La sfida della Riforma del Terzo Settore

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La sfida della Riforma del Terzo Settore
La sfida della Riforma del Terzo Settore
Prima parte del percorso
GRUPPO DI LAVORO 1 – I NUOVI SOGGETTI GIURIDICI E LE ODV E LE APS
Uno sguardo all’impianto della proposta di Legge Delega
Da una prima valutazione della legge delega, sotto il profilo del riordino della disciplina, l’obiettivo1 appare
quello di andare a toccare tutto ciò che normativamente riguarda il Terzo settore, dalla disciplina civilistica
(lo zoccolo duro - che dal ’42 ad oggi ha disciplinato associazioni, fondazioni e comitati), alla legislazione
speciale che dagli anni ’90 ha caratterizzato la produzione normativa del Terzo settore.
La definizione di terzo settore
All’interno del gruppo di lavoro è emersa la necessità di individuare una specifica definizione di “enti di terzo
settore” trasformando tale espressione di origine sociale in un vero e proprio concetto giuridico.
In tutti i gruppi di lavoro, è risultata subito evidente la difficoltà di individuare i confini e le caratteristiche
dei soggetti giuridici coinvolti (es. sulle fondazioni il testo non riporta alcun passaggio, gli enti di terzo
settore possono anche essere impresa sociale o chi è impresa sociale è anche ente di terzo settore? Le
cooperative sociali sono enti di terzo settore?).
Negli artt. 1 e 2 del Disegno di Legge delega di Riforma del Terzo Settore, vengono individuati due macroobiettivi:
-
Riordino e semplificazione della disciplina generale del Terzo Settore;
-
Codice unico del Terzo Settore;
Come si vedrà più avanti, la declinazione di questi obiettivi è di assoluta importanza per delineare una
Riforma organica e coerente anche in relazione alla riordino del sistema fiscale.
Da dossier parlamentare del 31 marzo 2015: l’obiettivo è così sintetizzato: Obiettivo del provvedimento, è, da un lato,
quello di introdurre misure per la costruzione di un rinnovato sistema che favorisca la partecipazione attiva e
responsabile delle persone, singolarmente o in forma associata, per valorizzare il potenziale di crescita e occupazione
insito nell'economia sociale e nelle attività svolte dal settore, anche attraverso il riordino e l'armonizzazione di incentivi
e strumenti di sostegno; dall'altro, quello di uniformare e coordinare la disciplina della materia caratterizzata da un
quadro normativo non omogeneo e di aggiornarlo alle mutate esigenze della società civile.
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Lo strumento per attuare il riordino è il codice del terzo settore: l’intento è quello di arrivare ad una
disciplina unitaria che racchiuda tutti gli aspetti civilistici e fiscali del Terzo Settore;
I partecipanti hanno espresso il timore che il disegno di legge abbini al riordino della disciplina del Terzo
Settore, quello della riforma del welfare, o meglio, dell’individuazione di un nuovo soggetto che sia di
riferimento per la pubblica amministrazione nella realizzazione delle politiche sul welfare.
In altre parole, l’impressione è che questa legge, in qualche maniera, preparerà le basi per la costruzione di
soggetti atti ad intervenire con maggiore efficacia e forza (economica), sui grandi default delle politiche
italiane ai servizi.
Un conto, però, è capire l’autonomia e lo sviluppo delle associazioni e degli altri soggetti senza fini di lucro,
un altro, invece, è capire dove lo Stato vuole indirizzare questo mondo rispetto ai bisogni che sono ormai
“ceduti” al Terzo settore.
Il concetto di “Enti di terzo settore”, quindi, non deve essere pensato in alternativa allo Stato, ma come
strumento a disposizione nel nostro Paese per rispondere alle esigenze dei cittadini.
Tale impostazione del Legislatore, rafforza l’idea che questa legge abbia una natura ibrida e che voglia, in
realtà, individuare dei soggetti di tipo A (enti di terzo settore) ed altri di tipo B (gli altri soggetti senza fini di
lucro) col forte rischio quindi di indebolire i corpi intermedi della nostra società.
