Progetto Europeo Interreg IIIb -Medocc fiRISCMASSfl
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Progetto Europeo Interreg IIIb -Medocc fiRISCMASSfl
Riferimenti generali Il progetto RISCMASS è stato realizzato per mettere a punto criteri di stima della pericolosità dei versanti instabili basati su dati fisici oggettivi (mappe multi-temporali delle deformazioni ed informazioni geologiche dei versanti), e per creare una banca dati degli edifici instabili, fornendo così elementi utili a valutare le emergenze, le priorità di intervento e gli scenari di politica assicurativa. A tal fine è stata studiata la fattibilità di moderne metodologie di monitoraggio dei movimenti al suolo, con specifiche applicazioni. Tali metodologie, note con il nome di “DiffSAR o DinSAR” satellitare e il cui utilizzo è relativamente recente (il lancio dei primi satelliti SAR risale al 1992), rappresentano quanto di più avanzato e promettente esista attualmente nello scenario tecnologico per un’analisi spazio-temporale dei movimenti al suolo. Infatti, i vantaggi delle applicazioni DiffSAR rispetto ai metodi tradizionali di misura a terra sono rappresentati dalla possibilità di avere una “visione” dei movimenti al suolo nel continuo territoriale e con discreta frequenza di rivisitazione. La periodicità dei passaggi è oggi di ordine “quasi mensile”; mentre nel prossimo futuro sarà di ordine settimanale/giornaliero. Questa tecnologia, inimmaginabile fino a qualche decennio fa, ha aperto nuovi scenari nello studio e nelle applicazioni delle Scienze della Terra. Da qui l’estremo interesse applicativo e la nascita di molti progetti, soprattutto di ricerca e sperimentazione, a carattere nazionale ed europeo, anche in considerazione dei futuri lanci di satelliti SAR, ad alta risoluzione e frequenza di rivisitazione. Il progetto RISCMASS, costituito in gran parte da un progetto pilota (WP1-WP6) e, secondariamente, da azioni di gestione e trasferimento dei risultati (WP7), si inquadra in questa prospettiva. In linea generale il progetto pilota nel suo complesso e con diverse applicazioni ha raggiunto i seguenti obiettivi: a) In Calabria, definizione e verifica di procedure codificate per la caratterizzazione della pericolosità relativa delle frane (suscettibilità); attribuzione indici di instabilità e quindi definizione di gradi in una scala di “magnitudo delle frane”; quest’ultima, in particolare, risulta utile a definire una misura dinamica degli effetti prodotti da gravi eventi destabilizzanti sui diversi corpi franosi ed in rapporto al collasso atteso. Le procedure di qualificazione della pericolosità delle frane saranno oggetto di una richiesta di brevetto. b) In Catalogna e solo in parte in Sicilia, caratterizzazione della “geometria degli ammassi instabili”, volta a chiarire situazioni problematiche, per caratterizzare e monitorare situazioni a rischio ben localizzate (frane sufficientemente grandi o sink-holes); c) In Calabria ed in Catalogna, definizione, per quanto possibile, delle “velocità di allerta” per una tempestiva gestione del rischio. Per le applicazioni territoriali sono state scelte tre aree test aventi tematiche a valenza regionale: 1) La tematica “frane diffuse” della Calabria, a fini di aggiornamento della cartografia regionale PAI (Piani di Assetto Idrogeologico regionale) e di Protezione Civile, con raccolta di dati utili per individuare possibili scenari assicurativi. 2) La tematica del rischio “sink-hole”, rilevante nei bacini salini della Catalogna, con monitoraggio e sorveglianza a fini di Protezione Civile. 3) Un “sito problematico” instabile, presumibilmente per frana, nel Comune di Naro in Sicilia, per la comprensione del processo di instabilità in atto. Il progetto si basa sull’ipotesi che i collassi gravitativi, nella gran parte dei casi, sono preceduti da consistenti deformazioni. Si consideri che l’instabilità di una frana di discrete dimensioni si sviluppa progressivamente e che dal momento in cui si comincia a manifestare al momento del primo collasso passano molti decenni e talora secoli; per cui è logico pensare che man mano che essa si avvicina 1 progressivamente alle condizioni di rottura, sottoposta alle variazione degli eventi destabilizzanti, aumenta la sua attività (spostamenti) in modo significativo rispetto a quelle limitrofe (soggette agli stessi eventi ma più stabili). Pertanto con riferimento alla tematica “frane diffuse”, dove è possibile un confronto comparativo all’interno dello stesso contesto geodinamico, il concetto base utilizzato per caratterizzare la pericolosità è che gli ammassi instabili negli anni prossimi al collasso aumentano l’entità e la frequenza delle loro mobilizzazioni, consentendo in tal modo di essere rilevate con le metodologie diffSAR satellitari. Questa affermazione, ha carattere generale e prevalente, ma diventa più significativa se il confronto si riferisce a contesti geologici omogenei. Con riferimento a quest’ultimo aspetto è stato osservato che in termini fisici il lavoro prodotto dalla gravità sul corpo collassabile è essenzialmente funzione inversa dell’elasticità di quest’ultimo e della sua distanza dall’equilibrio limite. Si possono così ipotizzare rotture rapide per ammassi molto fragili o rotture lente per ammassi molto plastici. Per cui, in ambienti geologici e geodinamici omogenei (definiti dalla modellistica), il Lavoro prodotto dalla gravità sul corpo instabile, è raffrontabile alla velocità diffSAR (misurata su più passaggi e su un arco temporale sufficientemente ampio nella direzione del movimento gravitativo), la quale dà una misura della pericolosità relativa della frana. Le procedure DiffSAR, sviluppate nel progetto per il monitoraggio dei movimenti del suolo, hanno utilizzato il metodo delle “short baseline” (“Sb” o piccola distanza tra due passaggi satellitari), che pur fornendo dati con coerenze più basse ha consentito di avere una copertura nel continuo territoriale. L’altro metodo comunemente usato (quello dei “persistent scatterers” o “Ps”), implica l’analisi di un gran numero di passaggi e fornisce informazioni più precise, ma solo su punti isolati (gli scatteratori utili o punti del territorio particolarmente riflettenti, perché quasi sempre ad alta coerenza). Sempre in Calabria, grazie ad un’intesa con il Dipartimento di Protezione Civile Nazionale (DPCN) che ha utilizzato il metodo “Ps” sulla medesima area test, è stato realizzato un utile confronto tra i due diversi approcci metodologici, consentendo un uso combinato dei dati “Sb” e “Ps” ed ottenendo un miglioramento dei risultati globali del progetto. I dati di pericolosità, unitamente ad informazioni sul danno agli edifici, attuale e storico, e a studi di settore (sondaggi di opinione; attività legislativa, situazione assicurativa, etc.) sono stati utilizzati per valutazioni sulla dimensione del rischio e su una possibile responsabilizzazione personale, con funzione disincentivante, nel quadro di scenari assicurativi regionali ed europei. Si osserva infatti un po’ dovunque un aumento della edificazione su siti instabili; ciò nonostante siano in atto norme e divieti e nonostante sia nota la loro pericolosità: quasi sempre per ragioni di natura socio-economica coniugate ad atteggiamenti di fatalismo. Per cui si rende necessario un trasferimento di responsabilità dalla collettività all’individuo, per una convivenza al minor danno del sistema sociale nel suo complesso. Le applicazioni sulle aree test hanno utilizzato logiche e procedure comuni, ma prodotti e responsabilità funzionali differenziate in funzione delle tematiche affrontate. Le procedure comuni comprendono: • La geo-caratterizzazione dei siti e la comprensione dei processi (modellazione geologica); • La produzione di mappe multitemporali dei movimenti al suolo; • L’archiviazione ed elaborazione dei dati in GIS; • Il censimento e la distribuzione dei danni; • L’analisi dei dati per la gestione del rischio e/o per Scenari Assicurativi. Gli scenari assicurativi per quanto riguarda la Spagna sono stati affrontati dall’Università di Alicante (unitamente al sottopartner Cotesa); per quanto riguarda l’Italia e con riferimenti al quadro europeo, essi sono stati sviluppati dai sottopartners COPIT ed IRSA). 2 I dati raccolti sono stati utilizzati e/o richiesti dai Servizi di Protezione Civile, in quanto in tutte le aree test si sono verificate, durante lo svolgimento del progetto, situazioni di emergenza con procedure di sgombero degli edifici (Comune di Sallent in Spagna; Abitato di Cavallerizzo nel Comune di Cerzeto, in Calabria; Comune di Naro in Sicilia). Il progetto, gestito dal Comitato di Pilotaggio, è stato sviluppato in coerenza con la sua impostazione iniziale e con la fattiva collaborazione di tutti i soggetti coinvolti. Tutti gli obiettivi sono stati sostanzialmente raggiunti. Modifiche, nel complesso irrilevanti e per certi versi positive per il progetto stesso, hanno riguardato i seguenti aspetti: 1 La modifica dell’area test calabrese, inizialmente programmata nell’area di Belvedere di Spinello (sui versanti orientali della Sila), e quindi definitivamente scelta, per ragioni di interesse scientifico (elevato numero di frane attive e presenza di abitati a grave rischio) e sin dall’inizio delle attività, in quella di progetto (Sinistra Valle Crati). 2 La scelta da parte della Regione Sicilia, in fase avanzata ed a seguito di un evento emergenziale, di un’applicazione sperimentale anche sul suo territorio (prima aveva un ruolo di semplice diffusione e trasferimento operativo dei risultati). 3 Il non utilizzo di riprese ad alta risoluzione per il mancato lancio in tempo utile del satellite tedesco TERRASAR; Inoltre, rispetto all’articolazione iniziale e per difficoltà di contatti, ha dovuto limitare i rapporti con i soggetti “osservatori”. Le aree test utilizzate per lo sviluppo del progetto pilota sono, pertanto, costituite da: 1) Circa 100kmq in sinistra Valle Crati (Provincia di Cosenza), comprendente i comuni di Montalto, Rota Greca, Lattarico, S.Martino, Cerzeto, Torano, S. Benedetto Ullano, Mongrassano. 2) Un’area di estensione similare, nella zona del Bages in Catalogna, comprendente i comuni di d’Avinyó, Balsareny, Callús, Cardona, Castellnou de Bages, Navàs, Pinós, Sallent, Sant Mateu de Bages, Santpedor, Súria e Viver. 3) L’abitato di Naro (Provincia di Agrigento, Sicilia). In tutte le aree test, il progetto ha usufruito di implementazioni di risorse e di dati aggiuntivi, derivanti dalle attività di Protezione Civile. La riduzione delle risorse impiegate da alcuni partners, rispetto a quelle effettivamente programmate (Regione Calabria, Regione Sicilia ed ICC), non ha inciso significativamente sui risultati del progetto. In particolare, per quanto riguarda l’ICC, il mancato impiego dei fondi, ha comportato una riduzione delle applicazioni nella modellazione geomeccanica, ma non ha limitato la capacità di sintesi dello studio. Mentre, per quanto riguarda le Regioni, la riduzione di spesa è conseguente alle minori missioni effettuate rispetto a quelle inizialmente preventivate, anche in rapporto alle su citate modifiche in corso d’opera. 3 Modellistica dei fenomeni e metodologie diffSAR satellitare La modellistica applicata alla tematica calabrese, ha caratterizzato gli aspetti più salienti delle frane presenti sul territorio in esame; per cui queste ultime sono state inventariate dal punto di vista litologico, idrogeologico, geotecnico, dei cinematismi a rottura e dell’attività rilevata a terra. Sono state così distinte tre tipologie franose, rappresentative di casi aventi caratteri generali ed estrapolabili, costituite da: A) frane superficiali, collassibili per piogge intense e concentrate; B) frane mediamente profonde, collassabili per piogge prolungate; C) frane complesse e profonde, collassabili per piogge intense e prolungate. Le frane del primo tipo, con profondità inferiore ai tre metri, sono molto diffuse sui versanti monolitologici di argille o sabbie ed interessano le coltri superficiali degradate; quelle del secondo tipo (con profondità da tre ai sei metri) rappresentano dissesti con spessori che vanno oltre le normali oscillazioni dei processi di filtrazione dalla superficie, e sono generalmente connessi alla presenza di litologie miste con discontinuità che determinano acquiferi permanenti o livelli ad elevata saturazione; gli ultimi, sono caratterizzati da consistenti acquiferi in situazioni strutturalmente complesse con sottospinta idraulica, alimentate da acquiferi esterni all’area instabile e sono estesamente dislocate lungo la faglia regionale Nord-Sud che margina ad Ovest l’area in esame. Sono state quindi acquisite tutte le indagini geognostiche eseguite dalle diverse amministrazioni pubbliche sulle