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I Mille di Genghis Khan
Gli Hazāra tra persecuzioni, esilio e speranze di rinascita
(1879-2009)
Federico De Renzi
Passeggiando nei pressi di Piazza Venezia a Roma, tra Piazza di San Marco e via degli Astalli, a
pochi passi dalla storica sede del PCI in via delle Botteghe Oscure, ci si può imbattere in volti
insoliti. Volti rassegnati, in fila per avere un aiuto dal Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati di via degli
Astalli. Volti antichi, quasi comparse uscite da un racconto di Rudyard Kipling. Kim o l’Uomo che
volle essere Re, fate voi. Ma ad un occhio più esperto ricordano i soldati turchi e mongoli raffigurati
delle miniature persiane degli Shanameh d’epoca ilkhanide o gialairide nei secoli XIV e XV, o le
guide delle carovane che trasportavano principesse Ming a Tamerlano raffigurate nelle tavole
“cinesi” di Siyah Qalem, il “Maestro degli Uomini e dei Demoni” nella Transoxiana del ’400.1
E in un certo senso questi Hazāra, perché proprio di loro si tratta, lo sono.
Il nome Hazāra sembra derivi dalla parola persiana hazār che significa “mille”, usato per riferirsi
all’unità militare mongola di 1000 uomini (Mongolo ming, pl. mingan Turco ming > bin, mille),
che insieme ad arban (unità di 10), jä’gün (unità di 100) e tümän (unità di 10.000) indicava i
contingenti delle armate mongole e post-mongole d’Asia.2 Queste erano infatti suddivise in unità
decimali, secondo un’antica pratica iranica e poi turca (si pensi ai 10.000 Immortali dei sovrani
achemenidi).3 Di lingua persiana, vivono soprattutto nelle regioni centrali del paese.
Con una popolazione stimata tra i 5 e gli 8 milioni, costituiscono circa il 15% della popolazione
dell’Afghanistan, essendo così il terzo gruppo etnico del paese. Gli Hazāra si trovano in gran
numero anche nel vicino Pakistan, in particolare nella città di Quetta (Baluchistan), e in Iran
(Mashhad), soprattutto come rifugiati. Prevalentemente musulmani Sciiti duodecimani, ma con
minoranze sciite ismailite e sunnite, oggi gli Hazāra aderiscono in maggioranza allo Sciismo
duodecimano (o Imamita), a differenza degli altri gruppi etnici presenti in Afghanistan (in gran
parte sunniti). Spesso sono stati accomunati ai persofoni della regione di Herat (farsīwān) proprio in
base alla religione, senza però mai nascondere il loro credo attraverso la dissimulazione prevista dal
diritto sciita (taqiyya). Vi sono poi alcuni Hazāra sunniti, principalmente tra gli Hazāra TÁymanÐ e
gli Aymaq Hazāra. La religione comunque, grazie anche a legami tribali molto dinamici, è sempre
stata vissuta a livello molto popolare, costituendo un fattore aggregante specie in occasione delle
festività, sia comuni (ÝId-e Qorbān e ÝId er-Ramazan) sia legate all’Ašūra (Martirio dell’Imam
Hussein). Importante è infatti la venerazione dei santi (pirān), e il rispetto dei Sayyed (discendenti
di Maometto). Come nella più antica tradizione iranica festeggiano l’inizio del Nuovo anno
zoroastriano (Nawrūz).4
1
Oleg Grabar and Sheila S. Blair, Epic Images and Contemporary History: The Illustrations of the Great Mongol
Shahnama, Chicago and London: Univeristy of Chicago Press, 1980; Robert Hillenbrand, ed., Shahnama: The Visual
Language of the Persian “Book of Kings” (VARIE, Occasional Papers, 2.), Aldershot: Ashgate, 2004; Idem, “The Arts
of the Book in Ilkhanid Iran,” in Linda Komaroff and Stefano Carboni, eds., The Legacy of Genghis Khan: Courtly Art
and Culture in Western Asia, 1256-1353, New York: Metropolitan Museum of Art, 2002, pp. 134-167; Mine
Haydaroğlu, ed., I, Mehmed Siyah Kalem: Master of Humans and Demons, İstanbul: Yapı Kredi Yayınları, 2004;
Nancy Shatzman Steinhardt, “Siyah Qalem and Gong Kai: an Istanbul Album Painter and a Chinese Painter of the
Mongolian Period”, Muqarnas, Vol. 4 (1987), pp. 59-71.
2
Alessandro Monsutti, “Hazāra. ii. History”, in Arash Khazeni, Alessandro Monsutti, Charles M. Kieffer, eds.,
“Hazāra”, Encyclopædia Iranica, 2003 (http://www.iranica.com/newsite/authors/index.isc); H. Poladi, The Hazâras,
Stockton, Cal.: Mughal Publishing Company, 1989.
3
Timothy May, The Mongol Art of War: Chinggis Khan and the Mongol Military System, Yardley, Pa.: Westholme
Publishing, 2007.
4
Alessandro Monsutti, “Image of the Self, Image of the Other: Social Organization and the Role of Ashura among the
Hazāras of Quetta (Pakistan)”, in Alessandro Monsutti, Silvia Naef and Farian Sabahi, eds., The Other Shiites: From
the Mediterranean to Central Asia, Berlin, New York, Oxford, etc.: Peter Lang, 2007, pp. 173-191; Idem,
“Cooperation, Remittances, and Kinship among the Hazāras”, Iranian Studies, Vol. 37, No. 2 (2004), pp. 219-224;
Alessandro Monsutti, “Hazāra iii. Ethnography and social organization”, in Arash Khazeni, Alessandro Monsutti,
Charles M. Kieffer, eds., “Hazāra”, Encyclopædia Iranica, 2003 (http://www.iranicaonline.org/articles/hazara-3); D.B.
Edwards, “The Evolution of Shi’i Political Dissent in Afghanistan,” in N. R. Keddie and J. R. I. Cole, eds., Shi’ism and
Social Protest, New Haven: Yale University Press, 1986, pp. 201-229; H. Emadi, “Minority Group Politics: The Role
of Ismailis in Afghanistan’s Politics,” Central Asian Survey, Vol. 12, No. 3 (1993), pp. 379-392.
Sebbene le origini degli Hazāra non siano pienamente ricostruibili, la discendenza mongola, almeno
parziale, non è da escludere, dato che le caratteristiche fisiche degli Hazāra e alcuni aspetti della
loro lingua somigliano a quelli dei Mongoli premoderni. 5 La loro struttura tribale infatti rientrava
pienamente nella tradizione turco-mongola. Le figure di rilievo nelle società prima dell’invasione
sovietica e delle guerre civili infatti (1979-1996) erano: capotribù (khān o mīr), governatore
(malek), capovillaggio (arbāb, daruÈa), anziano (riš safit, resa persiana del Turco ciagataico aq
saqal, barba bianca), capi spirituali (sayyed, spesso non hazāra).6 Dopo l’invasione sovietica,
emersero i comandanti militari (qomāndān) e i religiosi (Shaykhān).
L’ultima stima completa delle tribù hazāra la fece James Maitland, che riporta una tradizione orale
secondo la quale gli Hazāra erano originariamente divisi in otto tribù: Dāy Zangi, Dāy Kondi, Dāy
Čōpān, Dāy Kalān (i moderni ŠayÌ ÝAlī), Ëatay, Behsud, Fōlādi, e Dahla. Aggiunge che le prime
cinque sono sempre menzionate, ognuna delle ultime tre the è spesso sostituita dai Dāy Mirdād. Al
tempo della sua visita, Maitland diede la seguente lista di divisioni tribali e territoriali degli Hazāra:
Behsud (regione di Behsud, a oriente), Dāy Zangi (regione di Dāy Zangi, a nord e nord-ovest, con
Yakawlang), Dāy Kondi (regione Dāy Kondi, a occidente), Hazāra indipendenti (Hazārajāt
meridionale e sud-orientale, nell’attuale provincia di Urozgān e zone circostanti, inclusi i Dāy
Fōlādi, i Dāy Čōpān, e i Qalandar), Hazāra di Ghazni (JāÈori, MoÎammad Ëwāja, Čahār Dasta,
JaÈatu Hazāra), Hazāra ŠayÌ ÝAlī (Hazārajāt nord-orientale, inclusi i Karam-ÝAlī, Dāy Kalān,
Karluq, ÝAlī Jām, e i Turkman Hazāra, alcuni dei quali sono riportati essere sunniti), Hazāra di
Bāmiyān (di cui sono riportate solo piccole sezioni, inclusi i Tatari di Kahmard e di Dōāb) e gli
Hazāra sparsi nel Turkestan afghano.7 La lista risulta molto eterogenea e alcuni termini indicano
semplici unità regionali. Sarebbe infatti deviante presentare un’immagine definitiva delle principali
tribù hazāra, dal momento che, come accennato, le affiliazioni cambiano nel corso del tempo e le
definizioni riflettono la situazione politica, la quale ha notevolmente scardinato il sistema tribale.8
Nonostante l’inclusione dello Hazārajāt nello Stato afghano gli Hazāra vivono ancora oggi perlopiù
in zone rurali, in spesso in piccoli villaggi (qaria o āÈel) o in tradizionali fattorie fortificate (qalÝe).
Nel nord (Yakawlang, Bamiyan) era invece praticata fino a qualche decennio fa la transumanza tra
pascoli estivi (aylāq) e invernali (qešlāq < qïšlāq) tipica dei popoli turchi e mongoli.9
Il loro dialetto, detto Hazāragī (dialetto orientale del Persiano, o Dārī in Afghanistan) 10, contiene
infatti un numero significativo di parole comuni turche e mongole (padre, madre, cugino, notabile,
5
Mansur Haidar, “The Mongol traditions and their survival in Central Asia”, Central Asiatic Journal (CAJ) Vol. 28,
No. 1-2 (1984), pp. 57-59.
6
L. M. Kopecky, “The Imami Sayyed of the Hazarajat: the Maintenance of their Elite Position,” Folk Vol. 24 (1982),
pp. 89-110.
7
James Maitland (1847-1932), reduce della Seconda Guerra Anglo-afghana, fu insieme a Charles Edward Yate (18491940) uno dei funzionari della Joint Anglo-Russian Boundary Commission per la definizione del confine lungo il
Corridoio del Wakhan (1884-1886). Vedansi: Charles E. Yate, Northern Afghanistan, or Letters form the Afghan
Boundary Commission, Edinburgh and London: William Blackwood and Sons, 1888, p. 5 e sgg.; Pelham J. Maitland,
Reports on Tribes, Namely, Sārik Turkomans, Chahār Aimāk Tribes, and Hazāras, Simla: Afghan Boundary
Commission, Records of Intelligence Party IV, 1891, pp. 284-286.
8
Grant Farr, “The Hazara of Central Afghanistan,”, in Barbara Anne Brower and Barbara Rose Johnston, eds.,
Disappearing peoples? Indigenous Groups and Ethnic Minorities in South and Central Asia, Walnut Creek, Cal.: Left
Coast Press, 2007, pp. 153-168.
9
D. Davydov, “The Rural Community of the Hazaras of Central Afghanistan,” Central Asian Review, Vol. 14, No. 1
(1965), pp. 32-44; Birthe Frederiksen and Ida Nicolaisen, Caravans and trade in Afghanistan: The changing life of the
nomadic Hazarbuz, Carlsberg Foundation's Nomad Research Project, London: Thames and Hudson, 1996; Christopher
Kaplonski, “The Mongolian Impact on Eurasia: A Reassessment,” in Andrew Bell-Fialkoff, ed., The Role of Migration
in the History of the Eurasian Steppe: Sedentary Civilizations vs. “Barbarian” and Nomad, New York: St. Martin’s
Press, 2000, pp. 251-274; John Masson Smith, Jr., “Mongol Nomadism and Middle Eastern Geography: Qishlaqs and
Tümens”, in Reuven Amitai-Preiss & David Morgan, eds., The Mongol Empire & its Legacy, Leiden: Brill, 1999, pp.
39-56.
10
Charles M. Kieffer, “Hazāra. iv. Hazarāgi Dialect”, in Arash Khazeni, Alessandro Monsutti, Charles M. Kieffer, eds.,
“Hazāra”, Encyclopædia Iranica, 2003 (http://www.iranica.com/newsite/authors/index.isc); G. K. Dulling, The
Hazāragi Dialect of Afghan Persian: A Preliminary Study, Central Asian Monograph 1, London: Central Asian
Research Centre, 1973.
ecc.), in proporzione più che nelle altre varianti del Neo-persiano. 11 In particolare, lo Hazāragī della
regione di Dāy Kondi presenta una commistione significativa di influenze turche. Più in generale si
riscontrano elementi turcici nella produzione poetica e musicale 12, caratteristica questa di tutta l'area
culturale definibile come Turco-persiana, sin dal XV secolo.13
Molti Hazāra che vivono nelle grandi città come Kabul e Mazar-i Sharif non sono però più in grado
di parlare Hazāragī, ma usano una sorta di Persiano letterario standard (di solito il dialetto Kābolī) o
varietà regionali (ad esempio il dialetto Khorāsānī nella regione occidentale di Herat).14 Stando agli
studi del Weiers, fino a ai primi anni ’70 un piccolo numero di Hazāra vicino Herat parlava ancora
il Moghol, un dialetto arcaico vicino al Mongolo classico, oggi probabilmente estinto.15
Ma al di là delle divisioni religiose e linguistiche, il sangue non è acqua. Secondo uno studio del
Global Gene Project16, risulta che circa un quarto degli Hazāra del Pakistan formanti il campione
studiato presenta il cromosoma Y, proprio degli individui di origine mongola (“il cromosoma Y di
Genghis Khan”). Questo cromosoma è praticamente assente al di fuori dei limiti di quello che fu
dell’Impero mongolo, e gli Hazāra non fanno eccezione. Tra questi infatti raggiunge la sua massima
frequenza.17 Da un punto di vista genetico, gli Hazāra sono quindi una fusione del fenotipo
eurasiatico orientale (mongoloide) con quello occidentale (europoide), esempio tipico di molti
popoli dell’Asia centro-orientale, come gli Uiguri, gli Uzbechi o i Kazako-kirghizi.
Un’altra teoria propone che gli Hazāra discendano dai Kushana (I-III sec. d.C.), puri europoidi
iranici, discendenti dalle migrazioni dei Tocari o Yuezhi (176 a.C.-30 d.C.). 18 Legata a questa
un'altra ancora li mette in relazione con grandi formazioni nomadi e imperi quali gli Xiongnu (o
Unni d'Asia, III sec. a.C.-460 ca.), i Khanati dei Turchi Celesti (Kök Türküt, 552-744) e gli Eftaliti
(o Unni bianchi, 420-567). Questi ultimi nella regione sono famosi, oltre che per la distruzione
dell’Impero indiano dei Gupta (280-550 d.C.), anche per aver promosso la costruzione degli ormai
scomparsi Buddha colossali di Bamiyan (2ª metà del VI secolo). 19 Va poi considerato che per secoli
l'Eurasia centro-orientale è stata, almeno dai tempi della supremazia di popoli europoidi di lingua
iranica quali Sciti, Sarmati e Persiani,20 un unicum culturale definito da Grousset "l'Impero delle
Steppe".21 Fosse esso dominato da popolazioni europoidi piottosto che mongoloidi, nomadi o
11
Gerhard Dörfer, Türkische und mongolische Elemente im Neupersischen, Wiesbaden: Akademie der Wissenschaften
und der Literatur, Veröffentlichungen der Orientalischen Kommission, 1963-1975.
