Giovani e “secondo welfare”: il social co-housing

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Giovani e “secondo welfare”: il social co-housing
Giovani e “secondo welfare”
Il social cohousing, una risposta innovativa alle incertezze
presenti e future
di
Fiorenza Deriu
Giovanni Bucco
Paper for the Espanet Conference
“Innovare il welfare. Percorsi di trasformazione in Italia e in Europa”
Milano, 29 Settembre — 1 Ottobre 2011
Fiorenza Deriu
Ricercatrice del Dipartimento di Scienze Statistiche della Facoltà di Ingegneria dell’Informazione,
Informatica e Statistica - Università di Roma “La Sapienza”
Viale Regina Elena, 295 - 00161 Roma
06/49255330 oppure 339-2771186
[email protected]
Giovanni Bucco, Architetto
Dottorando in "Riqualificazione e recupero insediativo" presso la Facoltà di Architettura Valle Giulia,
dell'Università "la Sapienza" di Roma
Via A. Gramsci 53 , Roma
cell. 349/6205771
[email protected]
Introduzione1
Le profonde trasformazioni che caratterizzano il tessuto socio-economico del nostro Paese
pongono i giovani di fronte a “nuovi rischi”, difficili da fronteggiare con le misure di policy offerte
da un welfare debole a forte connotazione familistica. Di fronte ad un mercato del lavoro altamente
deregolamentato, che ha prodotto generazioni di precari dalle carriere lavorative frammentate e dai
redditi instabili; a un mercato locativo inaccessibile ai più; a una cronica carenza di servizi a favore
del work-life balance; alla preoccupante prospettiva di un futuro previdenziale che ad alcune
categorie di lavoratori non sarà in grado di assicurare neanche il 30% del reddito attuale (F. R.
Pizzuti, M. Raitano, 2011); ebbene, di fronte a questi rischi, tra loro strettamente interconnessi, i
giovani hanno reagito allungando ulteriormente i tempi della loro permanenza in famiglia,
posticipando le scelte familiari e di unione (F. Deriu, M. Mamolo 2008); nonché quelle legate al
primo figlio (M. Mamolo, P. Di Giulio, L. Bernardi 2008).
Di fronte a questi scenari occorre pensare a soluzioni di policy innovative, capaci di offrire ai
giovani concrete opportunità di sviluppo di una progettualità che tenga conto dell’intero corso di
vita. In questa cornice le politiche abitative possono concretamente costituire un campo di azione
privilegiato su cui investire, per innescare processi virtuosi di sostegno e promozione delle nuove
generazioni, su cui puntare per la crescita e lo sviluppo futuro del nostro Paese. Politiche abitative
da ri-pensare, da ri-formulare secondo logiche e paradigmi apparentemente distanti da quelli fino ad
oggi adottati, ma che cominciano anche in Italia a suscitare curiosità e attenzione da parte dei
cittadini e delle pubbliche amministrazioni.
Una sfida, quella dell’innovazione, da raccogliere e da giocare su due livelli: quello della
realizzazione di soluzioni abitative non convenzionali, idonee a rispondere alle esigenze di
autonomia e indipendenza dei giovani che non dispongono dei mezzi sufficienti ad accedere al
mercato immobiliare o delle locazioni, valorizzando al contempo la loro maggiore disponibilità alla
socializzazione e alla condivisione di beni e spazi comuni (cohousing); quello della sperimentazione
di nuove forme di partnership sociali tra soggetti pubblici, imprese profit, non profit e fondazioni
d’impresa al fine di potenziare le opportunità di investimento in opere di rilevanza sociale, dando
così nuova linfa alle politiche di housing sociale dirette ai giovani single, in coppia, con o senza
figli.
In questo saggio, dopo una breve introduzione al cohousing, se ne illustrano le principali forme
di realizzazione e di rapporto con le amministrazioni pubbliche in Europa e oltreoceano, nonché i
più recenti sviluppi registrati in Italia. Nel terzo paragrafo, nel mettere a fuoco le possibili
1
Fiorenza Deriu ha curato la redazione dell’introduzione e dei paragrafi 1, 2, 3, 4. Le conclusioni sono state redatte
insieme a Giovanni Bucco, autore anche del paragrafo 4.
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configurazioni delle partnership sociali che potrebbero favorire lo sviluppo del social cohousing a
favore delle giovani generazioni, si formula la proposta di un modello teorico di partnership
pubblico-privato, le cui tre principali direttrici di attuazione sono presentate, tenendo conto della
normativa attualmente vigente nel nostro Paese, nel paragrafo 5 . Nel paragrafo 4, cambiando la
prospettiva, sono presentati alcuni dati di un sondaggio di opinione, condotto su un campione di
giovani-adulti tra i 25 e i 44 anni residenti in Italia, per esplorare il grado di conoscenza e di
interesse verso questa soluzione abitativa da parte dei potenziali beneficiari. Nelle conclusioni sono
riassunti i punti di forza e di criticità della proposta avanzata nel paper.
1. Il cohousing: origini e dimensioni caratterizzanti
L’idea del cohousing prende forma per la prima volta nel 1964 in Danimarca ad opera di un
gruppo di amici, guidati dall’architetto Gudmand-Hoyer, mossi dal comune intento di discutere
sulle condizioni abitative del tessuto urbano di Copenhagen (D. Milman, 2011). Una città in cui
trovava ampia rappresentazione il disagio di vivere nelle periferie urbane tipiche delle società postindustriali, dove l’individualismo e lo sfaldamento della coesione sociale accrescevano il senso di
solitudine e di insicurezza degli individui (M. Lietaert, 2011). Dalla comune insoddisfazione verso
un “abitare” impersonale e alienante, in grandi edifici in cui risultava impossibile stabilire qualsiasi
forma di relazione con i propri vicini e in cui gli spazi comuni condominiali non solo erano ridotti al
minimo indispensabile ma, laddove presenti, erano del tutto inutilizzati e abbandonati, nasce il
progetto di cohousing di Gudmand-Hoyer. Una soluzione abitativa in cui ogni residente avrebbe
disposto sia di un proprio appartamento privato sia di una serie di spazi e beni comuni, dalla cui
condivisione sarebbero derivati risparmi economici e vantaggi in termini di solidarietà e
cooperazione. Il progetto incontrò numerosi ostacoli sul suo cammino, sia per ragioni culturali sia
politiche ma, alla fine, nel 1973 i lavori furono ultimati e nacque il primo Bofællesskaber
(cohousing in danese) chiamato Skraplanet.2. Allo stesso anno risale il completamento di
Saettedammen, un altro cohousing, ispirato ad un articolo della giornalista danese Bodil Graae dal
titolo “Children should have one hundred parents”. L’articolo suscitò tale interesse da favorire
l’incontro di un gruppo di circa 50 famiglie che avviarono il progetto di Saettedammen. Da allora i
cohousing realizzati in Danimarca, e non solo, hanno assunto forme diverse, declinando in vario
modo il mix di elementi caratterizzanti. Nel 1976, in seguito ad un concorso indetto a livello
nazionale dal Danish Building Research Institute, è stato costruito da un’impresa non-profit il primo
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Letteralmente “brutta china”
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cohousing con alloggi in affitto (Tinggarden), su disegno dello studio di architettura Vandkunsten,
vincitore della competizione (D. Milman, 2011).
Nel corso degli anni Ottanta grazie all’incessante pressione della società civile il cohousing si è
guadagnato la fiducia del Governo danese e delle istituzioni locali, tanto da ottenerne il supporto
con la promulgazione della Cooperative Housing Association Law, che ne ha semplificato e reso
meno onerose le modalità di finanziamento. Oggi in Danimarca i cohousing possono essere
realizzati in forma cooperativa con mutui finanziati dal governo e una decina di comunità
prevedono alloggi in affitto. Anche le imprese private e le banche hanno iniziato a guardare con
interesse al cohousing; queste ultime in particolare per la rapidità e l’anticipo col quale le unità
immobiliari dei cohousing vengono acquistate, prima ancora di essere completate.
Negli anni Ottanta il cohousing ha iniziato a diffondersi in Olanda mentre in Svezia già esisteva
fin dai primissimi anni Trenta, quando furono realizzati otto cohousing a Stoccolma, uno a
Gothenburg e uno a Örebro (D.Urban Vestbro, 2008). Tuttavia solo negli anni Ottanta in Svezia il
cohousing ha iniziato ad essere riconosciuto e sostenuto dagli enti pubblici (M.Lietaert, 2011).
Successivamente ha avuto ampia diffusione anche in Paesi come gli Stati Uniti, ove è stato
introdotto grazie agli studi dei due architetti Charles Durrett e Kathryn McCamant (1994; 2011); il
Canada, l’Inghilterra, l’Australia e il Giappone. In Europa ha avuto diffusione, ma in epoca più
recente, in Germania, in Francia e in Italia, anche se con declinazioni piuttosto differenziate, come
sarà meglio illustrato nei paragrafi successivi.
