SANDRO BOTTICELLI (1445/1510) Il fiorentino Sandro Filipepi

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SANDRO BOTTICELLI (1445/1510) Il fiorentino Sandro Filipepi
S ANDRO B OTTICELLI
(1445/1510)
Il fiorentino Sandro Filipepi, detto Botticelli, seppe interpretare con sensibilità il pensiero umanista e il raffinato
clima della corte dei Medici, che intorno alla metà del Quattrocento avevano promosso l’approfondimento dei
temi neoplatonici nell’Accademia di filosofia della villa di Careggi, guidata da Marsilio Ficino. In coerenza con i
principi di questa corrente, volta a conciliare il pensiero platonico con quello cristiano, Botticelli sviluppò
diversi soggetti mitologici, utilizzati come allegorie da interpretare in chiave morale. Nei suoi dipinti, la
ricerca di un superiore ideale di bellezza si esprime attraverso figure trasognate ed eleganti, in cui domina
un’atmosfera di lontananza e di malinconia Strumento privilegiato sono la linea, che delimita le forme
con andamento continuo e sinuoso, ed i colori, preziosi e brillanti, con i quali il pittore ottiene splendidi
effetti di trasparenza.
L A P RIMAVERA (1478-1480 circa, tempera su tavola, Firenze, Galleria degli Uffizi) fu dipinta per conto di
Lorenzo di Pierfrancesco de’ Medici, cugino di Lorenzo il Magnifico. La scena è ambientata in un giardino
fiorito, in cui lo spazio è definito dagli alberi carichi di frutti e fiori che fanno da quinte, e nonostante la ricchezza
dei particolari risulta lontana da ogni riferimento reale. Al centro è raffigurata la dea Venere, collocata in una
nicchia naturale creata da un cespuglio di mirto (pianta a lei sacra), posto dietro di lei. È una Venere pudica, dai
movimenti delicati, che accenna un gesto tra il saluto e la casta ritrosia. Sopra di lei il piccolo Cupido bendato
scocca la sua freccia. Da destra entra con decisione nel quadro Zefiro, il vento di primavera, che riesce a
ghermire la ninfa Clori, che cercava di sfuggirgli. Dalla bocca di Clori nasce un ramo fiorito che dà origine
alla fioritura sull’abito di Flora. A sinistra le tre Grazie danzano armoniosamente, intrecciando le mani e
muovendo le braccia mentre si guardano. Il velo trasparente di cui sono vestite asseconda il movimento e lascia
trasparire i corpi nudi delle tre divinità. Mercurio chiude il gruppo all’estrema sinistra: con il caduceo, il bastone
simbolo del suo potere, egli sta dissipando le nubi che si addensano nel cielo; in questo modo allontana ogni
elemento che potrebbe oscurare la luminosità di questo giardino dove regna eternamente la primavera. Venere,
isolata al centro del dipinto, funge da elemento di equilibrio. La sua posizione è sottolineata dalla presenza di
Cupido e dalla disposizione semicircolare del cespuglio di mirto alla sue spalle. Le restanti figure sono disposte
secondo una successione ritmica e collegate da un andamento ondulato che percorre orizzontalmente il
dipinto. La linea, fluida e continua, rappresenta l’elemento espressivo principale dell’opera: essa traccia
con perfezione i contorni delle figure, ne modula le forme, descrive minuziosamente gli innumerevoli
particolari dell’opera. Non esiste prospettiva e la disposizione delle figure non aiuta a percepire la
profondità: ad eccezione di Venere, i personaggi sono collocati sullo stesso piano, mentre gli alberi sono allineati
e si ramificano attorno alla figura centrale. La luce è pacatamene diffusa e non sembra provenire da una
fonte ben determinata. Il chiaroscuro è delicato, tanto che le figure appaiono quasi incorporee, sotto la
trasparenza dei veli.
L’interpretazione del soggetto è ancora oggi discussa, ma è certa la sua derivazione dall’ambiente culturale
letterario-filosofico della corte di Lorenzo il Magnifico e, qualunque sia l’esatta lettura del dipinto, esso
interpreta certamente il principio neoplatonico secondo il quale l’arte deve rappresentare l’ideale di un
mondo prefetto, e la bellezza delle forme è espressione dell’armonia universale. Venere non è più solo la
dea della Bellezza, ma diviene la divinità scelta per incarnare l’Humanitas, espressione della duplice
natura dell’amore, puro e sensuale, che deve guidare le attività spirituali dell’uomo.
La N ASCITA DI V ENERE (1485 circa, tempera su tela, Firenze, Galleria degli Uffizi) fu dipinta, come la
Primavera, per conto di Lorenzo di Pierfrancesco de’ Medici. La composizione è perfettamente bilanciata: al
centro, sopra una conchiglia, Venere, nata dalla schiuma del mare, sotto una pioggia di rose (apparse sul modo
alla sua nascita e suo attributo), è spinta a riva dal soffio dei venti Zefiro e Aura. Sulla spiaggia l’attende una
fanciulla, forse una delle tre Grazie o una delle Ore, pronta a rivestirla con un manto purpureo. Il soffio del
vento scompiglia i capelli della dea e sembra opporsi all’azione della fanciulla sulla destra, gonfiando il mantello
nell’aria. Il paesaggio marino è reso con linee sinuose, che riecheggiano il profilo del corpo. Il nudo di Venere,
ispirato nell’atteggiamento alla statua classica della Venus pudica, è costruito con una linea fluida che ne evidenzia
il profilo. Botticelli giunge a un linearismo funzionale all’espressione della corporeità e della gestualità
della figura: la linea, cioè, definisce il contorno di una mano, di un velo, e contemporaneamente ne suggerisce il
movimento. I colori sono tenui, i contrasti chiaroscurali attenuati.
Anche in questo caso il dipinto nasconde un’allegoria neoplatonica: il soggetto rimanda simbolicamente
all’unione armonica tra Materia e Spirito e all’esaltazione della bellezza femminile e della castità.

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