12
Karl Reichl, “Turkic Oral Epic”, Oral Tradition, Vol. 18, No. 2 (Oct. 2003), pp. 247-248.
13
A. Erkinov, “Persian-Chaghatay Bilingualism in the Intellectual Circles of Central Asia during the 15th-18th
Centuries (the case of poetical anthologies, bayāz)”, International Journal of Central Asian Studies (IJCAS), Vol. 12
(2008), pp. 57–82; Tourkhan Gandjeï, “Turkish in Pre-Mongol Persian Poetry”, Bulletin of the School of Oriental and
African Studies (BSOAS), Vol. 49, No. 1, In Honour of Ann K. S. Lambton (1986), pp. 67-75; Lars Johanson,
“Historical, cultural and linguistic aspects of Turkic-Iranian contiguity”, in Lars Johanson & Christiane Bulut, eds.,
Turkic-Iranian Contact Areas. Historical and Linguistic Aspects (Turcologica 62), Wiesbaden: Otto Harrassowitz
Verlag, 2005, pp. 1-14.
14
Abd-ul-Ghafûr Farhâdi, Le Persan parlé en Afghanistan. Grammaire du Kabôli, accompagnée d'un recueil del
quatrains populaires de la région de Kabôl, Paris: Centre National de Recerche Scientifique, 1955.
15
Michael Weiers, Die Sprache der Moghol der Provinz Herat in Afghanistan (Sprachmaterial, Grammatik, Wortliste).
Opladen: Westdeutscher Verlag, 1971; Idem,“Moghol”, in Juha Janhunen, ed., The Mongolic Languages, Routledge
Language Family Series 5, London: Routledge, 2003, pp. 248-264.
16
Il Genographic Project è stato avviato nel 2005 dal National Geographic e dall’IBM ed è finanziato dalla Waitt
Family Foundation. Il fine ultimo è raccogliere e analizzare campioni di sangue delle popolazioni indigene che vivono
in aree remote. L’obbiettivo è raccogliere più di centomila campioni di DNA, per poter così creare la più grande banca
genetica
del
Mondo.
Vedasi:
The
Genographic
Project
(https://genographic.nationalgeographic.com/genographic/index.html); The Genographc Project. Tracing Human Roots
to a Single Origin (http://wid.waittinstitute.org/genographic-project).
17
Tatiana Zerjal et al., “The Genetic Legacy of the Mongols”, The American Journal of Human Genetics, Vol. 72, Issue
3 (2003), pp. 717-721.
18
A.K. Narain, “Indo-Europeans in Inner Asia”, in Denis Sinor, ed., The Cambridge History of Early Innera Asia,
Cambridge: Cambridge University Press, 1990,1994, pp. 151-176.
19
Ying-Shih Yü, “The Hsiung-nu”, in Ibid., pp. 118-150; Denis Sinor, “The establishment and dissolution of the Türk
Empire”, in Ibid., pp. 285-316.
20
A.I. Melyukova, “The Scythians and the Sarmatians”, in Ibid., pp. 97-117.
21
René Grousset, L'Empire des Steppes. Attila, Gengis-khan, Tamerlan, Paris: Payot, 1938, 1965.
sedentarie, spesso parlanti lingue diverse ma sempre con costumi simili, questo "impero" culturale
ha fatto sì che si venissero a creare realtà etnico-religiose molto complesse. 22 Da qui si arriva quindi
a una terza teoria, ossia quella secondo cui gli Hazāra sono un popolo estremamente misto.
Questa posizione era accettata dalla maggior parte degli studiosi già negli anni ’50, come
argomentato dagli studi di Elisabeth Bacon.23 Va ricordato infatti che per tutta l’Epoca d’Oro
islamica (secoli VIII-XIII), l’area fu dominata da diverse dinastie di origine turca oghuza e cultura
Turco-persiana. Queste, proprio grazie al mantenimento e alla indiretta promozione di pratiche
eterodosse, legate al sustrato di credenze legate allo Sciamanesimo, contribuirono in maniera
decisiva a diffondere l'Islam nell'Eurasia centro-orientale.24 Costituente un unicum geografico con le
regioni del Khwarazm e del Mawarannahr (l'antica Transoxiana, la "Mesopotamia" d'Asia centrale"
secondo la tradizione dei geografi arabi, antica terra di civilizzazione iranica turcificata a partire dal
IX sec. d.C.) corrispondente agli attuali Uzbekistan, Tagikistan e Iran orientale, l’attuale
Afghanistan costituiva il cuore del Khorasan (l'antica Battriana) 25. La regione vide infatti il
succedersi dei grandi regni e imperi che fecero della cultura Turco-persiana il faro dell’Islam. 26
Primi fra tutti i Ghaznavidi (963-1151, 1187), dinastia turca guerriera resasi indipendente dal regno
persiano dei Samanidi (819-999).27 Una volta spazzato via ciò che restava della dinastia dei
Saffaridi (861-1003), dalla città di Ghazna (odierna Ghazni) il grande sovrano Mahmud (r. 9971030), con le sue campagne militari ridimensionò il potere dei Qarakhanidi (840-1211) e devastò
l’India settentrionale (l’antico Gandhara) per oltre un ventennio (17 incursioni tra il 1000 e il 1026).
Nella sua conquista del Panjab distrusse centinaia di templi indù e ne saccheggiò gli immensi tesori,
che, insieme agli schiavi catturati, gli permisero di divenire, oltre che difensore della Fede, uno dei
più grandi mecenati della Storia islamica. Lo stesso padre della rinata letteratura persiana, Firdawsi
(935-1020), scrisse il suo celebre Shahname (Libro dei Re) proprio in onore di Mahmud di
Ghazna.28
22
Peter B. Golden, Central Asia in World History (The New Oxford World History), Oxford: Oxford University Press,
2011, pp. 21-62.
23
Elisabeth E. Bacon, Obok: A Study of Social Structure of Eurasia, New York: Wenner-Gren Foundation, 1958.
24
Anatoly M. Khazanov, “The Spread of World Religions in Medieval Nomadic Societies of the Eurasian Steppes” in
Michael Gervers and Wayne Schlepp, eds., Nomadic Diplomacy, Destruction and Religion from the Pacific to the
Adriatic, Toronto Studies in Central and Inner Asia, No. 1 (1994), pp. 11-33; Jean Paul Roux, La Religion des Turcs et
des Mongols, Paris: Payot, 1984; Alessandro Bausani, “Religion under the Mongols”, in John A. Boyle, ed., The
Cambridge History of Iran, Vol. V: The Saljuq and Mongol Periods, Cambridge: Cambridge University Press, 1968, pp.
538-549; John A. Boyle, “Turkish and Mongol Shamanism in the Middle Ages”, Folklore, Vol. 83, No. 3 (Autumn,
1972), pp. 177-193; Peter B. Golden “The Karakhanids and Early Islam”, in Denis Sinor, ed., The Cambridge History
of Innera Asia, Cambridge: Cambridge University Press, 1990-1994, pp. 343-370.
25
Il termine arabo “mā warā’ an-Nāhr” (lett. “ciò che è oltre il fiume”, ossia l'Oxus) non è altro che la resa letterale del
termine latino Transoxiana e appare in relazione al Khorasan già nel trattato di Geografia Rappresentazione della Terra
(ÑÙrat al-ArÃ, Baghdad, 977 d.C.) opera del geografo persiano del X secolo Ibn Hawqal (MuÎammad AbÙ ’l-QÁsim ibn
Hawqal, 931?-988 d.C.). L’opera rientra nella tipologia grafica islamica detta del “Libro delle Strade e dei Regni”
(KitÁb al-MasÁlik wa’l-MamÁlik), nata alla cosiddetta Scuola grafica del fisico, matematico e geografo persiano alBalkhi (AbÙ Zayd AÎmad ibn Sahl al-BalÌÐ, 850-934 d.C.), e sviluppata dai suoi discepoli al-Istakhri e Ibn Hawqal.
Vedansi: J.H. Kramers, “La question Balkhi-Istahri-Ibn Hawkal et l'Atlas de l'Islam”, Acta Orientalia 10 (1932) pp. 930; C.E. Bosworth, “Khurāsān”, in EI², Vol. V (1986), pp. 55-59.
26
David O. Morgan, Medieval Persia 1040-1797, London: Longman, 1988.
27
Barthold, V.V., Histoire des Turcs d’Asie Centrale, adaptation française par Mme. M. Donskis, Paris: Librairie
d'Amérique et d'Orient, Adrien-Maisonneuve, 1945; Idem, Turkestan down to the Mongol invasion, 3rd ed., with
additional chapter, hitherto unpublished in English, trans. Mrs. T. Minorsky and with further [sic] addenda and
corrigenda by C. E. Bosworth, London: Luzac, 1968.
28
Interessanti sono i risultati degli scavi della Missione Archeologica Italiana a Ghazni, iniziata nel 1957 e ancora in
corso nel 2001. Parte dei fregi del palazzo di Mahmud e dei suoi successori si possono vedere al Museo Nazionale
d’Arte Orientale di Roma (MNAO). Per un buon quadro su Mahmud e sui Ghaznavidi vedansi: Clifford E. Bosworth,
The New Islamic Dynasties: A Chronological and Genealogical Manual, New York: Columbia University Press, 1996,
pp. 297-301. Idem, The Ghaznavids: Their Empire in Afghanistan and Eastern Iran: 994-1040, Edinburgh: Edinburgh
University Press, 1963. Idem, The Later Ghaznavids: Splendour and Decay. The Dynasty in Afghanistan and Northern
India, 1040-1186, Edinburgh: Edinburgh University Press, 1977; Alessio Bombaci, “Ghaznavidi,” in Enciclopedia
Universale dell’Arte VI, 1958, pp. 5-16; Idem, “Introduction to the Excavations at Ghazni: Summary Report on the
I suoi successori, sconfitti nel 1148 dai Sultani turchi Ghuridi (1149-1212) prima a oriente e poi in
India (Lahore), dovettero sempre più piegarsi alla forza emergente dei Selgiuchidi. Alla morte del
Sultano Malik Shah (r. 1072-1092) la regione del Mawarannahr era già fermamente in mano ai
Grandi Selgiuchidi. Con il figlio Ahmed Sanjar (r. 1118-1153), vincitore della guerra di successione
con i suoi fratelli, la caduta della dinastia si accelerò. Dopo una prima sconfitta nei pressi di
Samarcanda per mano dei Mongoli Qara Khitay (1124-1218), eredi diretti della Dinastia mongola
dei Liao e primi a creare un "Impero mongolo" a cavallo tra Cina e Mondo islamico, 29 il sovrano
venne battuto e catturato dai nomadi oghuzi del Tokharistan. Con la sconfitta dell’ultimo sovrano
dei Selgiuchidi d’Iran, Tughrul III (r. 1174-1194) per mano di ‘Ala ad-Din Tekish (r. 1172-1200), la
regione passò in mano ai loro ex vassalli Khwarazmshah (1077-1231), i quali ereditarono uno dei
sistemi politici più solidi dell'intero Oriente islamico. 30 Ma fu forse l’arrivo dei Mongoli di Genghis
Khan (c.1167-1227) a segnare per sempre la storia della regione. Una volta assorbito quello che
restava dei Qara Khitai, il nascente Impero mongolo venne allo scontro con i Khwarazmashah di
‘Ala ad-Din Muhammad (r. 1200-1220). Questi aveva già assorbito gli ultimi Selgiuchidi d’Iran
(1205) e sconfitto i Qara Khitay (1212), ma, nel 1218, decapitando gli emissari inviati a
Samarcanda dal Khan, risvegliò il drago. Il Khan non voleva un’invasione, ma l’unione pacifica di
tutti i popoli “che vivono nella tenda di feltro”. Nell’autunno del 1219 il Khan, insieme ai figli
Chaghatai e Ögedei attraversò il Syr Darya con oltre 200.000 uomini, prendendo le ricche città di
Otrar, Samarcanda, Bukhara e Urgench in meno di due anni. Per conquistare quest’ultima Jöchi,
Chaghatai e Ögedei impiegarono sette mesi (ottobre 1220-aprile 1221), e una volta presa, i mongoli
ruppero le dighe sull’Amu Darya, inondando la città. La crudeltà mostrata dai Mongoli in
Khwarazm e in Mawarannahr sarebbe diventata leggendaria. 31 I generali Jebe e Subotai inseguirono
‘Ala ad-Din fino al Caspio, su una cui isola lo Shah morì da fuggiasco nel dicembre del 1220. Allo
stesso tempo il figlio più giovane del Khan, Tolui (1193-1232), conquistava il Khorasan ancora
formalmente in mano ai Khwarazmashah. Con 50.000 uomini prese le ricche città di Termez, Balkh
e, soprattutto, Merv.32 Poi si diresse contro Nishapur e Herat.33 Durante l’assedio di Nishapur il
genero di Genghis, Tokuchar, venne ucciso. Tolui ordinò allora di passare a fil di spada di tutti gli
esseri viventi della città. Lo stesso avvenne per la morte di Mutugen, figlio di Chaghatai, durante
l’assedio di Bamiyan. Il Khan ordinò lo sterminio di tutto ciò che era presente in città, uomini o
animali, di non prendere prigionieri ne bottino e di lasciare la città nella desolazione, cosicché
nessuna creatura l’avrebbe più abitata. Da allora il luogo divenne noto come Mao Balïq (dimora
inabitabile).34 Contrariamente a quanto generalmente asserito, una volta completata la conquista e
messosi in viaggio di ritorno per la Mongolia, non sembra che il Khan avesse lasciato delle
guarnigioni nella regione, come del resto era uso, affidandosi più agli amministratori civili locali,
spesso uighuri o khitan.35 Sembra però che ne vennero poste sotto Ögedei (r. 1229-1241), almeno a
Italian Archaeological Mission in Afghanistan,” East and West Vol. 10, Nos. 1-2 (March-June 1959), pp. 3-22; Idem,
“Les Turcs et l’art ghaznavide,” First International Congress of Turkish Arts, Ankara, 19th-24th October 1959, Ankara,
1961, pp. 67-70; Arthur George Warner, ed., Firdawsi, Shahname, London: Kegan Paul, Trench, Trübner, 1905.
29
Michael Biran, The Empire of the Qara Khitai in Eurasian History: Between China and the Islamic World,
Cambridge: Cambridge University Press, 2005; Karl A.Wittfoge, and Feng Chia-Sheng, History of Chinese Society:
Liao, 907-1125, Philadelphia: American Philosophical Society 1949.
30
Anne K.S. Lambton, “The Internal Sructure of the Seljuk Empire,” in John A. Boyle, ed., The Cambridge History of
Iran, Vol. V: The Saljuq and Mongol Periods, Cambridge: Cambridge University Press, 1968, pp. 203-282.
