pdf pagina 1 - Fausto Biloslavo

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LO STATO I
VISTO D
Esce il libro dell’unico giornalista occidentale e non musulmano che è riuscito a visitare
Il disegno di un bambino fuggito dallo Stato islamico, rifugiato nel campo profughi di Dibaga e aiutato dall’ong Terre des hommes.
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il
A TU PER TU CON L’ISIS
O ISLAMICO
O DA DENTRO
are
il Califfato (e a tornare indietro indenne). Ecco i passi più significativi.
«Torneremo a casa? C’è da fidarsi della parola di quei terroristi?» Sono gli interrogativi
che Jürgen Todenhöfer, giornalista e politico tedesco (ha militato nella Cdu), si pone
prima di partire per la Siria e l’Iraq, alla volta del sedicente Stato islamico. È la fine del
2014 e la marcia trionfale delle bandiere nere pare inarrestabile. Grazie a un contatto
via internet con un foreign fighter tedesco,Todenhöfer è riuscito a ottenere un’autorizzazione ufficiale a entrare nel Califfato. E non esita ad andarci, accompagnato dal
figlio Frederic e da Malcolm, il migliore amico del figlio. I tre arrivano nel regno del
terrore islamista il 6 dicembre 2014. E scoprono un mondo di tenebre medioevali, dove
si tagliano le mani ai ladri, non si può ascoltare musica, si puniscono i fumatori con
30 frustate e gli schiavi fanno parte dei bottini di guerra. Ma a terrorizzarli è la scoperta che il loro accompagnatore è Jihadi John, il killer del giornalista Usa James Foley...
Novembre 2014: l’incubo prende forma
«Il dado era tratto. Non si poteva più tornare indietro.
Avevo passato sette mesi di conflitto interiore. Era un’idea da irresponsabili andare nello Stato islamico? Quasi
ogni giorno vedevo o leggevo di azioni barbare e cruente
perpetrate dagli uomini del Califfato. Prima di addormentarmi avevo spesso la sensazione che qualcuno mi
stesse passando la parte non affilata di un coltello lungo
la gola (...). Sull’altro piatto della bilancia c’era il mio
desiderio di riuscire a scoprire la verità sull’Is (...). Ciò
che mi preoccupava di più era che mio figlio, di 31 anni,
avrebbe partecipato a quell’impresa che avrebbe potuto
rivelarsi un harakiri. A casa mi avevano implorato tutti
di non portarlo con me (...). Quando, il giorno prima
della nostra partenza, pregai Frederic di rimanere a casa,
mi rispose: «Lo sai che sono contrario a questo viaggio,
nel modo più assoluto (...). Questo viaggio è una follia».
«Forse hai ragione» risposi «per questo ti chiedo di restare
qui». Frederic mi guardò adirato: «Non ti lascio andare
s.
Record di vendite
La copertina del libro
Dentro l’Is. Dieci giorni
nello Stato islamico,
Lastaria edizioni,
267 pagine, 17 euro.
Scritto dal giornalista
tedesco Jürgen
Todenhöfer, 75 anni,
è in libreria dal 9 giugno.
In Germania ha venduto
oltre 300 mila copie e sta
uscendo in altri 12 Paesi.
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A TU PER TU CON L’ISIS
da solo» (...). Inoltre avevo saputo che
alcuni incursori sono soliti portare con sé,
nelle missioni più rischiose, dei farmaci
che, presi in una certa dose, possono essere fatali (...). Mi ero procurato quattro
unità di un farmaco che, assunto in dose
massiccia, porta alla morte. Le misi nella
mia cassetta dei medicinali (...). Il giorno
prima della partenza dissi a Frederic del
farmaco. All’inizio mi fissò allibito, poi
annuì. Sembrava sollevato.
2 dicembre: la partenza dalla Germania
La sveglia suona alle 7. Non ho dormito
bene, ma dovrò abituarmici. Mi alzo, mi
preparo, un’ultima controllata ai documenti e ai bagagli e si va (...). Non ho la
sensazione di iniziare un viaggio, ma di
apprestarmi a subire un delicato intervento
chirurgico. In anestesia totale. Mi sembra
di sentire l’odore del disinfettante.
