Aspetti metodologici e operativi

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Aspetti metodologici e operativi
CAPITOLO 3
Aspetti metodologici e operativi
3.1 GENERALITÀ
Il presente lavoro è stato impostato alla stregua di un Piano per l'Assetto
Geomorfologico di una qualsiasi Autorità di Bacino, al fine di definire una linea
metodologica per la redazione della cartografia a scala di dettaglio delle zone
soggette a pericolosità e rischio di frana. L'attività si è articolata secondo tre fasi
distinte, in accordo con quanto previsto dal D.L. 180/98 e dal successivo D.P.C.M.
29/9/98:
1.
2.
3.
Individuazione, acquisizione delle informazioni disponibili e documentazione
delle aree soggette a pericolosità da frana.
Perimetrazione e valutazione dei livelli di pericolosità.
Valutazione dei livelli di rischio e definizione delle misure di mitigazione dello
stesso.
Come accennato in precedenza, la zonazione della pericolosità di frana
costituisce l'elaborato più importante ai fini di una corretta pianificazione del territorio;
per questo motivo, la parte più importante del presente lavoro è rappresentata
proprio dalla valutazione della pericolosità. La pericolosità di frana nell'area di studio
è stata determinata seguendo due percorsi differenti. In un primo momento,
utilizzando un approccio geomorfologico, sono state identificate come aree
pericolose solo quelle dove è stato possibile riconoscere traccia di eventi franosi,
dopodiché si è passati a definire la pericolosità anche in zone non interessate da
movimenti di versante, cercando di individuare le aree potenzialmente instabili, con
l'applicazione di un metodo indiretto di tipo statistico.
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3.2 METODOLOGIA DI LAVORO
La realizzazione di una cartografia della pericolosità e del rischio da frana
prevede una serie di livelli di studio successivi, articolati secondo uno schema
formale delineato dal CNR-GNDCI (Canuti e Casagli, 1996) e schematizzato in
Figura 3.1. Tale schema ben si adatta alle disposizioni del D.P.C.M. 29/9/98 e quindi
è stato seguito, per quanto possibile, nella realizzazione del presente lavoro.
I diversi passaggi dello schema proposto possono essere raggruppati in sette
punti principali:
1.
2.
3.
Raccolta di dati ed informazioni per la descrizione dello stato della natura.
Analisi dei dati raccolti e valutazione della pericolosità su base geomorfologica.
Individuazione delle aree potenzialmente instabili.
4.
Definizione degli elementi a rischio in base alla loro tipologia ed al loro valore
socioeconomico.
Valutazione della vulnerabilità, in base alla quale viene stabilito il danno atteso
per un certo tipo di bene a rischio sulla base dell'intensità dell'evento atteso.
Stima del rischio sulla base della combinazione delle informazioni.
Gestione del rischio, ovvero l'insieme delle attività di prevenzione.
5.
6.
7.
STATO DELLA NATURA
ELEMENTI A RISCHIO
cause
effetti
tipologia
PERICOLOSITÀ
INTENSITÀ
VULNERABILITÀ
RISCHIO SPECIFICO
valore
DANNO POTENZIALE
RISCHIO TOTALE
GESTIONE
DEL RISCHIO
RISCHIO ACCETTABILE
Figura 3.1 - Schema formale per l'analisi del rischio da frana (Canuti e Casagli, 1996)
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3.3 RACCOLTA DATI
Informazioni, dati e studi pregressi
La raccolta di dati ed informazioni utili allo svolgimento del lavoro è iniziata
con l'acquisizione delle cartografie di base in formato digitale e numerico, per poi
procedere con l’analisi dei lavori e degli studi svolti nell'area in esame (Tabella 3.1).
Presso gli uffici dell'Autorità di bacino del Fiume Magra sono state acquisite, oltre alle
Carte Tecniche Regionali in scala 1:10.000 e 1:5.000, anche relazioni geologiche,
geologico-tecniche, pubblicazioni, Annali Idrologici, studi e tutti gli elaborati grafici del
Progetto di Piano per l'Assetto Idrogeologico. Per quanto riguarda la cartografia
geologica, sono stati utilizzati gli elaborati, in scala 1:10.000, recentemente realizzati
dalla Regione Toscana e disponibili in rete (www.regione.toscana.it/geologia). Il
Comune di Zeri ha fornito le indagini geologiche di supporto alla pianificazione
urbanistica, mentre la Provincia di Massa-Carrara ha messo a disposizione i risultati
del monitoraggio inclinometrico e piezometrico, attualmente in corso di svolgimento
sulla frana di Patigno. I dati sono stati acquisiti in formato digitale, vettoriale o raster,
con sistema di riferimento Gauss-Boaga: solo i dati forniti dal Comune di Zeri e la
carta geologica hanno richiesto un'operazione di georeferenziazione, realizzata con il
software Global Mapper, e successiva digitalizzazione in ArcView. Per la
fotointerpretazione sono state utilizzate immagini di voli effettuati dalla Regione
Toscana ed altre di proprietà dell'Autorità di Bacino del Fiume Magra; le immagini da
satellite sono state reperite liberamente sul web.
Dato
Proprietario
Formato di acquisizione
CTR 1:10.000, 1:5.000
Regione Toscana
Raster e vettoriale
Carta geologica 1:10.000
Regione Toscana
Raster non georiferito
R. Toscana e Adb Magra
Raster
R. Toscana e Min. Ambiente
Raster
Foto aeree
Ortofoto
Immagini da satellite
Studi e carte di Piano
Raster
Adb Magra
Cartaceo, vettoriale e raster
Dati di monitoraggio
Provincia di Massa-Carrara
Cartaceo
Indagini geologiche
Comune di Zeri
Raster non georiferito
Relazioni e pubblicazioni
Cartaceo
Tabella 3.1 - Elenco dei dati acquisiti.
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Rilevamento geomorfologico di campagna
Dopo una prima fase di acquisizione di dati pregressi ha avuto inizio il lavoro
di campagna; tale attività ha necessitato molto tempo a causa del grado di dettaglio
richiesto per una ricostruzione geomorfologica dell’area finalizzata allo studio della
pericolosità di frana. I rilievi sono stati effettuati ad una scala di lavoro 1:5.000, su
basi topografiche degli anni settanta, e successivamente riportati sulle nuove CTR
toscane numeriche in scala 1:10.000 aggiornate al 2000. La trasposizione delle
forme del territorio individuate è stata resa più agevole dall'utilizzo di immagini
ortorettificate e georeferenziate (ortofoto), sovrapposte alle carte numeriche tramite
semplici funzioni di overlay in ambiente GIS. Le campagne di rilevamento si sono
svolte nel periodo 2003-2005 e sono state integrate da fotointerpretazione ed analisi
di ortofoto e immagini satellitari.
Durante il rilevamento sono stati cartografati aspetti e forme del paesaggio
riconducibili ai principali agenti morfogenetici, come la gravità, le acque correnti
superficiali e l'uomo. Particolare attenzione è stata posta al riconoscimento di
elementi che si ritiene possano comportare un pericolo e di indicatori geomorfologici
che possano rappresentare indizi precursori di fenomeni di instabilità: orli di scarpata
di degradazione o di frana, trincee, contropendenze, scarpate di terrazzo fluviale,
coni detritici, coni di debris-flow, presenza di fratture di tensione, alvei con tendenza
all'approfondimento, grandi coltri detritiche, aree in erosione, aree interessate da
creep e soliflusso.
Da un punto di vista morfodinamico le forme e i depositi sono stati distinti in
attivi, quiescenti ed inattivi. L'attività di campagna ha inoltre consentito di individuare
la presenza di caratteri fisici del territorio che rappresentano fattori predisponenti di
fenomeni di instabilità, quali caratteri litologici, clivometrici e giaciturali nonché
caratteri relativi alle coperture detritiche superficiali.
Il lavoro sul terreno ha consentito di realizzare una carta geomorfologica in
scala 1:10.000 dell'area di studio e, conseguentemente, una carta inventario delle
frane. Le frane sono state classificate in base al loro tipo di movimento (Cruden e
Varnes, 1996), allo stato di attività, alla presunta profondità del piano di scivolamento
e alla velocità di spostamento.
Sono state riconosciute e cartografate frane di diverso tipo: scivolamenti
rotazionali, scivolamenti traslazionali, colamenti, crolli e deformazioni gravitative
profonde di versante (dgpv). In alcuni casi, tipi diversi interessano uno stesso
versante, dando origine a fenomeni dallo stile di movimento complesso.
Particolare attenzione è stata rivolta al riconoscimento di piccoli movimenti
non cartografabili lungo le aste fluviali e lungo le principali vie di comunicazione:
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spesso, infatti, possono essere indizi di potenziali riattivazioni di frane quiescenti o
riprese di movimenti ormai inattivi ad opera di un diverso agente morfogenetico.
La possibilità di effettuare più ricognizioni, in periodi diversi, nell'arco di tre
anni, ha consentito di valutare attentamente l'evoluzione dei fenomeni cartografati,
facilitando la definizione dello stato di attività così come la ripetitività stagionale o
meno dell'evento. A questo proposito, è stato fondamentale l'utilizzo di una serie di
foto aeree, ortofoto ed immagini satellitari che coprono un arco di tempo di circa 30
anni (Tabella 3.2), in modo da valutare la distribuzione e lo stile di attività delle frane
attualmente in attività e di quelle del passato e osservare i loro eventuali
cambiamenti morfologici.
Le variazioni di distribuzione e di comportamento delle frane possono
permettere di prevedere la possibile evoluzione di un versante, il tipo più probabile di
movimento, la sua frequenza (probabilità di ricorrenza) e l'intensità attesa (Cardinali
et al., 1996). Laddove disponibili, sono stati utilizzati anche dati strumentali, notizie
d'archivio e informazioni bibliografiche, utili a tracciare il quadro evolutivo dei dissesti
nell'area di studio.
Nome
Scala
Tipo
Anno
Stagione
Adb Magra
1:13.000
F colori
1999
Estate
R. Toscana
1:33.000
F bianco e nero
1998
Estate
Volo EIRA
1:13.000
F bianco e nero
1978
Volo Italia
1:10.000
O colori
2000
AIMA
1:10.000
O bianco e nero
1996
R. Toscana
1:10.000
O bianco e nero
2003
Estate
Landsat TM
S
1990
Estate
Landsat ETM+
S
2001
Estate
Cnes-Spot
S bianco e nero
Estate
Inverno
Tabella 3.2 - Caratteristiche delle immagini utilizzate (F = Foto aerea stereoscopica; O = Ortofoto; S =
Immagine da satellite).
La stima degli spessori coinvolti nei movimenti, in mancanza di dati di
sondaggio, è stata empirica, sulla base del tipo di movimento, della morfologia e
della geometria dell'area di distacco e della zona di accumulo. Indicativamente, le
frane sono state suddivise in tre macroclassi:
1. Scivolamenti superficiali, colamenti, soliflusso
2. Scivolamenti localizzati, colamenti
3. Scivolamenti di ampie porzioni di versante
spessore <2m
spessore 2-10m
spessore >10m
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I valori delle velocità di movimento, stimati sulla base delle diverse tipologie di
frana individuate nella Val Gordana, sono stati desunti dalla bibliografia, da dati
storici e da misure strumentali.
Le frane sono state suddivise partendo dal lavoro di Cruden e Varnes (vedi
Tabella 2.2 e Tabella 2.3) in: movimenti a cinematica lenta (scorrimenti, colate e
frane complesse, espansioni laterali) con velocità presunta inferiore a 1m/anno;
movimenti a cinematica rapida (colate di terra e di detrito, riattivazioni di scivolamenti
in roccia) con velocità comprese tra 1m/anno e 1m/ora e movimenti a cinematica
veloce (crolli e ribaltamenti, scivolamenti di neoformazione in roccia e colate
detritiche) con velocità superiori ad 1m/ora.
Per distinguere i movimenti rapidi da quelli veloci si è scelto come valore
caratteristico della velocità 1m/ora, velocità per la quale ci sono difficoltà
nell’allertamento e nell'evacuazione delle persone, perdita della maggior parte dei
beni mobili e distruzione di strutture, immobili e installazioni permanenti.
Durante il lavoro di campagna sono state raccolte informazioni, dirette o
tramite interviste alla gente del luogo, sulla presenza di danneggiamenti all'edificato o
alla rete viaria, a testimonianza dell'interazione tra movimenti franosi ed elementi a
rischio, valutando anche lo stato di efficienza delle opere di mitigazione
eventualmente presenti (muri di contenimento, gabbionate, briglie ecc.).
Tutti i dati raccolti sul terreno sono stati archiviati ed organizzati in ambiente
GIS, tramite digitalizzazione, creando così una banca dati dei fenomeni di dissesto,
in atto o potenziali, contenente informazioni relative alla componente spaziale,
temporale e cinematica della pericolosità di ogni fenomeno, ovvero di ogni elemento
geomorfologico ad esso associato.
Analisi storica dei dissesti
I dati provenienti da un'accurata analisi storica dei fenomeni franosi hanno
consentito di migliorare sensibilmente il quadro conoscitivo ottenuto con la normale
analisi geomorfologica e hanno aiutato a definire meglio alcuni aspetti significativi per
la valutazione del rischio da frana. Per alcuni movimenti franosi è stato possibile
ricostruire l'evoluzione cronologica dello stile e della distribuzione di attività,
consentendo di individuare aree potenzialmente instabili per meccanismi di
propagazione della superficie di scivolamento.
La disponibilità di parametri dimensionali e di velocità ovvero la segnalazione
degli effetti su persone, edifici e infrastrutture, relativi a casi specifici, ha permesso di
compiere alcune valutazioni sull'intensità dei vari tipi di frane. Un altro aspetto molto
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importante per una più completa definizione della pericolosità è consistito nella
ricostruzione, attraverso l'analisi storica, delle serie temporali di alcuni movimenti; tali
serie seppur incomplete, hanno fornito un valido aiuto nella comprensione dei tempi
di ricorrenza di determinati tipi di fenomeni.