Cosa si deduce:
1. Non è chiaro “chi è dentro” e “chi è fuori”;
2. “Chi è fuori”, cosa ha di meno rispetto a “chi è dentro”? Questo punto è estremamente delicato
perché tocca due ulteriori aspetti costituzionalmente rilevanti:
a. L’autodeterminazione e i principi di libertà del cittadino
b. La sproporzione nell’accesso ai benefici fiscali (tra “chi è dentro” e “chi è fuori”).
Proposte
1. Desta preoccupazione il coordinamento tra i vari decreti delegati:
- c’è la “scommessa” del codice unico del terzo settore;
- i decreti hanno molte interconnessioni e il timore di sovrapposizioni e confusioni è elevato.
Presidiare l’attuazione della legge delega cercando di garantire il coordinamento tra i vari decreti delegati.
2. Il disegno di legge non deve perseguire due obiettivi: ridisciplinare il Terzo Settore e riformare il welfare;
è necessario focalizzare gli sforzi sulla Riforma del III settore, separandola dalla problematica del welfare.
Un conto è armonizzare, ridefinire il Terzo Settore, un altro è costruire le basi per tentare di definire gli
strumenti che possano incidere nel welfare 2.0, o welfare “nuovo”.
3. Dai gruppi emerge la necessità di tenere disgiunto dal dibattito sulla riforma del Terzo Settore quanto
articolato sino ad oggi sull’impresa sociale.
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La necessità di una definizione
Tutti i gruppi di lavoro hanno espresso una forte difficoltà nell’avere riferimenti (nella bozza di legge delega
non ci sono) che consentano una qualificazione dei soggetti. Tale riflessione tocca la sistematicità dell’attuale
assetto normativo della disciplina degli ENP.
A partire dall’attuale quadro legislativo (molto poco omogeneo), infatti, è opportuno chiarire gli istituti
coinvolti nella riforma, i presupposti comuni di natura civilistica (Associazioni, Fondazioni e Comitati) e quelli
della legislazione speciale. La definizione di ENP, infatti, passa attraverso la disciplina civilistica, quella
speciale, per poi terminare in quella fiscale.
In particolare, l’attenzione va soprattutto su quest’ultimo aspetto, perché in questi anni l’impianto normativo
definitorio dei soggetti senza fini di lucro sconta una sorta di subalternità rispetto al sistema fiscale.
La scelta civilistica nasce dall’approccio fiscale.
Si ritiene assolutamente necessario ritornare al principio della tutela delle motivazioni che spingono i
cittadini ad attivare nuovi Enti, in modo tale che questi non sorgano in funzione delle agevolazioni fiscali.
Finora, infatti, la disciplina fiscale ha prevalso sullo scopo degli ETS, che invece dovrebbe risultare prevalente.
Paradossalmente si potrebbe ipotizzare di invertire il ragionamento e predisporre una fiscalità diversa, in
relazione solo all’attività e non alla soggettività.
L’impianto della Legge delega, in questo senso, non dà garanzia di organicità. Si prevede, infatti, un intervento
sul Libro I codice civile e sulla legislazione speciale.
Indubbiamente, se da un lato il piano civilistico può condurre ad una ricognizione degli elementi essenziali,
(l’origine privata e l’assenza di finalità lucrative), più complesso invece appare l’ulteriore problema di definire
gli Enti del Terzo settore.
Nell’attuale disciplina del Terzo Settore, il codice civile riveste un ruolo marginale mentre, al contrario, deve
tornare ad esserne il fulcro.
Dopodiché, bisogna capire dove vuole tendere la Riforma, anche in relazione alle leggi speciali.
Il testo della legge delega non è chiaro e ad una lettura attenta, pare individuarsi il seguente sistema:
-
Un primo intervento sulla disciplina civilistica che riguarda Associazioni, Fondazioni e altri enti senza
scopo di lucro;
-
Un secondo intervento che richiama gli Enti del terzo settore come ulteriore categoria.
A ciò si accompagna la previsione che, agli Enti del Terzo Settore che svolgono attività solidaristica e di
interesse generale (la cui individuazione è demandata ai decreti delegati) vengano riconosciute le
agevolazioni fiscali.
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Testo unico del Terzo Settore: non ce la faranno mai.
Si ipotizza un T.U. del Terzo Settore, introducendo quindi un sistema speciale, diverso dalla disciplina di
riordino del c.c., con la volontà di andare ad individuare alcuni soggetti che rientrano:
- nel Libro primo
- nel Libro 5° come le società cooperative, ma che fanno attività di utilità sociale e che oggi sono divise in
numerose leggi.