Sempre all’architetto americano Charles Durrett si deve il primo tentativo di definizione del
cohousing. Fino ai primi anni Novanta, infatti, il principale obiettivo dei co-housers era stato quello
di realizzare concretamente tale soluzione abitativa piuttosto che individuarne le caratteristiche
fondanti. Durrett, che aveva a lungo studiato e visitato numerosi cohousing in Europa, ha
successivamente diffuso questa idea innovativa negli Stati Uniti, formalizzandone alcuni tratti
caratteristici, riassumibili come segue:
a)
vicinato elettivo: i futuri vicini di casa si scelgono vicendevolmente. Tuttavia, questo tratto
non va interpretato rigidamente, nel senso cioè che il cohousing si realizza solo tra amici o
parenti. Ciò che anima il vicinato elettivo è la condivisione di un determinato stile di vita
che pone al centro il valore fondante dell’apertura al dialogo e alla socialità, la
cooperazione, il rispetto per l’ambiente. Da non ultimo il risparmio, al quale si giunge
attraverso la condivisione di spazi, beni e servizi (saving by sharing);
b)
progettazione partecipata: il processo di realizzazione del cohousing è seguito
congiuntamente da tutti i futuri co-housers. Ciò implica la condivisione delle scelte
relative al luogo in cui andare a risiedere, alla progettazione dell’immobile, dunque alla
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distribuzione degli spazi privati e di quelli comuni, scegliendo insieme quali ambienti
prevedere. L’architettura si pone dunque a servizio della socialità (Chiodelli, 2010);
c)
strutture e servizi comuni: il cohousing privilegia la destinazione degli spazi all’uso
comune a fronte del sacrificio di alcuni spazi privati. In genere gli appartamenti privati
sono più piccoli a confronto con appartamenti standard dello stesso taglio, ma ciò avviene
a fronte del vantaggio di poter usufruire di ampi spazi e servizi comuni quali: una
biblioteca; una sala soggiorno-pranzo; una cucina; una lavanderia; una palestra; un
ambulatorio; un appartamento per gli ospiti etc…
d)
gestione diretta da parte dei co-housers: la gestione della struttura avviene ad opera dei
residenti che, riunendosi periodicamente prendono le decisioni necessarie alla conduzione
ordinaria e straordinaria del cohousing;
e)
assenza di gerarchie: all’interno del cohousing non esistono leader, ma possono essere
eletti democraticamente dei rappresentanti o dei responsabili di alcune attività;
f)
redditi individuali, separati: i co-housers dispongono di proprie risorse economiche per la
conduzione del loro vivere quotidiano. Tuttavia, avviene sempre più spesso che i
cohousing si aprano al territorio circostante, offrendo a basso prezzo spazi e servizi, con i
cui proventi la comunità può decidere di investire nell’acquisto di beni collettivi.
Tuttavia, tali caratteristiche non sono necessariamente sempre e ovunque presenti negli oltre
1500 cohousing ad oggi realizzati nel mondo. Esistono innumerevoli modi in cui declinare il
cohousing, in cui di volta in volta i co-housers scelgono su cosa puntare prioritariamente. È così
possibile incontrare cohousing che si distinguono per le specifiche finalità che li animano, come nel
caso di quelli a “matrice ecologica” o improntati all’acquisto solidale; per il genere dei co-housers,
come nel caso dei cohousing formati da sole donne; per la fascia di età dei membri che vi fanno
parte, per cui si va da quelli per sole famiglie a quelli per soli giovani, per soli anziani (senior
cohousing per over-55) o, meno frequentemente, a quelli misti in cui convivono anziani e giovani
coppie con figli (cohousing intergenerazionali).
Questa “plasticità” degli elementi caratterizzanti i cohousing, li rende, a parere di chi scrive, una
soluzione abitativa particolarmente idonea a rispondere, da una parte, ad alcune criticità con cui i
giovani-adulti di oggi si trovano a dover fare i conti; dall’altra a incoraggiare la loro propensione
alla socialità.
La difficoltà a entrare stabilmente nel mercato del lavoro e con redditi sufficienti ad affrontare i
costi di un affitto – in alcune grandi città del tutto insostenibili per un giovane “precario” – rende,
infatti, sempre più difficile l’uscita dei giovani dalla famiglia di origine e il loro avvio ad una vita
autonoma e indipendente.
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D’altra parte i cohousing rappresentano il luogo privilegiato in cui sperimentare un modo di
vivere improntato alla socialità, alla partecipazione e alla collaborazione. I cohousing, se inseriti in
un più ampio disegno di politiche pubbliche, dirette a fornire alloggi a canone agevolato a giovani
sotto i 35 anni, potrebbero risultare estremamente vantaggiosi sia per l’ente locale che per i
cittadini. Il primo, perché potrebbe sia recuperare, riqualificandoli, edifici degradati ormai in disuso,
sia cedere ad uso gratuito, ma per finalità sociali, terreni demaniali che altrimenti resterebbero
inutilizzati, restituendo così parte del patrimonio demaniale ad un uso civico all’interno di una
strategia di ripensamento del tessuto urbano di più ampio respiro.
I secondi, perché potrebbe usufruire di una preziosa opportunità per avviare un progetto di vita
indipendente.
Tuttavia c’è un terzo ordine di soggetti che potrebbe giocare un ruolo pivot in questo quadro: le
imprese non-profit e le realtà imprenditoriali del mondo profit (grandi compagnie e fondazioni
d’impresa). Soggetti, sempre più spesso collegati a una o più business corporation operanti in
settori economici diversi (banche, assicurazioni, farmaceutica, informatica e telecomunicazioni), e
che oggi vanno sempre più sensibilizzandosi all’adozione di strategie di welfare aziendale o di
investimento sociale (vedi alcune importanti fondazioni d’impresa come la Vodafone e la General
Motors foundations). La partnership sociale, dunque, pubblico-privato non profit o pubblicoprivato-privato diverrebbe asset strategico per l’implementazione di soluzioni innovative nelle
politiche abitative.
2. Cohousing e politiche pubbliche in Europa e oltreoceano
Nel tempo il cohousing si è sviluppato in modo diverso nei contesti socio-culturali e politici in
cui si è realizzato. È possibile individuare tre fasi di sviluppo del cohousing in Europa e nel mondo.
La prima, che va dagli anni Settanta agli anni Ottanta, è caratterizzata da un rapido sviluppo nel
Nord Europa, dalla Danimarca alla Svezia e l’Olanda; la seconda, che ha le sue origini negli anni
Novanta, è segnata dal rapido sviluppo che il cohousing ha avuto nel mondo anglosassone, a partire
dagli Stati Uniti, per poi proseguire in Australia, Nuova Zelanda e in Inghilterra; la terza, che risale
ad epoche più recenti, interessa i Paesi dell’Europa continentale (Francia e Germania) e
mediterranea (Italia). In ognuno di questi Paesi i soggetti interessati alla realizzazione di queste
soluzioni abitative hanno trovato modalità diverse di coinvolgimento delle pubbliche
amministrazioni e degli enti locali, ma anche di sponsor privati disposti a investire nel sociale. In
questo paragrafo si cercherà di evidenziare come il cohousing sia penetrato nelle politiche
pubbliche dei paesi in cui si sta diffondendo più rapidamente.
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In Danimarca, ad esempio, dove ha visto i suoi natali, e negli Stati Uniti, dove è stato importato
da Durrett, questa soluzione abitativa comunitaria ha mantenuto nel tempo la sua dimensione
prevalentemente privatistica. Nella maggior parte dei casi, infatti, i cohousing sono promossi da
gruppi di individui che si scelgono elettivamente e che avviano un processo di progettazione
comune. Naturalmente, in forme giuridiche idonee a favorire il processo di co-progettazione e
realizzazione (associazioni e cooperative di cohousers, gruppi di autocostruzione etc..). Tuttavia,
anche in questi Paesi capita sempre più spesso che lo Stato intervenga, sostenendo i progetti di
alcune fasce deboli della popolazione, per favorire l’accesso a questa soluzione abitativa anche da
parte di chi non dispone di mezzi sufficienti (C. Durante, 2011). Non solo.
In molti casi il soggetto promotore del cohousing stipula accordi con gli enti locali per la
gestione di spazi e servizi pubblici. In genere l’ente pubblico fornisce gratuitamente, o a costi
contenuti, il terreno su cui edificare la struttura abitativa a condizione però che al suo interno
vengano previsti e realizzati spazi e servizi da destinare anche alla popolazione del territorio esterna
alla comunità dei co-housers. Questa soluzione aiuta a evitare che i cohousing si trasformino in
gated communities (E. J. Blakely et al., 1997) o fortified enclaves (Caldeira, 1999), comunità
contrattuali caratterizzate dall’esclusività dell’insediamento abitativo che determina chi ammettere
all’accesso o meno dell’area, che viene rigidamente controllata e protetta al fine di assicurare ampi
margini di sicurezza ai residenti; dalla definizione di un codice etico da rispettare. I cohousing sono
invece delle comunità aperte al territorio, anzi possono essere propriamente considerate un volano
generatore di capitale sociale, perché costruiscono relazioni sociali all’interno di reti di rapporti più
ampi. L’apertura del cohousing al territorio circostante, specie quando la sua realizzazione avviene
nel tessuto urbano della città, può favorire processi di coesione sociale, stimolando la
partecipazione attiva dei cittadini alla vita del territorio.
In Svezia e Olanda il cohousing ha avuto tutt’altro sviluppo nel rapporto con gli enti pubblici,
che si sono fatti soggetto promotore di questa soluzione abitativa, divenuta parte integrante di piani
di azione locale nell’ambito dell’edilizia pubblica (C. Durante, 2011).
In Svezia l’edilizia sociale pubblica ha sempre avuto ampia diffusione tanto che il patrimonio
residenziale in affitto è prevalentemente di proprietà degli enti pubblici locali. In questo Paese
soluzioni abitative comunitarie erano presenti fin dai primissimi anni Trenta, ma è possibile datare
al 1905 la prima Hemgården Central Kitchen, ovvero un edificio con 60 appartamenti, i cui
residenti potevano usufruire di una cucina comune e di un montavivande che portava in ciascun
appartamento i pasti richiesti tramite una rete telefonica interna (D. U. Vestbro, 2008). Tuttavia,
dopo le pionieristiche esperienze di cohousing dei primi anni Trenta, nel ventennio successivo tali
soluzioni abitative non hanno trovato né il sostegno pubblico del governo social democratico, né
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delle numerose organizzazioni cooperative per l’edilizia. Fu, invece, un costruttore privato Olle
Engkvist che, ispirandosi al cohousing di John Ericsongatan 6 (1935)3, e facendo propria l’idea del
cohousing, ne realizzò ben sei nella sola Stoccolma nei venti anni successivi (Vestrbro D. U., 2008).
Fino agli anni Cinquanta, dunque, il governo svedese, nonostante fosse fortemente impegnato sul
fronte dell’edilizia sociale, non è stato favorevole a soluzioni di cohousing, anche perché dominava
la convinzione che i bambini dovessero essere cresciuti e accuditi dalle madri. L’iniziativa è dunque
rimasta essenzialmente privata. Si deve, invece, alle associazioni di donne e al movimento
femminista se il cohousing è riuscito, fin dai primi anni Sessanta, a superare tale scetticismo. In
quegli anni, infatti, è andata affermandosi la convinzione della necessità che le donne continuassero
a lavorare anche quando avessero avuto dei figli. Ciò avrebbe consentito loro di partecipare più
attivamente alla vita sociale e politica del Paese e di farsi protagoniste delle scelte di policy: in
particolare quelle sull’housing. Portare avanti la causa del cohousing, come parte integrante delle
politiche sociali, avrebbe offerto un’opportunità in più di aiuto alle donne lavoratrici per far fronte
ai molteplici problemi della vita quotidiana (cura dei figli, della casa etc..).
