Allergeni alimentari - Confcommercio Latina

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Allergeni alimentari
1. Differenze tra allergia alimentare e intolleranza alimentare
In una minima percentuale di persone, alimenti specifici o loro componenti possono provocare
reazioni avverse. Tali reazioni sono generalmente classificate come allergie alimentari (reazioni che
interessano il sistema immunitario) o come intolleranze alimentari (reazioni che non interessano il
sistema immunitario). La nomenclatura degli allergeni è stata pubblicata dalla World Allergy
Organization (Organizzazione mondiale di allergologia) (1) ed è basata sulla nomenclatura proposta
inizialmente dall’Accademia europea di allergologia e d'immunologia clinica (EAACI). (2)
Le allergie alimentari si manifestano quando un allergene (una proteina dell’alimento che provoca
l’effetto negativo, che nella maggior parte delle persone non produce reazioni avverse) innesca una
catena di reazioni riproducibili che interessano il sistema immunitario. Queste reazioni possono
essere a mediazione anticorpale o cellulare. Le prime sono le più comuni e si realizzano in due fasi
(3,4)
:
1. Sensibilizzazione: il contatto iniziale con un allergene non provoca una reazione allergica,
ma attiva il sistema immunitario. Le cellule dendritiche (un particolare tipo di globuli
bianchi), che sono presenti in numerosi punti del corpo, tra cui le placche/sacche della parete
intestinale, svolgono un ruolo centrale in questa fase. Quando s’imbattono in molecole
estranee, le cellule dendritiche le catturano e le presentano ad altre cellule (linfociti T) del
sistema immunitario. Nei soggetti allergici, il sistema immunitario identifica determinate
proteine come nocive per errore. Ciò determina la produzione di grandi quantità di anticorpi
IgE (immunoglobuline E) specifici dell’allergene, che si legano alla superficie dei mastociti
(cellule tissutali).
2. Reazione: una volta avvenuta la sensibilizzazione, una successiva esposizione all’allergene
può provocare una reazione allergica: nei soggetti sensibilizzati, la proteina dell’allergene
forma legami crociati con gli anticorpi IgE sulla superfice dei mastociti, causando il rilascio
di istamina o di altre sostanze, come i leucotrieni e le prostaglandine. Tali sostanze inducono
sintomi allergici (come prurito o gonfiore). Spesso le reazioni sono immediate, ma possono
anche impiegare varie ore per manifestarsi. (5)
Le intolleranze alimentari, invece, non interessano il sistema immunitario. (5,6) Esse possono essere
classificate come enzimatiche (perché dovute, ad esempio, alla carenza di un enzima quale la lattasi,
indispensabile per la digestion del lattosio, un zucchero del latte) o farmacologiche (incluse le
intolleranze dovute ad ammine come l’istamina), mentre in alcuni casi il meccanismo può non
essere definito. (7)
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Il presente rapporto tratta esclusivamente l’allergia alimentare.
2. La prevalenza delle allergie in Europa
Lo studio EuroPrevall è stato uno dei progetti di ricerca più completi destinati a valutare la
prevalenza, la base e i costi dell’allergia alimentare- Questo progetto multidisciplinare finanziato
dall’Unione europea è stato avviato nel 2005 e completato nel 2009. Al progetto hanno partecipato
partner dall’Europa e da tutto il mondo. (8,9) Per quanto riguarda la prevalenza, la ricerca è stata
contraddistinta da 2 elementi: i) un’analisi di oltre 900 pubblicazioni sulla prevalenza delle allergie
alimentari in Europa e ii) un vero e proprio studio per stabilire la percentuale effettiva di lattanti,
bambini e adulti con allergie alimentari in Europa.
Sui 900 studi pubblicati, solo 51 sono stati condotti su un campione rappresentativo e potrebbero
quindi essere utilizzati per stimare la prevalenza. (10) Questi studi hanno indicato la prevalenza per le
allergie alimentari in genere (vale a dire che non si sono limitati a specifici alimenti.) In alcuni
studi, l’allergia alimentare è stata confermata tramite un test di provocazione, un test di
sensibilizzazione cutanea o un test ematico; nella maggior parte degli studi, però, l’allergia
alimentare è stata riferita dai soggetti interessati. Negli studi in cui l’allergia alimentare è stata
confermata da evidenze cliniche, la percentuale di persone allergiche è risultata compresa tra l’1 e il
5 %. Negli altri studi (ossia negli studi relativi ad allergie alimentari riferite dai soggetti stessi), la
percentuale è risultata compresa tra il 3 e il 38 %. La diagnosi di allergia, però, è stata confermata
solo nell’1-11 % dei casi. Questo dato mostra lo scarto tra la percentuale di persone che pensano di
avere un’allergia e la percentuale di persone alle quali viene effettivamente diagnosticata
un’allergia. A causa dell’elevata variabilità dei risultati tra uno studio e l’altro e di altri limiti dei
dati, i ricercatori non hanno potuto utilizzare queste informazioni per calcolare la percentuale
complessiva delle persone affette da allergia alimentare nell’Unione europea. (10)
Lo studio EuroPrevall ha anche stabilito la percentuale effettiva di lattanti, bambini e adulti con
allergie alimentari in Europa grazie allo studio EuroPrevall Birth Cohort (Coorte di nascita
EuroPrevall) e a sondaggi nell’ambito dell’UE. Per lo studio EuroPrevall Birth Cohort sono stati
reclutati complessivamente 12 049 bambini e le rispettive famiglie, provenienti da 9 paesi diversi.
(11)
Ricorrendo a questionari standard e a valutazioni cliniche, lo studio ha esaminato i seguenti
aspetti: i) l’insorgere di allergie alimentari nei primi 2 anni e ½ di vita, ii) i modelli regionali di
allergia alimentare e iii) il ruolo dei rischi parentali, prenatali e nei primi anni di vita e i fattori
protettivi. I ricercatori hanno riscontrato differenze notevoli da un paese all’altro per vari fattori che
sono considerati parte in causa nello sviluppo delle allergie alimentari. Tra questi, la storia
familiare, le prassi ostetriche e l’esposizione ambientale postnatale.