31
David C. Nicolle, Saracen Strongholds 1100–1500. The Central and Eastern Islamic Lands, Oxford: Osprey
Publishing (Fortress 87), 2009; Idem, Medieval Siege Weapons (2). Byzantium, the Islamic World & India AD 476–
1526, Oxford: Osprey Publishing (New Vanguard 69), 2003.
32
Per un quadro completo del periodo, vedasi: C. E. Bosworth, “The Political and Dynastic History of the Iranian
World (A.D. 1000-1217),” in John A. Boyle, ed., The Cambridge History of Iran, Vol. V: The Saljuq and Mongol
Periods, Cambridge: Cambridge University Press, 1968, pp. 1-202.
33
Saunders, J.J., The History of the Mongol Conquests, Philadelphia: University of Pennsylvania Press, 2001 (originally
published London: Routledge and K. Paul, 1971), pp. 55-61.
34
Paul Ratchnevsky, Genghis Khan: His Life and Legacy, Oxford: Blackwell, 1991, p. 164.
35
Nicola Di Cosmo, “Introduction: Inner Asian Ways of Warfare,” in Nicola Di Cosmo, ed., Warfare in Inner Asian
History (500-1800), Leiden: Brill, 2002, pp. 3-12; Denis Sinor, “The Inner Asian Warriors”, Journal of the American
Ghazna. Con Hülegü (r. 1256-1265), il distruttore degli Assassini di Alamut, colui che stanò dal
Nido dell’Aquila il Vecchio della Montagna (1256) e conquistò Baghdad (1258), sede degli ultimi
Califfi Abbasidi, la regione entrò a far parte delle terre degli Il-Khan (1256-1335).36
Tuttavia già con Möngke Khan (r. 1251-1259), primo Gran Khan della linea Toluide, tanto gli
amministratori quanto le truppe provenivano perlopiù dai domini di Chaghatai (r. 1225-1242).
Nomadi turco-mongoli continuarono ad affluire nella regione anche quando l’Ulus (Possedimento)
divenne de facto indipendente (1260). Non stupisce quindi che tribù Hazāra prendano il nome da
celebri generali mongoli, come i Tulai Khan Hazāra (da Tolui). Esemplare poi è il caso dei
Nikudārī. Sembra che questi derivino il loro nome da Negüder, generale di Berke Khan (r. 12571266) nipote di Genghis e reale unificatore dopo Batu (r. 1227-1257) dell’Ulus di Jöchi, nota poi
come Orda d’Oro. Quando scoppiò la guerra tra Berke e Hülegü, nel 1261-’62, Negüder insieme
con reduci dell’Orda d’Oro in forza alla spedizione di Hülegü, dal Khorasan si impadronì di Herat e
Ghazni, chiudendo così gli Ilkhanidi alle spalle. Questi uomini, una volta mescolati con le locali
popolazioni turcofone e persofone, divennero noti con il nome di Qara’unas (i neri mescolati).37
A questi seguì una seconda ondata di mongoli dell’Ulus di Chaghatai provenienti dal Khorasan e
dal Turkestan, causata anche dall'attrativa esercitata dalla grande ricchezza diffusa nella regione
grazie agli intensi traffici commerciali.38 Sotto l’Ilkhan Öljeitü (r. 1305-1316) la regione venne
tenuta da vari comandanti chagataidi, secondo il sistema feudale transfrontaliero (soyurgal) tipico
dell'Impero mongolo39, con a disposizione nuclei di guerrieri altamente addestrati. 40 In seguito
venne investita da altre ondate di turco-mongoli in fuga prima dall’Ilkhanato in rovina di Abu Sa‘id
(r. 1316-1335) e poi da Timur-i Lenk (Tamerlano, r. 1370-1405), egli stesso chagataide del clan
Barlas. A partire dal 1380, con le campagne di Tamerlano in Persia orientale, questi si stabilirono
infatti nella regione, formando un gruppo a sé stante.41 Il condottiero infatti, dopo aver preso Herat e
conquistato il Khorasan e la Persia orientale (1385), reclamava le province di Qandahar, Ghazni e
Kabul proprio in nome della Casata di Chaghatai, 42 rivendicando anche la protezione del santo
Oriental Society, Vol. 101 (1981), pp. 133-144; John Masson Smith, Jr., “Mongol Society and Military in the Middle
East: Antecedents and Adaptations,” in Yaacov Lev, ed., War and Society in the Eastern Mediterranean, 7 th and 15th
Centuries, Leiden: Brill, 1996; Michael Biran, “The Mongol Transformation. From Steppe to Eurasian Empire”,
Medieval Encounters,Vol. 10, No.1-3 (2004), pp. 339-361; Idem, “Mongols, Turks and Chinese: The Khitans under
Mongol Rule,” paper presented at the International conference for Mongol-Yuan Studies, Nanjing, China, August 2002;
Jean Aubin, Emirs Mongols and visirs persans dans les ramous de l’acculturation, Paris: Association pour
l’advancement des etudes Iraniennes, 1995.
36
L. Venegoni, “Hülägü's Campaign in the West - (1256-1260)”, in Ēran ud Anērān, Transoxiana Webfestschrift Series
I, Studies presented to Boris Ilich Marshak on the Occasion of His 70 th Birthday (2003); George Lane, Early Mongol
Rule in Thirteenth-Century Iran. A Persian Renaissance, London; New York: RoutledgeCurzon, 2003.
37
Sembra tuttavia che in origine fossero un tamma, ossia un nucleo centrale delle forze militari permanenti dei khanati
successori. Le loro azioni di banditismo sono riportate anche da Marco Polo, che passò per quelle regioni nel 1272.
Vedasi: David O. Morgan, The Mongols, Oxford : Blackwell, 1986, pp. 145-157; Jean Aubin, “L’ethnogénèse des
Qaraunas”, Turcica, 1 (1969), pp. 65-94; John Masson Smith, Jr., “Mongol Manpower and Persian Population”,
Journal of the Economic and Social History of the Orient (JESHO), Vol. 18, No. 3 (Oct., 1975), pp. 271-299; Donald
Ostrowski, “The "tamma" and the Dual-Administrative Structure of the Mongol Empire”, BSOAS, Vol. 61, No. 2
(1998), pp. 262-277.
38
I.P. Petrushevsky, “The Socio-Economic Condition of Iran Under the Īl-Khāns”, in John A. Boyle, ed., The
Cambridge History of Iran, Vol. V: The Saljuq and Mongol Periods, Cambridge: Cambridge University Press, 1968, pp.
483-537.
39
Lawrence Krader, “Feudalism and the Tatar Polity of the Middle Ages”, Comparative Studies in Society and History,
Vol.1, No.1 (Oct., 1958), pp. 76-99; Kâzım Paydaş, “Moğol ve Türk-İslâm Devletlerinde Suyurgal Uygulaması”, Bilig,
Sy. 39 (Güz 2006), ss. 195-218; Boyle, John A., “The Political and Dynastic History of the Īl-Khāns” in John A. Boyle,
ed., The Cambridge History of Iran, Vol. V: The Saljuq and Mongol Periods, Cambridge: Cambridge University Press,
1968, pp. 303-421.
40
Timothy May, “The Training of an Inner Asian Nomad Army in the Pre-Modern Period”, The Journal of Military
History, Vol. 70 (July 2006), pp. 617–636.
41
H.R. Roemer, “Tīmūr in Iran”, in Peter Jackson and Lawrence Lockhart, eds., The Cambridge History of Iran, Vol.
VI:The Timurid and Safavid Period, Cambridge: Cambridge University Press, 1986, pp. 42-97.
42
I khān di Chagatay erano ritenuti da tutte le altre famiglie gengiscanidi i custodi della yasaq/jasagh, soprattutto in
seguito alla conversione al Buddismo di Qubilay Khān e al rifiuto della tradizione giuridica dei nomadi. Sugli esordi di
Ahmed Yesevî (m. 1166/1167).43 Questi fu tradizionalmente il primo mistico a portare l'Islam
presso i popoli turchi della Steppa e a manifestare chiaramente un'influenza della tradizione
sciamanica nel Misticismo islamico (Tasavvuf).44
Con il disfacimento dell’Impero timuride e le guerre per la supremazia nella regione tra Shah Rukh
Mirza (r. 1405-1447), figlio e successore di Timur, e gli Uzbechi, rimasero in mano alla dinastia
solo l’Iran orientale e la Transoxiana. 45 Pur rivendicando i territori già appartenuti alla Casata di
Chagatai, una volta lasciata Samarcanda Shah Rukh fece di Herat la sua capitale, trasformandola in
uno dei più importanti centri oltreché delle arti visive, dell'architettura e della letteratura persiana e
turca,46 anche del pensiero mistico islamico, sostenendo attivamente sia la Naqshbandiyya che la
stessa Yeseviyya. 47 Alla morte di Shah Rukh, il figlio Ulugh Beg (1394-1449), intelligente politico
e grande astronomo, da Samarcanda intraprese una serie di campagne tese a ristabilire il controllo
Timur e le sue campagne in Persia, e la legittimazione del suo potere, vedansi: Beatrice Forbes Mantz, The Rise and
Rule of Tamerlane, Cambridge: Cambridge University Press, 1989- 2002; Anne F. Broadbridge, Kingship and Ideology
in the Islamic and Mongol Worlds, Cambridge: Cambridge University Press, 2008; Michael Vernadsky, “The scope and
contents of Genghis Khan’s yasa”, Harvard Journal of Asiatic Studies III (1938); David O. Morgan, “The ‘Great Yāsā
of Chingis Khān’ and the Mongol Law in the Īlkhānate”, BSOAS 49/1 (1986), pp. 163-176; Herbert Franke, From
Tribal Chieftain to Universal Emperor and God: the Legitimation of the Yüan Dynasty , München: Verlag der
Baerischen Akademie der Wissenschaften, 1978; Michael Biran, “The Chaghadaids and Islam: The Conversion of
Tarmashirin Khan (1331-34)”, Journal of the American Oriental Society, Vol. 122, No. 4 (Oct. - Dec., 2002), pp. 742752; Jean Aubin, “Le khanat de Djagatai et le Khorasan”, Turcica, Vol. 8, No. 2 (1976), pp. 16-60.
43
Per ringraziare il santo della sua vittoria contro il Khan dell'Orda d'Oro Tokhtamish (r. 1381-1397), Tamerlano a
partire dal 1387 fece erigere un mausoleo a Yasi (già Hazrat-e Turkestan, oggi Turkestan, in Kazakistan), città natale
del santo, dedicandolo al figlio Jahangir. Il mausoleo è ancora oggi meta di pellegrinaggio e sede della confraternita
della Yeseviyya. Vedansi: Mark Dickens, “Timurid Architecture in Samarkand”, Oxus.com (1990)
(http://www.oxuscom.com/Timurid_Architecture.pdf)
44
Mehmet Fuat Köprülü (Köprülüzade), Türk Edebiyatında İlk Mutasavvıflar, İstanbul: Matbaa-i Âmire, 1335 (1919);
Diyanet İşleri Başkanlığı Yayınları, 1984, qui consultato come Gary Leiser and Robert Dankoff, trans. and ed., Early
Mystics in Turkish Literature, London: Routledge, 2006; Influence du Chamanisme Turco-Mongol sur les Ordres
Mystiques Musulmans, İstanbul: Imp. Zellitch Frères, 1929.
45
Gli Uzbechi rivendicavano una discendenza diretta da Genghis Khan attraverso il pronipote di Batu Özbeg (r. 13131341), il più grande dei sovrani dell'Orda d'Oro. La venerazione per il maestro bucariota Khwāja Bahā’ ad-Dīn
Naqshband (1318-1389) da parte degli Shaybanidi poi era diffusa già prima che questi conquistassero la Transoxiana.
L’ordine era conosciuto, oltre che come Óarīqa al-Naqšbandiyya, anche come Silsila-i Xwâjagân, dal momento che il
suo maestro, Khwāja Muhammad BÁbÁ SammasÐ era il quinto khalīfa del mistico Khwāja Yūsuf Hamadāni (m. 1147),
maestro di Ahmed Yesevî e primo mistico noto a ricevere il titolo onorifico di khwāja (maestro) di cui si abbia
notizia.Vedansi: Martin B. Dickson, “Uzbek Dynastic Theory in the Sixteenth Century”, Proceedings of the 15th
International Congress of the Orientalists, Moskva: 1960; András Bodrogligeti, “Yasavi ideology in Muhammad
Shaybani Khan’s vision of an Uzbek Islamic Empire”, Harvard Journal of Turkish Studies 18 (1994), pp. 41-56; B.
Babajanov, “La Naqshbandiyya à l’époque des premiers Sheybanides”, Cahiers d’Asie Centrale, Vol. 3-4 (1997), pp.
69-90; H. Algar, “The Naqshbandi Order: A Preliminary Survey of Its History and Significance”, Studia Islamica, Vol.
44 (1976), pp. 123-152. Sullo scontro tra Timuridi e Uzbechi, vedansi: R.M. Savory, “The Struggle for Supremacy in
Persia after the death of Tīmūr”, Der Islam, Vol. 40, No. 1 (Jan. 1964), pp. 35–65; H.R. Roemer, “The Successors of
Tīmūr”, in Peter Jackson and Lawrence Lockhart, eds., The Cambridge History of Iran, Vol. VI: The Timurid and
Safavid Period, Cambridge: Cambridge University Press, 1986, pp. 98-146; Beatrice Forbes Mantz, Power, Politics
and Religion in Timurid Iran, Cambridge: Cambridge University Press, 2007; Beatrice Forbes Manz, “ShÁhrukh b.
TÐmÙr”, in Encyclopædia of Islam, 2nd Edition (EI²), Vol. IX (1997), pp. 197-198.
46
R. Pinder-Wilson, “Timurid Architecture”, in Peter Jackson and Lawrence Lockhart, eds., The Cambridge History of
Iran, Vol. VI: The Timurid and Safavid Period, Cambridge: Cambridge University Press, 1986, pp. 728-758; Basil
Gray, “The Pictorial Arts in the Timurid Period”, in ibid., pp. 843-876; Basil Gray, ed., The Arts of the Book in Central
Asia, 14th-16th centuries, Paris: UNESCO: London: Serindia Publications, 1979; Edward G. Browne, A History of
Persian Literature under Tartar Dominion (A.D. 1265-1502), London: Cambridge University Press, 1920, pp. 379-460.
47
Uno dei khalīfa di Bahā’ ad-Dīn Naqshband, Khwāja MuÎammad PÁrsÁ (m. 1419) lasciò Bukhara per Herat, ambiente
più congeniale alla sua missione. Qui Shāhrukh lo mise sotto la sua protezione, sostenendo militarmente il suo ritorno a
Bukhara. Grazie alla protezione degli ultimi Timuridi, l’ordine fece di Herat un centro ancora più importante della
stessa Bukhara, espandendosi anche a Samarcanda. Khwāja Muhammad Pārsā, grande commentatore di Ibn ‘Arabī e
del grande maestro Kubraviyya ‘Alā ad-Dawla Simnānī (m. 1336). Contribuì inoltre, con i suoi numerosi scritti, a dare
una base dottrinale all’ordine. Le sue opere divennero oggetto di studio anche per altri ordini, anche in Anatolia.