frane dell’area test ed i cui dati sono stati utilizzati per approfondire la conoscenza su casi reali. La modellistica idrogeologica messa a punto su tali tipologie franose evidenzia il rapporto tra livelli di falda e fattori di sicurezza nelle condizioni litologiche e morfologiche più disparate, a partire da litotipi caratterizzati in prove di laboratorio. In base a tali dati, per esempio, si osserva come nella tipologia franosa C ad incrementi di circa 3 metri del livello di falda corrispondano diminuzioni del fattore di sicurezza del 10% (Figura 42). Tutte le simulazioni, ottenute variando le possibili combinazioni dei parametri analizzati all’interno di intervalli realistici, si riferiscono a codici di calcolo bidimensionali e diverse condizioni di flusso. Una specifica modellazione 3D, ottenuta utilizzando il DEM territoriale, i dati delle sorgenti e la cartografia geolitologica appositamente prodotta in scala 1:5.000, ha consentito di analizzare gli effetti delle piogge sulle ricariche di falda evidenziando le aree più vulnerabili (Figure 44 e 45). A partire dalle stesse tipologie franose e dagli stessi schemi sono stati studiati gli effetti sulle deformazioni dei versanti in funzione della distanza dall’equilibrio limite al variare dei parametri litotecnici, morfologici ed idrogeologici. I risultati ottenuti mostrano come le differenze maggiori, in termini percentuali, si manifestino in presenza di falda acquifera (Figura 50). I dati così ottenuti sulle tipologie rappresentative sono stati direttamente utilizzati per selezionare, nella banca dati dei fenomeni franosi, circa 300 popolazioni a “comportamento omogeneo”. Infatti il censimento delle frane (Figura 7) ed il GIS consentono di acquisire, anche se in termini qualitativi, i fattori (profondità, litologie, acclività, strutture, sorgenti e falde acquifere, etc..) utili a definire le tre tipologie franose descritte e le situazioni parametriche considerate nelle predette modellazioni. Le frane dell’area test, oltre ad essere state caratterizzate ed inventariate, sono state modellate dal punto di vista cinematico. Sono così state fatte delle assunzioni, supponendo che la zona di testa di una frana si muova con movimenti subverticali, quella del corpo di frana scivoli lungo il versante e quella al piede, si rigonfi con un angolo di 45° (Figura 9). In realtà tale assunzione, che doveva servire per calcolare le componenti del movimento diffSAR nella direzione di movimento franoso ed in quella verticale non è stata utilizzata, per i limiti propri di tali elaborazioni e per la poca rispondenza tra ipotesi assunte e dati di monitoraggio (Figura 84). In rapporto alla specifica finalità della tematica in esame in Catalogna, la modellazione geologica per i fenomeni di sink-hole ha visto, oltre allo sviluppo di una cartografia geologica di dettaglio, l’applicazione di indagini di sismica a rifrazione e riflessione, associate ad indagini geoelettriche e magnetometriche, al fine di caratterizzare l’assetto litostratigrafico di dettaglio dei siti a maggiore rischio (Sallent e Surìa). Sono state così definite le dimensioni e l’ubicazione delle cavità sotterranee 4 (Sallent) e le caratteristiche fisiche dei livelli soprastanti. Tali dati sono stati integrati con le numerose indagini pregresse per chiarire al meglio l’assetto stratigrafico e litotecnico dei luoghi ed essi sono stati utilizzati per la modellazione geotecnica ad elementi finiti. La modellazione ha evidenziato che sono possibili meccanismi di deformazione a lungo termine (Figure 6, 7, 8 e 9) che possono risalire progressivamente dalla cavità verso la superficie e spiegare in tal modo l’aumento delle velocità di subsidenza misurate. I modelli usati si basano sulla degradazione del materiale, conseguente alla dissoluzione dei sali e all’accumulo di deformazione irreversibile, in modo che questo ceda al di sopra della cavità e la zona interessata si estenda arealmente. Sono state modellizzate le deformazioni verticali e orizzontali collegate al brusco collasso dei terreni nella zona d’influenza di una grande cavità. La situazione più critica si è verificata nel caso di rottura per cilindrica, che ha prodotto una deformazione così come una distorsione angolare. In questo caso si possono generare gravi danni strutturali in una fascia compresa tra 25 e 45 metri dalla zona di massima subsidenza. Analogamente in Sicilia, è stata eseguita una cartografia geologica di dettaglio, accompagnata da osservazioni strutturali che hanno consentito di ipotizzare un nuovo e più realistico assetto stratigrafico dell’area instabile. Tuttavia tale assetto non è ancora stato comprovato da prospezioni geognostiche (non previste dal progetto ed estremamente costose). Sulla base di tali dati e dei risultati delle indagini geotecniche di laboratorio è stata eseguita una modellazione geotecnica bidimensionale sulla stabilità dei pendi in condizioni statiche e dinamiche da cui si evince che il versante instabile è in condizioni prossime all’equilibrio limite e particolarmente esposto in caso di sismi. Ai fini della comprensione dei processi di innesco e destabilizzazione sono stati analizzati i rapporti tra piogge, sismi e movimenti del suolo (questi ultimi registrati su una rete di fessurimetri); da cui emerge, pur nei limiti propri di questo tipo di approccio e per cui è necessaria una doverosa cautela, un’assenza di evidenti relazioni tra piogge e movimenti, rendendo in tal modo più problematica la comprensione dei processi in atto. Problematica che non è stata adeguatamente risolta nelle applicazioni progettuali, in quanto anche i risultati diffSAR, che pure sembrano fornire utili indicazioni sulla natura gravitativa dei movimenti, non sono stati verificati da adeguati controlli a terra di convalida. In generale, le applicazioni diffSAR satellitare eseguite in ambito progettuale, con calibrazione dei dati e correzione deterministica dei dati atmosferici forniti dal NOA hanno dato buoni risultati e, pur nei limiti propri della metodologia, hanno mostrato le loro potenzialità applicative. Le riprese SAR satellitare utilizzate per il progetto, sia da ICC che dal CNR (tramite il sub-partner UNINA) si riferiscono ai passaggi ERS 1997-2000 ed ENVISAT 2003-05; i satelliti ERS sono diventati inaffidabili dopo il 2000. Il DPCN ha invece utilizzato (tramite UNIFI) riprese ERS 19922000 (discendenti ed ascendenti), ENVISAT 2002-2005 e RADARSAT 2003-05. La qualità dei risultati nel continuo territoriale è stata, per la prima volta, confrontata con la “verità a terra”, mediante analisi statistiche e/o monitoraggi in loco. Ciò è stato possibile soprattutto in Calabria dove, allo stesso modo e per la prima volta, sono stati messi a confronto i diversi algoritmi di calcolo utilizzati in ambito diffSAR (“Sb” e “Ps”). La sperimentazione assume maggiore valenza se si considera che nell’area test calabrese si è operato con coerenze molto più basse rispetto alle altre aree di prova, per la presenza di aree molto vegetate e poco urbanizzate (Figura 83); in tale area le velocità monitorate (sempre valori assoluti nella direzione di irraggiamento) sono state messe a confronto in termini di pixel in frana e non in frana (si consideri che il 30% dell’area test è costituita da morfologie franose; Figure 74 e 77); inoltre sono state confrontate le velocità dei corpi di frana presi nel loro insieme e opportunamente indicizzate (Figure 85 e 86). Dai risultati ottenuti, pur considerando la diversità delle direzioni di movimento rispetto a quelle di ripresa satellitare, è possibile osservare quanto segue: 5 I dati di velocità ottenuti per i vari pixel dalle riprese ERS1/2 tra il 1997 ed il 2000 non mostrano significative differenze tra aree in frana e non in frana (risultati nelle figure 78 e 79). Ciò accade per tutte le procedure utilizzate, ovvero permutando tutti i fattori presi in considerazione (algoritmi di calcolo; tipo di area selezionata; tipo di filtraggio atmosferico, livelli di coerenza utilizzati); tale risultato è in accordo con l’assenza di estese mobilizzazioni franose nell’insieme territoriale e con riferimento all’intervallo temporale considerato. Al di là dei risultati statistici, nello stesso periodo alcune frane poi collassate mostravano valori anomali, decisamente più elevati rispetto alla distribuzione complessiva dei dati (>0,9-1 cm/anno; vedi Cavallerizzo, in figura 63). Le elaborazioni “Sb” dei dati ENVISAT riferiti al 2003-2005 (UNINA) ed in parte anche ai dati elaborati con gli algoritmi “Ps” del 2003-2005 (UNIFI) mostrano invece differenze molto marcate e sempre significative (valori più elevati per i pixel ricadenti su aree in frana; Figura 79); ciò indipendentemente dal tipo di procedura utilizzata; ciò anche se le elaborazioni atmosferiche sono state di tipo non deterministico. Il valore della coerenza SAR, concettualmente rilevante nella definizione della precisione e della affidabilità del dato, sembra non influire molto sui risultati statistici e le considerazioni sopra esposte. Le velocità monitorate con gli algoritmi “Ps” (UNIFI) ed “Sb” (UNINA), anche se riferite a periodi, procedure e passaggi diversi, mostrano nel confronto a terra (sugli stessi pixel) tre diversi tipi di risposta (figura 81). Si può osservare infatti, in funzione della distribuzione territoriale, un andamento “a scatti” (grafico A della figura 81), a tratti più variabile all’interno di un definito intervallo (grafico C), per i dati “Sb” rispetto agli altri; mentre in altri casi sembra esserci una differenza più o meno costante (presumibilmente connessa a differenze di spostamento tra i punti di riferimento fissati per le elaborazioni differenziali nei due citati approcci. Grafico B). I risultati ottenuti nel periodo 2003-2005 mostrano che le differenze tra velocità ottenute su pixel in frana rispetto a quelli non in frana sono più elevate (e quindi più significative) e più variabili per le elaborazioni RADARSAT (coerenza >0,4). Per caratterizzare i corpi di frana sono stati elaborati quattro “indici di instabilità” in funzione delle velocità monitorate al loro interno (pixel da essi intercettati) e della loro distanza da “valori significativi di attenzione”, come segue (Figura 85): o I1-rappresenta la disomogeneità dei valori all’interno del corpo di frana. o I2, I3 ed I4 esprimono una misura di pericolosità relativa (suscettibilità) e rappresentano rispettivamente la velocità massima (che esprime la rottura locale), la velocità media (che esprime la rottura generale) ed il loro prodotto (l’effetto combinato divarica le differenze tra indici maggiori e minori di 1 rispetto ad una velocità critica di riferimento o di “allerta diffSAR”). Per tale ragione gli stessi sono anche stati chiamati “Indici di pericolosità”, in quanto esprimono una pericolosità generica, per velocità assunte dalla frana rispetto a un valore prefissato di riferimento (Vsignificativo). Quest’ultimo è stato ricavato dalla distribuzione statistica dei dati sperimentali DiffSAR sulla popolazione franosa dell’area test, nell’arco temporale di alcuni anni non eccezionalmente piovosi (1997-2000) e rappresenta il valore al di là del quale le velocità monitorate sono significative e consistenti; per le quali molte frane aventi velocità superiori sono poi effettivamente collassate (tra il 2003 ed il 2005). Le popolazioni franose (360) ottenute considerando tutte le possibili combinazioni dei parametri indicati in figura 86 (indice di pericolosità Diffsar, classe litologica; tipologia franosa; livello di coerenza, blocco dati SAR) mostrano nel confronto con la “verità a terra” (frane attive, frane quiescenti, frane riferibili al 2000-2005) differenze sempre significative negli indici di instabilità I1-I4 (Figura 85; indici più alti per le frane attive). Tali differenze, tuttavia, assumono valori 6 alquanto bassi, dell’ordine di 0,1-0,2 per i dati monitorati nel periodo 1992-2001 (Figure 88 e 89); mentre diventano marcate, dell’ordine di 0,5-0,7 per i dati relativi al periodo 2003-2005; ciò ovviamente in coerenza con quanto già osservato in merito alla distribuzione di velocità per singoli pixels (in frana e non in frana). Sia le velocità nei pixels che gli indici di instabilità delle frane, in occasione degli eventi piovosi destabilizzanti del 2003-2005, risultano da 2 a 10 volte più elevati. I valori medi degli indici ottenuti dai dati RADARSAT (algoritmi “Ps”) rispetto a quelli ENVISAT (algoritmi “Sb”) sono statisticamente simili, anche se localmente sono possibili sensibili variazioni (Figura 87). Le differenze tra velocità monitorate su pixels con le metodologie SAR e quelle acquisite con monitoraggi GPS su alcuni capisaldi e su un intervallo di circa otto mesi è risultato essere dell’ordine