire un sistema equivalente, in cui il vettore v è applicato in un punto O, esterno alla retta r di applicazione di v. Basta aggiungere la coppia di braccio nullo (O,v), (O,-v). Si ottiene il sistema costituito dal vettore (O,v), e dalla coppia (P,v), (O,-v) di momento M=±bv, essendo b la distanza del punto Q dalla retta di applicazione di (P,v). La coppia {(P, v), (O, −v)} prende il nome di coppia di trasporto. Figura 3.8.5 3.8.6. POLIGONO FUNICOLARE. Introduciamo adesso un metodo grafico di riduzione, valido per i sistemi di vettori piani, detto metodo del poligono funicolare. Per semplicità lo illustreremo nel caso di un sistema di tre vettori applicati. Sia dato un sistema piano di tre vettori Σp = {( A1 , v1 ); (A2 , v2 ); (A3 , v3 )}, appartenenti al piano π, a risultante non nullo. Siano r1 , r2 e r3 le rette di applicazione di tali vettori. Fissato un qualsiasi punto O0 di π, che chiameremo origine del poligono funicolare, costruiamo, a partire da questo punto la poligonale O0 , O1 , O2 , O3 , con i vettori v1 , v2 e v3 ; risulta ovviamente R=O0 O3 = O0 P + P O3 . Consideriamo un qualsiasi punto P di π, che chiameremo polo del poligono funicolare, non appartenente a nessuna delle rette contenenti i lati della poligonale tracciate, nè alla retta che contiene R. Congiungiamo P con O0 , O1 , O2 , O3 , ottenendo rispettivamente i 72 quattro segmenti PO0 , PO1 , PO2 , PO3 , che prendono il nome di raggi proiettanti (primo, secondo, terzo e quarto raggio proiettante). Sia b0 una qualunque retta di π parallela al raggio proiettante PO0 . Dalla sua intersezione C1 con r1 conduciamo la parallela b1 al raggio proiettante PO1 , fino ad incontrare, in C2 la retta di applicazione del secondo vettore; da C2 tracciamo la retta b2 parallela al raggio proiettante PO2 , fino ad incontrare in C3 la retta di applicazione del terzo vettore; infine da C3 conduciamo la retta b3 parallela all’ultimo raggio proiettante PO3 . La poligonale di lati b0 , b1 , b2 e b3 prende il nome di poligono funicolare di polo P. Figura 3.8.6 Vale il seguente: Teorema del poligono funicolare. Il sistema Σp è equivalente al vettore O0 P, applicato su b0 più il vettore POn , applicato su bn (PO3 , nell’esempio illustrato in figura). Osserviamo dapprima che: v1 = O0 P + PO1 , v2 = O1 P + PO2 , v3 = O2 P + PO3 . Trasportiamo quindi ciascun vettore vi lungo la propria retta di azione, fino ad avere punto di applicazione in Ci . Quindi scomponiamo ciascun vettore vi in due vettori, rispettivamente paralleli ai lati del poligono funicolare passanti per Ci . Sui lati intermedi b1 e b2 del poligono funicolare si ottengono coppie di braccio nullo, che si possono eliminare. Il sistema Σp è quindi equivalente al sistema di due soli vettori applicati O0 P applicato in b0 e O3 P applicato in b3 . (c.v.d.) Osservato che i lati b0 e b3 si incontrano nel punto Ω, possiamo ancora trasportare i vettori O0 P e O3 P in tale punto Ω e poi sommarli. Si ottiene il risultante R applicato in Ω. Ovviamente, la retta di applicazione del vettore R è l’asse centrale del sistema di vettori applicati. 73 Infine, nel caso in cui Σ ha risultante nullo il punto O0 coincide con il punto On . Ne consegue che b0 e bn sono paralleli e Σ si riduce alla coppia di vettori O0 P e PO0 applicati rispettivamente su b0 e su bn . Nel caso in cui b0 coincide con bn il sistema si riduce ad una coppia di braccio nullo. SISTEMI DI VETTORI APPLICATI NELLO SPAZIO ESEMPIO 3.8.7. Mostrare che un vettore applicato (P,v), è equivalente a tre vettori applicati in tre punti prefissati A, B e C, non allineati. Si scelga un punto Q sulla retta di applicazione di v, che non appartenga al piano individuato dai tre punti A, B e C. Si considerino le rette a, b e c che congiungono Q con i tre punti prefissati A, B e C. Dopo aver trasportato il vettore v in Q lo si decomponga secondo le tre direzioni (non complanari) delle rette a, b e c. Si trasportino infime i vettori cosı̀ ottenuti nei punti A,B e C. Figura 3.8.7 ESEMPIO 3.8.8. Dato il sistema di n vettori applicati Σ = {( A i , vi )}(i=1,2,...,n) . Mostrare che questo sistema è equivalente a tre vettori applicati in tre punti prefissati A, B e C, non allineati. Basta effettuare per ciascun vettore del sistema la decomposizione dell’esempio 3.8.2 e quindi sostituire a ciascuno degli n vettori applicati nei punti A, B e C che cosı̀ si ottengono la loro somma applicata in quel punto. ESEMPIO 3.8.9. Dato il sistema di n vettori applicati Σ = {( A i , vi )}(i=1,2,...,n) , mostrare che questo sistema è equivalente a due vettori applicati, dei quali uno in un punto prefissato A. Per quanto detto nell’esempio 3 basta far vedere che un sistema di tre vettori Σ = {( A , vA ); (B , vB ); (C , vC )}, è equivalente ad un sistema di due vettori dei quali uno applicato in A. Se i due vettori applicati (B , vB ) e (C , vC ) sono complanari il problema è subito risolto affettuando per questi due vettori la riduzione dell’esempio 1. Analogamente se 74 A appartiene alla retta di applicazione di (B , vB ) o a quella di (C , vC ), il problema si risolve trasportando (B , vB ) (o (C , vC )) in A. Esclusi questi casi, consideriamo i piani πB e πC passanti per A e contenenti rispettivamente i vettori vB e vC , certamente distinti. Sia r la loro intersezione, passante per A. Scelto su r un qualunque punto Q diverso da A, scomponiamo il vettore vB , nel piano πB in due vettori vB1 e vB2 aventi le direzioni di AB e QB ed il vettore vC , nel piano πC in due vettori vC1 e vC2 aventi le direzioni di AC e QC. Facciamo scorrere i quattro vettori cosı̀ ottenuti lungo le loro rette di applicazione, fino in A e Q. Il sistema di partenza risulta cosı̀ equivalente ad un sistema di 5 vettori, tre applicati in A e due applicati in Q; a loro volta questi 5 vettori sono equivalenti a due vettori, uno applicato in A e l’altro applicato in Q. Figura 3.8.8 ESEMPIO 3.8.10. Un sistema di vettori applicati è equivalente ad un vettore (il risultante) applicato in un punto prefissato A e ad una coppia. Con la costruzione dell’esempio 3.8.9 riduciamo dapprima il sistema ad un vettore v applicato in A e ad un vettore w applicato in Q; trasportiamo anche il secondo vettore in A aggiungendo al sistema la coppia di braccio nullo (A,w), (A,-w). Otteniamo un sistema equivalente costituito dal vettore R=v+w, applicato in A, e dalla coppia (A,w), (Q,-w). Figura 3.8.9 75 3.9. OPERAZIONI DI RIDUZIONE Come si è detto, è molto importante, nelle applicazioni, ridurre un sistema di vettori applicati Σ ad un altro Σ0 che sia più semplice, anzi il più semplice possibile. Si pensi all’utilità di questa operazione nello studio delle condizioni di quiete o di moto di un corpo rigido sotto l’azione di un sistema Σ di forze; si può studiare il problema applicando al corpo un qualunque altro sistema di forze Σ0 equivalente al sistema Σ. 3.9.1 RIDUZIONE DI SISTEMI AD INVARIANTE SCALARE DIVERSO DA ZERO 3.9.1A. Riduzione al polo Q: prende il nome di riduzione al polo Q la trasformazione di un sistema di vettori applicati Σ ad un altro equivalente, costituito da un vettore applicato in Q più una coppia. Per effettuarla, calcolati R ed MQ , basta applicare R in Q e costruire una coppia (A,v), (B,-v), di momento MQ , cioè una coppia di vettori, che giace in un piano ortogonale ad MQ , tale che il prodotto tra l’intensità della coppia v ed il suo braccio sia uguale a MQ e tale che MQ , supposto applicato in B, veda scorrere v in verso antiorario. Il sistema Σ0 = {(Q,R) ; (A,v) ; (B,-v)} è equivalente a Σ. Al variare del polo Q, varia il sistema ridotto, poichè varia il punto di applicazione di R e varia la coppia di momento MQ . Se si sceglie come polo per effettuare la riduzione un punto A dell’asse centrale, si ottiene la seguente operazione: 3.9.1B. Riduzione ad un polo A sull’asse centrale: In questo caso il sistema Σ viene ridotto al risultante R applicato sull’asse centrale e ad una coppia di momento ~µ parallelo all’asse centrale, cioè ad una coppia di vettori che giace in un piano ortogonale all’asse centrale. 3.9.1C. Riduzione a due vettori di cui uno applicato in un punto prefissato Q. Basta effettuare un’operazione di riduzione al polo Q, scegliendo uno dei due vettori che compongono la coppia applicato in Q; si ottiene il sistema: Σ0 = {(Q,R) ; (A,v) ; (Q,-v)} equivalente a Σ; componendo i due vettori applicati in Q, si ottiene infine il sistema: Σ00 = {(Q,R-v) ; (A,v)} ESERCIZIO 3.9.1. Dato il sistema di vettori applicati Σ, con risultante RT = [0, 2, 1] e momento risultante rispetto al punto O MT0 = [0, 0, 3] a) effettuarne la riduzione al polo O; b) effettuarne la riduzione ad un polo sull’asse centrale. c) effettuarne la riduzione a due vettori di cui uno applicato in un polo prefissato. RISOLUZIONE. Quesito a: per effettuare la riduzione al polo O, basta applicare il risultante R di Σ in O e costruire una qualunque coppia di vettori {(P, v); (Q, −v)} di momento uguale ad M0 . 76 Se vogliamo ulteriormente ridurre il sistema a due soli vettori di cui uno applicato in O (quesito c), basta scegliere uno dei due punti di applicazione dei vettori della coppia nel punto O e poi effettuare le operazioni indicate al punto 3.9.1C. Come coppia di momento M0 possiamo scegliere {(O, −v), (P, v)}, con P ≡ (1, 0, 0), v ≡ [0, 3, 0]T Si ottiene il sistema: Σ0 = {( O,R) ; (P , v) ; (O, -v) } equivalente a Σ; componendo i due vettori applicati in O si ottiene infine il sistema Σ00 = {(O, R − v), (P, v)} , con (R − v)T ≡ [0, −1, 1]T equivalente a Σ0 e quindi a Σ. Quesito b: per prima cosa determiniamo l’asse centrale a di Σ. Detto A un punto dell’asse centrale, utilizziamo la proprietà MA ||R. Si ha: 0 0 −1 2 x −y + 2z MA = MO + R ∧ OA = 0 + 1 0 0y = x 3 −2 0 0 z 3 − 2x Imponendo il parallelismo tra questo vettore ed R si ottiene: ½ −y + 2z = 0 x = 65 che è l’equazione dell’asse centrale (si ricordi che nello spazio una retta è l’intersezione di due piani). Il sistema Σ è dunque equivalente al vettore R, applicato in un punto dell’asse centrale e ad una coppia di momento ~µ: 0 R ~µ = (MO · R) 2 = 6/5 R 3/5 Se vogliamo ulteriormente ridurre il sistema Σ a due vettori, di cui uno applicato sull’asse centrale (quesito c), dobbiamo fissare un punto sull’asse centrale ed una coppia di momento ~µ. Scegliamo ´ come punto A dell’asse centrale rispetto a cui fare la riduzione il punto ³ 6 A = 5 , 0, 0 , e scegliamo la coppia di momento ~µ con uno dei due vettori, −v, applicato in A. Il secondo vettore della coppia v deve essere applicato in un punto P (appartenente al piano passante per A ortogonale al risultante), scelto in modo tale che il momento di questo vettore rispetto ad A sia proprio µ ~ . Queste condizioni si scrivono: µ AP ∧ v = ~ AP · ~µ = 0 v · ~µ = 0 Vi sono infiniti vettori v ed infiniti punti P che soddisfano queste relazioni. Possiamo scegliere, ad esempio: P = (6/5, −1, 2) e v = [3/5, 0, 0]T . 