I principali tipi di fonti considerate comprendono: la stampa periodica a
diffusione nazionale e locale, la documentazione d'archivio prodotta o raccolta dai
servizi tecnici e amministrativi di Enti Pubblici, la bibliografia geologica e tecnica
prodotta a partire dalla seconda metà del secolo scorso, la letteratura storica,
archeologica e naturalistica. Un grande contributo è stato dato dall'Archivio del
Progetto AVI (Guzzetti et al., 1994), che riporta eventi relativi a frane e piene
nell'intervallo temporale di riferimento che va dai primi del novecento alla fine del
secolo stesso.
3.4 VALUTAZIONE DELLA PERICOLOSITÀ
La
valutazione
della
pericolosità,
ovvero
la
caratterizzazione
dell'imprevedibilità di un fenomeno franoso, costituisce un'operazione complessa e
richiede, per prima cosa, la specificazione della probabilità di occorrenza dell'evento,
sia a livello spaziale, cioè dove si può verificare una frana, sia a livello temporale,
ovvero quando uno specifico fenomeno franoso può avvenire in un determinato
versante. In un secondo momento, diventa importante la valutazione del tipo di
fenomeno atteso, della sua intensità e della possibile evoluzione del movimento.
La stima della probabilità di occorrenza di un certo fenomeno franoso è
impraticabile a scala provinciale e regionale, per l’impossibilità di reperire dati,
dettagliati e uniformemente distribuiti sul territorio, riguardanti la ricorrenza temporale
dei fenomeni e le relazioni frequenza-intensità. Per questo motivo, generalmente, ci
si limita ad una valutazione relativa del grado di pericolosità, senza esplicitare il
tempo di ritorno del fenomeno. La valutazione della pericolosità si basa sulla
considerazione che un dato movimento franoso avviene con maggiore frequenza
laddove si è verificato in passato; quindi una carta inventario delle frane, supportata
da un rilevamento di dettaglio delle forme e dei processi che agiscono e che hanno
agito nel passato sul territorio, può consentire una previsione spaziale della
pericolosità. Per una previsione, in termini qualitativi, della ricorrenza dei fenomeni si
può fare affidamento sullo stato di attività, definito in base a valutazioni di tipo
geomorfologico e con l'analisi della casistica passata degli eventi (da notizie di
archivio e analisi di foto aeree multitemporali).
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Nella redazione del presente lavoro, la pericolosità è intesa come
combinazione della probabilità di accadimento e dell'intensità del fenomeno, in
accordo, come già ricordato, con autori quali Panizza (2001), Crescenti (1998) e Fell
(1994). Per la valutazione della pericolosità è stato utilizzato un approccio basato su
osservazioni qualitative di tipo geomorfologico. La base metodologica di riferimento è
quella sviluppata dall’Ufficio Federale per l’ambiente, i boschi e il paesaggio della
Confederazione Elvetica (Bundesamt für Umwelt, Wald und Landschaft, Heinimann
et al., 1998), che è comunemente utilizzata in Svizzera (metodo svizzero) a supporto
della redazione dei Piani Cantonali previsti dalla Legge Federale di Pianificazione
dell'Uso del Suolo (OFATCB, 1997). Questa metodologia è affine a quanto previsto
dalla normativa italiana vigente in tema di valutazione del rischio idrogeologico
(corrispondenza nella definizione delle classi di rischio con l'“Atto di indirizzo e
coordinamento per l'individuazione dei criteri relativi agli adempimenti di cui all'art. 1,
commi 1 e 2, del D.L. 11 giugno 1998, n. 180” D.P.C.M. 29/9/1998). Naturalmente,
sono state introdotte opportune modifiche al fine di contestualizzare il metodo
all’ambito territoriale dell'area appenninica di studio.
In Italia tale metodo è stato ampiamente testato; a tal proposito possiamo
citare il "Piano Stralcio per l'Assetto Idrogeologico" dell'Autorità di bacino dell'Alto
Adriatico (Silvano, 2002), il “Piano del rischio del Comune di Corvara” (Corsini et al.,
2001); il “Piano del rischio del Comune di Chiampo (Vi)” (Arsiliero et al., 2002) e la
realizzazione di carte di pericolosità idrogeologica nella Provincia Autonoma di
Bolzano (Corsini et al., 2005). Procedure simili sono state impiegate in diversi studi
scientifici, come quello di Cardinali et al. (2002) che, basandosi su tecniche e
strumenti tipici dell'analisi geomorfologica, realizzano carte di pericolosità e rischio da
frana in alcune zone dell'Umbria; anche l'Autorità di Bacino del Fiume Tevere, nella
redazione del "Piano Stralcio di Assetto Idrogeologico" utilizza una metodologia,
messa a punto dal CNR-IRPI di Perugia, sostanzialmente basata sull'osservazione
dello stato della natura.
Il metodo prevede una fase preliminare di osservazioni ed analisi dirette di tipo
geomorfologico, seguita da una fase di caratterizzazione del fenomeno pericoloso. In
tal modo è possibile pervenire alla classificazione dell'intensità e della probabilità di
accadimento degli eventi, che, attraverso l'uso di matrici d'interazione codificate,
permette la definizione dei diversi livelli di pericolosità.
Più in dettaglio, possiamo individuare i seguenti momenti nella progressione
del lavoro di valutazione della pericolosità:
− Perimetrazione delle aree in frana.
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− Definizione della caratteristiche del movimento (tipo, velocità, volumi e/o
spessori).
− Stima della frequenza probabile del fenomeno (probabilità di ricorrenza).
− Applicazione di matrici di incrocio dei dati (velocità/volume del dissesto e
intensità/frequenza probabile) ed definizione dei livelli di pericolosità.
Perimetrazione delle aree in frana e definizione delle caratteristiche del
movimento
Questa parte del lavoro si basa su osservazioni e considerazioni di tipo
geomorfologico, delle quali si è parlato nel paragrafo precedente a proposito
dell'attività di campagna. Ad ogni fenomeno franoso individuato vengono attribuiti,
oltre ad una tipologia ed uno stato di attività, anche una stima del valore dell'intensità
attesa, utilizzando delle classi abbastanza ampie, per rendere il più univoca e
obiettiva possibile la loro scelta, ma anche sufficientemente rappresentative per poter
permettere una distinzione tra fenomeni aventi caratteristiche di pericolosità diverse
(ad esempio un crollo da uno scivolamento superficiale).
L'intensità è stata valutata a partire dalla stima della velocità e della severità
geometrica del movimento franoso atteso. Per quanto riguarda la velocità si è già
accennato alla classificazione utilizzata, illustrata in Tabella 3.3, tale classificazione
si compone di tre classi: movimenti a cinematica lenta e intensità debole, ovvero
scivolamenti rotazionali e planari, colamenti, frane complesse, espansioni laterali;
movimenti a cinematica rapida e intensità media, ovvero colate di terra e di detrito;
movimenti a cinematica veloce e intensità forte, ovvero crolli, ribaltamenti,
scivolamenti in roccia e colate detritiche.
Intensità (I)
Tipo
Velocità
Sigla
Debole
scivolamenti s.l.
<1m/anno
v1
Media
colate
1m/anno÷1m/ora
v2
Forte
crolli/ribaltamenti
>1m/ora
v3
Tabella 3.3 - Classi di intensità per i fenomeni franosi, basata sulla velocità di spostamento.
La severità geometrica di un determinato movimento franoso è stata
determinata in maniera differente per tre diverse categorie di frana: gli scivolamenti
senso lato, le colate di detrito e/o terra ed i crolli/ribaltamenti. Mentre per i primi ed i
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secondi la severità è stata stimata sulla base del volume del materiale spostato
(Tabella 3.4 e Tabella 3.5), nel caso dei crolli o ribaltamenti si è proceduto ad una
valutazione delle dimensioni dei blocchi caduti o potenzialmente movimentabili
(Tabella 3.6).
Intensità (I)
Molto debole
Debole
Media
Forte
Molto forte
Volume
Sigla
3
< 50.000 m
SG1
50.000÷200.000 m
3
SG2
3
SG3
200.000÷500.000 m
3
500.000÷1.000.000 m
3
> 1.000.000 m
SG4
SG5
Tabella 3.4 - Scala di intensità delle frane (scivolamenti s.l.) basata sul volume della massa spostata
(Fell, 1994 modificata).
Intensità (I)
Molto debole
Debole
Media
Forte
Molto forte
Volume
Sigla
3
< 5.000 m
SG1
3
5.000-10.000 m
SG2
3
SG3
10.000-50.000 m
3
50.000÷200.000 m
3
> 200.000m
SG4
SG5
Tabella 3.5 - Scala di intensità delle frane (colate di detrito e/o terra) basata sul volume del materiale
spostato.
Intensità (I)
Diametro dei blocchi
Sigla
Molto debole
< 0,5 m
SG1
Debole
0,5÷2 m
SG2
Media
2÷5m
SG3
Forte
5÷10 m
SG4
Molto forte
> 10 m
SG5
Tabella 3.6 - Scala di intensità delle frane (crolli e ribaltamenti) basata sul diametro dei blocchi caduti
o potenzialmente movimentabili (Heinimann et al., 1998 modificata).
Le classi di volume sono state ricavate dalla classificazione di Fell (1994),
modificata sulla base della distribuzione dei volumi delle frane riconosciute sul
terreno, per renderla più aderente alle specificità dell'area di studio. La
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classificazione basata sul diametro dei blocchi è stata derivata dal lavoro di
Heinimann et al. (1998) e successivamente adeguata.
Stima della frequenza probabile del fenomeno
Per valutare la pericolosità l'informazione fondamentale è quella sulla
probabilità di accadimento dell'evento pericoloso, ovvero la conoscenza del periodo
di ritorno, cioè il tempo medio atteso tra due eventi consecutivi di intensità simile,
espresso in anni. E' questo il fattore a maggior criticità dell'intero processo di analisi.
Se su un singolo movimento franoso è possibile, almeno in teoria, stabilire la
probabilità di occorrenza sulla base dell'analisi statistica dei tempi di ritorno dei fattori
innescanti, come ad esempio nel caso di una frana attivata da un evento meteorico o
da un sisma, nella pianificazione a livello di bacino non è ovviamente possibile
seguire tale approccio per qualche migliaio di frane.
La valutazione della frequenza del fenomeno è stata quindi effettuata
principalmente su base geomorfologica, con valutazioni supportate da ricognizioni
sul terreno e dall'analisi di foto aeree, ortofoto e immagini da satellite di anni diversi.
Laddove disponibili, sono state utilizzate anche le informazioni derivanti da dati di
sondaggio, dati di bibliografia e ricerche storiche.
In assenza di prescrizioni specifiche nel D.P.C.M. 29/9/98, sono state
identificate cinque macroclassi di frequenza (Tabella 3.7), in conformità con quanto
stabilito dal metodo di riferimento (Heinimann et al., 1998).
Frequenza (F)
Tempo di ritorno
Stato attività
Sigla
Inattive o episodiche a bassissima frequenza
>500 anni
Frane inattive
Tr1
Episodiche a bassa frequenza
100÷500 anni
Frane quiescenti
Tr2
Episodiche a media frequenza
30÷100 anni
Frane quiescenti
Tr3
Episodiche ad alta frequenza
1÷30 anni
Frane quiescenti
Tr4
Frequenza molto alta (attive)
<1 anno
Frane attive
Tr5
Tabella 3.7 - Classi di frequenza dei movimenti franosi (Heinimann et al., 1998; Flageollet 1996
modificata).
I limiti delle classi sono stati scelti sulla base degli studi di Flageollet (1996)
sullo stato di attività dei movimenti franosi, modificando però i limiti stessi per renderli
più aderenti alla realtà fisica del territorio indagato e per adeguarli in qualche maniera
ai tempi di ritorno scelti dall'Autorità di Bacino del Fiume Magra nello studio delle
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aree inondabili, (Tr=30 anni, 200 anni e 500 anni). In particolare, la suddivisione
operata per le frane con tempo di ritorno compreso tra 1 anno e 500 anni risponde
all'esigenza di definire meglio l'effettiva pericolosità delle frane quiescenti, la cui
definizione abbraccia una varietà di situazioni troppo vasta. Un edificio ubicato in
un'area dove il tempo di ritorno è compreso tra 1 e 30 anni sarà sicuramente
interessato da movimenti molte volte durante il suo periodo di efficienza. Un edificio
ubicato in una zona dove gli episodi franosi hanno un tempo di ritorno compreso tra
30 e 100 anni avrà molte possibilità di essere coinvolto almeno una volta in un
movimento franoso, mentre un edificio costruito in un'area nella quale sono presenti
frane episodiche a bassa frequenza (Tr compreso tra 100 e 500 anni) avrà possibilità
molto basse di essere interessato da movimenti di versante.
Le frane attive, cioè in movimento con un tempo di ritorno inferiore ad un
anno, sono state individuate per mezzo del rilevamento geomorfologico di campagna
o da dati di monitoraggio. Evidenze di attività sono rappresentate dalla presenza di
rigonfiamenti del terreno, fratture aperte, ondulazioni, anomale inclinazioni degli
alberi, scarpate fresche, così come da lesioni ad edifici e strade.
I fenomeni quiescenti ad alta frequenza (Tr 1÷30 anni) sono stati identificati
mediante il confronto di foto aeree di periodi diversi, notizie d'archivio o bibliografiche
e dati di monitoraggio. Ugualmente importante è stata l'osservazione dei caratteri
morfologici, come il grado di preservazione della morfologia, le condizioni di
riempimento delle fratture, la forma del reticolo idrografico, in particolare delle aste di
ordine minore.