In base ad un censimento condotto nel 2006 dall’associazione nazionale Kollektivhus NU in
Svezia esistono 52 cohousing, in gran parte di proprietà delle amministrazioni locali che hanno
creduto nell’importanza di orientare le risorse pubbliche verso questa forma di investimento sociale.
Le unità di cohousing (cui corrispondono complessivamente 2000 appartamenti) rappresentano lo
0,05% dell’ammontare totale di abitazioni disponibili; un valore solo apparentemente esiguo. Nella
sola comunità di Stoplyckan vivono oltre 400 persone in un cohousing in cui i residenti versano un
canone ad affitto agevolato al comune. La peculiarità di questo cohousing sta nel fatto che durante il
giorno alcuni spazi comuni della struttura, come la palestra e la mensa, sono utilizzati da enti
pubblici per lo svolgimento di attività a favore di persone anziane o disabili, mentre di sera sono ad
uso esclusivo dei cohousers. Stoplickan rappresenta un eccellente esempio di social cohousing, di
una soluzione abitativa parte integrante delle politiche di housing sociale.
In Olanda il cohousing si è affermato, fin dai primi anni Settanta, ad opera prevalentemente del
movimento degli “squatters” che reclamavano risposte adeguate al loro diritto di “abitare” e a
quello giovanile degli anni Sessanta in cui si proponevano nuovi modelli sociali incentrati sulla
persona e i diritti umani (M. Lietaert, 2011). Anche in questo caso, come in quello svedese,
l’apertura del governo olandese nei confronti del cohousing ha seguito un processo bottom up; un
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Si tratta di un cohousing composto di 54 piccoli appartamenti con montavivande dal ristorante ai piani; un piccolo
negozio e il primo asilo nido basato sui principi pedagogici di Alva Myrdal. Inoltre il montavivande fungeva anche da
scivolo per la biancheria da lavare, che giungeva così direttamente dall’appartamento alla lavanderia. Questa soluzione
abitativa si riproponeva di sollevare le donne da tutte le preoccupazioni derivanti dalla gestione della casa: preparazione
pasti, lavaggio biancheria etc…Questo cohousing andò avanti per 30 anni ma poi fu chiuso, perché eccessivamente
oneroso.
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processo che ha portato a un adattamento delle politiche pubbliche alle esigenze espresse dal basso
(C. Durante, 2011). L’incorporamento dell’idea di cohousing nelle politiche di housing sociale ha
portato all’individuazione di soluzioni innovative sia nella costruzione sia nella gestione di queste
strutture, nonché alla definizione di molteplici forme di cooperazione tra soggetti pubblici,
comunità locali e territorio.
In alcuni Paesi dell’Europa continentale e mediterranea il cohousing ha iniziato a farsi strada
solo di recente. Tuttavia, nelle sue diverse declinazioni, presenta peculiarità di estremo interesse ai
fini della tesi che si intende sostenere in questo paper. In Francia, ad esempio, i cohousing stanno
diventando un nuovo modello abitativo specificamente diretto a giovani famiglie con o senza figli,
proprio per i vantaggi economici che possono derivare da una soluzione abitativa a canone
agevolato, ma anche per la possibilità di usufruire di servizi che favoriscono la conciliazione
lavoro-famiglia per donne e uomini. Anche in Italia si sta diffondendo la conoscenza di questa
soluzione abitativa tanto che sono sorte diverse associazioni che promuovono e sostengono la
creazione di gruppi di futuri cohousers. In Italia possono individuarsi due modelli attuativi
prevalenti: il primo, sulla falsariga di quello americano, si realizza attraverso équipe di esperti che
offrono servizi di consulenza, assistenza e accompagnamento ai futuri cohousers in tutte le fasi di
sviluppo del progetto; il secondo, più vicino all’esperienza danese, lascia completamente al privato
la responsabilità di seguire l’intero percorso di realizzazione del cohousing, comprendendo in alcuni
casi l’autocostruzione della struttura. Quest’ultimo modello è comunque di più difficile
realizzazione e richiede tempi più lunghi di attesa per l’ultimazione dell’opera. Tuttavia, si stanno
diffondendo sempre più esperienze in cui pubblico e privato interagiscono e cooperano per la
realizzazione di questi progetti, sostenendosi reciprocamente. Come sarà illustrato nel prossimo
paragrafo si contano ormai alcune interessanti “buone prassi” di partnership publico-privato in cui il
cohousing trova attuazione a livello delle politiche per edilizia sociale. Enti locali e associazioni di
cittadini, nonché imprese non profit o cooperative per l’edilizia, concordano forme di cooperazione
per la realizzazione di cohousing secondo formule che vanno dal sostegno all’autocostruzione alla
riqualificazione e riconversione di edifici degradati, alla cessione di terreni, sempreché le
costruzioni rispettino la finalità sociale di realizzare alloggi a canone agevolato per fasce di
popolazione specifiche (giovani, anziani etc..).
3. Nuove “geometrie” nella partnership pubblico-privato. Un esempio di buone prassi: il
cohousing per giovani di Via del Porto 15 a Bologna.
In tale scenario s’impone la necessità di una riflessione su come innovare le politiche di edilizia
sociale, iniziando a considerare questo settore come un ambito strategico di investimento sociale. Il
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concetto di investimento sociale richiede un chiarimento, per sgomberare il campo dal dubbio che
possa celare intenti speculativi. Occorre, infatti, diffondere l’idea che l’edilizia sociale, e in
particolare il cohousing, possa rappresentare un buon investimento sociale per il pubblico e per il
privato con importanti ricadute sulla collettività, per una serie di ragioni che esulano dal profitto
inteso quale surplus destinato esclusivamente all’accumulazione di capitale, e riguardano invece la
possibilità di potenziare la capacità di risposta delle istituzioni locali alle domande dei cittadini. È
dunque essenziale fare chiarezza sui seguenti punti:
a)
l’individuazione degli interessi specifici di ciascun soggetto, pubblico e privato, nella
scelta di investire nel social cohousing;
b)
l’introduzione di “geometrie flessibili” di partnership sociali tra gli attori, istituzionali e
non, coinvolti nell’investimento di social cohousing.
Per i soggetti pubblici (Comuni, Regioni, Asl etc..) investire in social cohousing presenta dei
vantaggi perché, nonostante la costante riduzione delle risorse economico-finanziarie disponibili,
consente loro di realizzare opere importanti in risposta ai bisogni specifici di ampie fasce di
popolazione a partire dalla valorizzazione di ciò che l’ente possiede. È il caso in cui l’ente locale (il
Comune e non solo) decide di mettere a disposizione vecchi edifici in disuso o degradati, ovvero di
cedere terreni inutilizzati a soggetti terzi disposti a realizzare opere di rilevanza sociale. Una scelta
che consente al pubblico di ricevere un ritorno economico dalla realizzazione di tali opere, da
utilizzare per la manutenzione o per investire in innovazione. Senza contare che la realizzazione di
tali opere consente di fornire risposte con un impatto sociale che supera la mera risposta ad uno
specifico bisogno/diritto (la casa), in quanto favoriscono la promozione di fasce di popolazione con
un enorme potenziale inespresso (i giovani, ad esempio). Inoltre, il cohousing favorisce la coesione
sociale e contribuisce a costruire un sistema di relazioni che si inseriscono nel territorio,
potenziandone il capitale sociale che diventa ricchezza di e per tutta la collettività. Una comunità
coesa è anche più motivata all’esercizio di una cittadinanza attiva, divenendo protagonista di una
democrazia partecipativa.
Per i soggetti privati occorre fare un discorso diverso a seconda che si tratti di imprese non
profit, profit o fondazioni d’impresa. La difficoltà che attualmente incontrano le imprese non profit
a reperire fondi per la realizzazione dei loro progetti ha portato allo studio di nuovi possibili canali
di finanziamento, individuati opportunamente nelle imprese profit e nelle fondazioni di impresa (M.
Grumo, 2010). Il discorso si potrebbe estendere anche ad altri soggetti giuridici come le cooperative
sociali o il mondo associativo, in cui sempre più spesso si organizzano i possibili cohousers,
anch’essi in affanno nella ricerca delle risorse economiche necessarie alla realizzazione del loro
progetto di housing.
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È facilmente riscontrabile in letteratura (L. Tayart de Borms 2000; 2005; I. Lenzi, C. Raffaelli e
S. Ratti 2005) l’espansione e la crescita della realtà delle fondazioni d’impresa grant-making e delle
imprese profit quali soggetti finanziatori di progetti di rilevanza sociale promossi da imprese non
profit. Ulteriori analisi confermano la centralità sia dei giving model (sistemi di controllo) sia degli
strumenti di valutazione adottati dalle fondazioni nell’efficacia e la durata del loro rapporto con le
imprese non profit (M. Grumo, 2010). E questo sembra valere anche con riferimento a soggetti
finanziatori pubblici e privati. Ma ciò che più conta è che tra le linee di tendenza internazionali, e in
parte nazionali, sono stati riscontrati numerosi casi di partnership in cui al grant making della
fondazione d’impresa si aggiunge un suo (o anche dell’impresa fondatrice) investimento diretto in
strutture immobiliari, quando economicamente convenienti e socialmente meritevoli ovvero
donazioni d’immobili da parte dell’impresa fondatrice ovvero l’“adozione” da parte di gruppi stabili
di donatori di progetti di interesse sociale. Occorre, infatti, superare lo stereotipo per cui i progetti
sociali non interessano al mondo profit. Al contrario, un buon progetto, se ben comunicato e
costruito può suscitare ampio interesse in una compagnia di rilievo. A tal fine è essenziale
introdurre un altro fattore discriminante: l’innovazione. Le partnership durevoli sono quelle che si
fondano su idee innovative che richiedono un coinvolgimento continuativo del soggetto finanziatore
che però deve ricevere dei benefici da tale investimento (M. Grumo, 2010).
