Storia

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Storia
How soon is Now?
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Capitolo 1 di Ormhaxan
Tic. Tac. Tic.
La pioggia continua a cadere da un manto di nubi grigio e rosa, si schianta suicida
sui vetri della finestra del mio appartamento, un trilocale situato in un condominio
residenziale modesto, popolato per lo più dalla media borghesia di Londra.
La pioggia mi ha sempre resa malinconica, il suo suono ha il potere di fare brutti
scherzi alla mia mente che, ipnotizzata dal suo ritmo regolare, tende a perdersi tra
i meandri nebulosi dei miei ricordi; sono questi i momenti in cui riaffiorano
immagini da tempo rinchiuse in bauli ossidati dallo scorrere degli anni, sigillati con
lucchetti arrugginiti da una patina verdastra, in un vano tentativo di cancellarli per
sempre dalla mia vita.
Pioggia estiva inglese.
I ricordi sono tutto ciò che mi è rimasto, unico mezzo che ho per non dimenticare
per sempre le risate, i sorrisi, i volti di chi si è perso per strada; sono sentimenti
dolci e amari allo stesso tempo, di quelli che puntualmente ti ritrovi a sorridere
malinconicamente, a maledire il destino da cui, come soleva ripetermi mia nonna
quando ero una mocciosa, dipende ogni cosa.
Ed e il suo sogno di diventare un professore stimato, Leslie e i suoi capelli rosso
fuoco, la sua voglia di conquistare quei quindici minuti di notorietà promessi; il
rullante di una batteria, le note di una chitarra elettrica e la voce soave e allo
stesso tempo graffiante di una ragazza. E poi lui…
Se chiudo gli occhi posso ancora vederli, i loro volti illuminati da brandelli di luce, i
loro sorrisi spensierati, i loro occhi sempre attanti, la loro perenne fame; posso
sentire la musica sparata a tutto volume, che rischia di spaccarmi i timpani, una
canzone degli Smiths mandata ancora e ancora, la voce di Morrissey sbiascicata
che si diffonde tra gli ambienti, nel profondo delle nostre anime marce e incazzate.
Loro contro il mondo, noi tutti contro il mondo, figli ed eredi di niente in particolare,
come cantavano gli Smiths in una delle loro più famose canzoni. Noi instancabili
guerrieri sempre pronti a lottare per la promessa di un domani migliore.
Domani. Ma quanto sarà adesso?
Un fruscio quasi impercettibile di lenzuola mi fa trasalire e il mio istinto sempre
all’erta fa precipitare il mio smagrito e ancora provato corpo alla culla di vimini,
uno dei pochi regali che qualcuno ha avuto la decenza di fare.
Sorrido, dandomi della sciocca quando la trovo addormentata, immersa in un
sonno profondo, tranquillo: non mi sono ancora abituata a quella nuova situazione,
alla mia nuova esistenza, eppure quello che inizialmente mi è parso un errore
adesso mi sembra – no, non sembra, ma è senza alcun dubbio — la cosa migliore
che abbia mai fatto.
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Ho fatto tante cazzate nella mia vita, mi ritrovo a pensare mentre osservo mia
figlia, di appena una settimana, dormire nella sua culla, ma avere lei è stata la
cosa migliore che potesse mai accadermi.
Se potessi vedermi ora, saresti felice per me. Forse, nel luogo in cui sei adesso lo
sei ugualmente, perché finalmente sai che tutto il dolore provato è nel passato e il
presente è sereno. Perché sai che il domani migliore che abbiamo sempre voluto è
finalmente qui.
La porta dall’altra parte della stanza si apre, permettendo ad un fascio di luce
giallastra di fendere la semioscurità della stanza, rischiarirla. La figura che
accompagna quello spiraglio di luce è aitante, si impone immediatamente tra
quelle quattro pareti anche grazie alla sua lunga ombra proiettata sulla moquette
scura, portando allo stesso tempo il freddo di quella insolita giornata di inizio
estate e il calore della sua presenza.
«Sei tornato. – sussurro per non svegliare la bambina — Perché ci hai messo
tanto?»
«Perdonami, — risponde lui, prima di circondarmi la vita con un braccio e posare
un affettuoso bacio sulla mia fronte — sono stato trattenuto.»
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Capitolo 2 di Ormhaxan
Londra, 1985
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Alza il bavero del pesante cappotto scuro e aumenta il passo. Lip alza lo sguardo al
cielo, osserva le nuvole scure e compatte che si distendono a perdita d’occhio
come un mare di fuliggine, constatando suo malgrado che quella non è la classica
pioggia inglese, ma un temporale con i fiocchi.
— A Londra da meno di un giorno e già un bel temporale di fine autunno. Spero
solo di non prendermi un raffreddore, perché Ned non mi farà da balia. —
Ha comunicato il suo arrivo a Londra cinque giorni prima con una chiamata
internazionale dalla Germania, dove si trovava da oramai tre mesi, che era costata
un occhio della testa sia a lui, ospite di amici che aveva dovuto rimborsare fino
all’ultimo centesimo per quella notevole spesa, che a suo fratello.
Edward è stato sorpreso di sentirlo: Lip non è mai stato un tipo da telefonate, da
sempre preferisce a queste lunghe e dettagliate lettere spedite nei momenti e dai
posti più assurdi, ma quando il minore ha annunciato il suo ritorno in patria, stanco
di girovagare il mondo come un gitano insieme alla loro madre, indipendente
fotografa con due divorzi alle spalle e uno spirito libero, Ned non si è tirato indietro
e ha accettato subito di prenderlo in casa e dividere, momentaneamente, lo stesso
tetto.
Edward è sempre stato come loro padre, ligio al dovere e fedele fino alla morte alla
famiglia, ai principi che fanno di una persona un vero uomo, un padre di famiglia.
Loro padre non ha mai accettato il divorzio, la scelta della moglie di voler essere
libera da quella prigione dorata che, senza cattiveria, lui le aveva costruito attorno;
ancor meno ha accettato o compreso la scelta di Lip, allora dodicenne, di andare
con la madre in giro per il mondo, anche lui impaziente come lei di lasciare la
caotica Londra e immergersi a capofitto nel fluire del mondo, dei suoi colori e dei
suoi suoni, delle sue civiltà e dei suoi curiosi linguaggi.
Solo Ned era rimasto a Londra, quattordicenne dalla mente sveglia e pupillo di suo
padre, che per lui sognava una carriera accademica in una delle università più
prestigiose del paese – Oxford o Cambridge — il riconoscimento di una mente
arguta e brillante.
Ha fatto strada, Edward, si è laureato con lode in Letteratura e, meno di un anno
dopo, si ritrova a condividere la cattedra di Storia Medioevale alla UCL; molti,
nell’ambiente, sostengono che tale carica sia stata ottenuta grazie all’influenza di
suo padre, papabile futuro rettore della Royal College of Art, ma Lip è certo che
quella posizione Edward se la sia meritata. Suo fratello è un genio, lo è sempre
stato; ha una mente brillante, attenta, una fame di conoscenza che lo ha portato a
laurearsi prima di tutti gli altri del suo corso.
