FOROEUROPEO i quaderni giuridici

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FOROEUROPEO i quaderni giuridici
FOROE
EUROPEO
Se l'offesa è recata col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di
pubblicità, ovvero in atto pubblico, la pena è della reclusione da sei mesi a
tre anni o della multa non inferiore a euro 516
www.foroeuropeo.it – il portale del giurista
Il reato di diffamazione consiste nell’offendere l’altrui
reputazione, comunicando con più persone. Il reato è a
condotta libera, l’uso del gerundio (comunicando con
più persone) evidenzia però come siano rilevanti sia il
profilo attivo dell’azione, che quello passivo, che
coincide con la ricezione del messaggio.
AVVOCATI PER L’E
EUROPA
Il Presidente – Sezione
Roma
Avv. Antonio Rizzo
Il Presidente
Avv. Domenico Condello
i quaderni giuridici
a cura della redazione di ForoEuropeo
e del Centro studi di Avvocati per l’europa
La diffamazione utilizzando le
nuove tecnologie: la responsabilità
penale e civile a cura di Caterina
Flick e Samantha Luponio
Introduzione
L’uso delle nuove tecnologie (in particolare internet)
come strumento di diffamazione pone problemi nuovi.
In particolare si evidenziano: l’estrema facilità con cui
è possibile divulgare informazioni lesive dell’onore e
della reputazione di chicchessia; il fatto che un mezzo
di comunicazione di massa è agevolmente utilizzabile
da non professionisti; la difficoltà di accertamento del
reato e di perseguimento del colpevole.
Tutto ciò porta spesso ad una “caccia al colpevole”,
poco importa che si tratti dell’autore, o che si tratti,
invece, del soggetto che rende possibile la
diffamazione: basti pensare, a questo proposito, alla
nota vicenda che ha visto come protagonisti Google e
l’associazione Vivi Down, in relazione alla
pubblicazione di un video amatoriale diffamatorio su
You Tube.
Si ritenuto opportuno affrontare il tema partendo dai
profili generali della diffamazione, per poi esaminare
gli aspetti più rilevanti in relazione alla diffamazione
con le nuove tecnologie (internet in particolare).
I - Profili generali
Il reato si consuma nel momento in cui l’offesa è
percepita all’esterno. La individuazione dell’effettivo
destinatario dell’offesa è condizione essenziale e
imprescindibile per attribuire ad essa una rilevanza
giuridico-penale.
La nozione di “reputazione” è stata elaborata dalla
dottrina e dalla giurisprudenza nel corso degli anni. In
sintesi, oggetto di tutela del reato è l’onore
dell’individuo, in tutte le sue manifestazioni: in primo
luogo la percezione che la persona ha di sé stessa; in
secondo luogo la percezione che della persona ha il
mondo circostante e l’interesse del soggetto a che il
mondo circostante non abbia di lui una percezione
negativa.
La reputazione, tuttavia, non risiede in uno stato o
sentimento individuale, indipendente dal mondo
esteriore, né nell’amor proprio: la reputazione è il
senso della dignità personale nell’opinione degli altri,
un sentimento limitato dall’idea di ciò che, per la
comune opinione, è socialmente esigibile da tutti in un
dato momento. La lesione all’onore, dunque, si
riscontra non in base alla mera sensibilità dell’offeso,
ma ove l’offesa abbia carattere di “obiettività”.
Elemento soggettivo
L’elemento psicologico del reato di diffamazione si
identifica nel dolo generico, consistente nella
coscienza e volontà di comunicare a più persone
espressioni o informazioni delle quali si conosce la
valenza lesiva dell’altrui reputazione (coscienza della
idoneità diffamatoria). Nessuna rilevanza, invece, può
attribuirsi ai fini o motivi dell’agente.
Il dolo, dunque, si scompone nei seguenti elementi:
volontà della condotta (in cui consiste l’offesa);
consapevolezza e volontà di comunicare con più
persone; consapevolezza dell’attitudine offensiva della
condotta stessa.
Codice Penale - Articolo 595
Chiunque, fuori dei casi indicati nell'articolo precedente, comunicando con
più persone, offende l'altrui reputazione, è punito con la reclusione fino a
un anno o con la multa fino a euro 1.032.
Se l'offesa consiste nell'attribuzione di un fatto determinato, la pena è della
reclusione fino a due anni, ovvero della multa fino a euro 2.065.
Lo stretto rapporto esistente tra elemento materiale ed
elemento soggettivo del reato di diffamazione viene in
genere descritto come dolus in re ipsa, nel senso che la
volontà lesiva è implicita nell’enunciazione
dell’espressione oggettivamente offensiva. In questo
senso si ritiene necessario che l’agente abbia anche la
1
consapevolezza della percezione e della comprensione
da parte di terzi, per non annullare del tutto il dolo
nella condotta.
Diffamazione e libertà di manifestazione del
pensiero
Nella originaria impostazione del Codice Rocco il
reato di diffamazione attua una tutela formale
dell’onore e della reputazione. Per tale ragione la
verità dell’addebito offensivo non aveva alcuna
efficacia scriminante del reato; le uniche eccezioni
erano contenuto nell’articolo 596 del codice penale, in
riferimento a limitati casi di prevalenza dell’interesse
pubblico sul bene dell’onore e della reputazione (la
pendenza di un processo penale che riguardi l’addebito
lesivo e la notizia che riguardi un pubblico ufficiale
per l’esercizio delle funzioni).
La possibile incompatibilità fra la tutela formale
dell’onore e della reputazione e la libertà di
manifestazione del pensiero, sancita dall’articolo 21
della Costituzione, ha portato a sviluppare alcune
scriminanti specifiche (diritto di cronaca, di critica, di
satira, attivabili attraverso l’articolo 51 del codice
penale) e all’individuazione di limiti per il loro
esercizio. La Corte Costituzionale con sentenza
175/1971 individuò la cronaca e la critica come diritti
soggettivi pubblici costituzionalmente tutelati dall’art.
21 della Costituzione, il cui esercizio ha efficacia
scriminante ex art. 51 c.p.; poiché anche l’onore e la
reputazione sono costituzionalmente tutelati - in
quanto attinenti alla dignità della persona - in caso di
contrasto con il diritto di cronaca e di critica il punto di
equilibrio deve rinvenirsi nei limiti di esercizio del
diritto di cronaca (verità del fatto narrato, interesse
pubblico, forma civile espressiva).
In quest’ottica la verità della comunicazione da cui
deriva la lesione dell’onore ne muta la dimensione: la
verità dell’addebito riveste ora una potente funzione
scriminante - che si è estesa sino a trasformarsi in un
corollario naturale dell’accertamento del reato,
costantemente oggetto di verifica – tesa ad attuare così
una tutela sostanziale del bene giuridico dell’onore,
che incide profondamente sulla sua dimensione e sul
suo contenuto, per cui l’addebito intanto è illecito in
quanto non risponde a verità. In sostanza la verità del
fatto, componente del diritto soggettivo di libera
espressione del pensiero ha assunto, nei confronti della
diffamazione, un rilievo molto superiore a quello
ordinariamente esercitato dalle scriminanti rispetto agli
altri reati (in cui le cause di non punibilità sono
verificate ed applicate eccezionalmente e sussistono in
relazione a variazioni peculiari del fatto tipico).
Le scriminanti:
- il diritto di cronaca
E’ inteso come il diritto di pubblicare il resoconto di
fatti di cui si è venuti a conoscenza ed è
estrinsecazione fondamentale della libertà di stampa.
I presupposti per l’esercizio del diritto sono: la verità
del fatto; l’interesse pubblico alla divulgazione della
notizia; la continenza o forma civile espressiva. Tali
limiti costituiscono lo strumento attraverso il quale si
attua il contemperamento dell’esercizio del diritto di
cronaca con il bene dell’onore e della reputazione, a
cui viene riferito fondamento costituzionale attraverso
gli articoli 2 e 3 della Costituzione.
Il concetto di verità è mitigato rapportandolo: all’uso
legittimo delle fonti di informazione; all’attendibilità o
al
serio
accertamento
della
notizia;
alla
verosimiglianza. Per altro verso è stata riconosciuta
l’importanza dell’aspetto soggettivo, valorizzato
nell’ambito della scriminante putativa.
L’interesse pubblico può essere definito solo in termini
tautologici (fatti ai quali la collettività è veramente
interessata), generici (notevoli e importanti emergenze
della vita individuale), analitici (fatti di grande rilievo
sociale). Il limite dell’interesse pubblico vale anche a
scriminare le intromissioni nella vita privata di soggetti
pubblici o uomini politici (tutelata dal d.lgs. 196/03,
recante il codice in materia di protezione dei dati
personali, cd. “codice della privacy”).
La continenza deve essere sostanziale e formale.
Continenza sostanziale è la relazione (pertinenza) tra il
fatto e la narrazione. La continenza formale attiene
invece alla sola forma espressiva, senza correlazione
con l’interesse pubblico (correttezza del linguaggio).
- il diritto di critica
La giurisprudenza ha elaborato il diritto di critica in
maniera compiuta negli ultimi dieci anni,
differenziandone contenuto e limiti dal diritto di
cronaca. Il diritto di critica si distingue dal diritto di
cronaca in quanto non si concreta nella narrazione di
fatti, ma nella espressione di un giudizio o di
un’opinione che come tale non può essere
rigorosamente obiettiva (sarebbe, anzi, contraddittorio
pretenderlo) dato che corrisponde al punto di vista di
chi la manifesta, esprimendo convincimenti, valori,
credenze necessariamente individuali e differenti dagli
altri.