Nel tentativo di costruire un modello di partnership tra pubblico, privato (profit e non profit) è
necessario dunque tener presenti i benefici derivanti dalla realizzazione di una proposta di social
cohousing. La collaborazione col pubblico e il non profit porta, infatti, all’impresa profit vantaggi in
termini di visibilità e reputazione, di apertura di nuovi mercati, di individuazione di nuovi prodotti,
nonché di significativi vantaggi fiscali. Nella realtà italiana e internazionale è possibile rintracciare
tali forme di partnership negli investimenti immobiliari a valenza sociale: il che significa che le
imprese effettuano, con capitale proprio, investimenti immobiliari o in infrastrutture vantaggiose dal
punto di vista economico e a forte impatto e rilevanza sociale. Talora l’impresa può preferire
mettere a disposizione propri locali o strutture per la promozione di progetti sociali. Non solo.
L’esperienza potrebbe anche inscriversi nell’ambito delle politiche di welfare aziendale d’impresa:
infatti, esistono già numerose esperienze di partnership tra privato e pubblico nella creazione di asili
aziendali aperti per accogliere in via privilegiata, ma non necessariamente esclusiva, i figli dei
dipendenti dell’azienda. Ne è un esempio il nido aziendale “Nanna Bella” della Selex Sistemi
Integrati, azienda leader nell’elettronica della difesa che conta circa 1700 dipendenti nella sola area
romana, operativo dall’ottobre del 2006, aperto non solo ai dipendenti dell’azienda ma per un 20%
anche ai bambini provenienti dalle liste del V Municipio. Perché allora non pensare ad un’offerta di
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soluzioni abitative che rafforzino la capacità di fornire servizi di conciliazione lavoro-famiglia, oltre
ad accrescere il valore reale del reddito familiare?
La partnership potrebbe configurarsi in linea teorica come nel diagramma 1. Il soggetto pubblico
partecipa alla partnership a costo zero, poiché investe essenzialmente attraverso il recupero
dell’esistente degradato o in disuso ovvero cedendo gratuitamente aree su cui non sarebbe in grado
di realizzare nessuna opera. Il privato non profit è il motore dell’innovazione: fucina di idee,
potrebbe farsi soggetto promotore di progetti di cohousing per giovani, individuando previamente
spazi e/o aree del Comune da recuperare al tessuto urbano, prevedendo servizi flessibili a sostegno
del work-life balance.
Diagramma 1 – Modello di partnership pubblico-privato a geometrie variabili
PUBBLICO
Cessione gratuita terreno
Riqualificazione edifici
degradati
Riconversione edifici in disuso
PRIVATO PROFIT
PRIVATO NON PROFIT
Professionalità
Finanziamento
Idee innovative
Disponibilità spazi e
strutture
Progetto
(Fondazioni d’impresa
grant making o imprese
fondatrici)
Investimento
immobiliare
Il privato profit costituisce il soggetto finanziatore che può manifestare interesse in investimenti
di rilevanza sociale, che potrebbero al contempo giovare anche ai dipendenti stessi dell’impresa
fondatrice e alle loro famiglie. Ma perché il privato dovrebbe scegliere di investire in social
cohousing?
Perché potrebbero derivarne vantaggi diretti per i dipendenti, sostenendone la motivazione e la
fidelizzazione all’azienda; perché rafforzerebbe la sua immagine nella comunità, dal momento che
il cohousing si aprirebbe alla popolazione del territorio, offrendo servizi utili alle giovani coppie;
potenzierebbe la credibilità del suo marchio e l’immagine presso la clientela; otterrebbe un ritorno
economico dall’investimento fatto.
11
Il modello potrebbe apparire ambizioso ed astratto, ma non è così, se si guarda all’esperienza di
riqualificazione avviata a Via del Porto 15 a Bologna in buona parte inquadrabile nel quadro teorico
sopra descritto. Il progetto prevede il recupero di un immobile di 4 piani, in stato di grave degrado,
di proprietà dell’ASP IRIDeS, allo scopo di farne un cohousing per giovani fino ai 35 anni di età.
L’edificio si colloca in un’area che è considerata interna alla “città storica”, dove si trovano
numerosi centri di attrazione per giovani, tra cui il polo culturale e il Palazzo dello Sport. La
struttura consentirà di ottenere circa 40 posti letto in un numero di unità abitative di vario taglio.
Ogni piano disporrà di spazi abitativi comuni che andranno dalla sala soggiorno-pranzo con cucina,
lavanderie con area stiro, spazi per il tempo libero e l’ospitalità, un deposito per le biciclette. Non
solo. L’edificio sarà dotato di sistemi per il risparmio energetico. Il progetto è stato cofinanziato dal
Dipartimento della Gioventù della Presidenza del Consiglio dei Ministri e si propone di agevolare
l’accesso alla casa da parte dei giovani attraverso la sperimentazione di forme di “abitare”
innovative. Il finanziamento ottenuto è stato di 1.406.600,00 euro a cui si aggiunge la
partecipazione economica ed operativa del Comune e dei due partner di progetto: il sindacato
inquilini SUNIA e l’ASP IRIDes.
Per mostrare in tutte le sue potenzialità il modello sopra proposto, nel paragrafo 5 si cercherà di
argomentare da un punto di vista operativo la fattibilità di tre possibili direttrici attuative che
potrebbero derivare da tale schema teorico.
4. Il punto di vista dei giovani
Prima di procedere alla presentazione delle direttrici operative per l’implementazione del
modello teorico di partnership sociale sopra descritto, per la realizzazione di un social cohousing
per giovani under-35, ci si è chiesti quale fosse, nel nostro Paese, l’opinione dei possibili beneficiari
nei confronti di questa soluzione abitativa. E soprattutto se fossero a conoscenza della sua esistenza!
A tal fine si è ricorsi ai dati raccolti nel corso di un sondaggio di opinione, condotto nel 2011 dal
Dipartimento di Scienze Statistiche dell’Università “La Sapienza” di Roma4 su un campione di 200
giovani-adulti di età compresa tra i 25 e i 44 anni residenti in Italia, nell’ambito di una ricerca di
respiro più ampio diretta allo studio del senior cohousing. Nonostante la ricerca avesse come
obiettivo prioritario il senior cohousing, si è voluta sondare anche l’opinione dei più giovani nei
confronti di questa soluzione abitativa.
4
Il sondaggio si inserisce nell’ambito delle attività di una ricerca più ampia, finanziata dalla Federazione Nazionale
Pensionati della Cisl. In realtà sono stati condotti due sondaggi di opinione, per confrontare l’atteggiamento di un
campione di intervistati di età compresa tra i 60 e i 70 anni e quello di un campione di giovani-adulti di età 25-44.
12
Nonostante tutte le cautele dovute al fatto che si tratta di un mero sondaggio di opinione,
condotto su un campione esiguo di intervistati, i dati sembrerebbero confermare il positivo
atteggiamento di questa fascia di popolazione nei confronti del cohousing.
In verità, alla domanda di apertura, nella quale si chiedeva agli intervistati se fossero a
conoscenza dell’esistenza di questa soluzione abitativa, solo un esiguo 8% dichiarava di averne
sentito parlare o di aver letto qualcosa sui giornali. Tuttavia, dopo aver spiegato in cosa consistesse
il cohousing, ben il 48% del campione mostrava interesse verso questa proposta abitativa. A questi
si potrebbe aggiungere un 11% di indecisi. Ci si è, dunque, chiesti quali caratteristiche avesse quel
48% di giovani-adulti interessati e disposti a vivere in cohousing.
Come si rileva in tabella 1, tra i giovani di età compresa tra i 25 e i 34 anni la percentuale di
intervistati disposti ad affrontare l’esperienza di cohousing è circa 10 punti percentuali più alta che
tra gli adulti (52,8% contro il 43,2%). Non solo.
Tab. 1 – “Lei cosa ne pensa? Sarebbe disposto a vivere in questo modo? per classi di età
Si
No
Non so
Totale
val. ass.
val.%
val. ass.
val.%
val. ass.
val.%
val. ass.
val.%
classi di età
25-34
35-44
47
48
52,8%
43,2%
32
51
36,0%
45,9%
10
12
11,2%
10,8%
89
111
100,0%
100,0%
Totale
95
47,5%
83
41,5%
22
11,0%
200
100,0%
Sono i celibi e le nubili a mostrare maggior interesse verso tale soluzione rispetto a chi vive in
coppia con o senza figli, anche se la differenza è meno marcata (6 p.p.). Il livello di istruzione
sembra giocare un ruolo piuttosto importante. A livelli di istruzione più alti corrisponde un
atteggiamento più favorevole nei confronti dell’esperienza di cohousing (si passa dal 33,3% nei
livelli bassi al 58,1 in quelli più alti).
Passando poi alla condizione occupazionale e lavorativa degli intervistati emerge come tra i
disoccupati l’interesse verso questo tipo di proposta sia più alto rispetto a quello mostrato dagli
occupati o dagli inattivi, nonostante le differenze non siano ragguardevoli (circa 7 p.p.). Tuttavia è
interessante osservare che tra gli occupati, a differenza di quanto ipotizzato, il cohousing
sembrerebbe rappresentare una soluzione appetibile anche per coloro che hanno contratti di lavoro
standard e non solo per gli atipici, come ci si sarebbe potuti attendere. Naturalmente, il dato
richiederebbe ulteriori verifiche ed approfondimenti, ma se fosse confermato, potrebbe significare
13
che il cohousing può costituire una risposta trasversale alle esigenze di un target di popolazione
ancora più ampio.
Tab. 2 – “Lei cosa ne pensa? Sarebbe disposto a vivere in questo modo? per livello di
istruzione
Si
No
Non so
Totale
val. ass.
val. %
val. ass.
val. %
val. ass.
val. %
val. ass.
val. %
Livello di istruzione
basso
medio
alto
9
43
43
33,3%
43,4%
58,1%
14
45
24
51,9%
45,5%
32,4%
4
11
7
14,8%
11,1%
9,5%
27
99
74
100,0%
100,0%
100,0%
Totale
95
47,5%
83
41,5%
22
11,0%
200
100,0%
Coerentemente, invece, all’ipotesi di partenza, si conferma il dato relativo ai giovani che vivono
ancora in famiglia. Tra costoro, infatti, la percentuali di quelli che vedrebbero nel cohousing una
soluzione idonea per avviare una vita autonoma e indipendente sono il 57% contro il 42% di chi
vive da solo o in coppia.
