1 rassegna stampa lunedì 10 settembre 2012

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1 rassegna stampa lunedì 10 settembre 2012
Federazione ittaalliiaannaa bancari e assicuurativi
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RASSEGNA STAMPA
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10 SETTEMBRE 2012
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 Dal fisco al Pil l’Italia si allontana dalla Ue .......................................................... 3
 Borse tra euforia e rischi ......................................................................................... 5
 Fiato sospeso nella Ue per il verdetto sul fondo-salva Stati ................................ 7
 Borse dei Brics in forma anche se la crescita frena ............................................. 8
 Lagarde: Fmi pronto a intervenire .......................................................................... 10
 «Ma se non si rilancia l’occupazione i populismi avranno gioco facile» ............ 11
 Così la crisi della moneta mette a rischio la sicurezza ........................................ 12
 Dossier anti-debito, Grilli accelera «Cessioni anche sopra l’1% del pil»............ 14
 «La lotta contro la corruzione fa crescere il reddito di un Paese» ..................... 15
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Rassegna Stampa del giorno 10 Settembre 2012
Comunicato di informazione a cura della Federazione Italiana Bancari e Assicurativi
Tribunale di Roma - Registro della stampa n. 73/2007
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 “Se la Bce diventa il direttorio segreto che governa l’Europa” ........................... 16
 L’euro in mano a 8 saggi la parola alla Corte tedesca ......................................... 18
 Monti: “La Troika non verrà a Roma
no a nuove condizioni per l’anti-spread” ............................................................ 19
 “La corruzione toglie all’Italia tra il 2 e il 4% del reddito” ................................. 20
UN AFORISMA AL GIORNO
a cura di “eater communications”
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*il Sole 24ORE*
LUNEDÌ, 10 SETTEMBRE 2012
di: Andrea Biondi
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GLI ALTRI «SPREAD»
Dal fisco al Pil l’Italia
si allontana dalla Ue
A confronto il trend di 22 indicatori economici: solo in quattro casi facciamo meglio
dell'eurozona
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Indietro quasi su tutto. E in un quadro che, progressivamente, va peggiorando. Che si tratti di dati economici,
commercio mondiale, conti pubblici, mercato del lavoro, energia o credito, l'immagine riflessa dalle
elaborazioni del Centro studi Sintesi su dati Eurostat, è quella di un'Italia che non solo arranca, ma che perde
terreno rispetto alla media dei Paesi dell'area euro.
Due dati su tutti. Il primo: solo in quattro casi su 22 gli indicatori presi in esame vedono in vantaggio l'Italia.
Fra questi c'è la variazione dell'export oltre che il rapporto deficit-Pil, "piegato" dalle cure per raddrizzare i
conti pubblici. Il secondo dato è indicativo di come la distanza con i 17 Paesi dell'area euro si stia allungando:
per 13 di questi 22 indicatori il gap dell'Italia rispetto all'Eurozona è in peggioramento sia rispetto a fine 2010,
sia nel confronto con l'inizio del 2011, prima dello scoppio dell'emergenza "spread" che ha visto balzare il
differenziale fra Btp e Bund decennali tedeschi oltre i 550 punti base a novembre 2011. «Proprio lo spread
elevato e gli interventi di finanza pubblica – afferma Catia Ventura, direttore del centro studi Sintesi – hanno
condotto il nostro Paese a peggiorare su vari parametri e a scontare differenziali con il resto d'Europa».
Di certo a farne le spese è la pressione fiscale: è salita al 45% previsto per il 2012 dal 42,8% del Pil del 2010 ed
è anche aumentata più che nel resto d'Europa, visto che il differenziale fra il dato Italia e quello dell'Eurozona è
cresciuto da 2,5 a 3,4 basic points. Ma, come precisa il direttore del think tank veneto, quello cui si assiste ora è
anche «un evidente gap di performance sulla crescita e più in generale sui principali parametri che descrivono il
contesto macroeconomico».
Uno di questi è sicuramente il tasso d'inflazione, indicato nella base dati Eurostat al 3,6% nel primo semestre
2012, contro il 2,6% dell'area euro. Anche in questo caso, Italia dietro all'Eurozona e con un quadro deteriorato:
a fine 2010 c'era perfetta parità, con un'inflazione per tutti all'1,6 per cento. Ancora peggio è andata sul fronte
dell'indicatore del clima economico: l'Esi. Qui l'Italia è scesa a 83,3, contro i 99,4 di fine 2010. Ma ciò che più
colpisce è il differenziale con la media dell'area euro, esploso da -1,1 a -9,3. Senza contare che la Germania
appare lontana anni luce dall'alto del suo indicatore a quota 103,9.
È chiaro che in questo momento sulla graticola sono le prospettive di sviluppo non solo dell'Italia, ma
dell'intera Europa. Il peggioramento dei conti pubblici in vari Paesi europei e le tensioni sui mercati finanziari
si continuano a miscelare in un cocktail avvelenato che ha richiesto anche una presa di posizione forte da parte
del numero uno della Bce, Mario Draghi, costretto a mettere sul tavolo, con il piano sull'acquisto dei titoli di
Stato sul mercato secondario un bazooka antispeculazione, pronto a essere impracciato all'occorrenza. È
altrettanto vero che l'Italia sta subendo il contraccolpo più pesante tra le principali economie dell'Eurozona.
Prova ne è che le ultime previsioni della Commissione europea formulate a maggio individuano una battuta
d'arresto per il Pil italiano a fine 2012 dell'1,4%, a fronte del -0,3% dei 17 Paesi dell'area euro, con un
differenziale ben superiore agli 0,1 punti di fine 2010. Tutto questo mentre da più parti arrivano indicazioni di
una flessione del prodotto interno lordo a fine anno ben superiore al 2% (per l'Ocse -2,4%: dato peggiore fra i
Paesi del G7).
A completare il cahier de doleances ci sono il versante occupazione e l'energia. Nel primo caso la performance
dell'Italia è profondamente peggiorata nella componente femminile e giovanile della disoccupazione. In
quest'ultimo caso, le elaborazioni del Centro studi Sintesi su dati Eurostat indicano un tasso di disoccupazione
al 35,9% nel primo trimestre 2012: più elevato di 13,2 punti percentuali rispetto alla media dell'area euro. «Ed è
più che quadruplo rispetto all'8 per cento della Germania» aggiunge Ventura. Riguardo all'energia, il prezzo
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dell'elettricità per usi industriali sconta un differenziale elevatissimo: 41,2 per cento rispetto alla media dell'area
euro.
«È evidente che l'economia è peggiorata. Il necessario miglioramento dei conti pubblici – dice Marco Fortis,
vicepresidente della Fondazione Edison – ha portato a un rallentamento. Ma è stata un frenata necessaria che ha
permesso alla macchina di non deragliare. In tutto questo va evidenziato che l'Italia sta mostrando nell'export un
vero punto di forza, con un saldo record della bilancia commerciale». Dal canto suo Giacomo Vaciago,
ordinario di politica economica alla Cattolica di Milano, punta l'indice su quello che considera un peccato
originale. «Fatto l'euro – dice – ci si è dimenticati che bisognava fare l'Unione. E invece di estendere l'altrui
meglio, i Paesi hanno protetto il proprio peggio. È evidente che l'Italia ha funzionato e funziona peggio degli
altri perché ci siamo difesi fin troppo bene dall'apertura al mercato. Visto che al Governo c'è Mario Monti –
conclude Vaciago – gli propongo di far leggere a tutti i suoi ministri il "Rapporto Monti" del 2010», che
perorava la causa di una maggiore integrazione europea.
*il Sole 24ORE*
LUNEDÌ, 10 SETTEMBRE 2012
PAGINA A CURA DI Alberto Ronchetti
LA RIAPERTURA DEI MERCATI
Borse tra euforia e rischi
Dopo le mosse della Bce restano ancora le incognite di fondo
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Le Borse hanno reagito con entusiasmo, nelle ultime due sedute della scorsa settimana, al bazooka sparato dal
presidente della Bce, Mario Draghi, contro la speculazione che negli ultimi trimestri ha messo sotto pressione i
mercati finanziari europei. L'annuncio di acquisti potenzialmente illimitati sul mercato secondario dei titoli di
Stato a scadenza 1-3 anni delle nazioni europee in difficoltà è quello che gli operatori volevano sentirsi dire e la
reazione è arrivata di conseguenza.
Il rialzo dei listini azionari – e anche il restringimento dello spread – è in atto e vale la pena goderselo tutto,
almeno finchè non arriveranno i primi problemi. Già, perché – al di là dell'euforia momentanea – non bisogna
dimenticare che l'istituto centrale europeo ha posto delle «condizionalità» (sostanzialmente il rispetto di norme
stringenti per il risanamento economico) agli Stati che vorranno utilizzare il paracadute della Banca centrale,
pena lo stop agli aiuti.
