contro nei confronti di per l`annullamento
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contro nei confronti di per l`annullamento
N. 04607/2010 REG.SEN. N. 00652/2010 REG.RIC. R E P U B B L I C A I T A L I A N A IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte (Sezione Seconda) ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 652 del 2010, proposto da: Paolo Vicino, rappresentato e difeso dagli avv. Riccardo Ludogoroff e Alberto Ferrero, con domicilio eletto presso l’avv. Riccardo Ludogoroff in Torino, corso Montevecchio, 50; contro Ministero dell'Economia e delle Finanze, rappresentato e difeso dall'Avvocatura dello Stato, domiciliata per legge in Torino, corso Stati Uniti, 45; AAMS, Ufficio Regionale Piemonte e Valle d'Aosta; nei confronti di Bevilacqua Claudia, Titolare Rivendita Torino n. 4; per l'annullamento del provvedimento del Direttore dell'Ufficio Regionale del Piemonte e della Valle d'Aosta dell'Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato, Ministero dell'Economia e delle Finanze, Protocollo n. 9589/05 del 6 aprile 2010, avente ad oggetto: Rivendita Ordinaria n. 49 in Torino (TO). Rigetto istanza di trasferimento da Piazza Carlo Felice 79 a Piazza Carlo Felice 53 nonché di ogni altro atto, presupposto, conseguente e comunque connesso nonché, in via subordinata, delle "Nuove istruzioni sulla istituzione e sul trasferimento delle rivendite ordinarie e speciali, nonché sul rilascio e rinnovo dei patentini" della Direzione Generale dell'Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato prot. 04/63406 del 25 settembre 2001. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero dell'Economia e delle Finanze; Viste le memorie difensive; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 10 novembre 2010 il dott. Paolo Giovanni Nicolò Lotti e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO Con il ricorso in oggetto, parte ricorrente espone di essere titolare della Rivendita Ordinaria di generi di monopolio n. 49 di Torino (licenza di gestione recentemente rinnovata sino al 16.10.2018), che la suddetta Rivendita aveva avuto sede in un locale commerciale ubicato in Torino, al n. 79 di Piazza Carlo Felice, e che se n’era reso necessario l’abbandono causa sfratto per finita locazione, provvedimento del 15 ottobre 2009 di convalida con esecuzione 30 aprile 2010. Si espone ancora che il ricorrente si è visto costretto a chiedere al competente Ufficio Regionale del Piemonte e della Valle d’Aosta di autorizzare il trasferimento della Rivendita in altra sede e, in particolare, nei locali siti a quaranta metri di distanza, nella stessa Piazza Carlo Felice al n. 53 (già sede, in passato e sino all’anno 1997, della stessa rivendita n. 49), nel frattempo affittati proprio a tale fine. Si espone ancora che, in data 22 settembre 2009, la competente Associazione di categoria, la ASSOTABACCAI di Torino, ha espresso parere favorevole al richiesto trasferimento; al termine della relativa istruttoria, invece, il Direttore dell’Ufficio Regionale dell’AAMS, con provvedimento n. 9589/05 del 6 aprile 2010 ha respinto l’istanza, in quanto non sussisterebbero le condizioni per concedere il trasferimento della rivendita, per mancato rispetto della distanza minima da altra rivendita. Si espone ancora che, in data 8 aprile 2010, il ricorrente ha presentato al medesimo Ufficio istanza di trasferimento provvisorio nei locali di Piazza Carlo Felice n. 53, per causa di forza maggiore dovuta allo sfratto esecutivo e che, in data 30 aprile 2010, il Direttore dell’Ufficio ha comunicato l’avvio del procedimento per il rigetto dell’istanza di trasferimento provvisorio emettendo, in data 11 maggio 2010, il provvedimento definitivo. Secondo parte ricorrente, il provvedimento in epigrafe indicato sarebbe illegittimo, per i seguenti motivi: 1 - Violazione ed errata applicazione gli artt. 19, 21 e 25 della legge n. 1293 del 1957. Eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione. Violazione della legge n. 241/1990 e del relativo Regolamento nonché dei principi generali in tema di attività amministrativa e di obbligo della motivazione. Eccesso di potere per irrazionalità. 