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Anche la Food Standards Agency (FSA) del Regno Unito si è interessata agli studi concernenti
l’allergia alimentare e l’intolleranza alimentare. (12) Uno degli studi finanziati dalla FSA mirava a
produrre dati affidabili circa la prevalenza dell’allergia alimentare e dell’intolleranza alimentare nei
bambini britannici e quindi a comparare tali dati con stime precedenti per stabilire se la prevalenza
sia variata nel tempo. (13) In questo studio, un’intera coorte di popolazione di bambini dell’isola di
Wight è stata seguita dalla nascita fino ai 3 anni di età. Per lo studio sono state reclutate 969 gestanti
in totale (ossia il 91 % della popolazione bersaglio). In 3 anni, 942 bambini (vale a dire il 97,2 %
della popolazione bersaglio) sono stati visitati a 1, 2 o 3 anni di età e 807 bambini (l’83,3 % della
popolazione bersaglio) sono stati visitati tutti gli anni Inoltre, sono state reclutate intere coorti di
popolazione di bambini di età maggiore, cioè bambini di 6 anni (n=1 440, il 100 % della
popolazione bersaglio), 11 anni (n=775, il 47,4 % della popolazione bersaglio) e 15 anni (n=757, il
50,2 % della popolazione bersaglio). I dati sono stati raccolti mediante questionari particolareggiati
e le allergie alimentari riferite sono state confermate tramite test di sensibilizzazione cutanea e test
controllati di provocazione alimentare. Grazie a questo studio è stato riscontrato che la prevalenza
non ha subito variazioni negli ultimi due decenni. Lo studio ha inoltre consentito di osservare che le
allergie alimentari comunicate erano comuni a tutti i gruppi di età, ma la percentuale di allergie
alimentari confermate è stata di gran lunga inferiore (in base a un test in doppio cieco di
provocazione alimentare controllato con placebo e ad una corretta storia clinica, tale percentuale era
compresa tra il 3 % per i bambini di un anno e l’1,4 % per i bambini di undici anni). Sulla base di
questa discrepanza, è stata evidenziata la necessità di diagnosi accurate per evitare che i bambini
vengano sottoposti a diete restrittive non necessarie. Altri rapporti pubblicati, provenienti dall’isola
di Wight, indicano che la prevalenza di allergie alimentari mostra un calo significativo nella fascia
di età compresa tra 4 e 10 anni (prevalenza del 5 % a 4 anni rispetto al 2,3 % a 10 anni), seguito da
un notevole aumento tra i 10 e i 18 anni (4 % a 18 anni). (14)
Altri studi hanno dimostrato che circa il 5-8 % di bambini e l’1-2 % di adulti sono affetti da allergie
alimentari. (15, 16) Secondo quanto riferito, la prevalenza dell’allergia alimentare negli Stati Uniti è
dell’8 % nei bambini (minori di 18 anni). (17)
3. Alimenti implicati in risposte allergiche
Oltre 120 alimenti sono stati descritti come responsabili di allergie alimentari, ma è solo un
numero ristretto di alimenti a causare la maggior parte delle reazioni allergiche. (10, 18) Le
cause più comuni di allergia alimentare nel Regno Unito e negli Stati Uniti sono le arachidi,
la frutta a guscio, le uova, il pesce, il latte vaccino, i crostacei e i molluschi, i semi di soia e i
cereali contenenti glutine (16) , anche se questo modello presenta variazioni in Europa e a
livello internazionale. (19) Lo studio EuroPrevall ha riscontrato che la frutta (ad esempio la
pesca) e la frutta a guscio (come le mandorle) sono le fonti di allergeni più comuni, spesso
in associazione con il polline.
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Anche se molti alimenti o gruppi di alimenti possono innescare una reazione allergica, solo 14
sostanze o prodotti necessitano dell’etichettatura obbligatoria degli allergeni in base alla
legislazione dell’UE (direttiva CE n. 2000/13 (20), Allegato IIIa, che si applica fino al 13 dicembre
2014, e regolamento UE n. 1169/2011 (21), che si applica dopo tale data). Due di questi ingredienti (i
cereali contenenti glutine e il diossido di zolfo/i solfiti) non determinano reazioni immuni mediate
da IgE, ma sono definiti allergeni per semplificare la normativa. Questi 14 ingredienti specifici
(inclusi gli ingredienti introdotti da coadiuvanti tecnologici, additivi e solventi) rappresentano le
cause più comuni o gravi di ipersensibilità alimentare nell’UE all’epoca in cui la normativa è stata
elaborata e devono essere dichiarati sull’etichetta quando vengono impiegati per la produzione di un
prodotto alimentare. Tale dichiarazione non è espressamente richiesta quando uno dei 14 ingredienti
è presente a basse concentrazioni derivanti da contaminazione crociata in un alimento, anche se la
gestione di una situazione di questo tipo non è armonizzata negli Stati membri dell’UE ed è pertanto
trattata conformemente alle valutazioni del rischio nelle singole giurisdizioni.
La sezione 7.2 fornisce ulteriori dettagli sull’etichettatura degli allergeni.
