La comunicazione delle malattie rare

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La comunicazione delle malattie rare
La comunicazione delle malattie rare
14 gennaio 2016 – Sale Fleming-Curie
Verona, sede GSK, via Fleming 2
INDICE CARTELLA STAMPA
Benvenuti al nostro corso
GSK e la ricerca nelle malattie rare
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GSK, innovazione e malattie rare
L’approccio strategico
Una scelta che viene da lontano
La partnership con Telethon
I nuovi paradigmi della ricerca
Telethon e la ricerca per la cura delle sette malattie rare
La terapia genica
Il Lupus Eritematoso Sistemico (LES)
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Come si manifesta
Diagnosi e terapia
La Sindrome di Sjögren
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Come si manifesta
Diagnosi e terapia
L’Ipertensione Arteriosa Polmonare
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Come si manifesta
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Diagnosi e terapia
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La comunicazione delle malattie rare
14 gennaio 2016 – Sale Fleming-Curie
Verona, sede GSK, via Fleming 2
Benvenuti al nostro corso
La sottolineatura non è casuale, ne parleremo sicuramente all’inizio dei lavori ma questa idea di
organizzare un corso, proprio su questo argomento, viene da noi giornalisti per noi giornalisti, da
una conversazione occasionale, a margine di un corso non scorrevolissimo ma interessante:
Agenzia delle Entrate, Statuto dei Contribuenti e funzionamento delle verifiche fiscali.
Mentre dicevo a Giovanni D’Alessio, che registrava presenze sopportandomi pazientemente, che
avevo dovuto rispolverare i vecchi studi di economia e commercio per seguire bene, lui mi
rispondeva che nel nostro mestiere e con la vita che si complica ogni giorno di più chi si ferma è
perduto. E che se non ci pensiamo noi ad aggiornarci difficilmente saremo utili ai nostri lettori.
Da lì a pensare di organizzare insieme, per noi, corsi che parlassero di malattie, salute e medicina
non in stretto gergo scientifico ma con un occhio attento al sociale, all’economia e al perché di
determinati sviluppi il passo è stato brevissimo: un minuto dopo avevamo deciso, e con noi Lucio
Bussi, che ci aveva nel frattempo raggiunto, senza domandarsi se fossero chiacchere da bar e
passando subito ai fatti.
Mentre scrivo non so ancora se, insieme ai colleghi giornalisti Anna Maria Annichini e Gino
Tomasini (con me in GSK, in azienda, dall’altra parte delle barricata) che hanno sposato l’idea con
altrettanto entusiasmo, sapremo ripagare la loro fiducia e quella dell’Ordine con un corso e dei
materiali di qualità.
Giovanni ci tranquillizza, Lucio se la ride, hanno controllato con mano lieve i dettagli dando consigli
tranquilli e centrati: o stiamo andando bene o ci toccherà pagare pegno a tutti i partecipanti.
Speriamo bene, ce lo direte voi al termine di questa prima se ne potremo fare altri.
I nostri relatori di oggi provengono da ambiti e aziende diverse, sono professionisti della tematica
come medici aziendali o esterni o volontari con una grande conoscenza del tema perché lavorano
per un’Associazione di Pazienti o ancora giornalisti che hanno cercato di tradurre il tutto come
serve a noi, per poter capire e spiegare in sintesi, per essere aggiornati e al servizio dei nostri
lettori.
Troverete molti riferimenti a GSK ma non volevamo farci pubblicità, solo spiegare perchè
conosciamo determinati argomenti e pensiamo di poter essere d’aiuto in alcuni frangenti ma mai
da soli, insieme ai Medici, ai Pazienti, alle Autorità sanitarie e ai Giornalisti, perché trasparenza e
controllo servono sempre, a tutti.
Grazie per essere venuti - massimo
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GSK, innovazione e malattie rare
L’impegno di GSK nelle malattie rare deriva da quello più generale nella ricerca e sviluppo e può
essere fatto risalire agli anni 80 quando le malattie rare, spesso definite anche orfane, erano poco
conosciute dal grande pubblico e poche erano le aziende ad occuparsene.
Con la sua ricerca allargata a molte aree terapeutiche e diversi premi Nobel nella sua storia,
l’azienda ha infatti scoperto non solo farmaci e vaccini largamente diffusi ma anche medicine che
potevano essere utili per malattie rare e invece di seppellirle negli archivi per le limitate possibilità
d’impiego le ha messe a disposizione di chi ne poteva trarre beneficio.
Un impegno dimostrato coi fatti se si pensa che nel periodo 1983-2010 GSK si è classificata al
primo posto per il numero di farmaci orfani, 14, messi a disposizione dei pazienti negli Stati Uniti.
Nel tempo, con il progresso della tecnologia e delle conoscenze, l’attività di ricerca si è potuta
espandere sia tecnologicamente che in modo collaborativo, con altri gruppi di ricerca pubblici e
privati mentre sono diventate possibili osservazioni di carattere più completo sull’origine delle
malattie e sui bisogni dei pazienti. Questi cambiamenti, fortemente voluti e perseguiti in azienda
perchè ritenuti in grado di dare risposte concrete ad una ricerca industriale che in tutto il settore da
tempo languiva o produceva meno innovazione hanno permesso a GSK di avviarsi verso la terapia
avanzata e personalizzata, raccogliendo e sistematizzando meglio quanto poteva essere utile per
conoscere e trattare anche le malattie rare, ma sempre continuando a fare innovazione in
medicina.