Proposte
Un obiettivo importante sarebbe quello di riuscire a definirsi non più in negativo e cioè come “non profit”,
ma bensì in positivo come “for benefit”. Si tratterebbe di un’inversione di prospettiva e, quindi, di un
riconoscimento di pari dignità al Terzo settore che non godrebbe più di agevolazioni, ma semplicemente di
una “fiscalità differente”.
La svolta più radicale sarebbe quella di individuare dei caratteri base essenziali a cui poi ricollegare le
agevolazioni. Questi potrebbero essere gli elementi essenziali civilistici:
A) origine privata: costituzione libera del soggetto senza fini di lucro;
B) assenza di scopo di lucro: divieto di distribuzione di utili, ma con possibilità di svolgere attività economica;
su questo punto si è aperto un importante dibattito nel gruppo della fiscalità in merito ad una maggiore
definizione del concetto di “assenza di scopo di lucro” utile a eliminare il duplice binario di determinazione
dei soggetti stessi tale per cui il soggetto sia eventualmente “discutibile sul piano solamente civilistico.
C) attività di interesse generale: gli effetti dell’attività producono “benefici” per la collettività.
Una volta individuati i caratteri peculiari di questi singoli punti, potranno essere riconosciute delle
“dimensioni meritorie” a cui attribuire benefici (diretti/indiretti).
A tal proposito, si potrebbe utilizzare come discrimine il criterio misto dato dalla definizione da un lato delle
caratteristiche che conferiscono la natura soggettiva dell’ente, e dall’altro dall’individuazione di una scala
di merito basata sulla natura del soggetto e/o sull’attività; questo darebbe la tranquillità su chi può essere
Ente di Terzo Settore e godere dei relativi benefici operando su una scala di valori in termini meritori.
Indubbiamente, si tratta di non ridurre il tutto alla mera definizione delle attività per evitare la scia negativa
derivante dall’esperienza della L. 460/97.
Il riordino di OdV e APS
Prima ancora di entrare nel merito del significato di armonizzazione tra L. 266/91 e L. 383/2000 sarà
opportuno interrogarsi, alla luce del quadro delineato dalla riforma del terzo settore (i) su quale sia la
funzione delle due leggi speciali richiamate nel quadro generale della riforma; (ii) se sussistano ancora i
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bisogni a cui esse storicamente hanno risposto e, in caso di risposta affermativa, (iii) se queste due figure
siano ancora in grado di rispondervi.
Quindi, ha ancora “senso” parlare di ODV, quale organizzazione formata da volontari (gratuità) per
rispondere a un’esigenza della comunità (terzietà) con spirito solidaristico (solidarietà) e di APS, quale
organizzazione formata da volontari (non in forma esclusiva) che a partire da proprie istanze sviluppa
proposte (utilità sociale) e crea soluzioni per la comunità?
I punti di vista emersi nel dibattito dei gruppi sono stati diversi, da un parte, è stata sottolineata la labilità dei
confini tra le caratteristiche e funzioni di questi due soggetti a sostegno quindi di un superamento della
dicotomia tra ODV ed APS, dall’altra, è stata invece sostenuta l’inconciliabilità dei bisogni a cui ODV e APS
rispondono con la conseguente necessità di mantenere la distinzione tra attività solidaristiche e
mutualistiche.
Il dibattito, pertanto, richiederà ancora un confronto approfondito e meditato che sarà possibile, tuttavia,
solo dopo aver delineato con maggior chiarezza il quadro degli enti di terzo settore contenuto nella riforma.
Inoltre, a valle di quanto sopra, e quindi solo dopo aver chiarito ruoli, definizione e tratti distintivi dei due
soggetti in esame ci si potrà interrogare se sussistono e quali sono gli elementi caratterizzati che possano
eventualmente “giustificare” il riconoscimento ai medesimi - all’interno della più ampia categoria degli enti
di terzo settore - di maggiori benefici fiscali e di sostegno economico.