Merita il meglio, Edward, perché è lui il migliore dei due. Lo è sempre stato e
sempre lo sarà.
Un ragazzo coperto da capo a piedi saetta alla velocità della luce su di una
bicicletta sgangherata, in spalle una custodia di quello che, in un primo istante,
pare un basso o una chitarra. Va veloce come il vento che in quel momento sferza
il viso di Lip eppure non abbastanza per impedire alla mente del ragazzo di
ripensare, dopo tanti mesi, a una sua vecchia conoscenza londinese.
Sono passati quasi due anni dall’ultima volta che ha visto o sentito Leslie, quella
folle bassista dal colore di capelli sempre diversi con cui, spesso, si è ritrovato a
suonare sia per noia che per passione; la musica è sempre stata una costante della
vita di Lip, nella sua mente l’immagine di una chitarra strimpellata viene ancor
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prima di un libro, del saper leggere o scrivere, e in cuor suo ha sempre sognato di
poter vivere di quello.
Non che diventare una rock star gli interessi; Lip non vuole diventare il prossimo
Keith Richards o il futuro Jimmy Page, semplicemente vuole vivere facendo ciò che
più lo fa sentire vito, senza rimpianti.
Si domanda, a pochi isolati dalla casa di suo fratello, se Leslie suoni ancora, se è
interessata a un chitarrista, a fare le cose sul serio; gli piacerebbe suonare con lei,
con quella ragazza mezza pazza che non ha paura di nulla, che suona il basso con
tutta l’energia che ha in corpo. Insieme sarebbero una forza e con un buon
batterista e un cantante abbastanza carismatico…
Meglio non costruirsi castelli in aria: non sa ancora come rintracciarla, in effetti non
sa niente di niente; la sua mente, come al solito, è stata precipitosa e si è fatta
prendere dall’entusiasmo delle fantasticherie da sempre definite da suo padre
come sciocche.
La verità, la triste e crudele verità, è che non ha un lavoro, in tasca ha circa
cinquanta sterline, tutto ciò che gli è rimasto dopo settimane di bagordi e nessuna
idea su cosa fare della sua misera e disastrata vita.
Dopo tutto, non a caso lui è sempre stato il fratello problematico, quello che ha
lasciato gli studi dopo il diploma, che non ha mai saputo fare altro se non suonare
la chitarra.
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Edward accoglie il fratello minore sulla soglia della porta del suo appartamento
piuttosto spazioso. Non vede Lip da un anno, non ha idea di cosa abbia combinato
in Germania in tutto quel tempo, tantomeno cosa o chi lo abbiano convinto a
tornare a Londra.
Lui ha sempre odiato Londra, il suo trambusto, la gente troppo grigia e troppo
concentrata sulla sua vita per accorgersi di guardarsi intorno; non ha mai
sopportato il loro padre, spesso si è scontrato anche con lui, eppure adesso è
tornato ed Edward non ha idea di quanto tempo rimarrà là o cosa farà.
Sinceramente, non ha neanche avvisato suo padre del ritorno del figlio minore,
troppo preoccupato di una sua reazione spropositata, della reazione di Lip. Suo
fratello non accetterebbe mai l’aiuto del vecchio, di questo ne è convinto, così
come il vecchio non riuscirebbe a prodigarsi per mettere qualche buona parola qua
e là, immischiarsi nella già incasinata vita di suo figlio.
— Lip non è come me, non lo è mai stato. Lui è uno spirito libero, un giovane uomo
a cui le regole non sono mai piaciute. Lip è come nostra madre. —
Quando i loro occhi si incontrano, Edward nota subito l’espressione infreddolita sul
suo volto, il naso simile al suo completamente arrossato dal freddo e pensa che
mettere dell’acqua per il thè sul fuoco sia stata una grande idea. Non ha idea di
quanti chilometri si sia fatto a piedi, di quanto le sue mani e i suoi piedi siano
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freddi; il vento di Londra è ancor più freddo di quello tedesco, totalmente diverso
da quello dell’Africa o dell’Oriente. Lip dovrà farci l’abitudine e presto.
«Ciao, fretellino! – esclama con un sorriso sornione e le braccia incrociate —
Pensavo ti fossi perso tra le strade della City.»
«Quei dannati taxi neri sono più lenti di quanto ricordassi. Sono certo che l’indiano,
o qualsiasi fosse la sua nazionalità, abbia allungato il percorso di proposito. –
risponde, sfregandosi le mani guantate – L’ho costretto a fermarsi a metà strada e
ho fatto a piedi l’altra restante. Per rimanere in forma, sai…»
Edward scuote la testa: «Ora capisco perché sei magro come un chiodo. – lo
squadra da capo a piedi — Ti trovo bene.»
«Tu, invece, sei sempre il solito impettito. Un fottuto cockney della classe
abbiente.»
Si scambiano uno sguardo complice e, scostandosi, Edward fa accomodare Lip in
casa. Entrambi, una piccolissima parte di entrambi, vorrebbe abbracciare l’altro;
entrambi, però, non sono inclini agli slanci di affetto e alle smancerie. Su questo,
sono uguali al padre.
Lip si guarda intorno mentre appoggia sfila lo zaino e poggia la custodia rigida in
cui è conservata la sua chitarra, una Gibson Les Paul gialla e arancione del ’75 che
sua madre gli ha comprato per i suoi diciotto anni.
È la sua piccola bambina, il suo tesoro più prezioso e Lip la custodisce da sempre
come un amante geloso della propria donna. A nessuno è permesso suonarla,
anche solo sfiorare le sue corde, i tasti in madreperla; solo Ned l’ha suonata una
volta, durante le feste di Natale passate insieme a Londra cinque anni prima,
strimpellata per pochi secondi in un modo talmente orrendo che a Lip è venuta la
pelle d’oca e una gran voglia di maledire il fratello.
«Non c’è che dire: un’ottima casa. Mi domando quanto nostro padre l’abbia
pagata.»
Ned aggrottò la fronte, per nulla contento di quella frase: «Nostro padre ha pagato
solo la metà e solo perché ha insistito. Io, invece, sto pagando il resto con il mio
stipendio di assistente universitario. – disse piccato, guardando torvo Lip — E, se
proprio vuoi saperlo, non credo sia giusto che il vecchio venga tenuto all’oscuro di
tutto. Sei sempre suo figlio.»
«Sarà, ma sei sempre stato tu il suo preferito. E questo anche prima del divorzio.
— Lip si lasciò cadere a peso morto sul divano in pelle del salotto dalle pareti beige
— Inoltre, non si è mai interessato troppo alla mia vita, ai miei interessi, degli
interessi che lui ha sempre osteggiato e ritenuto bizzarri. Proprio come quelli di
mamma.»
