FOROEUROPEO i quaderni giuridici
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FOROEUROPEO i quaderni giuridici
FOROE EUROPEO Se l'offesa è recata col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, ovvero in atto pubblico, la pena è della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore a euro 516 www.foroeuropeo.it – il portale del giurista Il reato di diffamazione consiste nell’offendere l’altrui reputazione, comunicando con più persone. Il reato è a condotta libera, l’uso del gerundio (comunicando con più persone) evidenzia però come siano rilevanti sia il profilo attivo dell’azione, che quello passivo, che coincide con la ricezione del messaggio. AVVOCATI PER L’E EUROPA Il Presidente – Sezione Roma Avv. Antonio Rizzo Il Presidente Avv. Domenico Condello i quaderni giuridici a cura della redazione di ForoEuropeo e del Centro studi di Avvocati per l’europa La diffamazione utilizzando le nuove tecnologie: la responsabilità penale e civile a cura di Caterina Flick e Samantha Luponio Introduzione L’uso delle nuove tecnologie (in particolare internet) come strumento di diffamazione pone problemi nuovi. In particolare si evidenziano: l’estrema facilità con cui è possibile divulgare informazioni lesive dell’onore e della reputazione di chicchessia; il fatto che un mezzo di comunicazione di massa è agevolmente utilizzabile da non professionisti; la difficoltà di accertamento del reato e di perseguimento del colpevole. Tutto ciò porta spesso ad una “caccia al colpevole”, poco importa che si tratti dell’autore, o che si tratti, invece, del soggetto che rende possibile la diffamazione: basti pensare, a questo proposito, alla nota vicenda che ha visto come protagonisti Google e l’associazione Vivi Down, in relazione alla pubblicazione di un video amatoriale diffamatorio su You Tube. Si ritenuto opportuno affrontare il tema partendo dai profili generali della diffamazione, per poi esaminare gli aspetti più rilevanti in relazione alla diffamazione con le nuove tecnologie (internet in particolare). I - Profili generali Il reato si consuma nel momento in cui l’offesa è percepita all’esterno. La individuazione dell’effettivo destinatario dell’offesa è condizione essenziale e imprescindibile per attribuire ad essa una rilevanza giuridico-penale. La nozione di “reputazione” è stata elaborata dalla dottrina e dalla giurisprudenza nel corso degli anni. In sintesi, oggetto di tutela del reato è l’onore dell’individuo, in tutte le sue manifestazioni: in primo luogo la percezione che la persona ha di sé stessa; in secondo luogo la percezione che della persona ha il mondo circostante e l’interesse del soggetto a che il mondo circostante non abbia di lui una percezione negativa. La reputazione, tuttavia, non risiede in uno stato o sentimento individuale, indipendente dal mondo esteriore, né nell’amor proprio: la reputazione è il senso della dignità personale nell’opinione degli altri, un sentimento limitato dall’idea di ciò che, per la comune opinione, è socialmente esigibile da tutti in un dato momento. La lesione all’onore, dunque, si riscontra non in base alla mera sensibilità dell’offeso, ma ove l’offesa abbia carattere di “obiettività”. Elemento soggettivo L’elemento psicologico del reato di diffamazione si identifica nel dolo generico, consistente nella coscienza e volontà di comunicare a più persone espressioni o informazioni delle quali si conosce la valenza lesiva dell’altrui reputazione (coscienza della idoneità diffamatoria). Nessuna rilevanza, invece, può attribuirsi ai fini o motivi dell’agente. Il dolo, dunque, si scompone nei seguenti elementi: volontà della condotta (in cui consiste l’offesa); consapevolezza e volontà di comunicare con più persone; consapevolezza dell’attitudine offensiva della condotta stessa. Codice Penale - Articolo 595 Chiunque, fuori dei casi indicati nell'articolo precedente, comunicando con più persone, offende l'altrui reputazione, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a euro 1.032. Se l'offesa consiste nell'attribuzione di un fatto determinato, la pena è della reclusione fino a due anni, ovvero della multa fino a euro 2.065. Lo stretto rapporto esistente tra elemento materiale ed elemento soggettivo del reato di diffamazione viene in genere descritto come dolus in re ipsa, nel senso che la volontà lesiva è implicita nell’enunciazione dell’espressione oggettivamente offensiva. In questo senso si ritiene necessario che l’agente abbia anche la 1 consapevolezza della percezione e della comprensione da parte di terzi, per non annullare del tutto il dolo nella condotta. Diffamazione e libertà di manifestazione del pensiero Nella originaria impostazione del Codice Rocco il reato di diffamazione attua una tutela formale dell’onore e della reputazione. Per tale ragione la verità dell’addebito offensivo non aveva alcuna efficacia scriminante del reato; le uniche eccezioni erano contenuto nell’articolo 596 del codice penale, in riferimento a limitati casi di prevalenza dell’interesse pubblico sul bene dell’onore e della reputazione (la pendenza di un processo penale che riguardi l’addebito lesivo e la notizia che riguardi un pubblico ufficiale per l’esercizio delle funzioni). La possibile incompatibilità fra la tutela formale dell’onore e della reputazione e la libertà di manifestazione del pensiero, sancita dall’articolo 21 della Costituzione, ha portato a sviluppare alcune scriminanti specifiche (diritto di cronaca, di critica, di satira, attivabili attraverso l’articolo 51 del codice penale) e all’individuazione di limiti per il loro esercizio. La Corte Costituzionale con sentenza 175/1971 individuò la cronaca e la critica come diritti soggettivi pubblici costituzionalmente tutelati dall’art. 21 della Costituzione, il cui esercizio ha efficacia scriminante ex art. 51 c.p.; poiché anche l’onore e la reputazione sono costituzionalmente tutelati - in quanto attinenti alla dignità della persona - in caso di contrasto con il diritto di cronaca e di critica il punto di equilibrio deve rinvenirsi nei limiti di esercizio del diritto di cronaca (verità del fatto narrato, interesse pubblico, forma civile espressiva). In quest’ottica la verità della comunicazione da cui deriva la lesione dell’onore ne muta la dimensione: la verità dell’addebito riveste ora una potente funzione scriminante - che si è estesa sino a trasformarsi in un corollario naturale dell’accertamento del reato, costantemente oggetto di verifica – tesa ad attuare così una tutela sostanziale del bene giuridico dell’onore, che incide profondamente sulla sua dimensione e sul suo contenuto, per cui l’addebito intanto è illecito in quanto non risponde a verità. In sostanza la verità del fatto, componente del diritto soggettivo di libera espressione del pensiero ha assunto, nei confronti della diffamazione, un rilievo molto superiore a quello ordinariamente esercitato dalle scriminanti rispetto agli altri reati (in cui le cause di non punibilità sono verificate ed applicate eccezionalmente e sussistono in relazione a variazioni peculiari del fatto tipico). Le scriminanti: - il diritto di cronaca E’ inteso come il diritto di pubblicare il resoconto di fatti di cui si è venuti a conoscenza ed è estrinsecazione fondamentale della libertà di stampa. I presupposti per l’esercizio del diritto sono: la verità del fatto; l’interesse pubblico alla divulgazione della notizia; la continenza o forma civile espressiva. Tali limiti costituiscono lo strumento attraverso il quale si attua il contemperamento dell’esercizio del diritto di cronaca con il bene dell’onore e della reputazione, a cui viene riferito fondamento costituzionale attraverso gli articoli 2 e 3 della Costituzione. Il concetto di verità è mitigato rapportandolo: all’uso legittimo delle fonti di informazione; all’attendibilità o al serio accertamento della notizia; alla verosimiglianza. Per altro verso è stata riconosciuta l’importanza dell’aspetto soggettivo, valorizzato nell’ambito della scriminante putativa. L’interesse pubblico può essere definito solo in termini tautologici (fatti ai quali la collettività è veramente interessata), generici (notevoli e importanti emergenze della vita individuale), analitici (fatti di grande rilievo sociale). Il limite dell’interesse pubblico vale anche a scriminare le intromissioni nella vita privata di soggetti pubblici o uomini politici (tutelata dal d.lgs. 196/03, recante il codice in materia di protezione dei dati personali, cd. “codice della privacy”). La continenza deve essere sostanziale e formale. Continenza sostanziale è la relazione (pertinenza) tra il fatto e la narrazione. La continenza formale attiene invece alla sola forma espressiva, senza correlazione con l’interesse pubblico (correttezza del linguaggio). - il diritto di critica La giurisprudenza ha elaborato il diritto di critica in maniera compiuta negli ultimi dieci anni, differenziandone contenuto e limiti dal diritto di cronaca. Il diritto di critica si distingue dal diritto di cronaca in quanto non si concreta nella narrazione di fatti, ma nella espressione di un giudizio o di un’opinione che come tale non può essere rigorosamente obiettiva (sarebbe, anzi, contraddittorio pretenderlo) dato che corrisponde al punto di vista di chi la manifesta, esprimendo convincimenti, valori, credenze necessariamente individuali e differenti dagli altri. L’unico limite posto all’esercizio del diritto di critica è nella rilevanza sociale dei comportamenti a cui si riferisce la manifestazione del giudizio (rilevanza dell’interesse pubblico o sociale della critica). Per questo il diritto di critica va riconosciuto nei