Conseguenze della crisi in Giappone sull`economia e sui mercati

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Conseguenze della crisi in Giappone sull`economia e sui mercati
 Conseguenze della crisi in Giappone sull’economia e sui
mercati finanziari – alcuni elementi di analisi (2)
Strategia e ricerca economica – 17 marzo 2011
L’incidente nucleare causato dal terremoto dell’11 marzo aumenterà sensibilmente il
costo economico complessivo della catastrofe. Se le ricadute radioattive saranno
“contenute” (ad esempio: molto inferiori a quelle di Chernobyl), l’economia
giapponese resterebbe la principale vittima e il resto del mondo sarebbe in definitiva
poco coinvolto. In caso contrario, il panico presso gli investitori spingerebbe a una
ripresa notevole dell’avversione al rischio e a una reazione immediata delle banche
centrali: la FED e la BCE potrebbero prendere delle decisioni eccezionali di iniezione
della liquidità per arginare un eventuale rischio sistemico. Ad oggi, privilegiamo il
primo scenario e i punti chiave del nostro scenario macroeconomico rimangono
inalterati: la crescita mondiale dovrebbe tenere bene, le pressioni inflazionistiche
rimarranno e scontiamo un primo rialzo dei tassi di interesse della BCE in primavera
(molto prima della FED).
Qual è l’impatto economico?
•
Per valutare le conseguenze dello tsunami dell’11 marzo, il terremoto di Kobe
(avvenuto il 17 gennaio 1995) offre un precedente ricco di insegnamenti.
Stimiamo le perdite di ricchezza subite all’epoca dall’economia giapponese di
circa il 2,5% del PIL. L’area toccata rappresentava tra il 6 e il 7% del PIL, contro il
9,5% del PIL oggi.
•
Da un punto di vista economico, una tale catastrofe costituisce ciò che viene
identificato come “uno shock di offerta”:
•
o
Da una parte, le capacità produttive rallentano. Molte centrali nucleari
hanno cessato di funzionare (il che rappresenta il 20% della capacità
nucleare giapponese) e alcune di queste saranno messe
definitivamente fuori uso. Ne consegue che i tagli energetici stanno
interrompendo le attività industriali e smantellando gli impianti; ciò
potrebbe durare molti mesi. Le imprese automobilistiche e dei
componenti elettrici sono oggi le più coinvolte. In queste condizioni, la
produzione industriale crollerà, probabilmente in modo superiore e per
maggior tempo rispetto al 1995 (in quell’anno, la produzione
industriale si era contratta solo nel mese di gennaio).
o
Dall’altra parte, una parte del capitale è stata distrutta (nelle aree
devastate dallo tsunami) o resa completamente inutilizzabile (in caso
di maggiori emissioni radioattive), il che in definitiva diminuisce il
potenziale di crescita dell’economia.
La recente intensificazione della minaccia nucleare aumenterà il costo
economico complessivo. La minaccia colpisce la fiducia degli imprenditori e
delle famiglie al di fuori delle zone colpite. Numerosi progetti d’investimento sono
così sospesi e registriamo già una contrazione dell’attività economica
nell’agglomerato di Tokyo (che rappresenta il 18% del PIL). Nel peggiore dei
casi, sono possibili situazioni di panico tra la popolazione, accompagnati da
cadute degli approvvigionamenti, da una penuria alimentare e da una
contrazione più durevole della produzione. In questo caso, interi settori economici
tornerebbero a rallentare. È impossibile valutare il costo complessivo ex
ante.
•
Uno shock di questa natura non rimette in causa il fatto che le spese di
ricostruzione influenzeranno presto o tardi la crescita. I flussi di spesa indotti
dalla ricostruzione avevano stimolato l’attività molto rapidamente nel 1995. Ci
aspettiamo una configurazione simile nel 2011, ma bisognerà senza dubbio
attendere il secondo semestre.
•
Tuttavia, il rimbalzo della crescita atteso non permetterebbe
necessariamente di ricostruire il capitale iniziale! Detto altrimenti, il
potenziale di crescita del’economia giapponese è forse durevolmente indebolito.
Delle pressioni inflazionistiche potrebbero verificarsi a livello locale più
rapidamente di quanto previsto…
Qual è il costo diretto per il resto del mondo?
