omero - GRAMMATEION

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omero - GRAMMATEION
Introduzione alla lettura dei poemi omerici
Integrazione alle pagine del libro di epica
E. Cantarella Meravigliosamente-Mito Epica, Einaudi Scuola
La questione omerica
Fino all'età ellenistica (il periodo storico e culturale che si fa iniziare nel 323 a.C., con la
morte di Alessandro Magno), in Grecia era opinione comune che Omero fosse un poeta
realmente vissuto e avesse composto l'Iliade e l'Odissea.
Cominciò il filologo Zenodoto (IV-III sec. a.C.) a mettere in dubbio questa opinione,
seguito da Ellanico e Xenone, i quali sostennero che solo l'Iliade fosse di Omero, mentre
l'Odissea sarebbe stata composta da un poeta anonimo vissuto un centinaio di anni dopo.
Nasceva così la teoria dei χωρίζοντες, i separatisti., e con questo approccio critico ai
poemi nacque la cosiddetta “questione omerica”, con un dibattito tra gli studiosi che
ancora continua.
I termini essenziali della questione sono:
1. se Omero sia realmente esistito;
2. se i due poemi siano entrambi di un solo autore;
3. quando e in che modo siano stati composti;
4. se i due poemi siano nati in forma unitaria, così come li leggiamo noi, o si siano
formati nel tempo.
Dissentiva dalle opinioni dei separatisti il filologo Aristarco di Samotracia (III-II a.C.), che
invece riteneva i due poemi entrambi opera di Omero. Anche l’autore anonimo del Sublime
(critica letteraria del I sec. d. C.) pensava che entrambe le opere fossero di Omero, l'Iliade
della giovinezza, l'Odissea della vecchiaia.
Per tanti secoli non si parlò più della questione dell’attribuzione dei due poemi, finché non
venne ripresa nel Seicento, senza poter comunque giungere a una conclusione definitiva.
I critici si divisero tra coloro che ritenevano che i due poemi non fossero frutto dell’estro di
un solo poeta (antiunitari/analitici) e quelli che difesero l’origine unitaria dell’’Iliade e
dell’Odissea (unitari).
I critici antiunitari o analitici
A riaprire la “questione” nell'età moderna fu un abate francese, François Hédelin
d'Aubignac, che si dedicò allo studio dell’Iliade, arrivando alle conclusioni che si trattasse
di un insieme di canti popolari, ordinati da un abile raccoglitore e che per questo Omero
non fosse mai esistito. Allo stesso risultato giunse anche Giambattista Vico, che nella
seconda edizione dei Princìpi di scienza nuova (1730), nel terzo capitolo dedicato alla
Discoverta del vero Omero, dimostrò che il poeta non era un personaggio reale, ma il
simbolo della poesia greca dell'età eroica, espressa in canti composti da diversi poeti
anonimi.
Furono però gli studi filologici di Friedrich August Wolf a dare impulso al dibattito tra gli
studiosi.
Wolf, nel saggio Prolegomena ad Homerum (1795), partendo dal presupposto che la
scrittura nel IX sec. a.C. fosse sconosciuta e che sarebbe stato impossibile tramandare a
memoria i 28.000 versi dei due poemi, formulò la teoria dell'esistenza di molti canti,
trasmessi per via orale e mnemonica da aedi e rapsodi e riuniti al tempo di Pisistrato, da
una commissione di dotti, che ne fissò il testo per iscritto intorno al motivo da una parte
dell'“ira di Achille”, dall'altra del “ritorno di Ulisse”. Questa teoria, che sostituiva a Omero
una serie di oscuri anonimi cantori, venne accolta favorevolmente dalla critica romantica,
perché rimandava a un'origine popolare e spontanea della poesia.
Tale indirizzo critico antiunitario venne ripreso da molti filologi che arrivarono a
sezionare i due poemi per individuare i diversi canti singoli di cui erano composti.
L’analisi dettagliata dei due poemi aveva posto in luce numerose incongruenze nel
racconto, nello stile e nella lingua usata (i cosiddetti scandali analitici). Un caso eclatante è
quello del re Pilemone, ucciso nel V libro dell’Iliade da Menelao e disperato per la morte
del figlio, nel XIII libro dello stesso poema.