Al momento i mercati hanno messo il turbo e questo potrebbe continuare fino a tutto ottobre, complici le attese
per una riconferma di Barack Obama alla guida degli Stati Uniti e le iniziative della Fed per spingere all'insù
Wall Street.
Le decisioni di Draghi sono state lette anche come un assist al presidente Usa e alla Federal Reserve, perché se
il mandato presidenziale americano si conclude con Wall Street al rialzo è più facile la rielezione dell'inquilino
uscente della Casa Bianca.
A patto, ovviamente, che nel frattempo non arrivino inciampi improvvisi, per esempio dalla decisione della
Corte costituzionale tedesca sulla costituzionalità dell'Esm, attesa dopodomani. Nessuno si aspetta una
bocciatura del fondo salva-Stati (anche se questo è l'auspicio della maggioranza dei tedeschi, che non vogliono
spendere risorse per salvare il Sud Europa), quello che i mercati guarderanno saranno le osservazioni della
Corte a proposito della congruità di eventuali futuri interventi della Germania a difesa della moneta unica.
Al di là del rimbalzo degli ultimi giorni, «i mercati finanziari nelle ultime settimane si sono messi in una fase di
attesa – afferma Maria Paola Toschi, Market strategist di J.P. Morgan Asset Management – in attesa delle
decisioni della Corte. Comunque gli effetti positivi che potrebbe avere l'approvazione del fondo da parte dei
giudici di Karlsruhe si sono già visti nella prima parte di agosto, quando ha iniziato a diffondersi l'idea di un
pronunciamento positivo che sarebbe certamente favorevole nel breve, anche se non sarebbe la fine della crisi».
La questione è semplice. Un no della Corte tedesca all'Esm (improbabile) rappresenterebbe un duro colpo alla
moneta unica e alla credibilità dei leader politici impegnati nei progetti di risanamento, mentre un sì
costituirebbe solo un tassello – importante, ma non risolutivo – nella gestione della crisi. «Certo il via libera –
continua Toschi – sarebbe favorevole per le Borse. Ma gli elementi di rischio, a partire dal destino di Spagna e
Grecia, continueranno a essere ben presenti».
Quindi, nell'approccio ai mercati azionari, sarà sempre necessaria una grande cautela. Specialmente da parte dei
retail, perché comunque i grandi investitori internazionali vedono con favore il mercato azionario europeo.
«Il nostro continente oggi è l'area più interessante dal punto di vista fondamentale – spiega Fabrizio Quirighetti,
Chief economist di Syz Asset Management – perché le ipotesi peggiori sembrano già scontate: i prezzi sono
attraenti, le valutazioni basse e la Bce può ancora tagliare i tassi».
Quindi lo spazio di rialzo, se non verranno brutte sorprese dalla Corte costituzionale tedesca, è molto ampio.
Fra l'altro il lancio dell'Esm consentirebbe di implementare le misure decise dal vertice europeo di fine giugno,
a partire dal programma di acquisto dei titoli obbligazionari dei Paesi "critici" per abbassare lo spread e
spezzare così il circolo vizioso che penalizza anche i titoli bancari quotati a Milano e in Europa.
Gli istituti di credito, un comparto percentualmente rilevante nei listini continentali (a partire da Piazza Affari),
potrebbero così continuare nell'apprezzamento dei corsi – che dai minimi di fine luglio sono già cresciuti del
40-50% – e potrebbero finalmente riprendere a dare credito al sistema. Senza scuse.
Alessandro Fugnoli, strategist di Kairos, nella sua ultima newsletter consiglia comunque «ai deboli di cuore di
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uscire adesso, almeno in parte, dai grandi rischi per ripresentarsi in scena a gennaio». Questo perché gli
appuntamenti di questa e delle prossime settimane – dal pronunciamento della Corte tedesca agli sviluppi del
piano per salvare la Grecia (ed evitare che anche Italia e Spagna ne abbiano bisogno), dal l'eventuale terzo
Quantitative easing americano all'evoluzione macro degli Usa, dai ritardi nella crescita globale al rischio di un
attacco preventivo di Israele alle postazioni nucleari iraniane – saranno altrettanti ostacoli da superare sulla via
della normalizzazione dei mercati finanziari.
*il Sole 24ORE*
LUNEDÌ, 10 SETTEMBRE 2012
PAGINA A CURA DI Chiara Bussi
LA SETTIMANA DECISIVA
Fiato sospeso nella Ue
per il verdetto sul fondo-salva Stati
Secondo le attese la Corte di Karlsruhe potrebbe dare l'ok all'Esm con alcuni «paletti»
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Il "giorno del giudizio" è fissato per dopodomani, mercoledì 12 settembre. La definizione può sembrare
esagerata, ma dalla sentenza della Corte costituzionale tedesca sull'Esm, il nuovo fondo salva-Stati della zona
euro, dipenderà il futuro della moneta unica e la sua capacità di mettersi in gioco per sopravvivere. Uno snodo
fondamentale per far funzionare il "bazooka anti-spread" messo a punto dalla Bce la settimana scorsa e poter
aprire – con oltre due mesi di ritardo sulla tabella di marcia – un paracadute per i Paesi in difficoltà. Nello
stesso giorno, poi, si tengono le elezioni anticipate in Olanda, che stando alle ultime proiezioni potrebbero
consegnare al Paese una maggioranza meno in linea con la scuola del rigore di Angela Merkel, mentre la
Commissione Ue delineerà il suo progetto di Unione bancaria, per passare alla "fase 2" dell'integrazione
economica europea. Gli otto giudici di Karlsruhe dovranno stabilire se l'Esm vìola la Costituzione tedesca come
sostengono i 37mila ricorsi inviati da singoli cittadini, un record nella storia del Paese. Un indizio nemmeno
troppo velato è stato fornito dal ministro delle Finanze, Wolfgang Schauble, che trascurando il bon ton
istituzionale si è detto «estremamente tranquillo» sul verdetto. Analisti e giuristi prevedono un ok, ma spiegano
che il semaforo verde potrebbe contenere anche alcune sfumature per ribadire il ruolo centrale del Bundestag.
«A mio avviso – spiega Enzo Balboni, docente di Diritto costituzionale all'Università Cattolica di Milano – la
Corte darà il via libera per ragioni di opportunità politica, tanto più che il Trattato sull'Esm è già stato approvato
dal Bundestag con una maggioranza di ben due terzi. Sarà una sentenza interpretativa, dove probabilmente si
sottolineerà che il nuovo strumento non vìola la Costituzione, purché non vengano compromessi i diritti
democratici fondamentali».
Tommaso Edoardo Frosini, docente di Diritto pubblico comparato all'Università Suor Orsola Benincasa di
Napoli, prevede «un giudizio con monito sul sentiero già tracciato in passato con le sentenze in materia europea
sul Trattato di Maastricht e di Lisbona. In entrambi i casi il Bundesverfassungsgericht ha sottolineato che il
Bundestag deve continuare ad avere un ruolo centrale nel pieno rispetto del principio della democrazia».
Dal punto di vista politico la strada obbligata è una sola. «Una bocciatura – afferma il capoeconomista del Diw,
Ferdinand Fichtner – avrebbe conseguenze tragiche nel lungo termine, perché la zona euro ha bisogno di un
fondo di salvataggio permanente». Una volta superato l'ostacolo di Karlsruhe l'arsenale a difesa della moneta
unica sarà così completato. L'Esm potrà raccogliere l'eredità del predecessore Efsf, con poteri allargati alla
ricapitalizzazione delle banche (ma solo dopo il via all'Unione bancaria) e con un ombrello di salvataggio ai
Paesi in difficoltà. Non solo: il nuovo strumento lavorerà in tandem con la Bce in qualità di scudo anti-spread.
Lo shopping di titoli di Stato da parte dell'Eurotower non sarà però a costo zero, ma occorrerà siglare un
memorandum d'intesa con la Commissione Ue (e il coinvolgimento del Fmi).