•
L’impatto diretto sulla crescita mondiale dovrebbe essere contenuto. In
effetti, il Giappone era esportatore netto di beni e servizi, il canale tradizionale del
commercio non è in grado di far deragliare la crescita mondiale. Al contrario,
l’incapacità produttiva temporanea di alcune imprese si potrebbe tradurre nella
contrazione delle esportazioni giapponesi che minaccia di influenzare
temporaneamente le catene produttive, soprattutto nel resto dell’Asia.
•
Nel peggiore dei casi, la presenza di una nube radioattiva itinerante (guidata dai
venti!) potrebbe diminuire la produzione per diverse settimane in alcuni paesi
vicini (Corea e Cina) e seminare venti di panico presso gli investitori. L’impatto
indotto sulla crescita mondiale è impossibile da valutare. Sarebbe, tuttavia,
anch’esso di breve durata…
Cosa possono fare le autorità?
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La catastrofe si è verificata in un momento di debolezza dell’economia (i tassi di
disoccupazione sono al 5% contro il 3% del 1995) e il governo ha in definitiva
meno margini di manovra sul piano del budget, con un debito pubblico vicino
al 200% del PIL (contro meno del 50% del PIL nel 1995).
•
Comunque, ciò non esclude la capacità di avviare nuove spese poiché la banca
centrale non esiterebbe, secondo noi, a emettere nuova moneta per finanziare le
spese di ricostruzione. Non ci sono limiti all’azione della Bank of Japan in
condizioni così estreme: iniezioni di liquidità, acquisti di attivi, monetizzazione
supplementare del debito; tutte queste azioni sono state già avviate in passato e
lo saranno nei prossimi mesi.
Qual è l’impatto sulle politiche monetarie?
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In uno scenario di “crisi nucleare contenuta” sulla quale crediamo, la BCE
potrebbe spostare di uno o due mesi il suo primo rialzo dei tassi atteso per il 7
aprile.
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Se la minaccia nucleare si intensifica, flussi di capitale erratici sono suscettibili di
destabilizzare i mercati finanziari, soprattutto in Asia. In uno scenario “alla
Chernobyl”, per prevenire ogni rischio sistematico, le banche centrali
inietterebbero senza alcun esito liquidità supplementare.
Qual è l’impatto sullo yen?
•
Lo yen ha raggiunto il suo livello più alto rispetto al dollaro dalla seconda guerra
mondiale (76,6 yen per un dollaro il 17 marzo) prima di riperdere del terreno (79
yen alla fine della giornata). Le compagnie assicurative hanno richiamato dei
capitali per far fronte ai loro impegni. Ritroviamo lo stesso fenomeno subito dopo
il terremoto di Kobe: lo yen si era apprezzato del 23% rispetto al dollaro in
appena poco più di tre mesi! Aveva tuttavia ritrovato il suo livello iniziale – sia
rispetto al dollaro sia rispetto alle monete europee – nel corso dell’anno. Dal 10
marzo, lo yen si è apprezzato di oltre il 5% rispetto al dollaro. Il movimento
rialzista dello yen potrebbe essere notevole, ma temporaneo.
•
Ci sembra comunque non ragionevole acquistare yen ai livelli attuali. Da
una parte, poiché la valuta è già molto sopravvalutata e, dall’altra parte, perché è
molto probabile che le autorità nipponiche cercheranno di arginare la sua
crescita. Il G7 eccezionale che si è tenuto il 17 marzo illustra la stretta
collaborazione tra le autorità su questo tema.
Qual è l’impatto sulle materie prime e sull’inflazione?
•
I prezzi delle materie prime e del petrolio si sono in un primo momento contratti a
seguito delle paure di un rallentamento dell’economia della zona. Ma questa
reazione è stata di breve durata per il prezzo al barile del Brent, che ha ritrovato il
17 marzo il suo livello del 10 marzo (115 dollari).
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A medio e lungo termine, è molto probabile che il Giappone (e altri paesi)
modifichi la propria politica energetica, il che condurrà a una crescita della
domanda di petrolio, di gas e di carbone… D’altra parte, i prezzi dei metalli
aumentano insieme con le spese di ricostruzione previste.
•
A medio termine, la crescita dei prezzi delle materie prime determina una
pressione inflazionistica ulteriore a livello mondiale. È impressionante notare
come la crisi in Giappone non abbia impedito alla banca centrale indiana di
aumentare i suoi tassi d’interesse di 25bp il 17 marzo… Ci sembra molto poco
probabile che la BCE cambi la sua strategia.
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