«Questo non toglie che ti vuole bene. – incalzò nuovamente Ned — Inoltre, come
giustamente hai fatto presente, questa è anche casa sua e io non ho intenzione di
ospitarti alle sue spalle. Se dovesse chiedermelo, io non mentirò per te.»
Lip ghignò: «Da te non mi sarei mai aspettato niente di meno. – intrecciò le braccia
dietro la nuca — Nonostante questo, per quanto sia assurdo, sono contento di
essere qui e di poter avere finalmente una sana relazione tra fratelli.»
«Questo significa che resterai qui per molto?»
«Perché, vuoi già sbarazzarti di me, fratellone?»
Edward si grattò la nuca: «Che stronzate vai dicendo? Certo che no. Sei mio
fratello, questa sarà anche casa tua se lo vorrai, ma vorrei anche sapere cosa ti
frulla per la testa.»
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«Sinceramente? — chiese retoricamente — Non ho ancora un piano, ma di una
cosa sono certo: fare il gitano mi ha stancato, così come stare dietro i casini di
nostra madre, a ritmo della sua scapestrata vita, sempre a cambiare un uomo
dopo un altro. Un divorzio dopo l’altro. Ho voglia di stabilità e dove cercarla se non
qui, da mio fratello?»
«In questo caso è meglio che tu inizi a pensare a trovare un lavoro serio, perché
non ho intenzione di provvedere al tuo flaccido culo piatto per i prossimi mesi.»
«Sì, Professore!»
«Fanculo, stronzetto!»
«Crepa, idiota!»
Edward rise: «Mi sei mancato, Lip.»
«Anche tu mi sei mancato, Ned.»
**
In piedi con una tazza fumante tra le mani, Lip osserva curioso l’ampia libreria
stracolma di libri perfettamente impilati negli scaffali. Ne legge i titoli, alcuni noti e
altri mai sentiti nominare, quando il suo sguardo cade sulle fotografie incorniciate
in portafoto di metallo sullo scaffale centrale: una raffigura Ned e sua madre il
giorno della sua laurea, avvenuta qualche anno prima, l’ultima volta in cui si sono
rivisti tutti e quattro insieme; un’altra raffigurava loro due da piccoli, mentre
giocano in spiaggia. Lip ricorda perfettamente quell’estate: aveva sei anni e Ned
ne aveva otto; insieme ai loro genitori, erano partiti per due settimane per un
viaggio in Italia, nella calda Roma. Là, tra un barboso museo e un altro, avevano
ritagliato un’intera giornata in spiaggia, in una città vicina alla capitale, dove
avevano preso una cabina e un ombrellone. Di quel giorno ricorda il caldo, il
vociare degli italiani, sempre così rumorosi ma simpatici, le onde del mare, i
castelli di sabbia costruiti con fatica insieme a suo fratello e i sorrisi dei loro
genitori, all’epoca ancora felici e innamorati.
Sorride malinconicamente, passando alla foto successiva racchiusa in una cornice
laccata di bianco che raffigurava suo fratello con due amici, un ragazzo con una
zazzera di capelli neri e una ragazza con lunghi capelli biondi e il viso ovale.
La ragazza è di una bellezza particolare, indossa un chiodo di pelle e dei jeans
scuri; ha delle scarpe da ginnastica, una pesante sciarpa che le nasconde parte del
mento e sorride spensierata. Si domanda se suo fratello li frequenti ancora, se la
frequenti ancora, perché qualcosa dentro di sé gli dice che quella tipa è
particolare, qualcuno che vale la pena conoscere, avere come amica. O
semplicemente portare a letto.
«Chi sono? – chiede, continuando a fissare la foto – La ragazza è carina: te la sei
scopata?»
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«Lip! – Ned lo riprende, sentendosi immediatamente bacchettone. Dopo tutto
quello è suo fratello, pensa, e con lui può anche smettere di essere così ingessato
— Cazzo, ma non sai pensare ad altro? E comunque no, non mi sono scopato
Andrea.»
«È così che si chiama? Andrea?»
Ned annuisce: «Ci siamo conosciuti durante il liceo. Io facevo il quinto e lei il terzo;
eravamo nello stesso club di letteratura e siamo diventati quasi subito amici.
L’altro ragazzo è Justin, un nostro comune amico che adesso vive in America.»
«Anche lei si è trasferita in America?»
«No, curiosone, lei è ancora a Londra. Frequenta l’università e lavora in un pub
come cameriera. Nonostante la borsa di studio e il lavoro in banca di suo padre è
sempre stata una ragazza indipendente.»
«Indipendente, proprio come me. – Lip fece schioccare la lingua sul palato – Chissà,
magari siamo spiriti affini.»
«Giù le mani, fratellino. – Ned tenta di simulare un tono scherzoso, ma dalla sua
frase trapela fastidio, quasi gelosia – È una brava ragazza, una ragazza seria. Non
fa per te.»
«Tranquillo, fratellone, tranquillo. – Lip scuote la testa e ride — Ti stavo solo
prendendo in giro e poi neanche la conosco. Probabilmente non la conoscerò mai,
visto che da quando sembra non la vedi o senti da un bel pezzo, quindi rilassati.»
«Piuttosto, – continua subito dopo — cosa mi hai preparato per cena? Muoio di
fame.»
«Mi hai preso per una fottuta massaia? Se hai fame vai in cucina, sfoglia l’agenda
con i ristoranti d’asporto e ordina qualcosa. Una pizza, magari, o del cinese. - si
inumidisce le labbra secche – Sai, ora che mi ci fai pensare ho proprio voglia di un
riso alla cantonese.»
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Capitolo 3 di Ormhaxan
Continua a guardarsi nello specchio, capo leggermente inclinato e braccia
conserte, e sbuffa. Tornare al suo colore naturale probabilmente non è stata una
buona idea: si è tinta i capelli per la prima volta a quindici anni, di un rosso
elettrico, poi di verde e di blue, seguendo la scia punk che si era diffusa anni prima
in tutta l’Inghilterra, e ora che è ritornata al biondo, a quei capelli che ha sempre
odiato perché uguali a quelli di suo padre, quel porco che ha lasciato sua madre e i
suoi due figli per una ragazzina cinque anni prima, stenta a riconoscersi.
Non è stata una scelta facile quella, più che sua è stata di sua sorella, prossima al
matrimonio, che l’ha scelta come sua testimone e quindi imposto un aspetto
decoroso, normale. Leslie ha sempre odiato la normalità.
«Lex!» una voce che conosce da cinque anni la fa sobbalzare appena.
Jeff fa il suo ingresso nel garage di Brixton, a Sud di Londra, infreddolito e con i
capelli completamente zuppi per la pioggia che, da tre giorni, non smette di
cadere. La sguarda con stupore misto a perplessità, stentando quasi a riconoscerla
con quei capelli biondi che le danno un aspetto totalmente diverso, le conferiscono
– ma questo non glielo confesserà mai – una bellezza diversa dal solito, meno
aggressiva e più delicata, sensuale.
