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INSEGNAMENTO DI
PEDAGOGIA GENERALE
LEZIONE IV
“L’APPROCCIO COGNITIVISTA:
DA PIAGET A GARDNER ”
PROF. RICCARDO FRAGNITO
Pedagogia Generale
Lezione IV
Indice
1.
L’epistemologia genetica di Piaget ...........................................................................................3
2.
Vygotskij: il ruolo del linguaggio..............................................................................................9
3.
La cultura dell’educazione di Bruner ....................................................................................13
4.
Gardner e la teoria delle intelligenze multiple ......................................................................16
Conclusione.......................................................................................................................................19
Bibliografia .......................................................................................................................................24
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
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1. L’epistemologia genetica di Piaget
Il modello cognitivista trova la sua giustificazione teorica nell’analisi sviluppata dalle teorie
epistemologico-genetiche. In questo ambito si fonda la spiegazione dei processi cognitivi e le fasi
del loro sviluppo dall’infanzia all’età adulta. Questo modello è stato introdotto da Jean Piaget che
consente, in tal modo, di comprendere il costituirsi del pensiero nelle sue espressioni più evolute.
Piaget ha dedicato particolare attenzione alla problematica legata allo sviluppo del soggetto
rappresentando ancora oggi un significativo punto di riferimento per chi si appresta ad affrontare gli
studi legati alle teorie dell’apprendimento.
Piaget ha elaborato la concezione di strutture e schemi di funzionamento cognitivo deputati
all’elaborazione dell’informazione; in un’opera molto importante L’introduzione all’Epistemologia
genetica introduce la scienza della conoscenza biologica e propone di studiare le forme e i modi del
processo conoscitivo e le leggi del suo sviluppo; egli sostiene, a tal proposito, che le “strutture del
sapere” si sono sedimentate nel tempo e si sono “impregnate” nell’uomo secondo la teoria
dell’evoluzione della specie darwiniana che ha portato ad una selezione naturale della “specie idee”
o meglio una maggiore definizione delle strutture cerebrali; ne consegue, quindi, che nell’uomo
sono sopravvissute solo le “idee” che hanno facilitato la sua esistenza, il suo vivere.
Quindi accanto alla selezione naturale della specie si è avuta anche la selezione biologica delle idee
che si è gradualmente definita generando una mappa genetica di tutte le strutture che si sono
sedimentate nel corso del tempo e che hanno permesso all’uomo di sopravvivere e dominare
l’ambiente circostante.
Lo sviluppo appare pertanto come un continuo processo di “assimilazione”, “accomodamento” ed
“equilibrio”, che mette il bambino nella condizione di adattarsi all’ambiente accogliendo
informazioni nuove all’interno di schemi mentali pre-esistenti, modificandoli e raggiungendo un
nuovo e più maturo equilibrio tra conoscente e conosciuto.
In particolare Piaget si è dedicato allo studio sistematico dell’evoluzione delle strutture cognitive,
dal bambino fino all’adulto 1 . Per descrivere lo sviluppo cognitivo 2 si serve delle “funzioni” e delle
“strutture”.
1
Questo adattamento continuo all’ambiente si evolve attraverso delle fasi o stadi. Lo studioso perseguì questo obiettivo
attraverso un metodo di ricerca sperimentale di tipo clinico, basato cioè sullo studio sistematico di un piccolo numero di
soggetti, ponendosi in una situazione di osservazione partecipata, egli infatti parlava con i bambini, li interrogava, non
nascondeva la sua curiosità rispetto ai loro percorsi mentali.
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Le “funzioni” riguardano l’adattamento dell’individuo all’ambiente, a sua volta l’adattamento si
scinde in due processi contemporanei che sono l’assimilazione e l’accomodamento. L’assimilazione
indica la tendenza ad incorporare ogni dato nuovo all’interno di schemi che l’individuo già possiede
e che non vengono modificati dall’incontro con nuovi stimoli. L’accomodamento è invece il
processo inverso, per cui lo schema o struttura, si modifica per accogliere i nuovi oggetti di
esperienza.
Ogniqualvolta il bambino generalizza un comportamento già acquisito a situazioni diverse si ha
assimilazione, mentre quando il bambino è costretto a modificare un suo schema per adeguarlo ad
una esperienza nuova e diversa si realizza un accomodamento.
Per quanto concerne le “strutture”, Piaget individua degli stadi strettamente collegati con lo
sviluppo biologico che sarebbe alla base dell’apprendimento, infatti, solo se nel soggetto si
raggiunge una determinata maturazione strutturale-biologica si possono ottenere determinati
apprendimenti e conseguentemente solo se le strutture caratteristiche di ogni stadio si sono formate
si possono “plasmare” le strutture successive.
Pertanto lo sviluppo mentale del bambino per Piaget si dispiega dall’infanzia all’adolescenza
attraverso quattro stadi fondamentali: lo stadio senso-motorio, lo stadio pre-operatorio, lo stadio
operatorio-concreto, lo stadio logico-formale 3 .
Stadio senso-motorio, si sviluppa dalla nascita ai 2 anni circa, durante questa fase il bambino
costruisce le prime forme di conoscenza secondo una sequenza obbligata, e giunge, in tal modo alle
prime modalità di interazione con l’ambiente. Pertanto la mente del bambino opera attraverso
rappresentazioni interne che non richiedono una corrispondenza immediata con oggetti e persone.
Riportando un esempio classico è possibile mostrare che il sistema di prensione degli oggetti in
questo stadio (oggetti tondi, quadrati o sottili) sviluppa una continua ricerca di equilibrio; infatti, il
bisogno di ritrovare l’equilibrio induce il bambino a nuovi tentativi, nel corso dei quali lo schema di
prensione si modificherà, “accomodandosi” agli aspetti nuovi che l’esperienza ha presentato,
articolandosi in diversi schemi di prensione.
Stadio pre-operatorio (da 2 a 7 anni) permette al bambino di passare dalla prima alla seconda
infanzia e di acquisire concetti come quello di numero e di casualità, ma non è in grado di usarli in
modo sistematico e logico. In questo stadio di sviluppo cognitivo, Piaget sottolinea la capacità dei
2
Quando Piaget parla di sviluppo cognitivo si riferisce, in modo particolare, alle quattro fondamentali categorie di
conoscenza: lo spazio, il tempo, il numero, la causalità.
3
Piaget J., Lo sviluppo mentale del bambino, Einaudi, Torino 2000.