Un altro dato che vale la pena evidenziare è che, dopo aver somministrato una serie di altre
domande relative alle attività e alle diverse forme di collaborazione e di condivisione della vita in
cohousing, alla domanda se gli intervistati avrebbero preso in seria considerazione l’idea di
presentare domanda al Comune per abitare in un cohousing nel caso fosse stato emesso un bando
apposito, ben il 70,5% ha risposto affermativamente (tab. 3).
Tab. 3 – “Se una soluzione di questo tipo fosse disponibile in tempi brevi nella sua città, pensa
che la prenderebbe in considerazione? per classi di età
Si
No, mai
Non so
val. ass.
val. %
val. ass.
val. %
val. ass.
val. %
val. ass.
val. %
Classi di età
25-34
35-44
37
30
78,7%
62,5%
3
9
6,4%
18,8%
7
9
14,9%
18,8%
47
48
100,0%
100,0%
Totale
67
70,5%
12
12,6%
16
16,8%
95
100,0%
14
L’intervista ha quindi fornito indirettamente una serie di elementi di conoscenza che hanno
consentito agli indecisi, ma anche a una parte dei contrari, di modificare la propria opinione. Siamo,
dunque, andati a vedere che caratteristiche avesse questo nuovo collettivo di rispondenti. I dati
confermano quanto sopra già descritto, aggiungendo, qualche elemento di novità. Innanzitutto, il
cohousing si conferma una soluzione appetibile per i giovani under 35 (tab. 3); in particolare per
coloro che vivono ancora in famiglia, ma anche i single e le coppie mostrano uno spiccato interesse
verso questa forma di “abitare”. L’istruzione si conferma come il fattore chiave nella disponibilità a
scegliere una vita di condivisione e collaborazione. Disoccupati e inattivi appaiono particolarmente
propensi ad una scelta comunitaria; tra gli occupati, i lavoratori standard confermano il loro
interesse.
5. La proposta di un modello di partnership pubblico-privato per la realizzazione di socialcohousing
Dopo aver verificato che la soluzione che si intende proporre per la realizzazione di cohousing
per giovani under-35 non poggia su considerazioni astratte e va incontro ad una potenziale esigenza
di questa fascia di popolazione, si prosegue in questo paragrafo con la presentazione di un modello
che individua i soggetti e gli strumenti che concorrono a realizzare edifici residenziali in cohousing
a canone calmierato, con al loro interno servizi aperti alla comunità e al quartiere circostante.
Un modello da realizzare con avvisi pubblici finalizzati alla realizzazione di edifici residenziali
di cohousing, di nuova costruzione o da ristrutturare, rivolti a giovani in precarie condizioni
economiche e di lavoro. Giovani lavoratori che desiderano avviare una vita autonoma e
indipendente dalla famiglia d’origine, ma che non dispongono dei mezzi necessari per compiere
questo passo.
La descrizione operativa del modello è articolata in modo tale da poter costituire un punto di
partenza per l’elaborazione di un bando da parte delle pubbliche amministrazioni. Per questa
ragione è sviluppata in paragrafi descrittivi dei singoli aspetti chiave che sono alla base di una
partnership pubblico-privata finalizzata alla realizzazione di alloggi per giovani lavoratori. A
sostegno della fattibilità del modello proposto sono riportati, nel corso del testo, le norme di
riferimento e i bandi assimilabili, già pubblicati da amministrazioni comunali e regionali, presi ad
esempio per l’individuazione delle informazioni e dei criteri da inserire nelle “linee guida” del
nostro modello.
Il bando è istruito e redatto dagli uffici dell’amministrazione comunale per sollecitare o recepire
proposte di intervento da parte di soggetti pubblici e/o privati, tese al conseguimento di obiettivi di
interesse generale articolati secondo i seguenti assi strategici:
15
-
supporto alla stabilizzazione abitativa dei giovani lavoratori, anche dipendenti dei soggetti
coinvolti;
-
implementazione del sistema di welfare aziendale mediante la disposizione di “fringe
benefit”;
-
riqualificazione di aree degradate e/o recupero di fabbricati dismessi non più utilizzabili per
l’attività produttiva, da destinare al mercato degli affitti a canone concordato (in conformità
con la Legge 431/98), con conseguente modifica della destinazione d’uso in “Residenziale”.
Le opere saranno finanziate da partner privati disposti ad investire in ambito sociale ed
interessati al potenziamento della propria offerta di welfare aziendale. I lavoratori cui è rivolta
l’iniziativa dovranno appartenere a categorie specifiche, i cui requisiti saranno in parte generali (ad
es. avere un contratto di lavoro precario ed un certo limite di reddito) ed in parte definiti in maniera
puntuale in sede di accordo con la pubblica amministrazione.
5.1 Soggetti proponenti
Il modello ipotizzato si rivolge a realtà imprenditoriali appartenenti sia alle amministrazioni
pubbliche (ASL, Università, ecc..) che alla sfera privata (società, cooperative, aziende, fondazioni,
imprese ecc..), interessate ad investire parte del proprio capitale sui loro dipendenti più giovani
incardinati con contratti non standard. Migliorare le condizioni di vita dei dipendenti significa dare
un incentivo alla loro produttività offrendo loro delle prospettive che spesso la realtà lavorativa non
permette di mettere a fuoco a pieno. (A. Murgia, 2007; AA.VV. Multiplicity.lab, 2007).
La finalità dell’iniziativa non è speculativa ma diretta alla realizzazione di un investimento che, a
fronte di un moderato rendimento, costituisca un’opportunità per i giovani di vedere soddisfatta la
loro esigenza di “stabilità” abitativa. Per i proponenti si tratta, comunque, di un’operazione con una
prospettiva di profitto sia in termini prettamente economici che di produttività dei propri dipendenti.
Spesso, infatti, i lavoratori ricevono oltre allo stipendio dei benefit e, in alcuni casi, tra questi è
previsto l’alloggio. Il vantaggio del proponente potrebbe consistere nell’offrire ai propri dipendenti
una parte degli alloggi realizzati, potenziando così il pacchetto dei “fringe benefit”. Il tutto ad un
costo più basso di quello che si avrebbe rivolgendosi ad una struttura esterna e con un risultato
qualitativamente più elevato (G. Dan, 2010). Aziende e compagnie di grandi dimensioni sono i
proponenti che più facilmente si immagina possano essere interessati ad un iniziativa di questo
genere, ma ciò non preclude in alcun modo la partecipazione di realtà più piccole quali cooperative
di abitanti, piccole e medie imprese consociate tra loro o enti pubblici come ministeri e università.
16
Nell’eventualità che più soggetti intendano presentare una proposta unitaria, potranno dichiarare
un impegno a costituirsi in consorzio in caso di accoglimento della proposta. Tra i requisiti
fondamentali ed imprescindibili alla buona riuscita dell’iniziativa vi è la collaborazione tra
proponente ed amministrazioni locali per l’individuazione della collocazione più idonea ad un
intervento simile e per la corretta stipula degli accordi di programma e della convenzione necessari
per la realizzazione e la gestione della struttura nel tempo.
Le proposte avanzate, che saranno oggetto di concertazione qualora l’Amministrazione intenda
migliorarne la qualità complessiva, sempre nei limiti dell’equilibrio economico del progetto, se
confermate nei contenuti esposti in prima istanza, devono considerarsi vincolanti per i soggetti
proponenti, a pena di esclusione dalla graduatoria.
5.2 Soggetti beneficiari
Il modello si rivolge a giovani con non più di 35 anni, che vivono ancora nella famiglia di
origine, da soli o in coppia, con o senza figli. Sono queste le tipologie di utenza più deboli e che
necessitano di uno stimolo a crescere con la serenità di aver almeno un punto di riferimento certo: la
casa. I richiedenti dovranno essere lavoratori con contratto atipico5.
Tuttavia, oltre al criterio della instabilità lavorativa occorrerà prendere in considerazione la
capacità degli utenti di inserirsi sul mercato immobiliare degli affitti e degli acquisti. A garanzia dei
giovani con maggiori difficoltà economiche, sarà cura delle Regioni stabilire, sulla base delle
statistiche territoriali, delle soglie di reddito che definiscano il posizionamento dei richiedenti nelle
graduatorie e l’eventuale esclusione dalla partecipazione al bando. Tra le ragioni di esclusione dalla
graduatoria vi sono la proprietà di un immobile residenziale nel raggio di 30 km dal Comune in cui
ha sede il proprio posto di lavoro e la proprietà di più di un alloggio sul territorio nazionale.
Sono ammessi a fare domanda tutti i giovani lavoratori atipici con le caratteristiche indicate nel
bando, inclusi i dipendenti dell’azienda o dell’ente partner dell’iniziativa, che hanno diritto
5
Appartengono a questa categoria tutti i lavori dipendenti senza stabilità del rapporto di lavoro con diritti previdenziali
interi (come ad esempio il lavoro interinale full-time e part-time con corresponsione o meno di indennità nei periodi di
inattività, i contratti di solidarietà esterna, i contratti di formazioni full-time e part-time, il contratto a tempo determinato
full-time e part-time); i lavori dipendenti con diritti previdenziali ridotti (come ad esempio gli stages full-time e parttime, i contratti di apprendistato e di inserimento full-time e part-time, i lavori socialmente utili, i lavori di pubblica
utilità) ed i lavori autonomi eterodiretti e parasubordinati (come i contratti di collaborazione coordinata e continuativa e
occasionale) (ISTAT, 2002).
17
prioritario su un numero definito di alloggi, in funzione degli accordi intercorsi tra le aziende e le
amministrazioni locali.
I dipendenti delle aziende partner godono, inoltre, di alcune agevolazioni sui criteri di accesso
alla graduatoria, tra cui l’estensione del limite di età anagrafica (fino a 44 anni) e di quello di
reddito, in misura definita concordemente con le indicazioni disposte dalla Regione e dai soggetti
coinvolti. Resta fermo, invece, il requisito imprescindibile di precarietà lavorativa del richiedente.
Ottenuto il diritto all’accesso alle residenze, il richiedente resta in possesso del titolo per tutta la
durata della convenzione alla base dell’iniziativa.