4. Sintomi di allergie alimentari
I sintomi variano da lievi a gravi. Possono interessare vari organi, come l’epidermide, il tratto
gastrointestinale, il tratto respiratorio, gli occhi e il sistema nervoso centrale. Il prurito e/o la
tumefazione della bocca sono i sintomi più comuni. Un’anafilassi che provoca reazioni gravi e
virtualmente letali si verifica in un numero ridotto di casi. Fortunatamente, la maggior parte delle
reazioni allergiche agli alimenti sono relativamente modeste. (6,22)
L’anafilassi è una condizione acuta, potenzialmente letale. Essa può colpire il sistema
cardiovascolare, il tratto respiratorio, la bocca, la faringe e la cute, singolarmente o
contemporaneamente. Di solito, i sintomi iniziali interessano la cute o l’orofaringe (la regione della
bocca). La sintomatologia della cute comprende eruzioni cutanee/bolle, angioedema (gonfiore
sottocutaneo) e prurito (prurito cutaneo). I sintomi della regione orale comprendono formicolio e
prurito delle labbra. L’edema (ossia la tumefazione) della laringe può causare difficoltà a deglutire e
a parlare. Anche la funzione respiratoria può essere gravemente compromessa. I sintomi respiratori
includono broncospasmi, tosse e rantoli. Questi sintomi sono spesso confusi con l’aggravarsi di un
asma preesistente. In alcuni casi, il sintomo iniziale può essere la perdita di conoscenza. (23)
Lo «shock anafilattico» è una condizione grave in cui la pressione sanguigna cala rapidamente e il
soggetto colpito può morire per arresto cardiaco, a meno di una somministrazione di adrenalina
subito dopo l’insorgere dei sintomi per aprire le vie aeree e forzare la dilatazione dei vasi. (6) I dati
raccolti in Inghilterra e in Galles dal 1992 indicano che 20 decessi all’anno sono attribuiti a reazioni
anafilattiche e che circa un quarto di queste reazioni è causato da alimenti. (24) Le reazioni
anafilattiche al cibo sono associate ad allergia mediata da immunoglobuline E. In Europa, le
arachidi sono l’alimento coinvolto più frequentemente (25); anche altri allergeni alimentari, però,
possono causare reazioni anafilattiche. (23)
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5. Diagnosi delle allergie alimentari (test cutanei, diete per eliminazione di alimenti, RAST,
DBPCFC)
Come evidenziato nella sezione 2, la percentuale di persone che pensano di essere allergiche (con
autodiagnosi) è più alta della percentuale di persone alle quali viene effettivamente diagnosticata
un’allergia. Tale discrepanza mette in risalto la necessità di diagnosi accurate per evitare restrizioni
dietetiche non necessarie (26) e per fornire dati affidabili sulla prevalenza.
Il primo passo per diagnosticare un’allergia alimentare è la compilazione di una storia clinica
completa e l’esecuzione di un esame clinico da parte di un medico specialista. Particolare rilievo
viene dato al tipo di sintomi, alla loro frequenza e al momento in cui si manifestano. I metodi
diagnostici specifici comprendono i test di sensibilizzazione cutanea, i test ematici, i test di
provocazione alimentare orale, i test di provocazione in doppio cieco controllati con placebo
(DBPCFC) e le diete per eliminazione di alimenti. Ciascun tipo di indagine presenta vantaggi e
svantaggi. (5, 26-28)
1.
I test di sensibilizzazione cutanea e i test ematici sono i primi test utilizzati per individuare
anticorpi IgE specifici di un alimento. (26, 28) Questi test sono economici e in genere sicuri in
caso di allergia grave alla frutta a guscio. Inoltre possono essere effettuati durante la prima
visita e i risultati sono subito disponibili. Per eseguire il test, si depone una goccia di
allergene sulla cute, di solito sull’avambraccio, e si punge la cute attraverso la goccia di
allergene con una lancetta. La reazione cutanea all’allergene rivela se il paziente possiede
anticorpi IgE ed è quindi sensibile all’allergene. Si possono però ottenere dei risultati «falsi
negativi». (26-29) I test ematici come il test di radioallergoassorbimento (RAST), invece,
misurano i livelli di anticorpi IgE specifici di allergeni presunti tali o già accertati. Le
possibilità di una reazione clinica aumentano con l’aumentare dei livelli di IgE. (27)
2. I test di provocazione alimentare orale richiedono che il paziente ingerisca quantitativi via
via crescenti di un alimento sospetto in condizioni controllate per verificare se si
manifestano sintomi allergici. Questi test vanno eseguiti sotto controllo medico. Nei
bambini non in tenera età e negli adulti, si eseguono normalmente test di provocazione
alimentare in doppio cieco controllati con placebo (DBPCFC), nei quali né il paziente né il
medico sanno se i materiali utilizzati per il test di provocazione contengono l'allergene
esaminato specifico dell'alimento. Sebbene questo test rappresenti lo standard di riferimento
per la diagnosi delle allergie alimentari, si possono ottenere dei risultati «falsi negativi»,
soprattutto quando il dosaggio massimo impiegato è troppo basso. Pertanto, in caso di esito
negativo, è consigliabile che il test sia seguito da un test di provocazione in aperto (non in
cieco). (28)
3. Il test per eliminazione prevede l’abolizione degli alimenti sospetti dalla dieta per due
settimane circa. Se i sintomi scompaiono, gli alimenti sospetti vengono reintegrati nella
dieta, uno alla volta, in piccoli quantitativi che aumentano gradualmente fino a raggiungere
un regime di consumo normale. In questo periodo, i sintomi vengono monitorati. Una volta
verificati tutti gli alimenti sospetti, quelli che causano disturbi possono essere evitati. (5)
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6. Fattori che influenzano la prevalenza delle allergie alimentari
Sebbene i fattori genetici contribuiscano indubbiamente allo sviluppo delle allergie alimentari (30), i
dati disponibili indicano che questi ultimi non sono gli unici responsabili. In alcuni studi è stato
riscontrato che popolazioni con un substrato genetico simile possono avere una prevalenza diversa
di allergie alimentari e viceversa. (31) Sembra quindi che la prevalenza sia correlata a una miriade di
fattori genetici, ambientali e demografici. (32)
La presente sezione esamina quattro fattori specifici: i) maggiore esposizione a nuovi alimenti, ii)
differenze geografiche, iii) cambiamenti nella trasformazione alimentare e iv) cambiamenti nella
tecnologia alimentare.
