Un diario accusa Mori sui misteri del covo di Riina

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Un diario accusa Mori sui misteri del covo di Riina
Un diario accusa Mori sui misteri del covo di
Riina
25 maggio 2003 — pagina 17 sezione: CRONACA
PALERMO - Nessuno l' ha mai perquisito. E nessuno l' ha mai neanche controllato da fuori, anche
se così avevano fatto credere ai procuratori di Palermo. La sua sorveglianza è stata
«inopinatamente» e «incomprensibilmente» abbandonata, poi è stato violato da una mezza dozzina
di mafiosi che l' hanno ripulito persino con un aspirapolvere, che si sono portati via una cassaforte,
che hanno «sottratto beni e valori di pertinenza del latitante e atti e documenti di sicuro interesse
investigativo». In Procura tutti erano certi che la villa fosse sotto stretta vigilanza, come d' altronde
assicurava ben 12 giorni dopo l' arresto del boss di Corleone, l' allora colonnello Mario Mori a un
magistrato che annotava le parole dell' attuale direttore del Sisde in un "diario". Ma le cose non
andarono come sarebbero dovute andare. E, soltanto due settimane dopo la clamorosa cattura, il
procuratore capo Gian Carlo Caselli e i suoi sostituti scoprirono invece «che le attività di
osservazione erano state dismesse il 15 gennaio del 1993 poche ore dopo l' arresto di Riina
Salvatore». Frammenti di una storia italiana che dopo dieci anni resta sempre un grande mistero, la
storia del covo di Totò Riina. I carabinieri dei reparti speciali prima convinsero la Procura a non
perquisire la villa dello "zio Totò" per non "bruciare" le indagini, poi lasciarono immediatamente la
postazione ma raccontarono a tutti che erano ancora lì. Non ci furono malintesi, non ci furono
incomprensioni tra i Ros e i magistrati, ci furono «indubbie condotte anomale» di alcuni alti
ufficiali che non vollero mai entrare nella tana dove si nascondeva il capo dei capi di Cosa Nostra.
Questo c' è scritto nelle carte che nei prossimi giorni, tra il 28 e il 29 maggio, la Procura di Palermo
invierà al gip Vivetta Massa che sei mesi fa aveva chiesto un «supplemento di indagine» intorno
alla mancata perquisizione e allo «svuotamento» della villa del boss. L' inchiesta, che nella prima
fase si era arenata con una richiesta di archiviazione «contro ignoti», adesso è nello stadio finale.
Sono stati appena interrogati i protagonisti degli avvenimenti tra i quali il generale Mori, ci sono
stati confronti "all' americana" tra ufficiali dei Ros e dell' Arma territoriale, soprattutto è emersa una
nuova ricostruzione del "caso" proprio dalla rilettura di quel diario (i magistrati lo definiscono «un
fedele e dettagliato resoconto in progress delle varie riunioni con i Carabinieri svoltesi dall' arresto
di Riina in poi») che l' allora procuratore aggiunto Vittorio Aliquò - oggi Avvocato generale dello
Stato - ha tenuto dal giorno della cattura a quando è entrato in una villa «dove lo stato dei luoghi,
pareti, rivestimenti, mobili, era ormai radicalmente diverso da quello proprio dei locali abitati». E'
questo il punto di svolta di un' inchiesta lunga 10 anni, un passaggio chiave delle vicende mafiose
tra la stagione delle stragi e quella dell' "invisibilità", a cavallo fra bombe e "trattative", tutta
materia delle indagini del Pm fiorentino Gabriele Chelazzi morto per un infarto la notte del 17
aprile scorso. Da sempre i magistrati avevano chiesto «chiarimenti» a ufficiali del Ros e in
particolare a Mori sul perché dell' abbandono del covo, le risposte sono sempre state: «Un
disguido», «Ci siamo capiti male con Caselli e gli altri», «Nessuno ci aveva detto di controllare la
villa». Nel diario di Vittorio Aliquò - che è diventato il pilastro della nuova indagine - si riporta in
particolare la trascrizione di due giorni di appunti. Giorno 15 gennaio 1993: «Durante un incontro
con i magistrati immediatamente dopo l' arresto di Riina, i vertici dell' Arma (presente l' allora
vicecomandante del Ros Mario Mori) assicuravano: 'Garanzia controllo assoluto e costante' ...».
Giorno 27 gennaio 1993: «Nel corso di una riunione con i vertici del Ros, seppur la Procura
sollecitasse l' effettuazione di una perquisizione nella villa di via Bernini, l' allora colonnello Mori
'sembra non avere urgenza e dice che l' osservazione del complesso di via Bernini stava creando
tensione e stress al personale operante, accennando alla sua sospensione' ...». Dodici giorni dopo l'
arresto del boss - secondo ciò che scriveva Aliquò - il generale Mori sosteneva quindi che il covo
era ancora sorvegliato. Ma appena tre giorni dopo, il 30 gennaio, i magistrati di Palermo vengono a
sapere che la vigilanza era cessata subito: nel primissimo pomeriggio di quel 15 gennaio. E'
probabile che prima della chiusura definitiva dell' inchiesta Aliquò sarà ascoltato come testimone.
Sulla base di questo diario i magistrati scrivono nelle carte che invieranno al gip: «In definitiva, a
sapere che dopo la cattura del latitante nessuno aveva più controllato la villa dalla quale era uscito,
erano soltanto pochi alti ufficiali, gli stessi che avevano suggerito di non perquisirla dopo l' arresto
proprio per non bruciare le 'potenzialità investigative ruotanti sul covo' ...». E citano uno dopo l'
altro i fatti avvenuti. Primo: «La mancata perquisizione è addebitabile a indubbie condotte anomale
di ufficiali del Ros che avevano suggerito di rinviare l' immediata perquisizione assicurando agli
altri loro colleghi dell' Arma e alla Procura che la villa sarebbe rimasta sotto costante osservazione
al fine di individuare altri mafiosi che vi fossero recati». Secondo: «Incomprensibilmente invece
tale attività di osservazione fu sospesa senza preavvertire nessuno». Terzo: «L' inopinata
sospensione...consentì invece ai mafiosi di agire indisturbati, provvedendo allo svuotamento della
casa...fino al prelievo di una cassaforte che, secondo Giovanni Brusca, avrebbe potuto anche
contenere documenti di Riina». I procuratori indagano sul covo ma non si avventurano in un terreno
che ancora non hanno esplorato a fondo, quello del "papello", le richieste avanzate da Cosa Nostra
allo Stato tra una strage e l' altra per cancellare il 41 bis e arrivare a una revisione dei processi.
Scrivono ancora: «Non è stato acquisito alcun concreto riscontro in ordine alla presunta sottrazione
di 'documenti scottanti' che possa ricondurre ad appartenenti all' Arma. E' semmai emerso che la
sospensione dell' attività di osservazione rese di fatto più agevole lo svuotamento della villa».
Concludono: «Se tale condotta sia stata poi consapevolmente ispirata, come sostiene il pentito
Brusca, dal timore che nel corso dell' immediata perquisizione del covo potesse trovarsi traccia del
papello, è circostanza che seppure ancorata ad alcune risultanze investigative, non attiene allo
specifico ambito del presente procedimento».
ATTILIO BOLZONI