L’eventuale mutamento delle condizioni contrattuali, del tipo di contratto, o del datore di lavoro
non hanno alcun effetto sul diritto alla permanenza nell’alloggio, alle condizioni inizialmente
pattuite. Qualora l’affittuario si dimostrasse inadempiente, il contratto si riterrà automaticamente
estinto al termine del terzo mese continuativo di mancato pagamento della locazione. Decorso tale
periodo l’appartamento verrà nuovamente messo a diposizione dei richiedenti, secondo la
graduatoria inizialmente predisposta, previa verifica del rispetto dei requisiti stabiliti dal bando.
L’iniziativa costituisce un incentivo sia alla conquista di una vita autonoma e indipendente da
parte di giovani che vivono ancora nella famiglia di origine, sia alla stabilizzazione delle giovani
coppie che non hanno potuto avere accesso al mercato immobiliare a causa delle precarie condizioni
economiche e di lavoro di uno od entrambi i membri del nucleo familiare. Si cerca di sopperire ad
una delle principali conseguenze della mancata stabilità lavorativa, ovvero la difficoltà a ottenere un
mutuo per l’acquisto della prima casa (D. Catania, C. M. Vaccaro, G. Zucca, 2004). Coloro che
risultano vincitori del bando, ed acquisiscono il diritto di abitare in uno di questi immobili, possono
scegliere se abitarvi in affitto per un determinato periodo di tempo o rimanervi fino al termine della
convenzione, in modo da acquisire il diritto di prelazione, per acquistarlo e diventare proprietari
della propria abitazione.
5.3 Rilevanza delle proposte
Le proposte devono essere dotate di rilevanza sociale e imprenditoriale tali da giustificare il
coinvolgimento delle amministrazioni pubbliche. Il progetto deve avere una ricaduta sull’intero
sistema insediativo territoriale con il coinvolgimento degli abitanti del quartiere, del maggior
numero di impiegati dell’azienda partner e dei giovani lavoratori delle aziende limitrofe. Tale
rilevanza può essere conseguita anche mediante il coordinamento e l’integrazione di più interventi,
attuati da diversi soggetti, ma riuniti all’interno di una proposta unitaria.
I servizi comuni presenti all’interno del cohousing potranno dunque essere aperti anche ai
residenti non dipendenti, in fasce orarie definite e a tariffe agevolate.
18
5.4 Articolazione degli obiettivi
a. Supporto alla stabilizzazione abitativa dei giovani lavoratori, anche dipendenti dei soggetti
finanziatori.
Le proposte devono essere finalizzate a favorire la condizione alloggiativa dei giovani lavoratori
con particolare attenzione al contenimento dei costi di gestione degli alloggi, al comfort abitativo ed
alla incentivazione dei rapporti sociali tra i residenti. Gli alloggi realizzati saranno destinati
all’affitto a canone agevolato per un periodo di tempo da concordare in sede di convenzione, ma
non inferiore ai 20 anni. Al termine di questo periodo i contratti di affitto si intenderanno risolti e
gli immobili torneranno di proprietà del partner privato e dell’amministrazione secondo le
percentuali inizialmente pattuite. I proprietari potranno decidere liberamente come immettere
nuovamente gli immobili sul mercato, se in affitto o in vendita. Resta inteso il diritto di prelazione
del precedente inquilino sull’affitto e sulla vendita del singolo immobile in condizione di pari
offerta economica.
b. Implementazione del sistema di welfare aziendale mediante la disposizione di “fringe benefit”.
Parte dell’offerta alloggiativa è destinata a dipendenti dei soggetti proponenti. In quest’ottica
l’iniziativa assume i connotati propri dell’offerta di welfare aziendale ed è a discrezione dei
proponenti studiare soluzioni migliorative la qualità della vita dei lavoratori da integrare
all’alloggio. Locali con destinazione d’uso collettiva, veicoli aziendali (automobili, motocicli,
biciclette) a disposizione dei residenti sul modello del car-sharing, sono alcuni esempi di soluzioni
migliorative.
c. Riqualificazione di aree degradate e/o il recupero di fabbricati dismessi non più utilizzabili per
l’attività produttiva, da destinare al mercato degli affitti a canone concordato.
Le proposte devono riguardare la riqualificazione di aree inedificate, in stato di abbandono ed
inutilizzabili a fini agricoli o il risanamento ed il recupero di fabbricati dismessi. Di quest’ultima
categoria fanno parte anche opifici, magazzini e gli ex edifici industriali, anche in condizioni di
dissesto statico o con elevato livello di fatiscenza. Sono escluse dalla trasformazione serre, tettoie e
volumetrie realizzate in assenza di titolo abilitativo. Verranno valutati positivamente tutti i casi in
cui la valenza sociale e la qualità architettonica dell’iniziativa costituiscono un occasione di rilancio
delle aree oggetto di intervento.
5.5 Istruttoria delle proposte e formazione della graduatoria
19
Le proposte pervenute presso gli uffici preposti dalla municipalità, vengono valutate nella loro
globalità e concorrono alla formazione della graduatoria per l’assegnazione dei beni o dei fondi
messi a bando.
A ciascuno degli interventi proposti sarà attribuito un punteggio di preferenza che non dovrà
risultare pari a 0 per nessuno dei tre punti a) b) e c), a pena di esclusione della proposta, e potrà
essere incrementato con i valori positivi attribuiti a tutti gli interventi. Sulla base del punteggio
complessivo conseguito dalle proposte sarà formata una graduatoria che definirà la priorità
istruttoria e attuativa. Le proposte che conseguiranno un punteggio pari a 0 anche in un solo asse
strategico non saranno prese in considerazione. Concorre all’attribuzione di punteggio per il
collocamento all’interno della graduatoria anche la valutazione del business plan che accompagna
la proposta. Il proponente deve dimostrare di aver valutato la fattibilità economica del progetto
nell’arco di tutta la durata della convenzione al fine di poter offrire le dovute garanzie di riuscita
dell’iniziativa.
Il progetto deve rispondere ai tre punti a), b) e c), alle esigenze di qualità edilizia (in termini di
durabilità dei materiali, comfort indoor e risparmio energetico), proporre il minor prezzo di affitto
degli alloggi, offrire la maggiore gamma di servizi collettivi ed essere in grado di assicurare oltre
alla rendita per il proponente ed all’ammortamento dei costi di manutenzione ordinaria, per tutto
periodo di convenzione, anche la creazione di un fondo per gli interventi di
manutenzione
straordinaria da eseguire, a carico del proponente, al termine della convenzione, prima della
cessione degli immobili al comune. Il criterio di valutazione economica è, quindi, assimilabile a
quello dell’offerta economicamente più vantaggiosa.
L’offerta verrà valutata non solo in riferimento alle opere strettamente connesse alla
realizzazione dell’immobile residenziale, ma anche alla capacità di inserimento del progetto nel
contesto sociale ed urbanistico del territorio. I servizi presenti all’interno del cohousing possono
essere aperti, almeno in parte, al quartiere, costituendo così un’occasione di riqualificazione del
territorio all’interno del quale viene inserito l’intervento (C. Durrett, 2011).
In alcuni casi particolari il bando può prevedere anche l’erogazione di un finanziamento, a titolo
di incentivo all’iniziativa.
5.6 Localizzazione delle proposte e rapporto con gli strumenti urbanistici
Il sito scelto per la realizzazione deve essere concordato con la pubblica amministrazione, e
rispondere prioritariamente alle esigenze degli utenti finali. Laddove fosse necessario per
l’attuazione del modello proposto, il Comune, in accordo con la Regione e nel rispetto della tutela
dei vincoli paesaggistici, può operare varianti alle NTA del PRG vigente. L’operatività dello
20
strumento è pertanto subordinata alla conclusione di un accordo di programma ex art. 34 D.lgs
267/00 tra le Amministrazioni interessate.
La procedura di Accordo di Programma, sarà preceduta dall’approvazione della Conferenza dei
Servizi Interna all’uopo convocata, che si articolerà su base territoriale, accorpando, eventualmente,
territori con caratteristiche simili o complementari o funzionalmente interdipendenti.
La Conferenza dei Servizi ha lo scopo di valutare l’impatto urbanistico del complesso delle
proposte proponendo i necessari correttivi o in mancanza di tale possibilità stabilendo l’esclusione
delle proposte incompatibili. Alla Conferenza dei Servizi verrà sottoposto un quadro completo delle
proposte pervenute con l’evidenziazione dei nessi strutturali e delle ricadute sulla situazione attuale
e sulle previsioni urbanistiche vigenti, secondo tutti i parametri presi in considerazione ( densità
territoriale, effetti sul sistema dei trasporti, sul sistema infrastrutturale, sul sistema ambientale, sulle
dinamiche sociali ed economiche etc.).
Le proposte d’intervento sia pubbliche che private devono risultare:
a) coerenti con gli obiettivi e le condizioni di sviluppo sostenibile del territorio;
b) compatibili con i vincoli di tutela dei beni culturali, paesistici e ambientali;
c) conformi alle norme regolanti i settori e le tipologie d’intervento, derivanti da
provvedimenti legislativi, amministrativi, regolamentari;
Le proposte d’intervento devono essere localizzate prioritariamente nelle seguenti aree:
d) zone poco edificate, degradate o soggette a rischio di degrado ambientale, paesistico, sociale
ed economico;
e) zone destinate dagli strumenti urbanistici esistenti all’insediamento di funzioni e attività
commerciali o edilizia economica e popolare.
Le proposte di iniziativa privata non devono essere comprese nel territorio dei Parchi individuati
con Legge Nazionale o Regionale. Le Istituzioni che gestiscono le aree protette di cui sopra possono
presentare proprie proposte finalizzate alla valorizzazione dei territori di competenza,
eventualmente concertate con privati che operano nel settore agricolo.
Data la tipologia di utenza ipotizzata, giovani in condizioni di precarietà lavorativa, la
localizzazione sarà scelta in funzione delle possibili connessioni con i sistemi infrastrutturali di
trasporto pubblico, al fine di garantire l’opportunità di recarsi presso il luogo di lavoro con i mezzi
pubblici (A. Galderisi, 2007). Laddove le condizioni lo consentano è auspicabile che la distanza con
la sede dell’azienda partner sia percorribile a piedi, in modo da ridurre i costi degli spostamenti ed
incentivare l’utilizzo dei servizi collettivi anche da parte dei dipendenti non residenti.