di 0,8cm/anno. Il valore medio delle differenze tra velocità acquisite con algoritmi “Sb” filtrati statisticamente e quelle ottenute sempre con algoritmi “Sb” ma filtrati in modo deterministico (blocco dati ERS 1997-2000), risulta essere dell’ordine di 0,2cm/anno. I dati acquisiti, in rapporto alle frane che si sono poi realmente verificate, consentono di definire una soglia di velocità di allerta pari a circa 1-2 cm/anno; al di sopra della quale, in condizioni geodinamiche “normali” del tipo di quelle verificatesi tra il 1997 ed il 2000, le frane sono da tenere sotto attenta osservazione a terra. In tali condizioni l’indice di instabilità composto I4, assume quasi sempre valori superiori ad uno e sembra essere il più caratterizzante. Le velocità di “allerta in emergenza” (0,5 cm/g), acquisite nei monitoraggi in continuo a terra, come nel caso di Cavallerizzo (Figure 63 e 64), sono circa 200 volte più elevate di quelle di “allerta DiffSAR” (1-1,5 cm/anno); per cui, visto il divario, è possibile utilizzare ulteriori valori di attenzione tecnica (Tabella 1). Monitoraggio Reti di sorveglianza a terra (Low cost-High performance) DiffSAR Satellitare Emergenza Pre-allerta tecnica Indice I4 “Magnitudo delle frane” Velocità monitorata Tempo prima del collasso Monitoraggio satellitare Sorveglianza a terra Allerta Preallarme Allarme <0,4 0,4-1,5 >1,5 - - - - M0-M3 M2-M4 M4 - - - - >1,5 cm/anno 0,1-0,5 cm/g 0,5-1,5 cm/g 1,5-3,5 cm/g >3,5 cm/g mesi/settimane settimane giorni/ore ore <1,5 cm/anno anni Tabella 1- Limiti di velocità ottenuti dal monitoraggio delle frane in Calabria ed utilizzabili per la gestione del rischio e la pianificazione dell’emergenza. In definitiva, le metodologie messe a punto sulla base dei dati raccolti forniscono utili indicazioni per operare nelle condizioni ottimali e per indicizzare l’instabilità degli ammassi, cui far seguire indispensabili azioni di sorveglianza a terra. Per questo progetto l’ICC ha sviluppato un software integrato DInSAR, denominato DISICC (Differential Interferometric Software of ICC), capace sia di generare un insieme di interferogrammi 7 differenziali a partire da una serie di acquisizioni SAR in differenti intervalli temporali, sia di processare in modo avanzato i dati DInSAR (minimizzazione dell’errore atmosferico e calcolo dell’evoluzione temporale della deformazione). Questo software è caratterizzato da una totale automazione del processo, molto importante nella gestione di grandi quantità di dati, e ha la capacità di elaborare più fasi interferometriche interconnesse. Infatti, utilizzando altre metodologie, l’elaborazione di fasi interconnesse rappresenta un passo molto delicato ed è una grande fonte di errori per il risultato finale. Nel caso concreto della problematica di Sallent è stato possibile identificare e quantificare le deformazioni nel passato, essendo state implementate le misure di controllo dal 1997. Sono state utilizzate imagini ERS dall’anno 1992, e utilizzando immagini di altri sensori è stato possibile estendere l’analisi fino all’anno 2005. Questa tecnica, in quanto permette di coprire rapidamente grandi estenzioni di territorio e a costi ridotti, è ideale per lo studio di questi fenomeni. Per il suo corretto funzionamento la tecnica necessita di coerenza nella qualità del segnale, cioè la risposta del segnale deve mantenersi buona nel tempo. Ciò è verificato principalmente nelle zone urbane e meno in quelle non urbanizzate. È per questo motivo che le mappe di deformazione DInSAR presentano zone senza informazioni con una qualità del segnale molto bassa. Per poter migliorare questo aspetto è stato migliorato il software DISICC sviluppato dall’ICC per poter realizzare elaborazioni DInSAR avanzate, in questo modo è stato possibile ottenere una stima più precisa delle deformazioni del terreno in zone vegetate. Il software utilizza l’elaborazione di pacchetti di immagini per minimizzare il fattore di decorrelazione. L’utilizzazione della tecnica DInSAR dipende dalla disponibilità di immagini radar, attualmente ENVISAT registra immagini ogni 35 giorni (catalogo di mimmagini). In previsione del lancio di nuovi satelliti, verrà aumentata la frequenza di passaggio a pochi giorni e aumenterà la risoluzione delle immagini (da 1 a 3 metri di risoluzione spaziale). Ciò permetterà di migliorare la qualità dei dati ottenuti. L’integrazione di tutti i dati ottenuti all’interno di un Sistema Informativo Geografico (GIS) ha permesso una gestione rapida ed efficiente dei dati nell’analisi del rischio. Il GIS integra le informazioni riferite alla pericolosità legata alla subsidenzia ottenuta da tecniche DInSAR, la topografia di precisione e le misure di deformazioni in posto (estensiometria), i dati geofisici e le informazioni regionali, come geologia, geotecnica, catasto, edificazione, ecc, il tutto elaborato dall’ICC. Tutto ciò ha permesso di stabilire un modello di pericolosità per la subsidenzia. Partendo dai dati di deformazione del terreno (velocità di deformazione) è stato calcolato un nuovo parametro: la distorsione angolare. Questo angolo è stato correlato con i danni osservati nel quartiere della stazione di Sallent ed è stata definita una zonazione in funzione del suo valore. Questo modello è applicabile in altre zone in cui si utilizzano tecniche DInSAR per ottenere velocità di deformazione. La realizzazione di questo progetto ha permesso di definire una metodologia di monitoraggio e controllo della problematica in qualsiasi zona potenzialmente interessata da subsidenzia. Le condizioni di riflettività dell’area di Naro sono risultate più basse di quelle ottenute sui centri abitati della Catalogna. Nel caso di Naro, inoltre, non si dispone di misure topografiche confrontabili a terra e le situazioni geometriche, per un orientamento abbastanza diverso tra irraggiamento satellitare e movimento gravitativo, sono sfavorevoli ad una corretta valutazione dell’entità degli spostamenti. Infatti, in tali condizioni i movimenti ottenuti risultano alquanto più bassi rispetto alle entità reali, ma dovrebbero essere al contempo dotati di buona affidabilità e precisione, trattandosi di dati relativi ad aree urbanizzate e discretamente riflettenti, ovvero con caratteristiche similari ai siti della Catalogna, dove i controlli a terra hanno dato precisioni di ordine millimetrico. 