I movimenti franosi episodici a media frequenza (Tr 30÷100 anni) sono in
alcuni casi citati in documenti storici o in inventari e sul terreno hanno caratteri
morfologici simili a quelli più frequenti, ma non presentano segni di attività nelle foto
esaminate.
I fenomeni che danno luogo ad eventi episodici a bassa frequenza (Tr
100÷500 anni) presentano morfologia sensibilmente evoluta, a causa di una più
intensa "cancellazione" da parte degli agenti esogeni, ma pur non essendo stati
causa di eventi documentati non vengono considerati inattivi, perché tuttora
riattivabili dalle cause che li hanno originati.
La classe delle frane inattive o episodiche a bassissima frequenza (Tr >500
anni) comprende movimenti franosi connessi ad un contesto morfoclimatico diverso
da quello attuale e pertanto non riattivabili dalle cause originarie. La nicchia di
distacco é poco o niente riconoscibile all’osservazione diretta o da foto aeree e la
caratteristica morfologia convessa dell'accumulo risulta regolarizzata rispetto agli
elementi morfologici adiacenti sul versante. L'accumulo del materiale di frana può
essere in affioramento oppure sepolto da materiali detritici più recenti, a
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dimostrazione dell'esaurimento della dinamica morfoevolutiva del tratto di versante
considerato.
Definizione dei livelli di pericolosità
La pericolosità (H) è definita come una funzione della frequenza (F) di un
evento franoso e della sua intensità (I):
H=ƒ(F;I)
Contrariamente ad altri fenomeni naturali, come i terremoti, non esiste in
letteratura un metodo unico per valutare l'intensità di un movimento franoso. Il
metodo svizzero, così come altri metodi (Cardinali et al., 2002; Hungr, 1997)
considera l'intensità (I) come una misura del potere distruttivo della frana e quindi la
definiscono come funzione della severità geometrica (sg) e della velocità attese (v):
I=ƒ(sg;v). Rispetto al metodo svizzero, preso come riferimento, che prevede l'impiego
di una matrice di combinazione dei dati di velocità e di volume del movimento
franoso, nel nostro caso si è scelto di mantenere separate le frane per tipologia di
movimento. Avremo così frane di crollo, colate di detrito e di terra e scivolamenti in
senso lato, suddivise sulla base delle caratteristiche dimensionali, cioè volume del
materiale spostato e dimensione dei blocchi crollati.
SEVERITÀ
GEOMETRICA (sg)
I=ƒ(sg; v)
< 0,5 m
0,5÷2 m
2÷5m
5÷10 m
> 10 m
<5.000 m3
50.00-10.000 m3
10.000-50.000 m3
50.000÷200.000 m3
200.000÷500.000 m3
500.000÷1.000.000 m3
> 1.000.000 m3
VELOCITÀ (v)
CROLLI (V3)
COLATE (v2)
SCIVOLAMENTI (v1)
Molto leggera
Leggera
Moderata
Elevata
Molto elevata
Molto elevata
Molto elevata
Molto leggera
Molto leggera
Molto leggera
Leggera
Moderata
Elevata
Molto elevata
Molto leggera
Leggera
Moderata
Elevata
Molto elevata
Tabella 3.8 - Intensità di una frana sulla base della velocità attesa e del volume di materiale
movimentato. Per le frane tipo crollo è stata utilizzata la dimensione dei blocchi (da Cardinali et al.
2002, modificata).
60
L'utilizzo della velocità combinata con la severità geometrica, senza
suddivisione tipologica, avrebbe condotto ad una sottostima dei livelli di pericolosità
per fenomeni lenti, tipici dell'area di studio, come scorrimenti, colamenti e grandi
frane complesse, rispetto ai più rari crolli e alle colate detritiche, più rappresentativi in
zone come quelle alpine dove il metodo di riferimento è stato messo a punto.
L'intensità è stata così definita, per ogni corpo franoso, e suddivisa in cinque
classi attraverso l'uso della matrice di correlazione illustrata in Tabella 3.8. Per una
frana di un certo volume si avranno intensità maggiori nel caso di movimenti più
veloci, come nel caso di una colata detritica rispetto ad uno scivolamento.
La pericolosità dei movimenti franosi è stata quindi valutata combinando i
valori di Intensità con quelli di Frequenza, attraverso la Tabella 3.9, derivata dal
lavoro di Heinimann et al. (1998) e suddivisa in quattro classi:
P1
P2
P3
P4
Pericolosità scarsa
Pericolosità media
Pericolosità elevata
Pericolosità molto elevata
H=ƒ(F;I)
I
N
T
E
N
S
I
T
A'
(I)
FREQUENZA (F)
Attive
Tr 1÷30
Tr 30÷100
Tr 100÷500
Tr > 500
Molto elevata
P4
P4
P4
P3
P2
Elevata
P4
P4
P3
P2
P2
Moderata
P4
P3
P2
P2
P1
Leggera
P4
P3
P2
P1
P1
Molto leggera
P4
P2
P2
P1
Prob/yr
1
0,03
0,01
0,002
<0,002
Tabella 3.9 - Matrice di interazione utilizzata per la valutazione della pericolosità da frana (Heinimann,
1998 modificata). Prob/yr=probabilità annua che si verifichi una frana.
L'ultima riga della tabella riporta il valore indicativo, calcolato secondo la
formula (1), della probabilità (Pr) che una certa frana si metta in movimento in un
61
certo periodo t di riferimento, probabilità legata al tempo di ritorno T dell'evento
considerato.
 1
Pr = 1 − 1 − 
 T
t
(1)
Rispetto al metodo svizzero, la matrice è stata profondamente modificata per
venire incontro ai principi fondamentali del Progetto di Piano stralcio per l'Assetto
Idrogeologico dell'Autorità di Bacino del Fiume Magra e per rendere il metodo più
aderente alle particolarità dell'area di studio.
In primo luogo, alle frane attive è stato assegnato il livello di pericolosità
massimo, indipendentemente dall'intensità, mentre il metodo originale prevedeva
livelli di pericolosità variabili da media a molto elevata; inoltre, le frane a bassa
frequenza (Tr 100÷500 anni) e massima intensità sono state classificate a
pericolosità elevata (P3) anziché molto elevata (P4).
La scelta di assegnare alle frane attive il grado di pericolosità più alto è stata
fatta su precisa richiesta del Comitato Tecnico dell'Autorità di bacino, in
considerazione del fatto che l'obiettivo principale della pianificazione di bacino deve
essere quello di individuare le criticità e, possibilmente, intervenire al fine di eliminare
le situazioni di rischio. Una frana attiva, ancorché di limitata estensione ovvero di
debole intensità, ha comunque un impatto sul territorio e l'area da essa interessata
deve essere messa in sicurezza prima di poter essere utilizzata, ovvero può essere
scientemente lasciata evolvere secondo le sue tendenze naturali impedendo usi
continuati e/o stanziali da parte dell’uomo.
Per quanto riguarda le frane a bassa frequenza, si è ritenuto più utile, ai fini
della pianificazione, non sovrastimare la pericolosità di fenomeni di grandi dimensioni
e tempo di ritorno elevato, come suggerito in diverse pubblicazioni (Varnes, 1984;
Cruden e Varnes, 1996). Considerando, infatti, un tempo di ritorno variabile tra 100 e
500 anni, corrispondente ad una probabilità annuale compresa tra 2·10-3 e 10-2, e
ipotizzando una vulnerabilità pari a 1, plausibile per eventi di intensità molto forte, si
ottengono valori del rischio che ricadono entro i limiti che l'opinione pubblica sembra
in grado di tollerare se esposta volontariamente, se cioè viene opportunamente
informata (Fell, 1994).
Dal punto di vista operativo, tutte le operazioni illustrate in precedenza sono
state eseguite grazie all'ausilio di un sistema GIS. Gli attributi relativi ai fenomeni
franosi, indispensabili per la valutazione dei livelli di pericolosità, come volume,
velocità e frequenza, sono stati inseriti nella banca dati GIS creata in precedenza.
Ogni record di frana ha quindi come attributi: la tipologia di movimento, lo stato di
attività, l'area espressa in m2 ed in ettari, la profondità del piano di scivolamento, il
volume del materiale movimentato espresso in m3, la frequenza, la classe di velocità
62
ed infine la pericolosità associata. L'applicazione delle matrici, in questa maniera, è
stata resa possibile grazie a semplici operazioni logiche sulle tabelle degli attributi
delle frane.
Definita la distribuzione spaziale e i livelli di pericolosità delle frane
cartografate, restano da definire i possibili scenari evolutivi del dissesto, ossia le
distanze di propagazione, di retrogressione e di espansione laterale. Sono stati
quindi delimitati degli "areali di pericolosità", comprendenti il movimento franoso e
relative le aree di espansione prevedibili sulla base dei dati raccolti sul terreno e da
analisi fotointerpretativa. Le aree di possibile evoluzione sono state definite secondo
criteri geomorfologici e non puramente geometrici, quindi variano da frana a frana,
secondo la tipologia e lo stile di attività. Nel caso di frane a cinematica lenta, per le
quali è riconoscibile la corona di distacco, il perimetro del deposito è stato esteso
verso monte fino alla corona stessa, provvedendo ad allargarlo ulteriormente nel
caso fossero presenti indicatori di retrogressione del movimento, mentre verso valle
le aree di possibile evoluzione sono limitate alle immediate vicinanze (20m). Nel caso
di movimenti rapidi, come colate detritiche, gli areali di pericolosità sono stati estesi
agli impluvi di ordine inferiore, andando ad includere l'area sorgente e l'area di
deposizione. Infine, per le frane come crolli e ribaltamenti le aree di evoluzione
comprendono le pareti rocciose acclivi presenti al di sopra dei depositi, nonché le
parti di versante percorse dal materiale crollato prima di fermarsi. Verso valle le aree
di propagazione sono state delimitate prevalentemente sulla base di considerazioni
morfologiche (cambi di pendenza) e vegetazionali (presenza di alberi d'alto fusto che
possano frenare il rotolamento dei massi caduti).
3.5 INDIVIDUAZIONE DELLE AREE POTENZIALMENTE INSTABILI
Un limite della metodologia illustrata nel paragrafo precedente è insito nel fatto
che la pericolosità viene definita esclusivamente in aree nelle quali sono già
individuati fenomeni franosi in atto o avvenuti nel passato, mentre nulla viene
proposto per le aree potenzialmente instabili. La necessità di avere, quindi,
indicazioni sulla pericolosità di tutto il territorio rende necessaria l'applicazione di
metodologie più complesse che, partendo dalla valutazione delle condizioni
geologiche e morfologiche, consentano di valutare la propensione al dissesto della
zona in esame.
63
Come è stato ampiamente illustrato nel Capitolo 2, le tecniche per la
valutazione della suscettività al dissesto sono molte, quantitative o qualitative e
dirette o indirette, ma tutte prevedono le seguenti fasi:
1. Realizzazione di una carta inventario dei fenomeni franosi.
2. Preparazione di carte tematiche per i parametri ritenuti direttamente o
indirettamente correlati con l'instabilità dei versanti.
3. Valutazione del contributo di ogni parametro.
4. Classificazione in classi a diversa suscettività.
L'assunto di partenza sta nel fatto che la combinazione dei diversi fattori
responsabili del franamento nel passato, possa essere estrapolata a zone libere da
frane aventi condizioni simili, per individuare e localizzare le aree dove si possono
verificare nel futuro nuovi movimenti di versante.
I dati raccolti durante il lavoro sul terreno e le potenzialità delle tecnologie GIS,
hanno reso possibile un approccio alla problematica della propensione al dissesto. Il
metodo scelto è un metodo diretto, statistico di tipo probabilistico che, per la
valutazione del contributo dei diversi parametri correlati all'instabilità, utilizza
l'approccio del Certainty Factor (CF) ovvero “Fattore di Certezza” (Shortliffe e
Buchanan, 1975; Heckerman, 1986), una delle possibili Funzioni di verosimiglianza
(Favourability Functions, FF) proposte per gestire la combinazione di differenti data
layers e l'eterogeneità e incertezza dei dati introdotti nel modello (Chung e Fabbri,
1993). Tale metodologia è stata applicata ad un'area campione della Val Gordana,
per verificarne la capacità previsionale e valutarne l'utilità ai fini della pianificazione di
bacino.
Favourability Functions
Molti autori (Chung e Fabbri, 1993; Bonham-Carter, 1996; Harris e Pan, 1999)
hanno mostrato la possibilità di legare, mediante tecniche numeriche, la ricorrenza di
un fenomeno (ad esempio una frana) al valore di un certo attributo (acclività, litologia,
uso del suolo, ecc.) considerato importante per il verificarsi del fenomeno stesso. Il
termine Favourability Function (FF) viene introdotto negli anni novanta da Chung e
Fabbri (1993) per indicare il processo matematico di modellazione delle previsioni
spaziali di giacimenti minerari, pericoli naturali e impatti antropici sull'ambiente.
Queste applicazioni hanno in comune il fatto che le previsioni sono basate su
64
database spaziali, che rappresentano i caratteri dell'area di studio secondo unità di
mappa con dati di tipo continuo e discreto.
Nella modellazione della pericolosità da frana si parte dall'affermazione iniziale
di un proposito, ad esempio "dobbiamo trovare delle aree dove potranno verificarsi
delle frane", quindi si cerca di risolvere la questione.
Consideriamo un'area di studio con k layers di dati spaziali (geologia, acclività,
uso del suolo, ecc.). Ogni data layer è composto da numerose classi tematiche, non
sovrapposte, come i tipi di suolo o i diversi valori dell'acclività, che rappresentano la
copertura di un tematismo riconosciuto come correlato spazialmente e
geneticamente al dissesto. In ogni pixel p sono osservati k valori, che possono
rappresentare una classificazione tematica o una misura continua di ogni layer.
Utilizzando questi k valori di ogni pixel, si vuole costruire un modello previsionale che
possa valutare la pericolosità da frana in ogni pixel.
