Sud Sudan: la strada passa ancora da Khartoum
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Sud Sudan: la strada passa ancora da Khartoum
9 luglio 2012 Sud Sudan: la strada passa ancora da Khartoum Giorgio Musso(*) A Juba, capitale del più giovane Stato del mondo, sembra lontano il clima di festa e celebrazione che pervadeva la città il 9 luglio 2011, quando cinquantasei anni di lotta per l’autodeterminazione si compirono con la dichiarazione d’indipendenza del Sud Sudan e la nascita del cinquantaquattresimo Stato africano. Nessuno del resto si attendeva che il cammino del Sud Sudan, sorto dalle ceneri di una guerra civile durata complessivamente quasi quattro decenni, privo di infrastrutture e isolato dal mare, in mano a una classe politica formatasi combattendo nel bush, fosse in discesa. La risoluzione delle questioni ancora pendenti con il Sudan, soprattutto la definizione del confine e la gestione delle rendite petrolifere, ha consumato molte delle risorse politiche ed economiche che il Sud Sudan avrebbe dovuto dedicare a un processo di state building che partiva da zero. Khartoum e Juba sono due gemelli siamesi, e l’operazione chirurgica per separarli, come sempre, è lunga, dolorosa e rischiosa. L’evento di questo primo anno di vita destinato ad avere maggiori ripercussioni sul futuro del Sud Sudan è stata senza dubbio la decisione, presa dal governo il 22 gennaio 2012, di ordinare l’arresto delle esportazioni di petrolio attraverso l’oleodotto che dai pozzi nel Sud trasportava il greggio sino a Port Sudan, sul Mar Rosso. Provvedimento minacciato più volte, ma che nessuno pensava potesse realmente materializzarsi. Saranno i fatti a dire se quest’azione clamorosa sarà ricordata come la data della vera indipendenza del Sud Sudan – un po’ come la nazionalizzazione del Canale di Suez per l’Egitto – o come la decisione imprudente di una leadership inesperta e spericolata, che rischia di trascinare il Paese nell’abisso. Per il momento, i fatti sembrano in parte dare ragione a Juba. Privata delle tasse pagate dal Sud per il trasporto del petrolio1, Khartoum ha infatti dovuto introdurre una serie di misure volte a ridurre drasticamente la spesa pubblica – dai tagli ai ministeri a quelli, socialmente molto più sensibili, ai sussidi al carburante – che hanno suscitato un’ondata di proteste che potrebbero evolvere in una “primavera” sudanese. L’impressione che il venir meno delle rendite petrolifere sia stata invece gestita con minori ripercussioni dal Sud, tuttavia, potrebbe rivelarsi una tragica illusione. Il governo si è infatti privato di una rendita che copriva il 98% della spesa pubblica, e che costituiva l’84% del Pil. Il Sud Sudan starebbe quindi camminando su un baratro più profondo di quanto non si pensi. Le riserve di valuta 1 Proprio l’importo delle tariffe di trasporto era ed è ancora al centro della controversia, ma il Sudan aveva iniziato a confiscare interi carichi di petrolio come pagamento in natura per le tasse che, a suo dire, il Sud avrebbe evaso. Le opinioni espresse sono strettamente personali e non riflettono necessariamente le posizioni dell’ISPI. (*)Giorgio Musso insegna Storia dell’Africa all’Università degli Studi di Genova. 2 ISPI - Commentary estera, se le previsioni della Banca Mondiale dovessero rivelarsi corrette, potrebbero esaurirsi già a luglio, e se è vero che buona parte della popolazione sudanese vive di agricoltura e allevamento di sussistenza, pare tuttavia che la produzione locale sia sufficiente a soddisfare solamente poco più della metà della domanda interna. Per non parlare di tutti quei beni – dai materiali edili ai pezzi di ricambio – reperibili esclusivamente attraverso canali di importazione, la cui disponibilità si ridurrebbe quasi a zero. Secondo alcune fonti il governo starebbe coprendo la spesa corrente – soprattutto per assicurare gli stipendi a esercito e polizia – attraverso prestiti garantiti dai futuri introiti petroliferi, un approccio che può tamponare l’emergenza ma non è sostenibile nel medio-lungo periodo. Se a ciò si aggiungono le ingenti spese previste per la costruzione di un nuovo oleodotto – la cui lunghezza complessiva supererà i 2.000km – con sbocco al porto kenyano di Lamu, si comprende come la mancata risoluzione della questione petrolifera La ricerca ISPI analizza con il Nord possa ipotecare gravemente il futuro del nuovo Stato in le dinamiche politiche, termini di allocazione delle risorse, almeno nei prossimi cinque-dieci strategiche ed economiche del sistema internazionale anni. Un ulteriore rischio per Juba sarebbe quello di perdere anche l’altra gamba con cui si è retta negli ultimi anni, quella cioè del sostegno internazionale, in termini di appoggio politico e aiuti economici. Il Sud Sudan è nato con una forte apertura di credito da parte della comunità internazionale, Stati Uniti in testa, ma rischia di perdere la fiducia dei donatori – specialmente in un contesto di crisi economica internazionale – se non saprà mostrare una migliore gestione delle risorse a propria disposizione. La pubblica ammissione da parte del presidente Salva Kiir di un giro di corruzione pari a 4 miliardi di dollari – equivalenti a un terzo delle rendite petrolifere entrate nelle casse dello Stato dalla firma degli accordi di pace nel 2005 – è un fatto positivo perché mostra la determinazione del presidente a condurre una lotta senza quartiere all’illegalità, ma ha fatto emergere un bubbone non che sarà difficile sanare in fretta e che sempre meno governi saranno disponibili a finanziare. Il 2 agosto scade la scadenza ultima fissata dal Consiglio di Sicurezza dell’Onu per la conclusione dei colloqui di Addis Abeba. Sudan e Sud Sudan camminano entrambi su un crinale estremamente pericoloso: o ne usciranno insieme, oppure potremmo assistere simultaneamente a una “primavera sudanese” e al più rapido fallimento di uno Stato nella storia moderna. con il duplice obiettivo di informare e di orientare le scelte di policy. I risultati della ricerca vengono divulgati attraverso pubblicazioni ed eventi, focalizzati su tematiche di particolare interesse per l’Italia e le sue relazioni internazionali. Le pubblicazioni online dell’ISPI sono realizzate anche grazie al sostegno della Fondazione Cariplo. ISPI Palazzo Clerici Via Clerici, 5 I - 20121 Milano www.ispionline.it © ISPI 2012