77 Con questa scelta, il sistema Σ è infine equivalente al sistema: Σ000 = {( O,R-v) ; (P, v )} con R − v = [−3/5, 2, 1]T . ESERCIZIO 3.9.2. Dato il sistema di quattro vettori applicati Σ = {( P1 ,v1 ) ;(P2 , v2 ) ; (P3 , v3 ) ;(P4 , v4 ) } dove P1 =(1,1,1), v1 = [0, 1, 0]T ; P2 =(1,0,0), v2 = [1, 2, 2]T ; P3 =(0,1,0), v3 = [−1, 0, 0]T ; P4 =(0,0,1), v4 = [2, 2, 0]T , ridurlo a due vettori di cui uno applicato nell’origine. RISOLUZIONE. Si ha R = [2, 5, 2]T e MO = [−3, 0, 4]T . Il sistema può essere ridotto al risultante R applicato in O, e ad una coppia di momento M0 . Per ridurre ulteriormente il sistema a due soli vettori, di cui uno applicato in O, basta scegliere uno dei due punti di applicazione dei vettori della coppia nel punto O. Come coppia di momento M0 possiamo scegliere {(O, −v), (P, v)}, con P ≡ (4, 1, 3), v ≡ [0, 1, 0]T Si ottiene il sistema: Σ0 = {( O,R) ; (P , v) ; (O, -v) } equivalente a Σ; componendo i due vettori applicati in O si ottiene infine il sistema Σ00 = {(O, R − v), (P, v)} , con (R − v) ≡ [2, 4, 2]T equivalente a Σ0 e quindi a Σ. 3.9.2. RIDUZIONE DI SISTEMI A INVARIANTE SCALARE NULLO Per tali sistemi si ha MO · R = ±µR = 0 Conseguentemente, in un sistema ad invariante scalare nullo o si annulla il momento minimo Mmin = ~µ o si annulla il risultante R. Escludendo il caso in cui il sistema è equilibrato (R = 0 e ~µ = 0), possono verificarsi due casi: A) µ ~ = 0 e R 6= 0; B) R = 0 e µ ~ 6= 0. A. Riducibilità di un sistema con Mmin = 0. Si ha la seguente: Proprietà 3.9.2A. Un sistema Σ di vettori applicati con Mmin = 0 è riducibile al risultante R applicato in un punto dell’asse centrale. DIMOSTRAZIONE. Basta osservare che il sistema costituito dal solo risultante R, applicato in un punto A dell’asse centrale Σ0 = {(A, R)} ha risultante coincidente con il risultante R di Σ e momento MA = Mmin = 0. 78 B. Riducibilità di un sistema con R=0. Si ha la seguente: Proprietà 3.9.2B. Un sistema Σ di vettori applicati con R = 0 è riducibile ad una sola coppia di momento M = ~µ. DIMOSTRAZIONE. Basta osservare che, essendo il risultante di Σ nullo il momento risultante non dipende dal polo. Quindi, una qualunque coppia Σ0 Σ0 = {(A, v); (B, −v)} tale che BA ∧ v = ~µ è equivalente al sistema Σ. 3.10. SISTEMI PIANI. Un sistema di vettori applicati, contenuti tutti un un piano π prende il nome di sistema piano. Lo indicheremo con Σπ . Un sistema Σπ gode della seguente: Proprietà 3.10.1: L’invariante scalare di un sistema piano è nullo. DIMOSTRAZIONE: Risulta infatti R||π ed inoltre, detto Q un punto qualunque del piano π, risulta MQ perpendicolare a π e quindi ad R. Come conseguenza, deduciamo la seguente: Proprietà 3.10.2: Un sistema piano è riducibile o ad un solo vettore applicato in un punto dell’asse centrale o ad una coppia. ESERCIZIO 3.10.1 Nei punti P1 = (1, 0), P2 = (0, 1) e P3 = (1, −1) di una lamina rigida piana sono applicate le tre forze F1 = i, F2 = 2j, F3 = 2i + j. Ridurre il sistema alla forma più semplice. RISOLUZIONE: Si tratta di un sistema piano con risultante diverso da zero, riducibile dunque ad un sola forza, applicata sull’asse centrale. È R = 3i + 3j, MO = −3k. L’asse centrale è, questo caso, il luogo dei punti di momento nullo, ed ha equazione: y =x+1 Il sistema è dunque riducibile al vettore R applicato in un punto dell’asse centrale, ad esempio A = (0, 1). ESERCIZIO 3.10.2 Sia dato il sistema Σ = {(A1 , v1 ), (A2 , v2 ), (A3 , v3 )} di tre vettori applicati: A1 = (3, 1, 0), A2 = (1, 1, 0), A3 = (1, −1, 0); v1 = −3j, v2 = 3i + 3j, v3 = −3i + 3j a) determinare l’asse centrale a di Σ. b) ridurre graficamente il sistema Σ ad un solo vettore applicato in un punto opportuno. ESERCIZIO 3.10.3 Nei punti A1 = (3, 1), A2 = (1, 1) e A3 = (0, 1) di una lamina rigida piana sono applicate le tre forze F1 = 2i, F2 = 2i + j, F3 = 2i − j. Determinare sia analiticamente che graficamente l’asse centrale a del sistema di forze. 79 3.11. SISTEMI DI VETTORI APPLICATI PARALLELI. Sia Σp un sistema di n vettori applicati paralleli: Σp = {(Ai , vi )} vi kvj , ∀i, j (3.11.1) Sia u il versore della direzione comune ai vettori di Σp . Si ha n X R= vi || u MQ = n X i=1 QAi ∧ vi ⊥ u (3.11.2) i=1 e quindi il sistema Σp è un sistema ad invariante scalare nullo: MO · R = 0 (3.11.3) Se ne deduce che un sistema di vettori applicati paralleli è riducibile o ad un unico vettore applicato sull’asse centrale o ad una coppia. Supponiamo R 6= 0. Il sistema Σp è riducibile al vettore R applicato in un punto dell’asse centrale. Per determinare l’asse centrale, denotiamo con vi0 la componente di vi secondo la direzione di u; si ha: vi = vi0 u, ed anche R= n X vi = i=1 n X vi0 = vi · u = ±|vi | con vi0 u = R0 u, con (3.11.4) R0 = R · u = i=1 n X vi0 (3.11.5) i=1 Poichè il trinomio invariante è nullo, l’asse centrale è il luogo dei punti A che soddisfano l’equazione MA = 0. Si ha: MA = n X i=1 AAi ∧ vi = n X vi0 AAi ∧u= i=1 à n X ! vi0 AAi ∧u=0 i=1 Pertanto l’asse centrale a è definito dalla condizione: n X vi0 AAi k u (3.11.6) i=1 ed il sistema Σp è equivalente al vettore R applicato in un punto della retta a. CENTRO DI UN SISTEMA DI VETTORI APPLICATI PARALLELI Al variare di u, otteniamo un nuovo sistema di vettori applicati paralleli, il cui asse centrale sarà una nuova retta, parallela al nuovo versore u. Mostriamo che al variare di u gli assi di tutti questi sistemi di vettori applicati paralleli formano una stella di rette. Il centro C di questa retta, se esiste, deve essere tale che rispetto ad esso il momento risultante di tutti questi sistemi di vettori applicati paralleli è zero, indipendentemente dalla direzione comune di tutti questi vettori, cioè indipendentemente da u. È Ã ! MC = n X vi0 CAi ∧ u i=1 80 (3.11.7) La condizione che individua questo punto C allora si scrive: MC = 0, ∀u n X ⇐⇒ vi0 CAi = 0 (3.11.8) i=1 Il punto C cosı̀ individuato prende il nome di centro del sistema Σp . Esso è definito dalla relazione: n X vi0 CAi = 0 (3.11.9) i=1 Determiniamo le coordinate di tale punto C in un generico riferimento di origine O. n X vi0 CAi i=1 e quindi = n X vi0 (OAi − OC) = 0 i=1 n X vi0 OC = n X vi0 OAi i=1 i=1 pertanto OC = n 1 X v 0 OAi R0 i=1 i (3.11.10) Le coordinate del punto C, detti x, y, z gli assi di un sistema di riferimento avente origine in O, ed (xi , yi , zi ) le cordinate del punto Ai , sono date da: xC = n 1 X v 0 xi , R0 i=1 i yC = n 1 X v 0 yi , R0 i=1 i zC = n 1 X v 0 zi . R0 i=1 i (3.11.11) ESERCIZIO 3.11.1. Determinare il centro del sistema Σp : Σ = {(P1 , v1 ); (P2 , v2 ); (P3 , v3 ); (P4 , v4 )} dove P1 =(1,0,0), v1 = [1, −2, 3]T ; P3 =(1,1,1), v3 = [3, −6, 9]T ; P2 =(0,1,0), v2 = [1/3, −2/3, 1]T ; P4 =(0,0,1), v4 = [−2, 4, −6]T ; RISOLUZIONE. È R = [7/3, −14/3, 7]T 6= 0. Posto û = vers v1 , si ha: √ √ √ √ √ v10 = 14 ; v20 = 14/3 ; v30 = 3 14 ; v40 = −2 14 ; R0 = 14/3. Pertanto è: √ à ! 4 √ √ √ 3 1 X 14 0 v OAi = √ OP2 + 3 14OP3 − 2 14OP4 OC = 0 14OP1 + R i=1 i 3 14 da cui: OC = 6c1 − 81 10 c2 + c3 3 3.11.1. CENTRO DI UN SISTEMA DI DUE VETTORI PARALLELI Come applicazione consideriamo il sistema di due vettori applicati paralleli a risultante non nullo: Σp = {(A1 , v1 ), (A2 , v2 )}, con v1 ||v2 e R = v1 + v2 6= 0 vale la seguente proprietà: Il centro del sistema Σp appartiene alla retta r che congiunge A1 e A2 , è interno al segmento A1 A2 se v1 e v2 sono concordi, esterno se v1 e v2 sono discordi, e le sue distanze da A1 ed A2 sono inversamente proporzionali ai moduli di v1 e v2 . Dimostrazione: La (22), nel caso in esame, porge: OC = 1 0 (v OA1 + v20 OA2 ) R0 1 (3.11.12) con O arbitrario. Scegliendo O sulla retta r passante per i due punti di applicazione A1 A2 si vede che C appartiene a tale retta. Prendendo poi O ≡ C, deduciamo: v10 CA1 + v20 CA2 = 0 cioè CA2 = − v10 CA1 v20 (3.11.13) da cui segue che se il rapporto v10 /v20 è positivo C è interno al segmento A1 A2 , mentre se risulta v10 /v20 negativo C è esterno al segmento A1 A2 . Infine, in ogni caso, si ha: |v1 | |CA2 | = |CA1 | |v2 | (3.11.14) Determinazione grafica del centro di due vettori paralleli La proporzionalità inversa, espressa dalla (3.11.14), suggerisce la determinazione grafica del centro di Σp illustrata in figura 3.11.1. Figura 3.11.1 82 Il centro di un sistema di vettori applicati paralleli gode delle seguenti importanti proprietà. PROPRIETÀ 3.11.1. Il centro di un sistema Σp (a risultante non nullo) non varia, nè se si fanno ruotare tutti i vettori di uno stesso angolo, nè se si moltiplicano per uno stesso numero. PROPRIETÀ 3.11.2. Un sistema Σp (a risultante non nullo) è equvalente al risultante applicato nel centro. Queste due prime proprietà discendono immediatamente dalla definizione di centro di un Σp . PROPRIETÀ 3.11.3. Questa proprietà è nota sotto il nome di PROPRIETÀ DISTRIBUTIVA DEL CENTRO dei sistemi di vettori applicati paralleli. Il centro di un sistema di vettori applicati paralleli Σp , a risultante non nullo, non varia se Σp si decompone in più sistemi parziali (ciascuno a risultante non nullo) e si sostituisce a ciascuno di questi il proprio risultante applicato nel relativo centro. Dimostrazione: Basta provarla nell’ipotesi che Σp sia decomposto in due soli sottosistemi (2) (1) Σ(1) p e Σp . Sia Σp un sistema di n vettori paralleli. Supponiamo, per semplicità, che Σp sia costituito dai primi m vettori di Σp e Σ(2) p dai rimanenti n − m. Sia cioè Σp = Σ(1) p [ Σ(2) p (3.11.15) con Σ(1) p = {(Ai , vi ), (i = 1, 2, ...m)} Σ(2) p = {(Aj , vj ), (j = m + 1, m + 2, ...n)} Spezzando la sommatoria in due sommatorie, la prima estesa ai vettori di Σ(1) p e la seconda (2) ai vettori di Σp , si ha m n X X 1 OC = 0 vi0 OAi + vi0 OAi . R