Dal momento che i parametri utilizzati per l'analisi della propensione al
dissesto sono eterogenei e includono sia valori continui sia discreti, tali parametri
devono essere trasformati in valori (Favourability Values), compresi in un intervallo
definito da due costanti note [a,b], che diano una misura della certezza che
l'affermazione iniziale è vera. Tale intervallo di valori potrebbe, quindi, essere
considerato la suscettività al dissesto (ovvero possibilità, probabilità, certezza) delle
diverse unità spaziali appartenenti a un dato layer, se questo fosse indipendente da
tutti gli altri. Questa trasformazione, a cui vengono sottoposti tutti i data layers, è
conosciuta come Funzione di verosimiglianza ƒk (2) (Favourability Function, FF).
 A → [min k , max k ] → [a, b]

ƒk : 
 A → {1,2,3,.......n } → [a, b]
k

(2)
dove A è l'area di studio, min k , max k sono i valori delle variabili continue mentre
1,2,3,.......nk sono valori discreti e [a, b] è l’intervallo di variazione della funzione ƒk.
Una carta della litologia o una carta dell'acclività possono, in questa maniera,
essere trasformate, attraverso una specifica FF, in una sorta di carta della
suscettività al dissesto per litologie o acclività differenti. I parametri utilizzati
nell'analisi, organizzati in data layers, sono considerati come indicatori per la
previsione del fenomeno, nel senso che la presenza di ogni parametro rilevante
corrisponde al grado di probabilità, possibilità o confidenza di trovare verificata
l'affermazione iniziale.
Dopo la trasformazione, i valori di verosimiglianza (Favourability Values) per
ogni attributo variano all'interno dello stesso intervallo [a,b] e possono essere
65
combinati tra loro per mezzo di specifiche regole o funzioni di integrazione. In questa
maniera si ottengono delle carte di suscettività, che esprimono la probabilità, la
certezza o la possibilità che si verifichi o meno una frana, nel futuro, in uno specifico
punto dello spazio. La possibilità, probabilità o certezza di un’affermazione iniziale
(ad esempio, che una frana potrà interessare un certo pixel), può così essere stimata
per mezzo di un'analisi bivariata, stabilendo una relazione tra le frane del passato e
ognuna delle variabili indicatrici di instabilità.
Certainty Factors
In letteratura sono state sviluppate numerose teorie e modelli matematici per
definire il grado di certezza (misura di confidenza, measure of belief) delle
informazioni provenienti da un certo dato spaziale. Possiamo ricordare la teoria della
probabilità Bayesiana (Chung e Fabbri, 1999), la tecnica "weights of evidence"
(Cheng e Agterberg, 1999), la teoria fuzzy (Zadeh, 1987) e la teoria di DempsterShafer (Shafer, 1976). La tecnica dei Certainty Factors è stata introdotta nel 1972, in
campo medico, nel sistema esperto MYCIN (Shortliffe e Buchanan, 1975) e
successivamente modificato da Heckerman (1986). Tale sistema effettua diagnosi e
propone terapie nel campo delle infezioni batteriche da curare con antibiotici.
Il metodo dei CF prevede l'applicazione di una Funzione di verosimiglianza ƒk
per ogni data layer Lk, con la quale vengono calcolati i Fattori di Certezza (CF).
Il valore CF, calcolato per ogni pixel p, ovvero CFk(p), è definito come la
variazione in termini di certezza della veridicità di una certa ipotesi (un'area è
suscettibile al franamento) tra la presenza di un'evidenza nk(p) nel pixel p e la sua
assenza, per ogni data layer Lk. Per "nessuna evidenza" si intende la probabilità a
priori di avere una frana nell'area di studio A, mentre per "presenza di evidenze" si
intende la probabilità condizionale di avere una frana data una classe di un certo
layer (ad esempio le argille nel layer della litologia). L’intervallo di variazione [a,b] del
valore dei CF è compreso tra -1 ed 1: valori positivi significano una maggiore
certezza ovvero confidenza dell'ipotesi fatta (in questo caso che si verificheranno
movimenti franosi in quella determinata litologia), dopo che è stata osservata la
presenza di un'evidenza nk(p), mentre valori negativi corrispondono ad una
diminuzione nella certezza dell'eventualità di una frana. Un valore vicino a zero ci
dice che non è possibile dare un'indicazione circa il grado di confidenza dell'ipotesi
fatta.
66
Il Fattore di Certezza viene calcolato per ogni data layer ritenuto indicatore di
instabilità, quindi si procede con la combinazione a due a due dei layers, per mezzo
di regole di integrazione.
3.5.1 IL MODELLO PROPOSTO
La tecnica quantitativa per la valutazione della suscettività al dissesto che
viene qui di seguito proposta è basata sul modello delle Favourability Functions, e
prevede in particolare l'utilizzo della Certainty Factor function (CF), una particolare
funzione monotona della Likelihood Ratio function (Chung e Fabbri, 1993). In Figura
3.1 vengono schematizzate le diverse attività previste.
Figura 3.1 - Schema del modello di analisi (Chung e Fabbri, 1993 modificata).
Per prima cosa sono stati scelti i parametri, ritenuti indicatori di instabilità, da
considerare nell'analisi (Mappe di Input). Dal confronto tra la carta inventario dei
fenomeni franosi e le carte tematiche dei parametri scelti, sono stati ricavati i valori
CF, seguendo la formula (3):
67




CF = 




pp a − pp s
pp a (1 − pp s )
se pp a ≥ pp s
(3)
pp a − pp s
pp s (1 − pp a )
se pp a < pp s
dove ppa è la probabilità condizionata di avere un certo numero di eventi franosi
censiti nella classe a, mentre pps è la probabilità a priori di avere tutti gli eventi
franosi censiti nel territorio in esame A.
I valori di ppa e pps sono stati ricavati dalla sovrapposizione delle carte di input
e della carta delle frane in ambiente GIS, con conseguente calcolo della frequenza di
frana, espressa attraverso un numero di pixel, per ogni classe a. Se consideriamo la
classe a, possiamo calcolare l'area in frana che ricade in questa classe e quindi
dividere per l'area totale della classe a: in questa maniera si ottiene il valore ppa.
Analogamente, il valore pps può essere calcolato dividendo l'area in frana totale per
la superficie dell'intera area di studio. Inserendo i valori ottenuti nella formula (3), si
ottengono le carte dei CF per ogni data layer.
Dopo aver calcolato i CF di ogni tematismo, e preparato le relative carte,
attraverso una semplice operazione di riclassificazione, queste sono state combinate
a due a due (Figura 3.2) secondo la regola di integrazione (4), prevista da Chung e
Fabbri (1993) e descritta dettagliatamente nei lavori di Binaghi et al. (1998) e di Luzi
e Pergalani (1999).
 x + y − xy

x+ y

z=
1 − min( x , y )

 x + y + xy
se x , y ≥ 0
se x , y sono di segno diverso
(4)
se x , y < 0
dove x e y sono i CF di due layers e z è la combinazione dei due.
Utilizzando le funzioni standard di calcolo del software GIS ArcView per dati in
formato raster, la regola di integrazione è stata applicata ai primi due layers,
generando in questo modo una carta che è stata in seguito combinata con il terzo
68
layer e così via, fino all'integrazione di tutti i parametri previsti (Figura 3.2). I valori di
CF, così calcolati, sono stati riclassificati in sei classi di pericolosità (Tabella 3.10),
anche se è bene ricordare che i CF non danno una stima numerica della pericolosità,
bensì il grado di possibilità (probabilità o certezza o sicurezza) che si verifichi un
fenomeno franoso, quindi il risultato finale sarà una carta di suscettività al dissesto
(Pistocchi e Luzi, 2002).
Figura 3.2 - Schema del procedimento di integrazione dei data layers (Binaghi et al., 1998
modificata).
Range
Descrizione
-1 ÷ -0,7
Certezza di frana molto bassa
Classe di Pericolosità
Alta stabilità
-0,7 ÷ -0,05
Certezza di frana bassa
Media stabilità
-0,05 ÷ 0,05
Incertezza. Non si possono formulare ipotesi
Stabilità incerta
0,05 ÷ 0,4
Certezza di frana modesta
Bassa instabilità
0,4 ÷ 0,8
Certezza di frana media
Media instabilità
0,8 ÷ 1
Certezza di frana alta
Alta instabilità
Tabella 3.10 - Classificazione della pericolosità per mezzo dei coefficienti di certezza CF (Lan et al.,
2004, modificata).
69
Per valori negativi dei CF avremo una bassa confidenza nei confronti
dell'ipotesi di partenza, cioè che ci troviamo in una situazione suscettibile di
franamento, e quindi le zone verranno classificate da altamente stabili a mediamente
stabili. Valori prossimi allo zero significano che la probabilità a priori di pps è molto
simile alla probabilità condizionata ppa e quindi non si può dare alcuna indicazione
sulla certezza dell'ipotesi, ovvero la stabilità della zona è incerta. Quando invece i
valori sono positivi, ci troviamo nella situazione in cui i parametri di instabilità
convergono nel dare certezza all'ipotesi iniziale. Le aree verranno quindi classificate
a bassa instabilità, media instabilità ed alta instabilità quanto più il valore di CF si
avvicina ad 1.
Il modello proposto si basa sulle seguenti supposizioni: a) i futuri movimenti di
versante avverranno in situazioni simili a quelle del passato; b) tutti i fattori che
condizionano la stabilità dei versanti dell'area sono stati inclusi nel database; c) tutte
le frane dell'area di studio sono state identificate ed incluse nell'analisi.
Se queste tre ipotesi fossero totalmente corrette, il modello ottenuto dovrebbe
fornire una previsione perfetta. Poiché però tali ipotesi, ovviamente, non possono
essere del tutto corrette, sarà necessario controllare alla fine del processo la
percentuale di movimenti correttamente previsti, per stabilire la validità delle
assunzioni fatte e quindi dell'intero modello.
L'approccio mediante i Fattori di Certezza possiede alcuni indubbi vantaggi: in
primo luogo il procedimento è molto semplice dal punto di vista del calcolo ed i valori
dei CF, variando tra -1 ed 1, quando sono contraddittori tendono a cancellarsi l'un
l'altro. Un altro vantaggio consiste nel permettere sia un'analisi basata
esclusivamente su dati sia un'analisi esperta; in quest'ultimo caso, i CF dei tematismi
considerati, possono essere inseriti sulla base di opinioni esperte. E' possibile
utilizzare anche dati di origine mista: quando, ad esempio, è richiesta una decisione
ma mancano alcuni dati fondamentali, o quando, sulla base dell'esperienza, ci si
accorge che i valori calcolati presentano delle incongruenze, si può intervenire
sostituendo i CF sulla base di conoscenze esperte. Un ultimo vantaggio è dato dal
fatto che le relazioni bivariate tra la distribuzione delle frane e i fattori correlati
all'instabilità possono essere viste come un progresso di conoscenza esportabile ad
altre aree di studio. Le conoscenze acquisite dai valori dei CF possono essere
utilizzate per modellizzare la pericolosità da frana in zone con caratteristiche simili.
Naturalmente, i CF calcolati in una determinata situazione non devono essere
considerati come assoluti, ma piuttosto come un'indicazione della relazione tra la
pericolosità ed un certo fattore di controllo.
70
3.5.2 FATTORI DI INSTABILITÀ
Sebbene i movimenti franosi siano spesso innescati da un singolo evento,
come una pioggia intensa o un sisma, è anche vero che essi sono strettamente legati
alla concomitanza di alcuni fattori, come acclività, litologia ecc., che rendono un
versante più o meno suscettibile al dissesto. Per l'applicazione della metodologia
prescelta sono stati utilizzati questi ultimi fattori di instabilità, detti anche a lungo
termine ovvero predisponenti, senza prendere in considerazione i fattori innescanti,
che, a causa della limitata estensione dell'area di studio, vengono considerati
costanti.
La selezione dei fattori di instabilità che presentano una stretta correlazione
con i movimenti di versante richiede una conoscenza a priori delle cause delle frane
nell'area di studio. Sulla base del lavoro di campagna sono state quindi scelte 8
variabili indipendenti, che riflettono le condizioni esistenti prima del movimento
franoso. E' importante porre estrema attenzione nella scelta di fattori che non
risultino condizionati dall'evento. Se consideriamo, ad esempio, la copertura
vegetale, possiamo affermare che questa agisce in maniera positiva sulla stabilità dei
versanti, sia attraverso l'opera di intercettazione delle gocce d'acqua da parte delle
foglie sia per mezzo delle radici, che tendono a migliorare le caratteristiche
meccaniche del suolo. In molte zone, però, le aree colpite da fenomeni franosi
vengono abitualmente riforestate, come opera di ripristino dei versanti e
stabilizzazione. Quindi, se dovessimo utilizzare la copertura vegetale in un'analisi
statistica di suscettività al dissesto, troveremmo, per paradosso, una correlazione
positiva tra frane e aree boscate, mentre sappiamo che questa è una condizione
post-frana e quindi non implica un aumento della suscettività al dissesto (Atkinson e
Massari, 1998).
Data Layers
Provenienza dato
Litologia
Carta geologica scala 1:10.000
Rapporto pendenza dei versanti-giacitura degli strati
Lavoro sul terreno e analisi DEM
Distanza dai lineamenti tettonici
Lavoro sul terreno e analisi DEM
Acclività dei versanti
Derivato dal DEM
Convessità e Concavità
Derivato dal DEM
Indice Topografico (TI)
Derivato dal DEM
Distanza dagli impluvi
Derivato dal DEM
Densità di drenaggio
Derivato dal DEM
Tabella 3.11 - Fattori di instabilità utilizzati per la valutazione della suscettività al dissesto.