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bambini di distinguere le “azioni” dalle “operazioni”; le prime sono irreversibili nel tempo; le
seconde invece sono reversibili. Ad esempio il bambino, a questo livello, riesce a distinguere una
casa più grande da una più piccola. In altre situazioni, come per esempio l’invarianza della quantità
d’acqua nel passaggio da due recipienti diversi, il bambino incontra molte difficoltà di
comprensione.
Egli intuisce, quindi, che i bambini allo stadio pre-operatorio riconoscono solo gli aspetti
qualitativamente irreversibili degli oggetti, trascurando la reversibilità degli aspetti quantitativi i
quali necessitano di un’astrazione numerica che, come la logica matematica, è reversibile.
Stadio operatorio-concreto (dai 7 agli 11 anni) durante il quale il bambino si è impadronito di quelle
nozioni causali e quantitative. In questa fase si conquista la capacità di compiere operazioni mentali
sugli oggetti utilizzando i concetti di numero, peso, volume. Inoltre è capace di classificare e
trasformare la realtà tenendo presente la nozione di spazio e tempo ma sempre attraverso un
procedimento che si serve di schemi di azione e di comportamento.
Stadio logico-formale (dagli 11 ai 15 anni) nel quale si completa lo sviluppo mentale del bambino.
Egli sarà in grado di compiere operazioni mentali indipendentemente dal riferimento a oggetti e
persone concrete, utilizzando concetti e simboli. Ed è solo da una sintesi dei due tipi di reversibilità
che può derivare la possibilità di una logica formale e di un pensiero combinatorio ed ipoteticodeduttivo. In questo stadio si completa lo sviluppo mentale del bambino esso è caratterizzato da una
maturazione decisa del pensiero logico, del linguaggio e della socializzazione. Il fanciullo interpreta
con sempre maggiore sicurezza i meccanismi che sono alla base della vita e diventa capace di
ragionare su elementi astratti (ipotesi, principi, leggi, deduzioni), è il periodo del “pensiero
astratto”. «Mentre il bambino dello stadio delle operazioni concrete scopre i vari tipi di associazione
attraverso il confronto dei contenuti reali della sua esperienza, l’adolescente nello stadio delle
operazioni formali è in grado di pensare a tutte le combinazioni possibili per sottoporle a verifica in
seguito» 4.
Con il pensiero operatorio-formale il soggetto è in grado di ragionare a livello simbolico e, quindi,
gli oggetti ora vengono costruiti mentalmente; le operazioni che nelle fasi precedenti dovevano
essere espletate sul piano fisico, ora vengono “interiorizzate” e costituiscono le operazioni logiche
fondamentali della conoscenza umana.
La riflessione piagetiana è tutta incentrata su una analisi dello sviluppo degli stadi evolutivi e delle
strutture biologiche del bambino. «In questo senso Piaget studia la psicogenesi in quanto processo
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che tende alla costruzione di strutture formali dell’intelligenza sempre più equilibrate, vale a dire
dotate di una reversibilità operatoria interna sempre maggiore, che le emancipa progressivamente da
ogni dipendenza temporale» 5 .
Piaget delinea l’originalità del suo approccio che, tralasciando ogni problema di misurazione
quantitativa, si propone di enucleare i caratteri qualitativi dello sviluppo. Problemi di natura
specificamente qualitativa sono appunto la determinazione delle strutture caratterizzanti i vari livelli
di sviluppo mentale, come pure la determinazione dei meccanismi e delle modalità di passaggio da
una struttura ad una successiva.
La questione centrale concerne, dunque, la natura dei mutamenti che intercorrono tra le successive
tappe dello sviluppo cognitivo.
Si tratta di valutare se questi siano di ordine qualitativo, poiché introducono effettive e globali
novità nella “forma” delle conoscenze, oppure costituiscano soltanto (come ritiene l’epistemologia
classica) dei progressi di ordine quantitativo, valutabili quindi in modo continuo con riferimento ad
una scala di parametri.
La risposta di Piaget, sin dalle prime indagini psicologiche, è orientata verso la prima direzione. Il
compito dello studio genetico dell’intelligenza è allora, in tale prospettiva, quello di carpire in che
modo tali strutture si originino attraverso una genesi temporale caratterizzata da tappe in cui la
reversibilità operatoria si costruisce progressivamente.
Piaget osservò nel bambino che esplora progressivamente l’ambiente le stesse facoltà di
adattamento delle specie evolutive e affrontò il problema biologico dell’intelligenza, orientandosi
verso lo studio degli schemi senso motori in cui ogni azione, ripetendosi su oggetti diversi, si
generalizza e si affina attraverso il gioco dialettico delle “assimilazioni”, che consentono di
incorporare all’azione oggetti nuovi e ulteriori “adattamenti”, i quali permettono allo stesso tempo
di adattare l’azione alle condizioni particolari. É nell’azione che nasce il pensiero.
Piaget si rese conto che l’adattamento del bambino all’ambiente non è mai una semplice reazione a
quest’ultimo, ma piuttosto un processo attivo, nel corso del quale il bambino risolve i problemi:
dapprima facendo appello alle proprie capacità senso-motorie, poi, al termine di una lunga
evoluzione, raggiunge l’intelligenza delle operazioni astratte e della logica formale.
4
5
Ceruti M., La danza che crea, Feltrinelli, Milano 1989, pp. 153-154.
Ivi, pp. 183-184.
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L’elaborazione della nozione di “stadio di sviluppo” vuole costituire, a questo punto, uno strumento
adeguato per l’analisi della psicogenesi intesa come storia di successivi e determinabili mutamenti
qualitativi nelle strutture dell’intelligenza e nelle forme di codificazione dell’esperienza.
Piaget distingue, allora, lo sviluppo intellettivo dallo sviluppo del linguaggio, in riferimento alla
discontinuità che si manifesta nel primo caso rispetto alla sostanziale continuità che appare nel
secondo 6 . Lo studioso differenzia nettamente i risultati del funzionamento dell’intelligenza dalle
modalità del funzionamento stesso (per ogni stadio); quindi, rispetto ad ogni conoscenza, viene fatta
una chiara distinzione fra struttura e contenuto. Nel primo caso sono in discussione le proprietà
organizzative e formali dell’intelligenza a un determinato stadio di sviluppo. Nel secondo si fa
invece riferimento ai risultati dei processi cognitivi, cioè a quello che appare di un processo
cognitivo del soggetto.