Vedansi: Devin DeWeese, “Yasavī Shaykhs in the Timurid Era: Notes on the Social and Political Role of Communal
Sufi Affiliations in the 14th and 15th Centuries”, Oriente Moderno, n.s. 15 (76)/2 (1996), pp.173-188; H.F. Hofman,
diretto dei possedimenti timuridi sconvolti dalla guerra di successione. Accompagnato dal figlio, e
futuro rivale, ‘Abd al-Latif Mirza, nella primavera del 1448 prese Herat, allora retta da ‘Ala-odDawla, figlio del fratello Baysunqur (1397-1433)48, sterminandone la popolazione.49
All’inizio del ’500, la prima menzione degli Hazāra viene fatta da Babur Shah (1483-1530), egli
stesso discendente di Timur e Genghis Khan, conquistatore dell’India e fondatore della dinastia dei
Moghul. Già governatore di Andijan, capitale del Ferghana, dopo essersi rifugiato a Herat presso lo
zio Husayn Bayqara (r. 1469-1506), pronipote di Timur anch'esso patrono delle arti e delle scienze,
una volta caduto il Khorasan (1501) e la stessa Herat (1507) nelle mani degli Uzbechi di
Muhammad Shaybani (r. 1500-1510), si rifugiò a Kabul, e da lì prese Qandahar. Vista la minaccia
uzbeca sui suoi fragili domini, si alleò con i Safavidi si Shah Isma'il (r. 1502-1524) e riuscì ad
occupare per un periodo la stessa Samarcanda. Consolidato il suo potere nella regione di Kunduz e
nelle città di Qandahar e Kabul, decise di intraprendere una campagna di conquista dello Hindustan,
allora dominato dai Sultani Lodi di Delhi. 50 Nel suo Baburnama egli usa più volte il termine per
designare genti che vivono in regioni diverse, come i Rustā Hazāra del Badakhshān o i Turkmān
Hazāra, tribù bellicosa contro cui combatté nel 1505-6, e più in generale, gli abitanti della zona di
montagna situata a ovest di Kabul, fino alle province storiche di Ghor e Ghazni. Parte della loro
popolazione parlava Mongolo. Babur cita non solo gli Hazāra, ma anche i Nikdārā o Nikudārī,
termine con il quale egli designa genti di origine mongola. Egli utilizza anche la parola mongola
aymāq (tribù) per fare riferimento a tribù mongole solo superficialmente islamizzate.51
La terminologia non sembra fosse completamente chiara e, sebbene il termine hazāra avesse
diverse accezioni, sembra che già servisse a designare una popolazione con forti elementi mongoli
che viveva nell’area oggi nota come Hazārajāt. 52 Le teorie su una parziale origine mongola, sebbene
già islamica, sono dunque plausibili, dato che i sovrani mongoli dell’Ilkhanato, a cominciare da
Sultan Ahmad (Tegüder, r. 1282-1284) e poi con Ghazan Khan Mahmud (r. 1295-1304)
abbracciarono l’Islam.53 Sembra però che fu proprio nel periodo tra XVI e XVII secolo che gli
“Muhammad Parsa”, in Turkish Literature: A Bio-Bibliographical Survey. (Sec. III, part 1) Vol. 5, pp.13-22. Per
ulteriori dettagli sulle origini delle confraternite mistiche in Iran ed Asia centrale, ed in particolare della Naqshbandiyya
e sul ruolo politico da questa svolto nelle lotte dinastiche tra Timuridi ed Uzbechi Shaybanidi vedansi: H. Algar, “A
Brief History of the Naqshbandī Order”, in Marc Gaborieau, Alexandre Popovic et Thierry Zarcone, eds., Naqshbandis:
cheminements et situation actuelle d’un ordre mystique musulman: actes de la Table Ronde de Sèvres, 2-4 mai 1985 ,
publiés par l’Institut Français d’Études Anatoliennes d’Istanbul, İstanbul: Éditions Isis, 1990, pp. 3-44; W. Madelung,
“YÙsuf al-HamaÆÁnÐ and Naqšbandiyya”, Quaderni di Studi Arabi 5-6 (1987-8), pp. 499-509; B. Scarcia Amoretti,
“Religion in the Timurid and Safavid Periods”, in Peter Jackson and Lawrence Lockhart, eds., The Cambridge History
of Iran, Vol. VI: The Timurid and Safavid Period, Cambridge: Cambridge University Press, 1986, pp. 610-655.
48
H.R. Roemer, “Bāysonḡor, Ḡīāṯ-al-Dīn b. Šāhroḵ b. Tīmūr”, Encyclopædia Iranica, Vol. IV, Fasc. 1 (1989), pp. 6-9.
49
Gerhard Doerfer, “UlÙgh Beg, MuÎammad ÓaraghÁy b. ShÁhrukh b. TÐmÙr”, in EI², Vol. X (2000), pp. 812-814; V.
V. Barthold, “Ulugh Beg,” Four Studies II, Leiden: Brill, 1958, pp. 141-163.
50
J.B. harrison and P. Hardy, “BabÙr, ÚahÐr al-DÐn MuÎammad”, in EI², Vol. I (1986), pp. 847-848; F. Lehman, “BÁbor,
ÚahÐr al-DÐn MoÎammad”, Encyclopædia Iranica, Vol. III, Fasc. 3 (1988), pp. 320-323.
51
Si deve infatti ricordare che, almeno dalla seconda metà del secolo XV e tutto il XVI, l’unico strumento di diffusione
dell’Islam in tutta l’Asia Centrale, e in Turkestan orientale in modo particolare, erano i mistici yesevī e naqshbandī
provenienti dai grandi centri timuridi di Bukhara ed Herat, i quali, seguendo le carovaniere, diedero il via ad un
processo di integrazione tra il mondo dei nomadi (fossero essi restii a farsi islamizzare come i Kirghizi o desiderosi di
divenire campioni dell’Islam come gli Uzbechi), ed il mondo dei sedentari. Vedasi: Joseph F. Fletcher, “Confrontations
between Muslim Missionaries and Nomad Unbelievers in the Late Sixteenth Century: Notes on Four Passages from the
‘Diya’ al-qulub’”, in Denis Sinor, ed., Tractata Altaica, Weisbaden: Otto Harrassowitz, 1976, pp. 167-174.
52
Annette Susannah Beveridge (trans.) and Dilip Hiro (abr., ed. and intro.), Zahir ud-Din Muhammad Babur, Babur
Nama: Journal of Emperor Babur, New Delhi: Penguin Books India, 2006, pp. 124, 128, 154, 167, 173, 175-176, 182,
237, 252, 279.
53
Sull’islamizzazione dei Mongoli d’Iran e le riforme di Ghazan Khan vedasi: David O. Morgan, The Mongols, cit., pp.
161-174. Idem, “Mongol Armies in Persia”, Der Islam, Vol. 56, No. 1 (1979), pp. 81-96; Guy Le Strange,
Mesopotamia and Persia under the Mongols in the Fourteenth Century A.D. from the Nuzhat-al-Kulub of Hamd-Allah
Mustawfi, London: The Royal Asiatic Society, 1903; Reuven Amitai-Preiss, “Ghazan, Islam and Mongol Tradition”,
BSOAS, Vol. 59, No.1 (1996), pp. 1-10; John Masson Smith, Jr., “Sufis and Shamans: Some Remarks on the
Islamization of the Mongols in the Ilkhanate”, JESHO, Vol. 42, No. 1 (1999), pp. 27-45; Özgüdenli, Osman G., Moğol
İranında Gelenek ve Değişim: Gazan Han ve Reformları (1295-1304), İstanbul: Kaknüs Yayınevi, 2009; Devin
Hazāra passarono definitivamente allo Sciismo duodecimano, forse spinti dai Safavidi di Shah
‘Abbas (r. 1587-1629) in funzione anti-uzbeca.54 Fu proprio da quest’epoca forse che gli Hazāra
cominciarono ad abbandonare il Mongolo in favore del Persiano. È tuttavia più probabile che
parlassero Turco già dalla seconda metà del XIII secolo, vista la composizione etnica degli eserciti
mongoli e la maggiore percentuale di termini e concetti turchi rispetto a quelli mongoli.55
La persianizzazione e la diffusione dello Sciismo, tendenzialmente preferito anche nelle sue forme
più eterodosse dai gruppi nomadi e dagli stessi sovrani 56, fu accelerata dall’arrivo nella regione dei
Qizilbash (Qïzïlbaš in Turco “teste rosse”), gruppo turcomanno sciita duodecimano fedelissimo allo
Shah e da cui venivano scelte le sue guardie del corpo (dette appunto in Turco Şâhseven, Amanti
dello Shah).57 Già attivi in Anatolia e Azerbaijan come quinta colonna dei Safavidi nelle guerre di
confine tra questi e gli Ottomani, giunsero al seguito Nadir Shah Afshar (r. 1736-1747) il
“Napoleone di Persia”, durante la guerra contro gli invasori afghani. Non a caso prima di ascendere
al Trono del Pavone, il fondatore della dinastia turcomanna degli Afsharidi (1736-1796) si rifugiò
proprio presso la tribù Hazāra dei Dāy Kondi.58
Dopo l’assassinio di Nadir Shah, il capo guerriero Ahmad Khan ‘Abdali, che era stato prima
prigioniero e poi guardia del corpo del sovrano afsharide, ebbe la sua occasione. Nell’ottobre del
1747 Ahmad Khan, già governatore del Mazandaran, al termine della Loya Jirga (Gran consiglio) in
cui si dovevano decidere le sorti delle province orientali dell’impero, venne proclamato Emiro
dell’Afghanistan dai suoi soldati della tribù pashtu ‘Abdali (poi detta Durrani).59
Alla testa dei guerrieri pashtun Ahmad Shah Durrani (r. 1747-1773) 60 tra il 1747 e il 1753 compì
delle incursioni in Panjab e nel 1750 occupò Herat, allora governata dal nipote di Nadir Shah
Sharukh (1730-1796), già due volte Shah di Persia e Signore prima dell'Azerbaijan e poi del
Khorasan. Nel 1751 penetrò nel cuore della Persia prendendo Nishapur e Mashhad. Tra il 1754 e il
1757 Ahmad Shah invase l'India per la terza volta, occupando Dehli e Agra e devastando i luoghi
legati all'Induismo, come prima di lui aveva fatto Mahmud di Ghazni. 61 Presa Lahore (1759), nella
più tipica tradizione turco-islamica62, proclamò il Jihād contro i Maratha. Questa dinastia hindu era
divenuta padrona dell'India centrale in seguito alla crisi dell'Impero Moghul, scosso dalla guerra
DeWeese,“Islamization in the Mongol Empire”, in Nicola Di Cosmo, Allen J. Frank and Peter B. Golden, eds., The
Cambridge History of Inner Asia. The Chingisid Age, Cambridge: Cambridge University Press, 2009, pp. 120-134.
54
H. F. Schurmann, The Mongols of Afghanistan: An Ethnography of the Moghôls and Related Peoples of Afghanistan,
Den Haag: Mouton, 1962; S. A. Mousavi, The Hazāras of Afghanistan: An Historical, Cultural, Economic, and
Political Study, Richmond: Curzon Press, 1998.
55
Elisabeth E. Bacon, “The Inquiry into the History of the Hazāra Mongols of Afghanistan”, Southwestern Journal of
Anthropology, Vol. 7, No. 3 (Autumn, 1951), pp. 230-247.
56
Lawrence G. Potter, “Sufis and Sultans in Post-Mongol Iran”, Iranian Studies, Vol. 27, No. 1/4 (1994), pp. 77-102.
57
R.M. Savory, “¬izil BÁsh”, in EI², Vol. V (1986), pp. 243-245; R. Tapper, “Shāhsewan”, in EI², Vol. IX (1997), pp.
221-225.
58
Henry Mortimer Durand, Nadir Shah, London: Constable, 1908; J.R. Perry, “Nādir Shāh Afshār”, in EI², Vol. VII
(1993), pp. 853-856; Peter Avery, “Nādir Shāh and the Afsharid Legacy”, in Peter Avery, Gavin Hambly and Cherles
Melville, eds., The Cambridge History of Iran, Vol. VII: From Nadir Shah to the Islamic Republic, Cambridge:
Cambridge University Press, 1991, pp. 3-62.
59
Questo tipo di assemblea ha origini molto antiche, probabilmente era infatti già praticata in forma simile da altri
popoli arii (Dori , Celti e altri). Non è tuttavia da escludersi l'ulteriore influenza del feudalesimo turco-mongolo, o
meglio altaico, espresso anche la pratica qurultay, o assemblea, diffusosi già dal XIV in tutta l'Eurasia centro-orientale.
Sul concetto di regalità e di legittimazione del sovrano e del potere presso lesocietà nomadi dell'Eurasia occidentale in
epoca pre e post gengiscanide, vedansi: Thomas T. Allsen, Culture and Conquest in Mongol Eurasia, Cambridge:
Cambridge University Press, 2001; Peter B. Golden, ed. and tr., The King’s Dictionary, Leiden: Brill, 2000; Idem,
“Imperial Ideology and the Sources of Political Unity amongst the Pre-Chinggisid Nomads of Western Eurasia,”
Archivum Eurasiae Medii Aevi, Vol. 2 (1982), pp. 37-77; R. Vladimirtsov, Le Régime social des Mongols Le
Féodalisme nomade, trad. par Michel Carsow, Paris: Adrien-Maisonneuve Libraire d'Amérique et d'Orient, 1948.
60
C. Collin Davies, “AÎmÁd Shāh DÙrrānД, in EI², Vol. I (1986), pp. 295-297.
61
Richard M. Eaton, Temple Desecration and Muslim States in Medieval India, New Dehli: Hope India Publications,
2004.
62
Geoffrey Tantum, “Muslim Warfare: A Study of a Medieval Muslim Treatise on the Art of War” in Robert Elgood,
ed., Islamic Arms and Armour, London: Scholar Press, 1979; Tekin, Şinasi, “Türk Dünyasında Gazâ ve Cihâd
Kavramları Üzerine Düşünceler”, Tarih ve Toplum, C. 109 (Ocak 1993), ss. 9-18.
proprio contro i Maratha (1680-1707) che occupò gran parte della vita del Sultano Aurangzeb (r.
1658-1707). La volontà di Ahmad Shah di riunire tutti i popoli dell'Islam da Baghadad a Kashgar e
a Delhi lo portò a scontrarsi con i Maratha nella Terza battaglia di Panipat (14 gennaio 1761).