L’unico limite posto all’esercizio del diritto di critica è
nella rilevanza sociale dei comportamenti a cui si
riferisce la manifestazione del giudizio (rilevanza
dell’interesse pubblico o sociale della critica). Per
questo il diritto di critica va riconosciuto nei confronti
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di personaggi la cui voce ed immagine abbia una vasta
risonanza nella collettività grazie ai mezzi di
comunicazione; l’estensione del diritto di critica sarà
tanto maggiore quanto sarà più alta la posizione o più
rilevante il comportamento del soggetto criticato.
In sintesi, i criteri per la valutazione dell’interesse
pubblico sono due: quello del rilievo del destinatario
dell’offesa; quello della rilevanza del fatto oggetto del
giudizio. Infatti solo l’esigenza di soddisfare
l’interesse generale alla conoscenza di determinati fatti
di rilievo sociale può giustificare la prevalenza della
tutela del diritto di libera manifestazione del pensiero
su quella dell’integrità dell’onore e della reputazione
del singolo cittadino.
La critica va ritenuta lecita a meno che investa
comportamenti privati, salvo che questi, per la
posizione rivestita dal soggetto, abbiano rilevanza per
la collettività.
- il diritto di satira
Solo negli ultimi anni il diritto di satira ha acquistato
una fisionomia distinta dai diritti di critica e di
cronaca. In origine, infatti, la satira era ritenuta una
forma di manifestazione della critica.
La satira è una forma espressiva che realizza l’intento
di castigare ridendo i costumi (attraverso il ridicolo o
delineando situazioni irreali e fantastiche). La satira
non costituisce una risposta ad esigenze informative;
non ha alcun rapporto di necessità con la “verità” del
fatto; non può, se mira alla efficacia del messaggio
obbedire a criteri di equilibrata espressione. Parte della
giurisprudenza individua un unico limite di natura
“interna”: la satira è sottoposta alla condizione
fondamentale di coerenza con la propria natura, quella
della notorietà del personaggio effigiato.
L’aggravante dell’uso di mezzi di pubblicità
Il terzo comma dell’articolo 595 del codice penale
prevede una pena più grave se l’offesa è recata con il
mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di
pubblicità. Questa previsione, tradizionalmente riferita
alla stampa e al mezzo radiotelevisivo, è applicabile
alla diffamazione attuata con tecnologie che
permettono facilmente di raggiungere un vasto
pubblico.
La giurisprudenza, Cass. Pen., Sez. V, sent. n.
31392/2008, con una tesi che ha raccolto anche il
plauso della dottrina per la sua stretta aderenza al
dettato normativo, ha ritenuto di poter collocare la
diffamazione a mezzo internet nell’alveo della
locuzione citata, e ciò sulla base dell’assunto per cui –
premesso che certamente è possibile procedere alla
stampa della pagina web attraverso i normali strumenti
di dotazione di un qualsiasi p.c. – il fatto che internet è
un potente mezzo di diffusione di notizie, immagini e
idee (almeno quanto la stampa, la radio e la
televisione) comporta che anche attraverso di esso si
estrinseca quel diritto di esprimere le proprie opinioni,
che costituisce uno dei cardini della democrazia.
Il fatto che lo strumento internet sia accessibile a tutti
comporta la possibilità per tutti – anche a chi non è un
professionista dell’informazione - di esercitare i diritti
di critica e di cronaca e, conseguentemente,
l’applicazione dei limiti connessi con l’esercizio di
detti diritti, in particolare il riferimento alla verità, la
rilevanza sociale della notizia e la continenza
espressiva.
La diffamazione a mezzo internet presenta altre
caratteristiche particolari: il fatto di consentire di
raggiungere chiunque, senza limiti di tempo e di
spazio; l’assenza, nelle democrazie occidentali, di un
controllo preventivo sui contenuti pubblicati.
L’assenza di limiti di tempo mette in nuova luce la
possibilità di esercizio del “diritto all’oblio” - il diritto
ad essere dimenticati - reso estremamente difficoltoso
dalle modalità di presentazione delle informazioni in
rete (non sempre visibili in ordine cronologico) e
dall’uso del sistema di caching, che permette di
mantenere la memoria di pagine web per molto tempo,
anche dopo la loro rimozione dai siti che le hanno
pubblicate.
L’assenza di limiti di spazio pone il problema
dell’accertamento del reato di diffamazione, sempre
che sia possibile individuarne l’autore; le questioni
concernenti l’individuazione della legge applicabile e
della competenza sono state risolte dai giudici italiani
ritenendo che il reato di diffamazione debba
considerarsi commesso in Italia anche nel caso in cui
sia il luogo ove il diffamato risiede e percepisce
l’offesa.
L’assenza, nelle democrazie occidentali, di un
controllo preventivo sui contenuti pubblicati in virtù
del riconoscimento del diritto fondamentale di libera
espressione del pensiero (è il caso qui di ricordare che
in alcuni paesi, come la Cina, viene attuata una vera e
propria censura su internet) e il fatto che internet è
utilizzabile anche da non professionisti, pone il tema,
nel caso in cui non sia possibile individuare l’autore
della diffamazione, della individuazione di un soggetto
“responsabile” - per fatto proprio o per il fatto del terzo
- a cui il reato possa essere contestato e a cui si possa
chiedere un risarcimento.
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La responsabilità di persona diversa dall’autore: il
direttore e vice-direttore responsabile, l’editore, lo
stampatore,
il
concessionario
di
servizi
radiotelevisivi
La stampa
Codice penale
57. Reati commessi col mezzo della stampa periodica
Salva la responsabilità dell'autore della pubblicazione e fuori dei casi di
concorso, il direttore o il vice-direttore responsabile, il quale omette di
esercitare sul contenuto del periodico da lui diretto il controllo necessario
ad impedire che col mezzo della pubblicazione siano commessi reati, è
punito, a titolo di colpa, se un reato è commesso, con la pena stabilita per
tale reato, diminuita in misura non eccedente un terzo..
57-bis. Reati commessi col mezzo della stampa non periodica.
Nel caso di stampa non periodica, le disposizioni di cui al precedente
articolo si applicano all'editore, se l'autore della pubblicazione è ignoto o
non imputabile, ovvero allo stampatore, se l'editore non è indicato o non è
imputabile
58-bis. Procedibilità per i reati commessi col mezzo della stampa.
Se il reato commesso col mezzo della stampa è punibile a querela, istanza o
richiesta, anche per la punibilità dei reati preveduti dai tre articoli
precedenti è necessaria querela, istanza o richiesta.
La querela, l'istanza o la richiesta presentata contro il direttore o vicedirettore responsabile, l'editore o lo stampatore, ha effetto anche nei
confronti dell'autore della pubblicazione per il reato da questo commesso.
Non si può procedere per i reati preveduti nei tre articoli precedenti se è
necessaria una autorizzazione di procedimento per il reato commesso
dall'autore della pubblicazione, fino a quando l'autorizzazione non è
concessa. Questa disposizione non si applica se l'autorizzazione è stabilita
per le qualità o condizioni personali dell'autore della pubblicazione
L. 47/1948 – disposizioni sulla stampa
11. Responsabilità civile.
Per i reati commessi col mezzo della stampa sono civilmente responsabili,
in solido con gli autori del reato e fra di loro, il proprietario della
pubblicazione e l'editore
12. Riparazione pecuniaria.
Nel caso di diffamazione commessa col mezzo della stampa, la persona
offesa può chiedere, oltre il risarcimento dei danni ai sensi dell'art. 185 del
Codice penale, una somma a titolo di riparazione. La somma è determinata
in relazione alla gravità dell'offesa ed alla diffusione dello stampato
13. Pene per la diffamazione.
Nel caso di diffamazione commessa col mezzo della stampa, consistente
nell'attribuzione di un fatto determinato, si applica la pena della reclusione
da uno a sei anni e quella della multa non inferiore a lire 500.000
La definizione di “stampa” fornita dalla legge n. 47 del
1948 si fonda su due componenti, la prima obiettiva (la
natura di prodotto di un processo fisico, chimico o
meccanico) e l’altra di carattere finalistico (la
destinazione alla pubblicazione, ovvero la diffusione
verso un pubblico indeterminato di lettori). La
Suprema Corte ha escluso dal novero dei reati
commessi con il mezzo della stampa (soltanto) gli
stampati destinati ad esaurire la loro funzione
unicamente nella sfera dell’uso personale o quelli in
relazione ai quali il reato prende forma soltanto in
epoca successiva al compimento del ciclo naturale
della pubblicazione, che comprende il complesso delle
operazioni necessarie alla creazione e alla diffusione in
pubblico dello stampato (così Cass. Pen. I, n. 1143/73).
Nel caso della stampa, periodica e non, il legislatore ha
previsto anche, in aggiunta alla responsabilità
personale, dolosa, dell’autore della comunicazione
diffamatoria, la responsabilità colposa del direttore
responsabile e dell’editore per avere omesso di
esercitare il controllo necessario ad impedire che
attraverso la pubblicazione fossero commessi reati.
Tale responsabilità è prevista espressamente: dagli
articoli 57 e 57 bis del codice penale, per quanto
riguarda il direttore responsabile, il vice direttore (o lo
stampatore), rispettivamente nella stampa periodica e
non.
La fattispecie - una delle più controverse
dell’ordinamento penale, poiché prevede una
responsabilità penale connessa con il comportamento
di un altro - è assai complessa; gli elementi sono: il
fatto omissivo del direttore; il reato commesso
dall’autore della pubblicazione; l’elemento psichico.
La fattispecie si inquadra nell’ambito dei reati omissivi
impropri, la cui struttura è composta dalla condotta
omissiva, dall’evento e dal particolare nesso causale.
Per quanto riguarda il rapporto tra il reato dell’autore
della pubblicazione e il reato del direttore, è opinione
comune che si tratti di autonomi reati e di titoli di reato
indipendenti. Lo conferma la disciplina della querela
(se proposta nei confronti dell’autore della
pubblicazione non si estende al direttore) e della
remissione (non produce effetti sull’autore quella
presentata nei confronti del solo direttore); l’inciso
fuori dei casi di concorso; il regime delle
impugnazioni ad effetti penali della parte civile
delineato dall’articolo 577 c.p.p. per la sola
diffamazione (e ingiuria).