Rispondere ai bisogni dei pazienti. Questa la motivazione che spinge l’impegno di GSK nell’ambito
delle malattie dove i bisogni medici sono più elevati, come per le patologie rare, creando una vera
e propria “palestra dell’innovazione” in grado di raccogliere le migliori competenze nell’ambito
dell’azienda. Questo approccio ha portato ad avere un folto numero di programmi di ricerca in
varie fasi di sviluppo: a breve termine si sta lavorando per dare risposta a tre rare malattie
genetiche impiegando la terapia genica, a partire dalle cellule staminali raccolte dallo stesso
midollo osseo del paziente. Per il futuro, l’azienda punta a concentrare l’attenzione su farmaci già
disponibili o in fase di sviluppo che potrebbero avere significato terapeutico anche nel trattamento
di malattie rare, oltre che su varie tecnologie totalmente nuove o provenienti da altri settori, come
ad esempio la cosiddetta elettroceutica, cioè la possibilità di terapie mediante impulsi elettrici
fortemente localizzati.
GSK si propone anche nel settore delle malattie rare per quattro motivi:
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un patrimonio significativo di ricerche scientifiche e piattaforme tecniche in un ampio range
di patologie, grazie all’organizzazione della propria ricerca in Discovery Performance Units,
piccole unità multidisciplinari collegate fra loro che replicano lo schema delle piccole startup universitarie di successo;
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l’elevata capacità di sviluppo di nuovi prodotti e la possibilità di realizzarli, cioé di metterli a
disposizione dei pazienti grazie alla potenzialità industriale;
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la possibilità di portare rapidamente i progressi ottenuti in tutto il mondo;
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l’attenzione ai partenariati e alle collaborazioni con tutti i soggetti che sanno generare
innovazione, offrendo competenze per lo sviluppo di ricerche cooperative a Università,
Istituzioni e altro.
Sul fronte delle aree da seguire, grazie a questi aspetti, la scelta strategica è stata quella di non
concentrarsi esclusivamente su una particolare patologia, ma di individuare diverse strade per
giungere all’obiettivo di dare una risposta ai vari bisogni dei pazienti. Per questo GSK opera sia sui
classici biofarmaceutici che sulle piccole molecole, sugli oligonucleotidi oltreché sulla terapia
genica. Ovviamente il successo di questo impegno sarà misurato esclusivamente sulla risposta
che GSK sarà in grado di dare ai pazienti in termini di nuove prospettive terapeutiche. I primi frutti,
in ogni caso, cominciano ad essere evidenti: oltre alle terapie potenzialmente trattabili con la
terapia genica già in fase avanzata di sperimentazione recentemente è stato realizzato un grande
database clinico su 300 bambini con distrofia di Duchenne, al fine di favorire la comprensione della
malattia ed individuare nuove vie d’approccio in termini di cura.
L’approccio strategico
GSK ha scelto un approccio globale ed integrato per ricercare e sviluppare farmaci in grado di
assicurare terapie innovative a chi soffre di malattie rare:
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operando su diverse aree terapeutiche in contemporanea
sfruttando la massa critica di tutta la propria struttura di Ricerca & sviluppo
ricercando anche le più qualificate partnership con l’esterno, sia con realtà di eccellenza
nella ricerca come Telethon che con Associazioni scientifiche e di pazienti che meglio
conoscono le caratteristiche ed i bisogni di queste patologie rare.
L’azienda intende fare ricerca su circa 200 malattie, un elenco che può mutare nel tempo in base
alle nuove conoscenze in biologia, genetica e medicina. A indirizzare gli sforzi dei ricercatori sono
criteri come la prevalenza e la gravità delle malattie rare non ancora trattabili, il potenziale offerto
dai candidati farmaci per la cura della patologia in questione, le effettive possibilità di cura della
malattia. Attualmente diversi settori di ricerca sono concentrati sulle malattie monogeniche, cioè
determinate da un’unica alterazione nel patrimonio genetico del paziente, perché proprio la
specificità dell’obiettivo da colpire può rappresentare un elemento favorevole nello studio di nuove
soluzioni terapeutiche.
Una scelta che viene da lontano
1988. Gertrude Elion, ricercatrice di GlaxoSmithKline, riceve insieme ad altri ricercatori il Premio
Nobel per la medicina e la fisiologia. Per la prima volta la studiosa ha dimostrato la differenza nel
metabolismo del Dna tra le cellule umane sane, quelle tumorali e quelle di batteri, virus e protozoi.
Alla passione di Gertrude Elion, che per prima ha compreso il potenziale di una molecola chiamata
nelarabina si deve oggi la disponibilità per i malati di questo farmaco, indicato per il trattamento di
due forme tumorali molto rare: la leucemia linfoblastica acuta a cellule T (T-ALL) e linforma
linfoblastico a cellule T (T-LBL). Si tratta del primo medicinale indicato per questa limitata
popolazione di pazienti e può essere utilizzato sia nei bambini sia negli adulti. Nelarabina ha
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ricevuto Il riconoscimento dello status di farmaco orfano dall’ente regolatorio americano (FDA) e
da quello europeo (EMA).