confronti 2 di personaggi la cui voce ed immagine abbia una vasta risonanza nella collettività grazie ai mezzi di comunicazione; l’estensione del diritto di critica sarà tanto maggiore quanto sarà più alta la posizione o più rilevante il comportamento del soggetto criticato. In sintesi, i criteri per la valutazione dell’interesse pubblico sono due: quello del rilievo del destinatario dell’offesa; quello della rilevanza del fatto oggetto del giudizio. Infatti solo l’esigenza di soddisfare l’interesse generale alla conoscenza di determinati fatti di rilievo sociale può giustificare la prevalenza della tutela del diritto di libera manifestazione del pensiero su quella dell’integrità dell’onore e della reputazione del singolo cittadino. La critica va ritenuta lecita a meno che investa comportamenti privati, salvo che questi, per la posizione rivestita dal soggetto, abbiano rilevanza per la collettività. - il diritto di satira Solo negli ultimi anni il diritto di satira ha acquistato una fisionomia distinta dai diritti di critica e di cronaca. In origine, infatti, la satira era ritenuta una forma di manifestazione della critica. La satira è una forma espressiva che realizza l’intento di castigare ridendo i costumi (attraverso il ridicolo o delineando situazioni irreali e fantastiche). La satira non costituisce una risposta ad esigenze informative; non ha alcun rapporto di necessità con la “verità” del fatto; non può, se mira alla efficacia del messaggio obbedire a criteri di equilibrata espressione. Parte della giurisprudenza individua un unico limite di natura “interna”: la satira è sottoposta alla condizione fondamentale di coerenza con la propria natura, quella della notorietà del personaggio effigiato. L’aggravante dell’uso di mezzi di pubblicità Il terzo comma dell’articolo 595 del codice penale prevede una pena più grave se l’offesa è recata con il mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità. Questa previsione, tradizionalmente riferita alla stampa e al mezzo radiotelevisivo, è applicabile alla diffamazione attuata con tecnologie che permettono facilmente di raggiungere un vasto pubblico. La giurisprudenza, Cass. Pen., Sez. V, sent. n. 31392/2008, con una tesi che ha raccolto anche il plauso della dottrina per la sua stretta aderenza al dettato normativo, ha ritenuto di poter collocare la diffamazione a mezzo internet nell’alveo della locuzione citata, e ciò sulla base dell’assunto per cui – premesso che certamente è possibile procedere alla stampa della pagina web attraverso i normali strumenti di dotazione di un qualsiasi p.c. – il fatto che internet è un potente mezzo di diffusione di notizie, immagini e idee (almeno quanto la stampa, la radio e la televisione) comporta che anche attraverso di esso si estrinseca quel diritto di esprimere le proprie opinioni, che costituisce uno dei cardini della democrazia. Il fatto che lo strumento internet sia accessibile a tutti comporta la possibilità per tutti – anche a chi non è un professionista dell’informazione - di esercitare i diritti di critica e di cronaca e, conseguentemente, l’applicazione dei limiti connessi con l’esercizio di detti diritti, in particolare il riferimento alla verità, la rilevanza sociale della notizia e la continenza espressiva. La diffamazione a mezzo internet presenta altre caratteristiche particolari: il fatto di consentire di raggiungere chiunque, senza limiti di tempo e di spazio; l’assenza, nelle democrazie occidentali, di un controllo preventivo sui contenuti pubblicati. L’assenza di limiti di tempo mette in nuova luce la possibilità di esercizio del “diritto all’oblio” - il diritto ad essere dimenticati - reso estremamente difficoltoso dalle modalità di presentazione delle informazioni in rete (non sempre visibili in ordine cronologico) e dall’uso del sistema di caching, che permette di mantenere la memoria di pagine web per molto tempo, anche dopo la loro rimozione dai siti che le hanno pubblicate. L’assenza di limiti di spazio pone il problema dell’accertamento del reato di diffamazione, sempre che sia possibile individuarne l’autore; le questioni concernenti l’individuazione della legge applicabile e della competenza sono state risolte dai giudici italiani ritenendo che il reato di diffamazione debba considerarsi commesso in Italia anche nel caso in cui sia il luogo ove il diffamato risiede e percepisce l’offesa. L’assenza, nelle democrazie occidentali, di un controllo preventivo sui contenuti pubblicati in virtù del riconoscimento del diritto fondamentale di libera espressione del pensiero (è il caso qui di ricordare che in alcuni paesi, come la Cina, viene attuata una vera e propria censura su internet) e il fatto che internet è utilizzabile anche da non professionisti, pone il tema, nel caso in cui non sia possibile individuare l’autore della diffamazione, della individuazione di un soggetto “responsabile” - per fatto proprio o per il fatto del terzo - a cui il reato possa essere contestato e a cui si possa chiedere un risarcimento. 3 La responsabilità di persona diversa dall’autore: il direttore e vice-direttore responsabile, l’editore, lo stampatore, il concessionario di servizi radiotelevisivi La stampa Codice penale 57. Reati commessi col mezzo della stampa periodica Salva la responsabilità dell'autore della pubblicazione e fuori dei casi di concorso, il direttore o il vice-direttore responsabile, il quale omette di esercitare sul contenuto del periodico da lui diretto il controllo necessario ad impedire che col mezzo della pubblicazione siano commessi reati, è punito, a titolo di colpa, se un reato è commesso, con la pena stabilita per tale reato, diminuita in misura non eccedente un terzo.. 57-bis. Reati commessi col mezzo della stampa non periodica. Nel caso di stampa non periodica, le disposizioni di cui al precedente articolo si applicano all'editore, se l'autore della pubblicazione è ignoto o non imputabile, ovvero allo stampatore, se l'editore non è indicato o non è imputabile 58-bis. Procedibilità per i reati commessi col mezzo della stampa. Se il reato commesso col mezzo della stampa è punibile a querela, istanza o richiesta, anche per la punibilità dei reati preveduti dai tre articoli precedenti è necessaria querela, istanza o richiesta. La querela, l'istanza o la richiesta presentata contro il direttore o vicedirettore responsabile, l'editore o lo stampatore, ha effetto anche nei confronti dell'autore della pubblicazione per il reato da questo commesso. Non si può procedere per i reati preveduti nei tre articoli precedenti se è necessaria una autorizzazione di procedimento per il reato commesso dall'autore della pubblicazione, fino a quando l'autorizzazione non è concessa. Questa disposizione non si applica se l'autorizzazione è stabilita per le qualità o condizioni personali dell'autore della pubblicazione L. 47/1948 – disposizioni sulla stampa 11. Responsabilità civile. Per i reati commessi col mezzo della stampa sono civilmente responsabili, in solido con gli autori del reato e fra di loro, il proprietario della pubblicazione e l'editore 12. Riparazione pecuniaria. Nel caso di diffamazione commessa col mezzo della stampa, la persona offesa può chiedere, oltre il risarcimento dei danni ai sensi dell'art. 185 del Codice penale, una somma a titolo di riparazione. La somma è determinata in relazione alla gravità dell'offesa ed alla diffusione dello stampato 13. Pene per la diffamazione. Nel caso di diffamazione commessa col mezzo della stampa, consistente nell'attribuzione di un fatto determinato, si applica la pena della reclusione da uno a sei anni e quella della multa non inferiore a lire 500.000 La definizione di “stampa” fornita dalla legge n. 47 del 1948 si fonda su due componenti, la prima obiettiva (la natura di prodotto di un processo fisico, chimico o meccanico) e l’altra di carattere finalistico (la destinazione alla pubblicazione, ovvero la diffusione verso un pubblico indeterminato di lettori). La Suprema Corte ha escluso dal novero dei reati commessi con il mezzo della stampa (soltanto) gli stampati destinati ad esaurire la loro funzione unicamente nella sfera dell’uso personale o quelli in relazione ai quali il reato prende forma soltanto in epoca successiva al compimento del ciclo naturale della pubblicazione, che comprende il complesso delle operazioni necessarie alla creazione e alla diffusione in pubblico dello stampato (così Cass. Pen. I, n. 1143/73). Nel caso della stampa, periodica e non, il legislatore ha previsto anche, in aggiunta alla responsabilità personale, dolosa, dell’autore della comunicazione diffamatoria, la responsabilità colposa del direttore responsabile e dell’editore per avere omesso di esercitare il controllo necessario ad impedire che attraverso la pubblicazione fossero commessi reati. Tale responsabilità è prevista espressamente: dagli articoli 57 e 57 bis del codice penale, per quanto riguarda il direttore responsabile, il vice direttore (o lo stampatore), rispettivamente nella stampa periodica e non. La fattispecie - una delle più controverse dell’ordinamento penale, poiché prevede una responsabilità penale connessa con il comportamento di un altro - è assai complessa; gli elementi sono: il fatto omissivo del direttore; il reato commesso dall’autore della pubblicazione; l’elemento psichico. La fattispecie si inquadra nell’ambito dei reati omissivi impropri, la cui struttura è composta dalla condotta omissiva, dall’evento e dal particolare nesso causale. Per quanto riguarda il rapporto tra il reato dell’autore della pubblicazione e il reato del direttore, è opinione comune che si tratti di autonomi reati e