Ahmad Shah affrontò il suo destino nella stessa piana dove già Babur Shah vinse i Sultani di Delhi
guidati da Ibrahim Lodhi nel 1526, dando vita all'Impero Moghul e trent'anni dopo il suo successore
Akbar di ritorno all'esilio in Persia restaurò l'Impero il potere. Insieme ai pashtu Rohilla di Najib alDawla Ahmad Shah e ad un insieme di altre tribù sconfisse le forze maratha. Forte di questa
vittoria, in seguito Ahmad Shah cercò di arginare l'espansione della Dinastia mancese dei Qing, che
dalla Kashgaria appena annessa minacciavano i territori orientali attrverso il Corridoio di Wakhan. 63
Una volta infatti sconfitti i Mongoli Oyirat (Ölöd) di Davajī, nipote del grande Galdān Khān
(r.1673-1697), nel 1759 l’imperatore mancese Aysīn Jōrō Ch’ien-lung (r. 1735-1795), completò
l’annessione dei territori degli Oyirad (Ölöd) e della Kashgaria, fino ad allora retta dal regime
teocratico dei Khōja (1689-1759), dinastia teocratica di sufi appartenenti a un ramo della
Naqshbandiyya.64 Il prestigio che Ahmad Shah ottenne nella Ummah da queste sue guerre fece sì
che fosse visto come un campione dell'Islam e dunque che le popolazioni di lingua Pashto
divennissero, per la prima volta dall'avvento dell'Islam nella regione, l'etnia dominante. 65 Morto
Nadir Shah, i Qizilbash persero la loro funzione di guerrieri d’èlite, diventando man mano una sorta
di gruppo clandestino, dedito al commercio e allo studio, e nascondendo il più possibile la loro fede
sciita.66Da allora gli Hazāra vennero costretti ad abbandonare lo Helmand e il bacino Arghandab di
Qandahar, che aveva già rappresentato la conquista definitiva per la fondazione dell’impero di
Nadir Shah.67 Sotto la nuova dinastia dei Barakzai di Dost Mohammed Khan (r. 1818-1839 e 18431863), gli Hazāra di Bamiyan e lo Hazārajat in generale vennero pesantemente tassati e costretti a
spostarsi in altre aree, a causa anche delle divisioni tribali e alle lotte interne, come riportato da
viaggiatori e diplomatici britannici dell’epoca, su tutti Mountstuart Elphinstone (1779-1859).68
63
Mountstuart Elphinstone, History of India, London: J. Murray, 1841, Vol. II, p. 276.
Sulla Kashgaria sotto i Khojā e l'espansione della dinastia mancese Qing (1644-1911) in Asia centrale vedasi: Robert
B. Shaw, “The History of the Khojās of Eastern Turkistān”, Journal of the Asiatic Society of Bengal, Vol. 56 (1897),
suppl., in seguito pubblicato come: The History of the Khojās of Eastern Turkistān, Summarized from the Tazkira-i
Khwajagan of Muhammad Sadiq Kashgari, edited with an introduction and notes by N. Elias, Calcutta: Asiatic Society
of Bengal, 1897; M. Courant, L’Asie Central aux XVIIe et XVIIIe siecles: empire Kalmouk ou empire Mantchou?,
Annales de l’Universite de Lyon, Paris; Lyon 1912; İsenbike Togan Aricanlı, "The Khojas of Eastern Turkistan", in
Muslim in Central Asia:Expressions of Identity and Change, London: Duke University Press, 1992, pp. 134-151; S.
Soucek, A History of Inner Asia, Cambridge University Press, Cambridge 2000, pp. 169-175; Peter C. Perdue, China
Marches West. The Qing Conquest of Central Asia, Cambridge, Mass.; London: Harvard University Press, 2005.
65
Sir Olaf Kirkpatrick Caroe, The Pathans, 550 B.C.-A.D. 1957, Oxford in Asia Historical Reprints, Oxford: Oxford
University Press, 1983; Ganda Singh, Ahmad Shah Durrani: father of modern Afghanistan, London: Asia Publishing
House, 1959.
66
A differenza degli Hazāra, fieri del loro credo, i Qizilbash hanno sempre praticato la taqiyya (dissimulazione), come
previsto dal diritto sciita. Molti Qïzïlbaš, dopo aver studiato in Iran, sono diventati notevoli giuristi. Vedasi: Massimo
Papa, “Quale diritto musulmano nell’Afghanistan del terzo millennio?”, Daimon, Vol. 6 (2006), pp. 199-234.
67
George Bruce Malleson, History of Afghanistan: From the Earliest Period to the Outbreak of the War of 1878,
London: W.H. Allen & Co., 1879.
68
Montstuart Elphinstone, governatore di Bombay per la East India Company (1819-1827) e Charles Masson (18001853), soldato della stessa ed esploratore, scrissero dei rapporti molto dettagliati sulle condizioni politiche e sociali del
giovane regno d’Afghanistan negli anni di Mohammed Khan e sulla Prima Guerra Anglo-afgana. In quegli anni
combattè nella regione anche un ex ufficiale d'Artiglieria borbonico, Paolo Avitabile. Nominato da fondatore
dell'Impero Sikh Rajit Singh governatore di Peshawar, divenne noto nella regione come Abu Tabela. Vedasi:
Mountstuart Elphinstone, An Account of the Kingdom of Caubul, and its Dependencies in Persia, Tartary, and India:
Comprising a View of the Afghaun Nation, and a History of the Dooraunee Monarchy, London: Longman, Hurst, Rees,
Orme, and Brown [etc.], 1815; London: Oxford University Press, 1972, pp. 210, 211; Masson, Charles C., esq.,
Narrative of Various Journeys in Balochistan, Afghanistan, the Panjab and Kalat, During a Residence in Those
Countries, 4 Vols., London: Richard Bentley, 1844; Karachi; Oxford: Oxford University Press, 1974-1977; Christine
Noelle, State And Tribe In Nineteenth-Century Afghanistan. The Reign of Amir Dost Muhammad Khan (1826-1863),
London: RoutledgeCurzon, 1997, 2004, pp. 54-55; Stefano Malatesta, Il napoletano che domò gli Afgani, Vicenza: Neri
Pozza, 2002.
64
In risposta a queste politiche, gli Hazāra (insieme ai Qizilbash) appoggiarono le truppe britanniche
della East India Company nel corso della Prima Guerra Anglo-afgana (1839-1842).69
Negli anni che seguirono la diplomazia britannica si adoperò affinché il paese divenisse una zona
cuscinetto sicura contro le mire espansionistiche della Russia sull'India, inviando i suoi agenti
direttamente nei khanati dell'Asia centrale appena conquistati (Khiva, Bukhara, Khokand) o nel
Turkestan orientale (Kashgaria, Turfan).70 In quello che venne poi definito dai Britannici "Great
Game" e dai Russi "Torneo delle Ombre", iniziato già quando le ceneri sul campo di Waterloo
erano ancora fumanti, agirono personaggi di alto spessore culturale.71
Tra costoro ricordiamo Eugene Schuyler (1840-1890), il quale viaggiò proprio nei khanati del
Turkestan occidentale traendone un'opera fondamentale per la conoscenza della regione alla vigilia
dell'occupazione russa.72 Robert Shaw (1839-1879), il quale per primo si recò in missione presso
l'Emiro di Kashgar Ya‘qub Beg (r. 1867-1877)73 e Demetrius Charles Boulger (1853-1928). Anche
questi visitò tutto il Turkestan, dalle terre dei Turkmeni alla Kashgaria, scrivendo uno dei lavori più
completi sulla situazione politica e sociale della regione nella seconda metà dell'Ottocento. 74
A Henry W. Bellew (1834-1892) si deve il primo studio etnografico di rilievo scientifico sulle
popolazioni dell'Afghanistan e la prima grammatica della lingua Pashto.75
Sotto Sher ‘Ali Khan (r. 1863-1866 e 1868-1879), il quale si avvicinò a Russi per evitare la sorte
dei khanati del nord, gli Hazāra soffrirono per la sua politica anti-britannica. Questi, rifiutò infatti di
ricevere una delegazione del Raj, bloccando il Passo Khyber, provocando l’occupazione britannica
del sud del Paese.76 Allo scoppio della Seconda Guerra Anglo-afgana (1878-1880) che ne seguì, si
rifugiò in Turkestan aiutato dai Russi. Il nuovo Emiro, Mohammad Yaqub Khan (1879-1880), fu
costretto a firmare il Trattato di Gandamak (26 maggio 1879), alla presenza della delegazione
britannica guidata da Sir Pierre Louis Napoleon Cavagnari (1841-1879) 77 e di altri ufficiali
britannici. Con questo, avallato dall’Emiro, venivano ceduti alla Gran Bretagna la gestione delle
relazioni con l’estero, stabilita una rappresentanza permanente a Kabul e il controllo del Passo
Khyber e di alcune regioni frontaliere. Più tardi un reggimento di proveniente da Herat, contrario
69
Henry Mortimer Durand, The First Afghan War and Its Causes, London: Longmans, Green and Co., 1879.
Henry Trotter, Account of the Survey Operations in Connection with the Mission to Yarkand and Kashgar in 1873-74,
Calcutta: Foreign Department Press, 1875.
71
La definizione resa nota dal romanzo di Rudyard Kipling Kim (1901), è attribuita ad Arthur Connolly (1807-1842),
ufficiale, agente, esploratore e scrittore britannico che operò proprio in Turkestan e a Herat durante la Prima Guerra
Anglo-afghana. Vedasi: Robert Johnson, Spying for Empire: The Great Game in Central and South Asia, 1757-1947,
London: Greenhill, 2006; Peter Hopkirk, The Great Game: On Secret Service in High Asia, London: John Murray,
1990; Arthur Connolly, Journey to the North of India, overland from England, through Russia, Persia, and
Affghaunistan, 2 Vols., London: Richard Bentley, 1838.
72
Eugene Schuyler, Turkistan; Notes of a Journey in Russian Turkistan, Khokand, Bukhara, and Kuldja, New York:
Scribner, Armstrong & Co., 1877.
73
Robert B. Shaw, “Visit to Yarkand and Kashgar”, Proceedings of the Royal Geographical Society, XIV/1 (Feb.28,
1870), pp.124-137; Idem, Visit to High Tartary, Yârkand, and Kâshghar (formerly Chinese Tartary), and Return
Journey over the Karakoram Pass, London: John Murray, 1871.
74
Demetrius Charles K. Boulger, The Life of Yakoob Beg; Athalik Ghazi, and Badaulet, Ameer of Kashgar, London:
W.H. Allen & Co., 1878; Idem, England and Russia in Central Asia, London: W. H. Allen & Co., 1879.
75
Ufficiale medico nato in India, dopo aver viaggiato a lungo in tutta l'Asia centrale, ed aver condotto la prima missione
diplomatica britannica proprio in Kashgaria alla corte dell'Emiro Ya‘qub Beg (r. 1867-1877), Bellew divenne ChirurgoGenerale dell'India. Henry W. Bellew, Journal of A Political Mission to Afghanistan in 1857, London: Smith, Elder &
Co., 1862; Idem, Kashmir and Kashgar. A Narrative of the Journey of the Embassy to Kashgar in 1873-74, London:
Trübner & Hill, 1875; Idem, Afghanistan and the Afghans: Being a brief review of the history of the country, and
account of its people, with a special reference to the present crisis and war with the Amir Sher Ali Khan, London:
Sampson Low, Marston, Searle, & Rivington, 1879; Idem, The Races of Afghanistan: being a Brief Account of the
Principal Nations inhabiting that Country, Calcutta: Thacker, Sprink, 1880; Idem, A Dictionary of the Pukkhto or
Pukshto Language in which the Words are traced to their sources in the Indian and Persian Languages , Lahore: Rai
Sahib M. Ghulab Singh & Sons, 1901.
76
Charles Thomas Marvin, The Russians at the Gates of Herat, London: F. Warne, 1885; Henry Bathurst Hanna, The
Second Afghan War, 1878-79-80; Its Causes, Its Conduct and Its Consequences, Wenstminster: A. Constable, 1899.
77
Kally Prosono Dey, The Life and Career of Major Sir Louis Cavagnari, C. S. I., K. C. B., British Envoy at Cabul,
with a Brief Outline of the Second Afghan War, Calcutta: N.J. Ghose & Co., 1881.
70
alle condizioni imposte dal trattato, assalì sede della rappresentanza, uccidendo Cavagnari e dando
il via alla seconda fase della guerra.
Deposto Mohammad Yaqub, il nuovo emiro ‘Abd ur-Rahman Khan (r. 1880-1901) fece cessare le
ostilità contro il Raj britannico, ristabilendo il controllo sulle tribù pashtun.78 Dopo la rivoltà dei
Gilzai infatti, nel biennio 1888-1890 gli Hazāra furono spinti a fare lo stesso. Quando il cugino di
‘Abd ur-Rahman, Mohammad EsÎaq, si rivoltò contro il sovrano, gli Hazāra Sheykh ‘Ali lo
sostennero. La rivolta fu di breve durata e l’emiro riuscì ad estendere il suo controllo su gran parte
dello Hazārajat, facendo leva sulla divisione tra sunniti e sciiti all’interno delle tribù Hazāra. Oltre
alle pesanti tasse, vennero inviati amministratori pashtun a soggiogare il popolo.
Una volta disarmati, i capi tribali locali vennero incarcerati o giustiziati e le terre migliori confiscate
e date in concessione ai nomadi pashtun (Kuchi). Numerosi Hazāra emigrarono allora nell'India
britannica, soprattutto a Quetta, ma tra il 1890 ed il 1893 si verificò una seconda rivolta.
Il casus belli fu lo stupro della moglie di un capo Hazāra da parte di alcuni soldati afgani. Le
famiglie legate al capo Hazāra uccisero i soldati e attaccarono la guarnigione locale, dove ripresero
le armi. Molti altri capi tribali che avevano sostenuto ‘Abd ur-Rahman si unirono alla ribellione,
che si estese rapidamente all’intero Hazārajat. In risposta alla ribellione, l’emiro dichiarò un
“Jihād” contro gli sciiti e radunò un esercito di 50.000 uomini e 100.000 civili armati (la maggior
parte dei quali nomadi pashtun). Con l’aiuto di consiglieri militari britannici schiacciò la ribellione
nel suo centro, Oruzgan, massacrandone la popolazione. In quegli stessi anni il governo del Raj
inviò a mappare quelli che erano ancora territori inesplorati il maggiore medico George Scott
Robertson (1852-1916). Reduce della Seconda Guerra Anglo-afghana, nel 1888 venne inviato dal
Foreign Office a Gilgit, dove incontrò numerosi Kafiri (lett. infedeli) dello Hindu Kush.
Quest'esperienza lo portò a intraprendere la celebre esplorazione del Kafiristan, partendo da Chitral.
Lo studio sui Kafiri, o Kalash, risultato dal suo viaggio (1889-1891) e il resoconto della sua
partecipazione all'Assedio di Chitral del 1895, hanno molti elementi in comune con il racconto di
Kipling The Man who would be King (L'uomo che volle farsi Re, 1888), e non è da escludersi
un'influenza reciproca.79 Gli Hazāra si ribellarono nuovamente alla fine del 1893, ma questa volta
colsero di sorpresa le forze governative, riuscendo così a riconquistare la maggior parte dello
Hazārajat. Tuttavia, sebbene dopo mesi di combattimenti, il governo si riorganizzò e i ribelli
vennero definitivamente sconfitti per mancanza di cibo; le truppe governative commisero immani
atrocità contro i civili, deportando interi villaggi. Il 12 novembre 1893 infatti, vista la minaccia
costituita per l’India dalla Russia zarista nel nord del paese, Sir Henry Mortimer Durand (18501924), Segretario degli Esteri del Raj britannico a Kabul (ufficiosamente il suo Segretario politico a
Kabul già dalla Seconda Guerra Afgana) fece firmare all’emiro un trattato con cui si delineava il
confine tra India britannica e Regno d’Afghanistan, tagliando in due il territorio delle tribù pashtun
con la Linea Durand, grazie proprio alle esplorazioni di Robertson.80
Una volta pacificati gli Hazāra e aperti i passi dello Hindu Kush, nel 1896 ‘Abd ur-Rahman lanciò
una campagna militare per la sottomissione e la conversione dei Kafiri. La loro religone e cultura,
pagana e blasfema per i musulmani, era definibile come avestica, ovvero collocabile in una fase
storica in cui vennero redatti l'Avesta e i Veda, rispettivamente libri sacri degli Iranici e degli Indoarii, e dunque precedente la separazione tra i due gruppi. 81 Dopo l'occupazione il Kafiristan (Terra
degli Infedeli) venne rinominata Nuristan, Terra della luce, e suoi abitanti Nuristani.