Posto 0 R(1) = i=1 m X i=m+1 vi0 0 R(2) i=1 = n X vi0 i=m+1 (2) e denotando con C1 e C2 rispettivamente i centri dei due sottosistemi Σ(1) p e Σp , si ottiene: OC = ´ 1 ³ 0 0 R OC + R OC 1 2 . (1) (2) R0 (3.11.16) PROPRIETÀ 3.11.4: Se i punti di applicazione dei vettori di un sistema Σp parallelo, a risultante non nullo, appartengono tutti ad uno stesso piano π anche il centro di Σp appartiene a π. 83 PROPRIETÀ 3.11.5: Se i punti di applicazione dei vettori di un sistema Σp parallelo, a risultante non nullo, appartengono tutti ad una stessa retta r anche il centro di Σp appartiene a ad r. Entrambe queste proprietà discendono immediatamente dalla (3.11.10), prendendo O su π per la proprietà 4 e prendendo O su r per la proprietà 5. PROPRIETÀ 3.11.6: Questa proprietà è nota sotto il nome di PROPRIETÀ DI UBICAZIONE DEL CENTRO dei sistemi di vettori applicati paralleli. Il centro C di un sistema di vettori applicati paralleli e concordi Σp è non esterno ad ogni dominio convesso contenente tutti i punti di applicazione Ai dei vettori di Σp . Ricordiamo che un dominio D si dice convesso se contiene il segmento congiungente due suoi punti qualsiasi. Dimostreremo la proprietà applicando il principio di induzione matematica. La proprietà è vera per n = 2, come si è visto nel paragrafo 3.11.1. Supposta vera per un Σp costituito da n − 1 vettori, mostriamo che è vera per un Σp con n vettori. Scomposto Σp nell’unione dei due sottosistemi Σ(1) p = {(Ai , vi ), (i = 1, 2, ...n − 1)} Σ(2) p = {(An , vn ))} siano C1 ed R0 rispettivamente il centro ed il risultante del sistema Σ(1) p costituito dai primi n − 1 vettori di Σp . Per ipotesi, C1 è non esterno ad ogni dominio convesso contenente gli n − 1 punti A1 , A2 , .., An−1 ed è quindi anche non esterno ad ogni dominio convesso contenente tutti i punti Ai (i = 1, 2, .., n). Consideriamo un qualsiasi dominio convesso D contenente tutti i punti Ai (i = 1, 2, .., n). Tale dominio contiene C 0 ed An e quindi anche il centro C del sistema costituito dal risultante di Σ(1) p applicato in C1 e da (An , vn ). Ma, per la proprietà distributiva, tale centro C è proprio il centro di Σp , da cui l’asserto. 84 3.12. ESERCIZI DI RIEPILOGO 1) Nei punti A1 = (0, 1, 0), A2 = (0, 1, 0) e A3 = (0, 0, 1) di un corpo rigido sono applicate le tre forze F1 = 2j, F2 = 2j + k, F3 = −j − k, a) determinare l’asse centrale a del sistema di forze. b) ridurre graficamente, se possibile, il sistema ad una sola forza e analizzare la differenza tra il sistema considerato ed il sistema costituito dal solo risultante R applicato sull’asse centrale. 2) Nei punti A1 = (0, 1, 1), A2 = (1, 1, 0) e A3 = (0, 1, 0) di un corpo rigido sono applicate le tre forze F1 = 2i, F2 = 2i + j, F3 = 2i − j, a) determinare l’asse centrale a del sistema di forze. b) analizzare la differenza tra il sistema considerato ed il sistema costituito dal solo risultante R applicato sull’asse centrale. 3) Ad un cubo rigido sono applicate le tre forze {(A1 , F1 ), (A2 , F2 ), (A3 , F3 )} , dove: A1 = (a, 0, 0), A2 = (0, a, 0), A3 = (0, 0, a); F1 = (0, X, X), F2 = (X, X, 0), F3 = (X, 0, X) a) Determinare la condizione che devono soddisfare tali forze perchè siano riducibili ad un solo vettore. b) Determinare il loro asse centrale. 4) Un corpo rigido è sottoposto all’azione di tre forze F1 , F2 e F3 , parallele agli assi coordinati, ma dirette in un verso o nell’altro. I loro punti di applicazione A, B e C distano a, b e c dall’origine degli assi. Determinare a) la condizione che devono soddisfare tali forze perchè siano riducibili ad un solo vettore. b) la condizione che devono soddisfare le tre forze perchè il loro asse centrale passi per l’origine O delle coordinate. 85 5) Effettuare la riduzione ad un punto dell’asse centrale del sistema di sei forze di uguale intensità applicate al cubo rigido di figura. 6) Effettuare la riduzione al polo A del sistema di quattro forze di uguale intensità applicate al cubo rigido di figura. 7) Effettuare la riduzione al polo A del sistema di dodici forze di uguale intensità applicate al cubo rigido di figura. 8) Effettuare la riduzione ad un punto dell’asse centrale del sistema di due forze di uguale intensità applicate al tetraedo rigido di figura. 86 9) Effettuare la riduzione ad un punto dell’asse centrale del sistema di tre forze di uguale intensità applicate al tetraedo rigido di figura. 10) Effettuare la riduzione ad un punto dell’asse centrale del sistema di tre forze di uguale intensità applicate al parallelepipedo rigido di figura. 11) Effettuare la riduzione al polo O del sistema di sei forze di uguale intensità applicate al parallelepipedo rigido di figura. 87 CAPITOLO 4 BARICENTRI E MOMENTI D’INERZIA 4.1. MASSA. DENSITÀ. Nella trattazione dei Principi della Meccanica, ad ogni punto materiale P è stato associato un numero positivo m detto massa. Anche nello studio della meccanica di un sistema materiale S, è utile introdurre in concetto di massa del sistema S; ciò vien fatto in maniera naturale, postulando che la massa sia una quantità additiva. Sia S un sistema di n punti materiali Pi , di massa mi . Si chiama massa del sistema particellare S il numero positivo: m= n X mi (4.1.1) i=1 Sia S un corpo che occupa una regione C dello spazio, come ad esempio una trave o l’acqua contenuta all’interno di un recipiente. In questo caso, è utile la descrizione del corpo S, come un corpo continuo. Tale descrizione, presuppone che sia possibile continuare a suddividere il corpo in porzioni ∆S di volume ∆τ sempre più piccolo, in modo che le quantità fisiche che caratterizzano le varie porzioni in cui il corpo S è stato suddiviso siano, all’interno di ciascuna porzione, sempre più uniformi. Tuttavia è noto che ciò è vero, purchè il volume ∆τ occupato dall’elementino non sia troppo piccolo. Se infatti il volume ∆τ scende al di sotto di un volume critico ∆τ0 , dobbiamo prendere in considerazione la struttura microscopica della materia e considerare il nostro corpo come costituito da un numero estremamente grande di molecole; lo studio, in questo caso non può che essere affrontato utilizzando la meccanica statistica. Nella schematizzazione di un sistema materiale come corpo continuo, si affronta lo studio della materia ad un livello intermedio (detto mesoscopico), che prescinde dalla struttura microscopica della materia. Si postula allora che suddividendo la regione di spazio C occupata da S in regioni ∆C sempre più piccole, il rapporto tra la massa ∆m contenuta in ∆C ed il volume ∆τ di ∆C, ammetta limite, al restringersi della regione ∆C intorno a P: ∆m lim = µ(P) (4.1.2) ∆C→P ∆τ Il numero µ cosı̀ introdotto prende il nome di densità del corpo S nel punto P. La densità µ = µ(P) è detta lineare, superficiale o cubica, a seconda che il corpo S sia ad una, due o tre dimensioni. L’ipotesi fatta di arrestarci ad un livello mesoscopico, ci consente di affermare che la funzione µ(P) è una funzione continua del punto P. Conseguentemente, se il volume ∆τ di ∆C risulta sufficientemente piccolo, la massa in esso contenuta è data da µ(P)∆C. 88 Ricordando la definizione di integrale multiplo, come limite, al tendere a zero del massimo diametro δ delle regioni ∆C, definiamo massa del corpo continuo S l’integrale: Z m= C µ(P)dC. (4.1.3) Se la densità è costante, il corpo S, si dice omogeneo. In tal caso è: m = µ · mis C (4.1.4) Se, come abbiamo supposto in ciò che precede, il corpo S occupa una regione dello spazio tridimensionale mis C è il volume della regione C. Se il corpo S occupa una regione bidimensionale (una porzione di piano o di superficie), con mis C intendiamo l’area della regione di piano (o della superficie), se infine il corpo S occupa una regione lineare con mis C intendiamo la lunghezza della linea. 4.2. BARICENTRO DI UN SISTEMA PARTICELLARE O CONTINUO. Sia S un sistema di n punti materiali Pi , di massa mi . Si chiama baricentro G del sistema particellare S il centro di un qualunque sistema di vettori paralleli, concordi e di modulo proporzionale alle masse, applicati nei punti del sistema: OG = n 1 X mi OPi m i=1 (4.2.1) Detta {O,x, y, z} una qualunque terna di riferimento, dette (xG , yG , zG ) le coordinate del punto G e (xi , yi , zi ) quelle del punto Pi , risulta: xG = 1 m yG = 1 m zG = 1 m Pn i=1 Pn i=1 Pn i=1 mi xi mi yi (4.2.2) mi zi Sia S un corpo continuo, che occupa, ad un dato istante t, una regione C dello spazio E3 . Si chiama baricentro G del sistema continuo S il punto G definito da: OG = 1 Z µ(P)OPdC m C (4.2.3) Dette (xi , yi , zi ) le coordinate del punto Pi , le coordinate di G sono espresse da: xG = 1 R m C µxdC yG = 1 R m C µydC zG = 1 R m C µzdC (4.2.4) Il punto G è dunque il limite a cui tende il baricentro del sistema particellare Sn cosı̀ costituito: Si suddivide la regione C occupata da S in n regioni parziali ∆Ci e si sceglie all’interno di ciascuna regione un punto Pi . Si considera il sistema particellare Sn costituito dagli n 89 punti Pi , ciascuno dotato di massa mi = µ(Pi ) mis (∆Ci ). Passando al limite, al tendere a zero del massimo diametro δ delle regioni ∆Ci , si ottiene proprio G. FIGURA 4.2.1 Se il corpo S è omogeneo, la densità µ è costante; pertanto risulta: OP = 1 Z OPdC mis C C (4.2.5) 4.3. PROPRIETÀ DEL BARICENTRO. Il baricentro di un sistema materiale S gode delle proprietà di cui gode il centro di un sistema di vettori applicati paralleli e concordi. Ricordiamo qui alcune di tali proprietà. a) La definizione di baricentro è indipendente dalla scelta del punto O. b) Se il sistema S è costituito tutto da punti appartenenti ad un piano π, il baricentro G del sistema appartiene al piano π. c) Se il sistema S è costituito tutto da punti appartenenti ad una retta r, il baricentro G del sistema appartiene alla retta r. d) Il baricentro di un sistema S appartiene alla più piccola regione convessa dello spazio che contiene S. 4.3.1. Proprietà distributiva. Se si suddivide il sistema S in n sistemi parziali Si , il baricentro G di S coincide con il baricentro del sistema dei baricentri Gi dei sistemi Si , considerati come punti materiali aventi come massa la massa del sistema Si . FIGURA 4.3.1 FIGURA 4.3.2 Chiusura convessa di un insieme Proprieta’ distributiva del baricentro 90 4.3.2. Piano diametrale e piano di