21
5.7 Misure di sostegno ed incentivazione
In base agli accordi di programma e alle convenzioni urbanistiche possono essere riconosciuti
premi di cubatura e/o superficie, indici di trasformazione dei manufatti dimessi, ed altre forme di
incentivazione appositamente formulate.
Le misure di sostegno sono volte ad assorbire, almeno parzialmente, i costi addizionali derivanti
da interventi preliminari o collaterali l’obiettivo principale.
Nello specifico, in casi di nuova costruzione può esser necessario far ricorso a premi di cubatura
e/o superficie in misura tale da compensare il costo di bonifica di un’area o la demolizione e lo
smaltimento di strutture abusive preesistenti nell’area; nei casi di ristrutturazione edilizia un
apposito indice di trasformazione può agevolare il recupero di immobili fatiscenti consentendo di
suddividerne i costi sulla maggiore superficie realizzata.
Nel caso in cui l’iniziativa coinvolga più edifici in un progetto unitario, la superficie oggetto
della proposta a base di calcolo della SUL da trasformare, è costituita dalla somma delle superfici
dei diversi fabbricati. L’incremento ottenuto può essere sviluppato come ampliamento di uno solo o
più edifici o per la realizzazione di un nuovi corpi di fabbrica.
Le misure di sostegno ed incentivazione vengono introdotte per favorire la realizzazione di
servizi collettivi, la riqualificazione di aree degradate e/o la ristrutturazione di edifici in stato di
abbandono. Queste, possono essere disposte dalle amministrazioni locali e regionali nei casi in cui
gli interventi previsti richiedano un investimento di capitale tale da rischiare di pregiudicare l’avvio
e la buona riuscita delle iniziative edilizie.
5.8 La tipologia edilizia
Gli edifici saranno progettati e realizzati secondo i principi del cohousing, con particolare
attenzione agli spazi di relazione ed ai servizi da offrire ai residenti ed al quartiere. I servizi comuni
non saranno realizzati tutti al momento della costruzione dell’edificio, ma verranno previsti degli
ambienti “flessibili” la cui destinazione d’uso finale sarà disposta dai residenti e si presterà ad
essere modificata nel tempo.
Nello spirito dell’iniziativa vi è anche il rafforzamento dei rapporti tra gli abitanti del cohousing
(dipendenti e non), i residenti del territorio circostante e i dipendenti non residenti. A tal fine i
servizi offerti giocano un ruolo fondamentale. Alcuni di questi, come ad esempio il soggiorno, la
cucina comune e la palestra, saranno aperti anche ai residenti non dipendenti e ai dipendenti non
residenti, in fasce orarie dedicate e a tariffe agevolate.
22
Il cohousing, con il suo mix funzionale di destinazioni d’uso si presta a diventare un elemento
nodale della vita dell’azienda e del quartiere ottimizzando spazi e risorse. I dipendenti si trovano
spesso a vivere un quartiere quasi più degli stessi residenti, ed il cohousing può fungere come
elemento connettivo che permetta ai dipendenti di percepirlo non solo come il quartiere in cui
lavorano ma in parte anche il “loro”.
Il comune di Vimercate ha pubblicato6 nel maggio 2010 il primo bando per la realizzazione di
“edifici di tipo convenzionato in cohousing”. Nel bando viene sottolineata la valenza sociale
dell’intervento anche attraverso la richiesta di previsione nell’edificio di locali progettati e destinati
appositamente per l’uso collettivo e l’obbligo di apertura di alcuni servizi al quartiere.
5.9 Modalità di presentazione delle proposte
L’interesse da parte dei soggetti pubblici e privati operanti nel settore produttivo deve essere
manifestato mediante la presentazione di uno studio di fattibilità, accompagnato da lettera di
trasmissione sottoscritta dal soggetto proponente, o suo legale rappresentante, che assuma gli
impegni contenuti nel presente invito e che diverranno comunque vincolanti in caso di accettazione
della proposta da parte dell’Amministrazione Comunale e che illustri la proposta d’intervento nei
seguenti aspetti:
a) generalità e caratteristiche del soggetto proponente;
b) inquadramento della proposta nel contesto insediativo, produttivo, infrastrutturale e
ambientale di riferimento;
c) descrizione dell’area, dei luoghi e dei fabbricati oggetto della proposta d’intervento, con
idonee indicazioni planimetriche e grafiche riguardanti i principali strumenti urbanistici,
vincolistici e geomorfologici (Stralcio Catastale, PRG, PRG – Rete Ecologica, PTPR, Carta
dell’Agro, ecc..);
d) perizia asseverata redatta da tecnico abilitato sulla legittimità, sullo stato di consistenza
(superfici, ingombri, altezza massima, ecc..), sulle superfici e sul valore di mercato di
quanto al punto precedente;
e) tipologia di proposta e descrizione sommaria dei contenuti e parametri urbanistici, edilizi e
funzionali;
f) piano economico finanziario da cui si evinca con chiarezza:
1. dimensione dell’area che si propone di valorizzare;
2. entità degli investimenti complessivi previsti;
6
www.comune.vimercate.mi.it/documenti/1270797182.pdf
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3. entità degli investimenti per le residenze;
4. entità degli investimenti per opere infrastrutturali o calcolo degli oneri di
urbanizzazione;
5. estensione delle superfici ed entità di spesa in percentuale per interventi di restauro del
paesaggio agrario;
6. numero di addetti dell’azienda corredato da statistica sulle tipologie di contratto stipulate
ed identificazione dei dipendenti con i requisiti di partecipazione all’intervento proposto;
7. volume complessivo e SUL dei manufatti che saranno oggetto di trasformazione e
percentuale di quelli messi a disposizione del mercato locativo a canone convenzionato
(minimo 30%), nonché indicazioni sulla tempistica di realizzazione;
8. ammontare del canone di locazione per un periodo non inferiore a 20 anni, ed eventuali
proposte di prolungamento dell’impegno a canone concordato calcolate come da D.M. 5
agosto 1994, espresso in euro per metro quadrato al mese;
9. eventuale estensione di aree a verde o parcheggio;
10. tipologia utilizzata, entità in Kw/p della produzione autonoma di energia annua (solare
termico; fotovoltaico etc.), entità dell’investimento in tecnologie eco-compatibili e
realizzazione degli impianti; percentuale di copertura del fabbisogno energetico.
11. ammontare di eventuali interventi di elevata valenza architettonica, urbanistica e/o
sociale (di restauro conservativo di manufatti di pregio storico, architettonico e
paesaggistico, riqualificazione di aree dismesse, realizzazione strutture para scolastiche,
ecc..);
12. eventuale disponibilità alla realizzazione e cessione all’Amministrazione di volumetrie
da destinare a servizi di livello di quartiere.
La modalità di presentazione delle proposte e gli elementi di rilievo del piano economico che
deve accompagnare il progetto sono state desunte dal bando predisposto dal comune di Roma per la
formazione del programma di riqualificazione degli immobili agricoli (P.R.I.A.). Il bando
prevedeva al suo interno, tra gli elementi di qualità sociale, la possibilità di destinare al cohousing
gli edifici residenziali.
5.10 Le tre formule attuative del modello
Vengono proposti, a titolo esemplificativo, tre possibili direttrici di attuazione del modello che si
distinguono per la tipologia d’iniziativa, pubblica o privata.
1a Iniziativa pubblica - Cessione terreno:
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I comuni individuano tra le aree inedificate in proprio possesso uno o più siti da destinare a piani
di valorizzazione. Tra i criteri di selezione dell’area vi sono anche la distanza dalle aree industriali,
la connessione con il sistema infrastrutturale dei trasporti pubblici ed i progetti di sviluppo in corso
di attuazione. Qualora l’area individuata fosse in parte di proprietari privati, è possibile ricorrere
all’esproprio dei lotti di terreno che siano in comprovato stato di abbandono da un periodo non
inferiore a 10 anni.
Il Comune mette a bando pubblico, con o senza asta, il diritto edificatorio o il diritto di proprietà
di aree edificabili per la realizzazione di edifici per cohousing, con alloggi e servizi, da destinare
alla realizzazione di alloggi per giovani in condizioni di lavoro precarie. Nel bando verranno
specificati dettagliatamente i requisiti minimi dei soggetti proponenti ed i criteri con i quali verrà
stilata la graduatoria dei richiedenti.
L’aggiudicatario del bando si impegna formalmente ad adempiere agli impegni assunti, nei tempi
e con le modalità esplicitate nella convenzione urbanistica. Entro sessanta giorni dalla stipula della
convenzione urbanistica il Comune stabilisce, in accordo con la Regione, i criteri di selezione degli
inquilini e pubblica il bando. La graduatoria dei soggetti beneficiari deve essere conclusa entro
sessanta giorni dalla data di fine lavori.
Simulazione 1: cessione a titolo oneroso di diritto di edificabilità su terreno di proprietà del
comune per la realizzazione di un cohousing di 30 alloggi in affitto con possibilità di riscatto
Costo del terreno
= 1.000.000 €
Num alloggi
Costo costruzione
30 (sup. media 55 mq)
apt.
Costo costruzione serv.
1150 €/mq x 55 mq x 30 unità
= 1.900.000 €
1000 €/mq x 10 mq/apt x 30 unità
=
300.000 €
Totale investimento proponente
= 3.200.000 €
Rata affitto (affichè si rientri dei costi in 22 anni)
=
400 €
-----------------------------------------------------------------------------------------------------Totale introiti (al termine dei 30 di convenzione)
= 4.320.000 €
Utile lordo per il partner
= 1.120.000 €
In questa prima simulazione viene ipotizzato che il partner partecipi al bando per l’acquisizione
del diritto di edificabilità su terreno di proprietà pubblica e realizzi 30 appartamenti da affittare e
poi cedere con riscatto agli inquilini.
