intervista esclusiva a jean claude trichet
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intervista esclusiva a jean claude trichet
“Renzi? È sulla strada giusta. Ma l’Italia rischia una lunga stagnazione” Ne è convinto Jean Claude Trichet, guida della BCE fino al 2011, che rivendica uno slogan fatto proprio da Draghi di PierEmilio Gadda 20 ADVISORPrivate S ullo stato di salute dell’Europa, appare cautamente ottimista. “Il quadro economico è favorevole – dice - ma non si devono sottovalutare i rischi a livello globale”. Il Quantative Easing era la decisione giusta. “Ma produce conseguenze indesiderate: nuove bolle finanziarie stanno emergendo in molte classi di attivo”. Plaude agli sforzi compiuti dal governo Renzi per riformare il mercato del lavoro. Però avverte: “La bassa produttività rischia di condannare l’Italia a un lungo periodo di stagnazione”. E rivendica un messaggio poi fatto proprio dal suo successore, Mario Draghi: “La Banca centrale non può da sola curare tutti i mali dell’Europa. I governi, nessuno escluso, hanno un’enorme responsabilità”. Jean Claude Trichet è stato al timone della Banca centrale europea tra il 2003 e il 2011, a cavallo della maggiore crisi finanziaria del secondo dopoguerra. Sul suo mandato alla guida dell’autorità monetaria, il giudizio non è unanime. Per qualcuno, divide con Draghi il merito di aver contribuito a salvare la moneta unica, garantendone la sopravvivenza e l’integrità durante la crisi dei debiti sovrani. Molti lo ricordano per aver alzato i tassi d’interesse a luglio del 2008, alla vigilia del crollo di Lehman Brothers, perché intimorito dai rischi di un rialzo dell’inflazione, nel medio termine. Una decisione che fece molto discutere, dato che la Federal Reserve 10 mesi prima aveva iniziato a tagliare il costo del denaro. Comunque la si veda, Trichet rimane un osservatore attento e molto ascoltato. Dal 2012 è presidente del think tank internazionale Bruegel. AdvisorPrivate lo ha incontrato a margine di un convegno organizzato a Milano, il 23 ottobre, da Arca SGR e titolato: “QE, Unione Bancaria e Crescita: quale scenario per i mercati finanziari europei”. Di recente, il Fmi ha tagliato le previsioni di crescita per il 2016 di molte economie, Stati Uniti, Germania, Regno Unito, Canada e diversi Paesi emergenti. C’è il rischio che questo rallentamento faccia deragliare l’Europa dal binario di una ripresa che appare ancora fragile? Non è una buona notizia, ovviamente. Ma tutto sommato, le proiezioni della zona euro non sono peggiorate in modo drastico. Dopo essere riuscita a spegnere l’incendio del rischio sovrano, che ha rappresentano un dramma per l’Europa a partire dal 2009, private trends ora il Vecchio Continente è in grado di perseguire un tasso di crescita ragionevole. Non dobbiamo però esserne compiaciuti. Molto dipende anche dalle decisioni dei Paesi membri. Su quali temi? I governi devono decidere se essere timidi nell’azione di rinnovamento. O vogliono intraprendere senza ambiguità la strada delle riforme strutturali, per sprigionare il potenziale di crescita ancora inespresso. Come giudica l’azione del governo italiano su questo fronte? Molte delle riforme avviate vanno nella giusta direzione, specialmente quella del mercato del lavoro e la riforma costituzionale. Diamo il benvenuto a tutte le iniziative volte a darne rapidamente attuazione. Dobbiamo assicurare che, nel mercato del lavoro come nel settore dei beni e servizi, l’economia di mercato funzioni in modo flessibile, favorendo tutti gli aggiustamenti necessari, in un contesto estremamente competitivo. Le decisioni sul business spettano alle aziende. Il quadro istituzionale dovrebbe metterle nelle condizioni di decidere nel modo più efficiente ed efficace possibile. Quale dovrebbe essere il primo punto nell’agenda di Matteo Renzi, oggi? La pseudo-stagnazione dell’Italia non è dovuta principalmente alla mancanza di adeguate politiche macroeconomiche. Il problema è profondamente strutturale e riguarda la presenza di una crescita molto bassa della total factor productivity (produt- tività totale dei fattori, misura l’efficienza nella combinazione dei fattori produttivi primari, lavoro e capitale ndr). I valori