8 I risultati ottenuti mostrano che tutti i pixel dell’area, per quanto con valori di velocità prossimi allo zero, non hanno una distribuzione caotica, ma anzi assumono una polarità diversa a cavallo della linea di coronamento dell’ammasso instabile, nella parte alta dell’abitato e lungo la quale si osservano i maggiori danni; per tale ragione è presumibile che essi siano significativi. Le polarità dei movimenti monitorati sono coerenti con i supposti processi gravitativi: in allontanamento dal sensore (e molto più bassi del reale) per l’ammasso soggetto a scivolamento lungo il pendio del versante abitato instabile; in avvicinamento sui versanti opposti, orientati verso il satellite, dove i movimenti gravitativi risultano più marcati sulle propaggini orientali. Sulla cresta è possibile che i movimenti monitorati siano inesistenti e rappresentino, di fatto, i movimenti del punto zero di riferimento (quello scelto per le elaborazioni differenziali). In tale quadro, la linea di coronamento delle masse instabili, che rimarca la distribuzione delle maggiori tensioni e i maggiori danni agli edifici, non corrisponde ai movimenti più elevati (il SAR fornisce dati mediati sui pixel) ma alla zona della loro massima differenza (inversione della polarità): quella che corrisponde al contatto tra masse stabili e masse in movimento gravitativo. Al centro dell’area instabile non si osservano danni agli edifici in quanto il movimento è uniforme e, presumibilmente, esso diminuisce gradatamente verso il piede del versante, in quanto non sembra esistano significative variazioni riferibili a rigonfiamenti (una leggera variazione si osserva a mezza costa, ma è arduo affermare che si tratta dell’area di piede di una frana incipiente). I monitoraggi satellitari hanno contribuito quindi alla comprensione della natura gravitativa dei processi di instabilità in atto, la cui esistenza sembrerebbe confermata anche dalla modellistica geotecnica per l’analisi del fattore di sicurezza del versante. I risultati ottenuti danno un quadro della dislocazione degli spostamenti e sono utili ad orientare le future campagne topografiche di precisione a terra. Le metodologie diffSAR utilizzate risultano particolarmente significative nell’apprezzare movimenti su grandi ammassi instabili e a comportamenti cinematici relativamente uniformi (subsidenza, sink-hole, grandi frane isodirezionali), ma sono anche utilizzabili su vaste aree per caratterizzare ammassi franosi di medie dimensioni e a bassa coerenza. Le applicazioni progettuali in Calabria ed in Catalogna, hanno fornito elementi utili per la definizione di procedure di valutazione dei siti a rischio e più in generale per la caratterizzazione ed il monitoraggio dei processi di instabilità. I risultati ottenuti sono stati verificati statisticamente e sono risultati abbastanza rispondenti alle osservazioni a terra. Gli algoritmi basati sulle logiche “Ps” ed “Sb” in alcuni casi non hanno fornito grandi differenze e l’uso combinato delle informazioni appare il più adatto; tuttavia i primi appaiono più stabili rispetto ai secondi. In entrambi i casi la precisione dei risultati sembrerebbe essere dell’ordine di 1cm/anno; in condizioni ottimali, dove le coerenze SAR sono elevate (Centri Abitati) entrambi gli algoritmi possono fornire localmente elevate precisioni (di ordine millimetrico). La metodologia messa a punto per caratterizzare i corpi franosi (Indici di Instabilità e Magnitudo delle Frane) risulta utile, soprattutto se applicata in occasione di eventi destabilizzanti intensi, a migliorare ed aggiornare la cartografia dei Piani di Assetto Idrogeologico (PAI) regionale. Tutti i risultati raggiunti sono stati utilizzati dai Servizi di Protezione Civile. In particolare è stata definita una nuova metodologia per valutare la pericolosità delle frane, basata sulla probabilità di innesco di una popolazione franosa, ottenuta da un processo di “back-analysis”. La relazione ottenuta (Figura 119) mostra come la probabilità di innesco, aumenti sensibilmente per indici di instabilità I2,I3,I4>1,5, assumendo presumibilmente un andamento iperbolico e valori di probabilità >30%. Ciò significa che più una frana è prossima alla rottura e più si muove negli anni precedenti al suo collasso; confermando in tal modo l’assunto concettuale a base del progetto RISCMASS. Per eventi destabilizzanti legati alla normale ciclicità stagionale (il periodo compreso tra il 1997 ed il 2000 e relativamente all’area test) e per frane con indici di circa 1,5 si ha una probabilità su tre che al primo evento piovoso con franosità 9 diffusa esse si inneschino realmente. Tale probabilità aumenta sensibilmente per valori >1,5-2,0; mentre per valori degli indici al di sotto di 1 la probabilità di innesco è estremamente bassa (<10%), così come la significatività dei dati (Figura 79). Tale relazione ha presumibilmente carattere generale e potrà essere ulteriormente e meglio definita con l’aumento delle applicazioni e la disponibilità di un gran numero di dati. Ciò anche in rapporto all’eventuale influenza di alcuni parametri significativi che possono suddividere la popolazione franosa complessiva in ulteriori raggruppamenti “omogenei” per caratteri geomeccanici e/o geomorfologici (così come delineato dalla relazione base di progetto). Probabilità di innesco 60,0 50,0 40,0 Indice I2 Indice I3 Indice I4 30,0 20,0 10,0 0,0 <0,2 0,2-0,4 0,4-1,0 1-1,5 >1,5 Indice di instabilità Figura 119 - Relazione tra indici di instabilità (così come sono stati finiti dalla metodologia di progetto) e pericolosità (probabilità di innesco franoso). La relazione (la linea tratteggiata indica una tendenza iperbolica) è stata ottenuta su una popolazione franosa di 658 frane dell’area test calabrese, i cui indici si riferiscono al monitoraggio 1997-2000 e di cui 74 hanno subito una consistente rimobilizzazione tra il 2000 ed il 2003. Va infine osservato che tali applicazioni, mentre sono utili per qualificare l’instabilità del territorio in un quadro di aggiornamento dinamico, poco si adattano a gestire l’emergenza delle fasi ultime che caratterizzano la rottura dei versanti (creep secondario e terziario). Infatti queste ultime si sviluppano su tempi brevi (ore o giorni), durante i quali necessita una elevata frequenza e certezza dei dati. Per cui il flusso operativo ottimale nella gestione del rischio, dovrebbe essere il seguente: Costruzione del GISº