Quando Piaget parla di sviluppo cognitivo si riferisce, in modo particolare, alle quattro
fondamentali categorie di conoscenza: lo spazio, il tempo, il numero, la causalità.
Gli apporti alla pedagogia che derivano dalla teoria degli stadi dello sviluppo cognitivo sono di
notevole importanza in quanto, le caratteristiche socio-antropologiche di questo nuovo modello
teorico, ribaltano lo stereotipo della dipendenza e della fragilità infantile, e propongono l’immagine
del bambino come capace di pensiero produttivo e di notevoli performances cognitive7 . Infatti,
poiché il soggetto si evolve mentalmente attraverso determinati stadi (qualitativamente e
strutturalmente diversi, come conseguenza della maturazione biologica, del suo sforzo di
organizzare l’esperienza e le sue interazioni sociali), si può stabilire se un bambino procede
normalmente nello sviluppo, controllando se le “competenze operative” sono adeguate allo stadio
corrispondente alla sua età, invece di calcolare il suo “quoziente intellettivo” 8 . «Piaget è
consapevole che i tre grandi stadi evoluti dell’uomo non possono essere solo il risultato di fattori
“esterni” al sistema cognitivo, come la crescita organica e la maturazione del complesso formato dal
sistema nervoso e dai sistemi endocrini; l’esercizio e l’esperienza acquisita nell’azione effettuata
sugli oggetti, sia sensomotoria che logico-matematica; le interazioni e le trasmissioni sociali» 9 .
La spiegazione dello sviluppo deve tener conto di queste due dimensioni, l’una ontogenetica l’altra
sociale (nel senso della trasmissione del lavoro successivo delle generazioni), e il problema si pone,
6
Ivi, pp. 140-141.
Cfr. Acone G., Intersezioni Pedagogiche, Edisud, Salerno 1989, p. 155.
8
Minichiello G., Nuova razionalità e processi educativi, Morano, Napoli 1988, pag. 81.
9
Ivi, p. 89.
7
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in termini parzialmente analoghi nei due casi, poiché è quello del meccanismo interno di ogni
costruttivismo.
Tale meccanismo interno (ma senza possibile riduzione al solo innatismo e senza piano prestabilito
perché c’è costruzione reale) è, infatti, osservabile durante ogni costruzione parziale e ogni
passaggio da uno stadio al seguente; è un processo di equilibrazione, non nel senso di semplice
equilibrio delle forze (come in meccanica), ma nel significato, oggi preciso grazie alla cibernetica,
di autoregolazione, vale a dire di una serie di compensazioni attive del soggetto in risposta alle
perturbazioni esteriori e di un atteggiamento contemporaneamente retroattivo (sistemi a catene o
feedbacks) e anticipatore che costituisce un sistema permanente di tali compensazioni 10 .
Quindi il maggior grado di interazione che caratterizza ogni stadio cognitivo rispetto al precedente è
tradotto da Piaget nei termini di equilibrio. Ogni nuova struttura possiede inoltre una particolare
forma di equilibrazione maggiorante. Essa consiste in una crescente reversibilità delle strutture
operatorie e in una progressiva integrazione nel sistema cognitivo delle possibili perturbazioni al
suo equilibrio, che da fattori esterni ostacolanti diventano fattori interni prevedibili e anticipabili.
10
Cfr. Piaget J., Inhelder B., La Psicologia del bambino, Einaudi, Torino 1970, pp. 133-134.
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2. Vygotskij: il ruolo del linguaggio
Un elemento determinante nei processi cognitivi riguarda il ruolo del linguaggio, la sua
influenza è stata evidenziata da importanti cognitivisti, tra i quali Bruner, che pur accettando le tesi
di Piaget e partendo da esse, affronta le riflessioni di Vygotskij circa la funzione determinante del
linguaggio nello sviluppo cognitivo dei giovani. Egli, infatti, scrive: «ricordo in particolare gli
incontri con Aleksandr Lurija, vivace sostenitore delle teorie “storico-culturali” di Lev Vygotskij
sullo sviluppo. I suoi entusiasmatici argomenti a favore del ruolo del linguaggio e della cultura nel
funzionamento della mente finirono presto per far vacillare la mia fede nelle teorie più autonome e
formalistiche del grande Jean Piaget, teorie che lasciavano pochissimo spazio al ruolo qualificante
della cultura nello sviluppo mentale» 11 .
Il linguaggio, che Vygotskij vede come elemento di rappresentazione della realtà e quindi in
grado di produrre simbolizzazione e di esercitare finanche la funzione di controllo motorio, viene
riconsiderato da Bruner, il quale attribuisce alla cultura la funzione di elemento centrale dello
sviluppo del fanciullo in quanto «proprio quelle predisposizioni che riteniamo innate richiedono
molto spesso, per prendere forma, l’intervento di un sistema di notazione largamente condiviso,
quale ad esempio il linguaggio. Malgrado le nostre doti innate, pare che possediamo quella che
Vygotskij chiama “area di sviluppo prossimale” cioè la capacità di riconoscere altre possibilità non
riconducibili a quella dotazione» 12 .
È nel momento in cui agisce socialmente con il linguaggio, che egli si appropria di nuovi
strumenti cognitivi che gli serviranno ad alimentare l’“agire linguistico interiore” che gli permetterà
di risolvere in maniera autonoma problemi analoghi a quelli precedentemente affrontati con altri 13 .
Vygotskij nei suoi studi aveva individuato la possibilità di realizzare le condizioni favorevoli
all’apprendimento quando le sollecitazioni intervengono nell’area della zona di sviluppo
prossimale. Questa constatazione nasceva dall’esperimento nel quale aveva sottoposto a bambini di
varie età test e compiti che reputava fossero adatti alla loro età mentale, anche in relazione ai loro
studi. Dai risultati ottenuti si era visto che i soggetti erano in grado di comprendere i problemi e
risolverli.
11
Bruner J. S., La cultura dell'educazione, Feltrinelli, Milano 1997, p. 11.
Ivi, p. 31.
13
Varisco B. M., Nuove tecnologie per l’apprendimento, Garamond, Roma 1998, pp. 43-45.
12
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In seguito, venivano sottoposti a problemi sempre più complessi i quali corrispondevano a età
mentali e studi superiori. Dal risultato delle prove Vygotskij fu in grado di affermare che i soggetti
riuscivano a comprendere i compiti solo con l’aiuto dell’insegnante.