di titoli di reato indipendenti. Lo conferma la disciplina della querela (se proposta nei confronti dell’autore della pubblicazione non si estende al direttore) e della remissione (non produce effetti sull’autore quella presentata nei confronti del solo direttore); l’inciso fuori dei casi di concorso; il regime delle impugnazioni ad effetti penali della parte civile delineato dall’articolo 577 c.p.p. per la sola diffamazione (e ingiuria). Per quanto riguarda la natura della responsabilità si contrappongono due tesi. La prima tesi ritiene che si tratti di agevolazione colposa del fatto doloso altrui; si tratta di una forma di partecipazione materiale atipica, causalmente qualificata, che incide su una parte tipica dell’azione di per sé adeguata o su di una modalità rilevante dell’evento e richiede causalità, adeguatezza e lesività. La seconda tesi riconduce la fattispecie al concorso colposo nell’altrui reato; questa tesi si fonda sulla differenza che esiste tra la norma in esame e altre figure paradigmatiche dell’agevolazione colposa, anche se pare contraddetta dall’esplicito disposto della clausola di esordio dell’articolo 57 (fuori dei casi di concorso). La classificazione del reato come colposo comporta, comunque, che l’omesso controllo deve essere concretamente riferibile a negligenza, imprudenza o imperizia. Una tesi minoritaria qualifica la fattispecie nell’ambito della responsabilità 4 oggettiva, sostenendo che l’inciso a titolo di colpa non individua la struttura dell’elemento soggettivo, ma impone soltanto che il reato sia trattato agli effetti penali come colposo. radiotelevisivo configuri una violazione della carta costituzionale. Nella prassi applicativa il reato proprio del direttore responsabile si trasforma in un accessorio della responsabilità per il reato commesso con il mezzo della stampa; in sintesi, dal riconoscimento della responsabilità dell’autore della pubblicazione scaturisce - in modo automatico e senza porsi alcun problema, purché vi sia la specifica querela – l’affermazione della responsabilità del direttore. Le decisioni giudiziarie sul tema sono contraddistinte da automatismo risolutivo, per il quale il direttore ha seguito ineluttabilmente le sorti dell’autore della pubblicazione. In sostanza non si è mai operata una scissione tra la responsabilità dell’autore e quella del direttore, pervenendo per quest’ultimo ad un giudizio indipendente di esclusione della responsabilità. Nella diffamazione, in particolare se effettuata a mezzo internet, si pone il problema del rapporto, concorso, con il reato di trattamento illecito di dati personali previsto dall’articolo 167 del d.lgs. 196/03, recante il codice in materia di protezione dei dati personali. Il direttore può essere ritenuto colpevole di diffamazione vera e propria, e non di omesso controllo impostogli dalla legge, quando sia accertato che egli stesso abbia compiuto atti diretti a ledere l’altrui reputazione ovvero abbia concorso, consapevolmente, a raggiungere tale evento. Le trasmissioni radio televisive L. 223/1990 – disciplina del sistema radiotelevisivo 30. Disposizioni penali. 1. …il concessionario privato o la concessionaria pubblica ovvero la persona da loro delegata al controllo della trasmissione 4. Nel caso di reati di diffamazione commessi attraverso trasmissioni consistenti nell'attribuzione di un fatto determinato, si applicano ai soggetti di cui al comma 1 le sanzioni previste dall'articolo 13 della legge 8 febbraio 1948, n. 47 La legge 223 del 1990 (legge Mammì), sul riordino del sistema radiotelevisivo, al quarto comma dell’articolo 30 prevede la responsabilità del concessionario, pubblico o privato, o del delegato al controllo, per la diffamazione a mezzo radiotelevisivo, solo nel caso in cui la fattispecie è aggravata dall’attribuzione di un fatto determinato. La scelta del legislatore di non introdurre un obbligo di controllo analogo a quello del direttore responsabile e dell’editore - in particolare con riferimento a soggetti, diversi dal delegato al controllo ma che pure hanno un ruolo importante nella gestione della comunicazione (quali, ad esempio, il conduttore, il moderatore, il presentatore delle trasmissioni) - è stata contestata più volte, in quanto non è sostenuta da una seria esigenza di politica criminale. La Corte Costituzionale tuttavia, quando richiesta di pronunciarsi, ha escluso che la disparità di trattamento tra la stampa e il mezzo Diffamazione e trattamento illecito di dati personali Ciò in particolare con riferimento alla diffamazione a mezzo internet (apertura di account, social network ecc.) effettuata da non professionisti. Per quanto riguarda i giornalisti professionisti, invece, è stato elaborato – e pubblicato in allegato al codice della privacy - un codice deontologico contenente le regole a cui il giornalista deve attenersi per esercitare il diritto di cronaca in modo privacy oriented, in modo da contemperare i diritti fondamentali della persona, il diritto all’informazione dei cittadini e il diritto di cronaca. In particolare si richiamano: l’essenzialità dell’informazione; l’interesse pubblico della notizia; la tutela della dignità delle persone. Da segnalare che l’articolo 167 citato presuppone la violazione di ben precise norme del codice della privacy (tra cui l’articolo 23, che prevede l’acquisizione del consenso da parte del titolare/responsabile del trattamento) e la necessità – in alternativa al fine di danno dell’agente o del nocumento per la parte offesa - che il trattamento consista nella comunicazione o diffusione; in questi termini il reato prescinde dalla lesione dell’onore e della reputazione. II - Diffamazione a mezzo internet La responsabilità dell’autore della diffamazione deve essere valutata secondo i criteri già evidenziati. Un problema peculiare della diffamazione a mezzo internet è la valutazione del luogo di commissione del reato, in particolare in caso di sito web registrato all’estero e in caso di immissione dei contenuti diffamatori all’estero. Sul punto la Suprema Corte, Cass. Pen. II, sentenza n. 36721/2008, ha ribadito, sul solco di precedenti pronunce, che il reato di diffamazione consistente nell’immissione nella rete internet di frasi offensive e/o immagini denigratorie deve ritenersi commesso nel luogo in cui le offese e le denigrazioni sono percepite da più fruitori della rete e, in particolare, nel luogo ove risiede il destinatario dell’offesa. Altro aspetto peculiare nel caso di diffamazione a mezzo internet è se, ed entro quali limiti, sia possibile individuare una responsabilità di coloro che, 5 “consentendo” a vario titolo la diffusione delle comunicazioni (internet provider, gestori di blog e di forum, amministratori di social network ecc. che per brevità si possono indicare con il termine generico di “prestatore”), offrono un contributo causale alla realizzazione della diffamazione. Nell’ottica della responsabilità penale si possono ipotizzare diverse situazioni. In primo luogo il prestatore potrà concorrere nel reato con l’autore (ai sensi dell’articolo 110 del codice penale), ove autorizzi o consapevolmente partecipi in qualunque modo alla pubblicazione di un brano diffamatorio (ciò comporterà, in ambito civilistico, la responsabilità solidale fra l’autore e il prestatore). Più difficile è ipotizzare la responsabilità del prestatore – che non abbia in alcun modo concorso nel reato dell’autore della diffamazione; in tal caso occorre infatti contestare al prestatore di non essersi attivato per impedire la diffamazione, sempre che a suo carico possa configurarsi un obbligo giuridico di attivarsi per impedire l’evento stesso, da individuarsi ai sensi dell’articolo 40 del codice penale o (ove l’attività svolta possa rientrare nella nozione di prodotto editoriale) ai sensi della normativa sulla stampa. rilevando l’astratta e teorica possibilità che esso non sia acquistato e letto da alcuno. L’assimilabilità dei siti internet a editoriali: le recenti iniziative legislative La preoccupazione per la facilità con cui è possibile diffamare qualcuno su internet è alla base di diverse iniziative legislative – proposte tra il 2008 e il 2009 volte a definire meglio il prodotto editoriale e a regolamentare l’inserimento di messaggi ed informazioni su Internet. Tra i tanti, ricordiamo: 1) Proposta di legge 881, del 8.5.2008 – Pecorella, Costa – che estende la responsabilità del direttore e vice-direttore responsabile per omesso controllo anche a tutti i mezzi di diffusione delle informazioni (assegnato alla Commissione Giustizia il 14.9.09) ; 2) Proposta di legge 1269, del 9.6.08 - Levi (ammazza blog) – volto a disciplinare l’editoria, prevede l’obbligo di iscrizione nel Registro degli Operatori di Comunicazione (ROC) per i soggetti che svolgono su internet attività editoriale, estendendo loro la normativa sulla responsabilità per i reati a mezzo stampa, ad eccezione dei soggetti che operano su internet attraverso siti che non costituiscono il frutto di un’organizzazione imprenditoriale del lavoro (assegnato alla Commissione Cultura il 6.11.08); 3) Proposta di legge 1921, del 19.11.08 Cassinelli e altri (salva blog) – volto a disciplinare l’editoria, escludere l’equiparazione con i prodotti editoriali dei siti utilizzati quale strumento di espressione del pensiero e di aggregazione sociale e culturale (salvo per: le edizioni telematiche di prodotti editoriale cartacei; prodotti per i quali l’editore intenda avvalersi delle provvidenze per l’editoria; prodotti destinati unicamente o prevalentemente alla diffusione di notizie e gestiti professionalmente da una redazione di due persone regolarmente