Per quanto riguarda la natura della responsabilità si
contrappongono due tesi. La prima tesi ritiene che si
tratti di agevolazione colposa del fatto doloso altrui; si
tratta di una forma di partecipazione materiale atipica,
causalmente qualificata, che incide su una parte tipica
dell’azione di per sé adeguata o su di una modalità
rilevante dell’evento e richiede causalità, adeguatezza
e lesività. La seconda tesi riconduce la fattispecie al
concorso colposo nell’altrui reato; questa tesi si fonda
sulla differenza che esiste tra la norma in esame e altre
figure paradigmatiche dell’agevolazione colposa,
anche se pare contraddetta dall’esplicito disposto della
clausola di esordio dell’articolo 57 (fuori dei casi di
concorso). La classificazione del reato come colposo
comporta, comunque, che l’omesso controllo deve
essere concretamente riferibile a negligenza,
imprudenza o imperizia. Una tesi minoritaria qualifica
la fattispecie nell’ambito della responsabilità
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oggettiva, sostenendo che l’inciso a titolo di colpa non
individua la struttura dell’elemento soggettivo, ma
impone soltanto che il reato sia trattato agli effetti
penali come colposo.
radiotelevisivo configuri una violazione della carta
costituzionale.
Nella prassi applicativa il reato proprio del direttore
responsabile si trasforma in un accessorio della
responsabilità per il reato commesso con il mezzo
della stampa; in sintesi, dal riconoscimento della
responsabilità
dell’autore
della
pubblicazione
scaturisce - in modo automatico e senza porsi alcun
problema, purché vi sia la specifica querela –
l’affermazione della responsabilità del direttore. Le
decisioni giudiziarie sul tema sono contraddistinte da
automatismo risolutivo, per il quale il direttore ha
seguito ineluttabilmente le sorti dell’autore della
pubblicazione. In sostanza non si è mai operata una
scissione tra la responsabilità dell’autore e quella del
direttore, pervenendo per quest’ultimo ad un giudizio
indipendente di esclusione della responsabilità.
Nella diffamazione, in particolare se effettuata a mezzo
internet, si pone il problema del rapporto, concorso,
con il reato di trattamento illecito di dati personali
previsto dall’articolo 167 del d.lgs. 196/03, recante il
codice in materia di protezione dei dati personali.
Il direttore può essere ritenuto colpevole di
diffamazione vera e propria, e non di omesso controllo
impostogli dalla legge, quando sia accertato che egli
stesso abbia compiuto atti diretti a ledere l’altrui
reputazione ovvero abbia concorso, consapevolmente,
a raggiungere tale evento.
Le trasmissioni radio televisive
L. 223/1990 – disciplina del sistema radiotelevisivo
30. Disposizioni penali.
1. …il concessionario privato o la concessionaria pubblica ovvero la
persona da loro delegata al controllo della trasmissione
4. Nel caso di reati di diffamazione commessi attraverso trasmissioni
consistenti nell'attribuzione di un fatto determinato, si applicano ai soggetti
di cui al comma 1 le sanzioni previste dall'articolo 13 della legge 8
febbraio 1948, n. 47
La legge 223 del 1990 (legge Mammì), sul riordino del
sistema radiotelevisivo, al quarto comma dell’articolo
30 prevede la responsabilità del concessionario,
pubblico o privato, o del delegato al controllo, per la
diffamazione a mezzo radiotelevisivo, solo nel caso in
cui la fattispecie è aggravata dall’attribuzione di un
fatto determinato.
La scelta del legislatore di non introdurre un obbligo di
controllo analogo a quello del direttore responsabile e
dell’editore - in particolare con riferimento a soggetti,
diversi dal delegato al controllo ma che pure hanno un
ruolo importante nella gestione della comunicazione
(quali, ad esempio, il conduttore, il moderatore, il
presentatore delle trasmissioni) - è stata contestata più
volte, in quanto non è sostenuta da una seria esigenza
di politica criminale. La Corte Costituzionale tuttavia,
quando richiesta di pronunciarsi, ha escluso che la
disparità di trattamento tra la stampa e il mezzo
Diffamazione e trattamento illecito di dati personali
Ciò in particolare con riferimento alla diffamazione a
mezzo internet (apertura di account, social network
ecc.) effettuata da non professionisti. Per quanto
riguarda i giornalisti professionisti, invece, è stato
elaborato – e pubblicato in allegato al codice della
privacy - un codice deontologico contenente le regole a
cui il giornalista deve attenersi per esercitare il diritto
di cronaca in modo privacy oriented, in modo da
contemperare i diritti fondamentali della persona, il
diritto all’informazione dei cittadini e il diritto di
cronaca. In particolare si richiamano: l’essenzialità
dell’informazione; l’interesse pubblico della notizia; la
tutela della dignità delle persone.
Da segnalare che l’articolo 167 citato presuppone la
violazione di ben precise norme del codice della
privacy (tra cui l’articolo 23, che prevede
l’acquisizione del consenso da parte del
titolare/responsabile del trattamento) e la necessità – in
alternativa al fine di danno dell’agente o del
nocumento per la parte offesa - che il trattamento
consista nella comunicazione o diffusione; in questi
termini il reato prescinde dalla lesione dell’onore e
della reputazione.
II - Diffamazione a mezzo internet
La responsabilità dell’autore della diffamazione deve
essere valutata secondo i criteri già evidenziati.
Un problema peculiare della diffamazione a mezzo
internet è la valutazione del luogo di commissione del
reato, in particolare in caso di sito web registrato
all’estero e in caso di immissione dei contenuti
diffamatori all’estero. Sul punto la Suprema Corte,
Cass. Pen. II, sentenza n. 36721/2008, ha ribadito, sul
solco di precedenti pronunce, che il reato di
diffamazione consistente nell’immissione nella rete
internet di frasi offensive e/o immagini denigratorie
deve ritenersi commesso nel luogo in cui le offese e le
denigrazioni sono percepite da più fruitori della rete e,
in particolare, nel luogo ove risiede il destinatario
dell’offesa.
Altro aspetto peculiare nel caso di diffamazione a
mezzo internet è se, ed entro quali limiti, sia possibile
individuare una responsabilità di coloro che,
5
“consentendo” a vario titolo la diffusione delle
comunicazioni (internet provider, gestori di blog e di
forum, amministratori di social network ecc. che per
brevità si possono indicare con il termine generico di
“prestatore”), offrono un contributo causale alla
realizzazione della diffamazione.
Nell’ottica della responsabilità penale si possono
ipotizzare diverse situazioni.
In primo luogo il prestatore potrà concorrere nel reato
con l’autore (ai sensi dell’articolo 110 del codice
penale), ove autorizzi o consapevolmente partecipi in
qualunque modo alla pubblicazione di un brano
diffamatorio (ciò comporterà, in ambito civilistico, la
responsabilità solidale fra l’autore e il prestatore).
Più difficile è ipotizzare la responsabilità del prestatore
– che non abbia in alcun modo concorso nel reato
dell’autore della diffamazione; in tal caso occorre
infatti contestare al prestatore di non essersi attivato
per impedire la diffamazione, sempre che a suo carico
possa configurarsi un obbligo giuridico di attivarsi per
impedire l’evento stesso, da individuarsi ai sensi
dell’articolo 40 del codice penale o (ove l’attività
svolta possa rientrare nella nozione di prodotto
editoriale) ai sensi della normativa sulla stampa.
rilevando l’astratta e teorica possibilità che esso non
sia acquistato e letto da alcuno.
L’assimilabilità dei siti internet a
editoriali: le recenti iniziative legislative
La preoccupazione per la facilità con cui è possibile
diffamare qualcuno su internet è alla base di diverse
iniziative legislative – proposte tra il 2008 e il 2009 volte a definire meglio il prodotto editoriale e a
regolamentare l’inserimento di messaggi ed
informazioni su Internet. Tra i tanti, ricordiamo:
1)
Proposta di legge 881, del 8.5.2008 –
Pecorella, Costa – che estende la
responsabilità del direttore e vice-direttore
responsabile per omesso controllo anche a tutti
i mezzi di diffusione delle informazioni
(assegnato alla Commissione Giustizia il
14.9.09) ;
2)
Proposta di legge 1269, del 9.6.08 - Levi
(ammazza blog) – volto a disciplinare
l’editoria, prevede l’obbligo di iscrizione nel
Registro degli Operatori di Comunicazione
(ROC) per i soggetti che svolgono su internet
attività editoriale, estendendo loro la
normativa sulla responsabilità per i reati a
mezzo stampa, ad eccezione dei soggetti che
operano su internet attraverso siti che non
costituiscono il frutto di un’organizzazione
imprenditoriale del lavoro (assegnato alla
Commissione Cultura il 6.11.08);
3)
Proposta di legge 1921, del 19.11.08 Cassinelli e altri (salva blog) – volto a
disciplinare
l’editoria,
escludere
l’equiparazione con i prodotti editoriali dei siti
utilizzati quale strumento di espressione del
pensiero e di aggregazione sociale e culturale
(salvo per: le edizioni telematiche di prodotti
editoriale cartacei; prodotti per i quali l’editore
intenda avvalersi delle provvidenze per
l’editoria; prodotti destinati unicamente o
prevalentemente alla diffusione di notizie e
gestiti professionalmente da una redazione di
due
persone
regolarmente
retribuite)
(assegnato alla Commissione Cultura il
9.3.09);
4)
emendamento “D’Alia” (ammazzafacebook)
al disegno di legge sulla sicurezza pubblica
(decreto sicurezza, L. 94/2009) che prevedeva
l’introduzione di una norma volta a reprimere
l’attività di apologia o istigazione a delinquere
compiuta a mezzo internet, costringendo gli
Internet provider a filtrare i contenuti a caccia
I prodotti editoriali on-line
L'articolo 1 della legge 62/2001 (Nuove norme
sull'editoria e sui prodotti editoriali. Modifiche alla
legge 5 agosto 1981 n. 416) dispone: Per prodotto
editoriale si intende il prodotto realizzato su supporto
cartaceo, ivi compreso il libro, o su supporto
informatico, destinato alla pubblicazione o, comunque,
alla diffusione di informazioni presso il pubblico con
ogni mezzo, anche elettronico, o attraverso la
radiodiffusione sonora o televisiva, con esclusione dei
prodotti discografici o cinematografici.