«Ciò che è fondamentale nell’apprendimento è proprio il fatto che il bambino apprende cose
nuove. Perciò l’area di sviluppo prossimo, che definisce questo campo di passaggio accessibile al
bambino, è proprio l’elemento più significativo in relazione all’apprendimento e allo sviluppo». 14
Connesse alla zona di sviluppo prossimale Vygotskij individua due livelli: il livello dello sviluppo
reale il quale si riferisce a tutte quelle funzioni che sono già in possesso degli studenti ed il livello
dello sviluppo potenziale che determina tutte quelle funzioni che gli studenti possono sviluppare
grazie al sostegno degli adulti oppure collaborando con coetanei più esperti.
In definitiva, la zona di sviluppo prossimale è «la distanza tra il livello dello sviluppo reale,
determinato dalla capacità dei soggetti di risolvere indipendentemente un problema, e il livello di
sviluppo potenziale, determinato dalla capacità di saper risolvere un problema sotto la guida
dell’insegnante o in collaborazione con altri studenti più capaci» 15 .
La zona dello sviluppo prossimale che definisce quelle funzioni che non sono ancora mature
ma sono in un processo di maturazione potrebbero essere chiamate «i “boccioli” o i “fiori” dello
sviluppo […]. Il livello reale di sviluppo caratterizza lo sviluppo mentale retrospettivamente, mentre
la zona di sviluppo prossimale caratterizza prospettivamente lo sviluppo» 16 .
Su tale assunto Vygotskij costruisce il suo ideale di educazione, sia scolastica che informale,
basata sul livello potenziale dei bambini piuttosto che su quello reale, «l’unico buon apprendimento
è quello in anticipo allo sviluppo».
Ciò significa che in tale zona, un problema che non viene risolto dallo studente
autonomamente può essere da lui stesso risolto attraverso lo scaffolding dialogico con qualcuno più
competente di lui. Gli esperimenti condotti da Vygotskij condussero lo scienziato russo a risultati
opposti a quelli ottenuti da Piaget.
Secondo Piaget il legame che unisce tutte le caratteristiche specifiche della logica infantile è
l’egocentrismo, che sarebbe una posizione intermedia tra il pensiero autistico e quello controllato
(adulto). Il pensiero del bambino sarebbe originariamente autistico e solo con la pressione sociale
diventerebbe realistico: questo perché ciò che interessa al bambino è la soddisfazione di piaceri, in
14
Vygotskij S. L., Pensiero e linguaggio, Editori Laterza, Bari 2000.
Ivi, p. 34.
16
Ivi, p. 54.
15
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antitesi al principio di realtà. Piaget avrebbe preso da Freud l’idea che il principio del piacere
preceda quello di realtà; l’idea che il piacere sia una forza vitale indipendente.
Vygotskij, invece, afferma che lo sforzo per ottenere la soddisfazione di un bisogno e lo
sforzo per adattarsi alla realtà non sono separabili né opponibili, altrimenti c’è patologia.
Piaget sostiene che il gioco (immaginazione) è la legge suprema dell’egocentrismo fino a 7-8
anni. Vygotskij, invece, sostiene che la funzione primaria del linguaggio nei bambini e negli adulti
è la comunicazione. Il primo linguaggio è quello sociale (globale e plurifunzionale); in seguito le
funzioni si differenziano, cioè si egocentrizzano, permettendo allo sviluppo del pensiero e del
linguaggio d’interiorizzarsi. In altre parole il linguaggio diventa anche egocentrico, ma resta
sociale, poiché l’egocentrismo rappresenta soltanto un’interiorizzazione di forme di comportamenti
sociali. Nell’adulto c’è il linguaggio interiore (linguaggio egocentrico in profondità), che si sviluppa
all’inizio dell’età scolare.
Vygotskij poté constatare che di fronte alle difficoltà il coefficiente del linguaggio egocentrico
aumentava, ma proprio perché con esso il bambino realizzava un processo di presa di coscienza che
lo portava, in un modo o nell’altro, a cercare una soluzione del problema.
Secondo Vygotskij la differenza, sotto questo aspetto, tra l’adulto e il bambino, è che il
linguaggio egocentrico del bambino è stato ormai così assimilato dall’adulto che non si manifesta
più come tale. Piaget direbbe che la mancata manifestazione del linguaggio egocentrico deriverebbe
dalla sua scomparsa, ma in realtà esso è stato solo “interiorizzato”.
L’egocentrismo rappresenta, dunque, quell’impulso che consente di evadere dal conformismo
sociale che per sua natura è ripetitivo. Secondo Piaget, al contrario, il bambino sarebbe diventato un
adulto nel momento in cui abbandonava il piacere egocentrico per far proprio il dovere sociale.
Vygotskij definisce il pensiero autistico come il risultato del pensiero realistico di Piaget,
poiché quest’ultimo pretende che il pensiero realistico (distaccandosi da bisogni-interessi-desideri)
sia “puro”, cioè in grado di indagare la verità per se stessa. Sempre secondo Vygotskij nel momento
in cui il pensiero realistico di Piaget presume di appagare con la fantasia i bisogni frustrati della vita
si trasforma in autistico (la logica separandosi dalla vita conduce all’irrazionalismo).
Entrambi gli studiosi hanno considerato nel bambino una elaborazione del linguaggio del tutto
specifica. Per Piaget il linguaggio egocentrico rappresenta il punto di partenza per il consolidamento
strutturale del linguaggio successivo. Lo psicologo considera tale linguaggio egocentrico come il
modo per colloquiare con sé stesso e persiste fino ai sette anni circa. Infatti, in seguito, il linguaggio
egocentrico sparisce e al suo posto subentra il linguaggio socializzato.
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Vygotskij, al contrario, sostiene che anche il linguaggio egocentrico sia socializzato e si
trasforma solo successivamente in linguaggio interiorizzato.
Ciò significa che nella mente umana è presente una sorta di codice interno, che, in base alla
personale esperienza percettiva, effettua una suddivisone e una classificazione delle possibili
percezioni. «Qui abbiamo un processo [...] dall’esterno all’interno, un processo di volatilizzazione
del linguaggio nel pensiero. Da qui la struttura di questo linguaggio e tutte le sue differenze rispetto
alla struttura del linguaggio esterno» 17 .