2 - Violazione di legge con riferimento alla Direttiva CEE 12 dicembre 2006, n. 2006/123/CE, alla legge 7 luglio 2009, n. 88 ed al decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59. Violazione di legge con riferimento all’art. 4 del decreto legislativo n. 114/1998. Si costituiva l’Amministrazione intimata chiedendo il rigetto del ricorso. Alla pubblica udienza del 10 novembre 2010, il ricorso veniva posto in decisione. DIRITTO Rileva il Collegio che il provvedimento di rigetto si fonda su tre considerazioni: con il richiesto spostamento la rivendita n. 49 si allontanerebbe dalla rivendita tabacchi n. 57, ma si avvicinerebbe di 41 metri alla sede della rivendita n. 4 in Via Roma n. 368, collocandosi da tale rivendita a metri 168, e quindi a distanza inferiore alla minima di metri 200; non sarebbe applicabile al caso di specie la Circolare del 63406/04 del 26 settembre 2001 che dispone che: “per le rivendite ubicate nelle zone urbane centrali a distanza inferiore a quella prevista, è consentito il trasferimento nella stessa zona, ancorché comporti l’ulteriore avvicinamento ad altra rivendita, purché tale avvicinamento non sia superiore al 15% della preesistente distanza”; anche qualora fosse applicabile la Circolare Ministeriale n. 63406/04 del 25 settembre 2001, tale avvicinamento sarebbe comunque superiore alla prevista percentuale del 15% per l’eventuale spostamento di rivendita già posta sotto distanza a quella regolamentare, che nella fattispecie non potrebbe essere superiore a mt. 31,30. Ritiene il Collegio di dover sinteticamente riassumere, essenziale a fini decisori, il quadro normativo in vigore relativamente alle rivendite ordinarie di generi di monopolio (fiscale), che è così composto: A) L. 22 dicembre 1957, numero 1293, sulla organizzazione dei servizi di distribuzione e vendita dei generi di monopolio. L’art. 19, “Rivendite di generi di monopolio – Distinzione” stabilisce che le rivendite di generi di monopolio si distinguono: a) [rivendite di Stato] (Lettera soppressa dall'art. 2, L. 13 maggio 1983, n. 198); b) rivendite ordinarie; c) rivendite speciali. Le prime sono gestite in economia dalla Amministrazione. Le seconde sono affidate a privati in appalto o gestione di durata non superiore ad un novennio. Le rivendite speciali sono anch'esse affidate, in genere, a privati, a trattativa privata, per la durata non superiore ad un novennio, dietro pagamento della somma di danaro stabilita dalla commissione prevista dall'art. 1, lettera b), L. 23 luglio 1980, n. 384. Nei casi di rinnovo delle concessioni di cui al precedente comma, il concessionario è tenuto a corrispondere all'Amministrazione una somma di denaro una tantum pari al 50 per cento dell'aggio percepito per la vendita di tabacchi lavorati nell'anno finanziario precedente la stipulazione dell'atto di rinnovo della concessione. Nel caso di rinnovi per periodi di tempo inferiori al novennio la somma di cui sopra è proporzionalmente ridotta. Per il rinnovo novennale delle rivendite site in stazioni ferroviarie la somma una tantum di cui sopra è ragguagliata al 17 per cento dell'aggio sui tabacchi conseguito nell'anno finanziario precedente. L’art. 21, “Istituzione delle rivendite ordinarie”, stabilisce che le rivendite ordinarie sono istituite dove e quando l'Amministrazione lo ritenga utile ed opportuno nell'interesse del servizio. Nei Comuni con popolazione non superiore ai 30.000 abitanti le rivendite ordinarie di nuova istituzione sono assegnate in esperimento mediante concorso riservato agli invalidi di guerra, vedove di guerra e categorie equiparate per legge ed ai decorati al valor militare. Negli altri Comuni e nei capoluoghi di provincia le rivendite ordinarie sono appaltate in esperimento mediante asta pubblica. La rivendita è aggiudicata al concorrente che, osservati i requisiti posti nell'avviso di asta, offra il sopracanone più elevato. L'esperimento di cui ai precedenti commi dura un triennio, allo scadere del quale la rivendita, se non è stata soppressa, è classificata ai sensi dell'art. 25 e può essere appaltata a trattativa privata o assegnata direttamente allo stesso titolare. B) D.P.R. 14 ottobre 1958, n. 1074, recante l’approvazione del regolamento di esecuzione della L. 22 dicembre 1957, n. 1293, sull’organizzazione dei servizi di distribuzione e vendita dei generi di monopolio. L’art. 78, “Trasferimento delle rivendite” stabilisce che il rivenditore non può trasferire la rivendita in altro locale, né sospenderne il funzionamento senza l'autorizzazione dell'Ispettorato compartimentale. C) La circ. n. 04/63406 del 25 settembre 2001, avente ad oggetto “Nuove istruzioni sulla istituzione e sul trasferimento delle rivendite ordinarie e speciali, nonché sul rilascio