Questa vicenda è solo un esempio dell’impegno di GSK nella ricerca e nello sviluppo di farmaci
orfani destinati al trattamento delle malattie rare. Oggi sono tra 6000-8000 le patologie rare che
colpiscono in Europa 30 milioni di persone e 25 negli Stati Uniti, ma solo meno del 10 per cento
dei pazienti viene trattato nel mondo. La ricerca di GlaxoSmithKline è da tempo concentrata per
offrire risposte a questi pazienti. Tra il 1983 e il marzo del 2010, infatti, GSK ha registrato negli
Stati Uniti il più alto numero di farmaci orfani – 14 in totale - nell’ambito dell’industria farmaceutica.
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La partnership con Telethon
Telethon Italia è stata istituita nel 1990 come organizzazione non-profit con l’obiettivo di far
avanzare la ricerca verso la cura della distrofia muscolare e delle altre malattie genetiche. E’
impegnata a mantenere autonomia ed equilibrio nei rapporti tra i pazienti (e le loro famiglie), la
società civile e il mondo della ricerca e si è guadagnata nel tempo una straordinaria reputazione
sia a livello nazionale sia internazionale nell’ambito della ricerca. Fino ad oggi, Telethon ha
raccolto quasi 500 milioni di euro utilizzati per finanziare programmi esterni e interni su oltre 400
malattie genetiche. Grazie alla sua nuova strategia, Telethon punta a diventare un ente benefico
riconosciuto a livello internazionale che sviluppa nei propri laboratori una eccellente ricerca
biomedica a beneficio dei pazienti, favorendo la ricerca traslazionale e la partnership con l'industria
farmaceutica.
La collaborazione tra GSK & Telethon è iniziata nel 2004 con una donazione e l'ospitalità offerta
per sei anni consecutivi alla Commissione Scientifica di Telethon in occasione della riunione
annuale dedicata alla scelta dei migliori lavori scientifici da finanziare. In seguito, il rapporto è
proseguito con un accordo triennale siglato tra Telethon e GSK in base al quale l’azienda ha
continuato la sua opera a fianco di Telethon, prima creando e poi consolidando negli anni il proprio
network della solidarietà mettendo in campo gli Informatori medico-scientifici che operano in tutta
Italia. Grazie al loro impegno, sono stati realizzati su tutto il territorio nazionale oltre 32mila punti
d’informazione e raccolta di fondi attraverso il coinvolgimento di studi medici, ospedali e centri
vaccinali che hanno accettato di esporre i poster con richiami all’urgenza di sostenere la ricerca
Telethon con donazioni tramite SMS solidale. Anche edott, il portale GSK dedicato alla classe
medica, ha sostenuto la campagna utilizzando il web per suscitare negli operatori sanitari e nei
pazienti il desiderio di “fare squadra” con Telethon per vincere la sfida contro le malattie genetiche.
Inoltre, la tradizionale giornata di volontariato d’impresa GSK, Orange Day, è stata pure dedicata a
Telethon e i dipendenti di sede si sono attivati nei centri commerciali della zona per raccogliere
fondi e aumentare la consapevolezza su Telethon e la sua missione.
I nuovi paradigmi della ricerca
La svolta è avvenuta il 18 ottobre 2010 quando GSK, la Fondazione Telethon e l’Istituto Scientifico
San Raffaele (HSR) hanno annunciato un’alleanza strategica per la ricerca e lo sviluppo di nuovi
trattamenti mirati alla cura di rare malattie genetiche basato su una terapia genica che prevede
l’impiego di cellule staminali estratte dal midollo osseo del paziente. In base all’accordo, GSK ha
corrisposto a HSR-TIGET (Istituto San Raffaele-Telethon per la terapia genica) una somma iniziale
di 10 milioni di euro e ha assunto l’impegno di ulteriori finanziamenti, legati al completamento di
vari traguardi intermedi. GSK ha ottenuto in cambio la licenza esclusiva per lo sviluppo e la
commercializzazione dei protocolli di terapia genica su scala mondiale.
Nel 2013 GSK ha raggiunto con la società biotecnologica Molmed (con sede a Milano, presso il
Parco Scientifico Biomedico San Raffaele) un accordo in base al quale MolMed sarà responsabile
della produzione per conto di GSK della terapia genica sperimentale per uso compassionevole in
pazienti affetti da ADA-SCID, nel momento in cui verrà approvato l’uso compassionevole su
pazienti specifici selezionati dai medici ricercatori.
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Questi accordi rappresentano esempi avanzati ed innovativi dei nuovi paradigmi della ricerca
farmaceutica, con lo spostamento dal modello “in house” (attività condotte sostanzialmente
all’interno dell’azienda) ai nuovi modelli “collaborativi”.
Il 5 maggio 2015 è stata infine presentata presso l’EMA (European Medicines Agency) la domanda
di autorizzazione della terapia genica “GSK2696273” per la cura di ADA-SCID, la prima delle sette
patologie genetiche rare che Telethon e GSK si propongono di sconfiggere insieme e nelle
prossime settimane è atteso il pronunciamento che potrebbe far passare questo trattamento da
sperimentale ad una concreta e definitiva possibilità di cura per i pazienti che ne sono affetti.
Telethon e le sette malattie rare
L’accordo GSK-Telethon si è concentrato su sette patologie. Per alcune, come ADA-SCID, si è già
alle porte della registrazione o in fase clinica, per altre, si attende a breve la partenza degli studi di
fase III. Ma ecco, in sintesi, le sette patologie sotto la lente di ingrandimento degli esperti.