In questa formula l’amministrazione pubblica trae un vantaggio economico immediato e
mantiene la proprietà del terreno, i giovani lavoratori attraverso il pagamento dell’affitto creano la
25
possibilità di poter successivamente riscattare l’immobile ad un prezzo complessivo non superiore a
quello di mercato e senza la necessità di ricorrere ad un mutuo bancario. Al termine dei 22 anni gli
inquilini possono riscattare l’immobile pagando una cifra inizialmente pattuita o continuare a
pagare l’affitto per i restanti 8 anni dilazionando il pagamento del riscatto. Il proponente, conclusa
la convenzione e ceduti tutti gli alloggi avrà ottenuto un utile lordo che non sarà un vero e proprio
profitto ma solo un ammortizzatore nei confronti dell’inflazione che non trasformi l’operazione in
una perdita economica per il bilancio dell’azienda.
Simulazione 2: realizzazione di un cohousing di 30 alloggi su terreno ceduto gratuitamente dal
comune.
Costo del terreno
0€
Num alloggi
30 (sup. media 55 mq)
Costo costruzione
apt.1150 €/mq x 55 mq x 30 unità = 1.900.000 €
Costo costruzione serv.
1000 €/mq x 10 mq/apt x 30 unità
=
300.000 €
Costo manutenzione
40% costo costruzione
=
750.000 €
Totale investimento proponente
= 2.950.000 €
Rata affitto (affichè si rientri dei costi in 20 anni)
=
Totale introiti (al termine dei 30 di convenzione)
= 2.950.000 €
270 €
Questa seconda simulazione riguarda, invece, l’ipotesi della realizzazione di alloggi su terreno
ceduto gratuitamente da amministrazioni pubbliche. Il proponente si farà carico di tutti i costi di
manutenzione ordinaria e straordinaria sull’edificio ed al termine della convenzione gli alloggi
saranno divisi, secondo gli accordi iniziali, tra municipalità e proponente. La rata dell’affitto
sostenuta dai lavoratori ha solo l’obiettivo di coprire i costi sostenuti dal proponente, il quale otterrà
come unico profitto la proprietà di una percentuale degli alloggi.
Il costo di costruzione è stimato pari a 1.150 €/mq sulla base di quanto desunto a seguito del
concorso internazionale di progettazione di edifici per edilizia sociale “Social Housing Awards
2010”.
2a Iniziativa pubblica - Cessione immobili
I comuni individuano tra gli edifici pubblici in proprio possesso uno o più stabili da recuperare,
anche in precarie condizioni statiche. Tra i criteri di selezione degli immobili vi sono anche la
distanza dalle aree industriali, la connessione con il sistema infrastrutturale dei trasporti pubblici ed
i progetti di sviluppo in corso di attuazione.
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Il comune mette a bando pubblico, con o senza asta, il diritto uso o di proprietà di uno o più
immobili, da destinare alla realizzazione di alloggi per giovani in precarie condizioni economiche e
di lavoro. L’aggiudicatario del bando si impegna formalmente ad adempiere agli impegni assunti,
nei tempi e con le modalità esplicitate nella convenzione urbanistica. Entro sessanta giorni dalla
stipula della convenzione urbanistica il Comune stabilisce, in accordo con la Regione, i criteri di
selezione degli inquilini e pubblica il bando. La graduatoria dei soggetti beneficiari deve essere
conclusa entro sessanta giorni dalla data di fine lavori.
Non viene elaborata una simulazione della fattibilità economica del progetto poiché l’intervento
su edifici esistenti non è parametrizzabile ma necessità un approfondimento specifico, in funzione
delle caratteristiche dell’edificio oggetto di intervento.
3a Iniziativa privata - Convenzione urbanistica
I comuni redigono avvisi per la raccolta di manifestazioni d’interesse per interventi volti alla
realizzazione di alloggi da affittare a canone calmierato. Sono ammesse la nuova costruzione in aree
di espansione inedificate e/o la riqualificazione di edifici anche dismessi ed in precario stato di
conservazione.
Aziende private ed enti, rispondendo all’avviso, propongono ai Comuni di stipulare convenzioni
urbanistiche per la realizzazione di alloggi di edilizia convenzionata in cohousing. In sede di
convenzione i proponenti possono ottenere l’esonero dalla corresponsione del contributo di
costruzione, la riduzione degli oneri di urbanizzazione primaria e lo scomputo del costo di
realizzazione dei servizi comuni dagli oneri di urbanizzazione secondaria.
Le tre direttrici di attuazione presentano i seguenti fattori di innovazione nel campo delle
politiche di edilizia sociale: a) gli introiti derivanti dall’affitto degli appartamenti, a canone
calmierato, saranno a favore del partner privato per tutta la durata della convenzione; b) la
manutenzione ordinaria e straordinaria di tutta la struttura e dei servizi sarà a carico del proponente
per un periodo compreso tra 20 e 30 anni, al termine dei quali la convenzione può essere rinegoziata
e prolungata; c) oltre agli alloggi viene prevista anche la realizzazione di servizi per la comunità di
residenti e/o aperti al quartiere, la cui quantità e tipologia influenza l’attribuzione del punteggio per
la graduatoria.
Inoltre, al termine del periodo di convenzione il partner privato può rinnovare la convenzione
ridiscutendone le condizioni con gli enti competenti o concluderla definitivamente con la cessione
della proprietà di una parte degli alloggi al Comune. Nel caso di convenzione per solo affitto agli
inquilini e successiva cessione parziale degli alloggi alla municipalità, la percentuale ceduta varia a
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seconda dello scenario cui appartiene la proposta e dei termini dell’accordo di convenzione. A titolo
indicativo le percentuali di vengono stimate come di seguito:
a. dal 70% al 100% nel caso di nuova costruzione su terreno ceduto da amministrazioni
pubbliche.
b. dal 50% all’80% nel caso di intervento su edifici ceduti da amministrazioni pubbliche.
c. dal 30 % al 70 % nel caso di proposta di convenzione urbanistica da parte di realtà private.
Qualora, poi, la convenzione pubblico/privato preveda la cessione di una parte degli alloggi alla
municipalità, il proponente dovrà provvedere preventivamente al riammodernamento della porzione
di fabbricato da cedere e di tutti gli ambienti di uso collettivo. I locali dovranno essere resi in
perfetto stato di conservazione e con tutti gli impianti realizzati secondo le normative vigenti al
momento della cessione. Qualora il partner non dovesse tener fede ai sui obblighi, la municipalità
verrà risarcita con l’attribuzione della proprietà degli alloggi in possesso del partner per un importo
pari ad una volta e mezzo quello necessario ai lavori di ristrutturazione non eseguiti.
Osservazioni conclusive
È ormai opinione condivisa che il welfare locale non possa basarsi esclusivamente sulla forza del
pubblico, le cui risorse economiche sono sempre più scarse. Occorre orientare l’azione delle
politiche, specie nel campo abitativo, verso soluzioni innovative capaci di attrarre capitali da
orientare verso iniziative di rilevanza sociale e generatrici di valore aggiunto in termini di capitale
sociale e di potenzialità inespresse.
In questo paper è stato presentato un modello di partnership pubblico-privato in cui si coniuga
l’azione di tre soggetti: il pubblico, il privato non profit e il privato profit. Le motivazioni che
possono spingere un’impresa profit o un ente pubblico a rendersi partner di una iniziativa di
cohousing sono molteplici e riguardano sia fattori economici sia comunicativi.
Dal punto di vista dei vantaggi economici e finanziari, investire in cohousing non significa
soltanto offrire ai propri lavoratori fringe benefit, benefici supplementari, ad un costo minore di
quello che si sarebbe sostenuto affidandosi a strutture esterne ed indipendenti, ma anche sostenere
chi si trova in condizioni di lavoro più instabili. Fornire servizi a supporto dei propri dipendenti
mette in moto anche un insieme di operazioni di bilancio che permettono all’azienda di ottenere
vantaggi fiscali. Inoltre, l’apertura degli spazi comuni al territorio a tariffe agevolate, può
comportare per il privato, che ha investito, un ritorno economico non speculativo immediato che
accresce il valore dell’investimento fatto. Dal punto di vista dell’immagine, l’impresa profit
accresce la sua credibilità, guadagnando in termini sia di immagine nei confronti della clientela e
della comunità, sia di motivazione del personale (M. Grumo, 2010).
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Per i giovani lavoratori atipici ottenere un immobile in un social cohousing ad affitto agevolato
costituisce per i giovanissimi una preziosa occasione per avviare un processo di autonomia e
indipendenza dalla famiglia di origine; per i giovani (30-35 anni) un’opportunità per avviare
progetti familiari. Abitare in cohousing, migliora la qualità della vita dei residenti e contribuisce a
rafforzare lo “spirito di gruppo”, aumentando la produttività dei dipendenti. I rapporti sociali che si
innescano in un edificio di cohousing aiutano a prevenire quei fenomeni di disagio che in alcuni
casi possono complicare la gestione dei condomini tradizionali (C. Durrett, 2011 ).
La municipalità con questo tipo di bandi ha l’occasione di sopperire alle necessità delle fasce di
popolazione più deboli, ma dalle enormi potenzialità inespresse, che altrimenti non avrebbe le
risorse necessarie per supportare. Dato il particolare momento economico il social cohousing si
configura come un’opportunità da non perdere per realizzare residenze sociali a costo zero ma con
ragguardevole potenziale in termini di investimento. Una parte degli immobili realizzati in
convenzione, al suo termine, diventeranno di proprietà della municipalità, che potrà disporne per
rispondere ai nuovi bisogni emergenti.
I cohousing all’interno del tessuto urbano rappresentano dei preziosi punti di congiunzione tra il
quartiere ed i residenti, in questo caso tra il quartiere e l’azienda partner. Avviare processi di
interrelazione tra chi il quartiere lo abita e chi, invece, lo vive permette di aumentare il senso di
autocoscienza degli spazi ed induce un maggior rispetto della cosa pubblica, poiché percepita in
parte anche come propria.
In Die Stadt Max Weber definiva la città come “il luogo della cittadinanza e della libertà”, in cui
si coniugavano socialità, lavoro e libertà. In qualche misura il modello di social cohousing qui
proposto potrebbe costituire una preziosa risorsa nel processo di costruzione di una cittadinanza
attiva e partecipata: uno spazio di vita in cui coniugare la socialità di un agire cooperativo; la
produttività di un lavoro che diventa “amico”; la libertà assicurata da istituzioni che si fanno garanti
della realizzazione di alcuni diritti fondamentali. Tra cui quello all’”abitare”.
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