78
T.A. Heathcote, The Afghan Wars, 1839-1919, Staplehurst: Spelmount, 2004; Robert Wilkinson-Latham, North-West
Frontier 1837–1947, London: Osprey, 1977; Hasan M. Kakar, The Consolidation of the Central Authority in
Afghanistan under Amir `Abd al-Rahman, 1880-1896, M.Phil. Thesis, London: SOAS, 1968; ‘Abd al-Rahman Khan,
The Life of Abdur Rahman, Amir of Afghanistan, Vol. I, London: J. Murray, 1900.
79
George Scott Robertson, The Káfirs of the Hindu-Kush, London: Lawrence & Bullen, 1896; Idem, Chitrál; the Story
of a Minor Siege, London: Methuen, 1899.
80
Hasan M. Kakar, A Political and Diplomatic History of Afghanistan, 1863-1901, Leiden; Boston: Brill, 2006, pp.
182-188, Brig. Gen. Sir Percy Sykes and Soloman W.E. Gladstone, A History of Afghanistan, 2 Vols., London,
Macmillan & Co., 1940.
81
M. Witzel, “Kalash Religion. The Ṛgvedic Religious System and its Central Asian and Hindukush Antecedents”, in:
A. Griffiths & J.E.M. Houben, eds., The Vedas: Texts, Language and Ritual. Groningen: Forsten, 2004, pp. 581-636
Le campagne militari di ‘Abd ur-Rahman gettarono le basi dell’odio tra i Pashtun e Hazāra negli
anni a venire. La tribù Uruzgani fu molto attiva in questa prima insurrezione e, una volta sconfitta,
si unì ai Jaghuri. Costretti a rinunciare alla loro proprietà, queste vennero occupate dalla tribù
pashtu dei Gilzai.82 Si stima infatti che durante queste campagne sia stato massacrato o deportato
oltre il 60% della popolazione hazāra e diverse migliaia vennero fatti schiavi. A causa degli
spostamenti forzati circa 35.000 famiglie fuggirono nel nord dell’Afghanistan, a Mashhad (Persia),
Quetta (India britannica), e nel Turkestan russo e altre furono costrette a recarsi stagionalmente
nelle principali città dell’Afghanistan, della Persia o dell’India.
Questa è la ragione per cui ancora oggi il Pakistan ospita uno dei più grandi insediamenti di Hazāra,
in particolare nei pressi della città di Quetta.
Nel 1904, Habibullah Khan (r. 1901-1919)83, successore di ‘Abd ur-Rahman, concesse l’amnistia a
tutti coloro che erano stati esiliati dal suo predecessore e nominò segretario (kāteb) il pensatore
hazāra Faiz Mohammed Hazāra (1881–1929).84 Nato nel prestigioso qawm (clan) dei MoÎammad
Ëwāja, fu autore di numerosi testi sulla storia dell’Afghanistan, su tutti il monumentale Sirāj alTavārīkh (Luce della Storia), dedicato all'Emiro Habibullah.85
Faiz Mohammed fu una delle figure chiave del primo movimento costituzionalista dell’Afghanistan
(Junbish-i Mashrutiyat), battendosi per la cessazione della discriminazione confessionale nei
confronti degli Hazāra.86 Tuttavia, la divisione tra il governo afghano e la popolazione Hazāra si era
fatta troppo profonda già sotto ‘Abd ur-Rahman, e le discriminazioni sociali, economiche e
politiche proseguirono per gran parte del XX secolo.
Già Amanullah Khan (r. 1919-1929), al fine di modernizzare il paese, nel 1923 abolì la schiavitù e a
partire dal 1927 avviò relazioni diplomatiche e culturali tra l’Afghanistan e la Turchia repubblicana
di Mustafa Kemal Atatürk. Dopo essersi personalmente recato ad Ankara visitò anche Roma.
L’Italia fascista fu infatti d’ispirazione per la modernizzazione del paese.87
Rovesciato dal filo britannico Habibullah, gli Hazāra combatterono per rimetterlo sul trono. Ma
dopo nove il generale Mohammed Nadir Shah (r. 1929-1933), nonostante avesse sconfitto e fatto
giustiziare Habibullah, si insediò come nuovo sovrano. Egli impose un una serie di politiche per
“pashtunizzare” il Paese, reprimendo in particolare gli Hazāra. Questi infatti vennero limitati non
solo nell’uso della lingua, ma anche nelle professioni, inclusa la carriera militare.
Il successore Zahir Shah (r. 1933-1973), in contrapposizione alle politiche conservatrici del padre
(assassinato proprio da un hazāra), restò affascinato dall’Italia. Nel 1940, durante il regno di Zahir
Shah ebbe luogo una rivolta contro nuove tasse imposte esclusivamente agli Hazāra.
I nomadi pashtun nel frattempo non solo erano stati esentati da varie imposte, ma ricevettero anche
sovvenzioni dal governo di Kabul. I ribelli risposero con la cattura e l’uccisione di funzionari
governativi. Il governo centrale inviò allora le forze armate per reprimere le insurrezioni, che
interessarono la regione almeno fino agli anni ’50. 88 In risposta alla repressione culturale, negli anni
’60 e ’70 numerosi intellettuali Hazāra si andarono a formare nei centri religiosi dell’Iran, (Qom e
82
Hasan M. Kakar, The Pacification of the Hazāras of Afghanistan, Occasional Paper No. 4, New York: Afghanistan
Council of The Asia Society, 1973; Idem, Government and Society in Afghanistan: The Reign of Amir 'Abd al-Rahman
Khan, Austin: University of Texas Press, 1979, pp. 121-126.
83
Gianroberto Scarcia, “ÍabÐb AllÁh (ÍabÐbullÁh) KhÁn”, in EI², Vol. III (1986), pp. 13.
84
R.D. McChesney, Kabul under siege: Fayz Muhammad's account of the 1929 Uprising, Princeton: Markus Wiener
Publishers, 1999; R.D. McChesney and A.H. Tarzi, “Fayż Moḥammad Kāteb”, in Arash Khazeni, Alessandro Monsutti,
Charles M. Kieffer, eds., Encyclopædia Iranica Online, 2005 (http://www.iranicaonline.org/articles/fayz-mohammadkateb); M. Gulzari,“Diaries of Kandahar” (1884 – 1905). HAZĀRAS In the View of British Diaries, Hazāra.net, Feb. 7
2004 (http://www.Hazāra.net/Hazāra/History/Hazāras_In_the_View_of_British_Diaries.pdf)
85
Faiz Muhammad Katib Moghul, Sirāj al-Tavārīkh, Kabul: Maṭba'-i Hurūfī-i Dār al-Salṭanah, 1912.
86
L.W. Adamec, Afghanistan 1900-1923: A Diplomatic History, Berkeley and Los Angeles: University of California
Press, 1967, pp. 108-168.
87
Leon B. Poullada, “Political Modernization in Afghanistan: The Amanullah Reforms,” in G. Grassmuck, ed.,
Afghanistan: Some New Approaches, Ann Arbor, 1969, pp. 99-148; Idem, Reform and Rebellion in Afghanistan, 19191929: King Amanullah’s Failure to Modernize a Tribal Society, Ithaca, NY; London: Cornell University Press, 1973;
Idem, Vartan Gregorian, Emergence of Modern Afghanistan: Politics of Reform and Modernization, 1880-1946,
Stanford, Cal.: Stanford University Press, 1969, pp. 227-274.
Mashhad). La proclamazione della repubblica da parte di Dawud Khan, cugino di Zahir e già suo
Primo Ministro (1954-1963), nel 1973 sembrò dare nuove possibilità di riscatto sociale agli Hazāra.
Ma il colpo di stato del comunista Partito Democratico del Popolo dell’Afghanistan (Hezb
Demokratik-e Khalq-e Afghanistan, HDK) o Rivoluzione del Saur, (27 aprile 1978) e l’invasione
sovietica dell’Afghanistan seguita allo scioglimento dello HDK otto mesi dopo, spensero ogni
speranza. Questa situazione di incertezza portò alla mobilitazione politica su larga scala degli
Hazāra, ma sebbene lo Hazārajat non fu scenario di pesanti combattimenti come altre regioni
dell’Afghanistan, dato che i Sovietici non vollero avventurarsi tra le sue valli, durante questo
periodo le fazioni politiche rivali Hazāra furono però al centro di lotte interne.89
La divisione si verificò tra il Tanzaim-e Naw-e Nasl-e Hazāra (Nuova Organizzazione del Popolo
Hazāra) un partito di nazionalisti e intellettuali laici Hazāra con base a Quetta, e i partiti islamici,
spesso sostenuti dalla nuova Repubblica Islamica d’Iran. 90 Tra questi emerse la Shura-ye Inqilab-e
Ittefaq Islami (Consiglio per l’Unità della Rivoluzione Islamica d’Afghanistan), fondata a Bamiyan
dall’Ayatollah iraniano Mohammed Hossein Beheshti (1928-1981). Questa si prefiggeva la
creazione di uno stato teocratico sciita su modello iraniano, ma da attuarsi non con i mezzi
rivoluzionari impiegati dai khomeinisti. Tra il 1979 ed il 1984, i gruppi islamici formatisi in Iran,
presero lo Hazārajat dal governo centrale afghano appoggiato dai Sovietici, allontanandone i gruppi
laici e dividendosi la regione.91 Oltre ai gruppi storici, tra i quali il Sazman-e Nairoy-e Islami
Afghanistani (Organizzazione delle Forze Islamiche d’Afghanistan, guidata dal Sayyed Mohammed
Zahir Mohaqqeq), anche i khomeinisti cominciarono a formare partiti rivoluzionari.
Questi si contrapponevano nei metodi di lotta sia alla Shura (che aveva cercato di eliminarli) che
allo Harakat-e Islami-ye Afghanistan (Movimento islamico d’Afghanistan, creato a Qom nel 1979 e
unica altra organizzazione significativa pro-Kho’i). Le frizioni tra i vari gruppi islamici, divisi tra
ulema tradizionalisti e moderati (legati all’Ayatollah iraniano Abu ’l-Qassem Kho’i, rivale di
Khomeini) e rivoluzionari khomenisti, portarono ad una vera guerra civile. Nel 1981 nacquero il
Jabha-ye Muttahed-e Inqelab-e Islami Afghanistan (Fronte Unitario per la Rivoluzione Islamica in
Afghanistan), formato da quattro gruppi khomeninisti e lo Hezbollah (guidato in Afgahnistan da
Qari ‘Ali Ahmed Darwazi e Yazdan Ali Wusuqi). Nel 1983 alcuni fuoriusciti dallo Harakat, diedero
a loro volta vita in Iran ai Pasdaran-e Jihad-e Islami Afghanistan (Guardiani del Jihad Islamico
d’Afghanistan), che insieme al Sazman-e Nasr-e Afghanistan (Organizzazione della Vittoria
d’Afghanistan) e al Nohzat-e Islami Afghanistan (Movimento Islamico d’Afghanistan), già dal
biennio 1983-’84 furono in grado di sostituirsi nei consensi sia alla Shura e che allo Harakat,
innescando così la guerra civile tra religiosi. Nel 1984 Pasdaran e Nasr riuscirono a cacciare la
Shura, diventando l’unica forza riconosciuta da Tehran, da cui riceveva armi e addestramento.
88
Leon B. Poullada, The Pushtun Role in the Afghan Political System, Occasional Paper No. 1, New York: Afghanistan
Council of The Asia Society, 1970, pp. 19-34; Robert L. Canfield, Hazāra Integration into the Afghan Nation: Some
Changing Relations Between Hazāras and Afghan Officials, Occasional Paper No. 3, New York: Afghanistan Council
of The Asia Society, 1971; Klaus Ferdinand, Preliminary Notes on Hazāra Culture, The Danish Scientific Mission to
Afghanistan 1953-55, Copenhagen: E. Munksgaard, 1959.
89
Kristian Berg Harpviken, “Political mobilization among the Hazara of Afghanistan: 1978-1992, ”, Rapportserien ved
Sosiologi, Nr. 9 (1996), Institut for Sosiologi, Universitetet i Oslo (http://www.prio.no/sptrans/-1404536104/Harpviken
%20KB%20(1996)%20Political%20mobilization%20among%20the%20Hazara.pdf )
90
Per il ruolo degli Hazāra nella Politica dell’Afghanistan e la formazione dei partiti Hazāra nel periodo tra la
Monarchia e l’invasione sovietica, vedansi: Niamatullah Ibrahimi, Divide and rule: state penetration in Hazārajat
(Afghanistan) from the monarchy to the Taliban, Working Paper No. 42, Crisis States Working Papers Series No.2,
London:
Crisis
States
Research
Centre,
January
2009
(http://www.crisisstates.com/download/wp/wpSeries2/WP42.2.pdf). Kristian B. Harpviken, The Hazaras of
Afghanistan: The Thorny Path Towards Political Unity: 1978-1992, in Touraj Atabaki and John O’Kane, Post-Soviet
Central Asia: Proceedings of the ESCAS Fifth Conference, Copenhagen, 1995, London; New York: I.B. Tauris, 1996,
pp. 177-197 (http://www.prio.no/sptrans/-99345933/Harpviken%2098%20The%20Hazara%20of%20Afghanistan.pdf).
91
Niamatullah Ibrahimi, The Failure of a Clerical Proto-State: Hazārajat, 1979 – 1984, Working Paper No. 6, Crisis
States Working Papers Series No.2, London: Crisis States Research Centre, September 2006
(http://www.crisisstates.com/download/wp/wpSeries2/wp6.2.pdf).
Nel 1985 a Tehran venne creata una nuova Shura (Shuray-e Chaharganah, Consiglio dei quattro
distretti), ma i Pasdaran, legati all’Iran anche nel nome, non riuscirono mai ad avere il sostegno dei
musulmani moderati e dei nazionalisti. Nel 1986 alcuni fuoriusciti crearono infatti lo Hezb-e
Da’wat-e Ittehad-e Islami Afghanistan (Partito dell’Invito per l’Unità Islamica d’Afghanistan),
guidato dallo Sheikh Hossain Qarabaghi. I tradizionalisti, guidati dall’Ayatollah Mohammed Asef
Mohseni dello Harakat ebbero la loro opportunità. Questo, guidato da una colta èlite urbana in gran
parte non Hazāra, era infatti ancora molto forte nel sud dello Hazārajat.