Si considerano destinati alla pubblicazione, o
diffusione di informazioni, presso il pubblico i
“giornali telematici” (che abbiano o meno la
corrispondente testata cartacea), caratterizzati da
periodicità nell’aggiornamento e dalla presenza di
giornalisti professionisti.
Sul punto la Corte di Cassazione, sez. V penale,
sentenza 16262/08, ha chiarito che ai fini
dell’integrazione del delitto di diffamazione si deve
presumere la sussistenza del requisito della
comunicazione con più persone qualora il messaggio
diffamatorio sia inserito in un sito internet per sua
natura destinato ad essere normalmente visitato in
tempi assai ravvicinati da un numero indeterminato di
soggetti, quale è il caso del giornale telematico, a nulla
prodotti
6
di istigazioni a delinquere e apologie di reato,
con il rischio per i social networks come
Facebook in Italia di non poter più proseguire
la loro avventura; norma abrogata con
emendamento “Cassinelli” del 28/4/2009;
5)
6)
Proposta di legge 2195, del 11.2.09 – Carlucci
– volta alla tutela della legalità su internet,
vieta l’inserimento di messaggi in rete in
forma anonima; estende a tutte le attività su
internet gli obblighi e le tutele della legge
sulla stampa.
Proposta di legge 2455, del 20.5.09 – Lussana
– volta alla tutela del diritto all’oblio, prevede
la cancellazione da internet delle informazioni
relative a procedimenti penali dopo un dato
periodo di tempo.
Si tratta di proposte che hanno suscitato un ampio
dibattito tra gli addetti ai lavori e reso ancora più
profondo il solco tra chi sostiene la necessità che su
Internet si possa divulgare in piena libertà qualunque
contenuto e chi, invece, è fautore della necessità di
intervenire in modo stringente perché si impedisca che
on line non solo si compiano gravi reati ma che si
tutelino anche i singoli nella loro riservatezza e nella
loro onorabilità.
E’ opportuno segnalare la direttiva 2007/65/CE,
relativa al coordinamento delle disposizioni legislative,
regolamentari e amministrative degli Stati membri
concernenti l’esercizio delle attività televisive
(recepito con d.lgs 44 del 2010), che definisce
“responsabilità editoriale” l’esercizio di un controllo
effettivo sia sulla selezione dei programmi sia sulla
loro organizzazione in un palinsesto cronologico, nel
caso delle radiodiffusioni televisive, o in un catalogo,
nel caso dei servizi di media audiovisivi a richiesta e
chiarisce che essa non implica necessariamente la
responsabilità giuridica ai sensi del diritto nazionale
per i contenuti o i servizi forniti.
La responsabilità penale per omesso controllo
Art. 40 c.p. - Rapporto di causalità.
Nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come reato,
se l'evento dannoso o pericoloso, da cui dipende l'esistenza del reato, non è
conseguenza della sua azione od omissione.
La nozione di obbligo giuridico è stata sostituita negli
ultimi anni dalla “posizione di garanzia”, categoria più
ampia e che non richiede, ad avviso di parte della
dottrina, l’individuazione di uno specifico e preciso
obbligo di impedire statuito da una fonte avente
valenza giuridica. La posizione di garanzia è ravvisata
in capo ad un soggetto quando questi ha doveri di
protezione o controllo nei confronti di diritti o beni
giuridici di altri soggetti.
Con riferimento alla nota vicenda della pubblicazione
su You Tube di un video diffamatorio nei confronti di
un ragazzo down, si è sostenuto che la gestione di un
sito nel quale chiunque può caricare un proprio video
con una semplice operazione di upload costituisce
esercizio di attività pericolosa, dalla quale deriva la
posizione di garanzia e di controllo tale da ipotizzare la
responsabilità penale ai sensi dell’articolo 40 citato.
(Nota: le motivazioni della sentenza del G.U.P. presso il Tribunale di
Milano, che ha giudicato la questione con giudizio abbreviato, non sono
state rese note al momento della redazione di queste dispense)
Le regole del sito: responsabilità per l’utente o per
il prestatore ?
In tale quadro normativo, appare necessario un breve
cenno alla diffusione sempre più frequente della stipula
dei contratti telematici (detti anche digitali, informatici
o virtuali), ossia ai contratti stipulati mediante l’utilizzo
di un sistema telematico, di pari passo con il sempre
maggior utilizzo delle tecnologie di informazione e
della comunicazione. I contratti telematici sono stati
quindi inquadrati nel fenomeno del commercio in rete
(o commercio elettronico) in cui, sotto l’aspetto
programmatico le parti adoperano comuni schemi
contrattuali tipici o atipici, sotto l’aspetto formale, si
avvalgono della rete telematica.
Il problema che si pone è stabilire in che modo
l’utilizzo della particolare forma contrattuale influenza
l’applicabilità della disciplina generale dettata dal
codice in ordine ai singoli elementi costitutivi del
contratto (soggetti, accordo, forma, contenuto) e
riguardo alla sua esecuzione, tenendo conto delle
particolari disposizioni dettate dalle leggi speciali in
materia.
Non impedire un evento, che si ha l'obbligo giuridico di impedire, equivale
a cagionarlo
Ma le problematiche legate ai contratti del commercio
elettronico non sono certo poche. La stessa difficoltà
nell'individuare un luogo preciso di conclusione del
contratto dimostra quanto nuovi siano gli aspetti da
affrontare dal punto di vista normativo.
Con riferimento a internet l’eventuale responsabilità
per omesso controllo, ai sensi dell’articolo 40 del
codice penale, è ipotizzabile soltanto ove si rinvenga
nell’ordinamento di un obbligo giuridico di impedire
l’evento.
Si discute ancora su quale sia la forma più adeguata per
stipulare un contratto efficace online, molta attenzione
è stata, ed è tuttora, dedicata al garantire la tutela del
consumatore. Nonostante i dubbi, culturali oltre che
7
giuridici, sull'effettiva validità di un contratto on-line
(anche se "non scritto") siano stati definitivamente
allontanati, ancora molti sono i punti su cui la
legislazione si dimostra inadeguata alle esigenze dell'ecommerce. Uno di questi riguarda una parte molto
delicata, per le sue implicazioni giuridiche, di ogni
contratto: le cosiddette "clausole vessatorie", definite
dall’art. 33 D. Lgs. 206/2005, quali quelle particolari
“clausole inserite nei contratti tra il consumatore ed il
professionista che, malgrado la buona fede,
determinano a carico del consumatore un significativo
squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal
contratto”.
Sono particolari condizioni contrattuali che possono
risultare particolarmente onerose per uno dei due
contraenti, soprattutto quando tali clausole vengano
decise ed inserite da una sola delle parti,
unilateralmente.
E' evidente come questo sia il caso di tutti i contratti
stipulati online.
Il consumatore non ha infatti alcuna possibilità di
negoziare le disposizioni contrattuali che gli vengono
proposte, è quindi obbligato ad accettarle totalmente, o
a rifiutare l'intero contratto.
Ad esse, per quello che ci occupa, si applica la
disciplina prevista dal comma II dell’art. 1341 c.c.,
secondo la quale In ogni caso non hanno effetto, se non
sono specificatamente approvate per iscritto, le
condizioni che stabiliscono, a favore di colui che le ha
predisposte, limitazioni di responsabilità, facoltà di
recedere dal contratto o di sospenderne l'esecuzione,
ovvero sanciscono a carico dell'altro contraente
decadenza, limitazioni alla facoltà di opporre
eccezioni, restrizioni alla libertà contrattuale nei
rapporti con terzi, tacita proroga o rinnovazione del
contratto, clausole compromissorie o deroghe alla
competenza dell'autorità giudiziaria.
La forma scritta vuole essere un'ulteriore tutela nei
confronti di chi quelle clausole subirebbe, ossia il
consumatore; si richiede quindi una specifica
approvazione che deve essere sottoscritta in modo
distinto dal resto del contratto. Il rispetto di questa
norma su Internet dipende sostanzialmente dalla
valenza dell'accettazione delle clausole con un click, e
se quest’ultimo possa considerarsi equiparabile ad una
vera e propria sottoscrizione.
Per quanto attiene, dunque, lo specifico problema
costituito dalla apposizione di una specifica
sottoscrizione ad un contratto telematico, si registrano
in dottrina forti dubbi e perplessità in relazione alla
possibilità stessa di effettuare una stipulazione, con il
rispetto di tale formalità, di un contratto concluso in
modalità c.d. point and click.
Nell’ipotesi prevista dall’art. 1341, secondo comma,
Codice civile, data la peculiarità del mezzo utilizzato
(il monitor del PC), si pone, infatti, il quesito di come
potrà ritenersi adempiuto il requisito della specifica
sottoscrizione alla presenza del quale - la richiamata
norma - subordina l’efficacia della clausola vessatoria.