retribuite) (assegnato alla Commissione Cultura il 9.3.09); 4) emendamento “D’Alia” (ammazzafacebook) al disegno di legge sulla sicurezza pubblica (decreto sicurezza, L. 94/2009) che prevedeva l’introduzione di una norma volta a reprimere l’attività di apologia o istigazione a delinquere compiuta a mezzo internet, costringendo gli Internet provider a filtrare i contenuti a caccia I prodotti editoriali on-line L'articolo 1 della legge 62/2001 (Nuove norme sull'editoria e sui prodotti editoriali. Modifiche alla legge 5 agosto 1981 n. 416) dispone: Per prodotto editoriale si intende il prodotto realizzato su supporto cartaceo, ivi compreso il libro, o su supporto informatico, destinato alla pubblicazione o, comunque, alla diffusione di informazioni presso il pubblico con ogni mezzo, anche elettronico, o attraverso la radiodiffusione sonora o televisiva, con esclusione dei prodotti discografici o cinematografici. Si considerano destinati alla pubblicazione, o diffusione di informazioni, presso il pubblico i “giornali telematici” (che abbiano o meno la corrispondente testata cartacea), caratterizzati da periodicità nell’aggiornamento e dalla presenza di giornalisti professionisti. Sul punto la Corte di Cassazione, sez. V penale, sentenza 16262/08, ha chiarito che ai fini dell’integrazione del delitto di diffamazione si deve presumere la sussistenza del requisito della comunicazione con più persone qualora il messaggio diffamatorio sia inserito in un sito internet per sua natura destinato ad essere normalmente visitato in tempi assai ravvicinati da un numero indeterminato di soggetti, quale è il caso del giornale telematico, a nulla prodotti 6 di istigazioni a delinquere e apologie di reato, con il rischio per i social networks come Facebook in Italia di non poter più proseguire la loro avventura; norma abrogata con emendamento “Cassinelli” del 28/4/2009; 5) 6) Proposta di legge 2195, del 11.2.09 – Carlucci – volta alla tutela della legalità su internet, vieta l’inserimento di messaggi in rete in forma anonima; estende a tutte le attività su internet gli obblighi e le tutele della legge sulla stampa. Proposta di legge 2455, del 20.5.09 – Lussana – volta alla tutela del diritto all’oblio, prevede la cancellazione da internet delle informazioni relative a procedimenti penali dopo un dato periodo di tempo. Si tratta di proposte che hanno suscitato un ampio dibattito tra gli addetti ai lavori e reso ancora più profondo il solco tra chi sostiene la necessità che su Internet si possa divulgare in piena libertà qualunque contenuto e chi, invece, è fautore della necessità di intervenire in modo stringente perché si impedisca che on line non solo si compiano gravi reati ma che si tutelino anche i singoli nella loro riservatezza e nella loro onorabilità. E’ opportuno segnalare la direttiva 2007/65/CE, relativa al coordinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri concernenti l’esercizio delle attività televisive (recepito con d.lgs 44 del 2010), che definisce “responsabilità editoriale” l’esercizio di un controllo effettivo sia sulla selezione dei programmi sia sulla loro organizzazione in un palinsesto cronologico, nel caso delle radiodiffusioni televisive, o in un catalogo, nel caso dei servizi di media audiovisivi a richiesta e chiarisce che essa non implica necessariamente la responsabilità giuridica ai sensi del diritto nazionale per i contenuti o i servizi forniti. La responsabilità penale per omesso controllo Art. 40 c.p. - Rapporto di causalità. Nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come reato, se l'evento dannoso o pericoloso, da cui dipende l'esistenza del reato, non è conseguenza della sua azione od omissione. La nozione di obbligo giuridico è stata sostituita negli ultimi anni dalla “posizione di garanzia”, categoria più ampia e che non richiede, ad avviso di parte della dottrina, l’individuazione di uno specifico e preciso obbligo di impedire statuito da una fonte avente valenza giuridica. La posizione di garanzia è ravvisata in capo ad un soggetto quando questi ha doveri di protezione o controllo nei confronti di diritti o beni giuridici di altri soggetti. Con riferimento alla nota vicenda della pubblicazione su You Tube di un video diffamatorio nei confronti di un ragazzo down, si è sostenuto che la gestione di un sito nel quale chiunque può caricare un proprio video con una semplice operazione di upload costituisce esercizio di attività pericolosa, dalla quale deriva la posizione di garanzia e di controllo tale da ipotizzare la responsabilità penale ai sensi dell’articolo 40 citato. (Nota: le motivazioni della sentenza del G.U.P. presso il Tribunale di Milano, che ha giudicato la questione con giudizio abbreviato, non sono state rese note al momento della redazione di queste dispense) Le regole del sito: responsabilità per l’utente o per il prestatore ? In tale quadro normativo, appare necessario un breve cenno alla diffusione sempre più frequente della stipula dei contratti telematici (detti anche digitali, informatici o virtuali), ossia ai contratti stipulati mediante l’utilizzo di un sistema telematico, di pari passo con il sempre maggior utilizzo delle tecnologie di informazione e della comunicazione. I contratti telematici sono stati quindi inquadrati nel fenomeno del commercio in rete (o commercio elettronico) in cui, sotto l’aspetto programmatico le parti adoperano comuni schemi contrattuali tipici o atipici, sotto l’aspetto formale, si avvalgono della rete telematica. Il problema che si pone è stabilire in che modo l’utilizzo della particolare forma contrattuale influenza l’applicabilità della disciplina generale dettata dal codice in ordine ai singoli elementi costitutivi del contratto (soggetti, accordo, forma, contenuto) e riguardo alla sua esecuzione, tenendo conto delle particolari disposizioni dettate dalle leggi speciali in materia. Non impedire un evento, che si ha l'obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo Ma le problematiche legate ai contratti del commercio elettronico non sono certo poche. La stessa difficoltà nell'individuare un luogo preciso di conclusione del contratto dimostra quanto nuovi siano gli aspetti da affrontare dal punto di vista normativo. Con riferimento a internet l’eventuale responsabilità per omesso controllo, ai sensi dell’articolo 40 del codice penale, è ipotizzabile soltanto ove si rinvenga nell’ordinamento di un obbligo giuridico di impedire l’evento. Si discute ancora su quale sia la forma più adeguata per stipulare un contratto efficace online, molta attenzione è stata, ed è tuttora, dedicata al garantire la tutela del consumatore. Nonostante i dubbi, culturali oltre che 7 giuridici, sull'effettiva validità di un contratto on-line (anche se "non scritto") siano stati definitivamente allontanati, ancora molti sono i punti su cui la legislazione si dimostra inadeguata alle esigenze dell'ecommerce. Uno di questi riguarda una parte molto delicata, per le sue implicazioni giuridiche, di ogni contratto: le cosiddette "clausole vessatorie", definite dall’art. 33 D. Lgs. 206/2005, quali quelle particolari “clausole inserite nei contratti tra il consumatore ed il professionista che, malgrado la buona fede, determinano a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto”. Sono particolari condizioni contrattuali che possono risultare particolarmente onerose per uno dei due contraenti, soprattutto quando tali clausole vengano decise ed inserite da una sola delle parti, unilateralmente. E' evidente come questo sia il caso di tutti i contratti stipulati online. Il consumatore non ha infatti alcuna possibilità di negoziare le disposizioni contrattuali che gli vengono proposte, è quindi obbligato ad accettarle totalmente, o a rifiutare l'intero contratto. Ad esse, per quello che ci occupa, si applica la disciplina prevista dal comma II dell’art. 1341 c.c., secondo la quale In ogni caso non hanno effetto, se non sono specificatamente approvate per iscritto, le condizioni che stabiliscono, a favore di colui che le ha predisposte, limitazioni di responsabilità, facoltà di recedere dal contratto o di sospenderne l'esecuzione, ovvero sanciscono a carico dell'altro contraente decadenza, limitazioni alla facoltà di opporre eccezioni, restrizioni alla libertà contrattuale nei rapporti con terzi, tacita proroga o rinnovazione del contratto, clausole compromissorie o deroghe alla competenza dell'autorità giudiziaria. La forma scritta vuole essere un'ulteriore tutela nei confronti di chi quelle clausole subirebbe, ossia il consumatore; si richiede quindi una specifica approvazione che deve essere sottoscritta in modo distinto dal resto del contratto. Il rispetto di questa norma su Internet dipende sostanzialmente dalla valenza dell'accettazione delle clausole con un click, e se quest’ultimo possa considerarsi equiparabile ad una vera e propria sottoscrizione. Per quanto attiene, dunque, lo specifico problema costituito dalla apposizione di una specifica sottoscrizione ad un contratto telematico, si registrano in dottrina forti dubbi e perplessità in relazione alla possibilità stessa di effettuare una stipulazione, con il rispetto di tale formalità, di un contratto concluso in modalità c.d. point and click. Nell’ipotesi prevista dall’art. 1341, secondo comma, Codice civile, data la peculiarità del mezzo utilizzato (il monitor del PC), si pone, infatti, il quesito di come potrà ritenersi adempiuto il requisito della specifica sottoscrizione alla presenza del quale - la richiamata norma - subordina l’efficacia della clausola vessatoria. Tale problematica permarrà certamente almeno fintantoché non