Lo Harakat, emarginato dal 1984 in quanto legato a Kho’i, con Mohseni si riavvicinò a Tehran,
entrando nel gruppo dei partiti khomeinisti, noto come gli “Otto di Tehran”. Dopo esser
sopravvissuto agli scontri con i gruppi khomeinisti e con gli stessi tradizionalisti della Shura infatti,
lo Harakat divenne la forza politica sciita per eccellenza nel Paese. Tuttavia la guerra tra fazioni
sciite proseguì fino alla ritirata dei Sovietici, devastando la comunità. Nel gennaio 1988, con
l’annuncio della ritirata dei Sovietici, i Mujahiddin Hazāra ebbero la loro opportunità di liberare lo
Hazārajat. In agosto, un attacco su larga scala coordinato dal Sazman-e Nasr, segnò l’eliminazione
di ogni presenza del governo centrale nell’intera regione. Bamiyan divenne il centro di un’intensa
attività politica. Nel luglio 1989, a meno di un anno dalla liberazione, i gruppi khomeinismi si
unirono dando vita allo Hezb-e Wahdat-e Islami Afghanistan (Partito dell’Unità islamica
dell’Afghanistan), un’alleanza di tutti i gruppi della resistenza Hazāra. Numerosi laici, a loro volta
divisi tra nazionalisti e maoisti, scelsero di entrare nel partito. Nel novembre 1989 anche alcuni
reduci della Shura-ye Ittefaq di Beheshti entrarono nella nova formazione pan-khomeinista, mentre
il tradizionalista Harakat-e Islami e parte del Sezman-e Nasr (militari) rifiutarono l’intesa, dando
vita a nuovi scontri.
Da un punto di vista ideologico molti leader del partito erano musulmani, e in un certo senso la
formazione dello stessa fu il risultato di un processo di islamizzazione dei gruppi di resistenza antisovietica Hazāra in Afghanistan. Questo fu accompagnato da una graduale presa di potere del clero
all’interno della leadership, che portò alla vittoria degli islamismi, suggellata dalla nascita di un
partito islamico unitario. Il manifesto dello Hezb-e Wahdat enfatizzava la continuazione e
l’intensificazione degli sforzi per la creazione di un governo islamico fondato sul Corano e la
Sunna. Nonostante poi la collaborazione formale con organizzazioni sunnite, nelle intenzioni
risultava essere un partito chiaramente sciita, tanto da richiedere un’equiparazione dello status del
diritto sciita a quello hanafita, prevalente nel paese. Dimostrò tuttavia una mentalità
eccezionalmente aperta, avendo dieci donne nel suo comitato centrale. Sentendo la necessità di
ampliare la sua base politica, rivolse la sua attenzione anche al nazionalismo etnico. La difesa
dell’identità etnica e religiosa degli Hazāra divenne infatti una priorità. Il partito cercò di fare del
nazionalismo etnico e del islamismo radicale la sua ideologia, così come aveva fatto il Sezman-e
Nasr, ma senza successo.
Il suo primo segretario infatti, ‘Abdu-l’‘Ali Mazari (1946-1995), durante la guerra tra le fazioni
sciite degli anni ’80 era stato una figura di spicco del Sezman-e Nasr, nonché alleato/rivale del
futuro Khan dell’Alleanza del Nord, l’uzbeco ‘Abd al-Rashid Dostum. Il nazionalismo etnico però,
già prevalente presso tutte le formazioni di comunità portò ad una nuova spaccatura tra laici e
religiosi. A partire dal 1992 furono fatti entrare nel partito laici e progressisti, dato che il partito
aveva costante bisogno di membri. Nonostante ai progressisti non avessero posti chiave, questa
linea suscitò le ire dei religiosi legati a Mohammed Akbari, già leader dei Pasdaran. Egli temeva
che l’influenza dei “comunisti” su Mazari e la sua alleanza con gruppi non jihadisti come il
Junbesh-e Milli-ye Islami-ye Afghanistan (Movimento Nazionale Islamico d’Afghanistan) di
Dostum. Fallita la mediazione degli ulema moderati, il partito si spaccò.
Nel 1992 l’alleanza tra Hezb-e Wahdat, Junbesh-e Milli e Shura-ye Nezar (Consiglio di
Supervisione), sostenuta dal consiglio militare di Ahmad Shah Massud, si ruppe nel tentativo di
prendere Kabul, baluardo del governo di Najibullah. Il 17 aprile 1992, con la caduta di Kabul, lo
Hezb-e Wahdat, escluso dalle consultazioni per la formazione del governo, prese le parti
dell’opposizione mentre lo Harakat-e Islami si avvicinò a Burhanuddin Rabbani (1992-1996). Lo
Hezb-e Wahdat per quasi tre anni fu un importante attore nel conflitto.
Questo tuttavia provocò intensi dibattiti interni al partito. Le questioni nate dall’allineamento ad
altre formazioni infiammarono ulteriormente le già gravi tensioni interne. Muhammad Akbari
emerse come leader della fazione pro-Massoud all’interno del partito, opponendosi al rifiuto di
Mazari di entrare nel governo di Rabbani e Massud e alla sua partecipazione ad un’alleanza con lo
Hezb-e Islami di Gulbuddin Hekmatyar, divenuto il maggior partito d’opposizione. Senza una linea
politica condivisa e con una forza militare non sufficientemente armata e addestrata, dopo le
elezioni interne del 1994 lo Hezb-e Wahdat si spaccò in due. La sfiducia reciproca però non si
estinse. Mazari, sentendosi minacciato da Akbari e da alcuni membri dello Harakat, ordinò alle sue
forze di attaccare ed espellere dalla capitale i suoi oppositori, i quali si rifugiarono nelle aree
controllate da Massud. In seguito Rabbani e Massud vennero accusati di aver pianificato un
complotto per rovesciare la leadership del partito per consentire ad Akbari di prenderne la guida.
Nel marzo 1995 Mazari venne catturato e ucciso dai talebani, e suo successore alla guida del partito
venne eletto il numero due Karim Khalili.
Questi riorganizzò il partito e, con la presa di Kabul da parte dei Talebani nel 1996, tutti i gruppi
Hazāra, incluso lo Harakat, si unirono al Fronte Islamico Unitario per la Salvezza dell’Afghanistan
(Jabhe-ye Muttahed-e Islami-ye Milli bara-ye Nijat-e Afghanistan) o Alleanza del Nord contro il
nuovo nemico comune.92 Questi isolarono la regione dal resto del mondo, e durante gli anni che
seguirono, gli Hazāra subirono numerosi massacri etnici per mano dei Talebani, prevalentemente
pashtun. Dopo aver respinto una massiccia offensiva dei Talebani nel maggio 1997 (Battaglia di
Mazar-e-Sharif) le forze Hazāra e i loro alleati uzbechi del Junbesh-e Milli di Dostum, capitolarono.
Dopo la presa di Mazar-i-Sharif dell’agosto 1998 vennero massacrati circa 8.000 civili. 93
Nonostante la fiera resistenza, nel 1998 lo Hazārajat cadde in mano ai Talebani.
Il 10 agosto Mullah Niazi, prima comandante e quindi governatore di Mazar dopo l’attacco, come
‘Abd ur-Rahman Khan oltre 100 anni prima, definì gli Hazāra sciiti infedeli, emettendo un parere
giuridico (fatwā) in cui se ne giustificava l’uccisione. Tra il settembre 1998 e il maggio 1999 i
Talebani, durante la battaglia per la presa di Bamiyan, capitale provinciale e roccaforte dello Hezb-e
Wahdat, procedettero all’arresto e uccisione di oltre 500 persone. 94 Nonostante le denunce fatte in
sede internazionale sia da Human Rights Watch che dalle Nazioni Unite le persecuzioni
proseguirono fino al 2001, culminando con i massacri del Passo di Robatak (maggio 2000) e di
Yakawlang (gennaio 2001), dove furono uccise oltre cento persone. 95 L’invasione dell’Afghanistan
e l’estromissione dal potere dei Talebani, hanno salvato gli Hazāra dalla pulizia etnica,
migliorandone le condizioni generali. Ancora nel novembre 2001, i Talebani il prima di
abbandonare Bamiyan, nella loro furia iconoclasta riuscirono a distruggere anche i celebri Buddha
colossali scavati nella roccia. Oggi gli Hazāra possono, nei limiti, accedere a un’istruzione
92
Sulla formazione degli “Otto di Tehran” (Sazman-e Nasr, Pasdaran, Nohzat, Jabha, Hezbollah, Hezb-e Da’wat
Sazman-e Nairoy e Harakat-e Islami), gli scontri tra i vari gruppi nel periodo 1980-1989 e la divisione iniziale del
partito vedansi: S. A. Mousavi, op. cit., pp. 247-249; Niamatullah Ibrahimi, At the sources of factionalism and civil war
in Hazārajat, Working Paper No. 41, Crisis States Working Papers Series No.2, London: Crisis States Research Centre,
January 2009 (http://www.crisisstates.com/download/wp/wpSeries2/WP41.2.pdf); Idem, The Dissipation of Political
Capital among Afghanistan’s Hazāras: 2001-2009, Working Paper No. 51, Crisis States Working Papers Series No.2,
London: Crisis States Research Centre, June 2009 (http://www.crisisstates.com/download/wp/wpSeries2/WP51.2.pdf).
Thomas Rutting, Islamists, Leftists – and a Void in the Center. Afghanistan's Political Parties and where they come
from (1902-2006), Sank Augustin; Berlin: Afghanistan Office Konrad Adenauer Stiftung, Nov. 27 2006
(http://www.kas.de/wf/doc/kas_9674-544-2-30.pdf), p. 11.
93
“Survivors Describe Taliban. Human Rights Watch urges U.N. Investigation of Massacre”, HRW, November 1, 1998
(http://www.hrw.org/en/news/1998/10/31/survivors-describe-taliban).
94
La traduzione inglese del testo della fatwā emessa da Niazi, insieme a quella emessa sotto ‘Abdu’r-Rahman Khan è
consultabile sul sito Hazāra.net (http://www.Hazāra.net/taliban/fitwa/fitwa.html). Per un rapporto dettagliato sui
massacri di Bamiyan vedansi: “Massacre of Hazāras in Bamyan Sept 1998 - May 1999”, Cooperation Centre of
Afghanistan ( CCA ), Peshawar, Pakistan (http://www.Hazāra.net/taliban/genocide/bamyan/bamyan.html).
95
Per un rapporto dettagliato sui massacri di Robatak e Yakaolang vedasi: “Afghanistan: Massacres of Hazāras in
Afghanistan”, HRW Reports, Vol. 13, No. 1 (February 2001) (http://www.hrw.org/legacy/reports/2001/afghanistan/).
superiore, arruolarsi nell’esercito e ricoprire alti incarichi di governo.96Ma le divisioni politiche
permangono. Durante l’amministrazione ad interim (2001-2002) ad esempio, Haji Mohammad
Mohaqqeq (tagiko di lingua pashto), fondatore dello Hezb-e Wahdat-e Islami-e Mardum-e
Afghanistan (Partito d’Unità islamica del Popolo d’Afghanistan, nato dalla spaccatura del partito) e
vicino a Karzai, venne nominato Ministro della pianificazione, e fu in grado di candidarsi alle
elezioni presidenziali del 2004, risultando terzo con l’11,7%. Più di recente, durante le contestate
presidenziali del 20 agosto 2009, vinte sempre Hamid Karzai, il candidato indipendente e simbolo
della rinascita degli Hazāra in Afghanistan (rappresentata da una colomba bianca) Ramazan
Bashardost ha ottenuto 520.627 voti, pari al 9,2% (terzo dopo lo sfidante favorito di Karzai
‘Abdullah ‘Abdullah, 1.571.581 voti, 27,8%). Bashardost, avvocato specializzatosi in Francia e
autore di testi di Diritto, dal suo ritorno in Afghanistan nel 2002 è stato prima coordinatore del
Dipartimento ONU del Ministero degli Esteri, poi del Dipartimento degli Affari Europei e
Occidentali, e infine Ministro della Pianificazione (2004). Il livello di corruzione del governo
Karzai (di cui Karim Khalili è Vice-presidente) lo spinsero a lasciare l’incarico. Gli appelli fatti
recentemente da Bashardost (“l’amico del Genere Umano” in Persiano) alla comunità
internazionale per un maggiore limpidità nella politica e un maggiore rispetto dei diritti della
persona lo hanno fatto definiore dalla rivista TIME come il “Don Chisciotte dell’Afghanistan”.97
Le denunce circa le discriminazioni sociali in Afghanistan sono portate avanti anche da Sima
Samar. Medico, nel 1984 fuggì in Pakistan in seguito all’arresto del marito da parte del governo
filo-sovietico. Dopo aver creato a Quetta dei centri di cura per i rifugiati afgani, durante il governo
di transizione è stata prima Vice-presidente e poi Ministro degli Affari delle Donne. Dimessasi dal
suo ruolo istituzionale a causa delle pressioni dei conservatori, è stata la principale candidata al
Premio Nobel per la Pace 2009. Oggi dirige la Afghan Independent Human Rights Commission
(AIHRC) ed è Special Rapporteur delle Nazioni Unite per la situazione dei Diritti umani in Sudan. 98
Una chiara indicazione di tale discriminazione è l’attuale tendenza di ripartizione aiuto
internazionale per il governo afghano.
Lo Hazārajat è stato storicamente escluso da qualsiasi progetto di sviluppo da parte dei governi
precedenti. Dalla cacciata dei Talebani, sono stati spesi diversi miliardi di dollari per la
ricostruzione dell’Afghanistan e sono stati avviati numerosi progetti di ricostruzione su larga scala.
Ma la parte di aiuti internazionali assegnata allo Hazārajat e alle regioni centrali dell’Afghanistan è
in proporzione molto piccola. Ad esempio, sono stati realizzati più di 5.000 chilometri di
pavimentazione stradale in Afghanistan, quasi nessuno dei quali in Hazārajat. Un’altra indicazione
di tale discriminazione è costituita dal fatto che i Kochi (nomadi pashtun del Pakistan occidentale e
Afghanistan orientale) possono ora utilizzare pascoli dello Hazārajat nella stagione estiva, come ai
tempi di ‘Abd ur-Rahman Khan, sottraendoli ai pastori Hazāra. Alessandro Monsutti, sostiene che
la migrazione è in realtà il tradizionale modo di vita del popolo Hazāra tutto, facendo riferimento
alle migrazioni stagionali che gli Hazāra non hanno mai smesso di praticare sin dal XIV secolo.99
96
Alessandro Monsutti, “Local Power and Transnational Resources: An Anthropological Perspective on Rural
Rehabilitation
in
Afghanistan”,
Central
Asia
Initiative
Working
Paper
No.
2
(2009)
(http://www.international.ucla.edu/media/files/Monsutti_CAI_2.pdf)
97
Scott Taylor, “Crusader claims Taliban not the problem”, Esprit de Corps, 27 July 2008
(http://www.espritdecorps.ca/index.php?option=com_content&view=article&id=276:crusader-claims-taliban-not-theproblem&catid=40:afghanistan&Itemid=83)”; Jason Motlagh, “Is Ramazan Bashardost the Don Quixote of
Afghanistan?”, TIME, Aug. 16, 2009 (http://www.time.com/time/world/article/0,8599,1916541,00.html). Tony Cross,
“Afghan Mr Clean takes on Karzai ... and everyone else”, RFI english, August 17, 2009
(http://www.rfi.fr/actuen/articles/116/article_4803.asp). “Preliminary Result of Afghanistan Presidential Contest”,
Sabawoon Online, 16 Sept. 2009 (http://www.sabawoon.com/index.php?page=afghanelection).