6.1 Cambiamenti delle abitudini alimentari
In quest’epoca di globalizzazione, in cui i viaggi nel mondo sono frequenti e gli alimenti sono
commercializzati su scala globale, i consumatori sono abitualmente esposti a nuovi alimenti, con un
conseguente cambiamento delle abitudini alimentari.
Negli ultimi 30 anni, tali cambiamenti sono stati posti in relazione a un aumento delle allergie alle
arachidi nel mondo occidentale. I risultati qualitativi dello studio EuroPrevall supportano questo
dato. Gruppi di controllo in quattro diversi paesi (Bulgaria, Polonia, Regno Unito e Spagna) hanno
riferito un maggiore consumo di alimenti sottoposti a trasformazione (gli effetti del processo di
trasformazione sull’allergenicità sono dibattuti nella sezione 6.3), cibi etnici e spuntini. Questi studi
hanno anche rivelato una scarsa conoscenza degli ingredienti di tali alimenti da parte dei
consumatori (ad esempio, nel caso di alimenti non preconfezionati che pertanto non presentano
un’etichetta con gli ingredienti). (33) Altri esempi di correlazione della prevalenza delle allergie alle
abitudini alimentari sono una maggiore incidenza dell’allergia al sesamo in Medio Oriente e Israele
e dell’allergia al riso in Cina e Giappone. (8)
6.2 Differenze geografiche
Le differenze geografiche nella prevalenza degli allergeni possono essere attribuite anche a fattori
diversi dalle abitudini alimentari. Una maggiore incidenza delle allergie alle mele, ad esempio, si
manifesta nell’Europa settentrionale, dove sono diffusi gli alberi di betulla. (34) Questo fenomeno
può essere spiegato con la somiglianza delle proteine allergeniche delle mele con quelle degli alberi
di betulla. Le mele contengono due importanti proteine allergeniche e una di esse, la proteina Mal d
1, ricorda molto la proteina allergenica Bet v 1 presente nel polline di betulla. Di conseguenza, le
persone vulnerabili al polline di betulla potrebbero manifestare reazioni anche alla polpa di mela.
6.3 Trasformazione degli alimenti
Prima di esaminare gli effetti della trasformazione degli alimenti sugli allergeni alimentari, è
importante comprendere l’interazione tra la proteina allergenica e gli anticorpi IgE.
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Come già menzionato nella sezione 1, una risposta allergica viene innescata in un soggetto
vulnerabile quando una proteina allergenica forma legami crociati con gli anticorpi IgE sulla
superfice dei mastociti, causando il rilascio di istamina o di altre sostanze, come i leucotrieni e le
prostaglandine. (5) La porzione di proteina responsabile della formazione di legami crociati con le
immunoglobuline E è detta epitopo. L’epitopo può essere una struttura semplice, come uno
«spezzone» di pochi amminoacidi lungo la struttura primaria (epitopi lineari) o una struttura
tridimensionale più complessa (epitopo conformazionale). Per formare legami crociati con le
immunoglobuline E sono necessari più epitopi. Alcune proteine allergeniche contengono varie
copie dello stesso epitopo, mentre altre possono avere vari epitopi differenti. (36) Eventuali
mutamenti dell’epitopo (ad esempio, qualsiasi cambiamento, eliminazione o sostituzione di
amminoacidi) possono influenzarne la capacità di formare legami crociati con le immunoglobuline
E, il che può a sua volta avere effetti sull'allergenicità. (35, 36) In determinate circostanze, la
trasformazione degli alimenti può alterare l’epitopo, modificando così l'allergenicità degli alimenti
stessi. (35-38) Questo processo può provocare la distruzione, la modificazione, il mascheramento o lo
smascheramento, con conseguente diminuzione o aumento, dell’epitopo oppure può non avere
conseguenze sull’allergenicità. (36) Le conseguenze dipendono non solo dalle proprietà molecolari
dell’allergene, ma anche dal tipo di trasformazione e dall’interazione tra l’allergene e altre
componenti dell’alimento. (35)
Alcuni processi termici (come la cottura in genere, la cottura in forno, la grigliatura, l’essiccatura e
la sterilizzazione) possono avere effetti sull’allergenicità. Le alte temperature possono provocare la
distruzione dell’epitopo in seguito a denaturazione proteica; tuttavia, alcune proteine allergeniche,
come l’allergene Ara h 1 presente nelle arachidi, possono essere termostabili. (39) Anche il tipo di
processo termico è importante: ad esempio, è stato dimostrato che l’allergenicità delle arachidi (del
tipo Virginia) è inferiore nelle arachidi bollite rispetto a quelle tostate. Ciò è stato attribuito alla
perdita in acqua degli allergeni a basso peso molecolare. (40) L’interazione con altre proteine, grassi
e carboidrati nella matrice degli alimenti può anch’essa influire sull’allergenicità. Ne è un esempio
la reazione di Maillard, ossia l’interazione chimica tra amminoacidi e zuccheri durante il
riscaldamento (o la conservazione). Nel latte, l’interazione tra la proteina beta-lattoglobulina e lo
zucchero lattosio provoca una maggiore allergenicità. (41)
Anche la proteolisi (cioè la scissione delle proteine in polipeptidi o amminoacidi più piccoli) può
influire sull’allergenicità. La proteolisi si può produrre grazie a enzimi come le proteasi ed è stata
impiegata per diminuire l’allergenicità dei semi di soia. (42) L’eliminazione fisica della componente
allergenica è un altro modo per ridurre l’allergenicità degli alimenti. Per alcuni alimenti si ricorre a
un insieme di tecniche. Il trattamento del latte con proteasi seguito da ultrafiltrazione viene
utilizzato, ad esempio, per preparare prodotti ipoallergenici come i formulati per lattanti; l’unione di
enzima e trattamento termico si è dimostrata invece capace di ridurre di 100 volte il potenziale
allergenico dell’uovo di gallina. (37)
Queste scoperte mettono in luce opportunità e problematiche per le imprese produttrici di generi
alimentari per quanto riguarda la riduzione e l’eliminazione degli allergeni alimentari.