prenderà piede, al livello massificato, l’impiego della Firma Digitale, che è il risultato di una procedura informatica che garantisce l’autenticità e l’integrità di messaggi e documenti scambiati e archiviati con mezzi informatici, al pari di quanto svolto dalla firma autografa per i documenti tradizionali. Conclusivamente, avuto anche riguardo alle problematiche inerenti le clausole vessatorie, eventualmente inserite nei contratti telematici, che prevedano l’esclusione o la limitazione della responsabilità, in favore dei Provider, in tutti i casi in cui vengano immesse in rete notizie diffamanti da parte degli utilizzatori il server, occorrerà aver riguardo, tra le parti, alla validità ed efficacia delle predette clausole. Anche per il contratto telematico, trovano applicazione, d’altronde, tutti i principi generali dettati per i contratti, ivi compreso l’art. 1372 c.c. che stabilisce che il contratto ha forza di legge tra le parti e non produce effetto rispetto ai terzi che, in caso di richiesta di risarcimento danni in ipotesi di diffamazione a mezzo internet, potranno agire nei confronti dell’agente e/o del provider secondo le disposizioni del D. Lgs. 70/2003. III - La responsabilità degli Internet Services Provider Definizione (da wikipedia): Il termine è mutuato dalla lingua inglese che tradotto letteralmente in italiano significa "fornitore di servizi Internet". In sigla ISP, anche abbreviato in provider se è chiaro il contesto informatico, è una struttura commerciale o un'organizzazione che offre agli utenti (residenziali o imprese) servizi inerenti Internet i principali dei quali sono l'accesso a Internet e la posta elettronica. Per quanto riguarda l'accesso a Internet, gli ISP formano i nodi nella rete informatica che costituisce Internet. Non tutti gli ISP sono uguali. Ci sono ISP di primo livello che hanno una rete di interconnessione velocissima, sono internazionali e sono direttamente connessi ad altri ISP di primo livello. Tali ISP hanno connessi a loro un certo numero di ISP di secondo livello (di cui sono fornitori) che vengono detti, in questo caso, utenti. Per quanto riguarda gli altri servizi, uno dei principali è la registrazione di nomi a dominio DNS. In Italia, gli ISP che forniscono questo tipo di servizio si chiamano anche Maintainers o MNT (terminologia stata introdotta dal NIC, il centro che gestisce il ccTLD.it). Altro servizio è il Web Hosting (dall'inglese to host, ospitare) che consiste nell'allocare su un server web le pagine di un sito web, rendendolo cosí 8 accessibile dalla rete Internet. Tale "server web", definito host, è connesso alla rete Internet in modalità idonea a garantire l'accesso alle pagine del sito mediante browser, con identificazione dei contenuti tramite dominio ed indirizzo IP. La fornitura di servizi di connessione ad Internet, hosting, housing, e servizi connessi, è oggi un settore economico molto specifico in cui operano molte realtà nazionali, ma anche grandi imprese transnazionali. Gli obblighi degli ISP - Commercio elettronico Il d.lgs. 70/2003 (in attuazione della direttiva 31/2000/CE sul commercio elettronico), all’articolo 17 dispone che nella prestazione di servizi di trasporto (mere conduit), memorizzazione temporanea (caching) e memorizzazione (hosting) il prestatore non è assoggettato ad un obbligo generale di sorveglianza sulle informazioni che trasmette o memorizza, né a un obbligo generale di ricercare attivamente fatti o circostanze che indichino la presenza di attività illecite. di procedimenti civili per presunte violazioni di diritti di esclusiva discendenti dal diritto d’autore. - Pedopornografia La legge 269/1998, come integrata con L. 38/2006, articolo 19 (e attuata con D.M. Comunicazioni del 8.1.2007) prevede che i fornitori dei servizi resi attraverso reti di comunicazione elettronica sono obbligati a segnalare, qualora ne vengano a conoscenza, al Centro nazionale per il contrasto della pedopornografia sulla rete internet, i soggetti che diffondono materiale pedopornografico e a comunicare, su richiesta, ogni informazione relativa ai contatti con tali soggetti. La legge prevede inoltre che i fornitori di connettività internet sono obbligati ad utilizzare strumenti di filtraggio e soluzioni tecnologiche per impedire l’accesso ai siti segnalati dal Centro - Gioco d’azzardo (abrogato) Il prestatore è comunque tenuto: ad informare l’autorità giudiziaria o amministrativa, qualora sia a conoscenza di presunte attività o informazioni illecite; fornire, a richiesta delle autorità competenti, le informazioni in suo possesso che consentano l’identificazione del destinatario dei servizi di hosting, al fine di individuare e prevenire attività illecite. - Diritto d’autore: Ai sensi dell’articolo 163 della L. 633/41 (recepimento della dir, 29/2001/CE) il titolare di un diritto di utilizzazione economica può chiedere che sia disposta l'inibitoria di qualsiasi attività, ivi comprese quelle costituenti servizi prestati da intermediari, che costituisca violazione del diritto stesso secondo le norme del codice di procedura civile concernenti i procedimenti cautelari. Al riguardo la Corte di Giustizia delle Comunità Europee (sez 8°, 19 febbraio 2009, pronuncia pregiudiziale) ha chiarito che “intermediario” è anche un provider di accesso che si limita a fornire all’utente l’accesso alla rete mediante l’assegnazione di un indirizzo IP dinamico (sulla base del quale, insieme al periodo o momento preciso in cui esso è stato assegnato, il fornitore è in grado di identificare il cliente), senza proporre altri servizi né esercitare un controllo giuridico o sostanziale sul servizio utilizzato (ciò in quanto è fornito un servizio suscettibile di essere utilizzato da un terzo per violare il diritto d’autore o un diritto connesso). Tale soggetto è dunque obbligato a comunicare a terzi privati dati relativi al traffico internet, quando la richiesta è formulata ai fini La L. 266/2005 (Finanziaria per il 2006), art. 1 commi 535 e 536, avevano previsto che l’AAMS (Ammministrazione Autonoma Monopoli di Stato) comunicava ai fornitori di connettività alla rete Internet ovvero ai gestori di altre reti telematiche o di TLC o agli operatori che in relazione ad essere forniscono servizi telematici o di TLC, i casi di offerta, attraverso le predette reti, di giochi, scommesse o concorsi pronostici con vincite di denaro in difetto di concessione, autorizzazione, licenza o altro titolo autorizzatorio o abilitativo o, comunque, in violazione delle norme di legge o di regolamento o dei limiti o delle prescrizioni definiti dall’amministrazione. I destinatari delle comunicazioni avevano l’obbligo di inibire l’utilizzo delle reti, di cui sono gestori o in relazione alle quali forniscono servizi, per lo svolgimento dei giochi, delle scommesse o dei concorsi pronostici, adottando a tal fine misure tecniche idonee in conformità a quanto stabilito con uno o più provvedimenti dell’AAMS. Tale previsione è stata successivamente abrogata, con L. 296/2006 (Finanziaria per il 2007), art. 1 comma 51. Responsabilità penale dell’ISP Premesso che l’ISP fornisce un contributo causale alla realizzazione dell’illecito, nella misura in cui mette a disposizione lo strumento per diffondere in rete le comunicazioni, potrà essere individuata una responsabilità penale a titolo di concorso, ove ne ricorrano i presupposti. Come già anticipato l’eventuale responsabilità per omesso controllo, ai sensi dell’articolo 40 del codice penale è ipotizzabile soltanto ove si rinvenga 9 nell’ordinamento di un obbligo giuridico di impedire l’evento. telematica, secondo una forma di responsabilità solidale. Successivamente all’emanazione del decreto legislativo n. 70/2003, del problema della possibile sussistenza di una responsabilità penale degli internet providers, con importanti risvolti anche sul piano civile, si è occupato il Tribunale di Milano Sez. V penale, sentenza 1993/04 che ha assolto l’imputato intestatario di un sito poiché, “per sostenere la responsabilità a titolo di omissione del service o host provider occorre affermare a suo carico un obbligo giuridico di impedimento e quindi da un lato una sua posizione di garanzia e dall’altro una possibilità effettiva di controllo preventivo sul contenuto dei messaggi. Sotto il primo profilo (posizione di garanzia) questa non è ravvisabile, stante l’assenza di una previsione specifica in tal senso e la non applicabilità in via analogica – in malam partem – degli artt. 57 e 57bis c.p. (riguardante il direttore della stampa periodica ed anche l’editore o stampatore nel caso di anonimità o non imputabilità dell’autore degli scritti illeciti). Né la posizione di garanzia può argomentarsi sostenendo l’esercizio da parte del provider di un’attività pericolosa, in quanto tale non può considerarsi la sua offerta di uno spazio web e l’apertura di un link con un determinato sito che rappresenta un’azione consentita e del tutto neutra per il diritto penale. Sotto il secondo profilo (effettività di controllo preventivo) non è ravvisabile la possibilità concreta di esercitare un efficace controllo sui messaggi ospitati sul proprio sito visto l’enorme afflusso dei dati che transitano sui servers e la possibilità costante di immissione di nuovi collegamenti. Per tale motivo non appare possibile fondarsi un giudizio di responsabilità del service e host-access provider sotto il mero profilo omissivo. L’intento era chiaramente quello di individuare concretamente almeno un soggetto responsabile della violazione a fronte della volatilità e della inafferrabilità degli originari autori dell'illecito stesso, soprattutto nel caso in cui