La palla passa ora nel campo dei governi che già all'Eurogruppo e all'Ecofin a Cipro del fine settimana
dovrebbe confrontarsi sui "paletti" introdotti dalla Bce. A fare da apripista per lo scudo dovrebbe essere
Madrid. «Anche se – precisa Luca Mezzomo, responsabile della ricerca economica di Intesa Sanpaolo – per il
momento potrebbe non essere necessario chiedere l'attivazione: la Bce ha dimostrato che le barriere per gestire
l'emergenza ci sono e il mercato ha apprezzato». Proprio la Spagna sarà, insieme alla Grecia, la protogonista
dell'Eurogruppo di venerdì, con una verifica sullo stato di salute delle banche dopo la prima tranche di aiuti da
30 miliardi di euro ottenuta a luglio. Sul tavolo anche il dossier greco, con la presentazione dei nuovi piani di
tagli alla spesa da parte di Atene. «La situazione è ancora tesa – dice Janis Emmanouilidis, analista dell'Epc –,
ma rispetto a 2-3 mesi fa l'uscita della Grecia dalla zona euro sembra più lontana. La nuova coalizione si sta
impegnando, ma l'attuazione delle riforme è ancora lenta».
La settimana appena iniziata sarà «decisiva, ma non risolutiva - conclude Cinzia Alcidi, economista del Ceps e l'autunno sarà caratterizzato da un'intensa attività politica e diplomatica». Altri snodi nevralgici attendono il
treno della costruzione europea.
*il Sole 24ORE*
LUNEDÌ, 10 SETTEMBRE 2012
PAGINA A CURA DI
Alessandro Chini
Alessandro Magagnoli
www.ftaonline.com
Analisi tecnica. Sulle economie emergenti l'ombra lunga della crisi nella zona euro
Borse dei Brics in forma
anche se la crescita frena
Trend rialzista per gli indici Bovespa, Jse e Sensex
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Nel suo recente "Macro risk report" Moody's avverte che la crescita degli emergenti sarà più lenta di quanto
previsto in precedenza. Gli analisti ipotizzano un brusco rallentamento delle economie di Cina, India e Brasile,
oltre a uno shock sui prezzi petroliferi che, abbinato a una recessione più profonda nell'area euro, peseranno
sulla crescita globale.
Secondo Moody's gli emergenti cresceranno quest'anno del 5,2%, non più del 5,8% come previsto ad aprile,
mentre per l'anno prossimo l'aumento del Pil è previsto del 5,7% contro il 6% atteso in precedenza.
Le Borse dei Brics come potrebbero comportarsi a fronte di queste ipotesi di rallentamento? È un dato di fatto
che negli ultimi due anni questi indici abbiano segnato il passo rispetto a quelli dei Paesi sviluppati e che le loro
prospettive siano fortemente condizionate da quanto sta succedendo nell'Eurozona, tuttavia non mancano
moderati segnali di ripresa, almeno da un punto di vista grafico.
L'indice brasiliano Bovespa ha disegnato tra inizio giugno e fine luglio un triplo minimo con base in area
54.100 punti, a cavallo della linea disegnata dai minimi di fine 2008 e passante per quelli dell'agosto 2011. I
prezzi hanno prima superato la media mobile a 100 giorni, il 27 luglio con un evidente gap rialzista, poi hanno
completato la figura a triplo minimo salendo al di sopra dei 57.611 punti, top del 20 giugno. Nonostante la
flessione vista nelle ultime settimane, i presupposti per assistere a uno sviluppo rialzista esistono e troverebbero
ulteriori conferme al superamento dei 62.700 punti, 50% di ritracciamento del ribasso dal top di marzo 2012. In
quel caso diverrebbe possibile il ritorno sui massimi dell'anno a 68.970 punti, ultimo ostacolo al recupero dei
non distanti record del novembre 2010 a 73.100 punti circa. Solo discese al di sotto di area 54.100 metterebbero
fine alle prospettive di rialzo, facendo emergere il rischio di ritorno sui minimi dell'agosto 2011 in area 47.800.
Anche nel caso dell'indice della Borsa russa, Rts, è possibile identificare una figura rialzista, questa volta
ancora in formazione, che se completata segnerebbe una decisa inversione di trend rispetto al ribasso subìto dai
massimi dell'aprile 2011 a 2.134 punti. I prezzi hanno testato infatti in due occasioni, a ottobre 2011 e a giugno
2012, quota 1.200, mettendo a segno in entrambi casi un robusto rimbalzo e dando quindi forma a un potenziale
doppio minimo. La figura rialzista verrebbe completata oltre 1.762, top di marzo praticamente coincidente con
il 61,8% di ritracciamento del ribasso dal record del 2012, resistenza raggiungibile in caso di rottura a 1.580
della linea che scende dallo stesso picco dello scorso anno. Oltre area 1.760 i prezzi metterebbero nel mirino i
2.134 punti, resistenza intermedia a 1.950. La violazione di 1.200 negherebbe il potenziale rialzo favorendo
invece nuovi cali che troverebbero comunque un primo supporto già a 1.120 circa.
Il Sensex della Borsa di Bombay ha superato al rialzo, nel corso dell'estate, le medie mobili a 100 e 200 sedute,
ora supporto rispettivamente a 17.020 e 16.900 punti, tentando poi il balzo al di sopra della linea ribassista
disegnata dai massimi del novembre 2010 a 21.108 punti, linea che tuttavia è tornata proprio nelle ultime sedute
a fungere da resistenza. Fintanto che i prezzi si manterranno al di sopra dei 16.900 punti, rimarrà comunque
lecito ipotizzare il proseguimento dell'ascesa vista dai minimi di giugno nuovamente al di sopra della citata
trend line, attualmente in area 17.500. Il superamento dei 18.000 punti confermerebbe le prospettive di crescita
con obiettivi a 18.500 e 18.800 punti, altra resistenza di rilievo anche in ottica di medio termine. Sotto i 16.900
punti diverrebbe invece probabile il test a 16.070 circa della linea che sale dai minimi del dicembre 2011.
Se l'indice della Borsa di Shanghai è quello tra i Brics con il quadro grafico meno promettente, decisamente
migliore è l'impostazione grafica del Jse della Borsa di Johannesburg. L'indice sudafricano ha toccato infatti il
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27 agosto a 35.943 punti il suo nuovo massimo storico dopo aver superato la forte resistenza, ora supporto,
offerta a 34.600 circa dai massimi di marzo, testata a più riprese nei mesi successivi senza successo fino alla
rottura avvenuta a fine luglio. Successivamente i prezzi sono andati incontro a una flessione, che per ora si
mantiene ben al di sopra dei primi supporti rilevanti, come la media mobile a 100 giorni in transito a 34.200
punti circa. Oltre area 36.000 il target per il rialzo si sposterebbe a 40.000 punti circa, lato superiore del canale
ascendente che contiene l'andamento dei prezzi dai minimi del marzo 2009. La violazione di 34.200
comporterebbe invece il test della base del citato canale, supporto critico a 33.000 circa.
*CORRIERE DELLA SERA*
LUNEDÌ, 10 SETTEMBRE 2012
DA UNO DEI NOSTRI INVIATI Paola Pica
twitter @paolapica
Lagarde: Fmi pronto a intervenire
Maroni: referendum anti euro. Nuovo ricorso alla Corte tedesca
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CERNOBBIO — Mercati più tranquilli e politica in ebollizione: si rischia l'effetto paradosso sul piano di aiuti
per i Paesi in crisi annunciato dal presidente della Bce Mario Draghi. La sola eventualità di dover sottostare, in
cambio del programma di contenimento dello spread, a rigide condizioni imposte dall'Europa sembra aver dato
nuova forza al sentimento anti comunitario di più di un soggetto politico. La Lega stringe sulla raccolta di firme
per il referendum sull'euro: «Cominceremo la prossima settimana», ha avvisato Roberto Maroni al seminario
Ambrosetti.
L'ultima sponda agli euroscettici l'ha offerta suo malgrado Christine Lagarde, la numero uno del Fmi che da
Vladivostok, Russia, ha confermato che il Fondo è pronto a partecipare al piano di Draghi. L'Istituto, guidato
dall'ex ministro francese delle Finanze, non intende assumere solo il monitoraggio dei singoli Paesi ma punta al
pieno coinvolgimento nella creazione del programma d'intervento partecipando dunque anche all'acquisto dei
titoli di Stato.
«La priorità, ora, è un'attuazione coordinata» ha detto ieri Lagarde. Un messaggio chiaro e forte: l'Fmi vuole
esserci con i suoi strumenti e alle sue condizioni. E a questo punto è fin troppo facile agitare lo spettro del
commissariamento sul modello greco, paventare le missioni della trojka e la definitiva cessione di sovranità a
Bce, Fmi e Commissione Ue.
Ne è consapevole Mario Monti, che all'establishment economico-finanziario ha chiarito ieri a porte chiuse a
Villa D'Este di «essere contrario alla perdita asimmetrica di sovranità». Nel caso, per ora remoto, che l'Italia
dovesse ricorrere agli aiuti «non saranno accettate ulteriori condizioni aggiuntive oltre a quelle che già
rispettiamo», ha assicurato Monti.