«Che cazzo hai combinato? – le chiede, quando vorrebbe solo dirle che sta bene,
che la trova bellissima e che la sua vista basta per fargli battere forte il cuore –
Cosa sono quei capelli biondi degni di una Barbie?»
«Lo so, lo so, sembro una fottuta posh, una di quelle che girano a Soho con le loro
borsette firmate e le loro scarpe da centinaia di sterline, fottendosene dello stato in
cui versano i lavoratori in tutto il paese. — risponde piccata, facendo uscire il suo
lato da attivista, da ragazza cresciuta in una famiglia modesta, di pescatori — Mia
sorella ha insistito: è il suo giorno, cazzo, il suo perfetto giorno e vuole che tutto sia
perfetto, compresa la sua testimone di nozze.»
Jeff si avvicina, prende una ciocca di capelli tra le dita e se la rigira con calma;
Leslie alza lo sguardo, fingendosi offesa per le parole del suo ragazzo, per quel
modo di fare che, lo sa, è solo un modo tutto loro per scherzare, per evitare di dirsi
robe sdolcinate e romantiche.
«Da vicino non sono male, - le dice con un ghigno sulle labbra sottili – potrei anche
abituarmici e, con il passare dei giorni, potrebbero addirittura iniziare a piacermi
sul serio.»
«È un modo carino per dire che mi donano?» chiede, afferrando delicatamente il
maglione umido, attirandolo verso di lei per baciarlo.
Sono ufficialmente una coppia da un anno, anche se la loro storia va avanti da un
anno e mezzo tra alti e bassi iniziali: all’inizio è stata una cosa prettamente fisica,
un’attrazione irresistibile che esplodeva ogni qual volta rimanevano soli in una
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stanza, spesso alticci o inebriati dal troppo fumo di una canna condivisa; all’inizio
nessuno dei due ha voluto dare un nome a quel rapporto, definendolo passeggero,
un’amicizia con dei benefici, del sesso occasionale. Poi, però, sono arrivate la
gelosia e la mancanza, un senso di vuoto quando l’altro non c’era, di pura rabbia
quando qualcuno cercava di flirtare spudoratamente in un locale gremito di gente,
in un pub, alla fine di un concerto suonato per cinquanta persone più ubriache che
sobrie.
Inaspettatamente e contro tutte previsioni era stata lei, Leslie, la ragazza
indipendente, distaccata e allergica alle relazioni a fare il primo passo, a urlare la
sua frustrazione quando, dopo l’ennesima gatta morta senza vergogna schiacciata
con il suo corpo tutto curve e plastica contro quello del suo chitarrista, del suo
amico, del suo uomo, si era ritrovata faccia a faccia con Jeff in uno stanzino che
odorava di muffa e chiuso.
«Lo sai…» lascia la frase in sospeso, il suo è un modo per farle chiedere ciò che lei
non vuole, un gioco privato che spesso fanno quando l’altro non ha il coraggio di
dire qualcosa per paura di essere giudicato debole o stupido.
«No, invece! — esclama piccata — Dimmelo, Jeff, dimmelo: mi trovi bella?»
Jeff sorride trionfante e compiaciuto: «Bellissima.»
Le labbra di lui sono immediatamente sulle sue, morbide e affamate; la lingua di
Jeff gioca con la sua, l’assapora lentamente, senza fretta, mentre le sue braccia la
stringono.
Sono stati giorni difficili quelli appena passati, il loro comune sogno sembra sempre
più lontano, eppure il loro legame è sempre più forte.
Leslie percepisce quasi subito la voglia che Jeff ha di lei, la sente pulsare e premere
contro la sua coscia e anche lei si scopre desiderosa di averlo al più presto.
«Non lasciarmi mai, Jeff. — sussurra mentre lui lascia una scia umida di baci sulla
sua gola, fa scivolare una mano sotto il suo maglione rosso e accarezza un suo
piccolo seno sopra la stoffa del reggiseno nero foderato con del leggero pizzo —
Non so cosa farei senza di te.»
Jeff la bacia ancora, questa volta percependo tutta la sua frustrazione, e vorrebbe
poter fare qualcosa per lei: due settimane prima la loro cantante è andata via,
urlando e sbraitando, dopo l’ennesima lite con Lex e anche il loro chitarrista, la loro
chitarra solista, l’ha seguita, stufo di quello stallo in cui da tempo la band è caduta,
deciso a mollare la musica e dedicarsi a qualcosa di più concreto, agli studi che
con buona probabilità lo trasformeranno nell’ennesimo inglese barboso e impettito
pieno di soldi.
La prende con forza, nel modo in cui lei vuole essere presa, sul mobile sgangherato
poco distante da loro; affonda in lei velocemente, facendola urlare di piacere tra un
bacio e l’altro, sentendola sempre più vicina all’apice; si inebria del profumo della
sua pelle, dei loro capelli che sanno di pioggia e lavanda e le permette di graffiarli
la schiena pallida.
Il piacere arriva per entrambi, violento e inarrestabile, lascia entrambi appagati ma
senza fiato.
Ci sono tante cose di cui parlare, problemi da affrontare, ma in quel momento
nessuno dei due vuole pensarci: in quel momento ci sono solo loro due, ansimanti
e appagati, complici nella vita tanto quanto su di un palco; in quel momento, tutto
il resto non esiste, tutto il resto può aspettare.
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«Ieri sera e stamattina ho tappezzato di volantini tutta la zona di Camden e spero
che questa volta qualcuno di davvero motivato ci chiami.»
Sono ancora stesi sul divano mezzo sfondato, abbracciati l’uno all’altra mezzi nudi,
con una sola coperta di pesante lana a coprirli, quando Jeff si decide a parlare.
«L’ultimo è stato un tale disastro… - ricorda Leslie, che ancora ha i brividi al
pensiero del ragazzino di sedici anni che, più che suonare una chitarra, sembrava
colpirla ad ogni battuta – forse Roger ha ragione, forse dovremmo smetterla di
inseguire un sogno irraggiungibile e iniziare a fare qualcosa di concreto per il
nostro futuro.»
«Roger è un coglione e tu non devi permettere alle sue parole di minare le tue
insicurezze: sono sicuro che, al momento giusto e più inaspettato, qualcuno
busserà alla nostra porta.»
«Come fai ad essere sempre così fottutamente positivo?»
«Qualcuno dovrà pur esserlo. – rispose pacato, scrollando le spalle e baciandola
sulla guancia – Magari, proprio in questo momento, qualche giovane ragazza sta
passeggiando per le vie di Camden o limitrofe, ancora ignara di ciò che le accadrà,
di come un semplice annuncio attaccato su di un palo della luce le cambierà per
sempre la vita.»