Tale problematica permarrà certamente almeno
fintantoché non prenderà piede, al livello massificato,
l’impiego della Firma Digitale, che è il risultato di una
procedura informatica che garantisce l’autenticità e
l’integrità di messaggi e documenti scambiati e
archiviati con mezzi informatici, al pari di quanto
svolto dalla firma autografa per i documenti
tradizionali.
Conclusivamente, avuto anche riguardo alle
problematiche inerenti le clausole vessatorie,
eventualmente inserite nei contratti telematici, che
prevedano l’esclusione o la limitazione della
responsabilità, in favore dei Provider, in tutti i casi in
cui vengano immesse in rete notizie diffamanti da parte
degli utilizzatori il server, occorrerà aver riguardo, tra
le parti, alla validità ed efficacia delle predette
clausole.
Anche per il contratto telematico, trovano applicazione,
d’altronde, tutti i principi generali dettati per i contratti,
ivi compreso l’art. 1372 c.c. che stabilisce che il
contratto ha forza di legge tra le parti e non produce
effetto rispetto ai terzi che, in caso di richiesta di
risarcimento danni in ipotesi di diffamazione a mezzo
internet, potranno agire nei confronti dell’agente e/o
del provider secondo le disposizioni del D. Lgs.
70/2003.
III - La responsabilità degli Internet Services
Provider
Definizione (da wikipedia):
Il termine è mutuato dalla lingua inglese che tradotto letteralmente in
italiano significa "fornitore di servizi Internet". In sigla ISP, anche
abbreviato in provider se è chiaro il contesto informatico, è una struttura
commerciale o un'organizzazione che offre agli utenti (residenziali o
imprese) servizi inerenti Internet i principali dei quali sono l'accesso a
Internet e la posta elettronica.
Per quanto riguarda l'accesso a Internet, gli ISP formano i nodi nella rete
informatica che costituisce Internet. Non tutti gli ISP sono uguali. Ci sono
ISP di primo livello che hanno una rete di interconnessione velocissima,
sono internazionali e sono direttamente connessi ad altri ISP di primo
livello. Tali ISP hanno connessi a loro un certo numero di ISP di secondo
livello (di cui sono fornitori) che vengono detti, in questo caso, utenti.
Per quanto riguarda gli altri servizi, uno dei principali è la registrazione di
nomi a dominio DNS. In Italia, gli ISP che forniscono questo tipo di
servizio si chiamano anche Maintainers o MNT (terminologia stata
introdotta dal NIC, il centro che gestisce il ccTLD.it).
Altro servizio è il Web Hosting (dall'inglese to host, ospitare) che consiste
nell'allocare su un server web le pagine di un sito web, rendendolo cosí
8
accessibile dalla rete Internet. Tale "server web", definito host, è connesso
alla rete Internet in modalità idonea a garantire l'accesso alle pagine del sito
mediante browser, con identificazione dei contenuti tramite dominio ed
indirizzo IP.
La fornitura di servizi di connessione ad Internet, hosting, housing, e servizi
connessi, è oggi un settore economico molto specifico in cui operano molte
realtà nazionali, ma anche grandi imprese transnazionali.
Gli obblighi degli ISP
- Commercio elettronico
Il d.lgs. 70/2003 (in attuazione della direttiva
31/2000/CE sul commercio elettronico), all’articolo 17
dispone che nella prestazione di servizi di trasporto
(mere conduit), memorizzazione temporanea (caching)
e memorizzazione (hosting) il prestatore non è
assoggettato ad un obbligo generale di sorveglianza
sulle informazioni che trasmette o memorizza, né a un
obbligo generale di ricercare attivamente fatti o
circostanze che indichino la presenza di attività illecite.
di procedimenti civili per presunte violazioni di diritti
di esclusiva discendenti dal diritto d’autore.
- Pedopornografia
La legge 269/1998, come integrata con L. 38/2006,
articolo 19 (e attuata con D.M. Comunicazioni del
8.1.2007) prevede che i fornitori dei servizi resi
attraverso reti di comunicazione elettronica sono
obbligati a segnalare, qualora ne vengano a
conoscenza, al Centro nazionale per il contrasto della
pedopornografia sulla rete internet, i soggetti che
diffondono materiale pedopornografico e a
comunicare, su richiesta, ogni informazione relativa ai
contatti con tali soggetti.
La legge prevede inoltre che i fornitori di connettività
internet sono obbligati ad utilizzare strumenti di
filtraggio e soluzioni tecnologiche per impedire
l’accesso ai siti segnalati dal Centro
- Gioco d’azzardo (abrogato)
Il prestatore è comunque tenuto: ad informare
l’autorità giudiziaria o amministrativa, qualora sia a
conoscenza di presunte attività o informazioni illecite;
fornire, a richiesta delle autorità competenti, le
informazioni in suo possesso che consentano
l’identificazione del destinatario dei servizi di hosting,
al fine di individuare e prevenire attività illecite.
- Diritto d’autore:
Ai sensi dell’articolo 163 della L. 633/41 (recepimento
della dir, 29/2001/CE) il titolare di un diritto di
utilizzazione economica può chiedere che sia disposta
l'inibitoria di qualsiasi attività, ivi comprese quelle
costituenti servizi prestati da intermediari, che
costituisca violazione del diritto stesso secondo le
norme del codice di procedura civile concernenti i
procedimenti cautelari.
Al riguardo la Corte di Giustizia delle Comunità
Europee (sez 8°, 19 febbraio 2009, pronuncia
pregiudiziale) ha chiarito che “intermediario” è anche
un provider di accesso che si limita a fornire all’utente
l’accesso alla rete mediante l’assegnazione di un
indirizzo IP dinamico (sulla base del quale, insieme al
periodo o momento preciso in cui esso è stato
assegnato, il fornitore è in grado di identificare il
cliente), senza proporre altri servizi né esercitare un
controllo giuridico o sostanziale sul servizio utilizzato
(ciò in quanto è fornito un servizio suscettibile di
essere utilizzato da un terzo per violare il diritto
d’autore o un diritto connesso). Tale soggetto è dunque
obbligato a comunicare a terzi privati dati relativi al
traffico internet, quando la richiesta è formulata ai fini
La L. 266/2005 (Finanziaria per il 2006), art. 1 commi
535 e 536, avevano previsto che l’AAMS
(Ammministrazione Autonoma Monopoli di Stato)
comunicava ai fornitori di connettività alla rete
Internet ovvero ai gestori di altre reti telematiche o di
TLC o agli operatori che in relazione ad essere
forniscono servizi telematici o di TLC, i casi di offerta,
attraverso le predette reti, di giochi, scommesse o
concorsi pronostici con vincite di denaro in difetto di
concessione, autorizzazione, licenza o altro titolo
autorizzatorio o abilitativo o, comunque, in violazione
delle norme di legge o di regolamento o dei limiti o
delle prescrizioni definiti dall’amministrazione. I
destinatari delle comunicazioni avevano l’obbligo di
inibire l’utilizzo delle reti, di cui sono gestori o in
relazione alle quali forniscono servizi, per lo
svolgimento dei giochi, delle scommesse o dei
concorsi pronostici, adottando a tal fine misure
tecniche idonee in conformità a quanto stabilito con
uno o più provvedimenti dell’AAMS. Tale previsione
è stata successivamente abrogata, con L. 296/2006
(Finanziaria per il 2007), art. 1 comma 51.
Responsabilità penale dell’ISP
Premesso che l’ISP fornisce un contributo causale alla
realizzazione dell’illecito, nella misura in cui mette a
disposizione lo strumento per diffondere in rete le
comunicazioni, potrà essere individuata una
responsabilità penale a titolo di concorso, ove ne
ricorrano i presupposti.
Come già anticipato l’eventuale responsabilità per
omesso controllo, ai sensi dell’articolo 40 del codice
penale è ipotizzabile soltanto ove si rinvenga
9
nell’ordinamento di un obbligo giuridico di impedire
l’evento.
telematica, secondo una forma di responsabilità
solidale.
Successivamente all’emanazione del decreto legislativo
n. 70/2003, del problema della possibile sussistenza di
una responsabilità penale degli internet providers, con
importanti risvolti anche sul piano civile, si è occupato
il Tribunale di Milano Sez. V penale, sentenza
1993/04 che ha assolto l’imputato intestatario di un sito
poiché, “per sostenere la responsabilità a titolo di
omissione del service o host provider occorre
affermare a suo carico un obbligo giuridico di
impedimento e quindi da un lato una sua posizione di
garanzia e dall’altro una possibilità effettiva di
controllo preventivo sul contenuto dei messaggi. Sotto
il primo profilo (posizione di garanzia) questa non è
ravvisabile, stante l’assenza di una previsione
specifica in tal senso e la non applicabilità in via
analogica – in malam partem – degli artt. 57 e 57bis
c.p. (riguardante il direttore della stampa periodica ed
anche l’editore o stampatore nel caso di anonimità o
non imputabilità dell’autore degli scritti illeciti). Né la
posizione di garanzia può argomentarsi sostenendo
l’esercizio
da parte del provider di un’attività
pericolosa, in quanto tale non può considerarsi la sua
offerta di uno spazio web e l’apertura di un link con un
determinato sito che rappresenta un’azione consentita
e del tutto neutra per il diritto penale. Sotto il secondo
profilo (effettività di controllo preventivo) non è
ravvisabile la possibilità concreta di esercitare un
efficace controllo sui messaggi ospitati sul proprio sito
visto l’enorme afflusso dei dati che transitano sui
servers e la possibilità costante di immissione di nuovi
collegamenti. Per tale motivo non appare possibile
fondarsi un giudizio di responsabilità del service e
host-access provider sotto il mero profilo omissivo.
L’intento era chiaramente quello di individuare
concretamente almeno un soggetto responsabile della
violazione a fronte della volatilità e della inafferrabilità
degli originari autori dell'illecito stesso, soprattutto nel
caso in cui si tratti di blog, forum, newsgroup che
presentino un amministratore anonimo o di cui venga
fornita un’identità inventata.