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6.4 Biotecnologie (alimenti geneticamente modificati)
La manipolazione di piante, animali o microrganismi affinché acquistino particolari caratteristiche è
possibile identificando, isolando e manipolando singoli geni o gruppi di geni responsabili di
specifici caratteri fisici o metabolici (manipolazione o ingegneria genetica).
Sotto il profilo della sicurezza, gli alimenti geneticamente modificati (GM) sono tra le tipologie più
controllate di alimenti. Prima di essere collocati sul mercato, gli alimenti geneticamente modificati
sono sottoposti a una valutazione della loro sicurezza da parte dell’Autorità europea per la sicurezza
alimentare (EFSA) che include una valutazione dell’allergenicità del nuovo carattere. Gli Stati
membri e i cittadini possono commentare sia la richiesta di valutazione che la valutazione stessa
dell’EFSA concernente la sicurezza. Una commissione permanente di esperti degli Stati membri
decide se autorizzare o meno un alimento GM. L’autorizzazione di un alimento GM ha una validità
di 10 anni, ma deve essere rinnovata se l'alimento è destinato a restare sul mercato più a lungo.
Questa procedura garantisce che gli alimenti GM autorizzati alla vendita nell’UE siano altrettanto
sicuri dei loro «antagonisti» non modificati geneticamente. La procedura è descritta dal
regolamento CE n. 1829/2003, relativo agli alimenti e ai mangimi geneticamente modificati. (43)
La tecnologia GM può essere utilizzata anche per eliminare gli allergeni dagli alimenti; ad esempio,
nel caso della produzione di prodotti della soia che comportino un rischio di allergie alimentari
minore rispetto ai semi di soia tradizionali. (44)
7. Gestione dei rischi allergenici da parte del comparto alimentare
Il comparto alimentare è soggetto all’obbligo di legge di produrre alimenti sicuri per i consumatori
(articolo 14 del regolamento CE n. 178/2002). Per quanto riguarda gli allergeni, il comparto
alimentare ottempera a tale obbligo nei modi seguenti:
i) Realizzando un sistema di gestione della sicurezza alimentare in base ai principi dell’Hazard
Analysis and Critical Control Point (HACCP, analisi di rischio e punti critici di controllo).
ii) Etichettando i prodotti alimentari per informare i consumatori della presenza di allergeni.
Il comparto alimentare va incontro a numerose problematiche relative alla gestione del rischio
allergenico; ad esempio, la mancanza di orientamenti a carattere normativo circa i valori di soglia e
i quantitativi e l’assenza di metodi analitici approvati per individuare gli allergeni. Questi argomenti
sono esaminati di seguito.
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7.1 HACCP
L’HACCP è un sistema di gestione della sicurezza alimentare che garantisce l’identificazione di
rischi potenziali (biologici, fisici e chimici) e l’attuazione di strategie per controllare tali rischi
prima che diventino una minaccia per la sicurezza dell’alimento. L’HACCP è alla base della
normativa europea (regolamento CE n. 852/2004, articoli 4 e 5) (45) e internazionale in materia di
alimenti ed è una componente strategica del commercio mondiale di prodotti alimentari. Oggi, gli
standard del comparto alimentare sono fondamentali per aiutare le aziende del settore ad essere
conformi alla normativa o addirittura a superare i requisiti di legge in molti casi. Essi, inoltre,
permettono alle aziende del settore di garantire una certa coerenza in termini di sicurezza e qualità
del prodotto.
La gestione degli allergeni è parte integrante del sistema di gestione della sicurezza alimentare e
mira a gestire potenziali rischi causati da allergeni alimentari. La gestione degli allergeni interessa
tutti gli aspetti aziendali, dalle fasi di acquisto e gestione delle materie prime fino alle fasi di
produzione, trasformazione e confezionamento del prodotto finito. È inoltre importante nella fase di
creazione di nuovi prodotti. (46)
Uno dei problemi maggiori del comparto alimentare consiste nell’evitare la contaminazione crociata
tra ingredienti/alimenti notoriamente allergenici e ingredienti/alimenti non allergenici. Ad esempio,
in molti stabilimenti linee di produzione dedicate alla fabbricazione di un singolo prodotto non sono
sempre sono attuabili o convenienti, per motivi commerciali o per altre ragioni. (47) Di conseguenza,
la pulizia delle attrezzature, delle linee di produzione e degli ambienti in comune è uno dei punti
critici per un controllo efficace degli allergeni. I produttori stabiliscono la periodicità delle pulizie e
procedure idonee alle rispettive strutture (ad esempio, decidono se ricorrere alla pulizia a secco o
meno) che vengono poi approvate (per garantire che il programma di pulizia sia efficace) e
verificate (per accertare che le procedure di pulizia approvate siano state eseguite correttamente).
(48)
7.2 Etichettatura
Requisiti di legge
L’etichettatura è essenziale per venire incontro ai consumatori affetti da allergie o intolleranze,
fornendo loro informazioni circa la composizione dei prodotti alimentari. Anche se molti alimenti o
gruppi di alimenti possono innescare una reazione allergica, solo 14 sostanze o prodotti necessitano
di un’etichettatura specifica degli allergeni ai sensi della legislazione dell’UE (direttiva CE n.