**
È pomeriggio inoltrato e, finalmente, ha smesso di piovere. Zoe cammina tranquilla
per le strade di Camden, godendosi i suoi colori, gli edifici unici, gli odori speziati
provenienti dalle cucine dei ristoranti indiani, il vociare di gente che riempie i
locali, le bancarelle, i mercatini ambulanti. Quella è una delle zone di Londra che
preferisce insieme ai parchi, capace di trasportarti fuori dal mondo, in un Paese
delle Meraviglie popolato da giovani vestiti di pelle e con creste alte svariati
centimetri dai più assurdi colori. Camden è vita, ribellione, è una pinta di birra in
un pub, due chiacchiere con la sua migliore amica di sempre, Andrea.
È sabato e, come tutti i sabati, Andrea ha lavorato all’ora di pranzo ed è proprio da
lei che Zoe sta andando: come tutti i sabati pomeriggio, le due amiche si vedono
per una cioccolata calda in un bar ogni volta diverso, ma sempre conosciuto, due
chiacchiere sulla loro settimana piena di impegni tra università e lavoro. Di tanto in
tanto vanno a fare shopping, si divertono a mischiarsi tra la folla dei mercatini
delle pulci e scovare qualche piccolo tesoro a buon prezzo, una borsa da sempre
desiderata o delle scarpe della giusta misura. Andrea è stata una delle prime
persona che Zoe ha conosciuto quando, a diciotto anni appena compiuti, si è
trasferita dal Galles a Londra, nella speranza di fuggire da una mentalità chiusa e
coronare il suo sogno: diventare una cantante professionista.
Sin da piccolissima sua madre le ha fatto prendere lezioni di canto da un maestro
privato, tale Mr. Davis, svelando così la sua dote naturale e il suo talento; a sette
anni ha iniziato a cantare nel coro della chiesa, quella dannata chiesa per cui è
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stata costretta a cantare fino a sedici anni, fino al momento della ribellione e delle
liti giornalieri con i suoi genitori. A diciotto anni era andata via con pochi soldi in
tasca e tanta determinazione, anche grazie all’aiuto di sua nonna e di sua zia,
uniche che si erano schierate al suo fianco: arrivata a Londra, aveva iniziato a
cantare nei locali senza troppo successo, abbastanza per racimolare qualcosa per
tirare avanti, non abbastanza per arrivare a fine mese.
Proprio durante queste serate ha conosciuto Andrea in un pub: a quei tempi aveva
appena iniziato a fare la cameriera per quattro soldi, per non gravare troppo sui
genitori e, a suo dire, per farsi le ossa e prendersi l’indipendenza.
Subito le due ragazze sono andate d’accordo, istaurato un feeling particolare,
condiviso traguardi importanti e delusioni scottanti. La famiglia di Andrea, quella
splendida, calorosa e unita famiglia, l’ha accolta come una seconda figlia e grazie a
tutti loro si è sentita meno sola, meno strana, meno tutte le cose che i suoi bigotti
genitori per più di un anno le avevano rinfacciato con sdegno.
Come tutte le settimane, prima di passare dal pub Zoe si ferma in un negozio di
musica dove, da parecchio tempo, la gente lascia annunci: ne legge qualcuno con
poco interesse, i soliti scritti da ragazzini di quindici anni che vogliono mettere in
piedi la solita rock band che, probabilmente, non sfonderà mai. Sta per
abbandonare la ricerca, pronta a salutare con garbo il proprietario del negozio, un
tipo sui quaranta sposato e con famiglia a carico che nel pomeriggio insegna
musica ai bambini, quando il suo sguardo cade sull’ultimo volantino, quello che,
come scoprirà più tardi, ha lasciato un ragazzo dai lunghi capelli neri e il viso
squadrato la sera prima. Il volantino recita:
Rock band cerca cantante femminile e chitarrista solista per gruppo con esperienza
triennale nei pub e nei locali di Londra e inglesi. Età non inferiore ai 21, astenersi
perdigiorno. Per info, chiamare numero qui sotto o presentarsi all’indirizzo
riportato.
Cheers,
Jeff, Lex e Mike
Senza pensare oltre, Zoe stacca uno dei tagliandini su cui è scritto numero e
indirizzo di recapito della band: qualcosa, un sesto senso mai provato prima, le
sussurra nella testa che quella è l’occasione che sta aspettando dalla vita, la volta
buona, quella che cambierà per sempre tutto.
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Capitolo 4 di Ormhaxan
Si dondola sulle punte dei piedi e si guarda attorno con aria impaziente. Il suo turno al pub è
finito da quasi venti minuti, di cui dieci trascorsi fuori in attesa, e sta iniziando a chiedersi che
fine abbia fatto la sua amica: Andrea non è mai stata un’amante dell’attesa, la sua natura sempre
puntuale e precisa la porta facilmente a spazientirsi, borbottare come una vecchia donna dal viso
rugoso e nubile – Zoe la chiamerebbe vecchia zitella, lo fa sempre quando la bionda si
spazientisce – che divide l’appartamento con troppi gatti.
Ci dev’essere un ottimo motivo per quel ritardo, pensa, Zoe non è mai stata una tipa che ritarda
più di cinque minuti: normalmente è già fuori, appoggiata al muro del palazzo dalla facciata
rovinata o sul cofano di una macchina qualsiasi parcheggiata, quando stacca dal lavoro.
Sì, sicuramente ci sarà una spiegazione a tutto, non può essere altrimenti.
«Ancora in attesa? – la voce bassa e profonda di John, il suo collega e nipote del titolare del pub,
la coglie di sorpresa – Per caso è successo qualcosa? Solitamente è Zoe ad aspettare te, non il
contrario.»
John ha ventisei anni, tre più di lei, che ne compirà ventitré tra qualche settimana; è un ragazzo
gioviale, sempre allegro, alto quasi due metri e con delle spalle larghe come due ante di un
armadio. Andrea si è trovata subito bene con lui, ha instaurato un’ottima amicizia sebbene lui,
qualche mese dopo la sua assunzione al pub, ha cercato in tutti i modi di portarla fuori a cena e
trasformare l’amicizia in altro. Ad essere sinceri, Andrea alcune volte pensa che lui abbia ancora
una cotta per lei, ma cerca in tutti i modi di non darci peso e trattarlo come sempre, come un
ottimo amico e una spalla su cui contare durante il lavoro.
«Spero proprio di no. - risponde con calma lei — Forse si è semplicemente fermata al negozio di
musica per qualche annuncio, come fa sempre una volta alla settimana, e si sarà intrattenuta in
una lunga conversazione con il buon Peter. Arriverà presto, vedrai.»
«In caso contrario, puoi sempre uscire con me. Ti porterò dove vuoi, ovunque vorrai sulla mia
sfrecciante moto. – John le fa un occhiolino e Andrea ride – Che ne dici, pupa?»
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«Dico di no, grazie. La tua moto è sempre bellissima, ma credo che resterò qui ad aspettare ancora
un pochino la mia amica.»
«Peccato, non sai cosa ti perdi. – schiocca la lingua sul palato e scrolla le spalle – Ci vediamo
domani sera, Andy.»
«A domani.»