Il Professore lascerà la guida del governo il prossimo aprile, ma entro quella data vuole mettere i leader europei
intorno a un tavolo per ragionare sulle strategie di contrasto al «crescente populismo e ai fenomeni di rigetto
dell'integrazione europea». Il presidente del Consiglio ha annunciato da Cernobbio la convocazione a Roma di
un vertice straordinario sul tema, ma ancora prima aveva suonato l'allarme per il sentimento anti tedesco
affiorato in Parlamento.
«Monti ha una concezione strana della democrazia», ha polemizzato Roberto Maroni, ricordando la proposta di
legge popolare della Lega per abbinare alle elezioni politiche 2013 un referendum sull'euro. Cominceremo a
raccogliere le firme la prossima settimana», ha detto l'ex ministro leghista dell'Interno a Cernobbio. Per Maroni,
la zona euro dovrebbe comprendere solo «chi ha i requisiti di bilancio», ovvero il Nord Italia.
Giulio Tremonti, pronto a fondare un nuovo partito «né di destra, né di sinistra», intende anch'egli promuovere
un referendum sul futuro dell'Europa: «Va colmato un vuoto di democrazia». La fronda degli euroscettici
attraversa tutta l'Europa, in modo trasversale a destra e sinistra. In Olanda, dove questa settimana si svolgono le
elezioni anticipate, è la destra xenofoba di Geert Wilders a invocare il ritorno al fiorino, dopo aver trasformato
l'appuntamento con le urne in un referendum sull'Europa. In Italia, la discesa dello spread è fin qui
inversamente proporzionale al crescere della fibrillazione degli euro-antagonisti. I temi della campagna
elettorale sono già scritti. Ieri, il leader del Movimento a 5 Stelle, Beppe Grillo, ha affidato alla Rete l'ennesimo
messaggio: «Se si tenesse un referendum sull'euro l'avrei già vinto. Il mio obiettivo è che siano gli italiani a
decidere».
Ma intanto un nuovo ricorso per impedire la ratifica in Germania del Fondo salva Stati è stato presentato dal
deputato tedesco Peter Gauweiler. Il conservatore euroscettico della Cdu ritiene che il suo ricorso dovrebbe
spingere la Corte costituzionale di Karlsruhe a riconsiderare il suo calendario. Per mercoledì è attesa la
decisione su sei precedenti ricorsi contro l'Esm e l'unione di bilancio.
*CORRIERE DELLA SERA*
LUNEDÌ, 10 SETTEMBRE 2012
DA UNO DEI NOSTRI INVIATI Giuseppe Sarcina
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«Ma se non si rilancia l’occupazione
i populismi avranno gioco facile»
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CERNOBBIO — I pregiudizi, i luoghi comuni che riaffiorano in Europa (Paesi del Nord contro quelli del Sud,
i nuovi arrivati dell'Est contro i fondatori e così via) «possono essere riassorbiti dai governi». Ma «se non si
mette la disoccupazione al primo posto, il populismo guadagnerà sempre più spazio». Peter Diamond, 72 anni,
nato a New York, ha vinto il premio Nobel per l'economia nel 2010 per i suoi studi sul mercato del lavoro. È
professore al Mit di Boston. Invitato al seminario Ambrosetti di Cernobbio per parlare di pensioni e flessibilità,
Diamond accetta di commentare il tema sollevato da Mario Monti: attenzione l'Europa è pericolosamente
solcata da «fenomeni di rigetto».
Qual è la radice della nuova ondata di euroscetticismo? Gli effetti della crisi economica?
L'incomunicabilità della politica?
«Non ho dubbi che il problema numero uno si chiami disoccupazione. Lo sappiamo tutti: le percentuali di
senza lavoro sono spaventose, specie tra i giovani, perché in alcuni casi arrivano fino a un incredibile 50% e
specie in Spagna, Grecia, Portogallo e Italia. Le cifre, però, non dicono tutto. In Europa si sta vivendo in un
clima di scoraggiamento, di depressione psicologica prima ancora che economica».
Depressione con manifestazioni piuttosto aggressive, visto che in Paesi come Olanda, Finlandia e
Germania sono spuntati partiti politici che chiedono il voto riesumando luoghi comuni di quarta
categoria: «i greci sono pigri», «gli spagnoli spendaccioni», «gli italiani inaffidabili» e così via.
«Sì ma i partiti di governo e le istituzioni comunitarie sarebbero nelle condizioni di riassorbire queste spinte.
Ora il problema centrale è che l'Unione Europea deve essere in grado di preservare e, se è il caso, incentivare
la mobilità dei lavoratori da un Paese all'altro. Negli Stati Uniti i cittadini si spostano senza ostacoli in cerca
di un impiego. Nello stesso tempo voi europei dovreste abbandonare la strategia adottata quando è scoppiata
la crisi del debito. Il caso della Grecia è esemplare. Non si aiuta un Paese gettandolo sul lastrico e nella
disperazione. Che aiuto è?».
Conosce la risposta: gli investitori internazionali, e non solo la Germania, non sono più disposti a
finanziare un debito abnorme e non rimborsabile.
«D'accordo, ma dobbiamo distinguere. Non è tutta l'Europa che sta danzando sulla crisi del debito pubblico,
ma solo alcuni Paesi, tra i quali l'Italia. Penso che se vogliamo uscire da questa situazione non ci sia che
l'arma fiscale, il fiscal gun. Voglio dire occorrono investimenti pubblici di tipo classico, cioè le infrastrutture, o
più inediti, come l'innovazione. È chiaro che Grecia, Italia, Spagna e Portogallo devono seguire una politica di
rigore. Ma non può essere solo di tagli, altrimenti il peso del debito continuerà a salire a fronte di una
ricchezza in diminuzione. Bisogna trovare un punto di equilibrio diverso da quello attuale. Non contesto il
rigore finanziario. Il problema è quanto deve essere ampio. Mi pare che il piano anti-spread di Mario Draghi
(acquisto dei titoli di Stato dei Paesi in difficoltà, ndr) possa essere visto come un'inversione di tendenza. È
quella la direzione giusta».
Servirebbero anche le riforme, no?
«Certo. Due su tutte: mercato del lavoro e pensioni. Sul piano europeo è necessario un coordinamento tra i
diversi sistemi, che non devono essere per forza uguali. Poi, certo, alcuni Paesi avrebbero bisogno di
correzioni incisive. Se facciamo l'esempio dell'Italia osservo che ci sono ancora spazi di miglioramento sulla
previdenza. Mentre sul mercato del lavoro il governo Monti si è mosso nella giusta direzione e non lo dico
perché sono un buon amico di Elsa Fornero».
*CORRIERE DELLA SERA*
LUNEDÌ, 10 SETTEMBRE 2012
di MASSIMO FRANCO
Così la crisi della moneta
mette a rischio la sicurezza
Anche alla Nato si discute dello «spread strategico»
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Rassegna Stampa del giorno 10 Settembre 2012
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Un'Europa rimpicciolita e indebolita dal punto di vista strategico; e costretta a rattrappirsi sul piano geopolitico.
Uno dei contraccolpi meno studiati di questa fase è l'«austerità» delle ambizioni internazionali che il Vecchio
Continente si sta silenziosamente imponendo. All'origine della ritirata non è solo la crisi economica: l'assenza
di una politica estera comune, le rivalità e i contrasti si sono manifestati da tempo, dalla guerra in Iraq fino alle
operazioni militari per abbattere il regime libico. Ma le tensioni finanziarie e l'offensiva contro le nazioni della
moneta unica hanno accelerato e radicalizzato questa tendenza. Mostrano gli Stati europei, ma anche gli Usa
nella veste di «cicale strategiche» ridimensionate dal primo decennio del Duemila; e attente a ridurre spese
militari, missioni internazionali, priorità. La prevalenza delle questioni economiche e la rapidità con la quale le
istituzioni europee le affrontano rendono ancora più vistoso l'arretramento del primato della geopolitica. Se
esiste uno spread strategico, un prezzo che l'Europa sta pagando per la diminuzione del suo peso in termini di
sicurezza, sta passando in secondo piano.
Non viene registrato dalle agenzie di rating: semmai viene discusso fra i consiglieri per la sicurezza nazionale e
alla Nato. E suscita qualche apprensione per le conseguenze di un'eventuale uscita dalla moneta unica
soprattutto della Grecia. Eppure è destinato a rimanere come un rumore di fondo che può crescere e imporsi
solo se si ripresentano focolai di crisi. Finora si è parlato molto degli scenari evocati dagli uffici studi delle
banche e delle istituzioni finanziarie sui costi di un collasso economico della zona euro. Nessuno è arrivato a
conclusioni certe, tranne quella che sarebbe comunque un disastro. Ma in parallelo, da mesi gli analisti che
studiano l'instabilità dal punto di vista strategico cominciano a valutare i contraccolpi sulla sicurezza europea in
termini di «impoverimento geopolitico» e di vulnerabilità. E una caduta della Grecia, la piccola Grecia da mesi
sull'orlo del fallimento, viene considerata più pericolosa di quella di un Portogallo e di un'Irlanda, nazioni
saldamente incapsulate nella geografia occidentale. La catastrofe economica sarebbe accompagnata e aggravata
da una destabilizzazione regionale.