ADA-SCID: rara immunodeficienza dovuta alla mancanza di un enzima essenziale per la
maturazione dei linfociti, le cellule deputate alla difesa dell’organismo da agenti esterni. Fin dalle
prime settimane di vita comporta una eccessiva suscettibilità alle infezioni: anche quelle più
comuni come un raffreddore o il morbillo possono risultare fatali.
Sindrome di Wiskott-Aldrich: raro deficit immunitario dei linfociti dovuto ad alterazioni di una
proteina coinvolta nel funzionamento del citoscheletro, la struttura che dà forma e sostegno alla
cellula. La malattia colpisce quasi soltanto i maschi e si manifesta sin dall’infanzia con infezioni
ricorrenti, eczema, disturbi della coagulazione, diarrea, autoimmunità e suscettibilità al cancro.
Leucodistrofia metacromatica: malattia genetica che colpisce il sistema nervoso dovuta alla
mancanza di un enzima responsabile del riciclo di particolari sostanze, i sulfatidi: accumulandosi
nel cervello, i sulfatidi distruggono la mielina (il rivestimento isolante delle cellule nervose) e
provocano la perdita progressiva delle capacità intellettive e motorie. Ne esistono quattro forme,
distinte in base all’età di insorgenza e alla gravità dei sintomi.
Beta talassemia: tra le più diffuse malattie ereditarie del sangue (secondo l’OMS se ne registrano
circa 300mila nuovi casi ogni anno nel mondo), è dovuta a un difetto nella produzione di betaglobina, una delle componenti dell’emoglobina, la proteina del sangue responsabile del trasporto
dell’ossigeno ai tessuti. È caratterizzata da grave anemia, ingrossamento della milza, forte
rallentamento della crescita, anomalie delle ossa.
Leucodistrofia globoide: detta anche malattia di Krabbe, è dovuta alla mancanza di un enzima
chiamato galattocerebrosidasi. È caratterizzata a sua volta da una perdita progressiva della
mielina e dalla comparsa nei vasi sanguigni nel cervello di corpi dalla forma globoide. La forma più
comune (circa 90% dei casi) insorge nella primissima infanzia e si manifesta con irritabilità,
ipersensibilità ai suoni, febbri ricorrenti in assenza di infezioni, vomito, arresto dello sviluppo.
Conseguentemente i malati perdono le abilità acquisite e possono verificarsi crisi convulsive,
perdita della vista e dell’udito. In genere, la malattia porta alla morte nei primi tre anni di vita.
Mucopolisaccaridosi 1: rara malattia ereditaria dovuta al difetto in un enzima, l’alfa-L-iduronidasi,
responsabile dello smaltimento di particolari sostanze chiamate glicosaminoglicani. Questo si
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traduce nell’accumulo di queste sostanze all’interno dei lisosomi, gli organuli cellulari deputati alla
degradazione di varie molecole. Ne esistono tre varianti di gravità differente: la più grave, detta
anche sindrome di Hurler, si manifesta entro il primo anno di vita con deformità scheletriche e
ritardo psicomotorio, oltre a opacità della cornea, ingrossamento degli organi interni, problemi
cardiaci, bassa statura, ernie. La morte può avvenire prima dell’adolescenza per complicazioni
cardiovascolari e respiratorie.
Granulomatosi cronica: è una grave malattia del sistema immunitario, caratterizzata
dall’incapacità dei globuli bianchi “spazzini” di uccidere alcuni tipi di microbi. Si manifesta fin dai
primi anni di vita con un’estrema suscettibilità alle infezioni da parte di funghi e batteri, talvolta
letali. Spesso si formano granulomi, ovvero ammassi di tessuto infiammato. Sono stati finora
identificati quattro diversi geni coinvolti.
La terapia genica sviluppata dall’HSR-TIGET
In generale per terapia genica si intende una tecnica che consente di prevenire o curare una
malattia grazie al trasferimento di Dna. Nel caso delle malattie genetiche consiste nell’introduzione
nell’organismo del paziente della versione funzionante del gene difettoso o assente in quella
determinata patologia. Il trasporto di una o più copie del gene terapeutico avviene in genere grazie
a dei virus, opportunamente modificati perché siano innocui ma ancora capaci di fare quello che
normalmente fanno in natura: entrare nella cellula ospite e trasferirvi il proprio patrimonio genetico.
Così manipolati, i virus diventano efficacissimi vettori per la terapia genica.
In particolare, la tecnica utilizzata dai ricercatori dell’Istituto Telethon di Milano (Hsr-Tiget) prevede
il prelievo delle cellule staminali ematopoietiche (addette cioè a generare i vari tipi di cellule del
sangue) presenti nel midollo osseo del paziente e la loro correzione in laboratorio, tramite
l’introduzione del vettore virale contenente il gene terapeutico. Così corrette, le cellule vengono
nuovamente reintrodotte nell’organismo. Il metodo adottato per la prima volta al mondo da Maria
Grazia Roncarolo e Alessandro Aiuti dell’Hsr-Tiget prevede inoltre una preparazione farmacologica
del bambino malato per favorire lo sviluppo delle cellule corrette. Grazie ai risultati ottenuti con la
cura di 14 pazienti affetti da Ada-Scid, questo metodo è stato oggi adottato a livello mondiale da
tutti i centri che trattano i pazienti con terapia genica ex vivo (che avviene cioè “al di fuori”
dell’organismo del paziente, al contrario di quella in vivo).