L’osserva allontanarsi con le mani in tasca e le spalle appena ricurve, domandandosi se quella
appena presa sia la scelta giusta: John è un bravo ragazzo, uno dei migliori che abbia mai
conosciuto, ma non è quello giusto. Tra loro non funzionerebbe, finirebbe col farlo soffrire e non
sarebbe giusto per nessuno dei due.
Improvvisamente, le torna alla mente Edward, il suo amico conosciuto durante il suo percorso
scolastico alla Grammar School grazie a un club di letteratura di cui lui, essendo all’ultimo anno,
era presidente.
Anche lui, come John, è stato subito gentile con lei, dimostrando una sensibilità più che unica; sin
da subito, ricorda, Ned l’ha inserita nel gruppo, mettendola a proprio agio, instaurando con lei
un’amicizia fatta di complicità e serate passate a vedere film o commentare le ultime letture.
Anche lui, come John, ha avuto una cotta per lei – in verità, lei ed Edward si sono baciati qualche
volta, dopo la fine di un film romantico visto sul divano in pelle del salotto di lui o dopo aver
bevuto una cioccolata calda mentre fuori nevicava; lui è stato il primo ragazzo che Andrea,
all’epoca non ancora sedicenne, abbia mai baciato e di questo la ragazza non si è mai pentita – ma
anche all’epoca, come oggi, Andrea aveva percepito di non essere pronta, di non voler andare
oltre, impegnarsi in qualcosa per cui avrebbero sofferto tutti.
Si domanda come se la stia passando, se alla fine sia riuscito nel suo intento di vincere la
candidatura per la cattedra di Storia medioevale in università, insegnare come ha sempre
desiderato.
Il loro non è stato un allontanamento voluto, semplicemente è accaduto e basta. L’inizio del suo
lavoro al pub è stata la prima causa del loro allontanamento, così come causa sono stati i
molteplici impegni di lui dopo la laurea; nessuno dei due si è volontariamente allontanato
dall’altra, le loro strade avevano momentaneamente preso strade diverse. O almeno è questo che
le piace pensare…
Eppure, in cuor suo la ragazza spera di rivederlo quanto prima, poter chiacchierare ancora con lui,
magari davanti a una tazza di buon thè o una birra scura.
— Magari per Natale. – pensa – O magari prima, per il mio compleanno. Potrei passare da casa
di suo padre, scrivergli una lettera o qualcosa del genere. Sicuramente, Ned ne sarà felice…
Ricorda con malinconia un Natale di qualche anno prima: aveva diciotto anni all’epoca ed
Edward ne aveva venti. Lei era al primo anno di università, una matricola, mentre lui era già al
suo terzo anno, un universitario navigato.
Ricorda di quando hanno passato quel giorno speciale dell’anno insieme, a casa dei suoi genitori,
con suo fratello Adam e la sua ragazza Linda, mangiando prelibatezze cucinate da sua madre che,
da sempre, è un asso ai fornelli.
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Ricorda di come aveva scoperto, quasi per caso, che il suo amico avrebbe trascorso il Natale da
solo, senza sua madre, impegnata in un servizio fotografico in Madagascar, dove viveva con il suo
secondo marito e il fratello minore di Ned, Philip, o suo padre, bloccato a Tokyo dalla neve dopo
una conferenza importante.
Quella sera, dopo essere andati via, Edward si era sbronzato – non ha mai retto l’alcool, lui –
bevendo della birra comprata in un minimarket poco lontano dall’allora appartamento di Andrea,
un monolocale di dubbio gusto, e si era sfogato per ore con lei, finendo per criticare ogni sua
scelta, ogni aspetto della sua vita.
«Sono sempre stato il pupillo di mio padre, - aveva detto nel delirio dell’alcool – ma mai
abbastanza per mia madre. Lei ha occhi solo per mio fratello, mi ha sempre visto come un
prodotto di mio padre, senza mai capire che ciò che ho fatto l’ho fatto per me. Perché era ciò che
volevo, che desideravo: io non sarò mai come lei, non diventerò mai un uomo che parte
all’avventura senza una meta, senza sapere cosa accadrà tra una settimana o un mese. Io non sono
mio fratello, un gitano senza radici, ma un ragazzo che ama la città in cui è nato e vissuto.»
Andrea non ha mai conosciuto il fratello di Edward, per lei è sempre stato una figura sfocata,
lontana nel tempo e nello spazio. Lo stesso Ned non parlava spesso di lui, ma quella sarebbe
rimasta l’unica volta in cui il ragazzo avrebbe parlato di lui con una sfumatura di astio e gelosia,
con frustrazione e rabbia.
Quella sera è stata anche l’ultima volta in cui lui e Andrea si sono baciati, in cui hanno rischiato
di andare oltre, verso un punto di non ritorno pericoloso; probabilmente, in quella stessa sera
qualcosa tra loro due si è rotto, perché successivamente, con il trascorrere dei mesi e degli anni, i
due amici si sono sentiti sempre meno, visti ancor più di rado.
Ora che ci pensa, quella è la prima volta da molti mesi che ripensa a lui e a quello che è successo,
che sente fortemente la sua mancanza…
«Andy! – la voce squillante di Zoe la desta dai suoi pensieri. La sua amica è appena sbucata da
dietro l’angolo, si avvicina a lei quasi correndo, e dal tono di voce si percepisce affaticamento –
Perdonami, sono in ritardo, ma giuro che c’è una spiegazione più che valida.»
«Lo spero bene! – esclama piccata la bionda, fintamente offesa – Ho passato più di quindici
minuti qui fuori, a gelarmi le chiappe, quindi sarà meglio che questa ragione sia davvero valida.»
«Mi dispiace davvero, credimi. – intreccia le dita in segno di preghiera e abbassa leggermene il
capo – Scusa, scusa e ancora scusa. Per farmi perdonare ti offro una cioccolata calda. Con panna.»
Andrea arriccia le labbra e assume un’aria pensierosa: «Non importa, mi basta che tu mi dica nei
minimi dettagli cosa cavolo è successo.»
Zoe sorride, ringraziando mentalmente la comprensione dell’amica che, in un’altra circostanza e
con qualcun altro, non avrebbe mai lasciato correre: «Sono passata dal negozio di musica di Peter
e, senti questa, ho trovato un annuncio!»
«Un annuncio? – Andra sgrana quasi impercettibilmente gli occhi – Oddio, Zoe, devi raccontarmi
tutto. Tutto, capito?»
Zoe ride: «Allora sarà meglio incamminarci, perché fa davvero freddo e io muoio dalla voglia di
raccontare.»
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**
«E così da lunedì potresti diventare la cantante di una rock band: chi l’avrebbe mai immaginato?»
Sono sedute ad un tavolino di un bar dall’arredamento rustico e sorseggiano una cioccolata calda
quando Andrea pronuncia quelle parole. Zoe, entusiasta come una bambina la mattina di Natale,
come poche volte l’amica l’ha vista, ha appena concluso un lungo monologo in cui ha raccontato
nei minimi dettagli dell’annuncio trovato sulla bacheca del loro negozio di musica e della
telefonata, avvenuta in una cabina dipinta di rosso, che è seguita.