La bancarotta del governo di Atene avverrebbe infatti in un contesto di inimicizia nei confronti della Germania,
la più tenace nel centellinare gli aiuti. E questo avrebbe una serie di effetti collaterali in tutta l'area compresa fra
l'Egeo e i Balcani. «Si chiuderebbero le prospettive a breve e medio termine di un ingresso di Serbia e
Montenegro nell'Ue», ha scritto sulla rivista Survival Francois Heisburg, presidente dell'IISS, l'International
Institute for Strategic Studies di Londra, e della Fondazione per la ricerca strategica di Ginevra. Il contraccolpo
sarebbe quello di bloccare l'evoluzione dei governi balcanici verso una politica europeista; e di esacerbare
l'instabilità in aree già martoriate come Bosnia-Erzegovina e Kosovo. Ma il vero fronte scoperto diventerebbe
quello orientale. Già a giugno, quando il governo di Cipro ha chiesto un prestito di 5 miliardi di euro alla Russia
per tirarsi fuori dai guai almeno a breve termine, a Bruxelles ci si è chiesti perché non si fosse rivolto all'Unione
Europea. Era chiaro che i vincoli chiesti dalla Commissione e dalla Bce costituivano un ostacolo. Ma era
altrettanto evidente che quella mossa poteva segnare l'inizio di una penetrazione strategica della Russia.
Il caso cipriota verrebbe riproposto su scala maggiore se la Grecia si ritrovasse abbandonata a se stessa. La
stessa Cina viene considerata uno dei poteri «esterni» decisi ad assicurarsi «vantaggi strategici, politici ed
economici», secondo Heisburg, sfruttando un eventuale isolamento greco. Si tratta di spinte centrifughe ritenute
ad alto rischio perché accentuerebbero la fragilità dell'Europa centro-meridionale sul suo fronte orientale,
rispetto alle mire di una Russia storicamente aggressiva; e di una Turchia sempre più potenza regionale. C'è chi
comincia a chiedersi se su uno sfondo del genere, la stessa Alleanza atlantica sarebbe in grado di sopravvivere:
anche perché un capitolo della «sfida dell'austerità» analizzata in un rapporto della Rand Corporation riguarda
proprio la Nato. John Gordon, Stuart Johnson, Stephen Larrabee e Peter Wilson, i quattro analisti che ne sono
gli autori, mostrano un indebolimento inesorabile e inevitabile dal punto di vista della proiezione internazionale
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dell'Europa; di più, dell'intero Occidente.
La Germania ridurrà le spese militari di un quarto nei prossimi quattro anni. E sono previsti tagli alle forze
armate anche di Francia, Italia, Germania, Spagna, Olanda e Polonia, più Gran Bretagna. Sono sette nazioni che
costituiscono l'80 per cento del budget europeo per la difesa targata Nato. E determinano un'incognita sulle
future missioni dell'Alleanza atlantica. L'Italia, che ha la seconda flotta del Mediterraneo, seconda solo a quella
statunitense, sa che il 28 per cento dei tagli al bilancio della Difesa nel 2012 non è «una tantum»: sarà seguito
da altri. Insomma, la prospettiva più ottimistica, per gli Stati uniti, è che i suoi alleati, in testa Francia, Italia e
Spagna, possano continuare a pattugliare e controllare il Mediterraneo nonostante i limiti crescenti di fondi. Se
però nel futuro prossimo si dovesse ripresentare la necessità di compiere operazioni militari come quella in
Afghanistan o in Iraq, la previsione è che risulterebbero, di fatto, insostenibili dal punto di vista finanziario.
Se oggi a dettare legge è la geoeconomia, più che la geopolitica, qualunque iniziativa dovrà misurarsi con
un'Europa concentrata sulla propria sopravvivenza e quella delle proprie istituzioni. Si tratta di una tendenza
non limitata ai prossimi due o tre anni, ma di lungo periodo. Questo spiega l'appoggio degli Usa di Barack
Obama all'eurozona, non motivata solo dalla determinazione del presidente di rimanere alla Casa Bianca per
altri quattro anni. Economia e sicurezza rimangono vistosamente intrecciati. «Uno dei paradossi di questa fase»,
fanno notare a Palazzo Chigi, «è che come medici interessati almeno quanto noi alla guarigione dell'Europa
dalla crisi finanziaria ci sono Gran Bretagna e Stati uniti, da sempre diffidenti verso la costruzione europea e le
sue istituzioni». Sanno che un collasso economico dell'area della moneta unica sarebbe anche il loro; e
acuirebbe quello strategico, materializzando pericolosamente l'irrilevanza dell'Occidente.
*CORRIERE DELLA SERA*
LUNEDÌ, 10 SETTEMBRE 2012
di: Giovanni Stringa
Dossier anti-debito, Grilli accelera
«Cessioni anche sopra l’1% del pil»
Il ministro: strada da verificare. Oggi incontro con Juncker
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Conferma e tenta l'accelerata il ministro del Tesoro Vittorio Grilli sul piano anti-debito del governo. Il
programma allo studio potrebbe infatti arrivare alla parte più alta della «forchetta» annunciata dal ministro lo
scorso luglio in un'intervista al Corriere. Se allora Grilli aveva parlato di «vendite di beni pubblici per 15-20
miliardi l'anno, pari all'1 per cento del Pil», ieri a Cernobbio il ministro non ha escluso di superare la soglia
dell'1% con cessioni per circa 20 miliardi di euro l'anno.
«Dobbiamo verificare se è possibile fare più dell'1%», ha detto Grilli. Il piano «è allo studio finché di
patrimonio ce ne è», ha aggiunto. Ma, ha avvisato, «dobbiamo verificare se è possibile» anche perché si tratta di
«una strada complessa. Ci vuole la cooperazione degli enti territoriali. Se pensiamo solo al patrimonio
immobiliare, la grandissima parte degli immobili non è vuota né subito vendibile in quanto spesso occupata da
uffici di governo. Bisogna mettere in moto i meccanismi di trasferimento per passare dal pubblico al privato».
Grilli — che oggi incontra in Lussemburgo il presidente dell'Eurogruppo Jean-Claude Juncker — ha anche
ribadito che il Paese non ha bisogno degli aiuti del piano anti-spread della Bce. E — ha detto — questo
Governo ha «stabilito che il pareggio di bilancio è in costituzione. Ora bisogna attuare questo principio».
Come? Per esempio attraverso «il rapporto tra finanza statale e finanza territoriale. Il caso Spagna dimostra
quanto sia delicato questo rapporto».
Sul tema «anti-spread», il ministro ha concordato col premier Mario Monti sul fatto che chiedere aiuti alla Bce
non sia un «dramma», ma allo stato attuale «non ne abbiamo bisogno e lo abbiamo già detto. Oggi lo stato della
finanza pubblica, con un pareggio atteso nel 2013, fa sì che non ci sia bisogno di ricorrere a questo tipo di
strumenti». A proposito del differenziale tra i rendimenti dei titoli di Stato italiani e tedeschi — ha aggiunto —
«le riforme dei Paesi e l'impegno della Bce ci rassicurano che non succederà: lo spread non salirà di nuovo».
Ma se il governo va avanti con il suo piano per ridurre il debito, quest'ultimo non è l'unico circolato negli ultimi
mesi (e anche ieri) nel Paese. Per il segretario del Pdl, Angelino Alfano, l'Italia dovrebbe creare uno scudo antispread nazionale, riducendo il debito pubblico in maniera rilevante. Per questo, ha aggiunto Alfano, il Pdl ha
presentato «una proposta per abbattere il debito pubblico», portandolo sotto il 100% del Pil. Lo strumento è un
grande fondo al quale conferire beni immobili e anche alcuni beni mobili.
Il progetto dell'ex premier Giuliano Amato e del presidente della Cassa depositi e prestiti Franco Bassanini,
invece, vuole abbattere in 5 anni il debito pubblico di 178 miliardi (e di altri 150 nel quinquennio successivo)
attraverso vendite di immobili e la cessione di partecipazioni quotate e non quotate. Mentre il presidente della
Consob, Giuseppe Vegas, ha avanzato l'idea di un fondo del Tesoro con rating «AAA» grazie alla garanzia dei
«gioielli di Stato» — come le quote in Eni, Enel, gli immobili e anche le riserve auree e valutarie — per frenare
le tensioni sullo spread.