Ma perché proprio le cellule staminali del midollo osseo? Pur essendo molto diverse tra loro, le
sette malattie genetiche oggetto dell’accordo tra Telethon, San Raffaele e GSK hanno in comune il
fatto di essere causate dal difetto in unico gene che – a vario titolo – svolge normalmente una
funzione importante nelle cellule di origine ematopoietica. Nella maggior parte dei casi, ma non
sempre, queste malattie si possono curare con un trapianto di midollo osseo: questo prevede di
fatto la “sostituzione” delle cellule staminali del paziente con quelle di un donatore sano, che
contengono quindi una versione corretta del gene associato alla malattia. Trovare un donatore
compatibile, però, non è affatto semplice, soprattutto se non si hanno fratelli; inoltre, trattandosi
comunque di cellule di un altro individuo, può accadere che l’organismo che le riceve le rigetti
come un corpo estraneo. La terapia genica potrebbe quindi rappresentare un’ottima alternativa
laddove il trapianto non si possa fare o non sia efficace.
Per quanto riguarda i vettori virali, quello utilizzato nel trattamento dell’Ada-Scid deriva da un
retrovirus, un virus capace di integrare stabilmente il proprio genoma in quello della cellula ospite,
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una volta entrato. Negli ultimi anni, però, i ricercatori dell’Hsr-Tiget hanno messo a punto dei vettori
ancora più efficaci e sicuri, capaci di veicolare materiale genetico anche in cellule che non si
duplicano, come ad esempio quelle nervose. Detti lentivirali, questi vettori derivano
originariamente dal virus dell’Aids, ma ne conservano soltanto il 10% circa della sequenza
originaria. A intuire per la prima volta le potenzialità dell’impiego di Hiv per la terapia genica è stato
proprio l’attuale direttore dell’Hsr-Tiget, Luigi Naldini, nel 1995.
Video: Terapia genica: la tecnica spiegata da Luigi Naldini
https://www.youtube.com/watch?v=oAX0hDMpGss
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Il Lupus Eritematoso Sistemico (LES)
Il Lupus Eritematoso Sistemico (LES) è una malattia infiammatoria cronica autoimmune, che si
manifesta con lesioni infiammatorie. Può colpire qualsiasi tessuto o organo nello stesso paziente:
da qui l’aggettivo Sistemico. Ad oggi non esiste una causa specifica della malattia. Il LES è quindi
una patologia multifattoriale, caratterizzata dalla comparsa di una risposta del sistema immune
contro i propri costituenti e con interessamento potenziale dell’intero organismo. L’esempio
paradigmatico è rappresentato dalla produzione di autoanticorpi diretti contro gli antigeni del
nucleo cellulare,.
Non esiste una causa unica responsabile della malattia ma più fattori che concorrono alla sua
insorgenza. La diversa combinazione di questi fattori è a sua volta causa della variabilità del
quadro clinico e della gravità della malattia:

Predisposizione genetica: oltre venti sono i loci (cioè specifiche zone) cromosomici
contenenti geni associati al LES;

Stimoli ambientali: infezioni virali (soprattutto parvovirus b19 e citomegalovirus), raggi UV,
sostanze tossiche, steroidi sessuali, prolattina, possono agire da fattori scatenanti. Diversi
farmaci, sia pure con meccanismi ancora da determinare possono invece indurre una
sindrome autoimmune simile al LES;

Anomalie immunitarie: nei pazienti è presente un’alterazione della fisiologica regolazione
dell’immunità con anomala risposta da parte dei linfociti. In particolare, una riduzione della
morte cellulare programmata (apoptosi) determinerebbe una maggiore longevità delle
cellule immunitarie che, esposte agli stimoli multifattoriali di cui sopra, avrebbero maggiore
facilità a produrre autoanticorpi, da cui la cascata infiammatoria, la formazione di
immunocomplessi e l’azione diretta degli stessi autoanticorpi su organi e apparati. Allo
stesso tempo una minore capacità di rimozione della cellule apoptotiche (cioè destinate a
morte) offrirebbe lo stimolo (auto-antigeni) per la stimolazione delle risposte autoimmuni del
lupus.
Come si manifesta
Il LES è una malattia grave, eterogenea, autoimmune e cronica con interessamento sistemico e
con decorso clinico variabile e imprevedibile. Ha una prevalenza <5/10.000 e colpisce
maggiormente le donne in età fertile (rapporto 9:1 femmine-maschi). Il rischio di mortalità è 2-5
volte superiore alla media (1/3 di mortalità è dovuto alla malattia, 2/3 alla terapia) con una
sopravvivenza a 15 anni pari al 76%.
La malattia ha un decorso cronico, recidivante-remittente, oppure quiescente, e presenta momenti
di esacerbazione della malattia ("flare") spesso con danno d’organo irreversibile. Il rischio di morte
risulta 2-5 volte superiore rispetto alla popolazione generale. Sul fronte clinico i pazienti con LES
hanno una ridotta qualità della vita spesso dovuta anche ai sintomi comuni quali fatica,
depressione, dolore, perdita di sonno.