Questo studio analitico provocò la reazione dei critici unitari che invece individuavano un
filo conduttore nell'Iliade e nell'Odissea che crea nei due poemi un’omogeneità.
L'esistenza di canti primitivi non pregiudica l’esistenza di un poeta che li ha raccolti in un
racconto organico, reso da lui generalmente unitario e omogeneo, grazie al suo estro
artistico e alle sue capacità. È possibile che questo poeta, almeno per l’Iliade, sia proprio
Omero.
La critica oralistica
Mentre unitaristi e analitici dibattevano sull’esistenza di Omero, attraverso l’esame dei
due poemi, che venivano studiati con gli stessi criteri con cui si studiano le opere
moderne, a partire dal 1928 il filologo statunitense Milman Parry e i suoi collaboratori,
diedero un grande contributo allo studio dei poemi, arrivando a una importante
conclusione: l’Iliade e l’Odissea sono poemi composti oralmente.
Tale teoria si fonda su un approfondito esame del testo, che parte
dallo studio dell’esametro (il metro recitativo con cui sono composti i poemi epici greci),
dall’analisi dei meccanismi narrativi presenti nei due poemi, e
dalla loro comparazione con testi poetici che ancora nel Novecento venivano composti e
ricordati oralmente nelle zone rurali della Serbia, in territori quindi vicini alla Grecia.
Grazie a questi studi trovarono che i poemi omerici presentano elementi tipici della
composizione orale.
Quali sono questi espedienti che indussero a pensare che l’Iliade e l’Odissea fossero state
composte oralmente?
-la presenza di epiteti posti in posizioni chiave all’interno del verso (gli epiteti sono
sostantivi, aggettivi o locuzioni che determinano un nome, usati come apposizioni e
attributi, come p. es. il piè-veloce Achille, Odisseo eccelso che molto sa sopportare; concave navi),
-la ripetizione di formule fisse ed espressioni-tipo con schema metrico definito e costante.
Questi aspetti vengono raggruppati sotto il nome complessivo di formularità o sistema
formulare.
La fomularità consiste proprio nella ripetizione di interi versi o di parti di versi in
situazioni ricorrenti (sacrifici, banchetti, introduzioni di discorsi diretti ecc.) o in passaggi
narrativi di tipo temporale, come il sorgere dell’aurora.
A questo proposito è significativo fare un confronto tra i testi omerici e Le Argonautiche,
poema epico composto dal poeta Apollonio Rodio completamente per iscritto nel III sec.
a.C.. Mentre nei due poemi composti in forma orale il termine aurora ricorre 27 volte con lo
stesso epiteto (ῥοδοδάκτυλος, dalle dita di rosa) e si trova ripetuto per ben 22 volte in un
verso interamente formulare (quando apparve l’aurora dalle dita di rosa), nell’opera di
Apollonio Rodio l’inizio di un nuovo giorno è sempre rappresentato in modo diverso.
Qual è la funzione della formularità? La formularità può essere considerata, anche se non
esclusivamente, un espediente mnemotecnico che serviva al compositore e al cantore
(aedo e rapsòdo) per creare e recitare i versi, aiutandosi con il ricordo di un repertorio più
o meno fisso di formule o epiteti da collocare in un determinato punto della narrazione o
all’interno di singoli versi.
Come abbiamo già visto nel lavoro interdisciplinare sul valore della letteratura, gli aedi e i
rapsodi erano figure di grande rilievo nella società interamente orale del Medioevo
ellenico, spesso ciechi perché avevano una seconda vista, quella interiore, che li poneva
direttamente in contatto con il mondo divino, di cui erano tramite. Erano i custodi della
memoria storica, culturale e morale di tutto il popolo e venivano grandemente rispettati,
perché depositari di un sapere trasmesso direttamente dalle divinità (Apollo e le Muse)
ispiratrici della poesia. A tale proposito leggiamo i versi dell’Odissea dedicati all’aedo cieco
Demòdoco (Od.,VIII,62/64-73/75-83/92):
Intanto l'araldo arrivò guidando il gradito cantore,
che la musa amò molto, ma un bene e un male gli dava:
degli occhi lo fece privo e gli donò il dolce canto...
La Musa ispirava il cantore a cantar glorie d'eroi,
un fatto, del quale allora la fama al cielo vasto saliva,
la lite tra Achille Pelide e Odisseo...