Aggiornamento dinamico degli indici di instabilità e della magnitudo delle frane ºIndividuazione delle situazioni più gravi º Soglie di allerta e Sorveglianza in continuo a terraº Piani di emergenza e normative per un intervento efficace e tempestivo. In estrema sintesi possiamo dire che le metodologie diffSAR satellitare presentano: •Vantaggi: monitoraggi periodici sul continuo territoriale e/o su vasta scala nella precoce individuazione delle emergenze territoriali. •Limiti: fattori di indeterminazione a carattere casuale; impossibilità di allertamento in tempo reale. Necessità di molteplici passaggi per la definizione di trend certi di spostamento e delle relative velocità mediate. Le precisioni sono variabili e dipendono da molteplici fattori: quelle ottenute in ambito progettuale sembrano simili (o leggermente più basse) a quelle generalmente indicate in letteratura, le quali 10 vengono generalmente considerate di ordine centimetrico per gli algoritmi “Sb” e millimetrico per gli algoritmi “Ps” (Tabella 2). Metodo Risoluzione DIFFSAR SubCentimetrica-MultiCentimetrica PSI Millimetrica-Centimetrica Tabella 2 In prospettiva e per migliorare i risultati applicativi di tali metodologie è opportuno predisporre: • Scelta oculata del punto zero di elaborazione differenziale, validata geologicamente e sottoposta a controllo geodetico GPS (stazioni permanenti); • Controlli a terra (stazioni GPS per grandi aree; misure topografiche per aree di dettaglio); • Realizzazione filtri ad hoc che sfruttino la caratterizzazione statistica del rumore atmosferico e del segnale di spostamento (necessità di nuovi modelli); • In alternativa, valutazione deterministica del rumore atmosferico (serve l’indice di rifrazione su una griglia più fitta e su più quote); • Sistemi SAR a risoluzione più alta, per avere un maggior numero di look (cioè rumore di decorrelazione più basso) a parità di risoluzione della mappa finale di spostamento (sensori di prossima generazione); • Monitoraggio a seguito di eventi destabilizzanti intensi; • Uso combinato di entrambi gli algoritmi (“Sb” e “Ps”); • Messa a punto di prototipi radio-ricetrasmittenti del segnale SAR (Transponder) che, se efficaci, possono costituire utili ed economiche reti di misura e controllo a terra (Figura 120). 11 Satelliti SAR: Tecnologia in rapida evoluzione e programma lanci Frequenza più alta ºaccuratezza massima più alta, ma coerenza più bassa su aree vegetate Frequenza più bassaº accuratezza massima più bassa, ma coerenza più alta “ “ Satellite Lancio previsto Risoluzione Revisit time Risoluzione da 1 a 3 metri Banda X (f .10 GHz) 11 giorni ogni 8 mesi dalla fine del 2006 al 2008 Risoluzione da 1 a 3 metri Banda X (f .10 GHz) 12 ore (con 4 satelliti) SAOCOM (Argentina:) Costellazione di 2-4 satelliti 2012 Risoluzione < 10 metri Banda L (f .1.25 GHz) ? COSMO + SAOCOM = SIASGE (accordo Italia-Argentina, 730 M euro) _ _ _ TERRASAR X (Germania): 31 ottobre 2006 COSMO-Skymed (Italia): Costellazione di 4 satelliti Satelliti in orbita Risoluzione 20m 35 giorni Banda C Risoluzione 8m RADARSAT-1 (Canada) 1995 24 giorni Banda C Risoluzione 20m ENVISAT (Europa) 2002 35 giorni Banda C Risoluzione 10m ALOS (Giappone) 2004 46 giorni Banda L(f .1.25 GHz) Risoluzione 3m RADARSAT-2 (Canada) 2006 24 giorni Banda C Tabella 3 – Quadro dei satelliti SAR utilizzabili per il monitoraggio interferometrico dei movimenti del suolo. ERS-2 (Europa) 1995 Si tratta quindi di metodologie promettenti e che utilizzano tecnologie in rapida evoluzione, con un crescente numero di satelliti in orbita, aventi risoluzione e frequenza di rivisitazione sempre più elevata (Tabella 3) . Figura 120 - Prototipo di radio ricetrasmittente del segnale SAR (Riflettore attivo o Transponder). 12 Scenari Assicurativi I dati diffSAR e le metodologie messe a punto hanno consentito di distinguere il territorio in fasce a diversa pericolosità (Indici di instabilità e Magnitudo) e di analizzare la distribuzione degli edifici per fasce di rischio. L’ubicazione dell’edificato è stata ricavata anche dalle cartografie ufficiali (carte topografiche e ortofoto); è stato così possibile nell’area test calabrese fare anche un confronto tra l’edificato del 1954 rispetto a quello del 2000. In tutte le aree test sono state, inoltre, raccolte dettagliate e sistematiche informazioni sul danno agli edifici, mediante schedatura ed i cui risultati sono stati introdotti in un Sistema Informativo. E’ stata così valutata la tipologia di danni, il numero di edifici (e quindi il volume) costruito su are instabili e non. Nell’applicazione calabrese, inoltre, le informazioni storiche sul danno, riferibili agli eventi degli ultimi cento anni, oltre a dare un’idea dei siti più colpiti hanno permesso di valutare il numero degli edifici distrutti o danneggiati. Mediante un opportuno parametro che rispecchia l’incremento dell’edificato tra il 1954 ed il 2000, è stato calcolato il danno medio annuo atteso (assimilabile al premio teorico puro) in tutta l’area test, nell’ipotesi che gli eventi storici si ripresentino in futuro con la stessa frequenza. Ciò ha permesso di valutare, limitatamente alla problematica delle frane, l’incidenza sul premio assicurativo nella ipotesi di diversi scenari assicurativi. E’ stato visto, ad esempio, come anche in aree altamente a rischio, quale quella in esame (le frane costituiscono il 30% del territorio), tale premio assume valori relativamente contenuti se ci si riferisce ad un sistema assicurativo obbligatorio, mentre assume valori molto più elevati e legati alla pericolosità locale nel caso di assicurazione facoltativa. Tali dati confermano anche la “praticabilità” di un sistema assicurativo obbligatorio con funzioni disincentivanti, basato in parte sulla mutualità (per le fasce a pericolosità più bassa) ed in parte sulla responsabilizzazione personale (per quelle a pericolosità più elevata). I sondaggi di opinione su proprietari di case danneggiate e a rischio, mostrano un atteggiamento sostanzialmente assistenzialista, molto sensibile alle problematiche dei monitoraggi e della sorveglianza, ma poco incline ad assumersi responsabilità in proprio, se non a costi estremamente contenuti. Sorprendentemente, il 62% degli intervistati ritiene, tuttavia, interessante l’idea di un sistema assicurativo con partecipazione individuale; di questi il 58% sarebbe disposto a cautelarsi dal rischio con una quota individuale non superiore a 50 euro/mese (Figura 118). Il confronto tra edificato del 1954 e del 2000 (Figura 121) evidenzia un notevole sviluppo (in misura del 208%), distribuito tra aree in frana (59%) e non (149%); la consistente edificazione su aree in frana (circa 1/3 dell’edificato) si osserva soprattutto nei comuni che presentano un dissesto territoriale diffuso e trova origine in comportamenti sociali (attaccamento ai nuclei storici; fatalità; scarse risorse economiche per la scelta di suoli idonei, etc.) e locali (grande diffusione del dissesto) a cui i Sindaci si sono adeguati nella concessione di licenze edilizie e per i quali a poco sono valse le numerose disposizioni di legge in materia urbanistica e di difesa del suolo. 