Vygotskij sostiene che lo studio del linguaggio egocentrico del bambino è di estrema
importanza perché esso rappresenta l’embrione del linguaggio interno dell’adulto. A tal proposito in
Pensiero e Linguaggio scrive «[...] il linguaggio per sé non può affatto trovare la sua espressione
nella struttura del linguaggio esterno, completamente diverso per la sua natura; la forma di
linguaggio, che è del tutto particolare per la sua struttura [...] deve avere necessariamente una sua
forma d’espressione speciale, poiché il suo aspetto fasico cessa di coincidere con l’aspetto fasico
del linguaggio esterno» 18 .
Piaget non prende in considerazione i fattori culturali che condizionano le risposte del
bambino (cioè le acquisizioni anteriori, ovvero l’appartenenza a un gruppo, ceto sociale…). Gli
interessa soltanto descrivere le differenze del comportamento mentale del bambino, a seconda delle
età, rispetto al comportamento mentale dell’adulto.
In relazione, infine, alla teoria dell’intelligenza, Piaget sottolinea il contributo dato dallo
strutturalismo che riconosce l’esistenza di “strutture operatorie” e prende le distanze sia dalle
concezioni associazionistiche sia da quelle della Gestalt (le quali riconoscono l’esistenza delle
strutture, ma le riducono tutte a un unico tipo, quello della percezione). La specifica caratteristica
delle strutture intellettuali è stata individuata grazie all’analisi psicogenetica (cioè alla
ricostruzione del loro processo di formazione): esse sono il risultato di una costruzione graduale da
parte del soggetto. Tale concezione dello sviluppo dell’intelligenza è definito anche
“costruttivismo”. «I lavori sulla formazione delle operazioni intellettuali a partire dalle regolazioni
preoperatorie e sensorio-motrici, sul ruolo degli squilibri o contraddizioni, o delle riequilibrazioni
per mezzo di nuove sintesi e di superamenti, in una parola l’intero costruttivismo che caratterizza
la costruzione progressiva delle strutture conoscitive» 19 .
17
Vygotskij L. S., Pensiero e linguaggio. Ricerche psicologiche, Mecacci L. (a cura di), Laterza, Bari 1990, p. 347.
Ivi, p. 354.
19
Piaget J., Le scienze dell’uomo, Laterza, Bari 1983 (3^ ed.), p. 73.
18
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3. La cultura dell’educazione di Bruner
Nell’analisi dei processi di apprendimento Bruner ha seguito gli studi di Piaget, per cercare
successivamente di “ampliarne” la prospettiva attraverso la decisiva influenza dei fattori socioculturali rispetto a quelli genetici.
Anche per Bruner esistono gli stadi ma a differenza di Piaget essi si evolvono lungo tutto l’arco
della vita senza precise scansioni biologiche e temporali. Bruner distingue tre fasi: la “fase
operativa” in cui prevale la rappresentazione motoria dell’esperienza mentre nella “fase iconica”
predomina l’applicazione di schemi visivi alla realtà, che dipendono dall’organizzazione sensorialepercettiva. Quindi si ha una organizzazione mentale della realtà (oggetto concreto – idea
dell’oggetto); infine la fase della “rappresentazione simbolica” si avvale del sistema simbolico del
linguaggio per esprimere concetti e categorizzazioni.
Dopo una concezione basata sulla teoria piagetiana Bruner propone una visione vicina a quella di
Vygotskij sia per l’importanza che dà alla matrice socio-culturale sia per la forte importanza che
attribuisce al linguaggio.
A tal proposito Bruner attribuisce un ruolo determinante al “pensiero narrativo”, e al ruolo che
svolge la parola nell’interpretazione del mondo.
La narrazione è, infatti, considerata da Bruner come un “modello mentale” cioè una “articolazione”
del pensiero che determina conseguentemente una organizzazione della realtà rendendola realtà
interpretata; andando oltre gli aspetti logici e sistematici della vita mentale così come venivano
presentati da Piaget.
Le fasi dell’apprendimento per Bruner sono la capacità d’azione, alla quale segue la riflessione, la
condivisione e infine la cultura. In particolare la riflessione e conseguentemente l’apprendimento
per Bruner sono legati inscindibilmente con l’interpretazione. Bruner propone, contro un modello
scolastico basato su un apprendimento individualizzato e incentrato esclusivamente su se stesso, il
metodo della narrazione, e dell’attivo coinvolgimento personale nel percorso formativo.
Narrare i fatti diventa già un modo di interpretarli: la narrazione include non solo il conoscere
ma prevede l’applicazione delle regole e degli schemi tra una molteplicità di modelli.
La psicologia culturale cerca di trovare una soluzione ad alcune incongruenze della psicologia
cognitiva di Piaget, che per fornire una spiegazione delle diverse fasi di sviluppo del bambino
ipotizza dei “salti” logico strutturali, ponendo l’attenzione sul fatto che l’intelligenza non è un
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vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
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fenomeno meramente individuale, ma rappresenta il prodotto dell’interazione con gli altri,
ramificandosi sempre più tramite l’esperienza, la lettura, gli strumenti di cui si dispone e le persone
con le quali ci si rapporta. In secondo luogo l’intelligenza è localizzata, essa cioè nasce in occasione
di una specifica esperienza, ed è per questa ragione che il bambino una volta che l’ha acquisita non
è immediatamente in grado di generalizzarla ad altri contesti.
Secondo Bruner l’orientamento biologico non può non richiamarsi a quello culturale per
comprendere il funzionamento e l’essenza della mente umana. Secondo lo psicologo culturale si
può infatti concludere che: «se è vero che la mente crea la cultura, anche la cultura crea la mente» 20 .
In base a tale orientamento la mente viene intesa come un “organo intersoggettivo” il cui
sviluppo è favorito dal contatto con gli altri individui. Bruner sostiene che anche in questo contesto
il pensiero narrativo ricopre un ruolo estremamente importante nei processi di apprendimento: è
proprio infatti la narrazione che consente al bambino di partire dal sé e di relazionarsi con gli altri, e
con le cose del mondo circostante in modo partecipativo.
Questa comprensione partecipativa è, al contrario, completamente assente nel bambino
autistico, per il quale la narrazione non ha senso, in quanto egli non percepisce in nessun modo che
le persone che lo circondano possano somigliargli o condividere i suoi pensieri.
La mente non rappresenta dunque un mero organo il cui sviluppo avviene tramite tappe
biologicamente cadenzate e determinate, ma è altresì influenzata dall’atteggiamento di altre menti.