e rinnovo dei patentini”, anch’essa impugnata. Titolo I - istituzione di rivendite ordinarie, “Criteri generali”, stabilisce che le rivendite di generi di monopolio possono essere istituite, su proposta di privati o d'iniziativa dell'Ispettorato Compartimentale, qualora nuovi sviluppi abitativi, e/o commerciali ovvero la particolare rilevanza assunta da taluni nodi stradali, rendano palesi carenze di servizio nella distribuzione dei generi di monopolio, nonché allorquando l'Ispettorato ravvisi esigenze di servizio. Sia nel caso di proposta dei privati, sia nel caso di iniziativa dell'ufficio competente debbono essere soddisfatte le condizioni di seguito riportate. a) Distanza e rapporto popolazione - rivendite. 1. Nei comuni con popolazione superiore ai 100.000 abitanti, il locale da adibirsi per la nuova rivendita deve trovarsi ad una distanza non inferiore a metri 200 dalla tabaccheria più vicina; 2. Nei comuni con popolazione da oltre 30.000 fino a 100.000 abitanti, la distanza di cui al punto 1) non potrà essere inferiore a metri 250; 3. Nei comuni con popolazione da oltre 10.000 fino a 30.000 abitanti, la distanza di cui al punto 1) non potrà essere inferiore a metri 300; 4. Nei comuni con popolazione fino a 10.000 abitanti la distanza di cui al punto 1) non potrà essere inferiore ai metri 200. In tali comuni dovrà, inoltre, essere contestualmente rispettato il criterio del ragguaglio tra la popolazione residente e le rivendite, proporzionandone una per ogni 1.500 abitanti, o frazione non inferiore a 800 abitanti; 5. Nelle località sparse composte da piccoli agglomerati abitativi non costituenti Comuni a se stanti, ma eventualmente frazioni di Comune caratterizzate da discontinuità dal centro abitato principale, quando siano poste ad almeno 1500 metri da quest'ultimo e distanti dalla rivendita più vicina. almeno 600 metri ed in presenza di una popolazione di non meno di 800 abitanti. La distanza deve essere calcolata seguendo il percorso pedonale più breve secondo le disposizioni di cui alla circolare del 23 maggio 1956, n° 04/47087. Per l'individuazione delle classi di Comuni va considerata la popolazione risultante dai dati ufficiali dell'ultimo censimento pubblicato dall'ISTAT. Per il computo degli abitanti delle frazioni o delle zone sparse si terrà conto della popolazione risultante da aggiornata certificazione comunale. b) Produttività minima. Oltre ai criteri delle distanze minime e dell'entità della popolazione, di cui alla precedente lettera a), nel valutare l'opportunità dell'istituzione di una nuova rivendita, occorre verificare il livello delle vendite dei congeneri viciniori, al fine di individuare l'incidenza di tale istituzione sulla produttività delle rivendite già in funzione, nonché se la potenziale produttività del nuovo esercizio sia tale da giustificarne l'impianto. In ogni caso non si darà luogo all'istituzione di una nuova rivendita quando la quarta parte della somma dei redditi realizzati a tabacchi dalle tre rivendite più vicine, non raggiunga i seguenti valori: • £ 20.000.000 per i comuni con popolazione fino a 10.000 abitanti; • £ 25.000.000 per i comuni con popolazione compresa fra 10.000 e 30.000 abitanti. • £. 40.000.000 per i comuni con popolazione compresa fra 30.000 e 100.000 abitanti • £ 50.000.000 per i comuni con popolazione superiore a 100.000 abitanti. I suddetti valori verranno sottoposti a verifica biennale. Per procedere all'istituzione di una nuova rivendita devono essere soddisfatte le condizioni di cui ai punti a) e b), con la sola eccezione che si prescinde dai parametri suddetti per le nuove istituzioni quando la distanza minima dalla più vicina rivendita sia di almeno 600 metri. Il Titolo III, “Trasferimento delle rivendite ordinarie”, stabilisce quanto segue: a) Termini. Le domande di trasferimento delle rivendite ordinarie, sia all'interno della propria area di influenza commerciale che al di fuori della medesima, possono essere presentate nel primo e nel terzo trimestre dell'anno. Le domande pervenute fuori termine verranno esaminate nel trimestre successivo. Le istanze reiterate saranno ovviamente archiviate quando non si rilevi un mutamento significativo e oggettivo nella situazione precedentemente esaminata. Potranno essere inoltrate durante tutto l'anno, le domande relative a trasferimenti motivati da causa di forza maggiore (calamità naturali di rilevanza tale da non consentire l'esercizio dell'attività, crolli ed