Tra gli altri argomenti su cui si è soffermato ieri il ministro Grilli ci sono l'evasione («Qualsiasi operazione di
riduzione del carico fiscale non può che passare per il recupero dell'evasione»), il costo del lavoro (l'Italia deve
recuperare competitività e ciò significa anche che in azienda «il costo del lavoro per unità di prodotto deve
calare»), l'Iva («Faremo di tutto per evitare l'aumento dell'Iva»: un obiettivo, comunque, «non facile») e le
banche («È importante che ci sia una vigilanza bancaria integrata a livello europeo, occorre un'accelerazione
rispetto alla tabella di marcia» dell'Ue).
*CORRIERE DELLA SERA*
LUNEDÌ, 10 SETTEMBRE 2012
«La lotta contro la corruzione
fa crescere il reddito di un Paese»
Il Guardasigilli: su anche del 4%. Patroni Griffi: rotazione dei dirigenti pubblici
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ROMA — Ormai quasi tutti i giorni il presidente del Consiglio ricorda a se stesso e alla maggioranza che «la
legge anticorruzione si farà prima della fine della legislatura perché è essenziale per la competitività del Paese».
E ancora ieri il governo ha schierato i ministri Paola Severino, Anna Maria Cancellieri e Filippo Patroni Griffi
su questo fronte perché la settimana di ripresa dei lavori parlamentari si profila piuttosto calda. A Cernobbio, al
workshop dello studio Ambrosetti, il Guardasigilli ha citato un dato che da solo dovrebbe convincere tutte le
forze politiche sull'ineluttabilità di una più severa normativa contro la corruzione: «Secondo le stime della
Banca mondiale, la crescita del reddito potrebbe essere superiore del 2-4% con una efficace lotta alla
corruzione».
Per questo il ministro Patroni Griffi (Funzione pubblica) ha ricordato che nel ddl c'è anche la prevenzione:
«Contro la corruzione servono infatti la rotazione dei dirigenti e maggiori incompatibilità per chi è al vertice
nella Pubblica amministrazione».
Domani pomeriggio, in sede di commissioni congiunte Affari costituzionali e Giustizia, si capirà quali sono le
intenzioni dei senatori del Pdl che non hanno digerito il testo votato dalla Camera: gli iscritti a parlare per la
discussione generale sono per ora solo due ma il segretario Angelino Alfano conferma che (per ora) sulla
giustizia non cambierà linea: modificare il ddl anticorruzione in senso garantista per gli imputati e, soprattutto,
far marciare di pari passo questo testo con la legge sulle intercettazioni e con la legge comunitaria 2010 che
porta con sé la norma sulla responsabilità civile dei giudici. «Ecco, il governo batta altri due colpi», suggerisce
Alfano.
E anche la Lega, che con il Pdl ha la maggioranza in aula al Senato, è rientrata nella partita: «Siamo pronti a
votare il ddl anticorruzione — ha detto il segretario Roberto Maroni — a condizione che il governo non ponga
la fiducia». Ma senza il paracadute della fiducia, a Palazzo Madama il governo rischia di mandare in frantumi le
novità introdotte alla Camera (nuovi reati di traffico di influenze illecite e di corruzione tra privati;
innalzamento di tutte le pene minime per i reati contro la Pubblica amministrazione) e di avventurarsi in un
quarto passaggio parlamentare, alla Camera, che rischia di essere fatale. E questo significherebbe rompere il
rapporto di fiducia che il governo ha con il Pd e perdere l'appoggio dell'Associazione nazionale magistrati.
A Cernobbio — dove ha ribadito che l'anticorruzione è una assoluta priorità per il Paese — il ministro Paola
Severino ha fornito la sua risposta standard sul ddl intercettazioni: «Per questo governo non ci sono tabù ma
leggi da fare. Quando sarà il momento, e non mi risulta che il ddl sia calendarizzato (per settembre, ndr),
daremo il nostro contributo». Ma questo approccio attendista verrà certamente messo in discussione oggi a
Frascati dove Maurizio Gasparri e Gaetano Quagliariello accolgono il ministro Severino a una tavola rotonda
della loro Summer School.
Nel Pdl, il dibattito è vivace. Gaetano Pecorella, che pure chiede modifiche in senso garantista al ddl
anticorruzione, dice che «sulla giustizia non sono ammissibili gli scambi. Se una legge è buona va votata».
Invece, Osvaldo Napoli ribatte che l'anticorruzione passa se passa la responsabilità civile dei magistrati: «O
tutto o niente». Ma in realtà «il Pdl vuole bloccare tutto», attacca Anna Finocchiaro (Pd) che ringrazia la
Severino. E Pier Ferdinando Casini si schiera con il Pd: «Non è accettabile un rinvio di una legge
anticorruzione».
D. Mart
*la Repubblica*
LUNEDÌ, 10 SETTEMBRE 2012
di: THOMAS SCHMID
direttore di Die Welt
L’intervento
“Se la Bce diventa
il direttorio segreto
che governa l’Europa”
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DAVVERO la Germania ha solo perso e il resto dell’Europa ha solo vinto? Siamo sedici a uno? E resteremo
sedici a uno?
Andiamo per ordine. La Germania nei fatti ha perso, e fuori dalla Germania si dovrebbe capire, che la
preoccupazione dei tedeschi ha profonde ragioni storiche. Se in Germania la paura che l’unione monetaria si
trasformi in un’unione del trasferimento delle risorse è molto più grande che altrove, ciò non ha a che fare, o
almeno non in primo luogo, con una volontà dei ricchi tedeschi di tenersi i loro soldi o con una loro non
disponibilità alla solidarietà con gli altri Stati della Ue. I sondaggi mostrano chiaramente che la maggioranza
dei tedeschi non è assolutamente contro aiuti per stati della Ue in difficoltà. Jacques Delors, ex presidente
della Commissione, ha detto una volta: «Non tutti i tedeschi credono in Dio, ma tutti i tedeschi credono alla
Bundesbank». C’è un po’ di verità in queste parole: l’indipendenza è un grande valore cui i tedeschi tengono
molto, se non qualcosa di sacro. Ciò ha a che fare con un’esperienza fondamentale del popolo tedesco nel
ventesimo secolo. Per due volte, in appena tre decenni, visse un’iperinflazione che strappò ogni base
d’esistenza alla maggioranza della popolazione, e tolse ogni valore ai frutti del loro lavoro. Da allora, la
stabilità della moneta in Germania è un valore di rango quasi sacrale (e come è nella loro natura, i tedeschi
anche su questo tendono ad esagerare e a impartire lezioni).
Mai più, auspica la maggioranza dei tedeschi, deve essere possibile causare calamità con la politica
monetaria. Il timore e i suoi motivi sono entrambi giustificati, e se fosse altrimenti mancherebbe qualcosa
all’Europa.
La decisione della Bce di comprare titoli sovrani senza limiti, di per sé non è un passo verso un inferno di
trasferimento di risorse, nel quale l’euro andrebbe a fuoco. Ma questa decisione rende più facile l’abuso.
Angela Merkel, mossa dalla Realpolitik, è stata così saggia da non aprire un confronto. Ha persino definito la
scelta della Bce compatibile con la sua filosofia europea. Dopo la decisione, ha detto: «La condizionalità è un
punto importante; controllo e aiuto vanno di pari passo». Vuol dire: siamo arrivati esattamente a quanto io
volevo sin dall’inizio della crisi finanziaria e dell’euro: niente trasferimenti di risorse incondizionati e
incontrollabili, bensì aiuto solo quando esso è legato a condizioni. Il Paese che riceve aiuto deve sottoporsi a
sforzi di riforma che siano verificabili.
L’Europa è da tempo un continente della pace. Non è dunque all’altezza dei tempi descrivere i confronti in
corso sull’euro con concetti bellici. Non è in corso una guerra tra due eserciti, quello tedesco contro quello
degli altri Stati dell’unione. Si dovrebbe parlare piuttosto di un balletto, condotto
— per citare due protagonisti — da Mario Draghi e Angela Merkel. Entrambi non pensano a una vittoria o a
una sconfitta, ciascuno dei due può sostenere di avere con sé una parte della verità. Perché l’euro non cada,
è necessario aiutare e controllare. È bene che entrambi i principi abbiano chi li difende, è bene che la lotta tra i
due principi sia condotta pubblicamente. In tal modo si può sperare che il desiderio dell’uno, aiutare, sia tenuto
in conto nella stessa misura del desiderio dell’altro, cioè la cautela frenante. Si potrebbe quasi dire che una
mezza vittoria di Draghi e una mezza vittoria di Merkel, sommate, potrebbero dare il risultato d’una vittoria
piena dell’unione monetaria.