Al di là della fase mimetica, cioè della propensione del soggetto a imitare o apprendere dai
comportamenti delle altre persone con le quali entra in contatto, un’altra cosa che separa il soggetto
dai primati superiori è il linguaggio, cioè la peculiare capacità, dell’uomo per Chomsky e Fodor
innata, di dimostrare una specifica sensibilità «a cogliere la struttura lessicale-sintattica di ogni
linguaggio naturale» 21
Secondo Bruner è, e sarà impossibile definire se nel genoma dell’uomo risiede il segreto
dell’“organo del linguaggio”: non si tratta di effettuare una distinzione tra innatismo e antiinnatismo ma di considerare come il linguaggio sia reso possibile.
Non solo esistono molti modi di usare la mente, e dunque di conoscere e costruire significati,
ma svolgono funzioni differenti a seconda delle diverse situazioni. Ma questi modi di utilizzare la
mente possono funzionare, spesso anzi possono addirittura esistere, solo se si acquisisce la
20
21
Bruner J. S., La cultura dell’educazione, op. cit., p. 180.
Ivi, p. 198.
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padronanza dei sistemi simbolici e dei registri linguistici propri di una cultura anche se non tutte le
persone acquisiscono lo stesso livello di padronanza.
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4. Gardner e la teoria delle intelligenze multiple
Secondo Gardner certe attitudini che definisce frames of mind (strutture mentali) hanno una base
innata e universale come ad esempio la capacità di occuparsi di rapporti quantitativi, di sottigliezze
linguistiche, di specifici movimenti del corpo nella danza, o di intuire i sentimenti degli altri.
A tal proposito studi in campo psicologico e fisiologico hanno accertato che la mente riflette la
struttura del cervello: una struttura a moduli costituita da facoltà separate.
Gardner, infatti, sostiene che «tutto ciò che avviene nella mente sia prodotto dal cervello [...] da un
cervello situato in un corpo umano che si sviluppa in un ambiente umano in perenne cambiamento
[...]. Il cervello non si trova in un vuoto. È in un corpo che, a sua volta, vive in una cultura. Il
cervello può svilupparsi in un’enorme varietà di culture ma una volta che lo sviluppo neurale sia
incominciato (e cioè dopo poco il concepimento), la cultura in cui gli accade di vivere diventa una
determinante decisiva della sua struttura e della sua organizzazione» 22 .
Secondo Gardner non possediamo una intelligenza unica; infatti, lo studioso ha individuato nove
intelligenze ognuna con una sua caratteristica ed unicità. Le intelligenze gardneriane sono: logico
matematica, linguistico-verbale, musicale, corporale o cinestetica, spaziale, sociale, intrapersonale,
naturalistica o ecologica ed infine esistenziale.
L’intelligenza logico-matematica è connessa con l’abilità di analizzare i problemi, di fare
operazioni matematiche e ragionare in maniera efficace. L’intelligenza logico-matematica prevede
una grande sensibilità verso principi e relazioni, ed è connessa con l’abilità nel valutare oggetti
concreti o astratti.
L’intelligenza linguistico-verbale riguarda la capacità di usare le parole in modo appropriato.
Questa intelligenza include la padronanza nel manipolare la sintassi o la struttura del linguaggio, e
la capacità di saper spiegare, insegnare e apprendere verbalmente e la capacità di usare il linguaggio
per raggiungere determinati scopi.
L’intelligenza cinestetica-corporale è il potenziale di usare al meglio il corpo per esprimere idee e
sentimenti e riguarda il controllo dei movimenti del corpo e quindi la facilità con cui si usano le
mani per produrre o trasformare qualsiasi cosa. Questa intelligenza è connessa con specifiche abilità
fisiche quali la coordinazione, la flessibilità e la velocità.
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L’intelligenza visivo-spaziale è l’abilità a percepire il mondo visivo/spaziale in maniera accurata ed
è la capacità di riconoscere, manipolare e orientarsi nello spazio così come operare trasformazioni
sulle percezioni visive; essa implica sensibilità verso il colore, la linea, la forma, includendo anche
la capacità di visualizzare e rappresentare le idee attraverso la formazione di immagini mentali
(memoria visiva).
L’intelligenza musicale è legata alla capacità di percepire, discriminare, trasformare ed esprimere
forme musicali e all’abilità di riconoscimento, creazione e riproduzione di suono, ritmo, musica,
toni e vibrazioni. Essa si può anche esprimere attraverso l’apprezzamento per la struttura della
musica e del ritmo.
L’intelligenza intrapersonale nasce dal riconoscimento di sé e dalla capacità di capire se stessi, i
propri desideri, le proprie attitudini e soprattutto di usare queste conoscenze, attraverso processi
metacognitivi, per regolare la propria vita. Avere consapevolezza della coscienza dei propri stati
d’animo; capacità per l’autodisciplina, l’autostima; concentrazione mentale; coscienza e
discriminazione della gamma delle proprie emozioni sono tutti elementi determinanti
dell’intelligenza intrapersonale.
L’intelligenza interpersonale o sociale è l’abilità di percepire e interpretare gli stati d’animo, i
sentimenti, i temperamenti altrui nonché di lavorare in modo efficace con gli altri come il saper
creare e mantenere la “sinergia” comunicativa verbale e non verbale.
Nel 1995, sulla base di nuovi dati, introdusse un’ottava intelligenza, quella naturalistica o ecologica,
che permette il riconoscimento e la categorizzazione di oggetti naturali. La manifestazione
dell’intelligenza naturalistica si esprime nel soggetto attraverso una intensa comunione con la
natura, una sensibilità verso flora e fauna, l’attenzione per gli animali e per la cura di piante e fiori,
l’interesse per l’ecologia in tutte le sue manifestazioni.
Gardner, recentemente, ha ipotizzato l’esistenza di una nona intelligenza, quella esistenziale. Essa
concerne la capacità di saper riflettere sulle tematiche fondamentali della nostra esistenza e la
propensione al ragionamento astratto per categorie concettuali universali.
Egli dice che compito e funzione di ognuna delle intelligenze è quella di favorire e sviluppare il
prodursi della “funzione simbolica”. Lo sviluppo della intelligenza, per Gardner, si realizza secondo
ondate, canali e correnti di simbolizzazione. «Evidentemente Piaget, Bruner e Gardner sono la
dimostrazione – con moduli diversi nei particolari e nei dispositivi teorici-pratici e applicativi – che
22
Gardner H., Sapere per comprendere. Discipline di studio e disciplina dela mente, Feltrinelli, Milano 1999 p. 79.