13 Figura 121 – Dati di sintesi della distribuzione dell’edificato nei centri abitati relativa al 2000 e del suo incremento rispetto al 1954. Le problematiche emerse nell’area test rispecchiano, in generale, quanto è avvenuto in molte altre parti del territorio nazionale ed europeo: la crescita dei danni catastrofali a scala planetaria mostrano un sensibile aumento negli ultimi decenni sia del volume di indennizzi assicurativi che della frequenza degli eventi catastrofici. L’analisi puntuale e dettagliata di gran parte dei danni idrogeologici mostra, tuttavia, come il loro aumento sia -anche e in buona parte- dovuto all’occupazione progressiva di aree sempre più pericolose rispetto al passato, ed i dati dell’area test lo confermano (Figura 122). Figura 122 –Dati di sintesi raffiguranti l’incremento della distribuzione dell’edificato in aree a pericolosità maggiore dal 1954 al 2000. In tale quadro emerge l’importanza, per limitare l’aumento dell’esposizione al danno o –quantomenoper rendere possibile l’utilizzo di aree a rischio senza appesantire i costi per la collettività, di una 14 politica basata sull’obbligatorietà assicurativa per gli edifici esposti, con definizione del carico individuale per maggiori oneri rispetto ad un rischio medio mutuabile. L’esperienza nell’area test calabrese mostra, se si fa riferimento al solo rischio di frana e al relativo premio teorico puro che è stato calcolato, come tali oneri siano relativamente contenuti nella ipotesi di assicurazione obbligatoria, anche se limitata alle sole aree a rischio (Figura 123). Figura 123 – Schema di calcolo del Premio Teorico Puro in Euro per unità abitativa di 800 mc e per diversi scenari assicurativi. Anche in Spagna è stato visto che le aree a rischio di subsidenza sono molto più diffuse di quanto si pensi, anche in rapporto ai danni osservabili, per cui è possibile una estensione dei rischi catastrofali a questo tipo di fenomeni con costi irrisori. Gli studi sulle dimensioni del rischio e sui sistemi assicurativi, con particolare riferimento all’Italia ed alla Spagna, sono stati approfonditamente condotti dal COPIT e da COTESA. Il COPIT, in particolare ha analizzato i diversi sistemi esistenti nel mondo con particolare riferimento all’Europa, distinguendoli in volontari e obbligatori ed osservando un graduale passaggio verso questi ultimi, a seguito dell’aumento dei danni su scala globale. A livello italiano sono state criticamente analizzate le diverse proposte legislative che si sono succedute, soprattutto nell’ultimo decennio. Curiosamente ed in contrasto con la crescita dei danni per la progressiva ed inarrestabile occupazione del territorio a rischio, anche dove vigono sistemi assicurativi obbligatori, per lo più non esistono criteri di responsabilizzazione personale. L’assicurazione obbligatoria sui rischi catastrofali non costituisce, infatti, di per sé un criterio disincentivante se non è accompagnata da un premio proporzionato al livello di rischio. Per esempio in 15 Svizzera non è possibile avere la licenza se non si è in possesso di una assicurazione e questa è proporzionata al rischio, che ovviamente deve essere basso per trovare una compagnia disposta a contrattarlo. In conclusione, visto il notevole aumento dell’edificato a rischio e della frequenza degli eventi catastrofali, il monitoraggio e la sorveglianza degli abitati instabili rappresentano un presupposto fondamentale per un’efficace gestione del rischio e delle fasi di emergenza, con cui la società dovrà abituarsi a convivere. In tale settore è possibile fare consistenti passi in avanti, in termini di innovazione tecnologica ed organizzazione sociale e l’esperienza condotta lo dimostra. Le metodologie diffSAR satellitare, nelle specifiche procedure e prassi metodologiche messe a punto, costituiscono un potenziale mezzo per qualificare i siti instabili con indici dinamici, aggiornabili periodicamente, al fine di individuare priorità ed emergenze territoriali, a cui far seguire reti di sorveglianza in continuo a terra. Le esperienze condotte sia sulle frane che sui fenomeni di sink-hole consentono di stabilire dei “limiti di allerta” a cui far seguire azioni concrete. Le esperienze applicata nelle aree test della Calabria e della Catalogna dimostrano come tali metodi siano utili non solo a fine di protezione civile, ma anche per valutazioni di tipo assicurativo. Visto lo stato dell’arte, la elevata specializzazione e la rapida evoluzione della tecnologia, ricerca e applicazione devono andare di pari passo per ottenere i massimi risultati applicativi. Si suggerisce pertanto che la creazione di strutture applicative (del tipo Agenzia, iniziative di Spin-off o similari) possa comprendere la partecipazione sia di Enti di Ricerca e di PMI operanti nella produzione di alta tecnologia, che di potenziali Utenti (Servizi Regionali, Amministrazioni locali, Banche, Assicurazioni, Gestori di grandi Infrastrutture). Va rilevato come il progetto sia anche servito ad avvicinare esperti di varie discipline e centri europei regionali, nella messa a punto di metodologie finalizzate alla gestione del rischio. Da tale esperienza è pertanto nata la volontà dei partecipanti al progetto di proseguire nelle iniziative di ricerca ed applicazione, promuovendo un Protocollo di Intesa tra soggetti istituzionali dell’area Euromediterranea (MEDOCC), a partire dal quadro dell’interscambio già consolidato e volto a sviluppare le relazioni scientifiche, l’interscambio stabile di esperienze ed informazioni, le potenziali applicazioni nel settore delle Scienze della Terra e dell’Ingegneria Civile. 16