incendi tali da rendere inagibile il locale, sfratto esecutivo non per morosità, ancorché siano intervenute proroghe legislative o giudiziarie), o per eventualità comunque imprevedibili da valutare singolarmente. Nei casi di forza maggiore il Direttore dell'Ispettorato Compartimentale competente può autorizzare, nelle more dell'istruttoria, il trasferimento provvisorio della rivendita per un periodo non superiore ad un anno. Tale trasferimento provvisorio non può essere in alcun caso prorogato, salvo il completamento dell'istruttoria per il trasferimento definitivo. b) Condizioni per il trasferimento. Il trasferimento delle rivendite ordinarie, sia all'interno della propria area territoriale di influenza commerciale, sia all'esterno della medesima, è consentito con le modalità ed alle condizioni di seguito riportate. c) Tipologie di trasferimento. Il trasferimento delle rivendite può essere "fuori zona" o "in zona" a seconda del mutamento o meno dell'area di influenza commerciale della rivendita. Il trasferimento è, pertanto, da intendersi fuori zona quando, anche se di entità limitata, comporti un netto spostamento dell'area territoriale di influenza commerciale della rivendita stessa, con forte incidenza o scavalcamento di quella di pertinenza di altri esercizi. d) Trasferimento in zona. 1. Il trasferimento delle rivendite all'interno della propria zona di influenza commerciale è subordinato al rispetto delle distanze previste per le nuove istituzioni. Se si tratta del trasferimento di una rivendita posta a distanza regolamentare dalle congeneri più vicine, lo spostamento non potrà essere comunque autorizzato qualora si infranga, anche nei confronti di un solo esercizio, la distanza minima regolamentare. 2. In caso di rivendite già ubicate a distanza inferiore alla minima consentita, saranno senz'altro autorizzati gli spostamenti che determinino l'aumento delle distanze preesistenti. 3. Per le rivendite ubicate nelle zone urbane centrali a distanza inferiore a quella prevista, è consentito il trasferimento nella stessa zona, ancorché comporti l'ulteriore avvicinamento ad altra rivendita, purché tale avvicinamento non sia superiore al 15% della preesistente distanza. Tale facoltà può essere esercitata una sola volta nell'arco di dieci anni, indipendentemente dai cambi di titolarità dell'esercizio. e) Trasferimento fuori zona. 1. Il trasferimento delle rivendite fuori della propria zona di influenza commerciale è subordinato al rispetto dei parametri di distanza e di reddito previsti per le nuove istituzioni nonché della distanza superiore a metri 600 dal congenere più vicino quando sia già stato raggiunto, nei Comuni fino a 10.000 residenti, il rapporto limite di una rivendita ogni 1500 abitanti. 2. Il trasferimento potrà essere accordato quando la richiesta promani da una rivendita che, per pregresse situazioni, sia posta a distanza inferiore a quella minima prevista qualora lo spostamento comporti l'allontanamento dalle congeneri più vicine. 3. Qualora, invece, l'istanza provenga da un rivenditore posto a distanza regolamentare, ma non superiore ai metri 600 dal congenere più vicino, l'istanza stessa potrà essere accolta a condizione che la produttività conseguita dalla rivendita nell'ultimo biennio risulti inferiore, per ciascuno dei due anni, ai relativi parametri previsti per le nuove istituzioni. 4. Per le rivendite ubicate nelle località sparse di cui al Titolo l°, lettera A). punto 5 della presente circolare, poste a distanza superiore a metri 600 il trasferimento potrà essere accordato solo se la produttività della rivendita interessata, nell’ultimo biennio, risulti inferiore ai 2/3 dei corrispondenti parametri; 5. Salvo i casi di forza maggiore, il trasferimento fuori zona, non può essere accordato se non siano trascorsi almeno tre anni dall'istituzione della rivendita o dalla cessione di essa ai sensi dell'art. 31 della legge 22 dicembre 1957, n. 1293. 