Eppure i pericoli non possono essere ignorati. Vanno tutti nella stessa direzione: la de-democratizzazione
dell’Europa. Mario Draghi, affrontando l’emergenza, ha usato un’espressione infelice: “l’euro è irreversibile”.
Simili parole bibliche dovrebbero essere evitate in Stati democratici, che vivono del principio della reversibilità
e della possibilità di rivedere scelte precedenti. Non fu giusto che il grande Helmut Kohl definisse irreversibile il
processo di unione europea. E altrettanto inesatte sono le parole di Angela Merkel quando parla al popolo
sovrano di politica “senza alternative”. Ciò vale ancor di più per la frase di Draghi. Forse capi di governo eletti
possono rifugiarsi, in situazioni d’emergenza, in simili parole, ma il presidente di una Banca centrale, che non
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è stato eletto da nessun popolo sovrano, no. Il fatto che invece lo faccia chiarisce quanto probabilmente
comincia a cambiare nell’architettura dell’unione monetaria e della Ue. La Bce comincia ad assumere i
connotati di un Direttorio europeo. Potrebbe divenire la governatrice segreta dell’Europa. È allarmante, che
una persona cauta e difficilmente scrutabile come Draghi, il cui volto ricorda un po’ condottieri e papi del
Rinascimento, dichiari “abbiamo sviluppato un percorso per i governi”. Parla, come detto, per l’emergenza:
qualcosa deve succedere presto, ed egli vuole che la Bce aiuti nel processo. Ma non è compito di Draghi
costruire per i governi degli Stati dell’Unione monetaria.
Se la Bce agisce come sta facendo, allora agisce come se l’Europa o almeno l’Unione monetaria fosse già
costruita come completa e autosufficiente unità politica, come se l’Europa fosse già qualcosa di
costituzionalmente e politicamente costruito, e non già un’associazione, come se fosse un’entità comune, uno
Stato federale integrato. In tal modo però la Bce si riferisce e si appoggia a qualcosa che non esiste ancora e
— chi sa — forse non esisterà mai. Ciò è captazione del potere. La tendenza alla sospensione delle
procedure democratiche è innegabile, da quando in almeno due Stati dell’Unione monetaria, la Grecia e
l’Italia, due governi si sono dovuti dimettere, non perché lo volesse il popolo sovrano, ma perché la Ue lo ha
imposto. È solo un esempio dei molti esempi di come la furia della crisi finanziaria abbia l’effetto dello
svuotamento delle procedure democratiche. Ciò può piacere ad alcuni tecnocrati, ma non si addice a una
comunità che deve essere nella condizione di dibattere e dividersi in pubblico su temi difficili e dolorosi.
Adesso lei, Angela Merkel, scusandosi, può affermare che l’assenza di alternative non viene più da lei ma
dalla grande Bce. Il Direttorio, con le migliori intenzioni, ha vinto.
Veloce e imperturbabile, Angela Merkel si è adattata alla nuova situazione dopo la scelta di giovedì della Bce.
Le è stato possibile perché da tempo lei si preparava a tanto. Sa che dall’elezione di Hollande a presidente lei
è isolata. Un proverbio tedesco dice: chi è saggio cede. Lei non cede per arrendersi, ma perché ha
l’intenzione di riuscire forse ancora a voltare pagina, in modo duttile. La Germania è la prima potenza
economica europea, e ha capito che deve raggiungere tale peso anche in politica. Lo sa la cancelliera, e lo sa
anche Mario Draghi: non si può salvare l’euro alle spalle della Germania, ma solo con la Germania.
Non si può dire in modo più chiaro che i tempi di Helmut Kohl, in cui la Germania era pronta ad adattarsi a un
basso profilo politico in nome dell’integrazione europea, sono finiti. Anche dopo il giovedì di Draghi la
Germania è sulla scena politica europea un “player” pronto all’aiuto, alla solidarietà e alla cooperazione
collegiale, ma è anche cosciente della sua forza, e padroneggia il gioco degli intrighi non meno bene dei
maestri mediterranei della duttilità politica.
*la Repubblica*
LUNEDÌ, 10 SETTEMBRE 2012
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE ANDREA TARQUINI
Il caso
L’euro in mano a 8 saggi
la parola alla Corte tedesca
Mercoledì il voto sul Fondo salva-Stati
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BERLINO
— Mezzogiorno di fuoco per il futuro dell’Europa: nella placida, bella Karslruhe, laggiù nel sudovest dove già
quasi senti sapore di Francia, si decide il nostro domani. Laggiù, alle dieci in punto di mercoledì, un magistrato
quarantanovenne che già una volta ha detto no ad Angela Merkel, un gigante buono alto un metro e 95,
abituato per rigore a lavorare d’estate senza aria condizionata, e gli altri sette del suo collegio, pronunceranno
la sentenza. Diranno se il Fondo salva-Stati europeo Esm è compatibile o no con il Grundgesetz, la
costituzione del dopoguerra democratico nata a Bonn. Non ci sono solo ennesimi ricorsi degli euroscettici sul
tavolo del giudice costituzionale Andreas Vosskuhle: i governi di tutta Europa e i grandi manager a Canary
Wharf a Londra, Barack Obama e lo sfidante Romney, i big di Wall Street e i governanti nella Città Proibita a
Pechino pendono dalle sue labbra. È il giorno del giudizio, sentenzia il Financial Times, e dà voce alle ansie
globali.
L’ultima sfida viene dal guru degli euroscettici: Peter Gauwei-ler, ideologo della Csu bavarese che già aveva
presentato il primo ricorso insieme ai postcomunisti dell’ex Ddr. Adesso chiede di ripensare tutto finché la Bce
non si rimangerà la scelta di acquisti illimitati di bond. Rischio di rinvio, dicono alcuni. Angela Merkel e
Wolfgang Schaeuble si mostrano fiduciosi: aspettiamo la sentenza senza paura, fanno sapere. Ma la
suspence non cala, e non è escluso del tutto un rinvio.
«Siamo i custodi della democrazia tedesca, è il nostro mandato da quando nel 1951 la Corte fu creata, perché
l’orrore tedesco non si ripeta». Ecco il credo dei 16 giudici nella sontuosa, rossa toga quasi cardinalizia, che
non guardano in faccia nessuno. Sedici, di cui otto saggi dell’Alto collegio, quelli che mercoledì alle dieci in
punto, diranno al mondo se si può salvare l’euro, o se ciò è qui incostituzionale.
“Praeceptor Europae”, chiamano in latino la Consulta tedesca. Fortino meno arroccato della Bundesbank, ma
più imperscrutabile. Da quando esiste si è spessissimo sostituita al Bundestag indeciso: 200mila cause, 95 su
cento delle quali su temi costitutivi. Quando qui si dice “Karlsruhe ha deciso”, suona come l’antico “Roma
locuta, causa finita” vaticano. Più ancora della Corte suprema Usa, il Bundesverfassungsgericht è temuto per
il suo istinto primario d’indipendenza. Richiamo della foresta in nome della legge, per non svegliare spettri cupi
come Roland Freisler, il giudice supremo di Hitler che mandò alla ghigliottina i giovani della Rosa Bianca, fece
fucilare alla schiena i congiurati del 20 luglio 1944, poi sparì come un demone tra le ceneri di un raid dei
Lancaster inglesi.
Tra mille sfumature, prevedono qui a Berlino, gli otto “semidèi in rosso” sono a un bivio: o bocciano lo Esm, e
allora l’euro può saltare. Oppure lo approvano pur con distinguo e codicilli. E allora è l’inizio della fine delle
sovranità nazionali, quella tedesca e le altre. Forse diranno sì chiedendo in cambio di sostituire le Costituzioni
nazionali, con referendum costituzionali politicamente problematici in Germania e altrove. Vostro onore
Andreas Vosskuhle non ha paura, pone il rispetto delle leggi sopra ogni altra realtà. Per questo disse già una
volta no ad Angela Merkel: quando la “donna più potente del mondo” gli chiese invano — col corrotto Christian
Wulff presidente dimesso — di candidarsi a nuovo capo dello Stato. No, rispose il placido Andreas, meglio
interpretare e servire le leggi dello Stato che guidarlo.