simmetria. Per una più semplice determinazione del baricentro G di alcuni sistemi materiali, è utile introdurre la nozione di piano diametrale. Si dice che il piano π è per il sistema particellare (continuo) S un piano diametrale coniugato alla direzione della retta r, se i punti di S che non appartengono a π, si suddividono in coppie di punti P P0 , di uguale massa (densità) e tali che il segmento PP0 sia parallelo ad r e dimezzato da π. Un piano π coniugato alla sua direzione ortogonale prende il nome di piano di simmetria. Un piano π coniugato ad una direzione non ortogonale ad esso si chiama anche piano di simmetria obliqua. Sussiste la seguente importante proprietà: Ogni piano diametrale per un sistema S contiene il baricentro G di S. Infatti, possiamo considerare il sistema S come l’unione (di un numero finito o infinito) di sottosistemi: [ S = {Pi , P0i } ∪ Sπ i∈I dove con Sπ si è indicato il sottinsieme di punti di S che appartiene a π. Poichè ogni coppia di punti {Pi ,P0i } ha il baricentro appartenente al piano π, come conseguenza della proprietà distributiva del baricentro, si ha la tesi. FIGURA 4.3.3 FIGURA 4.3.4 Piano diametrale Piano di simmetria Come conseguenza della proprietà f), se un sistema S ammette tre piani diametrali il suo baricentro, viene determinato immediatamente come il punto di intersezione dei tre piani diametrali. Se un sistema S è piano, ed ammette due piani diametrali, il suo baricentro è il punto di intersezione del piano che contiene il sistema e dei due piani diametrali. Se un sistema S è contenuto in una retta ed ammette un piano diametrale, il suo baricentro è il punto di intersezione della retta che contiene il sistema e del piano diametrale. 91 4.3.4. Teoremi di Pappo-Guldino. Per il calcolo del baricentro di solidi o di superfici di rotazione possono essere applicati i seguenti teoremi, di omettiamo la dimostrazione. Primo teorema di Pappo-Guldino. Una figura piana ruota ruota intorno ad un asse complanare, che non la interseca. Il volume da essa generato è pari al prodotto dell’area A della figura per il cammino percorso dal suo baricentro durante la rotazione. Questo teorema può essere utilizzato per determinare la posizione del baricentro di una figura piana quando sono note le misure dell’area A e del volume da essa generato. ESEMPIO: Baricentro di un semicerchio. Si ha: V = A · 2πyG =⇒ yG = V 4R = 2πA 3π Figura 4.3.5 Secondo teorema di Pappo-Guldino. Un arco di curva piano ruota intorno ad un asse complanare, che non lo interseca. L’area della superficie da esso generata è pari al prodotto della lunghezza della curva l per il cammino percorso dal suo baricentro durante la rotazione. Questo teorema può essere utilizzato per determinare la posizione del baricentro di una curva quando sono note le misure della sua lunghezza e dell’area della superficie da essa generata. ESEMPIO: Baricentro di una semicirconferenza. Si ha: S = l · 2πyG =⇒ 92 yG = S 2R = 2πl π 4.4. CALCOLO DI BARICENTRI. Esempio 4.4.1. Baricentro di un’asta non omogenea. Sia AB un’asta, di lunghezza l, la cui densità varia con la legge µ = kx, essendo x la distanza del punto generico dell’asta dall’estremo A. Si ha: Z l Z l 1 m= µ(x)dx = kxdx = k l2 2 0 0 2m e quindi k = l2 . Si ha poi: 1 Zl 1 Zl 2 2 l3 2 µ(x)xdx = kx dx = 2 = l m 0 m 0 l 3 3 Vediamo cosı̀ che il baricentro dell’asta AB ha la stessa ascissa del triangolo omogeneo ABC, costruito sul lato AB, il cui lato AC ha equazione y = kx. In generale, se la densità dell’asta è la funzione µ = µ(x) il baricentro di AB ha la stessa ascissa del baricentro del trapezoide costruito sul lato AB relativo alla funzione densità µ = µ(x). xG = FIGURA 4.4.1 Esempio 4.4.2. Baricentro di un arco di circonferenza omogenea. Si consideri un arco di circonferenza omogeneo di raggio R e semiaperura α. Si scelga come sistema di riferimento il sistema {O, x, y} di figura. FIGURA 4.4.2 Poichè l’asse x è un asse di simmetria per la figura, il baricentro G dell’arco ha ordinata yG = 0. Si ha poi, ricordando che è x = R cos θ e che l’elemento d’arco ds = Rdθ: 1Z α 1 Zα 2 R sin α xG = x ds = R cos θ dθ = l −α 2αR −α α 93 In particolare, il baricentro di una semicirconferenza si ottiene ponendo α = π/2. Si ottiene in tal caso xG = 2R . Allo stesso risultato si perviene utilizzando il secondo π teorema di Pappo-Guldino. Esempio 4.4.3. Baricentro di un triangolo omogeneo. Il baricentro di un triangolo coincide con l’intersezione delle tre mediane, e dista da ognuno dei tre vertici i due terzi della lunghezza della mediana uscente da quel vertice. Dimostrazione: Osserviamo che ognuno dei tre piani ortogonali al piano del triangolo e passante per una sua mediana è piano diametrale conuigato alla direzione del lato relativo alla mediana. Mostriamo che il piano π, ortogonale al piano del triangolo ABC di fig. 5.1, passante per la mediana CH è piano diametrale coniugato alla direzione del lato AB. Decomponiamo a tale scopo il triangolo ABC in striscie (infinitesime) di altezza dh, parallele al lato AB. Come si constata immediatamente, questa striscia è dimezzata dal piano π in due semistriscie identiche per dimensione e densità. FIGURA 4.4.3 Si conclude dunque che il baricentro G del triangolo è il punto di intersezione delle tre mediane. Detta l la lunghezza della mediana CH, mostriamo che risulta AG= 23 AN. Siano M ed N i punti medi dei lati AB e BC. Dai punti M ed N tracciamo leparallele alla mediana CH, che intersecheranno le mediane AN e BM nei punti L e P; essendo il quadrilatero LMNP ottenuto un parallelogramma risulta |LG| = |GN|, |MG| = |GF|. Osservato poi che i triangoli AML e ACG sono simili, deduciamo che |AL| = 2 |AG|. Esempio 4.4.4. Baricentro di un parallelogramma omogeneo. Il baricentro di un parallelogramma (in particolare di un rettangolo) si trova nel punto di intersezione delle diagonali. FIGURA 4.4.4 94 Infatti il piano ortogonale al piano del parallelogramma, contenente una diagonale, è un piano diametrale coniugato alla direzione dell’altra diagonale. Esempio 4.4.5. Baricentro di un quadrangolo omogeneo. Sia dato il quadrangolo semplice (cioè non intrecciato) ABCD. Le diagonali AC e BD lo decompongono ciascuna in due triangoli ABC, ADC e ABD, CDB. Determiniamo i baricentri G1 , G2 , G3 e G4 di ciascuno di questi triangoli. Per la proprietà distributiva, il baricentro G del quadrangolo è il baricentro dei due punti G1 e G2 dotati rispettivamente delle masse dei due triangoli ABC e ABD. Pertanto G è interno al segmento G1 G2 . Allo stesso modo si deduce che G è interno al segmento G3 G4 . In conclusione G si troverà nell’intersezione dei due segmenti G1 G2 e G3 G4 . FIGURA 4.4.5 Esempio 4.4.6. Baricentro di un trapezio omogeneo. La determinazione del baricentro di un trapezio può effettuarsi osservando che esso è un particolare quadrangolo, oppure può essere utilizzato il seguente procedimento. Dato il trapezio ABCD. Osserviamo che il piano ortogonale al piano del trapezio, che contiene i punti medi M ed N dei lati paralleli AB e CD, è un piano diametrale coniugato alla direzione del lato AB. Il baricentro del trapezio si trova dunque sul segmento MN. Per determinarlo graficamente, osserviamo che la diagonale AC decompone il trapezio nei due triangoli ABC e ADC. Come conseguenza della proprietà distributiva possiamo affermare che il baricentro del trapezio si trova sulla congiungente i due baricentri G1 G2 dei due triangoli ABC e ADC. Il baricentro del trapezio è dunque l’intersezione del segmento MN con il segmento G1 G2 . FIGURA 4.4.6 95 Esempio 4.4.7. Baricentro di una trave a L. Si consideri la sezione di una trave ad L indicata in figura. Scelto come sistema di riferimento il sistema {O, x, y} di figura, si constata immediatamente che la retta x = y è un’asse di simmetria per la figura. Il baricentro G della sezione, si trova pertanto su tale retta. Si ha: ´ ³ a(a + b) a2 + ab a + 2b a(a2 + 3ab + b2 ) xG = y G = = 2b2 + a2 2(2ab + a2 ) Una determinazione grafica immediata di G si ottiene decomponendo la figura in due rettangoli. Il baricentro G si trova sull’intersezione del segmento G1 G2 che congiunge i due rettangoli con la bisettrice del primo quadrante. FIGURA 4.4.7 Esempio 4.4.8. Baricentro di una trave a T. Si consideri la sezione di una trave a T indicata in figura. Scelto come sistema di riferimento il sistema {O, x, y} di figura, si constata immediatamente che l’asse y è un’asse di simmetria per la figura. Il baricentro G della sezione, si trova pertanto su tale retta. Si ha: ac 2c + bd(c + d2 ac2 + bd2 + 2bcd yG = = ac + bd 2(ca + bd) Lo studente effettui una determinazione grafica del baricentro G, applicando la teoria dei sistemi di vettori applicati paralleli, nel caso in cui b = c. FIGURA 4.4.8 96 Esempio 4.4.9. Baricentro di un pendolo. Si schematizzi il pendolo di un orologio con un disco omogeneo di massa m collegato rigidamente ad un asta anch’essa omogenea, di uguale massa m. Sia d la lunghezza dell’asta. Applicando la proprietà distributiva del baricentro, si verifica immediatamente che il baricentro G coincide con il punto di medio del segmento G1 G2 . FIGURA 4.4.9 Esempio 4.4.10. Baricentro di una lamina circolare forata. Sia S la lamina forata omogenea tratteggiata in figura. Sia S1 il cerchio di raggio R e centro G1 , sia S2 il cerchio di raggio R/2 e centro G2 , sia G il baricentro di S. Sia infine d = R/2 la distanza tra G2 e G1 . Si ha: mOG + m2 OG2 = m1 OG1 E‘ m1 = µπR2 , m2 = µπR2 /4, m = m1 − m2 = 3µπR2 /4. Scelto O coincidente con G1 , si ha: mG1 G + m2 G1 G2 = 0 Si ottiene cosı̀: 1 G1 G = − G1 G 3 FIGURA 4.4.10 Esempio 4.4.11. Baricentro di un esagono regolare forato. Sia S la lamina forata omogenea tratteggiata in figura. Sia S1 l’esagono regolare di centro O e lato a, sia S2 il cerchio di raggio r e centro G2 , sia G il baricentro di S. Sia infine b la distanza tra G2 e O. 97 FIGURA 4.4.11 Con lo stesso procedimento utilizzato nell’esempio precedente, si ottiene: S OG + S1 OG2 = 0; √ ricordando che la superficie dell’esagono è data da S2 = 3 2 3 a2 , si ottiene: à √ ! 