Le manifestazioni muscolo-scheletriche sono le più frequenti (si rilevano nel 95% dei casi) seguite
da quelle cutanee ed ematologiche. Il coinvolgimento renale, che si osserva in una percentuale
molto variabile di casi, esita nella glomerulonefrite lupica che, a sua volta, se non trattata, conduce
all'insufficienza renale. Meno comuni sono le manifestazioni cardiache, neurologiche e polmonari.
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Diagnosi e terapia
Il problema della diagnosi ritardata è particolarmente frequente in caso di LES, vista la difficoltà di
riconoscere precocemente i segni della malattia, specie se non sono presenti le classiche lesioni
cutanee al volto.
Per questo è fondamentale sospettare il quadro in presenza di segni e sintomi che interessano
soprattutto le articolazioni, per poter riconoscere precocemente i pazienti attraverso test specifici
(in particolare autoanticorpi presenti nel sangue). A quel punto si può pensare all’approccio
terapeutico che va studiato caso per caso, in base alle condizioni del paziente e al livello di gravità
della malattia. La terapia punta quindi a controllare l’attività della malattia, limitando i possibili
effetti collaterali, a prevenire le riaccensioni della patologia e ulteriori danni d’organo, il
mantenimento della funzionalità quotidiana del paziente. I fattori chiave per il danno d’organo e la
mortalità nel LES sono infatti l’incontrollata attività di malattia, la tossicità del trattamento e la
comorbidità, ovvero la presenza di patologie concomitanti. Purtroppo, le terapie attualmente
disponibili offrono spesso un controllo non completo dei sintomi e dei possibili risultati a lungo
termine: ad oggi in Italia circa il 50 per cento dei circa 28.000 pazienti presenta una malattia non
controllata. Quattro sono le classi farmacologiche attualmente disponibili: cortisonici, che
rappresentano ancora oggi il cardine del trattamento, citostatici/immunosoppressori che bloccano
la moltiplicazione delle celle coinvolte nella risposta immunitaria, antimalarici (da impiegare in casi
specifici) e antinfiammatori non steroidei (FANS), da usare in presenza di sintomi specifici a carico
dell’apparato osteoarticolare. Antimalarici. Vengono impiegati solo in casi specifici, specie quando
sono presenti interessamento della pelle e del cuoio capelluto oltre che nelle forme con artrite,
pleurite e pericardite. Gli effetti collaterali sono ridotti, ma attenzione va prestata in particolare agli
occhi, che possono risentire dell’azione di questi farmaci: per questo si consigliano visite
oculistiche periodiche durante il trattamento. Negli ultimi tempi, grazie agli sviluppi della ricerca in
biologia molecolare, proprio GSK ha messo a punto la prima terapia specifica per il LES dopo 50
anni in grado di agire direttamente su meccanismi specifici (il sistema Blys) che mantengono
elevato il grado di malattia.
Per maggiori informazioni: http://www.lupus-italy.org/
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La sindrome di Sjögren
La sindrome di Sjögren è una malattia infiammatoria cronica autoimmune che colpisce le
ghiandole esocrine ed in particolare le ghiandole salivari e lacrimali. Nella sindrome di Sjögren il
sistema immunitario non riconoscendo le proprie cellule, tessuti ed organi, attacca soprattutto
queste ghiandole (in particolare quelle che producono la saliva e le lacrime, distruggendole e
creando notevoli disturbi di bocca secca (xerostomia) ed occhio secco (cheratocongiuntivite
secca). Come altre malattie autoimmuni, la Sindrome di Sjögren può danneggiare organi vitali e
presentare una sintomatologia tipica caratterizzata da livelli di intensità variabile: alcuni pazienti
possono avere dei sintomi molto lievi di xerostomia e xeroftalmia, mentre altri possono alternare
periodi di ottima salute seguiti da periodi di acuzie (tumefazioni parotidea, artralgie, febbre). La
progressiva perdita della funzione ghiandolare può condurre all’instaurarsi di un quadro clinico
caratterizzato da secchezza orale e oculare (xerostomia e xeroftalmia), denominato “sindrome
sicca”. La Sindrome di Sjögren può interessare tutte le ghiandole esocrine (esocrinopatia
autoimmune) ed un terzo dei pazienti presenta un impegno sistemico extraghiandolare.
Come si manifesta
Ha una frequenza pari all'1% e colpisce soprattutto le donne (8:1) a partire dai 40 anni. La
sindrome viene definita primaria quando le ghiandole lacrimali e salivari sono infiltrate e la loro
attività secretiva è compromessa, in assenza di altre malattie autoimmuni. La forma secondaria
invece si manifesta quando i sintomi specifici, xerostomia e xeroftalmia, sono concomitanti ad altre
malattie del tessuto connettivo: approssimativamente il 50% delle persone affette da Sindrome di
Sjögren è di tipo secondario.
I principali sintomi e segni sono: secchezza della mucosa orale (xerostomia) che porta a disfagia
e ad infezioni del cavo orale; secchezza oculare (xeroftalmia) caratterizzata da
cheratocongiuntivite; secchezza delle vie aeree (xerotrachea) con bronchiti ricorrenti, inoltre
l'infiltrazione linfocitaria del polmone può evolvere in fibrosi polmonare; secchezza vaginale;
tumefazione delle ghiandole salivari maggiori.