71
L'analisi dei fattori di instabilità si esplica attraverso la redazione di carte
tematiche di base. E' stato creato un database spaziale composto da tutti i fattori di
instabilità (Tabella 3.11), organizzati in livelli informativi (layers) in formato raster, con
dimensioni dell'unità di mappa (pixel) pari a 10x10m. Le dimensioni dei pixel sono
state scelte in conformità al dettaglio e alla risoluzione delle carte topografiche
(1:5.000 e 1:10.000). Alcuni dei parametri utilizzati provengono da rilevamento sul
terreno (carta delle frane) ovvero da acquisizione di dati pregressi (carta geologica),
previo processo di digitalizzazione e rasterizzazione, mentre altri sono stati derivati
direttamente dal DEM, grazie ad appositi software di analisi spaziale reperiti in rete.
Negli ultimi anni, infatti, le tecnologie GIS hanno messo a disposizione un grande
numero di applicazioni per l'acquisizione e la manipolazione in maniera più efficiente
e innovativa degli attributi topografici; gli aspetti morfologici dei versanti, come
acclività, lunghezza, forma e orientazione e le caratteristiche dei bacini idrografici,
come l'ordine gerarchico dei canali e il loro profilo longitudinale o la densità di
drenaggio, riflettono l'evoluzione geomorfologica di una zona e possono rivestire un
ruolo molto importante nella valutazione della pericolosità da frana (Carrara et al.,
1995).
Litologia
La litologia è comunemente considerata il fattore più importante per la stabilità
dei versanti; per questo motivo è stata utilizzata in tutti gli studi proposti in letteratura
sull'argomento della pericolosità da frana. In effetti, è ragionevole aspettarsi che le
proprietà meccaniche dei materiali costituenti i versanti, come permeabilità e
resistenza al taglio, siano controllati dal tipo di litologia.
La carta litologica è stata derivata dalla carta geologica in scala 1:10.000 della
Regione Toscana, georiferita e quindi trasformata in formato raster con pixel 10x10m
per consentire il confronto con gli altri data layers.
Rapporto pendenza dei versanti-giacitura degli strati
Un altro importante fattore, che condiziona la stabilità dei versanti è
rappresentato dalla disposizione geometrica delle superfici di strato in rapporto alla
configurazione del versante. A parità di caratteristiche litologiche e di acclività, un
versante risulta più stabile se è presente un assetto degli strati a "reggipoggio" o se
gli strati immergono come il pendio, ma con pendenza maggiore (situazione di
72
"contropoggio"). La situazione più sfavorevole, per la stabilità di un versante, si ha
nel caso di stratificazione a "franapoggio".
Per definire la diversa disposizione degli strati nei confronti dell'orientamento
dei versanti è stato utilizzato un metodo messo a punto da Clerici et al. nel 1993 e
successivamente ripreso da Nardi (1996). Il metodo, seppur concettualmente
complesso, risulta di rapida applicazione, grazie all'utilizzo delle più elementari
funzioni GIS. La combinazione dell'inclinazione dei versanti, dell'orientamento dei
versanti, dell'immersione degli strati e dell'inclinazione degli strati ha permesso di
individuare le diverse situazioni che possono avere un'influenza, positiva o negativa,
sulla stabilità dei versanti. Le misure di strato sono state ricavate in parte dal lavoro
sul terreno e in parte dalle cartografie geologiche reperite.
Il modello prevede per prima cosa la costruzione delle quattro carte tematiche,
che poi dovranno essere combinate. Per quanto riguarda la carta dell'esposizione
(aspect) dei versanti e quella dell'acclività (slope), esse sono state derivate
direttamente dal DEM dell'area. Per creare il DEM sono state utilizzate le cartografie
numeriche della Regione Toscana in scala 1:10.000, integrate localmente da punti e
linee provenienti da basi topografiche di maggior dettaglio (1:5.000, 1:2.000). Con
questi dati si è proceduto alla costruzione di un TIN (Triangulated Irregular Network),
che ricostruisce la superficie del terreno con un mosaico di elementi triangolari.
Successivamente, tale modello vettoriale del terreno è stato convertito in formato
raster con cella di 10m di lato. Le misure di strato sono state trattate in maniera
automatica, lasciando che il software convertisse la copertura puntuale delle
immersioni e delle inclinazioni in due coperture di poligoni prossimali (Poligoni di
Thiessen). Il risultato è stato poi controllato, per verificarne la congruenza con la
realtà geologica e stratigrafica. Visto il grande numero di misure e la relativa
semplicità della struttura geologica dell'area, la definizione automatica delle aree
aventi misure di strato omogenee sembra essere sufficientemente coerente. Le
coperture poligonali sono state poi trasformate in due raster: uno rappresenta
l'immersione degli strati e l'altro l'inclinazione (Nardi, 1996).
Dalla combinazione delle quattro carte tematiche è stata ottenuta una varietà
di situazioni diverse, che sono state poi raggruppate in sei macroclassi (Clerici et al.,
2002).
Se chiamiamo α la pendenza del versante (slope), β la differenza tra la
direzione del versante (esposizione o aspect) e la direzione dell'immersione degli
strati e γ la differenza tra la pendenza del versante α e l'inclinazione degli strati δ,
abbiamo:
1)
Rocce non stratificate.
73
2)
3)
4)
5)
6)
Rocce con stratificazione orizzontale: δ compreso tra 0 e 5 gradi.
Rocce con stratificazione verticale: δ compreso tra 85 e 90 gradi.
Rocce con stratificazione che immerge in direzione opposta al versante:
β>90°.
Rocce con stratificazione che immerge come il versante, con pendenza del
versante maggiore di quella degli strati: β<90° e γ>0°.
Rocce con stratificazione che immerge come il versante, con pendenza del
versante minore di quella degli strati: β<90° e γ<0°.
Distanza dai lineamenti tettonici
La distanza dai lineamenti tettonici controlla il grado di fratturazione
dell'ammasso roccioso, condizionandone quindi le caratteristiche meccaniche e
favorendo l'infiltrazione d'acqua in profondità.
I principali lineamenti tettonici dell'area (sovrascorrimenti, faglie dirette, inverse
e trascorrenti) sono stati ricavati dalla cartografia geologica esistente ed integrati dal
lavoro sul terreno e dall'analisi di foto aeree e immagini satellitari. La carta dei
lineamenti, in formato vettoriale, è stata successivamente convertita, tramite una
semplice funzione di buffering, in una carta in formato raster, che rappresenta la
distanza di ogni cella (pixel) dalla linea più vicina. I valori di distanza ottenuti sono
stati poi raggruppati in quattro classi: 0-100m; 100-300m; 300-500m e oltre i 500m.
Acclività dei versanti (slope)
L'acclività dei versanti è stata calcolata in maniera automatica dal DEM
dell'area di studio. L'importanza di questo parametro è spesso sopravvalutata; infatti,
la pendenza che misuriamo in corrispondenza di una frana, non è un buon indicatore
della pendenza prima del movimento. Per cercare di ovviare a questo limite,
l'acclività all'interno dei corpi di frana è stata stimata calcolando la pendenza media in
un "buffer" di 25 metri intorno alla zona di rottura di ogni frana.
74
Morfologia dei versanti: convessità e concavità
La derivata seconda dell'elevazione descrive la curvatura di una superficie in
un certo punto, un attributo topografico primario come l'acclività, l'elevazione e
l'orientazione. La curvatura può essere calcolata lungo varie direzioni, ma nel
presente studio sono state prese in considerazione solo la direzione di massima
pendenza (profile curvature) e quella perpendicolare a quest'ultima (plan curvature),
ne esistono però anche di più complesse. La curvatura può essere visualizzata
immaginando di tagliare la superficie con un piano: la curvatura misurata in questo
modo sarà la curvatura della linea di intersezione e dipende dall'orientazione del
piano. La profile curvature usa un piano verticale allineato con la direzione di
massima pendenza (flow direction). La plan curvature utilizza un piano orizzontale. I
valori di curvatura possono essere positivi o negativi, i valori positivi descrivono una
curvatura di forma convessa mentre i valori negativi una concavità, il valore zero
indica aree senza curvatura, cioè planari.
Figura 3.3 - Rappresentazione della curvatura lungo un piano orizzontale, plan curvature, (a) e lungo
il profilo, profile curvature, (b).
La "plan curvature" indica la variazione dell'orientazione del versante lungo le
curve di livello (Figura 3.3a), valori positivi indicano una divergenza dei flussi d'acqua
(ridge), mentre valori negativi sono tipici di zone di convergenza come lungo le aste
fluviali. La curvatura misurata lungo la direzione di massima pendenza indica il tasso
di variazione dell'acclività e controlla l'accelerazione e la decelerazione dei flussi
d'acqua superficiali (Figura 3.3b), pertanto influisce sull'erosione e sulla deposizione
dei sedimenti, valori positivi sono tipici delle parti più alte dei versanti, vicino agli
75
spartiacque, mentre valori negativi si incontrano generalmente in prossimità dei
canali, nella parte di fondovalle.
La morfologia di un versante può probabilmente influire sulla suscettività al
dissesto, nella misura in cui la sua forma influenza il ruscellamento superficiale e il
drenaggio subsuperficiale. La concentrazione del drenaggio in un versante con forma
concava, comporta un aumento della pressione d'acqua nei pori ed un accumulo
nelle formazioni superficiali, elementi questi che favoriscono il verificarsi di movimenti
superficiali (Pierson, 1980). Diversi studi suggeriscono proprio che i movimenti
superficiali si verificano preferibilmente in zone topografiche di convergenza, dove si
concentrano e si conservano per più tempo le acque superficiali e quelle sotterranee
(Dietrich e Dunne, 1978; Swanson et al, 1981; Swanson e Frediksen, 1982; Sidle et
al., 1985; Montgomery and Dietrich, 1994; Baeza, 1994).
Per la realizzazione delle carte tematiche che rappresentano la morfologia dei
versanti, è stato utilizzato il software SAGA GIS (Copyright © 2004, Victor Olaya),
sviluppato presso l'Università di Gottingen in Germania e distribuito gratuitamente in
rete. SAGA è un software molto potente per quanto riguarda l'analisi di dati raster,
ma consente di gestire anche dati vettoriali e supporta tutti i principali formati di file
GIS.
Il dato di partenza è stato il DEM, di cui si è fatto cenno in precedenza. Una
volta importato in SAGA, tramite l'applicazione del modulo Terrain Analysis/Local
Morphometry è stato possibile ricavare un raster per la Plan Curvature ed uno per la
Profile Curvature, utilizzando il metodo proposto da Zevebergen e Thorne (1987).
Indice Topografico (TI)
L'indice topografico, conosciuto anche come Wetness index ovvero
Topographic wetness index (TWI), è un attributo secondario della topografia, in
quanto derivato da due attributi primari. Infatti la formula (Beven e Kirkby, 1979) per
calcolare il TI è la seguente:
 A
TI = ln s
 tan β





(4)
dove AS (area contribuente ovvero specific catchment area) è l'area di versante che
concentra il flusso d'acqua nella cella (pixel) sulla quale viene eseguito il calcolo,
76
diviso per la spaziatura della griglia di calcolo e β è la pendenza del versante
misurata in gradi.
Nell'equazione (4) si assume che la superficie piezometrica sia parallela al
piano di campagna, che le condizioni siano stazionarie e che le proprietà del terreno
siano uniformi (trasmissività costante) all'interno di AS. Wilson e Gallant (2000)
hanno, infatti, mostrato come la variazione della componente topografica sia, in molti
casi, maggiore della variazione locale della trasmissività del suolo.
L'indice topografico individua le zone di concentrazione d'acqua e quindi
indica la tendenza di una cella a produrre ruscellamento, in quanto le aree con alta
concentrazione d'acqua sono le più soggette a divenire sature. Più alto è il valore di
questo indice nella cella e più grande è la quantità di acqua che può essere trovata
nella cella stessa, come nei casi in cui AS è grande (tipicamente in aree di
convergenza topografica) e β è piccola (alla base dei versanti concavi).
Anche in questo caso è stato utilizzato il software SAGA GIS, che con il
modulo di analisi Indices/Topographic Indices permette di ottenere, partendo dal
DEM dell'area di studio, una carta in formato raster dell'Indice Topografico secondo
la formulazione di Beven e Kirkby (1979).
Distanza dagli impluvi
Molto spesso le frane avvengono nelle vicinanze dei corsi d'acqua; i processi
di erosione al piede dei versanti o di corpi di frana relitti creano situazioni
destabilizzanti che possono condurre al collasso. Inoltre, i terrazzi fluviali, composti
da materiali alluvionali come sabbie e ghiaie, possono essere soggetti al franamento
durante eventi meteorici intensi. Per questi motivi, la vicinanza ai corsi d'acqua, e più
in generale agli impluvi, è considerato un importante fattore nella caratterizzazione
della suscettività al dissesto.
Per procedere alla realizzazione della carta della distanza dagli impluvi,
inizialmente è stato estratto dal DEM, in automatico, il reticolo idrografico. Ancora
una volta è stato utilizzato il software SAGA GIS, che possiede il modulo Channel
Network molto flessibile e facile da usare, appositamente studiato per lo scopo. Dopo
una prima elaborazione del DEM, tesa ad eliminare eventuali depressioni chiuse
(pits), dovute ad errori di calcolo, il programma ricostruisce le direzioni di flusso e i
sottobacini idrografici, utilizzando l'algoritmo Deterministic-8 (D8) di Jenson e
Domingue (1988), quindi procede all'estrazione del reticolo idrografico in formato
77
raster e vettoriale. Ad ogni segmento del reticolo è stato associato in automatico
l'ordine secondo la classificazione di Strahler (1954), per la generazione di altri
parametri tipici dei reticoli idrografici e per valutare le condizioni di drenaggio
dell'area. Il reticolo estratto è stato confrontato con le aste fluviali presenti nelle carte
topografiche, quindi corretto laddove ritenuto necessario.