3 3 2 2 a − πr xG + πr2 b = 0 2 Esempio 4.4.12. Baricentro di una lamina piana unione di più lamine di differente densità. Si consideri la lamina non omogenea di figura. Per considerazioni di simmetria, G si trova sull’asse y, indicato in figura. Si ha poi, per la proprietà distributiva: h yG = i h 2 2 µa2 a2 + 2 3µ a2 a 3 2 7µa i h 2 + 2 2µ a2 2a 3 i FIGURA 4.4.12 Esempio 4.4.13. Baricentro di un settore di corona circolare omogenea. Sia S un settore di corona circolare, di raggi r ed R, sotteso da un angolo al centro di semiapertura α. Scelto come sistema di riferimento il sistema {O, x, y} di figura, essendo l’asse x un asse di simmetria, il baricentro G di S ha ordinata yG = 0. Si ha poi: xG = 1 Z x dC mis C C 98 FIGURA 4.4.13 Passando in coordinate polari, il dominio C si trasforma nel rettangolo D = {(ρ, θ)|r ≤ ρ ≤ R, − α ≤ θ ≤ α}, mentre è x = ρ cos θ. L’elemento di superficie in coordinate polari si scrive dC = ρdρdθ. Si ha quindi: RR xG = D ρ2 cos θdρdθ 2 R3 − r3 sin α = 3 R2 − r 2 α D ρdρdθ RR In particolare, il baricentro di un semicerchio si ottiene ponendo r = 0 e α = π/2, si ottiene: 4R xG = 3π Esempio 4.4.14. Baricentro del sistema costituito da due sfere tangenti di diametri differenti. Siano R ed r i raggi delle due sfere, G1 e G2 i due centri. Per la proprietà distributiva del baricentro, possiamo scrivere: (S1 + S2 )OG = S1 OG1 + S2 OG2 FIGURA 4.4.14 Scelto O coincidente con G1 , si ottiene: OG = S2 OG2 S1 + S2 99 Scelto come sistema di riferimento il sistema {O, x, y, z} di figura, si ha: yG = 0 xG = r3 (R + r) r 3 + R3 Esempio 4.4.15. Baricentro di un prisma retto omogeneo, di altezza h. Sia C un prisma retto omogeneo, di altezza h. Il piano π ortogonale alle generatrici del prisma, distante h/2 dalle due basi, è un piano di simmetria. Il baricentro G appartiene dunque a tale piano. Inoltre, le sezioni di C con piani paralleli alla base sono tutte uguali. Allora, decomposto il cilindro C in sezioni di altezza ∆z, il baricentro di ciascuna di tali sezioni appartiene ad una stessa retta a, parallela alle generatrici del prisma. Conseguentemente, il baricentro G di C è l’intersezione della retta a con il piano di simmetria. FIGURA 4.4.15 Esempio 4.4.16. Baricentro di un prisma forato omogeneo. Sia S un prisma di altezza h e sezione quadrata di lato l. Sia r il raggio del foro cilindrico, e d la distanza dell’asse del cilindro dall’asse del prisma. Utilizzando i risultati dell’esempio 4.4.15, è sufficiente calcolare il baricentro di una generica sezione. Scelto come sistema di riferimento il sistema {O, x, y, z} di figura, con lo stesso procedimento dell’esempio 4.5.14 si ottiene: h(l2 − πr2 )xG + hπr2 d = 0 e quindi: xG = − πr2 d l2 − πr2 FIGURA 4.4.16 100 Esempio 4.4.17. Baricentro di settore sferico omogeneo. Sia S un settore sferico omogeneo, di raggio R ed angolo al centro α e C la regione di spazio da esso occupato. FIGURA 4.4.17 Scelto come sistema di riferimento il sistema {O, x, y, z} di figura, il baricentro G di S ha ascissa e ordinata nulle xG = 0, yG = 0. Si ha poi: zG = 1 Z z dC mis S C Passando in coordinate polari, il dominio C si trasforma nel parallelepipedo D = {(ρ, θ, φ)|0 ≤ ρ ≤ R, 0 ≤ θ ≤ α, 0 ≤ φ ≤ 2π}, mentre è z = ρ cos θ. L’elemento di volume in coordinate polari si scrive dC = ρ2 sin θdρdθdφ. Si ha quindi: Z Z Z mis C = e 2 ρ2 sin θdρdθdφ = πR3 (1 − cos α) 3 D RRR ρ3 sin θ cos θdρdθdφ 3 sin2 α = R mis C 8 1 − cos α In particolare, il baricentro di una semisfera si ottiene ponendo α = π/2, si ottiene: zG = D 3 xG = R 8 Esempio 4.4.18. Baricentro di un cono rotondo omogeneo. Sia S un cono rotondo omogeneo di raggio di base R ed altezza h e C la regione di spazio da esso occupata. Scelto come sistema di riferimento il sistema {O, x, y, z} di figura, il baricentro G di S ha ascissa e ordinata nulle xG = 0, yG = 0. Per calcolare zG utilizzeremo la formula di integrazione per sezioni, osservando che la sezione Cz è il cerchio di centro l’origine e raggio rz = hr z. Si ha: Z Z Z mis C = C dC = Z h 0 101 Z dz Cz dxdy = πR2 h 3 e R z dC zG = R = C dC C Rh 0 RR zdz Cz dxdy 3 = h mis C 4 FIGURA 4.4.18 FIGURA 4.4.19 Esempio 4.4.19. Baricentro di una calotta sferica omogenea. Sia S una calotta sferica omogenea, di raggio R ed angolo al centro α. Scelto come sistema di riferimento il sistema {O, x, y, z} di figura, il baricentro G di S ha ascissa e ordinata nulle xG = 0, yG = 0. Dette m1 e zG1 la massa e la quota del baricentro del settore sferico, dette m2 e zG2 la massa e la quota del baricentro del cono rotondo di altezza h = R cos α e dette infine m e zG la massa e la quota del baricentro della calotta sferica, si ha: mzG + m2 zG2 = m1 zG1 Utilizzando i risultati degli esempi 4.4.17 e 4.4.18 si ottiene subito la quota zG cercata. Esempio 4.4.20. Baricentro di una superficie semisferica omogenea. Sia S una superficie semisferica omogenea, di raggio R. FIGURA 4.4.20 Scelto come sistema di riferimento il sistema {O, x, y, z} di figura, il baricentro G di S ha ascissa e ordinata nulle xG = 0, yG = 0, mentre è: 1 Z zG = zdσ 2πR2 S L’elemento di superficie si scrive dσ = R2 sin θdθdφ; inoltre è z = ρ cos θ. Il dominio base della superficie è D = {(θ, φ)| 0 ≤ θ ≤ π2 , 0 ≤ φ ≤ 2π}. Si ha quindi: RR zG = D R R cos θ R2 sin θdθdφ = 2 2πR 2 102 4.5. MOMENTI STATICI (O DI PRIMO ORDINE) Sia S un sistema di punti materiali Pi di masse mi . Sia G il baricentro S. Dato un piano π, se non contiene G, orientiamo la normale d a tale piano verso il baricentro G di S, se invece G ∈ π orientiamo la normale a π in un verso qualunque. Figura 4.5.1 Si chiama momento statico di S rispetto a π, la quantità scalare: Sπ = n X mi δi , (4.5.1) i=1 dove con δi si è indicata la distanza (con segno) del punto Pi dal piano π. Fissato un punto O qualunque su π e denotato con n̂ il versore dell’asse d ortogonale a π, il momento statico Sπ (che sarà anche indicato con Sn̂ ), risulta uguale a: Sπ = Sn̂ = n X mi (OPi · n̂). (4.5.2) i=1 Se S è un sistema continuo, indicando con C la regione di spazio occupata dal corpo S, prende il nome di momento statico di S rispetto a π, la quantità scalare: Z Sπ = Sn̂ = Z C µδdC = C µ(OP · n̂)dC. (4.5.3) Ricordando la definizione di baricentro, ricaviamo subito la relazione: Sπ = mdG (4.5.4) P avendo indicato con dG la distanza del baricentro G di S dal piano π e con m = ni=1 mi la massa del sistema S. Dalla (4.5.4) deduciamo la seguente importante proprietà PROPRIETÀ 4.5.1: il momento statico di un qualunque sistema materiale rispetto ad un piano coincide con quello dell’intera sua massa concentrata nel baricentro. 103 In particolare, se π è un piano passante per il baricentro G di S, il momento statico di S rispetto a tale piano è nullo. Vale anche la seguente PROPRIETÀ 4.5.2: se sono noti i tre momenti statici di S rispetto a tre piani non paralleli è individuata univocamente la posizione del baricentro G di S. Infatti, se tali piani sono mutuamente ortogonali, possiamo sceglierli come piani coordinati e quindi scrivere: Sc Sc Sc OG = 1 c1 + 2 c2 + 3 c3 (4.5.4) m m m La proprietà rimane valida anche se i tre piani non sono tra di loro perpendicolari. Ci limiteremo a verificarla nel caso di un sistema S che giace nel piano (x, y). In questo caso il momento statico rispetto ad un piano τ ortogonale a π, che interseca il piano π secondo una retta a viene più semplicemente chiamato momento statico rispetto all’asse a. Ad esempio, i momenti statici rispetto ai piani (x, z) e (y, z), vengono chiamati, rispettivamente, momenti statici rispetto agli assi x e y. Figura 4.5.2 Consideriamo due assi qualsiasi ξ e η giacenti nel piano π, uscenti da un punto O e formanti un angolo α. Siano e1 ed e2 i versori di questi due assi. Fissato un punto Pi qualunque di S si ha: OPi = ξi e1 + ηi e2 . Tenendo presente la definizione di baricentro, possiamo scrivere mOG = n X mi OPi = i=1 n X mi (ξi e1 + ηi e2 ) = i=1 n X mi ξi e1 + i=1 n X mi ηi e2 i=1 dalla figura 4.5.2 deduciamo, dette δi e δi0 le distanze del punto Pi dai due assi ξ e η: δi0 = ξi sin α, δi = ηi sin α e quindi n X à n X ! n n X X 1 1 (Sη e1 + Sξ e2 ) mOG = mi ξi e1 + mi ηi e2 = mi δi0 e1 + mi δi e2 = sin α i=1 sin α i=1 i=1 i=1 conseguentemente, si ha OG = 1 (Sη e1 + Sξ e2 ) m sin α 104 4.6. MOMENTI D’INERZIA La posizione del baricentro non consente di caratterizzare in maniera completa la distribuzione nello spazio delle masse di un sistema materiale. Si consideri ad esempio il sistema di figura 4.6.1. FIGURA 4.6.1 Se la distanza d dall’asse z di ognuna delle due sfere A e B, omogenee di uguale raggio ed uguale densità, aumenta di una stessa grandezza, la posizione del centro di massa del sistema non varia, ma, come si verifica sperimentalmente, la velocità angolare del sistema intorno all’asse z risulterà rallentata. Constatiamo cosı̀ che una diversa distribuzione delle masse modifica il moto del sistema. Pertanto, nello studio della dinamica dei sistemi materiali è necessario introdurre ulteriori concetti, allo scopo di caratterizzare meglio la distribuzione delle masse; abbiamo già introdotto, nei numeri precedenti, il concetto di momento statico (o momento di primo ordine) di un sistema materiale rispetto ad un piano, ed abbiamo mostrato che esso è legato al concetto di baricentro. Introdurremo adesso i momenti di secondo ordine, tra di questi è di fondamentale importanza per lo studio della dinamica dei sistemi materiali il concetto di momento di inerzia assiale. 