2000/13 (20), Allegato IIIa, e successive modifiche) applicabile fino al 13 dicembre 2014 e del
regolamento UE n. 1169/2011 (21), che si applica dopo tale data. I seguenti ingredienti allergenici
(inclusi quelli introdotti da coadiuvanti tecnologici, additivi e solventi) devono essere indicati
sull’etichetta dei prodotti alimentari:
1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
Cereali contenenti glutine e relativi prodotti
Crostacei e relativi prodotti
Uova e relativi prodotti
Pesce e relativi prodotti
Arachidi e relativi prodotti
Semi di soia e relativi prodotti
Latte e relativi prodotti (incluso il lattosio)
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8. Frutta a guscio, vale a dire mandorle, nocciole, noci, anacardi, noce di pecan, noce del
Brasile, noci del Queensland, e relativi prodotti
9. Sedano e relativi prodotti
10. Senape e relativi prodotti
11. Semi di sesamo e relativi prodotti
12. Diossido di zolfo e solfiti a concentrazioni maggiori di 10 mg/kg o 10 mg/litro riportati
come SO2
13. Lupino e relativi prodotti
14. Molluschi e relativi prodotti
Il fondamento scientifico dell’etichettatura obbligatoria di questi ingredienti allergenici è stato
fornito dal gruppo scientifico sui prodotti dietetici, la nutrizione e le allergie (NDA) dell’EFSA. È
però importante osservare che specifici derivati di alcuni di questi 14 prodotti e sostanze possono
essere esonerati dall'obbligo di etichettatura qualora, a seguito di un parere dell’EFSA, si stabilisca
che tali derivati difficilmente potrebbero causare reazioni avverse in soggetti sensibili. Le esenzioni
attuali sono elencate dalla normativa europea, e precisamente dalla direttiva CE n. 2007/68 della
Commissione europea. Tale elenco viene rivisto periodicamente alla luce dei cambiamenti delle
abitudini alimentari, delle prassi di trasformazione degli alimenti e nel caso in cui emergano nuove
risultanze scientifiche e cliniche. Attualmente, l’EFSA è incaricata di esaminare tutti gli allergeni in
elenco dal punto di vista della prevalenza, delle concentrazioni limite e dei metodi analitici per la
loro individuazione/quantificazione su richiesta dell’Irlanda (Registro delle domande dell’EFSA:
mandato M-2011-0194, numero domanda EFSA-Q-2011-00760).
Il 13 dicembre 2014 entreranno in vigore nuove norme (21) riguardanti l’etichettatura degli allergeni.
Innanzitutto, la denominazione dell’allergene dovrà essere chiaramente distinta dagli altri
ingredienti presenti sull’etichetta dei prodotti alimentari preconfezionati, ad esempio mediante il
carattere, lo stile o il colore. Si dovranno quindi fornire informazioni sugli allergeni per gli alimenti
non preconfezionati (alimenti venduti sfusi nei ristoranti, dai banchi e chioschi gastronomici, cibo
da asporto, etc.). Questo nuovo requisito è particolarmente importante se si considera che molti casi
di allergia alimentare sono correlati ad alimenti non preconfezionati o consumati fuori casa. La
legislazione non pone obblighi dal punto di vista della quantità di informazioni da fornire per gli
alimenti non preconfezionati, ma dispone semplicemente che i diritti nazionali stabiliranno requisiti
precisi.
Etichette cautelative su base volontaria
Sebbene il comparto stia facendo tutto il possibile per eliminare il rischio che la presenza non
intenzionale di allergeni alimentari comporta, in numerose aziende è virtualmente impossibile
fabbricare prodotti a rischio zero. Per questa ragione, i produttori ricorrono talvolta a formule
cautelative come «potrebbe contenere…» oppure «preparato in uno stabilimento che utilizza…»
quando ritengono che alcuni allergeni potrebbero essere presenti in quantità tali da comportare un
rischio, indipendentemente dalla loro volontà. È però importante notare che l’etichettatura
cautelativa non può sostituire il sistema di gestione degli allergeni che ogni impresa alimentare ha
l’obbligo di attuare nell’ambito del proprio sistema di gestione della sicurezza alimentare.
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Pertanto l’etichettatura degli allergeni involontariamente presenti dovrebbe avvenire
esclusivamente nei casi in cui il rischio di una loro presenza involontaria sia concreto e non sia
realistico sperare che venga tenuto sotto controllo. Bisogna inoltre considerare che, sebbene non
esista al momento una normativa specifica concernente l’etichettatura cautelativa, disposizioni al
riguardo dovrebbero essere emanate in futuro una volta completato il mandato dell’EFSA, ossia si
prevede che la Commissione europea adotti un provvedimento attuativo che tratti la materia. (21)
Attualmente, due sono le principali questioni attorno all’etichettatura cautelativa su base volontaria:
1. La mancanza delle soglie di sicurezza degli allergeni (cioè della quantità minima che
potrebbe causare una reazione in una percentuale rilevante di consumatori vulnerabili) e
delle soglie per l’etichettatura (ossia il livello, superato il quale è necessaria una specifica
dichiarazione sulla confezione del prodotto) ha rappresentato una fonte di disagio per i
produttori, determinando incongruenze nell’applicazione dell’etichettatura cautelativa. È
stata inoltre problematica per le autorità di regolamentazione, facendo sì che l’atteggiamento
e la reazione di queste ultime di fronte alla presenza non voluta di basse concentrazioni di
allergeni non dichiarati negli alimenti differissero notevolmente nei vari paesi dell’UE.