si tratti di blog, forum, newsgroup che presentino un amministratore anonimo o di cui venga fornita un’identità inventata. Responsabilità civile dell’ISP Nel caso in cui, ai sensi del d.lgs. 70/2003, sebbene richiesto dall'Autorità Giudiziaria o Amministrativa avente funzioni di vigilanza, il prestatore non abbia agito prontamente per impedire l'accesso al contenuto illecito, ovvero se, avendo avuto conoscenza del carattere illecito o pregiudizievole per un terzo del contenuto di un servizio al quale assicura l'accesso, non ha provveduto ad informarne l'Autorità competente, lo stesso ne risponderà civilmente, quale soggetto responsabile del contenuto dei servizi offerti. Anteriormente all’entrata in vigore del decreto legislativo de quo, la prassi giudiziaria e legale si era assestata nel riconoscere la responsabilità delle violazioni commesse per mezzo della rete da un qualsiasi utente sul server al c.d. Internet provider, e cioè al soggetto che fornisce ai terzi l'accesso alla rete D’altronde considerare l’internet provider in qualche modo responsabile delle violazioni commesse da un qualsiasi utente sul suo server risponde alla concreta esigenza di individuare un soggetto responsabile della violazione. Le difficoltà che si hanno nel mondo reale ad individuare il responsabile principale di un illecito sono moltiplicate nel mondo “virtuale” di internet. Le tecnologie utilizzate per gestire una rete telematica non sempre consentono di identificare realmente l’utente che compie una violazione di legge e la globalizzazione della rete telematica non fa che peggiorare la situazione. Supponiamo, infatti che l’utente che ha commesso la violazione sia alla fine effettivamente individuato. Questi potrebbe trovarsi in un paese in cui la normativa applicabile a quella fattispecie sia diversa da quella applicabile nel luogo dove il danno si è verificato, con il possibile rischio di non riuscire a punire l’utente direttamente responsabile dell’illecito. Ecco perché dinanzi a tale rischio, si è discusso se attribuire una responsabilità al provider, soggetto sempre identificabile e assoggettabile alle norme del Paese in cui la violazione è commessa. A tal fine, si è paventata, tanto in dottrina quanto in giurisprudenza, l’idea di ricorrere a modelli di estensione soggettiva della responsabilità civile, che consentissero di applicare al provider, in via analogica, la figura dell'editore televisivo o quella, del tutto affine, del responsabile editoriale di una testata giornalistica. In tal caso il Provider sarebbe corresponsabile dell’illecito del terzo utente sulla base di una sorta di culpa in vigilando, consistente nel mancato adempimento dell’obbligo di monitoraggio del materiale inviato sul proprio server, obbligo sancito dagli artt. 57 c.p. e 30 della L. 223/90. Tale teoria è stata elaborata dal Tribunale di Napoli, ord. 8 agosto 1996, ove si è affermata la responsabilità civile extracontrattuale (art. 2043 c.c.) del provider per aver autorizzato, consentito, o 10 comunque agevolato il comportamento illecito di un utente colpevole di aver diffuso in rete messaggi promozionali contenenti nomi e marchi appartenenti a società concorrenti, sul presupposto della compartecipazione colposa per il provider, assimilabile ad un responsabile editoriale, in quanto il proprietario di un canale di comunicazione destinato a un pubblico di lettori - al quale va equiparato quale organo di stampa un sito Internet - ha l'obbligo di vigilare sul compimento di atti di concorrenza sleale eventualmente perpetrati attraverso la pubblicazione di messaggi pubblicitari di cui deve verificare la natura palese, veritiera e corretta, concorrendo, in difetto, e a titolo di responsabilità aquiliana, nell'illecito di concorrenza sleale. Di analogo tenore, Trib. Napoli, 8 agosto 1998, che ha assimilato il gestore di Rete ad un organo di stampa, con conseguente obbligo di controllo sui contenuti del sito web; Trib. Macerata, sent. 2 dicembre 1998, Trib. Teramo, sent. 11 dicembre 1997; Trib. Bologna, sent. 26 novembre 2001, ove si afferma la responsabilità del provider in virtù dell'applicabilità in via analogica dell'art. 11 L. 47/48, secondo il quale “per i reati commessi col mezzo della stampa sono civilmente responsabili, in solido con gli autori del reato e fra di loro, il proprietario della pubblicazione e l'editore”. Tale orientamento interpretativo, tuttavia, è stato oggetto di puntuali critiche in dottrina e, poi, in giurisprudenza, per l'impossibilità pratica di controllare ogni messaggio inviato su un server, circostanza questa che esclude che si possa parlare di culpa in vigilando per il provider. Una simile ammissione, infatti, condurrebbe ad una nuova ed inaccettabile ipotesi di responsabilità oggettiva - che prescinde dalla colpa - in aperta eccezione alla regola generale del nostro ordinamento di cui all'art. 2043 c.c., che fonda la responsabilità civile sulla colpa del danneggiante (V. amplius, Trib. Civ. Monza, Ord. 14 maggio 2001). Per attribuire una responsabilità all’internet provider senza fare riferimento alla figura del responsabile editoriale, si è fatto ricorso all’art. 2050 c.c., assimilando l’attività di gestione di un server di rete alle attività cosiddette pericolose, con la conseguenza che in caso di un fato illecito commesso da un utente di un sito internet, anche il gestore del sito può ritenersi responsabile, salvo “non provi di aver adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno”. Tra le misure idonee si è compreso, ovviamente, il monitoraggio di tutti i messaggi inviati sul proprio sito. La parte maggioritaria della dottrina e della giurisprudenza tende a riconoscere maggiore valenza giuridica a quella ricostruzione che ritiene di fondare la responsabilità dell'Internet provider sul disposto di cui all’art. 2043 ss. c.c. per quanto concerne i profili di responsabilità extracontrattuale e richiede di valutare ulteriormente i profili diacronici legati alla verificazione della lesione antigiuridica, interrogandosi se la diligenza esigibile imponga al provider l'adozione di misure volte a prevenire il compimento di illeciti da parte degli utenti o se invece gli imponga solo di eliminare gli effetti di tali illeciti, una volta che ne sia venuto a conoscenza. Sotto il primo profilo, si rende necessario distinguere il cd. access provider, il quale consente all’utente l’allacciamento alla rete telematica (fornitore di accesso), cd. Servizio di connettività (definizione tratta dall’art. 14 D. Lgs. 70/2003), dal service provider che, oltre a fornire un accesso alla rete, offre ai propri utenti un servizio di predisposizione, controllo o di monitoraggio delle informazioni e dati trasmessi sui loro servers (fornitore di servizi). Ciò, in quanto, con riferimento al semplice access provider è da ritenere che l'obbligo di preventivo e incondizionato controllo sia del tutto estraneo alla tipologia di attività che le è propria, laddove, diversamente, si dovrebbe sostenere per il service/content provider, allorquando proprio la prestazione dallo stesso offerta abbia avuto ad oggetto un contributo, parziale o generale, alla realizzazione del sito e all'editing del materiale immesso in rete, sì da assumere pertanto delle funzioni editoriali o di direzione in senso lato. Seguendo tale modello ricostruttivo, si perviene ad una conseguente, doverosa distinzione tra responsabilità preventiva e responsabilità successiva del provider, là dove la prima dovrebbe essere limitata ai service providers e sussisterebbe per il solo fatto di non aver impedito il verificarsi dell'illecito, mentre la seconda sarebbe attribuibile a qualsiasi provider (sia service che access), per il mero fatto di non aver bloccato l'aggravamento dei danni conseguenti al comportamento antigiuridico. La Direttiva Europea 2000/31/CE e la legge di attuazione (D.Lgs. 70/2003), nel solco tracciato dalla dottrina, hanno previsto specifichi obblighi e responsabilità civili per gli operatori di Internet, attraverso una tipizzazione di responsabilità per fatto proprio; in particolare, il D. Lgs., a proposito della responsabilità del provider, prevede quattro norme che individuano tre categorie di provider a seconda del tipo di attività da essi svolta: 1) L’art. 14 tratta dell’access provider, quale mera fornitura di un accesso alla rete di comunicazione, o 11 del mero trasporto di informazioni (cd. mere conduit) fornite da un destinatario di un servizio (così definito dall’art. 2 D. Lgs. 70/2003: il soggetto che, a scopi professionali e non, utilizza un servizio della società dell'informazione, in particolare per ricercare o rendere accessibili informazioni). In tal caso, il provider non è responsabile delle informazioni trasmesse a condizione che: quelli introdotti dagli artt. 2050 e 2051 c.c. e impone di inquadrare la responsabilità dei providers in termini di colpa professionale. Il Tribunale civile di Catania, con sentenza n. 2286/2004 ha sottolineato che il provider può essere ritenuto responsabile dell’illecito posto in essere dall’utilizzatore allorché egli abbia piena consapevolezza del carattere antigiuridico dell’attività svolta da quest’ultimo e si configura, dunque alla non dia origine alla trasmissione; stregua di una responsabilità soggettiva: colposa, non selezioni il destinatario della trasmissione; non selezioni né modifichi le informazioniallorché il fornitore, consapevole della presenza sul sito di materiale sospetto, si astenga dall’accertarne trasmesse; l’illiceità e, al tempo stesso, dal rimuoverlo; dolosa, 2) L’art. 15 regola l’attività di caching quando egli sia consapevole anche dell’antigiuridicità (memorizzazione temporanea, automatica ed della condotta dell’utente e, ancora una volta, ometta di intermedia per attuare il successivo inoltro a richiesta intervenire. dei destinatari) prevedendo che il prestatore non è responsabile a condizione che: Nel solco di tale impostazione, si muove un’interessante pronuncia del Tribunale civile di - non modifichi le informazioni; Lucca del 2007 che, escludendo la responsabilità di - si conformi alle condizioni di accesso alle Google, ha sostenuto che la Società “si è limitata a informazioni; fornire la connessione alla rete e l’operatore che - si conformi alle norme di aggiornamento delle consente agli utenti di accedere ai newsgroup non può informazioni; essere ritenuto responsabile per i messaggi che 3) L’art. 16 disciplina l’attività di hosting passano attraverso i propri elaboratori in quanto si (memorizzazione duratura delle informazioni per limita a mettere a disposizione degli utenti lo spazio renderle disponibili in rete) che costituisce l’attività più virtuale dell’area di discussione e non ha alcun potere penetrante ed è regolata in modo più severo, perché il di vigilanza e di controllo sugli interventi che vi server non svolge un ruolo meramente passivo e la vengono inseriti; diversamente si verrebbe ad memorizzazione stabile accresce le possibilità del introdurre una nuova ed inaccettabile ipotesi di materiale illecito. In tal caso il provider non è responsabilità oggettiva, in aperta violazione alla regola generale di cui all’art. 2043 c.c. che, come è responsabile a condizione che: noto, fonda la responsabilità civile sulla colpa del - non sia a conoscenza del fatto che l’attività o danneggiante. l’informazione è illecita e, per quanto attiene alle azioni risarcitorie, non sia a conoscenza di Del resto, in linea con tale impostazione è il Decreto fatti o circostanze che rendono manifesta Legislativo n. 70/2003 che sancisce l’assenza dell’obbligo generale di sorveglianza del provider l’illiceità dell’attività o dell’informazione; sulle informazioni che trasmette o memorizza né la In tutti i casi, il Provider è comunque tenuto ad sussistenza di un obbligo di ricercare circostanze che informare l’Autorità Giudiziaria o Amministrativa, indichino il compimento di atti illeciti. E’ indubbio che qualora sia a conoscenza di presunte attività o la responsabilità per i contenuti dei messaggi è informazioni illecite riguardanti un destinatario di un attribuibile solo agli autori degli stessi.” servizio ovvero a fornire, a richiesta delle Autorità competenti, le informazioni in suo possesso che Recentissima è, infine, l’ordinanza emessa dal consentono l’individuazione del destinatario dei suoi Tribunale civile di Roma il 16 dicembre 2009 sul servizi con cui abbia avuto accordi di memorizzazione ricorso con il quale la RTI ha addotto che sui siti You di dati, al fine di individuare o prevenire attività illecite Tube e Google erano stati rilevati 174 sequenze di ed infine, ove richiesto dall’Autorità Giudiziaria o immagini del Grande Fratello trasmesso da Canale5, Amministrativa, ad impedire o a porre fine alle programma concesso in licenza alla Endemol Italia e violazioni commesse, anche quando non ne sia del quale RTI è titolare esclusiva nel territorio della Stato di tutti i diritti di utilizzazione e di sfruttamento responsabile. economico. L’articolo 17, già citato, costituisce il limite della responsabilità del provider, esclude il ricorso a criteri Ebbene, in tale ordinanza si legge che “la normativa di imputazione meramente oggettivi, assimilabili a (D. Lgs. 70/2003) e la giurisprudenza sta ormai 12 orientandosi nel senso di una valutazione caso per caso della responsabilità del provider che seppur non è riconducibile ad un generico obbligo di sorveglianza rispetto al contenuto non ritenendosi in grado di operare una verifica di tutti i dati trasmessi che si risolverebbe in una inaccettabile responsabilità oggettiva, tuttavia, assoggetta il provider a responsabilità quando non si limiti a fornire la connessione alla rete ma eroghi servizi aggiuntivi (caching, hosting) e/o predisponga un controllo delle informazioni e soprattutto quando, consapevole dell’antigiuridicità ometta di intervenire; nella specie innegabile ed evidente è la responsabilità delle convenute che, oltre ad organizzare la gestione dei contenuti video, anche ai fini di pubblicità, e nonostante le ripetute diffide e le azioni giudiziarie iniziate da RTI, hanno continuato la trasmissione del Grande Fratello. Per la violazione in questione non possono valere le eccezioni e limitazioni di cui all’art. 65 LdA relative al diritto di cronaca o dell’art. 70 Lda delle utilizzazione di brani o di parti di opera ad uso critica in quanto nella fattispecie è evidente il fine puramente commerciale.” Conforme anche la sentenza n. 1225/09 del 24 novembre 2009 del Tribunale civile di Mantova che in un caso di diffamazione a mezzo internet ha affermato che “In tema di illeciti commessi mediante diffusione di informazioni tramite sito web sulla rete internet, occorre distinguere la posizione del content provider da quella dell’host provider, sussistendo la responsabilità risarcitoria del primo e non quella del secondo, salvo l’obbligo di questi di rimuovere il contenuto illecito immesso da terzi di cui sia venuto a conoscenza”. IV - Blog e forum di discussione Definizione (da wikipedia): - Blog Il termine Blog è un neologismo che deriva – per contrazione – da weblog o “log in rete” e i log sono a loro volta dei file di testo che riportano fatti o eventi, inseriti in rete normalmente in base a criteri cronologici, con i quali si realizza una raccolta di pensieri in rete. La traduzione più ricorrente di Blog è, pertanto, “traccia in rete” ma in realtà il blog è un contenitore, che viene riempito di contenuti (c.d. post) da chi voglia farlo. Il Blogger realizza il sito, con un proprio indirizzo Internet ed un nome e, di fatto, lo mette a disposizione di quanti vogliano dire la loro su un determinato argomento. I blog si distinguono a seconda che siano ospitati da un server pubblico o che siano creati su di un server proprio, ma soprattutto per la possibilità o meno per il blogger di controllare preventivamente gli interventi proposti per la pubblicazione. - Forum Nel linguaggio contemporaneo, per “forum” si intende un luogo virtuale d'incontro e di discussione via internet; mentre il termine “blog” in informatica, e più propriamente nel gergo di internet, è un sito internet, generalmente gestito da una persona o da un ente, in cui l'autore pubblica più o meno periodicamente, come in una sorta di diario online, i propri pensieri, opinioni, riflessioni, considerazioni, ed altro, assieme, eventualmente, ad altre tipologie di materiale elettronico come immagini o video (definizioni tratte da Wikipedia L’enciclopedia libera). Il termine può riferirsi all'intera struttura informatica nella quale degli utenti discutono su vari argomenti, a una sua sottosezione oppure al software utilizzato per fornire questa struttura. Un senso di comunità virtuale si sviluppa spesso intorno ai forum che hanno utenti abituali ed interessi comuni. La tecnologia, i videogiochi, la politica, l'attualità e lo sport sono temi popolari, ma ci sono forum per un enorme numero di argomenti differenti. I forum vengono utilizzati anche come strumenti di supporto online per vari prodotti e all'interno di aziende per mettere in comunicazione i dipendenti e permettere loro di reperire informazioni. Ci si riferisce comunemente ai forum anche come board, message board, bulletin board, gruppi di discussione, bacheche e simili. Molti forum richiedono la registrazione dell'utente prima di poter inviare messaggi ed in alcuni casi anche per poterli leggere. Differentemente dalla chat, che è uno strumento di comunicazione sincrono, il forum è asincrono in quanto i messaggi vengono scritti e letti anche in momenti diversi. Responsabilità penale dei Blogger e dei gestori di Forum Sul tema, una celebre e controversa sentenza del 26 maggio 2006 del Tribunale di Aosta ha affermò incidentalmente che colui che gestisce il blog altro non è che il direttore responsabile dello stesso e che La posizione di un direttore di una testata giornalistica stampata e quella di chi gestisce un blog (che, infatti, può cancellare i messaggi) è identica, con la conseguenza che il gestore del blog ha il totale controllo di quanto viene postato e, allo stesso modo di un direttore responsabile, ha il dovere di eliminare quelli offensivi. Diversamente Cass. Pen., sent. III, 10 marzo 2009, n. 10535, (su provvedimento relativo alla misura cautelare del sequestro, con conseguente limitazione dell’ambito di esame alla sussistenza del fumus e della necessità di mantenere la misura cautelare preventiva) che ha negato la assimilabilità dei forum alle testate giornalistiche, escludendo conseguentemente anche l’applicabilità delle guarentigie che la legge pone per tale categoria di soggetti in ossequio al diritto costituzionalmente tutelato di cronaca e di critica. I forum, infatti, costituiscono una semplice area di discussione, dove qualsiasi utente o gli utenti registrati sono liberi di esprimere il proprio pensiero, rendendolo visibile a tutti gli altri soggetti autorizzati ad accedervi. Tale circostanza, tuttavia, non appare sufficiente a qualificarli come un prodotto editoriale, o come un giornale online, o come una testata giornalistica informatica: in nessun caso, afferma la Cassazione, gli interventi dei partecipanti al forum potranno farsi rientrare nell’ambito della nozione di stampa, neppure nel significato più esteso