Responsabilità civile dell’ISP
Nel caso in cui, ai sensi del d.lgs. 70/2003, sebbene
richiesto dall'Autorità Giudiziaria o Amministrativa
avente funzioni di vigilanza, il prestatore non abbia
agito prontamente per impedire l'accesso al contenuto
illecito, ovvero se, avendo avuto conoscenza del
carattere illecito o pregiudizievole per un terzo del
contenuto di un servizio al quale assicura l'accesso, non
ha provveduto ad informarne l'Autorità competente, lo
stesso ne risponderà civilmente, quale soggetto
responsabile del contenuto dei servizi offerti.
Anteriormente all’entrata in vigore del decreto
legislativo de quo, la prassi giudiziaria e legale si era
assestata nel riconoscere la responsabilità delle
violazioni commesse per mezzo della rete da un
qualsiasi utente sul server al c.d. Internet provider, e
cioè al soggetto che fornisce ai terzi l'accesso alla rete
D’altronde considerare l’internet provider in qualche
modo responsabile delle violazioni commesse da un
qualsiasi utente sul suo server risponde alla concreta
esigenza di individuare un soggetto responsabile della
violazione.
Le difficoltà che si hanno nel mondo reale ad
individuare il responsabile principale di un illecito
sono moltiplicate nel mondo “virtuale” di internet.
Le tecnologie utilizzate per gestire una rete telematica
non sempre consentono di identificare realmente
l’utente che compie una violazione di legge e la
globalizzazione della rete telematica non fa che
peggiorare la situazione.
Supponiamo, infatti che l’utente che ha commesso la
violazione sia alla fine effettivamente individuato.
Questi potrebbe trovarsi in un paese in cui la normativa
applicabile a quella fattispecie sia diversa da quella
applicabile nel luogo dove il danno si è verificato, con
il possibile rischio di non riuscire a punire l’utente
direttamente responsabile dell’illecito.
Ecco perché dinanzi a tale rischio, si è discusso se
attribuire una responsabilità al provider, soggetto
sempre identificabile e assoggettabile alle norme del
Paese in cui la violazione è commessa.
A tal fine, si è paventata, tanto in dottrina quanto in
giurisprudenza, l’idea di ricorrere a modelli di
estensione soggettiva della responsabilità civile, che
consentissero di applicare al provider, in via analogica,
la figura dell'editore televisivo o quella, del tutto affine,
del responsabile editoriale di una testata giornalistica.
In tal caso il Provider sarebbe corresponsabile
dell’illecito del terzo utente sulla base di una sorta di
culpa in vigilando, consistente nel mancato
adempimento dell’obbligo di monitoraggio del
materiale inviato sul proprio server, obbligo sancito
dagli artt. 57 c.p. e 30 della L. 223/90.
Tale teoria è stata elaborata dal Tribunale di Napoli,
ord. 8 agosto 1996, ove si è affermata la
responsabilità civile extracontrattuale (art. 2043
c.c.) del provider per aver autorizzato, consentito, o
10
comunque agevolato il comportamento illecito di un
utente colpevole di aver diffuso in rete messaggi
promozionali contenenti nomi e marchi appartenenti a
società concorrenti, sul presupposto
della
compartecipazione colposa per il provider, assimilabile
ad un responsabile editoriale, in quanto il proprietario
di un canale di comunicazione destinato a un pubblico
di lettori - al quale va equiparato quale organo di
stampa un sito Internet - ha l'obbligo di vigilare sul
compimento di atti di concorrenza sleale
eventualmente perpetrati attraverso la pubblicazione
di messaggi pubblicitari di cui deve verificare la
natura palese, veritiera e corretta, concorrendo, in
difetto, e a titolo di responsabilità aquiliana,
nell'illecito di concorrenza sleale. Di analogo tenore,
Trib. Napoli, 8 agosto 1998, che ha assimilato il
gestore di Rete ad un organo di stampa, con
conseguente obbligo di controllo sui contenuti del sito
web; Trib. Macerata, sent. 2 dicembre 1998, Trib.
Teramo, sent. 11 dicembre 1997; Trib. Bologna,
sent. 26 novembre 2001, ove si afferma la
responsabilità del provider in virtù dell'applicabilità in
via analogica dell'art. 11 L. 47/48, secondo il quale
“per i reati commessi col mezzo della stampa sono
civilmente responsabili, in solido con gli autori del
reato e fra di loro, il proprietario della pubblicazione e
l'editore”.
Tale orientamento interpretativo, tuttavia, è stato
oggetto di puntuali critiche in dottrina e, poi, in
giurisprudenza, per l'impossibilità pratica di controllare
ogni messaggio inviato su un server, circostanza questa
che esclude che si possa parlare di culpa in vigilando
per il provider.
Una simile ammissione, infatti, condurrebbe ad una
nuova ed inaccettabile ipotesi di responsabilità
oggettiva - che prescinde dalla colpa - in aperta
eccezione alla regola generale del nostro ordinamento
di cui all'art. 2043 c.c., che fonda la responsabilità
civile sulla colpa del danneggiante (V. amplius, Trib.
Civ. Monza, Ord. 14 maggio 2001).
Per attribuire una responsabilità all’internet provider
senza fare riferimento alla figura del responsabile
editoriale, si è fatto ricorso all’art. 2050 c.c.,
assimilando l’attività di gestione di un server di rete
alle attività cosiddette pericolose, con la conseguenza
che in caso di un fato illecito commesso da un utente di
un sito internet, anche il gestore del sito può ritenersi
responsabile, salvo “non provi di aver adottato tutte le
misure idonee ad evitare il danno”. Tra le misure
idonee si è compreso, ovviamente, il monitoraggio di
tutti i messaggi inviati sul proprio sito.
La parte maggioritaria della dottrina e della
giurisprudenza tende a riconoscere maggiore valenza
giuridica a quella ricostruzione che ritiene di fondare la
responsabilità dell'Internet provider sul disposto di cui
all’art. 2043 ss. c.c. per quanto concerne i profili di
responsabilità extracontrattuale e richiede di valutare
ulteriormente i profili diacronici legati alla
verificazione della lesione antigiuridica, interrogandosi
se la diligenza esigibile imponga al provider l'adozione
di misure volte a prevenire il compimento di illeciti da
parte degli utenti o se invece gli imponga solo di
eliminare gli effetti di tali illeciti, una volta che ne sia
venuto a conoscenza.
Sotto il primo profilo, si rende necessario distinguere il
cd. access provider, il quale consente all’utente
l’allacciamento alla rete telematica (fornitore di
accesso), cd. Servizio di connettività (definizione tratta
dall’art. 14 D. Lgs. 70/2003), dal service provider che,
oltre a fornire un accesso alla rete, offre ai propri utenti
un servizio di predisposizione, controllo o di
monitoraggio delle informazioni e dati trasmessi sui
loro servers (fornitore di servizi).
Ciò, in quanto, con riferimento al semplice access
provider è da ritenere che l'obbligo di preventivo e
incondizionato controllo sia del tutto estraneo alla
tipologia di attività che le è propria, laddove,
diversamente, si dovrebbe sostenere per il
service/content provider, allorquando proprio la
prestazione dallo stesso offerta abbia avuto ad oggetto
un contributo, parziale o generale, alla realizzazione
del sito e all'editing del materiale immesso in rete, sì da
assumere pertanto delle funzioni editoriali o di
direzione in senso lato.
Seguendo tale modello ricostruttivo, si perviene ad una
conseguente, doverosa distinzione tra responsabilità
preventiva e responsabilità successiva del provider, là
dove la prima dovrebbe essere limitata ai service
providers e sussisterebbe per il solo fatto di non aver
impedito il verificarsi dell'illecito, mentre la seconda
sarebbe attribuibile a qualsiasi provider (sia service che
access), per il mero fatto di non aver bloccato
l'aggravamento
dei
danni
conseguenti
al
comportamento antigiuridico.
La Direttiva Europea 2000/31/CE e la legge di
attuazione (D.Lgs. 70/2003), nel solco tracciato dalla
dottrina, hanno previsto specifichi obblighi e
responsabilità civili per gli operatori di Internet,
attraverso una tipizzazione di responsabilità per fatto
proprio; in particolare, il D. Lgs., a proposito della
responsabilità del provider, prevede quattro norme che
individuano tre categorie di provider a seconda del tipo
di attività da essi svolta:
1) L’art. 14 tratta dell’access provider, quale mera
fornitura di un accesso alla rete di comunicazione, o
11
del mero trasporto di informazioni (cd. mere conduit)
fornite da un destinatario di un servizio (così definito
dall’art. 2 D. Lgs. 70/2003: il soggetto che, a scopi
professionali e non, utilizza un servizio della società
dell'informazione, in particolare per ricercare o rendere
accessibili informazioni). In tal caso, il provider non è
responsabile delle informazioni trasmesse a condizione
che:
quelli introdotti dagli artt. 2050 e 2051 c.c. e impone di
inquadrare la responsabilità dei providers in termini di
colpa professionale.
Il Tribunale civile di Catania, con sentenza n.
