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commentary Commentary, 23 gennaio 2017 LA LOTTA DELLO STATO ISLAMICO CONTRO IL CORPO FEMMINILE ELISABETTA DI MINICO I n zone di guerra e realtà politicamente instabili, le donne finiscono per essere due volte vittime delle drammatiche circostanze in cui vengono a trovarsi: sono schiacciate, infatti, sia dai traumi bellici, spesso appesantiti da contrasti politici e/o religiosi, sia dal potere maschile, perché il loro corpo, come sostiene il prof. Marcello Flores, paga “l'aggravante di essere donna”1. Nei territori controllati dallo Stato Islamico, la condizione del genere femminile, soggiogato bersaglio di diverse tipologie di vessazioni fisiche e psicologiche, rispecchia tale conflittualità dualistica, già tristemente riscontrata durante le pagine più nere degli ultimi secoli, dalla Seconda Guerra Mondiale ai governi militari dell'America Latina, dalle pulizie etniche nell'ex-Jugoslavia al genocidio in Ruanda, ecc. ©ISPI2017 Le prigioniere dell’IS (Islamic State), comprese le bambine dai 9-10 anni in su, sono, ad esempio, considerate schiave, prevalentemente sessuali, dei loro padroni e possono essere vendute o regalate2. Separate dai propri cari e in genere testimoni dell'assassinio degli 1 Marcello Flores, Stupri di guerra: la guerra di massa contro le donne del '900, Milano, FrancoAngeli, 2010, p. 163. 2 Fatwa numero 64 emessa dal Comitato di Ricerca e Fatwa dello Stato Islamico nel 2015. uomini appartenenti alla loro famiglia, vengono stuprate, picchiate e abusate mentalmente dai loro “possessori”. I tormenti assumono proporzioni talmente devastanti che, per molte, il suicidio è preferibile alla continua tortura. Queste donne, in maggioranza appartenenti alla popolazione yazida, sono considerate un bottino di guerra, da utilizzare anche per raccogliere fondi per il jihad, e uno sfogo per i costanti e destabilizzanti stimoli distruttivi a cui le forze militari e civili in guerra sono incessantemente sottoposte. Le violenze mirano ad annientare la personalità e l'identità stessa delle vittime, al fine di massimizzare il controllo e impedire loro di ribellarsi. L'aggressione sessuale diviene un'arma, un mezzo di conquista e sottomissione, un ulteriore atto di umiliazione, vendetta, supremazia sociale, razziale o di genere. Per quanto riguarda, invece, le seguaci dell'IS, esse, almeno a livello propagandistico, sono presentate come soggetti aventi diritto ad un ruolo attivo nella comunità: devono contribuire a costruire e sostenere il califfato divenendo “degne” mogli di “coraggiosi combattenti”, oltre che madri di futuri guerrieri. In situazioni estreme, come in caso di carenza di uomini, però, perfino loro vengono chiamate a combattere. Elisabetta Di Minico, PhD - Università di Barcellona 1 Le opinioni espresse sono strettamente personali e non riflettono necessariamente le posizioni dell’ISPI. Le pubblicazioni online dell’ISPI sono realizzate anche grazie al sostegno della Fondazione Cariplo. commentary Un esempio eclatante in tal senso sono la brigada al Khansaa e la Umm al-Rayan, sorte nel 2014, rispettivamente nella città siriana di Raqqa e nella provincia irachena di al-Anbar. Composte da sole poliziotte, il loro compito è di controllare che le donne rispettino le regole prescritte dall'IS e dalla Sharia e di punire brutalmente coloro che trasgrediscono, anche minimamente, tali dettami. In pratica, rappresentano un'eccezione il cui compito è umiliare e maltrattare il loro stesso sesso, mantenendolo in una condizione di paura, nonché servile e subalterna al genere maschile. eventuali atti di terrorismo da loro commessi hanno un maggiore risultato mediatico. Un ruolo fondamentale in questo scacchiere è giocato dalle combattenti straniere, che rappresentano il 15-20% dei foreign fighters trasferitisi in Siria ed Iraq: negli ultimi due anni, dall'Europa, in primis da Francia e Germania, sono partite centinaia di volontarie, sia di origine araba, sia di origine occidentale, pronte ad immolarsi in nome di una distorta versione dell’Islam 3. Secondo ricostruzioni ed interviste a ex militanti, il percorso di radicalizzazione è piuttosto lento e parte con una fase iniziale in cui il reclutatore o la reclutatrice e l'adepta discutono, spesso tramite chat, dei problemi moderni, del concetto di bellezza, dell'importanza della purezza, etc. Si passa, in seguito, ad attaccare retoricamente i paesi kafir, ossia “infedeli”, con le loro depravazioni ed eresie. Si arriva, infine, all'argomento più importante: la hijra, “l'espatrio” verso i territori dello Stato Islamico. Per convincere le nuove affiliate a compiere questo grande passo, vengono addirittura usate, all'occorrenza, immagini o profili di giovani uomini affascinanti, piacenti, con un bel sorriso, “eroi” in