Il reticolo idrografico, in formato raster, è stato impiegato assieme al DEM per
ricostruire, infine, la distanza dagli impluvi: il modulo Overland Flow Distances to
Channel Network provvede a calcolare la distanza tra le celle (F) appartenenti ad un
segmento del reticolo e quelle esterne (C), come rappresentato in Figura 3.4. Il
programma realizza tre differenti raster: distanze verticali (∆y), distanze orizzontali
(∆x) ed infine le distanze reali misurate sulla superficie (Dr), raster che è stato
utilizzato come fattore d'instabilità. E' stato scelto di utilizzare quest'ultima distanza,
anziché quella orizzontale, come avviene solitamente, per includere l'effetto del
gradiente topografico.
Figura 3.4 - Calcolo delle distanze dal reticolo idrografico. C=cella esterna al reticolo; F=cella
appartenente al reticolo; ∆x=distanza orizzontale; ∆y=distanza verticale; Dr=distanza reale misurata
sulla superficie del DEM.
Densità di drenaggio
Il reticolo idrografico, estratto in automatico dal DEM, è stato utilizzato anche
per calcolare la densità di drenaggio dell'area di studio. Rispetto alla distanza dai
corsi d'acqua, la densità di drenaggio fornisce informazioni di tipo diverso; infatti, la
78
prima, come abbiamo visto, individua zone che possono essere influenzate
dall'azione erosiva al piede dei versanti, mentre la seconda consente di ottenere
indicazioni sulle proprietà idrogeologiche delle rocce affioranti.
Il calcolo della densità di drenaggio è stato eseguito grazie all'utilizzo dello
script PL-DENS, sviluppato nel linguaggio AvenueTM da Gyoo-Bum Kim del Korea
Water Resource Corporation per il software ArcView 3.2.
Figura 3.5 - Griglia di calcolo per la densità di drenaggio (da Hardcastle, 1995 modificata).
Definita una griglia di nodi (Figura 3.5) di passo r all'interno di una Target area
rettangolare, di dimensioni maggiori dell'area di studio, la densità di drenaggio è stata
calcolata, in ogni nodo, come la somma dei segmenti delle aste fluviali che ricadono
all'interno delle circonferenze di raggio r fratto l'area della circonferenza (unità di
misura km/km2).
3.6 ELEMENTI A RISCHIO E VULNERABILITÀ
Una stima del rischio connesso ad un evento pericoloso richiede la
conoscenza sia della probabilità che si verifichi l'evento sia del tipo di conseguenze.
Per analizzare le conseguenze di un fenomeno franoso abbiamo bisogno di
identificare gli elementi a rischio e la vulnerabilità di tali elementi, cioè il grado di
79
perdita atteso per un dato elemento soggetto ad un movimento franoso avente una
determinata intensità.
Rispetto ad un fenomeno franoso gli elementi a rischio sono rappresentati
dalle persone che vivono, lavorano o passano tempo nell'area interessata dalla
frana, dalle proprietà, dalle vie di comunicazione, dai servizi come le linee elettriche,
telefoniche e gli acquedotti, dai mezzi in transito sulle strade, dall'insieme delle
attività economiche e dai beni ambientali (Canuti e Casagli, 1996). Nel presente
studio, sono state prese in considerazione le persone, le vie di comunicazione, gli
insediamenti abitativi e le attività economiche.
Non esistendo una carta degli elementi a rischio, si è provveduto alla sua
realizzazione. Sono state reperite le carte tecniche in formato numerico della
Regione Toscana (CTR 1:10.000), e per mezzo di una semplice query, sono state
estratte le diverse tipologie di elemento a rischio. Tali elementi sono stati selezionati
in base a considerazioni sulla diversa risposta al fenomeno franoso, sulle diverse
conseguenze sia dirette sia indirette e sul valore socio-economico, cercando di
seguire, per quanto possibile, quanto previsto dal Progetto di Piano dell'Autorità di
Bacino del Fiume Magra (Tabella 3.12)1.
Codice
Sigla
Elemento
201, 222
CA
Aree urbanizzate con alta densità abitativa (centri abitati)
201
NA
Aree urbanizzate con bassa densità abitativa (nuclei abitati)
201, 204, 205
CS
Case sparse
202,210,215
AE
Attività economiche (serre, allevamenti di animali, capannoni)
101
VP
Viabilità principale
101
VS
Viabilità secondaria
102, 103
VM
Viabilità minore (strade campestri, interpoderali)
Tabella 3.12 - Tipologie di elemento a rischio e codici identificativi degli elementi della CTR 1:10.000
della Regione Toscana .
I termini “centro abitato” e “nucleo abitato” presenti nella Tabella 3.12 fanno
riferimento alle definizioni ISTAT 2001, riportate di seguito:
−
Centro abitato: aggregato di case contigue o vicine con interposte strade,
piazze e simili, o comunque brevi soluzioni di continuità, caratterizzato dall’esistenza
1
Talune valutazioni in materia, in realtà, per acquisire elevati valori di affidabilità, presumerebbero l’impegno di
più professionalità oltre a quella del geologo. Per l’occasione e per gli obiettivi specifici che ha perseguito la tesi,
tuttavia, l’effettiva affidabilità della carta degli elementi a rischio può essere ritenuta secondaria rispetto alla
verifica del metodo e dei criteri.
80
di servizi od esercizi pubblici, costituenti la condizione autonoma di una forma di vita
sociale, e generalmente determinanti un luogo di raccolta ove sogliono concorrere
anche gli abitanti dei luoghi vicini per ragioni di culto, istruzione, affari,
approvvigionamento e simili, in modo da manifestare l’esistenza di una forma di vita
sociale coordinata dal centro stesso.
−
Nucleo abitato: località abitata, priva del luogo di raccolta che caratterizza il
centro abitato, costituita da un gruppo di case contigue o vicine, con almeno cinque
famiglie e con interposte strade, sentieri, spiazzi, aie, piccoli orti, piccoli incolti e
simili, purché l’intervallo tra casa e casa non superi una trentina di metri e sia in ogni
modo inferiore a quello intercorrente tra il nucleo stesso e la più vicina delle case
manifestamente sparse.
Non sono state invece prese in considerazione le autostrade, le linee
ferroviarie e gli insediamenti industriali in quanto non presenti nell'area in esame.
Per quanto riguarda le persone, queste sono state considerate a rischio in
connessione con la presenza delle strutture e delle infrastrutture. Ad esempio, in
un'area urbanizzata con alta densità di popolazione, il numero di persone a rischio
sarà ovviamente maggiore rispetto ad una zona con case sparse; per quanto
riguarda le strade, si è considerato che lungo una strada principale, come può essere
una statale o una provinciale, avremo una presenza maggiore di persone rispetto ad
una strada di campagna (Cardinali et al., 2002).
Sebbene nel campo dell'identificazione degli elementi a rischio e del loro
valore siano stati fatti molti passi avanti, nel campo della vulnerabilità manca ancora
una strategia generale, condivisa dai diversi ricercatori che si occupano
dell'argomento, nonché una definizione univoca. Diversamente da altri fenomeni
naturali, come le alluvioni o i terremoti, è molto difficile stabilire la vulnerabilità nei
confronti di una frana a causa dell'ampia varietà dei processi franosi (Leroi, 1996).
Dobbiamo considerare che la vulnerabilità è diversa per elementi a rischio diversi
(Fell, 1994), si deve valutare la probabilità che una persona sia nell'edificio coinvolto
in una frana o che un'auto passi nel momento in cui cade un masso (Glade et al.,
2005); vanno presi in considerazione i diversi tempi di reazione di categorie di
persone come bambini, anziani o malati rispetto alla popolazione adulta e sana (Liu
et al., 2002), ed infine andrebbero considerati gli effetti di sistemi di allarme che
possono favorire la capacità di fuga (Smith, 2004). E' facilmente comprensibile, dalla
brevissima sintesi sopra riportata, l'estrema complessità del problema. Per
semplificare le cose, in molti lavori la vulnerabilità viene cautelativamente posta
uguale a uno, vale a dire si ipotizza la distruzione completa del bene a rischio; ma
questo è solo il peggiore degli scenari possibili e spesso anche il meno realistico.
Malgrado i limiti e le complessità delle problematiche, spesso irrisolvibili, è
economicamente e politicamente necessario arrivare ad una stima, anche sommaria,
81
della vulnerabilità, includendola nel processo di valutazione del rischio da frana
(Glade et al., 2005).
Un primo passo per integrare la vulnerabilità nel presente lavoro è stato quello
di stabilire delle classi di danno potenziale. Il danno potenziale, funzione della
vulnerabilità, è indipendente dalla probabilità di occorrenza del fenomeno, ovvero
dalla pericolosità, ed esprime l’aliquota del valore dell’elemento a rischio che può
venire compromessa in seguito al verificarsi del fenomeno franoso. Per un’analisi del
rischio a livello di bacino, il danno potenziale può essere valutato con una
metodologia semplificata, che prescinde dalla precisa valutazione del valore degli
elementi a rischio e della loro vulnerabilità. Quindi, per stimare la vulnerabilità, si è
proceduto a verificare le relazioni esistenti tra l'intensità della frana e i danni attesi,
attraverso una tabella di correlazione che consente di assegnare ad ogni elemento a
rischio (edifici, persone, strade ecc.) uno specifico grado di danneggiamento in
relazione all'intensità (Tabella 3.8) e al tipo di fenomeno franoso (V=ƒ(E;I)). La
matrice (Tabella 3.13) è stata preparata a partire dai principi enunciati negli studi di
Leone (1996), Michael-Leiba (1996), Wong et al. (1997), Fell (2000), Iovine e Parise
(2002) e Cardinali et al. (2002) e sulla base dell'esperienza derivante da eventi
precedenti e dall'osservazione di campagna.
L'approccio, di tipo qualitativo, prevede di distinguere in quattro differenti
categorie di danno le conseguenze di un determinato movimento franoso:
−
−
−
−
Danni trascurabili (T): presenza di fessure capillari nell’intonaco delle case o
sul manto stradale; la funzionalità e la stabilità del bene non sono
compromesse. Questa tipologia di lesioni può essere causata anche da altri
processi, quali essiccamento dell’intonaco, vibrazioni o assestamenti e
cedimenti strutturali.
Danni moderati (M): presenza di fessurazioni centimetriche sulle mura esterne
degli edifici, le lesioni possono interessare anche i rivestimenti rigidi delle
finestre o delle porte; la stabilità non è compromessa ed i danni possono
essere riparati velocemente, le riparazioni non sono urgenti.
Danni funzionali (F): deformazioni importanti, fessure largamente aperte sulle
strutture portanti, porte e finestre inutilizzabili. La funzionalità e la stabilità
delle strade risultano compromesse. Le riparazioni sono indispensabili e
costose, sono opportuni provvedimenti di evacuazione.
Danni strutturali (S): distruzione parziale o totale del bene, cedimento di
pavimenti, disarticolazione delle pareti, brecce nei muri. E’ necessario
evacuare immediatamente gli edifici e provvedere al puntellamento e
transennamento delle strutture. Può rendersi necessaria la demolizione, in
82
quanto non economicamente vantaggiosi eventuali interventi di ripristino. La
viabilità è interrotta.
Per quanto riguarda la popolazione, il danno atteso è stato suddiviso in:
−
−
−
Danni diretti: nel caso in cui siano previsti morti e/o feriti.
Danni indiretti: nel caso in cui si prevedano effetti negativi di tipo socioeconomico: limitazioni allo stile di vita, impossibilità a raggiungere il luogo di
lavoro, le scuole o gli ospedali.
Sfollati: perdita temporanea o permanente delle abitazioni.
ELEMENTI A RISCHIO (E)
Edifici e attività
economiche
V=ƒ(E;I)
I
N
T
E
N
S
I
T
À
(I)
Viabilità
Persone
CA
NA
CS
AE
VP
VS
VM
Diretti Indiretti Sfollati
Molto
elevata
cr
co
sc
S
S
S
S
S
S
S
S
S
S
S
S
S
S
S
S
S
S
S
S
S
SI
SI
SI
SI
SI
SI
SI
SI
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Elevata
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sc
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NO
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F
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S
S
M
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SI
NO
SI
SI
NO
SI
SI
NO
cr
M
M
M
F
M
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M
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NO
co
M
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M
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sc
T
T
T
M
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T
M
NO
NO
NO
cr
co
sc
T
T
T
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T
T
T
T
T
T
T
T
T
M
T
T
M
T
M
F
T
SI
SI
NO
NO
NO
NO
NO
NO
NO
Moderata co
Leggera
Molto
leggera
Tabella 3.13 - Vulnerabilità dei diversi elementi a rischio in relazione al tipo di danno atteso. T=danno
trascurabile; M=danno moderato; F=danno funzionale; S=danno strutturale; cr=crolli; co=colate;
sc=scivolamenti s.l. (modificata da Cardinali et al., 2002; Leone et al., 1996).
Le frane possono interessare gli elementi a rischio con meccanismi di impatto
molto diversi: collisione, seppellimento, aumento delle pressioni del terreno,
deformazioni plastiche, compressioni o torsioni, spostamenti ecc. Il tipo ed il grado
con cui si manifestano questi meccanismi dipende, generalmente, dal tipo di frana,
anche se molte frane mostrano dei comportamenti complessi con una varietà di
meccanismi di impatto (Glade et al., 2005). Ad esempio, frane che iniziano a
muoversi come scivolamenti possono poi evolvere in colate, per un cambiamento
83
della morfologia del versante o delle condizioni idrologiche. Sulla base di tali
considerazioni risulta più difficile assegnare un grado di danno ad un tipo specifico di
frana; malgrado questo, nel presente studio i movimenti franosi sono stati suddivisi in
tre macroclassi sulla base delle velocità (Tabella 3.3) e del tipo di impatto
caratteristico (Figura 3.6):
− Crolli e ribaltamenti (cr)
− Colate detritiche e di terra (co)
− Scivolamenti s.l. (sc)
Figura 3.6 - Rappresentazione schematica dei danni agli edifici per differenti tipi di frana. (a)
scivolamenti s.l.; (b) colate detritiche; (c) crolli/ribaltamenti (Flageollet, 1999).