2286/2004 ha sottolineato che il provider può essere
ritenuto responsabile dell’illecito posto in essere
dall’utilizzatore
allorché
egli
abbia
piena
consapevolezza del carattere antigiuridico dell’attività
svolta da quest’ultimo e si configura, dunque alla
non dia origine alla trasmissione;
stregua di una responsabilità soggettiva: colposa,
non selezioni il destinatario della trasmissione;
non selezioni né modifichi le informazioniallorché il fornitore, consapevole della presenza sul sito
di materiale sospetto, si astenga dall’accertarne
trasmesse;
l’illiceità e, al tempo stesso, dal rimuoverlo; dolosa,
2) L’art. 15 regola l’attività di caching quando egli sia consapevole anche dell’antigiuridicità
(memorizzazione
temporanea,
automatica
ed della condotta dell’utente e, ancora una volta, ometta di
intermedia per attuare il successivo inoltro a richiesta intervenire.
dei destinatari) prevedendo che il prestatore non è
responsabile a condizione che:
Nel solco di tale impostazione, si muove
un’interessante pronuncia del Tribunale civile di
- non modifichi le informazioni;
Lucca del 2007 che, escludendo la responsabilità di
- si conformi alle condizioni di accesso alle Google, ha sostenuto che la Società “si è limitata a
informazioni;
fornire la connessione alla rete e l’operatore che
- si conformi alle norme di aggiornamento delle consente agli utenti di accedere ai newsgroup non può
informazioni;
essere ritenuto responsabile per i messaggi che
3) L’art. 16 disciplina l’attività di hosting passano attraverso i propri elaboratori in quanto si
(memorizzazione duratura delle informazioni per limita a mettere a disposizione degli utenti lo spazio
renderle disponibili in rete) che costituisce l’attività più virtuale dell’area di discussione e non ha alcun potere
penetrante ed è regolata in modo più severo, perché il di vigilanza e di controllo sugli interventi che vi
server non svolge un ruolo meramente passivo e la vengono inseriti; diversamente si verrebbe ad
memorizzazione stabile accresce le possibilità del introdurre una nuova ed inaccettabile ipotesi di
materiale illecito. In tal caso il provider non è responsabilità oggettiva, in aperta violazione alla
regola generale di cui all’art. 2043 c.c. che, come è
responsabile a condizione che:
noto, fonda la responsabilità civile sulla colpa del
- non sia a conoscenza del fatto che l’attività o danneggiante.
l’informazione è illecita e, per quanto attiene
alle azioni risarcitorie, non sia a conoscenza di Del resto, in linea con tale impostazione è il Decreto
fatti o circostanze che rendono manifesta Legislativo n. 70/2003 che sancisce l’assenza
dell’obbligo generale di sorveglianza del provider
l’illiceità dell’attività o dell’informazione;
sulle informazioni che trasmette o memorizza né la
In tutti i casi, il Provider è comunque tenuto ad sussistenza di un obbligo di ricercare circostanze che
informare l’Autorità Giudiziaria o Amministrativa, indichino il compimento di atti illeciti. E’ indubbio che
qualora sia a conoscenza di presunte attività o la responsabilità per i contenuti dei messaggi è
informazioni illecite riguardanti un destinatario di un attribuibile solo agli autori degli stessi.”
servizio ovvero a fornire, a richiesta delle Autorità
competenti, le informazioni in suo possesso che Recentissima è, infine, l’ordinanza emessa dal
consentono l’individuazione del destinatario dei suoi Tribunale civile di Roma il 16 dicembre 2009 sul
servizi con cui abbia avuto accordi di memorizzazione ricorso con il quale la RTI ha addotto che sui siti You
di dati, al fine di individuare o prevenire attività illecite Tube e Google erano stati rilevati 174 sequenze di
ed infine, ove richiesto dall’Autorità Giudiziaria o immagini del Grande Fratello trasmesso da Canale5,
Amministrativa, ad impedire o a porre fine alle programma concesso in licenza alla Endemol Italia e
violazioni commesse, anche quando non ne sia del quale RTI è titolare esclusiva nel territorio della
Stato di tutti i diritti di utilizzazione e di sfruttamento
responsabile.
economico.
L’articolo 17, già citato, costituisce il limite della
responsabilità del provider, esclude il ricorso a criteri Ebbene, in tale ordinanza si legge che “la normativa
di imputazione meramente oggettivi, assimilabili a (D. Lgs. 70/2003) e la giurisprudenza sta ormai
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orientandosi nel senso di una valutazione caso per
caso della responsabilità del provider che seppur non è
riconducibile ad un generico obbligo di sorveglianza
rispetto al contenuto non ritenendosi in grado di
operare una verifica di tutti i dati trasmessi che si
risolverebbe in una inaccettabile responsabilità
oggettiva, tuttavia, assoggetta il provider a
responsabilità quando non si limiti a fornire la
connessione alla rete ma eroghi servizi aggiuntivi
(caching, hosting) e/o predisponga un controllo delle
informazioni e soprattutto quando, consapevole
dell’antigiuridicità ometta di intervenire; nella specie
innegabile ed evidente è la responsabilità delle
convenute che, oltre ad organizzare la gestione dei
contenuti video, anche ai fini di pubblicità, e
nonostante le ripetute diffide e le azioni giudiziarie
iniziate da RTI, hanno continuato la trasmissione del
Grande Fratello. Per la violazione in questione non
possono valere le eccezioni e limitazioni di cui all’art.
65 LdA relative al diritto di cronaca o dell’art. 70 Lda
delle utilizzazione di brani o di parti di opera ad uso
critica in quanto nella fattispecie è evidente il fine
puramente commerciale.”
Conforme anche la sentenza n. 1225/09 del 24
novembre 2009 del Tribunale civile di Mantova che
in un caso di diffamazione a mezzo internet ha
affermato che “In tema di illeciti commessi mediante
diffusione di informazioni tramite sito web sulla rete
internet, occorre distinguere la posizione del content
provider da quella dell’host provider, sussistendo la
responsabilità risarcitoria del primo e non quella del
secondo, salvo l’obbligo di questi di rimuovere il
contenuto illecito immesso da terzi di cui sia venuto a
conoscenza”.
IV - Blog e forum di discussione
Definizione (da wikipedia):
- Blog
Il termine Blog è un neologismo che deriva – per contrazione – da weblog o
“log in rete” e i log sono a loro volta dei file di testo che riportano fatti o
eventi, inseriti in rete normalmente in base a criteri cronologici, con i quali
si realizza una raccolta di pensieri in rete. La traduzione più ricorrente di
Blog è, pertanto, “traccia in rete” ma in realtà il blog è un contenitore, che
viene riempito di contenuti (c.d. post) da chi voglia farlo.
Il Blogger realizza il sito, con un proprio indirizzo Internet ed un nome e, di
fatto, lo mette a disposizione di quanti vogliano dire la loro su un
determinato argomento. I blog si distinguono a seconda che siano ospitati da
un server pubblico o che siano creati su di un server proprio, ma soprattutto
per la possibilità o meno per il blogger di controllare preventivamente gli
interventi proposti per la pubblicazione.
- Forum
Nel linguaggio contemporaneo, per “forum” si intende un luogo virtuale
d'incontro e di discussione via internet; mentre il termine “blog” in
informatica, e più propriamente nel gergo di internet, è un sito internet,
generalmente gestito da una persona o da un ente, in cui l'autore pubblica
più o meno periodicamente, come in una sorta di diario online, i propri
pensieri, opinioni, riflessioni, considerazioni, ed altro, assieme,
eventualmente, ad altre tipologie di materiale elettronico come immagini o
video (definizioni tratte da Wikipedia L’enciclopedia libera).
Il termine può riferirsi all'intera struttura informatica nella quale degli utenti
discutono su vari argomenti, a una sua sottosezione oppure al software
utilizzato per fornire questa struttura. Un senso di comunità virtuale si
sviluppa spesso intorno ai forum che hanno utenti abituali ed interessi
comuni. La tecnologia, i videogiochi, la politica, l'attualità e lo sport sono
temi popolari, ma ci sono forum per un enorme numero di argomenti
differenti. I forum vengono utilizzati anche come strumenti di supporto
online per vari prodotti e all'interno di aziende per mettere in
comunicazione i dipendenti e permettere loro di reperire informazioni. Ci si
riferisce comunemente ai forum anche come board, message board,
bulletin board, gruppi di discussione, bacheche e simili.
Molti forum richiedono la registrazione dell'utente prima di poter inviare
messaggi ed in alcuni casi anche per poterli leggere. Differentemente dalla
chat, che è uno strumento di comunicazione sincrono, il forum è asincrono
in quanto i messaggi vengono scritti e letti anche in momenti diversi.
Responsabilità penale dei Blogger e dei gestori di
Forum
Sul tema, una celebre e controversa sentenza del 26
maggio 2006 del Tribunale di Aosta ha affermò
incidentalmente che colui che gestisce il blog altro non
è che il direttore responsabile dello stesso e che La
posizione di un direttore di una testata giornalistica
stampata e quella di chi gestisce un blog (che, infatti,
può cancellare i messaggi) è identica, con la
conseguenza che il gestore del blog ha il totale
controllo di quanto viene postato e, allo stesso modo di
un direttore responsabile, ha il dovere di eliminare
quelli offensivi.
Diversamente Cass. Pen., sent. III, 10 marzo 2009, n.
10535, (su provvedimento relativo alla misura
cautelare del sequestro, con conseguente limitazione
dell’ambito di esame alla sussistenza del fumus e della
necessità di mantenere la misura cautelare preventiva)
che ha negato la assimilabilità dei forum alle testate
giornalistiche, escludendo conseguentemente anche
l’applicabilità delle guarentigie che la legge pone per
tale categoria di soggetti in ossequio al diritto
costituzionalmente tutelato di cronaca e di critica. I
forum, infatti, costituiscono una semplice area di
discussione, dove qualsiasi utente o gli utenti registrati
sono liberi di esprimere il proprio pensiero, rendendolo
visibile a tutti gli altri soggetti autorizzati ad accedervi.