2. L’etichettatura cautelativa, se applicata con prudenza, può contribuire a tutelare i
consumatori vulnerabili. L’uso ingiustificato di etichette cautelative può però avere i
seguenti effetti: i) eliminazione non necessaria di scelte sane dalla dieta di consumatori
allergici o ii) riduzione della credibilità delle etichette e conseguente assunzione di rischi nei
confronti di tali alimenti da parte di consumatori vulnerabili. A quest’ultimo proposito, uno
studio condotto da genitori britannici di bambini con allergia alla frutta a guscio ha rivelato
che molte persone o ignoravano le avvertenze riportate sugli alimenti oppure immaginavano
che la loro formulazione (ad esempio, «non indicato» per le persone affette da allergia alla
frutta a guscio» in confronto a «potrebbe contenere tracce di frutta a guscio», etc.)
rispecchiasse un determinato grado di rischio. (49)
7.3 Definizione delle soglie
Le soglie di sicurezza degli allergeni possono essere definite a due livelli: soglie individuali e soglie
per popolazione. Una soglia individuale è la quantità massima di allergene che può essere tollerata
da un soggetto allergico. Una soglia per popolazione, invece, è la quantità massima di allergene che
può essere tollerata da un’intera popolazione (o da un sottogruppo rappresentativo) di soggetti con
allergia alimentare. La definizione di soglie per popolazione che tutelino tutti i soggetti vulnerabili è
però virtualmente impossibile, quindi è più realistico definire soglie di popolazione che scongiurino
reazioni gravi nella stragrande maggioranza dei soggetti vulnerabili. Le soglie per popolazione
possono aiutare sia il comparto alimentare che le autorità di regolamentazione a valutare il rischio
per la salute pubblica e a concepire obiettivi di sicurezza alimentare appropriati con l’intento di
orientare la gestione del rischio. (50) Esse potrebbero offrire, ad esempio, una base scientifica per
un’etichettatura obbligatoria e cautelativa efficace e coerente.
Negli ultimi anni sono state colmate alcune lacune nelle informazioni che non permettevano
valutazioni del rischio quantitativo e quindi la definizione di soglie di sicurezza. Sono stati inoltre
messi a punto strumenti per analizzare questi dati (attualmente la modellazione statistica della
distribuzione quantitativa è un approccio generalmente accettato per caratterizzare i rischi derivanti
da allergeni e lo stesso vale per gli approcci probabilistici volti a stimare le probabili conseguenze
di un particolare modello di contaminazione da allergeni).
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Un altro passo avanti è l’approccio pratico alla valutazione del rischio allergenico noto come
VITAL (Voluntary Incidental Trace Allergen Labelling, etichettatura volontaria degli allergeni in
tracce accidentali), ideato inizialmente dall’Australian Allergen Bureau nel 2007 (Vital 1.0) e
aggiornato nel 2012 (VITAL 2.0). VITAL è una metodologia basata sul rischio intesa a valutare
l’impatto del contatto crociato tra allergeni e ad offrire un’etichettatura cautelativa adeguata degli
allergeni. Questa metodologia si avvale di una griglia di azioni utile per stabilire se la presenza di
proteine allergeniche residue dovuta a un contatto crociato inevitabile necessiti di una dichiarazione
cautelativa sull’etichetta.
Tenuto conto di tali sviluppi e consapevole che permangono lacune nei dati, l’unità operativa per le
allergie alimentari dell’International Life Sciences Institute (ILSI, Istituto per le Scienze della vita)
Europe ha costituito un gruppo di esperti allo scopo di pervenire a un parere condiviso circa i livelli
quantitativi di intervento nella gestione degli alimenti allergenici. A settembre 2012, ILSI Europe
ha ospitato un workshop intitolato «From Threshold to Action Levels» (Dalla soglia ai livelli di
intervento), invitando i maggiori esperti a raggiungere un’intesa circa la fattibilità della definizione
di livelli soglia, gli approcci da utilizzare e le lacune ancora da colmare in termini di informazioni e
conoscenze.
7.4 Metodi analitici per l’individuazione di allergeni
Il comparto alimentare necessita di metodi affidabili per individuare e quantificare gli allergeni al
fine di approvare le procedure di pulizia (51), garantire la conformità all’etichettatura degli alimenti e
potenziare la tutela dei consumatori. (52, 53) Metodi affidabili sono importanti anche per permettere
alle autorità di regolamentazione di valutare la conformità dei prodotti alimentari alla legislazione
(normativa in materia di sicurezza alimentare generale e normativa in materia di etichettatura). (51)
Cinque criteri – accuratezza, precisione, sensibilità, specificità e riproducibilità – sono generalmente
adottati per determinare l’affidabilità dei metodi. (53) ELISA (saggio immunoassorbente legato a
enzima) e la reazione a catena della DNA-polimerasi (PCR) sono i principali metodi utilizzati per
individuare e quantificare gli allergeni alimentari. (54)
Il metodo ELISA è basato su interazioni antigene-anticorpo con le proteine allergeniche. Questo
metodo è specifico, sensibile, presenta pochi limiti di individuazione/quantificazione ed è rapido.
Tuttavia, è assai specifico di una data matrice e può virtualmente produrre dei risultati «falsi
negativi» perché si basa sull’interazione proteina-anticorpo. Anche altre tecnologie basate su
anticorpi (come le aste di livello e i dispositivi di flusso laterale) sono utili per un’analisi rapida,
specialmente quando è necessario eseguire esami non in laboratorio (ad esempio, per monitorare
l'efficacia delle procedure di pulizia). (51)
La reazione a catena della DNA-polimerasi (PCR) è un metodo impiegato per rilevare e quantificare
il DNA. Questo metodo è utile per rilevare/quantificare gli allergeni in alimenti trasformati, dato
che il DNA è solitamente più resistente della proteina e pertanto è meno probabile che venga
danneggiato o distrutto durante il processo di trasformazione. Con questa tecnica il DNA prescelto
viene amplificato, il che la rende particolarmente idonea a un suo utilizzo in presenza di quantità
estremamente ridotte di fonte allergenica. Inoltre, la selezione corretta di «primer» (porzioni di
acido nucleico utilizzate come punto di origine della sintesi del DNA) fa sì che questa tecnica sia
altamente selettiva, con una minore probabilità di risultati «falsi positivi».