6 dicembre: l’arrivo nello Stato islamico
A cento metri da noi c’è un uomo accanto
a una recinzione metallica. Solleva nervo60
so il filo spinato, in modo che possiamo
passarci sotto. Tutti corrono più veloce
che possono. Farlo attraverso i campi,
però, con tanto di bagagli, non è impresa facile (...). Il paesaggio intorno a noi
è desolato (...). Le donne che vediamo
indossano tutte il velo.
7 dicembre: 1.500 dollari per una schiava
Finalmente si va a Raqqa, Siria (...). Per
motivi di sicurezza non possiamo prendere
la strada principale, dobbiamo quindi fare
un giro più largo (...). Abu Qatadah (lo
jihadista tedesco che ha aiutato Todenhöfer
a organizzare il viaggio, ndr), sostiene
che l’economia nello Stato islamico sia in
rapida crescita. Le attività sono quasi tutte
aperte e si fanno molti acquisti, soprattutto
nei mercati. La vita scorre regolare. Ci
stupisce il fatto che ci siano molti nuovi
edifici in costruzione (...). Qatadah ci fa un
breve resoconto, a tratti piuttosto cinico, su
cosa preveda la Sharia dell’Is. Per il furto,
se il valore dell’oggetto rubato supera i 40
dollari americani (...) è previsto il taglio
della mano. I cristiani devono pagare la
jizya, una tassa che gli consente di vivere
indisturbati, che ammonta grosso modo a
300 dollari l’anno per i poveri e a 600 per
i più abbienti (...). I musulmani, invece,
sono tenuti a pagare una tassa chiamata
zakat (...). Al momento gli introiti dell’Is
derivano soprattutto dai bottini di guerra,
dalla vendita del petrolio e dalla zakat. Ai
combattenti del Califfato spettano i quattro
quinti del ricavato dai bottini, mentre un
quinto lo prende lo Stato (...). In realtà non
c’è alcun mercato degli schiavi, così come
ce lo immaginiamo noi. Gli schiavi fanno
parte dei bottini di guerra, per cui diventano proprietà dei combattenti o vengono
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GLI AUTORI
DEI DISEGNI
DI QUESTE PAGINE
Sono i bimbi del campo
profughi di Dibaga.
I bambini del campo profughi
di Dibaga, nel nord dell’Iraq, si
appiccicano alla rete. Un piccoletto
ha la testa fasciata, altri piangono
o si azzuffano per entrare per primi
nelle tende dove possono disegnare.
Sono tutti sunniti fuggiti
dall’offensiva su Mosul, la «capitale»
irachena del Califfo. I disegni della
guerra, che non dimenticheranno
mai, fanno stringere il cuore.
Un miliziano in nero e con il barbone
spara alla testa di un combattente
curdo. I bambini, con le loro famiglie,
sono scappati raggiungendo
il «vallo», un lungo fossato che segna
le linee dei peshmerga. Un altro
disegno mostra il jihadista con
la faccia spiritata, che addirittura
spara ai più piccoli. Anche
i bombardamenti di caccia
ed elicotteri alleati sono descritti
dalle matite colorate dei bambini
di sei, otto anni, traumatizzati
per sempre. I loro disegni fanno
parte del documentario Profughi
dimenticati dei giornalisti di Occhi
della guerra, sostenuto dal Distretto
2050 del Rotary e presentato il 7
giugno a Cremona. I piccoli profughi
di Dibaga sono aiutati dall’ong
Terre des hommes. «Nelle prossime
settimane ci aspettiamo 30-50mila
nuovi sfollati in fuga dal Califfato»
spiega Miriam Ambrosini di Terre des
hommes. Molti saranno bambini, che
spesso disegnano i «mostri», i veicoli
corazzati e riempiti di esplosivo
della bandiere nere utilizzati come
arieti per sfondare le linee.
(Fausto Biloslavo)
venduti. Una donna yazida costa 1.500
dollari, tanto quanto un kalashnikov.