Dall’altra parte della cornetta, inizialmente assonnato, ha risposto un ragazzo che si è presentato
come Jeffrey, chitarrista ritmico della band, il quale si è dimostrato inaspettatamente gentile e alla
mano, impaziente di conoscerla quanto prima.
«Ancora non posso crederci, sai? Da quello che ho capito, sono una band piuttosto esperta, e i tre
componenti sono uniti tra loro, una squadra compatta. In effetti, se non ho capito male Jeffrey e la
bassista, Leslie, sono fidanzati.»
«Spera solo che non siano una coppia che litiga ogni giorno, altrimenti sei fregata. – puntualizza
Andrea, da sempre contraria alle relazioni sul lavoro — Quello che voglio dire, è che spero siano
maturi abbastanza da tenere separati i problemi di coppia dalla musica.»
«Sono sicura che non ci saranno drammi e poi non sarò la sola nuova del gruppo: cercano anche
un chitarrista, probabilmente lo troveranno a breve o l’hanno già trovato. – Zoe sospira sognante
e si lascia scivolare leggermente sulla sedia in legno – Chiamami sciocca, ma ho la sensazione che
questa è la mia grande occasione, la svolta della mia vita.»
«E io te lo auguro con tutto il cuore, solo… - fa una pausa e sospira: odia essere sempre così
maledettamente realista —Rimani con i piedi per terra, okay?»
Zoe rotea gli occhi e scuote la testa: «Sempre positiva tu, vero?»
«Perdonami, non era mia intenzione… - allunga le mani e afferra i polsi dell’amica – Sono
davvero contenta per te, okay? Davvero contenta e ti auguro tutto il meglio. Dopo tutto, se le tue
sensazioni sono giuste, presto sarò la migliore amica di una rock star.»
«Una rock star? – Zoe ride – Rock star: mi piace. Allora brindiamo alle rock star.»
«Con una cioccolata calda?» Andrea si acciglia quando l’amica alza a mezz’aria la tazza ancora
mezza piena.
«Zitta e bevi, stupida!»
Ridono ancora, poi Andrea prende la sua tazza e, prima di farla cozzare con quella di Zoe,
esclama: «Alle rock star. Salute!»
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Capitolo 5 di Ormhaxan
Si lascia cadere, esausto, con le spalle contro lo schienale della sedia divenuta
improvvisamente comoda e sbuffa sollevato quando anche l’ultimo dei ragazzi
abbandona l’aula.
Sono passati già due mesi da quando ha rivestito ufficialmente il ruolo di primo
assistente della cattedra di Storia Medioevale all’università, sobbarcandosi non
solo i doveri che il suo ruolo comporta, ma anche quelli del professore, un
dinosauro nato con molta probabilità quando ancora l’uomo delle caverne non
aveva scoperto il fuoco, che ha onorato i suoi allievi della sua presenza una ed una
sola volta: il giorno dell’inaugurazione dell’anno accademico e della relativa
presentazione del corso.
Ned ha sempre sognato di lavorare in ambito accademico, seguire le orme di suo
padre, associare a questo un attento lavoro di ricerca, scritture di saggi
approfondite e studi che lo avrebbero reso grande, ancor più grande del suo
vecchio, una leggenda tra le università inglesi e del Regno Unito.
A lui non è mai importato delle voci, delle accuse che lo danno come
raccomandato; è abituato alle occhiate colme di disprezzo, è divenuto sordo ai
sussurri pronunciati alle sue spalle che lo accompagnano dall’età di sedici anni, da
quando ha ricevuto la lettera da parte di una delle università più prestigiose di
Londra prima di ogni suo compagno o amico…
Amico: Ned non ha mai avuto tanti amici, quelli che ha considerato tali si possono
contare sulle dita di una mano e anche quelli, con il passare del tempo e a causa di
scelte che li hanno portati a percorrere strade diverse, sono pian piano spariti dalla
sua vita.
Ogni tanto riceve lettere o cartoline da Justin, che da anni vive in America e sta
conducendo un dottorato che, a suo parere, lo porterà lontano; ogni tanto si vede
per un caffè con Bill, che lavora nella facoltosa azienda di suo padre, in una delle
sue filiali da poco aperte nello Yorkshire e che lo tengono lontano da Londra, da
casa; ha perso ogni contatto da quasi due anni con Andrea, la ragazza taciturna
ma bellissima per cui, anni prima, ha preso una forte sbandata, una cotta molto più
simile all’amore che ha portato entrambi ad allontanarsi per il bene comune.
Ned sorride ripensando ad Andrea, ma poi quello stesso sorriso svanisce
ripensando alle parole che suo fratello, Lip, ha pronunciato neanche due settimane
prima: è stato uno sciocco a credere che lei ricambiasse i suoi sentimenti, lei che
non si era mai legata sentimentalmente a nessuno, preferendo relazioni brevi,
poco impegnative e che, lo sa, potrebbe persino essere sensibile al fascino di
quella testa calda del suo fratellino.
Il pensiero ci ciò che potrebbe accadere se mai un giorno dovessero conoscersi gli
dà quasi la nausea: Lip la tratterebbe come ha sempre trattato le donne, con
superficialità e arroganza, con un finto fascino che sarebbe scemato dopo una
notte di sesso; Andrea, come chiunque altro delle sue amiche, sarebbe diventata
l’ennesima tacca su di un immaginario quaderno, un vezzo per farsi vanto davanti
a una birra con degli amici.
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Alcune volte, Edward si domanda come loro due possano essere fratelli, se abbiano
davvero lo stesso DNA, gli stessi genitori: se solo sua madre fosse stata più severa,
se solo gli avesse imposto delle regole, semplici norme da seguire, forse Philip non
sarebbe così scapestrato e inaffidabile sotto ogni punto di vista.
Allenta il nodo della cravatta, chiedendosi cosa stia facendo suo fratello, se a
quest’ora ha già trovato un lavoro o se sta ancora dormento beatamente o
pascendo davanti alla tv, seduto sul suo divano di pelle costato quasi mille sterline.
Dannazione, devo smetterla di fare questi stupidi ragionamenti. – si rimprovara –
Devo smettere di ragionare come mio padre o finirà che, un giorno di questi, mi
trasformerò in una sua copia carbone. E io non sono lui, non voglio essere come
lui!
«Buongiorno, Professore!» esclama emozionata e imbarazzata una studentessa
del secondo anno quando lo incrocia nei corridoi mezz’ora dopo e lui accenna un
sorriso.
La ragazza sembra stravedere per lui, ora che ci pensa un suo collega, professore
di cattedra di Storia Moderna da quasi cinque anni e molto più grande di lui, non fa
altro che ripetergli quanto le ragazzine stravedano per il giovane assistente da
poco laureato, di come pendano dalle sue labbra anche grazie ai suoi occhioni
verdi e al suo sorriso accattivante.