Questo cantava il cantore glorioso; e Odisseo
il gran manto purpureo afferrando con le mani gagliarde,
lo tirò sulla testa, la bella fronte nascose
ché dei Feaci aveva pudore a versar lacrime sotto le ciglia.
Quando cessava il canto il cantore divino,
asciugando le lacrime toglieva il manto dal capo,
e alzava la duplice coppa e libava agli dei:
ma quando ricominciava e lo spingevano al canto
i re dei Feaci, che ai suoi racconti godevano,
ancora Odisseo, coprendosi il capo, gemeva.
(Traduzione di Rosa Calzecchi Onesti)
E ancora (Od. VIII, 479/481):
per tutti gli uomini sulla terra i cantori
son degni d’onore e rispetto, perché la Musa
insegnò loro i canti; ella ama i cantori.
(Traduzione di Rosa Calzecchi Onesti)
Abbiamo detto che la formularità non è solo un mezzo utile al cantore per riportare alla
memoria poemi così estesi, ma va considerato il metodo più adatto per catturare
l’attenzione degli ascoltatori nel corso della narrazione. A questo scopo svolgeva una
funzione essenziale l’uso dell’esametro, il verso recitativo usato nell’epica greca che, con la
sua regolarità cadenzata e l’uso di determinate formule in precisi contesti narrativi, creava
un rapporto empatico, cioè di coinvolgimento emotivo tra l’autore-cantore e il pubblico.
Chi assisteva a una recitazione così lunga aveva bisogno di punti di riferimento costanti
che ne catturassero l’attenzione e riuscissero a coinvolgerlo trasmettendogli emozioni. La
ripetitività è infatti una delle principali caratteristiche della composizione e della
trasmissione orale, perché consente di tener desta l’attenzione di chi ascolta, dandogli la
possibilità di non perdersi nei meandri della narrazione, benché non sia provvisto di un
testo scritto.
La teoria di Parry non fu subito presa in considerazione, anche a causa della scomparsa
dello studioso statunitense nel 1935, quando aveva appena 33 anni. Solo negli anni
Sessanta del Novecento venne riscoperta e da allora è considerata un punto fermo
imprescindibile per ogni studio sull’Iliade e l’Odissea.
Chi era allora Omero?
A questa domanda non è possibile rispondere univocamente. Non è possibile affermare se
sia esistito veramente, se fosse di Chio, di Smirne, Colofone, Itaca , Atene, o di una delle
altre città che si contendevano i suoi natali. Così come non si può sapere con certezza se
Omero sia un nome letterario che ha ricoperto quello degli anonimi aedi e rapsodi, che
nelle colonie ioniche dell’Asia Minore, dove il livello culturale era più elevato, e nelle altre
aree della Grecia, fecero nascere e crescere l’epos arcaico.
Il suo nome parlante farebbe propendere per questa seconda ipotesi:
Ὅμηρος è stato variamente interpretato, partendo da un’etimologia diversa;
c’è chi lo fa derivare da ὁ μὴ ὁρῶν = colui che non vede; cieco, come venivano
rappresentati gli aedi;
altri pensano che derivi da ὅμηρος, ostaggio, perché la tradizione ricorda che Omero per
un periodo della sua vita aveva perso la libertà;
altri ancora pensano al verbo ὀμηρεῖν, nel senso di incontrarsi nelle feste in cui i poemi
venivano recitati.
Valore storico-culturale dei poemi
Abbiamo visto che la civiltà in cui vissero i primi cantori si esprimeva in forma totalmente
orale, almeno per tutto il Medioevo Ellenico (inizio XII-metà VIII sec. a.C.), fino
all’introduzione in Grecia dell’alfabeto fenicio opportunamente modificato, le cui prime
testimonianze risalgono proprio alla metà dell’VIII sec.a.C.. Nel libro di epica si parla
infatti dell’iscrizione della cosiddetta coppa di Nestore, trovata a Pithecussai (Ischia) e
databile al 725 a.C. circa, come una delle prime attestazioni dell’alfabeto greco (scritta da
destra a sinistra, come nelle lingue semitiche).
I poemi epici, sicuramente presenti in numero maggiore rispetto a quelli a noi pervenuti,
erano i veri testi di cultura della civiltà del Medioevo Ellenico, in cui tutta la società si
rispecchiava:
nell’aspetto militare e religioso, con i riti sacrificali e le preghiere, soprattutto nell’Iliade,
in quello politico, sociale ed economico più chiaramente nell’Odissea.