ricavabile dalla L. 7 marzo 2001, n. 62 art. 1, che ha esteso l'applicabilità delle disposizioni di cui all’art. 2 della Legge 8 febbraio 1948, n. 47 (legge sulla stampa) al prodotto editoriale, stabilendo che per tale deve intendersi anche il prodotto realizzato... su supporto informatico, destinato alla pubblicazione o, comunque, alla diffusione di informazioni presso il pubblico con ogni 13 mezzo, anche elettronico. Correttamente la Cassazione chiarisce che la valutazione circa la sussumibilità di un sito internet nell’ambito dei prodotti editoriali deve essere effettuata valutandola in concreto. Responsabilità civile dei Blogger e dei gestori di Forum Ma cosa accade nel caso di pubblicazione sul blog di uno scritto diffamatorio, rispetto al quale il curatore del blog aveva solo una possibilità di rimozione ex post? La problematica è di estremo interesse per le conseguenze che da una loro eventuale assimilazione ai canali internet di cui si è detto potrebbero derivare anche e soprattutto in materia di responsabilità dei gestori a titolo di risarcimento danni per illecito aquiliano ex art. 2043 c.c. Il Tribunale civile di Trani, 14 ottobre 2008 ha affrontato la questione, con riferimento a un forum a cui era possibile accedere a seguito di iscrizione dell’utente, con relativo indirizzo email, password e indirizzo IP di provenienza al momento della registrazione. Dell’immissione del messaggio era data comunicazione al web master e agli utenti con privilegi di amministratore, gestore del sito con indicazione degli elementi identificativi dell’utente. Il web master e l’amministratore avevano la possibilità istantanea di cancellare il messaggio appena inserito, anche senza accedere al forum nonché di cancellare, senza difficoltà, argomenti di discussione o le risposte degli utenti. Per altro verso le “condizioni” di iscrizione - pur affermando la piena responsabilità dell’utente per i contenuti immessi – prevedono: il diritto del web master di cancellare senza preavviso i messaggi ritenuti non consoni allo spirito del forum (e tra essi quelli di contenuto volgare oppure esclusivamente polemici); la libertà per i moderatori di agire senza giustificarsi con gli utenti del forum per le operazioni svolte nell’ambito delle loro mansioni, avendo essi l’obbligo di rispondere esclusivamente all’amministratore del forum. Il Tribunale, premessa la non applicabilità della normativa sulla stampa, e richiamata la disciplina dettata dal d.lgs. 70/2003 (e in particolare agli obblighi che scaturiscono dall’articolo 17), afferma che negli spazi destinati a forum, ancorchè con libera partecipazione, il gestore o l’amministratore che si assume la moderazione, proprio per il preventivo filtro di controllo del messaggio da diffondere, non è esente da responsabilità per contenuti illeciti; va affermato che anche quando il gestore o l’amministratore non sia un moderatore, ma ad un tempo non si limiti a consentire l’accesso allo spazio virtuale, la sua corresponsabilità vada riconosciuta nel verificarsi di certi presupposti. Ed invero, ancorchè egli non abbia un potere di controllo preventivo sul contenuto del messaggio inviato da un partecipante, ove tuttavia il suo potere di intervento sia in qualche modo esplicitato nel regolamento del forum, la iniziale incapacità di controllo preventivo può non tramutarsi in un totale esonero da ogni successivo obbligo. Resta dunque escluso da ogni responsabilità solo il gestore o l’amministratore che si sia limitato a porre a disposizione un sito, che resta in tal caso uno spazio virtuale, un’area di discussione e di incontro virtuale, sulla quale non vi è esercizio di alcun potere di controllo o vigilanza. L’area applicativa va quanto meno individuata nelle ipotesi in cui il gestore o l’amministratore abbiano possibilità di intervento, anche solo successivo, sul messaggio. Tale responsabilità è collocata nell’alveo dell’art. 2043 c.c. V – Social Network Definizione (da wikipedia): Consiste in un qualsiasi gruppo di persone connesse tra loro da diversi legami sociali, che vanno dalla conoscenza casuale, ai rapporti di lavoro ai vincoli familiari. Con questi termini si definisce anche il sito che offre un “servizio di social network”, consistente in una piattaforma online che offre la possibilità di creare reti o relazioni sociali attraverso il web. Altro problema è quello di Facebook, da sempre sotto tiro. Dopo i filtri delle aziende per bloccare l’accesso ai dipendenti durante l’orario di lavoro, gli appelli del Ministro Brunetta e le accuse di violazione della privacy della Ue, arrivano anche in Italia le prime querele e richieste di risarcimento danni a carico degli utenti del più popolare social network del mondo. Molfetta un imprenditore ha querelato un suo ex collaboratore per averlo definito “bastardo” su facebook. A Torino un professore ha denunciato uno studente per averlo iscritto al social network a sua insaputa e per avergli attribuito perversioni imbarazzanti. Mentre a Firenze sono state presentate almeno due querele per diffamazione a mezzo Facebook. E in una scuola superiore di Colle Val d’Elsa una bidella ha chiesto ad otto studenti un risarcimento danni di migliaia di euro per aver creato sul social network un gruppo contro di lei. La prima condanna al risarcimento danni per diffamazione su face book arriva dal Tribunale di Monza, Sezione IV Civile, che con Sentenza 2 marzo 2010, n. 770 ha condannato una parte al risarcimento “del danno morale soggettivo o, comunque, del danno non patrimoniale” sofferti in conseguenza della subìta lesione “alla reputazione, all’onore e al decoro” cagionata alla ex fidanzata dal 14 convenuto mediante l’invio di un messaggio per il tramite del social network “Facebook”. I gestori del sito (statunitensi, secondo la Polizia Postale), pur reputandosi proprietari dei contenuti pubblicati, declinano ogni responsabilità civile e/o penale ad essi relativa (come dimostra, eloquentemente, una recentissima e dibattuta controversia giudiziaria riguardante il motore di ricerca “Google”). In definitiva, coloro che decidono di diventare utenti di “Facebook” sono ben consci non solo delle grandi possibilità relazionali offerte dal sito, ma anche delle potenziali esondazioni dei contenuti che vi inseriscono: rischio in una certa misura indubbiamente accettato e consapevolmente vissuto. Il caso di specie è emblematico in tal senso. Due giovani si conoscono e socializzano tramite “Facebook” e tra loro ha inizio una relazione da entrambi definita sentimentale, con sviluppi non lineari ed irreprensibili, descritti dal convenuto in modo minuzioso, pur se irrilevanti ai fini della presente decisione. VI - Creazione e uso di account e.mail Uno dei temi è l’apertura di account e.mail a nome di un altro/a e l’uso nell’ambito di siti pornografici o comunque lesivi dell’immagine. Generalmente tali questioni sono valutate ipotizzando il concorso tra la diffamazione e il trattamento illecito di dati personali. VII - La responsabilità dei titolari di internet point intercettazione informatica, penalmente sanzionato dall’art. 617 quater del codice penale. Lo sottolinea la Cassazione, sez. V penale, che con la recente sentenza n. 6046/2009, confermando la sentenza con cui la Corte d’appello di Perugia aveva assolto la titolare di un punto internet, accusata di non avere impedito che fosse offesa la reputazione di Antonio Ricci, autore del programma ‘Striscia la notizia’ “non procedendo all’identificazione degli utenti che fruivano del terminale per l’invio di posta elettronica, consentendo cosi’ - secondo l’accusa l’invio di due e-mail indirizzate alla casella di posta [email protected], di contenuto diffamatorio”. I giudici di secondo grado avevano rilevato che la donna andava assolta poiché “l’obbligo di identificazione degli utenti che fanno uso del terminale non è dettato ad impedire l’uso criminoso della comunicazione informatica, non imponendo al titolare dell’internet point alcun controllo sul contenuto delle comunicazioni, profilando anzi un illecito ogni suo comportamento volto a prenderne conoscenza”. Contro il verdetto dei giudici del merito, Ricci ha proposto un ricorso alla Suprema corte, ma gli ermellini della quinta sezione penale lo hanno dichiarato inammissibile: anche se il gestore dell’internet point avesse provveduto a identificare l’utilizzatore - si legge nella sentenza numero 6046 - non avrebbe mai potuto impedire l’invio delle e-mail di contenuto diffamatorio, non avendo egli alcun potere di controllarne il contenuto. Un cenno a parte merita la responsabilità dei Titolari di un internet point, nel caso in cui da uno dei computer messi a disposizione dei clienti vengono spedite delle mail di contenuto diffamatorio. Le misure adottate nel 2005, all’indomani degli attentati di Londra, per contrastare il terrorismo internazionale (d.l. 114/2005, convertito con L. 155/05, attuato con D.M. Interno 16.8.05) prevedono l’obbligo per i soggetti titolari o gestori di un esercizio pubblico o di un circolo privato di qualsiasi specie, nel quale sono poste a disposizione del pubblico, dei clienti o dei soci apparecchi terminali utilizzabili per le comunicazioni anche telematiche, di adottare le misure necessarie a memorizzare e mantenere i dati relativi alla data ed ora della comunicazione e alla tipologia del servizio. L’obbligo di identificazione, tuttavia, non si estende al contenuto delle comunicazioni: al contrario si esclude espressamente che possano essere memorizzati e mantenuti i contenuti della comunicazione, ciò anche perché gli stessi non possono essere appresi dal gestore, pena la violazione del divieto di 15