attesa di una moglie “virtuosa” e “saggia”, nel tentativo di stimolare la predisposizione alla rivolta attraverso il desiderio d’amore4. Secondo “Women in the Islamic State”, documento diffuso in arabo proprio da al Khansaa e tradotto in inglese dalla Quilliam Foundation, le donne dell'IS dovrebbero, infatti, seguire comportamenti specifici, ben regolati e limitanti per rispettare i progetti che “Dio ha stabilito per loro”: possono essere date in sposa dai 9 anni, dovrebbero studiare fino a 15, non dovrebbero uscire fuori casa regolarmente né lavorare, se non come insegnanti o dottoresse, devono saper cucire e cucinare, devono rispettare rigide regole sull'abbigliamento e sulla condotta, devono supportare i mariti nel jihad nelle maniere più opportune. ©ISPI2017 Il reclutamento femminile nell'IS avviene soprattutto attraverso internet, con tecniche di manipolazione e indottrinamento che insistono sulla romanticizzazione e mitizzazione della lotta e sull'estetizzazione della violenza. Una volta arruolate, le donne contribuiscono, normalmente da una posizione sedentaria, a fare propaganda, a diffondere i messaggi del califfato, a persuadere nuovi proseliti ad unirsi alla causa, ad organizzare spostamenti e matrimoni, a raccogliere soldi e così via. A livello strategico, inoltre, la loro presenza viene sfruttata per attirare potenziali militanti di sesso maschile. Il bersaglio principale di questo proselitismo online, infatti, sono adolescenti e giovani donne insicure, emarginate, in una fase di ribellione oppure in cerca di una nuova identità sociale. La dialettica dell'adescamento sfrutta la mancanza di integrazione ed inclusione dei soggetti prescelti, i loro problemi esistenziali, psicologici o economici, fa leva sul bisogno d’appartenenza e dipinge i guerrieri del jihad come vittime di un’ingiusta persecuzione occidentale, stimolando l'empatia nei confronti dell'organizzazione. Tale tattica è efficace principalmente per due motivi: da una parte, incita gli uomini alla partecipazione per assicurarsi una compagna, dall'altra, li convince ad agire per non sentirsi inferiori a quelle donne che svolgono funzioni operative nell'IS. I soggetti femminili, inoltre, tendono a passare più facilmente possibili controlli ed 3 International Center for Counter-Terrorism- The Hague, The Foreign Figthers Phenomenon in the European Union n www.icct.nl, 1 aprile 2016. 4 Heather Saul, Attractive jihadists used as eye candy to recruit British girls into extremist groups in www.indipendent.co.uk, 3 marzo 2015. 2 commentary per sopravvivere nei territori dell'IS è la perdita “dell'anima”6. ©ISPI2017 Quando arrivano in Medio Oriente, però, molte delle “spose pellegrine” si trovano ad affrontare una spirale di abusi, restrizioni, sangue e crudeltà a cui non sono preparate e da cui solo una minima percentuale riesce a scappare. Per la maggioranza, la via d'uscita è una sola: la morte. Come le schiave, molte delle foreign fighters scelgono il suicidio, oppure vengo brutalmente seviziate ed uccise in seguito ad atti di insubordinazione o tentativi di fuga falliti. Questo, ad esempio, è ciò che sembra sia accaduto nel 2015 Samra Kesinovic, diciassettenne austriaca emigrata in Siria nel 2014 per “servire Allah e morire per Lui”5. Tra le possibili conseguenze psicologiche legate a simili contesti, infatti, c’è la desentimentalizzazione dei soggetti, i quali devono affidarsi ad una completa dissociazione dalle azioni che li circondano oppure a un istinto primordiale e prevaricatore, in grado di allentare o distruggere i vincoli morali e giuridici a cui si affiderebbero in uno stato di diritto. In ogni caso, l'io delle vittime viene completamente riscritto dal trauma e della violenza7. La quotidianità delle seguaci dello Stato Islamico è ben lontana dall'epos e dall'idea sentimentale di resistenza, è fatta di sorveglianza, obblighi, privazioni, sottomissione, aggressioni, lapidazioni, frustate e altri orrori. Stando alla testimonianza di un ex membro di al Khansaa fuggita in Turchia, il costo “atroce” che si paga Lo Stato Islamico sta invadendo e usurpando, con diversi livelli di sopraffazione e brutalità, non solo territori martoriati da decenni di cattiva politica, ma anche i corpi e le menti delle persone coinvolte nel conflitto, in particolare delle donne, incidendo, sulla loro pelle, un’offesa all’intero genere femminile, alla società, alla religione, al diritto e all'umanità nella sua essenza. 5 6 Lizzie Dearden, Isis Austrian poster girl Samra Kesinovic used as sex slave before being murdered for trying to escape in www.indipendent.co.uk, 31 dicembre 2015. Arwa Damon, Gul Tuysuz, How she went from a school teacher to an ISIS member in www.edition.cnn.com, 7 ottobre 2014. 7 Elaine Scarry, La sofferenza del corpo, Bologna, Il Mulino, 1990. 3