5. Viceversa, al fine di evitare attività di tipo speculativo, è vietato il conferimento della rivendita ai sensi dell'art. 31 della legge 22 dicembre 1957, n. 1293, prima che siano trascorsi due anni dal provvedimento di autorizzazione al trasferimento fuori zona della rivendita stessa. f) Istruttoria. Tutte le istanze di trasferimento, in zona e fuori zona, dovranno essere sottoposte, anche per meglio chiarire quale delle due fattispècie si configuri, alla rituale istruttoria secondo le disposizioni di cui alla lettera A) e B) del Titolo I della presente circolare. Una volta acquisiti i prescritti pareri, i Sigg.ri Ispettori adotteranno immediatamente il conseguente provvedimento, dandone comunicazione alla scrivente ed agli Organi consultivi per conoscenza. In caso di più richieste di trasferimento relative alla stessa zona, ove la cronologia della presentazione e le motivazioni addotte non consentano di individuare in modo certo quale istanza accogliere, sarà preferita la rivendita che abbia realizzato nell'ultimo triennio la produttività media più bassa. I Sigg.ri Ispettori provvederanno a comunicare alle Associazioni dei rivenditori l'esito della procedura in tutti i casi in cui siano stati acquisiti i relativi pareri. E' in facoltà dell'associazione di categoria maggiormente rappresentativa a livello compartimentale richiedere la convocazione della Commissione consulti va di cui al titolo I lettera B) quando trattasi di trasferimento provvisorio da trasformarsi in definitivo o quando sussistano elementi di incertezza circa la definibilità del trasferimento in zona o fuori zona. Questo il quadro normativo. La base giurisprudenziale può, invece, sintetizzarsi nei seguenti termini: secondo il Giudice Amministrativo, il diniego di rilascio di concessione di rivendita ordinaria di generi di monopolio costituisce espressione di attività discrezionale della Pubblica amministrazione, in quanto adottato ai sensi dell'art. 21, l. 22 dicembre 1957, n. 1923 secondo cui le rivendite ordinarie sono istituite dove e quando l'Amministrazione lo ritenga utile ed opportuno nell'interesse del servizio e sulla base di considerazioni che, impinguendo nel merito dell'azione amministrativa, sono sottratte al sindacato del giudice amministrativo in sede di legittimità (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 12 ottobre 2010, n. 7437). In specifico, per quanto riguarda il trasferimento delle rivendite ordinarie, la giurisprudenza amministrativa, in relazione all'art. 78 del d.P.R. 14 ottobre 1958, n. 1074, riguardante il trasferimento della rivendita di monopolio ed il rilascio della previa autorizzazione dell'ispettorato compartimentale, ha sancito che la norma in esame, sopra riportata, non pone alcun limite alla discrezionalità dell'Amministrazione, la quale ben può esercitare il potere autorizzatorio secondo criteri prefissati da circolari; è, pertanto, legittimo il diniego del trasferimento da una rivendita che si ponga a distanza inferiore a quella prescritta da tali circolari, qualora l'Amministrazione abbia posto in essere, con esse, una disciplina uniforme della suddetta potestà autorizzatoria, al fine di disciplinare in via generale ed astratta l'esercizio della funzione amministrativa (cfr. T.A.R. Lazio, sez. II, 15 gennaio 1993, n. 21). Riassunti così, i punti fermi dell’istituto in esame, con riguardo alla presente vicenda, il Collegio ritiene di dover esaminare, in primo luogo, il secondo motivo di ricorso. Preliminarmente, si deve osservare che la giurisprudenza comunitaria ha chiarito che nell’ambito del diritto della concorrenza la nozione di impresa abbraccia qualsiasi soggetto che eserciti un’attività economica, a prescindere dallo status giuridico di tale soggetto e dalle sue modalità di finanziamento. Costituisce attività economica qualsiasi attività che consista nell’offrire beni o servizi su un determinato mercato (cfr., in particolare, Corte di Giustizia, sentenze 16 giugno 1987, causa 118/85, proprio in relazione all’attività svolta dall’Azienda Monopoli dello Stato, Commissione/Italia, punto 7; cfr. anche, più in generale, CGE 23 aprile 1991, causa C-41/90, Höfner e Elser, punto 21; 18 giugno 1998, causa C35/96, Commissione /Italia, punto 36; 21 settembre 1999, causa C-67/96, Albany, punto 77; 12 settembre 2000, cause riunite da C-180/98 a C-184/98, Pavlov e altri, punti 74-75; 10 gennaio 2006, causa C-222/04, Cassa di Risparmio di Firenze e altri, punti 107 - 108; 23 marzo 2006, causa C-237/04, Enirisorse, punti 27-28, 34; 1° luglio 2008, causa C-49/07; MOTOE, punto 43). Inoltre, sempre la Corte di Giustizia ha chiarito che è vero che taluni obblighi di servizio pubblico possono rendere i servizi forniti da una data organizzazione (sanitaria nella specie) meno competitivi degli analoghi servizi effettuati da altri operatori non vincolati da tali obblighi, ma tale circostanza non può impedire che le attività di cui trattasi siano considerate attività economiche (sentenza 25 ottobre 2001, causa C-475/99, Ambulanz Glöckner, punto 21). In ogni caso, la questione che occupa questo Giudice non riguarda l’Azienda Monopoli dello Stato, ma le rivendite (ordinarie) commerciali di generi e beni sottoposti a regime di monopolio fiscale. Pertanto, si tratta di attività economica a tutti gli effetti, benché svolta con un particolar regime giuridico (il monopolio fiscale, appunto). In relazione al caso di specie è necessario, tuttavia, stabilire se tali attività di monopolio fiscale costituiscano prestazioni di servizio. Come affermato dalla giurisprudenza della Corte di giustizia, la valutazione di determinate attività, in particolare di quelle finanziate con fondi pubblici o esercitate da enti pubblici, deve essere effettuata caso per caso per stabilire se costituiscano un servizio, alla luce delle loro caratteristiche, in particolare del modo in cui sono prestate, organizzate e finanziate nello Stato membro interessato. La Corte di Giustizia ha ritenuto che la caratteristica fondamentale della “retribuzione” sia rappresentata dal fatto che essa costituisce un corrispettivo economico per i servizi prestati, ed ha riconosciuto che la caratteristica della “retribuzione” è assente nelle attività svolte dallo Stato o per conto dello Stato senza corrispettivo economico, nel quadro dei doveri di rilievo sociale, culturale, educativo e giudiziario, quali i corsi assicurati nel quadro del sistema nazionale di pubblica istruzione o la gestione di regimi di sicurezza sociale che non svolgono un’attività economica. Il pagamento di una tassa da parte dei destinatari, ad esempio una tassa di insegnamento o di iscrizione pagata dagli studenti per contribuire in parte alle spese di funzionamento di un sistema, non costituisce di per sé “retribuzione” in quanto il servizio continua ad essere essenzialmente finanziato con fondi pubblici (cfr. Considerando 34 della Direttiva 2006/123/CE). In relazione alla previa qualifica delle attività in monopolio fiscale come attività di servizio, nel caso di specie si deve porre in rilievo che si tratta di attività di rivendita (ordinaria) di tipo commerciale di beni sottoposti a regime di monopolio fiscale; pertanto, è chiaro che si tratta di attività commerciale di prestazione di servizi cui si applicano le pertinenti norme comunitarie. Con riguardo alla Direttiva 2006/123/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 12 dicembre 2006, relativa ai servizi nel mercato interno, emanata sulla base degli artt. 47, paragrafo 2, prima e terza frase, e 55 del Trattato (oggi, rispettivamente, artt. 53 e 62 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea) deve essere osservato quanto segue. Il fondamento della natura orizzontale di tale direttiva risiede nel fatto di aver adottato un unico strumento giuridico, la direttiva servizi, invece che una serie di direttive settoriali. Tale direttiva è uno strumento quadro: essa si limita a predisporre un insieme di principi essenziali e di divieti generali che coprono tutti i settori facenti parte del suo ambito di applicazione e che sono necessari per regolare le questioni fondamentali, garantire la fiducia dei consumatori e realizzare una cooperazione efficace tra i vari Stati membri. Essa non detta regole precise, non prevede l’armonizzazione totale delle legislazioni nazionali in materia o una sovraregolamentazione. Sarà compito dei vari Stati membri creare norme addizionali più specifiche contenenti le regole necessarie all’assolvimento degli obblighi comunitari provenienti dai principi e divieti suddetti. In questo modo, vengono rispettate le particolarità dei singoli settori economici e dei vari ordinamenti nazionali, a volte molto diversi tra loro, difficilmente uniformabili. La direttiva in esame presenta un ambito di applicazione molto ampio, malgrado i tagli apportati rispetto alla proposta originale. Infatti, la direttiva copre tutte le categorie di servizi, tranne quelle specificatamente indicate nel testo della stessa. In altre parole, la direttiva non presenta una lista positiva, un elenco, dei servizi ai quali può essere esteso il suo ambito di applicazione; essa presenta, invece, una lista negativa, un elenco delle categorie di servizi escluse dal suo ambito di applicazione, che in questo modo risulta essere indefinito, aperto ed evolutivo. Si è, infatti, parlato di tecnica dell’opt-out ovvero, dell’individuazione e selezione di categorie di servizi prese