4.6.1. MOMENTO D’INERZIA ASSIALE Si definisce momento di inerzia di un punto P rispetto ad una retta r (o momento di inerzia assiale) il prodotto della massa m di P per il quadrato della sua distanza d dalla rettar: Ir = md2 (4.6.1) Sia S un sistema materiale, ad esempio particellare, costituito da un numero finito n di punti Ps . Si definisce momento di inerzia del sistema S rispetto ad una retta r la somma dei prodotti delle masse ms dei singoli punti Ps del sistema per i quadrati delle loro distanze ds dalla retta r: Ir = n X ms d2s (4.6.2) s=1 Da questa definizione segue che il momento di inerzia di un qualunque sistema rispetto ad una retta r è una grandezza positiva (o eventualmente nulla, nel caso limite di un sistema avente tutti i punti sulla retta r). Nel seguito mostreremo che nel moto rotatorio di un corpo rigido attorno ad un asse fisso, il momento di inerzia assiale svolge lo stesso ruolo 105 svolto dalla massa nel moto traslatorio, cioè cosı̀ come la massa è la misura dell’inerzia di un corpo rigido in moto traslatorio, il momento di inerzia assiale è la misura dell’inerzia di un corpo rigido in moto rotatorio. Scelto un riferimento ortogonale {O; x, y, z}, i momenti di inerzia del sistema S rispetto agli assi x, y e z sono dati dalle formule Ix = n X ms (ys2 + zs2 ), s=1 Iy = n X ms (x2s + zs2 ), Iz = s=1 n X ms (x2s + ys2 ). (4.6.3) s=1 I momenti d’inerzia rispetto agli assi coordinati si sogliono anche indicare con i simboli Ix = I11 , Iy = I22 e Iz = I33 . La precedente definizione si estende in modo ovvio a sistemi materiali continui. Si consideri ad esempio un corpo continuo S, occupante una regione tridimensionale C. Si suddivida la regione C occupata dal sistema S in n regioni parziali ∆Cs e si scelga all’interno di ciascuna regione un punto Ps . Si consideri il sistema particellare Sn costituito dagli n punti Ps , ciascuno dotato di massa ms = µ(Ps ) mis (∆Cs ) e si calcoli il momento d’inerzia di questo sistema particellare rispetto alla retta r. Passando al limite, al tendere a zero del massimo diametro δ delle regioni ∆Cs , la sommatoria che figura nell’uguaglianza (4.6.2) si trasforma in un integrale. Nel caso di continui bidimensionali o monodimensionali, si ripete ovviamente lo stesso ragionamento con le dovute modifiche. In particolare, tenendo presente che dm = µdC, dove µ è la densità e dC è l’elemento di volume, si ottiene, indicando con δ la distanza del generico punto P di C dalla retta r: Z Ir = C Z δ 2 dm = C µδ 2 dC (4.6.4) In questa relazione, la densità µ = µ(P ) e la distanza δ = δ(P ) dipendono dalle coordinate dei punti del corpo e l’integrale è esteso alla regione C occupata dal sistema. Le formule (4.6.3) per i corpi continui si scrivono: Z Ix = I11 = Z C µ(y 2 + z 2 )dC, Iy = I22 = Z C µ(x2 + z 2 )dC, Iz = I33 = C µ(x2 + y 2 )dC. (4.6.5) Osserviamo infine che il momento d’inerzia assiale del sistema S rispetto alla retta r, passante per O, di versore ûr si può anche esprimere nel seguente modo equivalente: Ir = n X ms [OPs ∧ ûr ]2 . s=1 FIGURA 4.6.2 106 (4.6.6) 4.6.2. RAGGIO D’INERZIA Nelle applicazioni si usa spesso la nozione di raggio di inerzia. Si definisce raggio d’inerzia di un sistema materiale rispetto all’asse r la grandezza lineare ρin definita dall’uguaglianza Ir = mρ2in (4.6.7) dove m è la massa del sistema. Dalla definizione segue che il raggio di inerzia individua la distanza dalla retta r del punto in cui bisogna concentrare la massa dell’intero sistema, affinchè il momento di inerzia di questo punto sia uguale al momento di inerzia di tutto il corpo. Conoscendo il raggio di inerzia, si può trovare, dalla (4.6.4), il momento di inerzia di un corpo e viceversa. Altri momenti di secondo ordine Oltre al concetto di momento assiale appena introdotto, esistono altri momenti di secondo ordine, alcuni dei quali risulteranno utili nello studio della dinamica dei corpi rigidi. Le definizioni che daremo si riferiscono ad un sistema S di n punti materiali Ps di masse ms e si estendono in modo ovvio a sistemi materiali continui. 4.6.3. MOMENTI DI DEVIAZIONE Si consideri una coppia di piani π, π 0 non paralleli, di rispettivi versori normali n e n0 . Prende il nome di momento di deviazione o momento centrifugo o prodotto di inerzia del sistema S rispetto ai due piani π, π 0 non paralleli, la quantità scalare: In,n0 = n X ms ds d0s , (4.6.8) s=1 dove ds e d0s sono rispettivamente le distanze con segno del punto Ps dai piani π e π 0 . La (4.6.8) può anche scriversi nella seguente forma equivalente, che sarà utilizzata nel seguito: In,n0 = n X ms [OP · n̂][OP · n̂0 ], s=1 con O punto arbitrario della retta intersezione dei due piani π e π 0 . FIGURA 4.6.3 107 (4.6.9) Fissato un riferimento ortogonale {O; x, y, z}, i momenti di deviazione rispetto alle coppie di piani coordinati (assumendo come versori normali i versori degli assi c1 , c2 , c3 ) si definiscono nel seguente modo: Ic1 c2 = n X ms xs ys , Ic1 c3 = s=1 n X ms xs zs , Ic2 c3 = s=1 n X ms ys zs . (4.6.10) s=1 momenti di deviazione rispetto alle coppie di piani coordinati sono spesso indicati con i simboli Ic1 c2 = C 0 , Ic1 c3 = B 0 , Ic2 c3 = A0 . I momenti d’inerzia ed i momenti di deviazione ora definiti verranno applicati nello studio della dinamica dei corpi rigidi. 4.6.4. MOMENTI POLARI Prende il nome di momento polare rispetto a un punto O lo scalare: IO = n X ms (OP )2 . (4.6.11) s=1 Fissato un riferimento ortogonale {O; x, y, z}, si ha: IO = n X ms (x2s + ys2 + zs2 ) s=1 Come si verifica facilmente risulta: IO = 1 (Ix + Iy + Iz ) 2 (4.6.12) 4.6.5. MOMENTI PLANARI DI SECONDO ORDINE Prende il nome di momento planare di secondo ordine rispetto ad un piano π, lo scalare: n Iπ = X ms [OPs · n̂]2 . (4.6.13) s=1 con O punto arbitrario di π ed n̂ versore normale a π. Si osservi che dei quattro momenti di secondo ordine sopra definiti (momenti d’inerzia, di deviazione, polari e planari) soltanto il momento di deviazione può essere negativo. 4.6.6. CALCOLO DI MOMENTI DI SECONDO ORDINE Determiniamo i momenti di inerzia di alcuni corpi rigidi. 1. Sistema di due punti materiali (molecola biatomica). Determiniamo il momento d’inerzia del sistema S di due punti materiali P1 e P2 fissati rigidamente agli estremi di un’asta, rispetto ad un asse baricentrale ortogonale alla congiungente i due punti. 108 Siano m1 ed m2 le masse dei due punti e d la distanza tra i due punti; indichiamo con δ1 e δ2 le distanze dei due punti P1 e P2 dal baricentro della molecola. Per la definizione 2 1 di baricentro, si ha m1 δ1 = m2 δ2 , e quindi δ1 = m1m+m d e δ2 = m1m+m d. 2 2 FIGURA 4.6.4 Allora per il momento d’inerzia della molecola biatomica rispetto all’asse baricentrale, si ha: m1 m2 Ir = m1 δ12 + m2 δ22 = d (4.6.14) m1 + m2 2. Asta omogenea di lunghezza l e di massa M . Calcoliamo il momento di inerzia Ir di un’asta omogenea AB di lunghezza l e massa M , rispetto alla retta r passante per un suo estremo e formante con essa un angolo α. FIGURA 4.6.5 Scegliamo l’asse x lungo l’asta AB. Si ha: Ir = Z l 0 δ 2 dm La distanza del generico punto x dell’asta dall’asse r è δ = x sin α, mentre la massa elementare è dm = µdx, dove µ = M/l è la massa dell’unità di lunghezza dell’asta. Si ottiene cosı̀ Z l Z l l3 Ir = µ (x sin α)2 dx = µ sin2 α x2 dx = µ sin2 α 3 0 0 Sostituendo µ con il suo valore, si ha infine Ir = M l2 sin2 α 3 109 (4.6.15) 3. Anello circolare omogeneo (superficie cilindrica omogenea). Determiniamo il momento d’inerzia di un anello circolare omogeneo di raggio R e massa M , rispetto all’asse z perpendicolare al piano dell’anello e passante per il suo centro C. L’elemento lineare dell’anello, di lunghezza ds e massa dm = µds, ha momento d’inerzia dIz = dm δ 2 , dove δ indica la distanza dell’elemento dall’asse. Poichè tutti i punti dell’anello hanno uguale distanza δ = R dall’asse (figura 4.6.6), si ha dIz = R2 dm; quindi: Z Z Iz = C R2 dm = R2 C dm Di conseguenza Iz = mR2 . (4.6.16) FIGURA 4.6.6 Un risultato analogo si ottiene, evidentemente, per il momento di inerzia di una superficie cilindrica di massa M e di raggio R rispetto al suo asse. 4. Lamina circolare omogenea (cilindro omogeneo). Calcoliamo il momento di inerzia di una lamina circolare omogenea di raggio R e massa M rispetto all’asse z perpendicolare alla lamina e passante per il suo centro C. A tal fine consideriamo un anello elementare di raggio r e di larghezza dr (fig. 4.6.7). La superficie di questo anello è uguale a 2πrdr, mentre la massa è dm = µdS = µ2πrdr, dove µ = M/πR2 è la massa dell’unità di area della lamina. Quindi, in base alla formula (4.6.14), per l’anello elementare avremo dIz = r2 dm = 2πµr3 dr mentre per tutta la lamina si ottiene Iz = 2πµ Z R 0 r3 dr = 2πµ 1 R4 = πµR4 4 2 Sostituendo µ con il suo valore, si trova infine 1 Iz = M R2 2 110 (4.6.17) FIGURA 4.6.7 La stessa formula si ottiene anche per il momento di inerzia Iz di un cilindro omogeneo circolare di massa M e di raggio R rispetto al suo asse. Omettendo i calcoli (che lasciamo come esercizio al lettore), riportiamo le formule che determinano i momenti di inerzia dei seguenti corpi : 5. Triangolo omogeneo di massa M e altezza h, l’asse z è diretto lungo la base del triangolo. 1 Iz = M h2 (4.6.18) 6 6. Lamina rettangolare omogenea di massa M con lati AB = a e BD = b (l’asse x è diretto lungo il lato AB, l’asse y lungo BD, l’asse z perpendicolare al piano della lamina passante per un vertice): 1 Ix = M b 2 3 1 Iy = M a2 3 1 Iz = M (a2 + b2 ) 3 (4.6.19) 7. Cono circolare retto omogeneo di massa M e raggio della base R (l’asse z è diretto lungo l’asse del cono): Iz = 3 M R2 10 (4.6.20) 8. Sfera omogenea di massa M e raggio R (l’asse z è diretto lungo un diametro): 2 (4.6.21) Iz = M R2 5 I momenti di inerzia di corpi non omogenei e di corpi di configurazione complessa possono essere determinati sperimentalmente con l’aiuto di opportuni strumenti. Uno di questi metodi verrà studiato in seguito. 