Altri elementi specifici
Attività solidaristiche
Se si vuole procedere, come appare dal testo del DDL, a specificare quali attività possono essere qualificate
“solidaristiche”, si ritiene opportuno definire le specifiche caratteristiche, dai principi costituzionali ai
caratteri specifici. Questa definizione è collegata a quella di interesse generale, in quanto lo si consegue nel
momento in cui l’associarsi diviene strumento di promozione e di attuazione dei princìpi di partecipazione
democratica, solidarietà, sussidiarietà e pluralismo.
Da un lato irrinunciabile è l’aspetto della terzietà che caratterizza la solidarietà, distinguendola dai fenomeni
mutualistici, anch’essi disciplinati da sempre nel nostro ordinamento. In qualche modo però questa
dicotomia deve essere superata, poiché anche alcune forme di mutualità devono esser riconosciute e
agevolate. La scala dei valori meritori può partire da una declinazione dell’attività di solidarietà.
Organizzazione e amministrazione
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Quanto può un atto normativo incidere sull’organizzazione e l’amministrazione di un ENP? Esistono limiti
invalicabili di autodeterminazione di questi due aspetti? Quali elementi relativi all’organizzazione e
all’amministrazione possono essere utili da normare? Governance e rendicontazione sociale (che valorizzi in
particolare principi di trasparenza, legalità e partecipazione) restano dei nodi scoperti.
Occorre, nella definizione di questi elementi, che sia tutelato il principio della libera e autonoma iniziativa dei
cittadini, premiando però chi attua sistemi virtuosi.
Valorizzazione degli Enti in sede di Programmazione locale
Ad oggi, altre normative, consentono agli ENP di partecipare alle programmazioni territoriali; si tratta di
valutare quali aspetti si possono prevedere in ragione di una più incisiva partecipazione alle scelte
programmatoria, soprattutto in materia di politiche sociali (vd. Partecipazione ai PdZ).
Indubbiamente è richiesta una modifica totale dei rapporti con la PA, in termini di condivisione delle scelte
di politica sociale sui territori; tale modifica però non può che passare dalla normativa in tema di assistenza
sociale, ora competenza esclusiva delle Regioni.
Riconoscimento giuridico
Il sistema ancora oggi soffre ancora il carattere concessorio del riconoscimento; la modifica di tale aspetto
ha ragione di essere indirizzata verso la semplificazione da un lato e verso la tutela dell’autonomia dell’Ente
dall’altro; questi devono essere i presupposti per questa riformulazione dell’Istituto.
L’unico vero problema del Decreto sul riconoscimento giuridico è che sia troppo vincolante il rapporto tra
patrimonio netto e situazione debitoria.
Il riconoscimento giuridico in una società così evoluta come è la nostra, rispetto ai beni sociali prodotti dal
no profit, non è quello di 70 anni fa che era pensato sulle fondazioni, perché era giocato sul rendere eterno
lo scopo, quindi in realtà era pensato esattamente al contrario: si aveva l’obbligo di riconoscere le fondazioni
perché almeno avevano una natura ontologica reale che era quella di destinare un patrimonio ad uno scopo.
Destinando un patrimonio ad uno scopo, mi garantivo anche la controllabilità da parte dell’autorità del
potere esecutivo sul fatto che il patrimonio non cadesse nella “mano morta”.
Il riconoscimento giuridico di oggi è quello che toglie la paura, la preoccupazione dei nostri amministratori
dei danni a terzi che non si coprono solo con delle buone assicurazioni a volte perché, tra franchigie e rischi,
c’è un po’ di tutto.
Proposte
Si chiede di semplificare le procedure e di accorciare i tempi collegati a questo procedimento amministrativo;
cercando di avvicinarlo per analogia al sistema in vigore per le società In merito al riconoscimento giuridico,
bisogna passare da un regime concessorio ad un sistema di legittimità.
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Associazioni di secondo livello
Così come è avvenuto con il concetto di “enti terzo settore”, la legge delega mutua un’altra espressione di
uso comune nell’ambito degli enti non profit fino ad oggi priva di definizione normativa ossia le “associazioni
di secondo livello”.
Legittimare e normare l’esistenza delle associazioni di secondo livello servirà a dare maggiori certezze circa
gli ambiti di operatività di questi soggetti e le normative ad essi applicabili. In particolare si auspica che venga
prevista la possibilità di estendere a tali enti l’iscrizione nei medesimi registri a cui afferiscono le associazione
di primo livello che li compongono e a favore delle quali svolgono la propria attività.
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