Dall'esame della Tabella 3.13 si osserva come le frane a cinematismo veloce
abbiano sempre un'influenza diretta sulla popolazione; infatti, anche la caduta di un
masso di piccole dimensioni potrebbe avere conseguenze gravi, se, cadendo su una
strada, colpisse un auto di passaggio. Le frane più lente, invece, fanno sentire i loro
effetti diretti solo in occasione di grandi movimenti che spostino ingenti quantitativi di
materiale. Comunque, in presenza di sistemi di allarme, su frane monitorate “in
tempo reale”, è possibile evitare conseguenze dirette sulla popolazione, anche nelle
situazioni di intensità maggiore. Per gli edifici e le infrastrutture la situazione non
cambia, sono sempre i movimenti veloci a creare le peggiori condizioni di
84
danneggiamento, anche in virtù del fatto che i movimenti lenti possono invece essere
affrontati con una serie di lavori di rinforzo e restauro durante il movimento stesso. In
particolare, sulle strade, i movimenti tipo colata detritica sono stati sempre correlati
ad un danneggiamento almeno moderato, poiché occupando la carreggiata con il
materiale spostato possono impedire la circolazione dei veicoli.
Volendo provare a dare una valutazione della vulnerabilità dal punto di vista
quantitativo, possiamo fare riferimento ai lavori di Leone (1996), che propone dei
valori di vulnerabilità in base al tipo di danneggiamento dell'elemento a rischio, di Fell
(1994), che invece mette in relazione la severità geometrica della frana (volume) con
un valore di vulnerabilità per le proprietà, e di Wong (1997) che riporta i valori,
consigliati ad Hong Kong, validi per le persone che si trovano all'aperto, in casa
oppure in auto.
In Tabella 3.14 sono riportati i valori di vulnerabilità degli elementi a rischio
(edifici, strade e popolazione), desunti dalla letteratura e corretti sulla base delle
notizie storiche di eventi precedenti accaduti nell'area in esame. Per quanto riguarda
le proprietà, la vulnerabilità è stata valutata sulla base del danno atteso (trascurabile,
moderato, funzionale o strutturale) ed il valore riportato, variabile tra 0 (nessun
danno) e 1 (perdita totale del bene), è la porzione del bene che risulta danneggiato.
Le persone invece, potendosi muovere, mostrano una vulnerabilità diversa nei
confronti di tipologie differenti di frane; così sono stati proposti tre diversi valori di
vulnerabilità per ognuna delle frane tipo (crolli/ribaltamenti, colate detritiche,
scivolamenti s.l.); tali valori indicano la probabilità che un essere umano (l'elemento a
rischio) perda la vita.
EDIFICI
S
D F
A
N
N
M
O
T
STRADE
0,8-1
0,8-1
0,5-0,8
0,6-0,9
0,2-0,4
0,3-0,6
0,01-0,1
0,01-0,1
FRANE
cr
co
sc
cr
co
sc
cr
co
sc
cr
co
sc
PERSONE DENTRO
PERSONE
EDIFICI
IN AUTO
0,8-1
0,8-1
0,7-1
0,3
0,4
0,2
0,05
0,2
0,01
0,01
0,02
0,001
0,8-1
0,8-1
0,7-1
0,5
0,6
0,1
0,3
0,4
0,001
0,05
0,1
0,0001
Tabella 3.14 - Valore numerico della vulnerabilità di vari elementi a rischio. T=danno trascurabile;
M=danno moderato; F=danno funzionale; S=danno strutturale; cr=crolli; co=colate; sc=scivolamenti
s.l.
85
Si notano immediatamente tre aspetti tipici: in primo luogo, viene confermato il
fatto che la vulnerabilità nei confronti di frane aventi cinematismi veloci è sempre
molto più alta rispetto agli scivolamenti lenti, che solo nel caso di danni strutturali
possono causare morti e/o feriti; in secondo luogo a parità di tipo di danno, una
persona in auto è meno protetta rispetto ad una che si trova in casa, potendosi
ritrovare travolta da una colata detritica oppure colpita da massi in caduta da una
scarpata; un ultimo aspetto riguarda ancora le strade che, a parità di classe di danno,
presentano una vulnerabilità maggiore rispetto agli edifici, perché, oltre ad essere
direttamente danneggiate possono essere invase da materiale e quindi rese
inutilizzabili, con elevati costi per il ripristino della viabilità. Un'ultima osservazione
deve essere svolta a proposito del fatto che i movimenti tipo colata detritica, potendo
invadere i primi piani degli edifici, risultano, eccetto il caso della classe S, in una
classe di vulnerabilità, nei confronti delle persone, maggiore rispetto ai crolli di
uguale classe di danno.
3.7 VALUTAZIONE E STIMA DEL RISCHIO
Dopo aver identificato le minacce potenziali (i movimenti franosi) e gli elementi
a rischio, nonché l'entità dei danni attesi, si è passati alla determinazione della loro
interazione, cioè del rischio, ultimo passo della fase di analisi del medesimo.
Coerentemente con quanto previsto dal D.P.C.M. 29/9/98, nel presente studio si è
fatto riferimento al rischio specifico (RS) definito come il grado di perdita attesa quale
conseguenza di un particolare fenomeno naturale, funzione della pericolosità (H) e
della vulnerabilità (V) :RS=ƒ(H;V).
Per prima cosa gli elementi a rischio individuati in precedenza sono stati
accorpati in classi di valore economico e sociale, secondo lo schema adottato
dall'Autorità di bacino del Fiume Magra:
E4 = centri abitati.
E3 = nuclei abitati, attività economiche, viabilità principale.
E2 = case sparse, viabilità secondaria.
E1 = viabilità minore (strade campestri, interpoderali ecc.)
Quindi si è provveduto a stabilire alcune regole per effettuare la stima del
rischio specifico, cercando di stabilire quali sono i livelli di rischio socialmente
86
accettabili (valutazione del rischio). Anche se è molto difficile stabilire a priori una
soglia di rischio accettabile, sono state individuate quattro classi di rischio
riconducibili alle seguenti definizioni riportate nel D.P.C.M. 29/9/98 che esprimono le
conseguenze attese a seguito del manifestarsi dei dissesti:
−
−
−
−
Rischio molto elevato (R4): è possibile la perdita di vite umane e/o il ferimento
delle persone, danni gravi a edifici e infrastrutture, sfollati e senza tetto,
distruzione delle attività socio-economiche; rischio non socialmente tollerabile.
Rischio elevato (R3): problemi per l’incolumità delle persone, danni funzionali
a edifici e infrastrutture con conseguente inagibilità, sfollati e senzatetto,
interruzione di attività economiche; rischio non socialmente tollerabile.
Rischio medio (R2): danni minori agli edifici e alle infrastrutture; l’incolumità
delle persone, l’agibilità degli edifici e la funzionalità delle attività economiche
non risultano pregiudicate; rischio socialmente tollerabile.
Rischio moderato (R1): danni economici e sociali marginali.
Per assegnare ad ogni tipo di bene il livello di rischio specifico, così come
definito sopra, è stata preparata una tabella (Tabella 3.15) che mette in relazione la
pericolosità e la vulnerabilità ovvero il danneggiamento atteso.
PERICOLOSITA' (H)
RS=ƒ(H;V)
V
Danno
U Strutturale
L
N
E
Danno
R Funzionale
A
B
Danno
I
Moderato
L
I
T
Danno
A'
Trascurabile
(V)
E4
E3
E2
E1
E4
E3
E2
E1
E4
E3
E2
E1
E4
E3
E2
E1
P4
P3
P2
P1
R4
R4
R4
R2
R4
R4
R3
R2
R4
R3
R2
R1
R3
R2
R1
R1
R4
R3
R2
R1
R4
R3
R2
R1
R3
R3
R2
R1
R3
R2
R1
R3
R2
R1
R1
R3
R2
R1
R1
R2
R1
R1
R1
R2
R1
R1
R1
R2
R1
R1
R2
R1
R1
R1
R1
R1
R1
R1
R1
R1
R1
R1
Tabella 3.15 - Definizione delle classi di rischio sulla base della pericolosità e della vulnerabilità.
87
Per ognuna delle 4 categorie di elemento a rischio sono state prese in
considerazione le 4 classi di danno, così da ottenere 16 diverse situazioni di danno.
Queste sono state poi incrociate con le 4 classi di pericolosità: il risultato finale sono
64 categorie di rischio, o meglio 62 poiché in 2 casi (caselle in grigio, barrate), per le
assunzioni fatte, gli incroci non si possono verificare. Infatti una frana P1, cioè avente
pericolosità moderata, per come sono state concepite le tabelle di correlazione
(Tabella 3.9 e Tabella 3.13) non potrà causare danni strutturali ad un elemento a
rischio E4, cioè ad un centro abitato; la stessa considerazione vale per le frane P3 e
gli elementi a rischio E1.
La tabella proposta, pur mostrando i limiti derivanti da un approccio qualitativo,
illustra in maniera semplice ed esaustiva tutte le condizioni di rischio che si possono
verificare nell'area in esame, fornendo un valido strumento per la valutazione delle
situazioni che manifestano un'urgenza meritevole di interventi prioritari. Rispetto ai
metodi più rapidi, presentati da molte Autorità di Bacino, che assumono la distruzione
completa del bene in occasione del movimento franoso, la tabella proposta
sembrerebbe essere più elastica e capace di abbracciare una più vasta gamma di
eventualità, come d'altronde avviene nella realtà. In questo modo si consente una
migliore gestione degli sforzi finanziari e tecnici, che potranno così essere rivolti,
nella maniera più efficace possibile, verso i livelli di rischio socialmente inaccettabili.
Le operazioni di stima del rischio illustrate sono state eseguite in maniera
semi-automatica, utilizzando il software GIS ArcView. Per ogni elemento a rischio è
stata preparata una tabella nella quale sono riportate la tipologia (edificio, strada), la
classe di valore (E1-E4), la vulnerabilità valutata tramite incrocio con la carta della
franosità (Tabella 3.13) ed il rischio ottenuto dal successivo incrocio con la carta
della pericolosità (Tabella 3.15). Il risultato finale è stata una carta di sintesi nella
quale gli elementi a rischio, o parti di essi (ad esempio un tratto di strada), vengono
accorpati secondo le quattro classi di rischio proposte.
E' questa una differenza profonda rispetto al Progetto di PAI dell'Autorità di
Bacino del Fiume Magra, che presenta una carta del rischio nella quale sono gli
areali di pericolosità ad essere classificati anche come aree a rischio nel momento in
cui coinvolgono dei beni. In altre parole, tutto il fenomeno di dissesto è considerato a
rischio, anche nelle porzioni libere da elementi a rischio. La rappresentazione
presentata in questo studio, oltre ad essere più rigorosa da un punto di vista
terminologico (il rischio esiste solo in corrispondenza di un bene), sembra svolgere
meglio la funzione di individuazione delle situazioni di rischio, consentendo di avere
anche una quantificazione immediata dei beni a rischio: quanti edifici, quante attività
economiche quanti chilometri di strade.
Per superare i limiti imposti da un approccio puramente qualitativo è stato
tentato il calcolo di un valore numerico del rischio specifico; si è cercato, cioè, di dare
88
una valutazione in termini probabilistici di una perdita economica o di vittime per le
conseguenze di una determinata pericolosità naturale. Più che una vera e propria
valutazione quantitativa del rischio, si è trattato di una valutazione semi-quantitativa,
in quanto i valori numerici di probabilità sono stati desunti da considerazioni
qualitative e dalla letteratura.
Il rischio è essenzialmente il prodotto matematico della probabilità di
accadimento di un certo fenomeno pericoloso, degli elementi a rischio e delle
conseguenze dell'evento (5).
Rs=P(F)×ES×V=Pi×V
(5)
dove:
Rs
= rischio
P(F)
ES
V
Pi
= probabilità che il fenomeno franoso avvenga
= esposizione al rischio
= vulnerabilità
= probabilità di impatto = P(F)×ES
I valori numerici della probabilità di frana, seppure approssimati, sono stati
ottenuti dallo studio geomorfologico in base alla frequenza dei movimenti franosi
cartografati. La vulnerabilità è stata determinata numericamente da valori di
letteratura, riveduti in base alle notizie storiche sulle conseguenze di eventi passati
nell'area di indagine. Manca solo la probabilità di impatto, strettamente correlata
all'esposizione al rischio.
A proposito dell'esposizione al rischio, ovvero la probabilità che un certo
elemento a rischio si trovi, in un certo momento, esposto all’occorrenza di un
fenomeno potenzialmente pericoloso, possiamo suddividere questa probabilità in una
probabilità spaziale ed una temporale. La probabilità spaziale è la probabilità che un
elemento a rischio situato in una certa posizione sia coinvolto nell'evoluzione di una
frana: quindi per gli elementi a rischio posti all'interno di un perimetro di frana, questa
probabilità sarà posta uguale a 1 ovvero abbiamo la certezza che se la frana si
muove o si rimetterà in movimento il bene ne sarà interessato. Nel caso in cui
l'elemento sia al di fuori di un corpo di frana, la probabilità andrà valutata sulla base
del possibile coinvolgimento in movimenti contigui. La probabilità temporale è la
probabilità che l'elemento a rischio sia presente nel momento in cui si verifica il
dissesto. Per una proprietà, ovvero edifici e strade, la probabilità sarà sempre 1,
mentre per le persone, in quanto capaci di muoversi, andrà valutata la porzione di
tempo in cui esse risultano esposte al rischio. Ad esempio, il tempo passato
89
mediamente in una casa, in un anno, da una persona, può essere considerato pari al
70% e quindi la probabilità temporale sarà posta pari a 0,7. Per le strade tale
quantificazione è più complessa, perché andrà preso in considerazione il traffico
ovvero il numero di auto che transita giornalmente sulla strada considerata. Alcuni
valori, seppure approssimati, sono stati tratti dal lavoro di Bergren et al. (1992). La
formula (5) può quindi essere riscritta così:
Rs=P(F)×P(S)×P(T)×V
(6)
dove:
P(S) = Probabilità spaziale di esposizione al rischio
P(T) = Probabilità temporale di esposizione al rischio
Vediamo un esempio (Figura 3.7) nel quale tre edifici si trovano in una zona
dove sono stati riconosciuti due differenti movimenti franosi: il movimento P4, uno
scivolamento attivo di intensità moderata ed un movimento P2, una colata
quiescente con tempo di ritorno compreso tra 100 e 500 anni e di intensità elevata.