111 4.7. ENDOMORFISMO D’INERZIA, MATRICE D’INERZIA Sia r una retta generica uscente da un punto Ω, ed ur il suo versore. Vogliamo studiare come varia il momento d’inerzia del sistema al variare della retta r passante per un punto Ω. A tale scopo è utile usare l’espressione (4.6.6), che riscriviamo nel seguente modo: Ir = n X ms (ΩPs ∧ ûr ) · (ΩPs ∧ ûr ). (4.7.1) s=1 FIGURA 4.7.1 Il prodotto scalare (ΩPs ∧ûr )·(ΩPs ∧ûr ) può essere considerato come prodotto misto dei tre vettori ΩPs ∧ ûr , ΩPs ed ûr ; permutando ciclicamente questi tre vettori, ed applicando la proprietà di anticommutazione del prodotto vettoriale, si ottiene Ir = n X ms [(ΩPs ∧ ûr ) ∧ ΩPs ] · ûr = − s=1 n X ms [ΩPs ∧ (ΩPs ∧ ûr )] · ûr . s=1 Constatiamo dunque che il momento d’inerzia del sistema rispetto alla retta r si ottiene applicando due volte l’operatore assiale ΩPs ∧ al versore ûr della retta r, moltiplicando il risultato ottenuto per la massa del punto Ps , sommando su tutti i punti del sistema, e, dopo aver cambiato di segno il risultato ottenuto, moltiplicando il tutto scalarmente per il versore ûr della retta r. Possiamo più semplicemente dire che il momento d’inerzia P del sistema rispetto alla retta r si ottiene applicando l’operatore − ns=1 ms (ΩPs ∧)2 , che denoteremo con σΩ (o anche con IΩ ), definito dalla relazione: σΩ = − n X ms (ΩPs ∧)2 (4.7.2) s=1 al versore ûr e moltiplicando scalarmente il risultato ottenuto per ûr : Ir = [σΩ ûr ] · ûr (4.7.3) L’operatore σΩ cosı̀ definito è un operatore lineare (un endomorfismo), infatti ciascun singolo addendo della sommatoria si ottiene mediante la successiva applicazione di due prodotti vettoriali, cioè di due operatori assiali -che come sappiamo, sono particolari endomorfismi- e moltiplicando il risultato ottenuto per ms . Pertanto l’operatore σΩ , 112 come combinazione lineare di endomorfismi, è un endomorfismo. Esso prende il nome di operatore d’inerzia, o tensore d’inerzia, relativo al punto Ω. All’operatore σΩ è quindi associata, in una data base, una matrice (la matrice delle sue componenti). Scegliamo di scrivere la matrice delle componenti di σΩ in un riferimento di origine Ω, assi x1 , x2 , x3 e versori c1 , c2 , c3 . Come mostreremo, denotate con σhk le componenti dell’operatore σΩ , risulta: Ω Ω σhk = ch · (σΩ ck ) = ck · (σΩ ch ) = σkh (4.7.4) La matrice delle componenti di σΩ è pertanto una matrice simmetrica. Le componenti di σΩ , in un riferimento solidale, si indicano solitamente nel seguente modo: A −C 0 −B 0 B −A0 σΩ = −C 0 −B 0 −A0 C (4.7.5) Gli elementi A, B, C, e A0 , B 0 , C 0 che compaiono nella matrice (4.7.5) si calcolano utilizzando le relazioni (4.7.3) e (4.7.4). Si ottiene, applicando la (4.7.3) ai versori degli assi coordinati: A = ĉ1 · [σΩ ĉ1 ] = Ix , B = ĉ2 · [σΩ ĉ2 ] = Iy , C = ĉ3 · [σΩ ĉ3 ] = Iz . (4.7.6) Vediamo dunque che gli elementi della diagonale principale della matrice delle componenti di σΩ sono proprio i momenti d’inerzia del corpo rispetto agli assi del sistema di riferimento. Denotate con xs , ys , zs le coordinate del generico punto Ps del sistema, per la (4.6.3), si ottiene: n X ms (ys2 + zs2 ), n X ms (x2s + zs2 ), n X ms (x2s + ys2 ). (4.7.7) σ12 = σ21 = ĉ1 · [σΩ ĉ2 ] σ13 = σ31 = ĉ1 · [σΩ ĉ3 ] σ23 = σ32 = ĉ2 · [σΩ ĉ3 ] (4.7.8) A= B= s=1 C= s=1 s=1 Gli elementi fuori diagonale risultano espressi da: Calcoliamo, a titolo di esempio, l’elemento σ12 ; si ha, " σ12 = ĉ1 · [σΩ ĉ2 ] = ĉ1 · − n X # ms ΩPs ∧ (ΩPs ∧ ĉ2 ) = − s=1 n X ms ĉ1 · [ΩPs ∧ (ΩPs ∧ ĉ2 )] s=1 che si può scrivere, calcolando il doppio prodotto vettoriale: σ12 = − n X i h ms (ΩPs · ĉ1 )(ΩPs · ĉ2 ) − |ΩPs |2 ĉ1 · ĉ2 = − n X ms (ΩPs ·ĉ1 )(ΩPs ·ĉ2 ) = −Ic1 c2 . s=1 s=1 Come si verifica immediatamente, scambiando nella relazione precedente ĉ1 con ĉ2 si ottiene lo stesso risultato. Pertanto σ12 = σ21 . Notiamo che gli elementi fuori diagonale della matrice delle componenti di σΩ sono gli opposti dei momenti di deviazione di S rispetto alle coppie di piani coordinati. 113 Denotate con xs , ys , zs le coordinate del generico punto Ps del sistema, per la (4.6.10), si ha: n n n A0 = X B0 = ms ys zs , X s m s xs z s , C0 = s X ms xs ys . (4.7.9) s La matrice σΩ caratterizza completamente le proprietà geometriche delle masse che costituiscono un dato sistema materiale, ad esempio un dato corpo rigido. La conoscenza della matrice σΩ consente di determinare il momento d’inerzia del sistema rispetto ad una qualunque retta r passante per Ω ed il momento di deviazione rispetto ad una qualunque coppia di piani passanti per Ω. Scelto un riferimento con origine in Ω ed assi x, y, z, denotato con û = (α, β, γ) il versore della retta r, la (4.7.3), in componenti si scrive: A −C 0 −B 0 α h i B −A0 Ir = [σΩ ûr ] · ûr = α β γ −C 0 (4.7.10) β −B 0 −A0 C γ Da cui: Ir = Aα2 + Bβ 2 + Cγ 2 − 2A0 βγ − 2B 0 αγ − 2C 0 αβ (4.7.11) Siano poi û = (α, β, γ) e û0 = (α0 , β 0 , γ 0 ) i versori ortogonali a due piani π e π 0 tra loro perpendicolari, passanti per Ω. Si ha: −In̂n̂0 = n̂0 · [σΩ n̂] = h α0 β 0 γ 0 i A −C 0 −B 0 α B −A0 −C 0 β −B 0 −A0 C γ (4.7.12) −In̂n̂0 = Aαα0 + Bββ 0 + Cγγ 0 − A0 (βγ 0 + β 0 γ) − B 0 (αγ 0 + α0 γ) − C 0 (αβ 0 + α0 β) (4.7.13) Se i due piani π e π 0 non sono perpendicolari, la determinazione del momento di deviazione del sistema S rispetto ai due piani non è cosı̀ immediata. Infatti, se û = (α, β, γ) e û0 = (α0 , β 0 , γ 0 ) sono i versori normali a due piani π e π 0 non perpendicolari tra loro, si ha: " 0 0 n̂ · [σΩ n̂] = n̂ · − n X # ms ΩPs ∧ (ΩPs ∧ n̂) = − s=1 n X ms n̂0 · [ΩPs ∧ (ΩPs ∧ n̂)] s=1 che si può scrivere, calcolando il doppio prodotto vettoriale: 0 n̂ · [σΩ n̂] = − n X h i ms (ΩPs · n̂)(ΩPs · n̂0 ) − |ΩPs |2 n̂ · n̂0 = s=1 =− n X ms (ΩPs · n̂)(ΩPs · n̂0 ) − s=1 n X ms |ΩPs |2 n̂ · n̂0 s=1 Ricordando la definizione (4.6.9) di momento di deviazione rispetto a due piani e la definizione (4.6.11) di momento polare, si deduce subito: In̂n̂0 = −n̂0 · [σΩ n̂] − IΩ n̂ · n̂0 114 (4.7.14) ASSI PRINCIPALI ED ASSI CENTRALI D’INERZIA La matrice σΩ è reale e simmetrica. Questa proprietà ci consente di affermare che esiste una base ortonormale (cioè un sistema di riferimento con origine in Ω) rispetto alla quale essa assume la seguente forma diagonale: A 0 0 σΩ = 0 B 0 0 0 C (4.7.15) Questa base ortonormale è costituita dagli autovettori di σΩ relativi ai suoi tre autovalori (reali) A, B, C. Denoteremo con i1 , i2 , i3 gli autovettori di σΩ di modulo unitario. Gli assi del riferimento {Ω, i1 , i2 , i3 }, che distingueremo dagli assi della generica terna solidale indicandoli con ξ, η, ζ, sono chiamati assi principali d’inerzia relativi ad Ω, e gli elementi non nulli A, B, C di σΩ sono i momenti principali d’inerzia rispetto agli assi ξ, η, ζ. Essi sono ancora definiti dalle (4.7.7), che ora si scrivono: A= n X s ms (ηs2 + ζs2 ), B= n X s ms (ξs2 + ζs2 ), C= n X s ms (ξs2 + ηs2 ). (4.7.16) mentre le (4.7.9) diventano: A0 = n X ms ηs ζs = 0, s B0 = n X ms ξs ζs = 0, C0 = s n X ms ξs ηs = 0. (4.7.17) s Se ne conclude che nel sistema di riferimento costituito dalla terna principale {Ω, ξ, η, ζ}, che prende il nome di riferimento principale d’inerzia, si annullano tutti i momenti di deviazione. La formula (4.7.11) che fornisce l’espressione del momento d’inerzia rispetto ad una retta passante per Ω e la formula (4.7.13) che fornisce l’espressione del momento di deviazione rispetto a piani passanti per Ω perpendicolari tra loro, quando si sceglie come riferimento il riferimento principale d’inerzia, si scrivono semplicemente: Ir = Aα2 + Bβ 2 + Cγ 2 (4.7.18) −In̂n̂0 = Aαα0 + Bββ 0 + Cγγ 0 (4.7.19) Il tensore d’inerzia relativo al baricentro G del sistema S prende in nome di tensore centrale d’inerzia, il riferimento con origine in G rispetto al quale la matrice delle componenti del tensore centrale d’inerzia assume forma diagonale prende il nome di riferimento centrale d’inerzia, gli assi di questo riferimento si chiamano assi centrali d’inerzia ed infine i momenti d’inerzia del sistema S rispetto agli assi centrali d’inerzia si chiamano momenti centrali d’inerzia. ELLISSOIDE D’INERZIA Il tensore d’inerzia (4.7.2) è suscettibile di una utile interpretazione geometrica. A tale scopo si consideri la formula (4.7.3) che fornisce la legge di variazione del momento d’inerzia rispetto alle rette passanti per Ω e si cerchi il luogo dei punti L = (x, y, z) 115 della generica retta r, passante per Ω, la cui distanza da Ω sia inversamente proporzionale alla radice quadrata del momento d’inerzia, cioè tali che: s |ΩL| = 1 . Ir (4.7.31) Detto u il versore della retta r si ha: s ΩL = 1 u Ir q o anche u= Ir ΩL; (4.7.32) sostituendo quest’espressione nella (4.7.28) si ricava Ir = Ir ΩL · [σΩ ΩL]. L’equazione del luogo cercato è quindi la quadrica: ΩL · [σΩ ΩL] = 1 (4.7.33) FIGURA 4.7.2 In un riferimento {Ω, xyz} la (4.7.33) si scrive: Ax2 + By 2 + Cz 2 − 2A0 yz − 2B 0 xz − 2C 0 xy = 1 (4.7.34) Poichè la matrice d’inerzia è simmetrica e definita positiva, quest’equazione rappresenta un ellissoide di centro Ω, chiamato ellissoide d’inerzia del sistema relativo al punto Ω. Anch’esso è completamente individuato dalla matrice d’inerzia σΩ , e nel sistema di riferimento solidale costituito dagli assi principali d’inerzia ξ, η, ζ la sua equazione si riduce alla forma canonica: Aξ 2 + Bη 2 + Cζ 2 = 1 (4.7.35) dove A, B, C sono i momenti principali d’inerzia relativi ad Ω. 116 SIMMETRIE. GIROSCOPI. Se i momenti principali d’inerzia rispetto a due assi di simmetria dell’ellissoide sono uguali, allora l’ellissoide d’inerzia è di rotazione attorno al terzo asse principale, e il sistema materiale si definisce a struttura giroscopica rispetto al punto Ω. Se tutti e tre i momenti q principali d’inerzia sono uguali, l’ellissoide d’inerzia è la sfera di centro Ω e raggio 1/Ir . Se Ω coincide con il baricentro G del sistema, l’ellissoide relativo a G è chiamato ellissoide centrale d’inerzia, i suoi assi di simmetria sono gli assi centrali d’inerzia e i momenti A, B, C rispetto a tali assi sono i momenti centrali d’inerzia del sistema. Se i momenti centrali d’inerzia rispetto a due assi di simmetria dell’ellissoide sono uguali, allora l’ellissoide d’inerzia è rotondo, e il sistema materiale prende il nome di giroscopio. Le proprietà dell’ellissoide d’inerzia sono legate all’esistenza di simmetrie nel sistema materiale. L’individuazione di un piano di simmetria per il sistema materiale consente spesso di determinare con facilità i momenti principali d’inerzia. In particolare, valgono le seguenti proprietà, di facile verifica: PROPRIETÀ 1. Se il sistema ammette un piano di simmetria π, la retta normale a π passante per ogni suo punto Ω è asse principale d’inerzia relativo ad Ω. PROPRIETÀ 2. Se il sistema ammette due piani di simmetria π1 e π2 perpendicolari fra loro, la retta intersezione dei due piani è asse principale d’inerzia relativo ad ogni suo punto A. Gli altri due assi principali d’inerzia relativi a tale punto A sono le due rette, appartenenti a π1 e a π2 , normali alla retta intersezione dei due piani, passanti per A. PROPRIETÀ 3. Se il sistema ammette due piani di simmetria non perpendicolari fra loro, il sistema è a struttura giroscopica rispetto ad ogni punto A della retta intersezione dei due piani. TEOREMI DI TRASPOSIZIONE TEOREMA DI TRASPOSIZIONE PER IL TENSORE D’INERZIA In questo paragrafo determineremo la legge di variazione del tensore d’inerzia σΩ (e quindi in particolare dei momenti d’inerzia e dei momenti di deviazione) al variare del polo. Consideriamo in particolare il tensore d’inerzia del sistema S relativo al suo baricentro, detto tensore centrale d’inerzia. Esso è per definizione l’applicazione (lineare) che