singolarmente da escludere dall’ambito di applicazione della direttiva, in antitesi con l’opposta tecnica dell’opt-in. Sempre a livello di disciplina della Direttiva, per quanto riguarda i generi e i servizi sottoposti a monopolio fiscale in Italia, è stato ritenuto opportuno escludere dal campo d’applicazione della presente direttiva i giochi con denaro, ivi comprese le lotterie e le scommesse, tenuto conto della natura specifica di tali attività che comportano da parte degli Stati membri l’attuazione di politiche di ordine pubblico e di tutela dei consumatori (Considerando 25 della Direttiva 2006/123/CE). Deve essere precisato che l’esclusione dei giochi con denaro, ivi comprese le lotterie e le scommesse, è stata disposta non in quanto esse costituiscono monopolio fiscale (almeno in Italia), ma per le ragioni diverse poco sopra indicate. Tuttavia, appare tranchant, rispetto alle prospettazioni di parte ricorrente, il Considerando n. 8 della Direttiva 2006/123/CE, secondo cui le disposizioni della presente direttiva relative alla libertà di stabilimento e alla libera circolazione dei servizi si applichino soltanto nella misura in cui le attività in questione sono aperte alla concorrenza e non obblighino pertanto gli Stati membri a liberalizzare i servizi d’interesse economico generale, a privatizzare gli enti pubblici che forniscono tali servizi o ad abolire i monopoli esistenti per quanto riguarda altre attività o certi servizi di distribuzione. Pertanto, se la sussistenza dei monopoli fiscali (con lo speciale regime che li contrassegna, rappresentati da una chiusura del mercato a fini di realizzare un’entrata fiscale) è ritenuta non incisa dalla Direttiva cd. Bolkestein, come si è appena detto, nemmeno la disciplina normativa quale quella vigente in Italia, contenuta nel decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59, decreto emanato su delega della L. 7 luglio 2009, n. 88 (Legge comunitaria del 2008), che ha trasposto in Italia la suddetta Direttiva n. 2006/123/CE, può ritenersi rilevante con riferimento alla sussistenza e al regime dei monopoli fiscali in Italia, come quello in oggetto, dovendo la normativa nazionale (specie quella che effettua l’adeguamento ad hoc con disposizioni normative specifiche) essere interpretata in modo compatibile con le pertinenti disposizioni comunitarie contenute nella Direttiva (cd. obbligo di interpretazione conforme; da ultimo, ex multis, Corte giustizia CE, sez. I, 16 settembre 2010, n. 149 e Corte giustizia CE, sez. III, 28 gennaio 2010, n. 406). Pertanto, il secondo motivo di ricorso deve essere rigettato. Deve essere esaminata, a questo punto, la prima censura. Parte ricorrente, testualmente, afferma in ricorso che “il rigetto dell’istanza di trasferimento è fondato su un’applicazione automatica e acritica delle “istruzioni” della Direzione Generale dei Monopoli del 25 settembre 2001, che paiono imporre, anche nel caso di trasferimento, il rispetto della distanza minima dalle tabaccherie vicine prevista per le nuove rivendite: nel caso di specie, 200 metri. Si deve ritenere che tale applicazione automatica non sia legittima, quantomeno nel caso di trasferimento per cause di forza maggiore e quando la nuova sede richiesta sia già stata sede di rivendita”. Si argomenta ancora che “è, innanzitutto e in linea di principio, di dubbia legittimità che, anche in condizioni normali, l’Amministrazione possa applicare, con automatismo assoluto e senza alcuna valutazione discrezionale specifica e dedicata al singolo caso, le istruzioni ministeriali, che, per altro, non paiono essere mai assurte al rango di circolare vera e propria. Si tratta, dunque, di mere istruzioni interne, senza alcuna valenza ed efficacia all’esterno. Come si è premesso, la materia è disciplinata della legge e da un regolamento. La legge nulla dispone in ordine a distanze minime e il regolamento si limita a precisare che il trasferimento è subordinato soltanto all’autorizzazione dell’Ispettorato. Il richiedente, dunque, è vincolato soltanto a queste regole. D’altro canto, l’art. 3 della legge n. 241 del 1990 dispone chiaramente (e si tratta di principio generale) che ogni provvedimento deve essere motivato in relazione alle risultanze dell’istruttoria, con ciò presupponendo una libera formazione della decisione discrezionale relativamente al caso considerato. In tale situazione ben si può immaginare che le richiamate istruzioni possano rappresentare un