Diagnosi e terapia
La diagnosi di questa malattia non è semplice anche perché sono diversi gli specialisti con cui il
paziente entra in contatto per i sintomi, dall’oculista, all’odontoiatra. In caso di sospetto, oltre ad
esami specifici del sangue, si possono effettuare la valutazione quali-quantitativa delle secrezioni
salivari e lacrimali e la biopsia labiale che confermano l’eventuale sospetto. La diagnosi precoce
rimane tuttavia un obiettivo fondamentale visto che questo aspetto può influire sulla prognosi. Sul
fronte delle cure, non c’è al momento un trattamento risolutivo mirato per la patologia. Per quanto
riguarda i sintomi si punta su sostituti in grado di compensare la scarsa produzione delle ghiandole
salivari ed oculari, mentre il trattamento di base punta a correggere il difetto dell’immunità
attraverso farmaci antinfiammatori ed immunosoppressori.
Per maggiori informazioni: http://www.animass.org/sjogren/
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L’Ipertensione arteriosa polmonate (IAP)
Si definisce “ipertensione arteriosa polmonare” (IAP) un gruppo di patologie che interessano le
arterie polmonari, ossia i vasi che forniscono ai polmoni il sangue per l’ossigenazione. La IAP è
caratterizzata da un incremento progressivo della resistenza vascolare polmonare (PVR,
Pulmonary Vascular Resistance), che determina un aumento della pressione sanguigna nel circolo
polmonare. Di conseguenza il cuore deve lavorare di più per pompare sangue nei polmoni e ciò
determina in ultima analisi una disfunzione del ventricolo destro del cuore e infine il decesso del
paziente.
L’ipertensione arteriosa polmonare è una malattia orfana, ossia una patologia che si verifica tanto
raramente che un medico generico, per quanto molto attivo, non dovrebbe rilevarne più di un caso
all’anno. Può manifestarsi in persone di tutte le età e di entrambi i sessi, ma colpisce le donne
quasi il doppio rispetto agli uomini [Humbert, 2006; Peacock, 2007].
Le difficoltà nell’identificare e diagnosticare la IAP rappresentano un problema ai fini delle stime
sulla reale epidemiologia della malattia. Parlando di epidemiologia si usano abitualmente i termini
“incidenza” e “prevalenza”. L’incidenza di una malattia indica il numero di nuovi casi che si
verificano in una popolazione in un determinato periodo di tempo, generalmente un anno. La
prevalenza di una malattia si riferisce al numero di persone in una popolazione che presentano
attualmente la malattia.

L’incidenza stimata di IAP è di 2-4 casi/1 milione di adulti/anno [Abenhaim, 1996; Humbert,
2006]

La prevalenza stimata della IAP è di circa 15-25 casi/1 milione di adulti [Humbert, 2006].
Come si manifesta
Nelle fasi iniziali, la IAP può presentare pochi sintomi o non presentarne affatto. I sintomi sono
causati dai ridotti livelli di ossigeno nel sangue e dalla maggior sollecitazione cui è esposto il cuore
a causa dell’aumento della pressione nelle arterie polmonari. Tra i primi sintomi che il paziente
avverte vi sono generalmente dispnea da sforzo, affaticamento e palpitazioni (battito cardiaco
irregolare). Spesso, tuttavia, tali sintomi vengono attribuiti, sia dai pazienti sia dai medici, ad altre
patologie, quali stress, indebolimento fisico, obesità, asma o ansia [Traiger, 2007]. Per questo
motivo l’individuazione precoce della IAP rappresenta un problema significativo.
A mano a mano che la malattia progredisce, sintomi come la dispnea diventano palesi anche a
riposo. L’insufficienza del ventricolo cardiaco destro può causare ulteriori sintomi, come gonfiore
delle caviglie o dei piedi (edema periferico), aumento di peso dovuto a ritenzione dei liquidi,
accumulo di liquidi in eccesso nel peritoneo (una condizione detta “ascite”) e fastidio addominale
In sintesi:
1. Affanno (dispnea): il segno più comune di IAP (è infatti presente nel 95% dei pazienti). In
un primo momento si manifesta durante un’attività fisica intensa, ma progressivamente si
associa a un grado di attività sempre minore.
2. Affaticamento: anche questo è uno dei primi sintomi della IAP e si associa a livelli sempre
minori di sforzo fisico.
3. Senso di oppressione al torace, che spesso viene confuso con l’angina.
4. Svenimento (sincope): si può verificare con l’aggravarsi della patologia.
5. Gonfiore di caviglie e piedi: si può verificare con l’aggravarsi della patologia.
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Diagnosi e terapia
Benché non siano ancora del tutto chiare le ragioni e le modalità di sviluppo (patogenesi) della
IAP, sono stati compiuti dei progressi nella comprensione delle caratteristiche genetiche e
biocellulari della malattia. La lesione vascolare e l’attivazione delle vie biologiche che determinano
lo sviluppo della malattia derivano dalla combinazione di diversi fattori (fattori genetici, esposizione
ambientale a fattori di rischio e disordini acquisiti), nessuno dei quali è in sé sufficiente a scatenare
la malattia.