P associa al vettore u il vettore − ns=1 ms GPs ∧ (GPs ∧ u): σG : u −→ − n X ms GPs ∧ (GPs ∧ u) (4.7.39) s=1 e scriveremo σG = − n X ms (GPs ∧)2 s=1 117 (4.7.40) Determiniamo il legame tra i due tensori σΩ e σG . Calcoliamo σΩ u; si ha: σΩ u = − n X ms ΩPs ∧(ΩPs ∧u) = − s=1 =− n X n X ms (ΩG+GPs )∧[(ΩG+GPs )∧u] = s=1 ms {GPs ∧(GPs ∧u)+ΩG∧(ΩG∧u)+ΩG∧(GPs ∧u)+GPs ∧(ΩG∧u)} (4.7.41) s=1 Otteniamo la somma di quattro addendi, che studiamo separatamente. Si ha − n X ms GPs ∧ (GPs ∧ u) = σG u − s=1 n X ms ΩG ∧ (ΩG ∧ u) = −m(ΩG∧)2 u (4.7.42) s=1 come si vede, la prima sommatoria è proprio il tensore d’inerzia relativo al baricentro applicato al vettore u; la seconda sommatoria rappresenta il tensore d’inerzia, relativo al punto Ω, che competerebbe al sistema costituto da un solo punto materiale, il baricentro, in cui si immagina conentrata l’intera massa del sistema. Infine, le altre due sommatorie risultano nulle, − n X ms ΩG ∧ (GPs ∧ u) = 0 − s=1 n X ms GPs ∧ (ΩG ∧ u) = 0 s=1 P in quanto, per definizione di baricentro, si ha ns=1 ms GPs = 0. Concludendo, abbiamo ottenuto il seguente legame: σΩ = σG − m(ΩG∧)2 (4.7.43) Questa formula costituisce il teorema di trasposizione per il tensore d’inerzia, che si enuncia: Il tensore d’inerzia di un sistema materiale rispetto ad un generico punto Ω è dato dalla somma del tensore d’inerzia del sistema materiale rispetto al baricentro e del tensore d’inerzia che competerebbe al baricentro qualora in esso fosse concentrata tutta la massa del sistema. Dalla (4.7.43) si deducono immediatamente i teoremi di trasposizione per il momento d’inerzia e per i momenti di deviazione; per ottenerli basta infatti considerare le componenti, in un generico riferimento, dei due membri della (4.7.43). Si ottengono cosı̀ i seguenti teoremi: Teorema di trasposizione per il momento d’inerzia o teorema di Huygens: Il momento d’inerzia di un sistema materiale rispetto ad una generica retta a è dato dalla somma del momento d’inerzia del sistema materiale rispetto ad una retta aG , parallela alla retta a, passante per il baricentro, e del momento d’inerzia, rispetto alla retta a, che competerebbe al baricentro qualora in esso fosse concentrata tutta la massa del sistema. Denotata con d la distanza tra le due rette a e aG , otteniamo: Ia = IaG + md2 118 (4.7.44) Teorema di trasposizione per i momenti di deviazione. Il momento di deviazione di un sistema materiale rispetto a due piani π1 e π2 tra di loro perpendicolari è dato dalla somma del momento di deviazione del sistema materiale (G) (G) rispetto a due piani π1 e π2 , paralleli rispettivamente ai piani π1 e π2 e passanti per il baricentro, e del momento di deviazione (rispetto ai due piani π1 e π2 ) che competerebbe al baricentro qualora in esso fosse concentrata tutta la massa del sistema. Denotate con d1 e d2 le distanze (con segno) di G dai due piani π1 e π2 , otteniamo: Iπ1 π2 = Iπ(G) π(G) + md1 d2 1 2 119 (4.7.45) 4.9. TENSORE D’INERZIA PER I SISTEMI PIANI Se il sistema materiale è piano, il piano che lo contiene è un piano di simmetria, pertanto la retta normale al piano e passante per un suo punto qualsiasi Ω è asse principale d’inerzia relativo ad Ω. In tal caso, il momento principale d’inerzia rispetto a questa retta normale si denota con IΩ (senza indicare l’asse normale al piano del moto). Inoltre, il momento d’inerzia IΩ è la somma dei momenti d’inerzia del sistema piano rispetto a due assi ortogonali passanti per Ω e contenuti nel piano del sistema. Scegliamo il piano π che contiene del sistema S come piano x, y e sia O un qualunque punto di π. Sia z l’asse passante per Ω ortogonale al piano π e chiamati x e y due assi ortogonali a z uscenti da Ω, si ha: A = Ix = n X mi yi2 , B = Iy = i=1 n X mi x2i , i=1 C = Iz = n X mi (x2i + yi2 ), (4.9.1) i=1 e quindi Iz = Ix + Iy . Inoltre si ha: A0 = n X i=1 mi yi zi = 0, B0 = n X mi xi zi , C 0 = Jxy = i=1 n X m i xi y i (4.9.2) i=1 Pertanto le componenti del tensore d’inerzia di un sistema piano, nel riferimento {O; xyz} sono: Ix −Jxy 0 Iy 0 σΩ = (4.9.3) Jxy 0 0 Iz Il momento d’inerzia del sistema rispetto ad una retta r passante per Ω di versore u = (α, β, γ) è: Ir = Aα2 + Bβ 2 + (A + B)γ 2 − 2C 0 αβ (4.9.4) e l’equazione dell’ellissoide d’inerzia relativo al punto O si scrive: Ax2 + By 2 + (A + B)z 2 − 2C 0 xy = c (4.9.4a) ESERCIZIO Si consideri il sistema piano costituito da 5 punti collegati rigidamente tra di loro, le cui coordinate, nel riferimento di figura, sono: P1 ≡ (0, 0), P2 ≡ (l, 0), P3 ≡ (2l, l), P4 ≡ (0, 2l), P5 ≡ (−l, l). Le masse di P1 , P2 , P3 e P4 sono tutte uguali ad m, la massa di P5 è scelta in modo tale che il riferimento {c1 , c2 , c3 } sia un riferimento principale d’inerzia per il sistema relativo ad O. Determinare il tensore d’inerzia del sistema relativo al suo baricentro. 120 ELEMENTI DI GEOMETRIA DELLE AREE In questo paragrafo considereremo sistemi piani omogenei e supporremo unitaria la loro densità. Parleremo di sistemi piani o di figure (aree) piane. Nello studio di tali sistemi è sufficiente considerare la restrizione del tensore d’inerzia σO ai vettori del piano π. Si verifica infatti facilmente che se S è un sistema piano, che giace su π, l’operatore d’inerzia ad esso associato σO , con O punto qualsiasi del piano π, trasforma vettori appartenenti a π in vettori appartenenti ancora a π. Infatti, scelto il piano π come piano x, y, preso un qualunque vettore v = (v1 , v2 , 0), si ha: Ix −Jxy Iy σO v = −Jxy 0 0 0 v1 Ix v1 − Jxy v2 0 v2 = −Jxy v1 + Iy v2 Iz 0 0 (4.9.5) La matrice delle componenti di σO si scrive semplicemente: " σO = Ix −Jxy −Jxy Iy # (4.9.5a) Il momento d’inerzia del sistema rispetto ad una retta r passante per Ω di versore u = (α, β) è: Ir = u · (σO u) = Ix α2 + Iy β 2 − 2Jxy αβ (4.9.4a) ELLISSE D’INERZIA Fissato un punto O del piano (x, y) e fissata una costante positiva c, il luogo dei punti L del piano tali che risulti: OL · (σO OL) = c (4.9.6) prende il nome di conica indicatrice associata all’endomorfismo simmetrico σO . Come già visto nel caso dei sistemi spaziali, i punti L che appartengono a questo luogo sono legati al momento d’inerzia del sistema Ir rispetto alla retta r dalla relazione: |OL|2 Ir = c (4.9.7) Determiniamo l’equazione cartesiana di questo luogo. Posto OL = (x, y) e ur = (α, β), e sostituendo nella (4.9.6), si ottiene: Ix x2 + Iy y 2 − 2Jxy xy = c (4.9.8) Fissato un valore per la costante c tale luogo è una conica (anzi è un’ellisse, poichè essendo Ir sempre diverso da zero i punti L sono tutti al finito), che prende il nome di ellisse d’inerzia, relativa al punto O, dell’area piana A. Come si verifica immediatamente, tale ellisse è l’intersezione dell’ellissoide d’inezia di equazione (4.9.4) con il piano π di equazione z = 0. Se scegliamo come assi del riferimento proprio gli assi principali d’inerzia passanti per O, denotati con X e Y tali assi, poichè in questo caso il momento di deviazione JXY è 121 zero, l’equazione dell’ellisse d’inerzia si scrive: IX X 2 + IY Y 2 = c (4.9.9) essendo IX e IY i momenti principali d’inerzia del sistema relativi ad O. Ricordando la definizione di raggio d’inerzia ρr , ed indicando con ρX e ρY i raggi d’inerzia relativi agli assi principali d’inerzia X e Y (i raggi principali), l’equazione dell’ellisse d’inerzia si scrive: c ρ2X X 2 + ρ2Y Y 2 = . (4.9.10) A Al variare di c otteniamo tante ellissi simili tra loro. Nello studio della Scienza delle Costruzioni ha particolare importanza un’ellisse d’inerzia, detta ellisse di Culmann, che si ottiene ponendo nella (4.9.10): c = A ρ2X ρ2Y (4.9.11) Con questa scelta della costante c l’equazione dell’ellisse d’inerzia di Culmann si scrive in forma canonica: X2 Y 2 + 2 =1 (4.9.12) ρ2Y ρX Si verifica in particolare la seguente importante proprietà: Il raggio d’inerzia relativo ad un diametro dell’ellisse d’inerzia è uguale alla lunghezza del semidiametro coniugato. FIGURA 4.9.1 DETERMINAZIONE DEGLI ASSI PRINCIPALI D’INERZIA Sia dato il tensore d’inerzia σO , e sia " σΩ = Ix −Jxy −Jxy Iy # (4.9.5) la sua matrice d’inerzia in un dato riferimento, con origine in O. Vogliamo determinare gli assi principali d’inerzia passanti per O. Dobbiamo cioè determinare (nel piano (x, y)) una coppia di assi, perpendicolari tra loro, rispetto ai quali la matrice delle componenti σO assume forma diagonale. Detti ξ, η questi assi e i1 e i2 i rispettivi versori, deve risultare: Jξη = i1 · (σi2 ) = 0 122 (∗) detto α è l’angolo che l’asse principale ξ forma con l’asse x, è i1 = (cos α, sin α) i2 = (− sin α, cos α) conseguentemente la condizione (*) si scrive: " − sin α cos α Jξη = #" Ix −Jxy −Jxy Iy #" # cos α sin α =0 (Iy − Ix ) sin α cos α − 2Jxy (cos2 α − sin2 α) = 0 e quindi 2Jxy Iy − Ix tan 2α = DIREZIONI CONIUGATE DELL’ENDOMORFISMO D’INERZIA Dato un endomorfismo simmetrico, ad esempio il tensore d’inerzia σO , prendono il nome di direzioni coniugate dell’endomorfismo due direzioni, individuate dai versori u e u0 , tali che u · σO u0 = u0 · σO u = 0 (4.9.13) La corrispondenza che associa ad ogni direzione u la direzione u0 ad essa coniugata prende il nome di involuzione delle direzioni coniugate. In componenti, posto u = (α, β) e u0 = (α0 , β 0 ), la (4.9.13) si scrive: Ix αα0 − Jxy (αβ 0 + α0 β) + Iy ββ 0 = 0. (4.9.14) ASSI A MOMENTO DI DEVIAZIONE NULLO Dato il tensore d’inerzia σO , ha interesse determinare le coppie di assi uscenti per O, rispetto alle quali il momento di deviazione del sistema S si annulla. Siano dunque ξ e ξ 0 due rette uscenti da O, denotiamo con û e û0 i versori normali rispettivamente a ξ e a ξ 0 . Si ha: J ξξ 0 = n X 0 ms [OPs · û][OPs · û ] = s=1 n X ms δs δs0 , (4.9.15) s=1 dove abbiamo indicato con δs e δs0 le distanze (con segno) del punto Ps dagli assi ξ e ξ 0 . Ma si ha anche, detti n̂ e n̂0 i versori normali a û e û0 : " 0 0 n̂ · [σO n̂] = n̂ · − n X # ms OPs ∧ (OPs ∧ n̂) = − s=1 =− n X n X ms n̂0 · [OPs ∧ (OPs ∧ n̂)] = s=1 0 ms (OPs ∧ û) · (û ∧ OPs ) = − s=1 n X s=1 123 ms δs δs0 (4.9.16) confrontando con la (4.9.15) si ottiene infine: Jξξ0 = −n̂0 · [σO n̂] (4.9.17) Vediamo cosı̀ che il momento di deviazione di un sistema materiale rispetto a due assi uscenti da O si annulla se e solo se i versori normali a questi assi sono direzioni coniugate per l’endomorfismo d’inerzia σO . 124