Tale circostanza, tuttavia, non appare sufficiente a
qualificarli come un prodotto editoriale, o come un
giornale online, o come una testata giornalistica
informatica: in nessun caso, afferma la Cassazione, gli
interventi dei partecipanti al forum potranno farsi
rientrare nell’ambito della nozione di stampa, neppure
nel significato più esteso ricavabile dalla L. 7 marzo
2001, n. 62 art. 1, che ha esteso l'applicabilità delle
disposizioni di cui all’art. 2 della Legge 8 febbraio
1948, n. 47 (legge sulla stampa) al prodotto editoriale,
stabilendo che per tale deve intendersi anche il
prodotto realizzato... su supporto informatico,
destinato alla pubblicazione o, comunque, alla
diffusione di informazioni presso il pubblico con ogni
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mezzo, anche elettronico. Correttamente la Cassazione
chiarisce che la valutazione circa la sussumibilità di un
sito internet nell’ambito dei prodotti editoriali deve
essere effettuata valutandola in concreto.
Responsabilità civile dei Blogger e dei gestori di
Forum
Ma cosa accade nel caso di pubblicazione sul blog di
uno scritto diffamatorio, rispetto al quale il curatore del
blog aveva solo una possibilità di rimozione ex post?
La problematica è di estremo interesse per le
conseguenze che da una loro eventuale assimilazione ai
canali internet di cui si è detto potrebbero derivare
anche e soprattutto in materia di responsabilità dei
gestori a titolo di risarcimento danni per illecito
aquiliano ex art. 2043 c.c.
Il Tribunale civile di Trani, 14 ottobre 2008 ha
affrontato la questione, con riferimento a un forum a
cui era possibile accedere a seguito di iscrizione
dell’utente, con relativo indirizzo email, password e
indirizzo IP di provenienza al momento della
registrazione. Dell’immissione del messaggio era data
comunicazione al web master e agli utenti con privilegi
di amministratore, gestore del sito con indicazione
degli elementi identificativi dell’utente. Il web master e
l’amministratore avevano la possibilità istantanea di
cancellare il messaggio appena inserito, anche senza
accedere al forum nonché di cancellare, senza
difficoltà, argomenti di discussione o le risposte degli
utenti.
Per altro verso le “condizioni” di iscrizione - pur
affermando la piena responsabilità dell’utente per i
contenuti immessi – prevedono: il diritto del web
master di cancellare senza preavviso i messaggi ritenuti
non consoni allo spirito del forum (e tra essi quelli di
contenuto volgare oppure esclusivamente polemici); la
libertà per i moderatori di agire senza giustificarsi con
gli utenti del forum per le operazioni svolte nell’ambito
delle loro mansioni, avendo essi l’obbligo di rispondere
esclusivamente all’amministratore del forum.
Il Tribunale, premessa la non applicabilità della
normativa sulla stampa, e richiamata la disciplina
dettata dal d.lgs. 70/2003 (e in particolare agli obblighi
che scaturiscono dall’articolo 17), afferma che negli
spazi destinati a forum, ancorchè con libera
partecipazione, il gestore o l’amministratore che si
assume la moderazione, proprio per il preventivo filtro
di controllo del messaggio da diffondere, non è esente
da responsabilità per contenuti illeciti; va affermato
che anche quando il gestore o l’amministratore non sia
un moderatore, ma ad un tempo non si limiti a
consentire l’accesso allo spazio virtuale, la sua
corresponsabilità vada riconosciuta nel verificarsi di
certi presupposti. Ed invero, ancorchè egli non abbia
un potere di controllo preventivo sul contenuto del
messaggio inviato da un partecipante, ove tuttavia il
suo potere di intervento sia in qualche modo esplicitato
nel regolamento del forum, la iniziale incapacità di
controllo preventivo può non tramutarsi in un totale
esonero da ogni successivo obbligo. Resta dunque
escluso da ogni responsabilità solo il gestore o
l’amministratore che si sia limitato a porre a
disposizione un sito, che resta in tal caso uno spazio
virtuale, un’area di discussione e di incontro virtuale,
sulla quale non vi è esercizio di alcun potere di
controllo o vigilanza.
L’area applicativa va quanto meno individuata nelle
ipotesi in cui il gestore o l’amministratore abbiano
possibilità di intervento, anche solo successivo, sul
messaggio. Tale responsabilità è collocata nell’alveo
dell’art. 2043 c.c.
V – Social Network
Definizione (da wikipedia):
Consiste in un qualsiasi gruppo di persone connesse tra loro da diversi
legami sociali, che vanno dalla conoscenza casuale, ai rapporti di lavoro ai
vincoli familiari.
Con questi termini si definisce anche il sito che offre un “servizio di social
network”, consistente in una piattaforma online che offre la possibilità di
creare reti o relazioni sociali attraverso il web.
Altro problema è quello di Facebook, da sempre sotto
tiro. Dopo i filtri delle aziende per bloccare l’accesso ai
dipendenti durante l’orario di lavoro, gli appelli del
Ministro Brunetta e le accuse di violazione della
privacy della Ue, arrivano anche in Italia le prime
querele e richieste di risarcimento danni a carico degli
utenti del più popolare social network del mondo.
Molfetta un imprenditore ha querelato un suo ex
collaboratore per averlo definito “bastardo” su
facebook. A Torino un professore ha denunciato uno
studente per averlo iscritto al social network a sua
insaputa e per avergli attribuito perversioni
imbarazzanti. Mentre a Firenze sono state presentate
almeno due querele per diffamazione a mezzo
Facebook. E in una scuola superiore di Colle Val
d’Elsa una bidella ha chiesto ad otto studenti un
risarcimento danni di migliaia di euro per aver creato
sul social network un gruppo contro di lei.
La prima condanna al risarcimento danni per
diffamazione su face book arriva dal Tribunale di
Monza, Sezione IV Civile, che con Sentenza 2
marzo 2010, n. 770 ha condannato una parte al
risarcimento “del danno morale soggettivo o,
comunque, del danno non patrimoniale” sofferti in
conseguenza della subìta lesione “alla reputazione,
all’onore e al decoro” cagionata alla ex fidanzata dal
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convenuto mediante l’invio di un messaggio per il
tramite del social network “Facebook”. I gestori del
sito (statunitensi, secondo la Polizia Postale), pur
reputandosi proprietari dei contenuti pubblicati,
declinano ogni responsabilità civile e/o penale ad essi
relativa (come dimostra, eloquentemente, una
recentissima e dibattuta controversia giudiziaria
riguardante il motore di ricerca “Google”).
In definitiva, coloro che decidono di diventare utenti di
“Facebook” sono ben consci non solo delle grandi
possibilità relazionali offerte dal sito, ma anche delle
potenziali esondazioni dei contenuti che vi inseriscono:
rischio in una certa misura indubbiamente accettato e
consapevolmente vissuto. Il caso di specie è
emblematico in tal senso. Due giovani si conoscono e
socializzano tramite “Facebook” e tra loro ha inizio
una relazione da entrambi definita sentimentale, con
sviluppi non lineari ed irreprensibili, descritti dal
convenuto in modo minuzioso, pur se irrilevanti ai fini
della presente decisione.
VI - Creazione e uso di account e.mail
Uno dei temi è l’apertura di account e.mail a nome di
un altro/a e l’uso nell’ambito di siti pornografici o
comunque lesivi dell’immagine.
Generalmente tali questioni sono valutate ipotizzando
il concorso tra la diffamazione e il trattamento illecito
di dati personali.
VII - La responsabilità dei titolari di internet point
intercettazione informatica, penalmente sanzionato
dall’art. 617 quater del codice penale.
Lo sottolinea la Cassazione, sez. V penale, che con la
recente sentenza n. 6046/2009, confermando la
sentenza con cui la Corte d’appello di Perugia aveva
assolto la titolare di un punto internet, accusata di non
avere impedito che fosse offesa la reputazione di
Antonio Ricci, autore del programma ‘Striscia la
notizia’ “non procedendo all’identificazione degli
utenti che fruivano del terminale per l’invio di posta
elettronica, consentendo cosi’ - secondo l’accusa l’invio di due e-mail indirizzate alla casella di posta
[email protected], di contenuto diffamatorio”.
I giudici di secondo grado avevano rilevato che la
donna andava assolta poiché “l’obbligo di
identificazione degli utenti che fanno uso del terminale
non è dettato ad impedire l’uso criminoso della
comunicazione informatica, non imponendo al titolare
dell’internet point alcun controllo sul contenuto delle
comunicazioni, profilando anzi un illecito ogni suo
comportamento volto a prenderne conoscenza”.
Contro il verdetto dei giudici del merito, Ricci ha
proposto un ricorso alla Suprema corte, ma gli
ermellini della quinta sezione penale lo hanno
dichiarato inammissibile: anche se il gestore
dell’internet point avesse provveduto a identificare
l’utilizzatore - si legge nella sentenza numero
6046 - non avrebbe mai potuto impedire l’invio
delle e-mail di contenuto diffamatorio, non avendo
egli alcun potere di controllarne il contenuto.
Un cenno a parte merita la responsabilità dei Titolari di
un internet point, nel caso in cui da uno dei computer
messi a disposizione dei clienti vengono spedite delle
mail di contenuto diffamatorio.
Le misure adottate nel 2005, all’indomani degli
attentati di Londra, per contrastare il terrorismo
internazionale (d.l. 114/2005, convertito con L. 155/05,
attuato con D.M. Interno 16.8.05) prevedono l’obbligo
per i soggetti titolari o gestori di un esercizio pubblico
o di un circolo privato di qualsiasi specie, nel quale
sono poste a disposizione del pubblico, dei clienti o dei
soci apparecchi terminali utilizzabili per le
comunicazioni anche telematiche, di adottare le misure
necessarie a memorizzare e mantenere i dati relativi
alla data ed ora della comunicazione e alla tipologia del
servizio.
L’obbligo di identificazione, tuttavia, non si estende al
contenuto delle comunicazioni: al contrario si esclude
espressamente che possano essere memorizzati e
mantenuti i contenuti della comunicazione, ciò anche
perché gli stessi non possono essere appresi dal
gestore, pena la violazione del divieto di
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