criterio orientativo ma non che si trasformino in un criterio decisionale rigido e automatico”. (...). Sempre nel primo motivo, sub B), parte ricorrente ritiene che “nel caso qui in esame si manifesta, per altro, una precisa singolarità, che avrebbe reso necessaria una puntuale e adeguata motivazione, ben al di là di quanto richiesto dai principi generali sopra richiamati. La singolarità è data da due elementi specifici, che portano la fattispecie nel campo della straordinarietà. In primo luogo e come si è accennato in premessa, la richiesta di trasferimento, è stata resa necessaria da un intervenuto sfratto esecutivo per fine locazione dall’attuale se4e della rivendita: si tratta, quindi, di una causa di forza maggiore che, come tale, non poteva essere semplicemente ignorata dall’Amministrazione (che ben ne aveva documentata conoscenza) nel momento dell’istruttoria e della decisione. In secondo luogo (e si ritiene che l’argomento sia decisivo), il locale di Piazza Carlo Felice nel quale si è chiesto il trasferimento era l’originaria sede della rivendita n. 49 di Torino. Si tratta, dunque, di un ritorno alla sede storica e non il trasferimento in una nuova sede. Evidentemente la circostanza rappresenta un elemento di valutazione sostanziale, che rende la vicenda del tutto peculiare e al di fuori dei normali modelli operativi. Come tale avrebbe dovuto essere considerata, ponderata e decisa, con una puntuale motivazione sulla singolarità. Non si vuole con ciò sostenere che il ricorrente abbia una sorta di diritto al trasferimento, ma, più semplicemente, che l’Amministrazione sia tenuta a valutare questa circostanza, al di là dei vincoli posti dalle istruzioni della Direzione Generale. Se, poi, anche in questa particolare situazione le medesime istruzioni fossero da interpretare in senso assoluto e rigido, senza alcuna possibilità di deroga o di adeguamento a fronte di circostanze eccezionali, oggettive e di forza. maggiore, esse stesse si manifesterebbero illegittime per violazione dei principi, normativi e di buona amministrazione, sopra richiamati”. Tale ultimo motivo così come riportato deve essere accolto a giudizio del Collegio. Infatti, il provvedimento impugnato non può fare applicazione automatica dei criteri generali, che hanno valore di autovincolo per l’Amministrazione, anche a determinati casi specifici e individuali (casi di forza maggiore), come quelli rappresentati nella specie, casi che la circolare stessa cita, ma poi non prende in considerazione con una disciplina specifica e flessibile, disciplina specifica e flessibile che è invece necessaria, dovendo l’Amministrazione, in casi del genere, compiere una specifica ed articolata istruttoria per verificare se l’interesse prospettato dalla ricorrente possa essere compatibile con l’interesse alla conservazione del monopolio fiscale e al regime protettivo non concorrenziale dallo stesso imposto. Pertanto, l’Amministrazione deve compiere una valutazione specifica, concreta, ancorata a dati obiettivi, bilanciando l’interesse del privato alla conservazione del proprio esercizio commerciale, che ha subito un’interruzione per causa di forza maggiore, con l’interesse, come detto, alla preservazione del monopolio fiscale e al regime protettivo non concorrenziale dallo stesso imposto, anche in applicazione del principio di proporzionalità, di origine comunitaria, che informa l’attività amministrativa ex art. 1, comma 1, l. 241 del 1990. Per effettuare tale valutazione, l’Amministrazione deve compiere idonea istruttoria e dare adeguato conto nella relativa motivazione. Pertanto, alla luce delle predette argomentazioni, il ricorso deve essere accolto, ai sensi di cui in motivazione. Sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese del giudizio. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte (Sezione Seconda), definitivamente pronunciandosi sul ricorso in epigrafe indicato, lo accoglie e, per l’effetto, annulla il provvedimento impugnato, salvi gli ulteriori provvedimenti della PA. Compensa tra le parti le spese del giudizio. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Torino nella camera di consiglio del giorno 10 novembre 2010 con l'intervento dei magistrati: Vincenzo Salamone, Presidente Paolo Giovanni Nicolo' Lotti, Consigliere, Estensore Manuela Sinigoi, Referendario L'ESTENSORE IL PRESIDENTE DEPOSITATA IN SEGRETERIA Il 18/12/2010 IL SEGRETARIO (Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)