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la sequenza azione-operazione (iconicità digitale-simbolizzazione) costitutiva di ogni forma di
costruzione da parte del soggetto cognitivo della sua interfaccia con la realtà (e con la
virtualità/apparenza). Gardner articola canali e onde di sviluppo simbolizzante, là dove Piaget e
Bruner propendono per uno schema tendenzialmente mono-processuale e gerarchizzante: ma la
direzione-meta è la simbolizzazione-ipersimbolizzazione» 23 .
23
Acone G., Dimensioni teoriche di una paideia della multimedialità e della cultura del reale/virtuale, in AA. VV.,
“Multimedialità, cultura, educazione”, La Scuola, Brescia 1995, p. 18.
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Conclusione
Partendo dalla consapevolezza che esiste una stretta relazione tra linguaggio e pensiero, molti
psicologi si sono interessati all’analisi di tale rapporto al fine di comprendere le modalità di tale
relazione e discutendo quale delle due funzioni sia prevalente. Il dibattito diede origine a differenti
ipotesi:
In base alla teoria comportamentistica 24 sussiste uno stretto legame tra pensiero e linguaggio tanto
da poter affermare che non esiste nessuna differenza tra di essi, vale a dire che il pensiero
rappresenta un atteggiamento verbale interiorizzato, il linguaggio viene ad essere considerato come
un’attività motoria acquisita col condizionamento operante dando vita ad un apprendimento
semantico.
Molti studiosi ritengono che il comportamentismo riprende il nominalismo empirico di Locke: i
concetti rappresentano delle etichette verbali applicate a categorie di oggetti, per l’autore infatti,
all’origine delle idee c’è l’esperienza, partendo, quindi, dal presupposto che l’anima sia “tabula
rasa”, cioè che non abbia idee innate, egli sostiene che l’infinita varietà dei nostri pensieri, delle
nostre conoscenze, cioè le nostre idee derivano dall’esperienza. Quindi ogni uomo, per Locke,
comincia ad avere idee quando ha una qualsiasi sensazione. In contrapposizione a questa visione del
comportamentismo sarà lo stesso Skinner ad evidenziarne la differenza: «L’idea che la conoscenza
consista in impressione dei sensi e in concetti derivati da queste espressioni era già, evidentemente ,
quella dell’empirismo britannico e ancora condivisa da molti. Ma altri, tra cui io, pensano che
questa concezione sia incapace di rappresentare correttamente la conoscenza umana. Anche l’idea
più semplice non è, come supponeva Locke, un assemblamento di materiali sensoriali in risposta ad
una stimolazione. Supporre che la conoscenza fisica esista nella mente del fisico sotto forma di
materiale psichico o mentale – come il modo in cui io guardo il mondo – mi pare del tutto
assurdo» 25 .
Il determinismo linguistico di Whorf concepisce il pensiero e il comportamento come determinati
dal linguaggio 26 , esso rappresenta una sorta di stampo per i processi logici e percettivi: la lingua,
24
Skinner B. F., Verbal Behavior, Appletown Century Crofts, N.Y. 1957.
Richelle M., Skinner ou le pèril behavioriste, Mordaga, Bruxell 1977, p. 130.
26
Whorf B. L., Linguaggio, pensiero e realtà, Boringhieri, Torino 1970.
25
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con le sue strutture, determina, infatti, la maniera di pensare e di percepire il mondo (“relativismo
linguistico”). Il linguaggio non consente all’uomo solo di comunicare con gli altri e con se stesso,
ma, come sostengono i teorici della relatività linguistica E. Sapir e B. Whorf, anche di «forgiare
l’intera visione del mondo» 27 . Scrive B. Whorf che «Il sistema linguistico di sfondo (in altre parole
la grammatica) di ciascuna lingua non è soltanto uno strumento di riproduzione per esprimere le
idee, ma esso stesso dà forma alle idee, è il programma e la guida all’attività mentale
dell’individuo» 28 .
Il mondo si presenta, dunque, come un flusso di impressioni che deve essere predisposto dalla
mente e ciò vuol dire che deve essere organizzato in larga misura dal sistema linguistico della
mente.
In questa teoria sono contenuti due principi: il primo è che la lingua determina il pensiero
(determinismo linguistico), il secondo è che ogni lingua realizza una visione del mondo definita,
cioè i sistemi cognitivi delle persone che parlano lingue diverse sono diversi (relativismo
linguistico). Questa considerazione riflette il pensiero di Wittgenstein: “I limiti del mio linguaggio
significano i limiti del mio mondo” 29 .
Il linguaggio si pone in un rapporto di dipendenza con il pensiero (cognitivismo di Piaget), dunque,
si pone come un sottosistema all’interno di una più totale capacità cognitiva, la “capacità
simbolica”, ma sia il linguaggio che il pensiero dipendono dall’intelligenza stessa, che precede il
linguaggio ed è indipendente da esso30 . Per Piaget, quindi, il linguaggio dipende dal pensiero che ne
guida lo sviluppo: egli, infatti, nel ritenere che vi sia un’intima correlazione tra pensiero e
linguaggio, individua in quest’ultimo una delle forme in cui si manifesta la conoscenza. Piaget
afferma, infatti, che tra il linguaggio esiste così un cerchio genetico tale che l’uno dei due terminasi
appoggia necessariamente all’altro in una forma solidale e in una azione reciproca.
Secondo la psicologia sovietica rappresentata da Vygotskij originariamente linguaggio e pensiero
sono indipendenti, hanno, cioè, sequenze evolutive autonome, ma successivamente si integrano in
un processo di reciproco influenzamento e potenziamento. Linguaggio e pensiero, inizialmente
indipendenti, avrebbero, quindi, una successione evolutiva autonoma in cui il primo ha una
funzione di comunicazione e di rappresentazione, il secondo una funzione di adattamento e di
27
Chase J., Il potere delle parole, Bompiani, Milano 1966.
28
Whorf B. L., Linguaggio, pensiero e realtà, Boringhieri, Torino 1970, p. 169.
29
Wittgenstein L., Tractatus logico-philosophicus, Boringhieri, Torino 1970, p. 163.
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rappresentazione. Il linguaggio è, dunque, sociale, acquista, infatti, una funzione regolatrice del
pensiero, che si trasforma così in una costruzione sociale e interiorizzandosi, diventa individuale (e
lo stesso sociale diventa individuale). Secondo l’ipotesi vygotskijana il pensiero non è
semplicemente espresso in parole, ma viene ad esistere attraverso di esse 31 .