Predisposizione genetica
Gli studi che hanno analizzato famiglie colpite dalla IAP dimostrano che questa malattia viene
ereditata in modo autosomico dominante, il che significa che è necessario che un genitore
trasmetta il gene anomalo al figlio perché questo sviluppi la malattia. Ma solo il 10-20% dei
soggetti che presentano questa particolare mutazione genetica sviluppa la IAP: ciò significa che
devono essere chiamati in causa ulteriori fattori [Machado, 2009]. Pertanto, la presenza di tali geni
anomali aumenta il rischio che un soggetto sviluppi la IAP, ovvero lo “predispone” alla malattia.
Tra i geni coinvolti nello sviluppo della IAP che sono stati identificati vi sono i seguenti:
 BMPR2: è un gene che codifica per un membro della famiglia dei recettori del fattore di
crescita trasformante (TGF)-β, che è coinvolto nel controllo della crescita delle cellule
vascolari. BMPR2 è stato identificato come responsabile di oltre il 70% dei casi di IAP
ereditaria e di circa il 20% dei casi di IAP idiopatica [Machado 2009].

Recettore di tipo 1 dell’attivina con attività chinasica (ALK1)

Trasportatore della serotonina 5-HTT

Recettore di tipo 2 della proteina morfogenetica ossea
Viste le difficoltà insite nell’identificazione della IAP, possono intercorrere 2-3 anni tra la prima
manifestazione dei sintomi da parte di un paziente e la diagnosi [Humbert, 2006]. Sfortunatamente
a questo stadio la maggior parte dei pazienti presenta già dei sintomi gravi, e in una percentuale
fino al 75% la malattia ha già raggiunto una classe funzionale III o IV [Humbert, 2006]. Prima
dell’avvento di una terapia specifica anti-IAP la durata stimata della sopravvivenza dal momento
della diagnosi era di 2,8 anni [D’Alonzo, 1991]. In questo studio, la sopravvivenza nei pazienti con
una malattia di classe I o II è stata di 58,6 mesi rispetto a 31,5 mesi per i pazienti di classe III. La
sopravvivenza si è ridotta a 6 mesi per i pazienti con una classe funzionale IV [D’Alonzo, 1991].
Negli ultimi 10-15 anni sono emerse diverse opzioni terapeutiche per il trattamento della IAP, che
hanno dimostrato di determinare effetti positivi sulla sopravvivenza dei pazienti. Una metanalisi di
21 studi randomizzati controllati incentrati su terapie specifiche per la IAP e pubblicati tra il 1990 e
il 2008 ha dimostrato che le terapie mirate per la IAP erano associate a una riduzione della
mortalità pari al 43% [Galiè, 2009b].
In sintesi
1. Con il termine “ipertensione arteriosa polmonare” (IAP) si contraddistingue un gruppo di
malattie che colpiscono le arterie polmonari.
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2. La IAP è definita come una sostenuta pressione arteriosa polmonare media >25 mmHg a
riposo, con valori pressori del lato sinistro nella norma, rappresentati da una pressione di
incuneamento capillare polmonare <15 mmHg.
3. Tra i sintomi della IAP rientrano affanno, affaticamento, senso di oppressione al torace,
svenimento e gonfiore di caviglie o piedi.
4. Identificare e diagnosticare la IAP è difficile poiché i sintomi sono molto simili a quelli di
altre patologie.
5. La classificazione della IAP include IAP idiopatica, IAP ereditaria e IAP associata a
patologie quali malattie del tessuto connettivo, cardiopatia congenita e infezione da HIV.
6. La IAP colpisce le donne quasi il doppio rispetto agli uomini.
7. L’incidenza della IAP è di circa 2-4 casi/1 milione di adulti/anno.
8. La prevalenza della IAP è stimata in 15-25 casi/1 milione di adulti.
9. La IAP è causata dalla combinazione di predisposizione genetica, esposizione ai fattori di
rischio e patologie acquisite, che determinano un danno vascolare che a sua volta scatena
le vie biologiche della malattia.
10. Il danno vascolare determina vasocostrizione, proliferazione cellulare, trombosi e
infiammazione, che insieme contribuiscono al restringimento delle arterie polmonari,
causando un aumento della pressione sanguigna.
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Siti internet di riferimento:
-
Video: Terapia genica: la tecnica spiegata da Luigi Naldini
https://www.youtube.com/watch?v=oAX0hDMpGss
-
Gruppo LES italiano: http://www.lupus-italy.org/
-
Associazione Nazionale Italiana Malati Sindrome di Sjögren: http://www.animass.org/sjogren/
-
Telethon: www.telethon.it
-
Federazione Italiana Malattie Rare onlus: www.uniamo.org/
-
Osservatorio malattie rare: www.osservatoriomalattierare.it/malattie-rare
-
Centro Nazionale Malattie Rare - Istituto Superiore di Sanità: www.iss.it/cnmr/
-
Malattie rare- Ministero della Salute: www.salute.gov.it/portale/temi/p2_4.jsp?area=Malattie%20rare
-
Sito Orphanet Italia: www.orphanet-italia.it/national/IT-IT/index/le-malattie-rare/
-
Eurordis - Malattie rare: www.eurordis.org/it/malattie-rare
-
Portale dell'Unione Europea sulle malattie rare: http://ec.europa.eu/health/rare_diseases/
-
GSK corporate site: www.gsk.com
Ordine dei giornalisti del Veneto: http://www.ordinegiornalisti.veneto.it
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