Gli edifici A e C sono case di residenza, mentre B è occupato solo in occasione delle
vacanze.
Figura 3.7 - Situazione schematica di rischio per tre edifici (A, B, C) in corrispondenza di due
movimenti franosi (P2 e P4).
In termini numerici, applicando la (6), potremo ottenere i risultati riportati nella
Tabella 3.16.
90
Elemento a
rischio
Probabilità di
accadimento
P(F)
Probabilità
spaziale P(S)
Probabilità
temporale
P(T)
Vulnerabilità V
Rischio
specifico Rs
Edificio A
1
1
1
0,3
0,3
Edificio B
0,002
1
1
0,9
0,0018
Edificio C
0,002
0,5
1
0,9
0,0009
Persona in A
1
1
0,7
0,01
0,007
Persona in B
0,002
1
0,2
0,9
0,00036
Persona in C
0,002
0,5
0,7
0,9
0,00063
Tabella 3.16 - Rischio specifico calcolato per gli edifici e per le persone all'interno degli edifici.
Il calcolo di un valore numerico del rischio ha ben poco significato, se non
viene confrontato con i livelli di rischio accettabile. E' importante, ai fini di una
gestione del territorio più efficace, poter giudicare se il rischio è accettabile,
tollerabile o intollerabile (Fell, 1994; Finlay e Fell, 1997). Tali giudizi sono altamente
soggettivi ed influenzati dal contesto sociale, economico e culturale; infatti, non tutte
le persone percepiscono il rischio nella stessa maniera, anche all'interno della
medesima comunità. La percezione del rischio dipende da svariati fattori, quali livello
culturale, conoscenze pratiche, esperienze di fenomeni passati, la paura dell’ignoto,
età, ecc. Risulta, quindi, molto importante da un punto di vista della gestione del
rischio, cercare di limitare le differenze tra il rischio effettivo ed il rischio percepito dai
singoli individui, attraverso l'educazione e la comunicazione. Un metodo per
migliorare la comprensione del rischio da frana è quello di confrontarlo con rischi
diversi, più familiari e facili da comprendere: ad esempio il rischio per incidenti
stradali, sul lavoro, il rischio di morte per fumo, per omicidio, per suicidio, ecc.
Malgrado tali problemi e l'estrema soggettività nella valutazione del rischio,
alcuni Enti, Agenzie nazionali e ricercatori che si occupano di pianificazione
territoriale hanno stabilito delle linee guida per determinare i livelli di rischio
accettabile e rischio tollerabile, in diverse situazioni e per fenomeni diversi, non
necessariamente frane. In Tabella 3.17 viene riportata una breve rassegna dei
principali studi svolti nel mondo. Nei casi illustrati in Tabella 3.17 si parla di rischio
individuale, cioè la probabilità che la persona presa in considerazione perda la vita in
conseguenza di un certo evento pericoloso. In realtà, il fenomeno pericoloso
interessa, generalmente, più di un solo individuo, si parla quindi di rischio collettivo.
Questo non è altro che la sommatoria dei rischi individuali delle persone
potenzialmente interessate.
91
Valutazione del Rischio (probabilità annua)
Accettabile
Tollerabile
Organizzazione
Health and Safety Executive (1989)
Health and Safety Executive (1988)
New South Wales Department
Planning (DUAP, 1992)
0.33 x 10-6
10-6
of
10-6
Hong Kong Government Planning (1994)
BC Hydro (1993)
ANCOLD (1994) nuove dighe
ANCOLD (1994) dighe esistenti
Finlay & Fell (1997)
Australian Geomechanics Society (2000)
Fell (1994)
Starr (1969)
0.33 x 10-5
10-4
10-5-10-6 per le persone,
10-3-10-4 per le proprietà
10-4
10-5-10-6
10-6
10-5 per i nuovi insediamenti,
10-4 per l'esistente
10-4
10-6 medio, 10-5 per le persone
più a rischio
10-5 medio, 10-4 per le persone
più a rischio
10-3
10-3
10-2-10-4
Tabella 3.17 - Criteri per la valutazione del rischio di morte per un individuo (da Fell e Hartford, 1997)
Le caratteristiche del rischio collettivo sono rappresentate, di solito, attraverso
grafici (Figura 3.8) nei quali in ascisse abbiamo il danno (D) mentre in ordinate la
probabilità annua di occorrenza del dissesto (P). Il danno può essere espresso in
numero di morti o in grado di danneggiamento delle proprietà, in termini relativi o
monetari.
Figura 3.8- Andamento del rischio collettivo accettabile e tollerabile in funzione della probabilità annua
di occorrenza di un fenomeno pericoloso e del grado di danneggiamento atteso.
92
Ogni punto del piano cartesiano appartiene ad un ramo di iperbole e ad ogni
ramo corrisponde un certo livello di rischio (curve di isorischio). Il rischio accettabile e
quello tollerabile sono correlati al danno tramite un andamento decrescente: al
diminuire del danneggiamento atteso aumentano le soglie di rischio e, viceversa,
all'aumentare dei danni diminuiscono le soglie di rischio. Uno stesso valore di rischio
collettivo, in certi casi, può essere ritenuto accettabile in termini di danno atteso, in
altri no. In Figura 3.8, i punti a e b sono caratterizzati dallo stesso valore di rischio, in
quanto giacciono sullo stesso ramo di iperbole. Tale livello di rischio è il risultato di
due diverse combinazioni dei valori di probabilità di accadimento e di
danneggiamento atteso: nel punto a, si ha una bassa aspettativa di danno ma
un'elevata probabilità che l'evento dannoso si verifichi; nel punto b, viceversa, la
probabilità di accadimento è bassa e i danni sono elevati. Alla luce del grafico
proposto, e quindi della scelta fatta riguardo ai livelli di rischio accettabile e
tollerabile, si può ritenere accettabile solo il livello di rischio che si determina nella
situazione individuata dal punto b.
Per il presente studio è stato utilizzato il rischio individuale, calcolato secondo
la (6). La suddivisione in quattro classi, come richiesto dalle leggi vigenti in materia di
pianificazione di bacino, è avvenuta seguendo lo schema illustrato in Tabella 3.18.
RISCHIO
PERSONE
-3
PROPRIETÀ
>10-2
R4
>10
R3
10-3 - 2 x 10-4
10-2 - 2 x 10-3
R2
2 x 10-4 - 2 x 10-5
2 x 10-3 - 2 x 10-4
R1
<2 x 10-5
<2 x 10-4
Tabella 3.18 - Classi di rischio individuale.
In pratica è stato utilizzato il valore di 10-3 come soglia di rischio tollerabile,
mentre 2x10-5 individua la soglia di rischio accettabile. I valori intermedi
rappresentano una fascia di transizione, che in letteratura anglosassone viene
indicata con l'acronimo ALARP ovvero "As Low As Reasonably Practible" (Figura
3.8), nella quale andranno previsti interventi di riduzione del rischio solo se realmente
vantaggiosi da un punto di vista socio-economico. Per le proprietà si è scelto di
aumentare le soglie di un ordine di grandezza, coerentemente con gli obiettivi di
legge, che individuano nella salvaguardia della vita umana la massima priorità.
La carta del rischio di frana, elaborato finale dello studio svolto, individua
quindi aree caratterizzate da rischio più elevato rispetto ad altre, anche a parità di
pericolosità, per effetto degli elementi che vi si trovano ubicati e di conseguenza
93
identifica le zone da difendere prioritariamente. Viene fornito, così, un quadro della
situazione attuale del rischio di frana nell'area in esame, utile per valutare le criticità
anche in relazione ad altre aree ed un valido strumento per determinare, con un
criterio oggettivo, le misure più urgenti di prevenzione e le priorità degli interventi.
3.8 GESTIONE DEL RISCHIO
Lo stadio conclusivo dello studio del rischio consiste nell'utilizzo, nella fase
decisionale, delle informazioni ottenute nelle precedenti fasi di analisi, stima e
valutazione del rischio. E' questa la fase gestionale del rischio, la quale, pur avendo
una natura essenzialmente politico-amministrativa, prevede per i tecnici e per la
comunità scientifica un ruolo fondamentale nell'individuazione e messa a punto delle
strategie di riduzione del rischio più efficaci.
La riduzione del rischio può avvenire attraverso l'adozione di misure di
mitigazione oppure attraverso misure di prevenzione. Per mitigazione del rischio si
intende l'insieme dei provvedimenti atti a ridurre la severità dei danni attesi per le
persone e le proprietà; la prevenzione, invece, consiste nelle attività volte ad evitare
che un certo fenomeno avvenga, ovvero a far sì che la probabilità che si verifichi
diminuisca. La Figura 3.9, riprendendo i grafici introdotti per rappresentare il rischio,
illustra come sia possibile passare da una situazione ad alto rischio RA ad una a
rischio più basso RB, tramite azioni di mitigazione e di prevenzione e come l'uso
combinato di queste sia da preferirsi rispetto ad azioni di un singolo tipo.
Figura 3.9 - Azione delle misure rivolte alla riduzione del rischio.
94
La valutazione delle differenti misure ed azioni di riduzione del rischio è,
fondamentalmente, una questione di quanto denaro può essere speso e di come
deve essere speso. Le risorse disponibili sono sempre più scarsi e quindi è
importante utilizzarle al meglio, evitando di spendere troppo per interventi eccessivi o
troppo poco in azioni che poi si rivelano insufficienti o, peggio ancora, scegliere delle
misure inefficienti (Figura 3.10).
Figura 3.10 - Efficienza delle misure di riduzione del rischio. R0=livello di rischio iniziale; ★=misure di
riduzione del rischio.
Solo un'attenta analisi costi-benefici, finalizzata al confronto dell'efficienza di
differenti alternative, può consentire di ottimizzare le scelte, compito questo di
primaria importanza nella pianificazione degli usi del suolo, evitando così il ricorso al
sistema empirico basato sulla sensibilità del decisore o sulla preminenza della
segnalazione (Foschi e Zani, 2005).
Ricordando la formulazione generale del rischio (R=H×Es×V), risulta più
semplice capire quali sono le possibili azioni correttive per la diminuzione del rischio.
Nel far fronte ai rischi derivanti da pericoli naturali come le frane, si può agire sui tre
fattori del prodotto ossia sulla pericolosità, sull'esposizione degli elementi a rischio e
sulla vulnerabilità degli stessi, come di seguito descritto:
1.
riduzione dei livelli di pericolosità: generalmente si tratta di soluzioni
ingegneristiche tese alla stabilizzazione del dissesto ovvero alla diminuzione
della frequenza (misure di prevenzione) e del potere distruttivo (misure di
mitigazione);
95
2.
3.
riduzione dell'esposizione al rischio: si tratta di misure che si attuano in sede di
pianificazione, per le quali si rinuncia ad utilizzare determinate aree del territorio
considerate pericolose (misure sia di prevenzione sia di mitigazione);
riduzione della vulnerabilità: per la vulnerabilità delle proprietà gli interventi sono
rivolti alla ristrutturazione, al consolidamento e alla realizzazione di opere di
protezione; per quanto riguarda le persone, oltre alle misure citate, vanno
ricordati i Piani di evacuazione (misure di mitigazione), che si configurano anche
come misura tesa alla riduzione dell'esposizione al rischio, ed i Piani di gestione
della crisi che contribuiscono in modo spesso decisivo alla limitazione dei danni,
specialmente di quelli indiretti.
Oltre ad agire su pericolosità, vulnerabilità ed esposizione, si può pensare di
intervenire anche direttamente sul rischio, come sotto illustrato:
−
−
−
Trasferimento del rischio, addossando alle compagnie assicurative le
conseguenze finanziarie dell'evento per intero, oppure solo la copertura dei
rischi residui.
Assunzione di responsabilità personale da parte dell'individuo. In molti paesi la
pressione politica vorrebbe allentare le norme che regolano l'utilizzazione del
territorio, lasciando che una parte del rischio sia assunta responsabilmente
dall'individuo con la predisposizione a proprio carico di misure di difesa.
Innalzamento dei livelli di rischio accettabile; tramite adeguate campagne di
sensibilizzazione ed informazione è possibile limitare le differenze tra il rischio
effettivo e quello realmente percepito dalla società, rendendo così la
popolazione più consapevole della reale situazione (le soglie di rischio
consapevole sono più alte rispetto a quello involontario).
La naturale conclusione di questo lavoro è consistita, quindi, nella messa a
punto di misure di riduzione del rischio di tipo non strutturale ovvero misure non
ingegneristiche. Sulla base delle nuove classificazioni di pericolosità e rischio sono
state proposte norme di utilizzo del suolo e alcuni criteri per individuare le priorità di
intervento. Gli interventi previsti oltre ad essere finalizzati alla diminuzione del rischio,
dovranno mirare al riequilibrio del bacino nella sua unitarietà, così come previsto
dalla L.183/89.
96