98
Human Rights Council, “Statement by Dr. Sima Samar Special Rapporteur on the situation of human rights in the
Sudan”, UN Human Rights Council, Geneva, 16 june 2009
(http://www.un.org/webcast/unhrc/11th/statements/SR_Stmnt_Sudan.pdf).
99
Alessandro Monsutti, War and Migration: Social Networks and Economic Strategies of the Hazāras of Afghanistan,
New York & London: Routledge, 2005 (già pubblicato in Francese come Guerres et migrations: réseaux sociaux et
stratégies économiques des Hazāras d’Afghanistan, Neuchâtel: Institut d’ethnologie; Paris: Maison des sciences de
l’homme, 2004); Idem, “Migration as a Rite of Passage: Young Afghans Building Masculinity and Adulthood in Iran",
I membri delle tribù che migrarono in Pakistan durante l’amministrazione britannica furono
minatori nel Beluchistan, agricoltori nella Valle dell’Indo o mercanti a Peshawar 100. Con l’invasione
sovietica prima (1979-1989) e le guerre civili poi (1989-1992; 1992-1996) il flusso il verso Pakistan
aumentò, e al 2005 erano quasi 40.000.101
Oltre la grande popolazione di Hazāra a Quetta (dove costituiscono oltre un terzo della popolazione)
molti dei 545.000 Hazāra in Pakistan (300.000 circa in Beluchistan) hanno raggiunto posizioni di
notevole responsabilità all’interno del governo e nelle forze armate. In Pakistan infatti è ancora oggi
celebrato il Subadar Gird ‘Ali, eroe del 106th Hazāra Pioneers, storico reggimento dell’India
britannica impiegato prima in Mesopotamia e poi sul fronte occidentale. 102 Più ancora lo è però il
Generale Musa Khan Hazāra (1908-1991). Protagonista della Guerra Indo-pakistana del 1965
(Seconda Guerra del Kashmir), in qualità di Capo di Stato maggiore dell’Esercito, iniziò la sua
brillante carriera proprio negli Hazāra Pioneers nel 1933. 103 Gli Hazāra del Pakistan sono oggi
rappresentati politicamente dallo Hazāra Democratic Party (HDP, Hezb-e Demokratik-e Hazāra),
fondato nel 2003 dal poeta, scrittore e autore teatrale Hussain ‘Ali Yusufi (1958-2009). Assassinato
il 26 gennaio 2009 a Quetta da un uomo del Lashkar-e Jhangvi (gruppo deobandi legato ad alQaida), fece del partito un punto di riferimento per tutta la comunità Hazāra della diaspora.
Il partito, oggi guidato dal segretario generale ‘Abdul-Khaliq Hazāra, lo ha nominato presidente
martire (shahid), è stato più volte accusato di separatismo, e di avere legami con il movimento
indipendentista del Baluchistan seguito all’assassinio di Nawab Akbar Bugti nel 2006.104
Legata al partito è la Hazāra Student Federation (HSF), dal 1978 primo movimento studentesco
degli Hazāra in Pakistan (presidente ‘Abdul-Khaliq Mehdi). Al di fuori del Pakistan la più grande
comunità Hazāra si trova in Iran. Tra profughi dell’invasione sovietica del 1979 e del regime dei
Talebani il paese ospita 1.634.000 Hazāra, oltre a 209.000 Aymaq Hazāra, i quali non hanno però
una rappresentanza politica propria. La seconda generazione, donne comprese, poi è generalmente
colta, grazie al buon livello di istruzione fornito in Iran e alle scuole gestite dagli Afgani. Inoltre
hanno più facilità a trovare lavoro o ad integrarsi nella società iraniana rispetto ad altri gruppi, come
ad esempio i Tagiki sunniti. Tuttavia gli stessi Aymaq, sunniti, hanno libero accesso all’istruzione
superiore.105 Questi ultimi, noti come Chahar Aymaq (“le quattro tribù” o “la tribù Chahar”, dal
mongolo aymaγ/aymāq, turco oymak, tribù e dal persiano čahar, quattro o Čaxar, dialetto e tribù
mongola) storicamente hanno abitato sugli altopiani a nord di Herat, conducendo la vita da
allevatori nomadi turco-mongoli (è comune l’uso della cosiddetta yurta). Sembra infatti che anche i
Mogol fossero legati a queste formazioni tribali. L'etnonimo Aymaq è attestao del XVIII secolo,
ossia dal primo impero Durrani, e gli Aymaq sembra siano il risultato della mescolanza tra locali
persofoni e Hazara in funzione anti-turcomanna. Alcuni gruppi di Aymaq (JamšÐd) vivevano fino ai
primi anni '80 a nord di Herat (Kushk), intorno a Kal'a-i Naw (TaymÙrÐ), nella zona di Ghur
(TaymÁnÐ) e lungo l'alto corso del fiume Murghab (FÐrÙzkÙhÐ).106
Iranian Studies, Vol. 40, No. 2 (2007), pp. 167-185.
100
Rhea Talle Stewart, Fire in Afghanistan, 1914-1929: Faith, Hope and the British Empire, Garden City, New York:
Doubleday, 1973.
101
Ministry of States and Frontier Regions, Population Census Organization Statistics Division (Government of
Pakistan), and United Nations High Commissioner for Refugees (Branch Office Islamabad), Census of Afghans in
Pakistan 2005, Islamabad: UNHCR, 2005 (http://www.unhcr.org/431c7b1a2.pdf).
102
Noël Louis St. Pierre Bunbury, A Brief History of the Hazāra Pioneers (Indian Army) 1904 to 1933, London:
unpublished typescript, London: India Office Library, T 14019.
103
Mohammad Musa Khan Hazāra, Jawan to General: Recollections of a Pakistani Soldier, Karachi: East and West
Publishing, 1984.
104
Qurat ul-‘Ai Siddiqui, ‘We are not separatists’, Dawn.com, 07 May, 2009
(http://www.dawn.com/wps/wcm/connect/dawn-content-library/dawn/news/pakistan/provinces/balochistans-Hazārasspeak-out--qs).
105
Afghanistan Research and Evaluation Unit, Second-generation Afghans in Iran: Integration, Identity and Return,
Case Study Series, April 2008 (http://www.unhcr.org/refworld/docid/4846b2062.html).
106
K. Ferdinand, “Ethnographical Notes on Chahâr Aimâq, Hazâra and Moghôl,” Acta Orientalia, Vol. 28, Nos. 1-2
(1964), pp. 175-203; R.N. Frye, “¥ahÁr Aymaþ”, in EI², Vol. II (1991), p. 5; Gunnar Jarring, “On the Distribution of
Turk Tribes in Afghanistan”, 35 (1939), pp. 79-81; Arthur C. Yate, England and Russia face to face in Asia: Travels
A partire dal regno di ‘Abd ur-Rahman Khan vennero separati dal resto degli Hazāra, legandosi per
scopi politici a tribù non Hazāra. Molti Aymaq vivono in Iran, intorno a Mashhad (Khorasan). Nei
censimenti sono spesso assimilati ai Tajiki, con i quali hanno alcuni tratti culturali (ma non etnici)
in comune. La loro popolazione è stimata tra i 250.000 e i due milioni. Ma mentre gli Aymaq
presenti in Tajikistan sono circa 7.000, secondo stime accurate in Afghanistan sono 1.404.000.
Oltre a questi vi sono pochi Hazāra ismailiti (sciiti settimani), i quali si sono sempre tenuti separati
dal resto degli Hazāra a causa delle loro convinzioni religiose. Al di fuori dell’Iran e del Pakistan,
importanti comunità Hazāra si trovano in Canada (36.376), Turchia (25.380) Regno Unito (24.330)
Australia (19.200), Nuova Zelanda (Nauru), Stati Uniti, e paesi Nord europei come Svezia e
Danimarca (alcune migliaia). Molti giovani Hazāra studiano nei paesi sviluppati come l’Australia,
con permesso di soggiorno per studio o dei visti di lavoro.
Qui molti sono arrivati come rifugiati. Il caso degni di nota è stata l’avventura del Tampa.
Nell’agosto 2001 il governo australiano rifiutò al mercantile norvegese MV Tampa il permesso di
far sbarcare sull’Isola di Natale 438 rifugiati afgani, perlopiù Hazāra. Dopo aver inviato a bordo del
Tampa gli uomini del SASR (Special Air Service Regiment) ed aver emesso un progetto di legge
sulla protezione dei confini, il governo di Camberra fece caricare i profughi sul trasporto HMAS
Manoora, scaricandoli poi a Nauru. Le polemiche nate per l’adozione della linea dura, specie dopo
gli eventi del’11 settembre 2001, spinsero ad inviare 150 profughi in Nuova Zelanda e dal 2004, da
Nauru molti tornarono in Australia. Tuttavia il loro status giuridico è ancora da decidere107.
Ancora nel novembre 2001 alcuni profughi vennero lasciati a Lombok (Indonesia), dove sono stati
fino almeno al 2004. A dire degli stessi, lì hanno subito diverse violazioni dei diritti umani da parte
delle autorità indonesiane e discriminazioni da parte degli stessi funzionari dell’UNHCR 108. Al di là
dei casi limite comunque, la diaspora ha tuttavia permesso agli Hazāra di creare una rete di
associazioni e centri studio di notevole interesse mediatico. Tra questi spiccano la Hazāra Union
(Copenhagen, Danimarca), prima associazione culturale formata in Europa da Hazāra provenienti
soprattutto da Quetta nel 1966109, la Hazāra Nation, fondata nel 2002 con sede a Quetta 110 e la
Hazāra.net111, entrambe con sede a Quetta.
Di un certo interesse è The Association of Hazāras in Victoria, fondata nel 2002 per dare asilo ai
profughi che giungevano in Australia112. Accanto a molte altre associazioni dedicate alla diffusione
della cultura Hazāra poi, quali la Katib Cultural Foundation, (completamente dedicata alla figura e
alle opere di Faiz Mohammed Katib), con sede nei pressi di Copenhagen113, e ai siti degli stessi
Ramazan Bashardost114 e Sima Samar115, vi sono delle associazioni spiccatamente nazionaliste,
sebbene molto legate al contesto della diaspora pakistana. Tra queste interessante notare la Tanzeem
Nasle Nau Hazāra Mughal (sic, Organizzazione per la Nuova Generazione Hazāra Mongola) 116,
organizzazione nata nel 1963 a Quetta. Da semplice associazione sportiva e centro culturale, negli
with the Afghan Boundary Commission, Edinburgh and London: William Blackwood and Sons, 1887, pp. 228-234
107
“Australia ships out Afghan refugees”, BBC News, 3 September 2001 (http://news.bbc.co.uk/2/hi/asiapacific/1522723.stm). “Most Nauru refugees to be resettled”, The Sydney Morning Herald, May 23, 2004
(http://www.smh.com.au/news/Immigration/Most-Nauru-refugees-to-be-resettled/2004/05/23/1085250860544.html).
NBEI v. Minister for Immigration & Multicultural & Indigenous Affairs, [2005] FCA 171, Australia: Federal Court, 11
March 2005 (http://www.unhcr.org/refworld/pdfid/4405ab17e.pdf). Kazimierz Bem, Nina Field, et al., A price too
high: the cost of Australia’s approach to asylum seekers, Oxfam Australia, August 2007
(http://www.oxfam.org.au/resources/filestore/originals/OAus-PriceTooHighAsylumSeekers-0807.pdf).
108
“Stranded refugees in Lombok, Indonesia tells of UNHCR discrimination” Hazāra.net, February 7, 2004
(http://www.Hazāra.net/takeAction/indonesia/interview.pdf).
109
Hazāra Union Denmark (http://www.Hazāra.dk/, in Inglese e Danese)
110
Hazāra Nation (http://www.Hazāranation.com/, in Inglese)
111
Hazāra.net (http://www.Hazāra.net/, in Inglese)
112
The Association of Hazāras in Victoria (http://php.bamyan.org.au/about/, in Inglese e Dari)
113
Katib Cultural Foundation (http://www.katib.dk/index.php?underside=hvem_er_katib.html, in Inglese e Dari)
114
Ramazan Bashardost (http://www.bashardost.org/, sito in Dari; http://www.ramazanbashardost.com/spip.php, sito in
Inglese, Dari, Pashto e Uzbeco)
115
Dr. Sima Samar’s Personal Website (http://simasamar.com/, in Inglese)
116
Tanzeem Nasle Nau Hazāra Mughal (http://www.tnnHazāra.org/, in Inglese)
anni ha differenziato i suoi obbiettivi, aprendo, sempre a Quetta, prima una scuola superiore (1985),
poi una scuola d’Inglese (1990) e infine un centro vocazionale. Nel 1980 creò una Hazāragi
Academy (che attraverso libri e riviste in Hazāragi, Urdu e Inglese promuove gli studi sulla lingua e
la cultura Hazāra)117e, trasformatasi in Tanzeem Welfare Society118, una Tanzeem Women Wing (per
il miglioramento della condizione femminile e il riconoscimento del suo ruolo nel progresso
sociale)119 e infine di un Tanzeem Youth Forum e di un Tanzeem Students Forum, entrambi dedicati
a sviluppare il senso identitario tra le nuove generazioni 120. Ormai infatti la lontananza culturale con
lo Hazārajat si manifesta anche nella lingua parlata, fortemente contaminata da termini ed
espressioni urdu e anglicismi. Dal 2002 ha infine aperto una sede a Kabul.
L’ultima meta dell’emigrazione Hazāra (e in generale afgana) è infine l’Italia. Dopo un viaggio
allucinante attraverso Iran, Turchia e Grecia, spesso in container o legati agli assi degli autocarri, e
senza nessuna garanzia di passare i controlli di frontiera (come nel caso del porto di Patrasso),
giungono qui. A differenza degli altri paesi in cui fuggono però, qui non si fermano per più di sei
mesi, in genere il tempo necessario per poi raggiungere le comunità del Nord Europa e da lì il
Canada. In questa attesa sono il più delle volte costretti a vivere in condizioni disumane, come a
Roma dove per mesi hanno trovato rifugio tra i binari della Stazione Ostiense. Da un paio d’anni
però ricevono un aiuto anche dai loro connazionali dell’Associazione Culturale Afgani in Italia e
della Afghanistan Future Foundation (Musse-ye Inda-ye Sazam-e Afghanistan)121, guidate dal
giovane Qorbanali Esmaeli, anch’egli arrivato qui come rifugiato politico nel 1999.
117
Hazāragi Academy/Akademia Hazarāji (http://www.tnnHazāra.org/publication_main2.htm, in Inglese e Dari)
Tanzeem Welfare Society (http://www.tnnHazāra.org/tws_index.htm, in Inglese)
119
Tanzeem Women Wing (http://www.tnnHazāra.org/tww_index2.htm, in Inglese)
120
Tanzeem
Youth
Forum
(http://www.tnnHazāra.org/tyf.htm);
Tanzeem
Students
Forum
(http://www.tnnHazāra.org/tsf.htm). Entrambi i siti sono in Inglese.
121
Afghanistan Future Foundation (http://www.afghanistanitalia.org/)
118