In base all’ipotesi di Bruner il linguaggio è un processo cognitivo, pertanto è pensiero. Bruner
intende il rapporto linguaggio-pensiero come un’attività cognitiva in evoluzione in cui vi è
corrispondenza tra sviluppo intellettivo in senso piagetiano e sviluppo linguistico. Per lo studioso,
dunque, la sintassi linguistica non solo darebbe consistenza al pensiero cognitivo, ma sarebbe in
rapporto con la qualità delle capacità cognitive: pertanto una persona che dispone di una sintassi
mediocre ha anche delle capacità cognitive scadenti. Ciò non significa, però, che il linguaggio
“dipenda dal pensiero né che il pensiero sia linguaggio” 32 bensì che il linguaggio è pensiero
oggettivato verbalmente.
Bruner è giunto ad elaborare una analisi legata alla psicologia culturale anche grazie alla sua grande
sensibilità per i temi del multiculturalismo, dell’integrazione e delle eguali opportunità per i
soggetti delle classi svantaggiate: e si comprende la sua insistenza sulla scuola come strumento e
organo privilegiato per il miglioramento e la radicale trasformazione dell’educazione e della
società.
L’ipotesi di Bruner nel libro La cultura dell’educazione 33 consiste nel trovare un punto d’incontro
tra due teorie della mente: il “computazionalismo” ed il “culturalismo”. Il computazionalismo
lavora essenzialmente su informazioni in ingresso “ben formulate”, precise e non ambigue e sulla
base di operazioni di calcolo “produce” operazioni e comportamenti conseguenti.
Il culturalismo, partendo dall’osservazione che la mente umana è chiamata a comportarsi in un
ambiente molto più caotico e ambiguo, sostiene che la conoscenza e l’apprendimento dell’uomo
avvengano in maniera meno formalizzata e meno formalizzabile di quanto sostenga il modello
computazionale.
La tesi centrale del culturalismo è che, se i significati risiedono nella nostra mente, è altresì vero che
essi «hanno origine e rilevanza nella cultura in cui sono stati creati» 34 . Bruner afferma: «[…] nello
studio dell’uomo il problema non è solo quello di capire i principi causali della sua biologia e della
30
Canestrari R., Psicologia generale e dello sviluppo, Editrice CLUEB, Bologna 1984.
Vygotskij L. S., Thought and language, The MIT Press, Cambridge, Mass. 1962. (trad. it.) Pensiero e linguaggio,
Giunti- Barbera, Firenze 1974.
32
Canestrari R., Psicologia generale e dello sviluppo, op., pag. 307.
33
J. S., La cultura dell’educazione, op. cit., pp. 233.
31
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sua evoluzione, ma di capirli alla luce dei processi interpretativi impliciti nel fare significato. Non
tener conto delle limitazioni biologiche del funzionamento umano è peccare di superbia.
Sottovalutare il potere della cultura di plasmare la mente umana e rinunciare ad assumere il
controllo su questo potere è commettere un suicidio morale. Una psicologia ben formulata ci può
aiutare a evitare entrambi questi disastri»35 .
Per Bruner il culturalismo o la psicologia culturale è il modello mentale più adatto ad un’efficace
metodologia educativa.
Dichiara Jerome Bruner: «... la conoscenza di una «persona» non ha sede esclusivamente nella sua
mente, in forma «solistica», bensì anche negli appunti che apprendiamo e consultiamo sui nostri
Notes, nel libri con brani sottolineati che sono nel nostri scaffali, nei manuali che abbiamo imparato
a consultare, nelle fonti di informazioni che abbiamo caricato nel computer, negli amici che si
possono rintracciare per richiedere un riferimento o un’informazione, e cosi via quasi all’infinito
giungere a conoscere qualcosa in questo senso è un’azione sia situata sia distribuita. Trascurare
questa natura situazionale e distribuita della conoscenza e del conoscere significa perdere di vista
non soltanto la natura culturale della conoscenza, ma anche la natura culturale del processo di
acquisizione della conoscenza» 36 .
Secondo Bruner l’apprendimento è essenzialmente attività che si svolge insieme agli altri,
attraverso le conversazioni, da confronti, da dibattiti e da discussioni (pianificate e strutturate o
anche libere) tra studenti, tra pari, tra colleghi, tra esperti e tra docenti.
L’intervento di Bruner rappresenta il tentativo di spostare la programmazione istruttiva
dall’oggettivazione dei metodi, di matrice skinneriana, alla oggettivazione dei contenuti. Quindi
quello che Bruner sostiene riguarda la struttura profonda della disciplina e non dei contenuti
specifici che non svolgono un ruolo di promozione delle operazioni mentali.
Infatti Bruner afferma che il possesso/acquisizione di una disciplina da parte dei degli allievi,
qualsiasi sia l’età si ha solo quando si acquisisce lo schema strutturale della disciplina o meglio
quando il problema della disciplina viene finalizzato alla comprensione dei principi che sono alla
base della struttura della disciplina stessa.
34
Ivi, p. 17.
Ivi, p. 198.
36
Bruner J. S., La ricerca del significato, Bollati Boringhieri, Torino 1992, p. 104-105.
35
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Il nucleo centrale che si evince riguarda la ricerca delle strutture fondamentali delle discipline di
studio. Questa impostazione rappresenta la prima importante indicazione metodologica delle
strutturalismo didattico (quindi antinozionistico).
La seguente frase di Bruner sintetizza bene la sua linea pedagogica: «L’educazione tende a
sviluppare la sensibilità e la forza della mente» 37 . E mentre la «sensibilità» (valori, costumi e altri
elementi della cultura di un popolo) è soddisfatta dai processi sociali cui un fanciullo partecipa, solo
l’istruzione può contribuire decisamente a migliorare i processi intellettivi che fanno dell’uomo un
innovatore, capace di adattarsi creativamente alle trasformazioni senza subirne i condizionamenti.
[...] Così, l’insegnamento dovrebbe tendere prima a far intuire la struttura fondamentale delle
discipline e poi a farne prendere consapevolezza, almeno per quello che serve a padroneggiarle
operativamente» 38 .
In questa analisi il processo di apprendimento non è visto come un travaso di conoscenze dal
docente all’allievo ma è visto come un impegno attivo da parte dei discenti a costruire la propria
conoscenza; queste riflessioni determinano e rappresentano gli aspetti fondanti del costruttivismo.
37
38
Bruner J. S., La cultura dell’educazione, op. cit.
Santoni R., Storia sociale dell’educazione, Principato editore, Milano 1979, pp. 698-702.
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