Gli aspetti meno pubblici della società, come il mondo dei bambini e della natura,
appaiono invece rappresentati con grande immediatezza nelle similitudini, come vedremo
nel corso della lettura dei poemi (per esempio, Il.,VI,145-149 e XVI,8-15).
E’ comunque importante puntualizzare che i compositori dei poemi epici non si ponevano
di fronte alla materia da cantare come i moderni scrittori di narrativa. Non sentivano
l’esigenza di restare fedeli alla realtà storica che faceva da sfondo alle vicende narrate.
Perciò, anche se l’Iliade e l’Odissea sono ambientate nell’età del bronzo, alla fine del II
millennio (intorno al 1200 a.C.), non dobbiamo aspettarci di ritrovare nei due poemi
elementi esclusivi della società achea, ma, come in uno scavo archeologico, è necessario
discernerne questi dati da quelli più recenti, a cui si mescolano come reminiscenze
culturali giunte ai cantori dell’età del ferro attraverso il mito che tramandava le gesta
eroiche degli avi.
All’epoca achea sono da attribuire le armi in bronzo, soppiantate da quelle in ferro
all’arrivo dei “popoli del mare”e dei Dori, lo scudo “a torre” di Aiace, la spada istoriata con
chiodi d’argento, l’elmo di Merione decorato con zanne di cinghiale.
Nei poemi non viene invece apprezzata la differenza tra l’ἄναξ (wanaka delle tavolette in
lineare B) e il βασιλεύς: i due termini sono usati indifferentemente per indicare il principe
a capo delle monarchie achee. I carri da guerra servono per portare gli eroi fino al campo
di battaglia, ma non si usano nel combattimento perché si è perso il ricordo di questa
tecnica bellica. Spesso i morti vengono sepolti secondo il rito della cremazione, mentre in
età micenea si preferiva l’inumazione. Nei poemi non si accenna all’esistenza della
scrittura, presente in età achea (lineare B).
Nei due poemi sono dunque confluiti dati di epoche diverse, secondo un criterio
anacronistico che accosta elementi antichi con altri più recenti, costituendo
un’enciclopedia tribale, secondo la definizione di Havelock, deposito di tutti i contenuti
culturali della civiltà che li ha creati. Già il filosofo Platone aveva rilevato questa vastità di
argomenti. Diceva che è impossibile abbracciare e conoscere tutte le discipline contemplate
nelle opere di Omero.
L’Iliade e l’Odissea non rivestono allora solo un indiscutibile valore letterario, perché sono
tuttora capaci di affascinare e coinvolgere il lettore emotivamente, ma vanno considerati
importanti fonti di conoscenza di un mondo di cui altrimenti conosceremmo solo dati
desunti dai ritrovamenti archeologici o da fonti più recenti.
Per individuare i valori e gli aspetti sociali, religiosi e politici peculiari del mondo omerico
ci serviremo dell’aiuto del manuale di storia.
Ricordiamo ora alcune tematiche che andremo ad approfondire con la lettura dei poemi:
La concezione eroica della vita- ricerca dell’onore (τιμή) e della gloria (κλέος).
La cultura della vergogna- il senso del decoro e la preoccupazione per l’opinione dei
propri simili (αἰδώς).
L’equiparazione tra appartenenza sociale, doti fisiche e doti morali- il concetto di
καλοκἀγαθία: l’aristocratico è in genere bello e quindi buono, nel senso di valoroso
(καλὸς καὶ ἀγαθός), ma ci sono le eccezioni
Il culto dell’ospite : l’ospite è sacro a Zeus e il legame di ospitalità(ξενία)resta valido
anche per i discendenti
Il ruolo delle donne nella società
L’antropomorfismo delle divinità
La funzione delle Moire
Bibliografia:
L.E. Rossi I poemi omerici come testimonianza di poesia orale in R. Bianchi Bandinelli (a
cura di) Storia e civiltà dei Greci, Bompiani
G. Guidorizzi Il mondo letterario greco, Einaudi scuola
AA.VV. Έλληνικά, Paravia
Le immagini della coppa di Nestore sono tratte da Wikipedia