Gabriele Orlini
8 dicembre: l’incontro con Jihadi John
Nello Stato islamico è proibito fumare (...).
All’inizio è stata vietata la vendita di sigarette, più tardi, dopo un paio di settimane,
è arrivato il divieto di fumare nei luoghi
pubblici. Solo in ultima istanza il fumo è
stato bandito completamente. «L’Is, però,
non può certo controllare quello che la
gente fa a casa propria» afferma Qatadah.
«Chi viene sorpreso a fumare in un luogo
pubblico, invece, riceve come punizione
30 frustate». Pure la musica è vietata(...).
Frederic, pallido in volto, si siede accanto a
me e mi bisbiglia in modo quasi impercettibile: «Non ne sono del tutto sicuro perché
senza pc non posso verificarlo, ma credo
che l’inglese imbacuccato sia Jihadi John.
L’occhio mezzo chiuso, il naso aquilino un
po’storto, quel suo accento inglese ruvido,
cadenzato (...). Che facciamo adesso?» Il
cuore quasi mi si ferma: è il boia che ha
decapitato James Foley, così come tante
altre persone, ad accompagnarci in questo viaggio? «Non dire niente a Malcolm.
Verificheremo a casa se le tue impressioni
sono giuste».
9 dicembre: uno svedese a Mosul, Iraq
Mosul dà l’impressione di essere una città
assolutamente normale (...). Attraverso
una porta a vetri, veniamo condotti in un
piccolo negozio. Siamo nella sede della
«casa editrice dell’Is» (...). In una vetrina
ci sono gli ultimi dépliant e opuscoli. Fra i
titoli ci sono, ad esempio: «Come trattare
i propri schiavi», «Come giurare fedeltà
al Califfo», «Come devono comportarsi e
vestirsi le donne» (...). Incontriamo tre
giovani. Sono anche loro dei combattenti, anche se a guardarli non si direbbe.
Una bambina fuggita dallo Stato
islamico, nel nord dell’Iraq.
Due di loro sono biondi. Un finlandese,
uno svedese e un curdo a Mosul. Non è
l’inizio di una barzelletta, ma una delle
realtà dell’Is. Lo svedese chiama Mosul
il suo «paradiso in terra». Sostiene che
qui stia vivendo i giorni più belli della
sua vita (...). Quando arriviamo al nostro
alloggio ormai si è fatto tardi. Il nostro
bungalow economico si trova in un villaggio turistico nel quale risiedono anche
dei combattenti dell’Is.
10 dicembre: le targhe del Califfato
Mentre stiamo per risalire in auto, una
grossa Mercedes classe E grigio scuro si
ferma nell’area antistante all’ingresso
dell’ospedale. Sulla targa nera spicca la
scritta «Califfato dello Stato islamico».
Adesso l’Is ha perfino delle targhe personalizzate! (...) Chiacchieriamo con
due giovani vigili urbani dell’Is. Uno ha
24 anni, il suo collega appena 15. Il più
grande (...) ci racconta che i vigili sono
molto rispettati e benvoluti.
15 dicembre: nella terra promessa
Ci colpisce particolarmente un ragazzo
alto e muscoloso originario di Trinidad e
Tobago. Indossa pantaloni eleganti color
cachi, una camicia a quadri colorati appena stirata e degli occhiali da sole Ray-Ban.
Ha sostenuto appena due settimane fa
l’esame da avvocato nel suo Paese ed è
stato abilitato alla professione. Adesso è
qui. Perché? «Troppa promiscuità, troppe
avventure di una notte, sempre con donne
diverse. Non può essere questo il senso
della vita». Trova che il mondo occidentale sia vuoto, squallido. Gli chiedo cosa
pensi di fare nell’Is. «Farò ciò che mi verrà
chiesto di fare. Se dovrò combattere, combatterò, se dovrò lavorare come giurista,
lo farò. Sarà l’Emiro a decidere ». Non
vede l’ora di cominciare la sua nuova vita.
Finalmente è nella «terra promessa». n
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