*la Repubblica*
LUNEDÌ, 10 SETTEMBRE 2012
DAL NOSTRO INVIATO GIOVANNI PONS
I mercati
Monti: “La Troika non verrà a Roma
no a nuove condizioni
per l’anti-spread”
Grilli: rafforzare le procedure per mantenere il pareggio di bilancio
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Rassegna Stampa del giorno 10 Settembre 2012
Comunicato di informazione a cura della Federazione Italiana Bancari e Assicurativi
Tribunale di Roma - Registro della stampa n. 73/2007
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CERNOBBIO
— Alla fine di una tre giorni di incontri ad alto livello con i rappresentanti della nomenclatura europea, il
premier Mario Monti, dal palco del Workshop Ambrosetti, pianta una bandierina che potrebbe tornar utile in
futuro. «Abbiamo fatto inserire nell’arsenale Ue uno strumento per non far alzare lo spread dei paesi più
virtuosi - ha detto nel suo intervento a Cernobbio - Non sarei però d’accordo a offrire il petto a nuovi strali di
condizionalità. Un conto è condividere, un conto è perdere asimmetricamente la propria sovranità. In caso di
aiuto non arriverà a Roma la Troika». In molti sono rimasti perplessi, perché ricordare un elemento del genere
quando lo spread è sceso a quota 350 dopo la riunione della Bce di giovedì scorso che ha confermato
l’intenzione di Mario Draghi di intervenire per attivare lo scudo anti spread qualora ve ne siano le condizioni?
L’unica spiegazione è che il governo italiano non sia così fiducioso che le parole di Draghi siano sufficienti da
sole a mantenere lo spread tra i Btp e i Bund a livelli accettabili per l’economia italiana. Sembra esservi la
consapevolezza che prima o poi un intervento l’Italia dovrà chiederlo e a quel punto potrebbe partire un
negoziato anche aspro su quali eventuali condizioni aggiuntive possano essere chieste dalla Bce per far
scattare gli acquisti calmieranti sul mercato. Monti in pratica si sta posizionando in vista di un negoziato che
non è ancora partito ma che non si può escludere possa realizzarsi nei prossimi mesi. «Chiedere aiuto alla
Bce non è un dramma - ha aggiunto il ministro dell’Economia Vittorio Grilli - ma allo stato attuale non ne
abbiamo bisogno e lo abbiamo già detto. Oggi lo stato della finanza pubblica, con un pareggio atteso nel 2013,
fa sì che non vi sia bisogno di ricorrere a questo tipo di strumenti. In condizioni di mercato normali e tranquille
non serve nessun aiuto». Già, ma la calma e la tranquillità non hanno dominato la scena nell’ultimo anno,
dunque è lecito mettere le mani avanti nel caso tornasse la bufera. E certo non sarà bello, in caso di richiesta
di aiuti alla Bce, farsi dettare una nuova agenda di interventi così come è successo un anno fa con la famosa
lettera inviata al governo Berlusconi. O dover accettare in casa una troika come è successo in Grecia. Gli
sforzi chiesti finora dal governo Monti ai cittadini sono stati presentati alla stregua di un investimento sul futuro
dei propri figli e non come imposizioni della banca centrale europea o del Fondo monetario internazionale. Se
questo paradigma si rompe allora non sarà facile garantire la tenuta della democrazia. «La democrazia si sta
trasformando in creditocrazia », avrebbe detto ancora Monti, con ciò volendo sottolineare che la reputazione
sul mantenimento dei conti pubblici si sta rivelando l’asset più importante di ogni singolo paese, e di ciò
dovranno tener conto i partiti politici nella prossima campagna elettorale.
Per portarsi avanti il governo sta cercando di accelerare anche sul fronte dell’abbattimento del debito pubblico,
il dato che più conta in questi momenti di crisi. «Dobbiamo verificare se è possibile fare più dell’1% all’anno ha detto ancora Grilli - il piano è allo studio anche se si tratta di una strada complessa. Ci vuole la
cooperazione degli enti territoriali. Se pensiamo solo al patrimonio immobiliare la grandissima parte degli
immobili non è vuota né subito vendibile in quanto spesso occupata da uffici di governo». Il percorso è chiaro
ma la strada ancora in salita.
*la Repubblica*
LUNEDÌ, 10 SETTEMBRE 2012
di: LIANA MILELLA
“La corruzione toglie all’Italia
tra il 2 e il 4% del reddito”
Severino e Monti: la legge si farà, è essenziale
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ROMA
— «La legge si farà». Parola di Monti. «Il governo si spenderà moltissimo». Parola di Severino. Sul ddl anticorruzione l’esecutivo assume a Cernobbio un impegno pieno. Che il ministro della Giustizia vuole riempire di
cifre per dimostrare quanto sia importante approvare al più presto la nuova legge. Cita le stime della Banca
Mondiale: «La crescita del reddito potrebbe essere superiore del 2-4% con un’efficace lotta alla corruzione ».
Poi un dato shock: «Dove la corruzione è più bassa, il settore delle imprese cresce fino al 3% annuo in più».
Ancora: «La corruzione rappresenta una tassa del 20% sugli investimenti esteri». Chiosa il ministro:
«L’urgenza di un intervento è evidente». Dice Monti: «Risulta sempre più “strachiaro” che le norme anticorruzione sono un elemento essenziale per la competitività del Paese e per la serietà della vita collettiva».
Sono regole “essenziali” per come le giudica il ministro dell’Interno Cancellieri.
Il governo vuole andare avanti, ma deve fare i conti con il Pdl. Cerca di farli da mesi, ma trova un muro
invalicabile, lo stesso che si è eretto ieri proprio a Cernobbio dove il segretario berlusconiano Alfano ha
ribadito le condizioni del suo gruppo. Non si approva l’anti-corruzione se non si chiude l’accordo su
intercettazioni e responsabilità civile dei giudici. Poco importa se Monti dice pubblicamente «tutti sanno quanto
il presidente del Consiglio ci tiene». Il Pdl tiene ad altro. Alfano è esplicito: «Non c’è ostruzionismo, noi
rimaniamo ai patti del 16 marzo, finora l’unico passo è stato il voto sull’anti-corruzione, adesso speriamo che il
governo batta due colpi su intercettazioni e anti-corruzione».
Già, il patto. Quello che rammenta anche il capogruppo al Senato Gasparri, l’esponente pidiellino più critico
contro Severino. Parlano del vertice a palazzo Chigi tra Abc in cui si rimise a punto il programma del governo
e ci si accordò anche sul “trittico” della giustizia. L’anti-corruzione è passata alla Camera con la fiducia il 15
giugno, da allora attende al Senato. Intercettazioni e responsabilità sono ferme, una a Montecitorio, l’altra a
palazzo Madama. Severino non si mette di traverso: “Occorre ancora confrontarsi e io sono disponibilissima
perché non ci sono tabù per questo governo». Sulle intercettazioni: «‘Non mi risulta che il ddl sia
calendarizzato, ma quando lo sarà il governo sarà pronto a dare la sua risposta. La stessa cosa vale per la
responsabilità civile».
Su questi temi però Severino e governo dovranno fare i conti con l’Anm. Il presidente del sindacato dei giudici
Rodolfo Maria Sabelli chiede «di uscire dalla logica del pacchetto con le altre riforme», parla dell’anticorruzione come di “una legge migliorativa”, ma aggiunge che «occorre fare di più, servono interventi sulla
prescrizione e sul reato di auto-riciclaggio e non lo scambio con intercettazioni e responsabilità civile».
Il calendario parlamentare assegna la priorità all’anti-corruzione. Da domani si discute al Senato nelle
commissioni Affari costituzionali e Giustizia. Il presidente della prima Carlo Vizzini garantisce “tempi rapidi” e
Severino può contare sull’appoggio del leader Udc Casini e del Pd. Da Chianciano il primo assicura che «non
è accettabile un rinvio” e che il provvedimento “va fatto in questa legislatura ». Ma aggiunge che vanno
approvate anche le nuove norme su intercettazioni e responsabilità. Il Pd si smarca con la presidente dei
senatori Finocchiaro: «Il ritardo sull’anti-corruzione non è certo responsabilità del Pd». E subito la polemica
con il Pdl perché «voler legare l’approvazione dell’anticorruzione al Senato a intercettazioni e responsabilità
significa solo voler bloccare tutto».
Questo è il punto. Che spinge il presidente della Camera Fini a fare professione di pessimismo: «Non siamo al
mercato delle trattative, mi auguro che quello dell’anticorruzione sia un iter quanto più veloce possibile, ma le
settimane che abbiamo alle spalle e l’atteggiamento in particolar modo del Pdl mi fanno essere scettico».
Giungere a un’intesa pare difficile, senza contare il nodo della fiducia. La Lega di Maroni già si oppone e nel
Pdl, proprio sull’anti-corruzione, nessuno può garantire un voto senza l’obbligo della fiducia.
La Fiba-Cisl
Vi augura di trascorrere
una serena giornata
A
Arrrriivveeddeerrccii aa
domani 11 Settembre
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mppaa!!