attuali non sono assolutamente sostenibili. Altrimenti il Paese dovrà fare i conti con una lunga stagnazione economica. Risolvere questo problema dovrebbe essere la priorità dell’Italia. Durante l’ultima riunione del Consiglio direttivo, Mario Draghi ha ribadito che la Bce è pronta a fare di più, se necessario. Di fronte ai segnali di un rallentamento della ripresa, seppur modesti, Lei ritiene che sia necessario intensificare fin da subito gli sforzi espansivi? La missione della Bce è quella di ancorare stabilmente le aspettative inflazionistiche. La responsabilità dell’autorità monetaria nel garantire la stabilità dei prezzi è però simmetrica: la Bce deve cioè impedire che l’inflazione diventi troppo alta ma anche troppo bassa. Draghi ha sottolineato come il Consiglio direttivo stia analizzando tutte le misure possibili: non solo in riferimento al Quantitative Easing, ma anche ai livelli dei tassi sui depositi. Nell’attuale situazione ritengo sia perfettamente legittimo esaminare tutte le misure a disposizione. Fin dall’esordio del Qe, la Bce ha specificato che la scadenza iniziale, prevista per settembre 2016, non rappresenta un limite invalicabile. Un’altra possibilità già menzionata dalla banca centrale è la modifica della composizione del programma di acquisti. E non bisogna dimenticare un altro messaggio chiave, che è estremamente chiaro con Mario come lo fu ai tempi della mia presidenza. Servono un Ministro delle Finanze dell’Area Euro e più poteri al Parlamento europeo ADVISORPrivate 21 private trends Abbiamo tre pilastri importanti per la governance economica dell’area euro. Il Patto di stabilità e crescita; la Procedura per gli squilibri macroeconomici; l’Unione bancaria 22 ADVISORPrivate Quale? Lo ripeto. Tutti i governi, senza eccezioni, stringono tra le mani le riforme strutturali, le decisioni che potrebbero contribuire a ripristinare la fiducia di famiglie e imprese e migliorare la crescita della produttività nelle rispettive economie. Ogni Paese ha enormi responsabilità a livello domestico e questo vale per i governi, per i parlamenti nazionali e per il settore privato. Superato l’apice della crisi debitoria, l’Eurozona si è adoperata per rafforzare il proprio sistema finanziario, consolidare le istituzioni europee e i meccanismi di stabilità. Quali sono i punti di debolezza che necessitano di essere sanati? Abbiamo tre pilastri fondamentali per la governance economica dell’area euro. Il Patto di stabilità e crescita, la Procedura per gli squilibri macroeconomici e l’Unione bancaria. Il primo è stato rafforzato, ma ritengo debba essere applicato in modo serio e rigoroso. Oggi paghiamo un conto salatissimo per non averlo rispettato in passato. Anche il secondo è estremamente rilevante. Dal 2005, la Bce chiede di monitorare la competitività dei diversi Paesi sul piano dei costi. Ritengo che né la Commissione né il Consiglio abbiano affermato con sufficiente forza la centralità di questo secondo pilastro. Quanto all’Unione Bancaria, manca il necessario meccanismo di garanzia dei depositi. Queste sono le priorità nell’immediato. E in prospettiva, come deve cambiare l’Europa? Dovremo affrontare questioni di medio-lungo termine, che richiedono un nuovo Trattato. È necessario rafforzare il ramo esecutivo, con un Ministro delle Finanze dell’Area Euro, e il ramo legislativo, consolidando i poteri del Parlamento europeo. Ci sono fattori di rischio che lei ritiene sottovalutati dagli investitori in questa fase? Direi di no. I principali rischi finanziari sono associati alle politiche monetarie ultra accomodanti che si sono protratte molto a lungo. L’azione delle banche centrali era necessaria. Ma può avere conseguenze indesiderate: nuove bolle finanziarie stanno emergendo in numerose classi di attivo. Ci sono i rischi di natura economica che potrebbero materializzarsi nei mercati emergenti dopo quelli sperimentati dalle economie sviluppate nel 2008. Il Brasile ne è un esempio lampante. E poi c’è la questione della Cina, importante di per sé viste le dimensioni del colosso asiatico. Non dimentichiamoci dei rischi geopolitici che incombono su Africa, Medio Oriente ed Europa Orientale e la questione delle isole contese in Asia.