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L’approvazione dei metodi è parte integrante di qualunque buona prassi analitica ed è essenziale per
garantire che il metodo sia adeguato allo scopo. Il Centro comune di ricerca (JRC) della
Commissione europea ha contribuito alla stesura di linee guida internazionali dal titolo Validation
Procedures for Quantitative Food Allergen ELISA Methods. Scopo di tale guida è promuovere
esami armonizzati, accurati e affidabili degli allergeni alimentari potenzialmente letali nei laboratori
di analisi di tutto il mondo. (55) Finora sono stati approvati kit per test ELISA per determinate
matrici, ossia per allergeni ben precisi in specifici prodotti alimentari (come le arachidi nei cereali, i
biscotti, i gelati e il cioccolato). (51) Anche i metodi basati sul DNA sono stati approvati per
determinati materiali allergenici, in particolare quando è stato difficile sviluppare tecnologia
ELISA, come nel caso del sedano, caratterizzato da reattività crociata con molte altre piante
commestibili della stessa famiglia (metodo CEN/TS 15634-2:2012).
8. Strategie di prevenzione delle allergie, approccio dietologico
L’unico modo per prevenire una reazione allergica consiste nell’evitare gli alimenti che causano
segni e sintomi; la ricerca si sta tuttavia concentrando sulla prevenzione della sensibilizzazione
iniziale. Nonostante una copiosa attività di ricerca e numerosi studi di intervento, nessun approccio
ha raggiunto finora tale obiettivo.
I dati a disposizione indicano che lo sviluppo di tolleranza agli allergeni richiede una
colonizzazione precoce del tratto intestinale da parte di una microflora adeguata. (56, 57) Ciò ha
portato a indagini con l’impiego, tra l'altro, di probiotici (microrganismi vivi, il cui consumo può
recare beneficio alla salute delle persone) e/o prebiotici (componenti alimentari che possono recare
un beneficio alla salute delle persone grazie al cambiamento della flora batterica intestinale che
riescono a produrre, se consumati). Sebbene sia dimostrato che il Lactobacillus rhamnosus può
ridurre l’incidenza dell’eczema nei lattanti, non esiste alcuna correlazione certa tra altri probiotici e
la prevenzione di altre forme di allergia. Inoltre non è noto se gli effetti dei probiotici sono transitori
o duraturi. La situazione è analoga nel caso dei prebiotici. Occorre un’attività di ricerca più
massiccia in quest'area prima di poter trarre conclusioni.
Numerosi studi hanno esaminato gli effetti benefici dell’allattamento al seno per la prevenzione
delle allergie. L’Accademia europea di allergologia e d’immunologia clinica (EAACI) raccomanda
l’allattamento al seno esclusivo nei primi 4-6 mesi di vita per prevenire lo sviluppo di affezioni
allergiche, comprese le allergie alimentari. In mancanza di latte materno, si dovrebbe usare una
formula con proteine idrolizzate e ipoallergenicità documentata per almeno 4-6 mesi nei lattanti a
maggior rischio di affezioni allergiche (come i lattanti con madre, padre o fratelli allergici). (58, 59)
Varie meta-analisi (60, 61) suggeriscono un forte legame tra l’allattamento al seno per almeno 3 mesi
e la riduzione del rischio di dermatiti atopiche; i dati sono però meno affidabili per quanto riguarda
le allergie alimentari (62) e sono pertanto necessarie ulteriori ricerche. Ciò nonostante, non si può
sottovalutare l’importanza dell’allattamento al seno come fonte di nutrimento per i lattanti.
Per quanto riguarda la relazione tra il consumo materno di allergeni (come le arachidi) durante la
gravidanza e successive allergie alimentari del bambino esistono dati contrastanti. Una delle ipotesi
attualmente al vaglio è la possibilità che alcune allergie alimentari siano causate da esposizione
cutanea o respiratoria e che l’esposizione orale durante l’assunzione di cibo è di fatto protettiva,
determinando lo sviluppo di tolleranza.
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Questa ipotesi è alla base degli studi LEAP (Learning Early about Peanut allergy, prevenzione
dell’allergia alle arachidi) (63) e EAT (Early Acquisition of Tolerance, sviluppo precoce di
tolleranza) (64)
Altri fattori dietetici correlati da un punto di vista epidemiologico alle affezioni allergiche sono gli
acidi grassi polinsaturi e gli antiossidanti come le vitamine (C, D, E), lo zinco e il selenio. (65) La
carenza di vitamina D, ad esempio, è stata posta in relazione all’anafilassi causata da alimenti,
mentre la nascita nei mesi invernali è stata associata a un modesto aumento di anafilassi indotta da
alimenti.
9. Attività in corso in questo campo (altre agenzie/organizzazioni)
Varie parti interessate devono offrire uno stimolo alla gestione degli allergeni. Alcune di esse sono
esaminate di seguito.
L’International Life Sciences Institute (ILSI, Istituto per le Scienze della vita) Europe è impegnato
attivamente in questo campo. Oltre alla definizione dei livelli soglia menzionati nella sezione 7.3, il
gruppo operativo svolge altre attività, incluse le seguenti: attribuzione di priorità agli alimenti
allergenici, tenendo conto della loro rilevanza per la salute pubblica, e divulgazione di nuovi dati e
approcci relativi alle valutazioni del rischio per gli alimenti allergenici. (66)
L’Accademia europea di allergologia e d’immunologia clinica (EAACI) è un’associazione di
medici, ricercatori e operatori della sanità riuniti, che si dedica a migliorare la salute delle persone
con affezioni allergiche. A giugno 2012, l’EAACI ha lanciato una propria campagna contro
l’allergia alimentare. Scopo della campagna è accrescere la consapevolezza del netto aumento di
anafilassi nei bambini. (67, 68)
A livello nazionale, molte agenzie per la sicurezza alimentare in Europa, come la Food Safety
Authority of Ireland (FSAI) e la UK Food Standards Agency (FSA) (69, 70), sono attivamente
coinvolte nella diramazione di allarmi sugli allergeni alimentari. I consumatori possono abbonarsi a
questi «bollettini» per essere certi di disporre delle ultime informazioni in tema di etichettatura degli
allergeni inadeguata o non corretta.