Se ci pensa, Edward non può non ammettere a se stesso che molte di quelle stesse
ragazze sono carine, davvero molto carine e che, in altre circostanze, forse non
avrebbe esitato a postarsene a letto una o due. In altre circostanze, certo, ma non
in quella: lui è un assistente, una figura professionale e certi comportamenti non
sono ammessi.
— Eppure papà non ha mai esitato, dopo il divorzio, a scoparsene una mezza
dozzina! – Ricorda la sua memoria infallibile prima di scacciare prontamente quel
pensiero: quella non è una giustificazione abbastanza valida e poi lui non è suo
padre.
Lui vuole trovare una ragazza giusta, innamorarsi, avere un matrimonio solido e
duraturo e fare un paio di marmocchi a cui trasmettere la sua passione per i libri e
insegnar loro a stare al mondo. Le scopate passeggere può tenersele suo padre,
pensa, oppure Lip.
«Buongiorno, Professore!»
«Buongiorno!» ricambia, stando attento a non far cadere l’occhio sulla scollatura
della sua scollatura della maglietta bianca della morettina, dalla quale si può
vedere un reggiseno di pizzo: quelle ragazzine lo vogliono morto, ne è quasi sicuro
e quello che ha davanti sarà un anno molto difficile per la sua buona volontà, la
sua pazienza e, soprattutto, per i suo ormoni maschili.
**
«Secondo me ti fai troppi problemi! – esclama piccato Lip, mentre nuvolette di
fumo grigiastro escono dalle sue labbra sottili e una sigaretta quasi consumata
viene riportata alla sua bocca — Scegline una a caso, invitala nel tuo ufficio, poi
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mettila a novanta sulla tua scrivania e scopatela. Vedrai, dopo ti sentirai molto
meglio.»
Hanno da poco finito di mangiare del sushi che Ned ha comprato sulla strada di
casa e adesso sono entrambi seduti sul divano del salotto e sorseggiano della
discreta birra cinese mentre raccontano le loro rispettive giornate.
«Così da essere sospeso e sbattuto fuori? O, peggio ancora, denunciato? No,
grazie. – la reazione di Ned è tempestiva, non ammette repliche — Anche se la
nostra età è molto vicina e loro sono maggiorenni, non rischierò di mandare all’aria
tutto a neanche sei mesi dall’inizio di questo importante lavoro.»
«Come se il licenziamento fosse davvero un’opzione. – fa notare il minore con una
sfumatura di ilarità nella voce, continuando a bere la sua birra — Nostro padre è
troppo potente, non lo permetterebbe mai e al massimo saresti ammonito o una
stronzata del genere. Inoltre, avrai reso un favore alla ragazza prescelta,
rendendola meno isterica e più vicina al massimo dei voti nel tuo corso.»
«Le ragazze parlano, parlano troppo e in men che non si dica la cosa potrebbe
arrivare alle orecchie di mezza università, di tutto il campus e chissà che altro,
inoltre non è nel mio stile. Io non sono come te, non riesco a fregarmene.»
«No, certo. – concorda Lip – Tu hai letto troppe stronzate sull’amore cavalleresco e
altre stranezze medioevali simili per poter fare aprire le gambe a una donzella
senza rimorsi; tu sogni l’amor cortese, le lunghe passeggiate sul Tamigi e chissà
quali altre stupidaggini.»
«A te, invece, basta sapere un nome e la taglia di un reggiseno. – Ned sorride
sghembo, conscio di essere andato a segno — Una scopata e poi tanti cari saluti.»
«Cristo, Edward, così sembro un essere senza cuore! — esclama offeso — Solo
perché non voglio impegnarmi non significa che prendo per il culo le ragazze,
tantomeno che non desidero, un giorno molto remoto, incontrare una persona che
mi faccia mettere la testa a posta e con cui passare gli anni migliori della mia
vita.»
Ned aggrotta la fronte e nasconde un sorriso sornione: «Sicuro di sentirti bene?»
«Vaffanculo, stronzo! Guarda che ho sentimenti e un cuore anche io e un giorno,
tra molti anni, mi presenterò alla tua porta con una strafiga che ti presenterò come
mia fidanzata ufficiale. – Lip ghigna – Prima, però, ho intenzione di scoparne molte
altre per altrettanti molteplici anni.»
Ned scuote la testa, sconcertato ma allo stesso tempo divertito, immaginando il
viso sfocato della povera malcapitata che, un giorno, sposerà suo fratello.
«Parlando di cose serie… - Lip cambia argomento, mantenendo la frase in sospeso
— Non ci crederai, ma stamattina il tuo fratellino ha trovato un lavoro in un
negozio musicale nella zona di Camden.»
Ned strabuzza gli occhi, incredulo: «Davvero?»
«Sai che non scherzo su queste cose. – risponde serio l’altro – Certo, non è il lavoro
del secolo e sicuramente non è paragonabile al tuo, ma la paga è onesta e il tipo,
che oltre al negozio insegna anche musica ai bambini, ha davvero degli ottimi gusti
in fatto di musica. Inoltre, il negozio è bazzicato da molti musicisti, musicisti che
lasciano spesso annunci e sai quanto ci tenga a riprendere a suonare seriamente
ed entrare in un gruppo solido.»
«Ora si spiega tutto…»
«Ti prego, Ned, non iniziare! Lo so cosa stai per dirmi, la classica storia di come io
stia sprecando il mio tempo a vent’anni suonati e tutto il resto la so a memoria,
nostro padre non fa altro che raccontarmela appena ha occasione, quindi
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risparmiami almeno tu.»
«Mi dispiace, perdonami. – Ned sospira – Non volevo accusarti di nulla, anzi
ammiro la tua tenacia e il tuo impegno in ciò che ami; inoltre, aver trovato un
lavoro a neanche due settimane dal tuo ritorno a Londra credo sia fantastico e
sono davvero contento per te.»
«No, scusami tu: so quanto odi essere paragonato anche lontanamente a nostro
padre e non avrei dovuto mettermi subito sulla difensiva. – Lip poggia la bottiglia
ormai vuota di birra sul tavolino davanti a loro e si alza — Piuttosto, forse è meglio
che io vada a dormire, perché domani mattina voglio essere fresco e riposato per il
mio primo giorno di lavoro.»
«Allora buona notte e… in bocca al lupo, fratellino.»
«Viva il lupo!» esclama, accompagnando la frase con il tipico gesto della pace e
subito dopo lascia la stanza.
L’indomani, pensa mentre si incammina verso la sua stanza da letto, sarà un
giorno davvero importante, un nuovo capitolo della sua movimentata vita.
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Capitolo 6 di Ormhaxan
Zoe apre e chiude le mani, stringe i pugni e fa un respiro profondo.
Le salivazione sembra
essersi bruscamente azzerata e le sue labbra sono secche tanto quanto la sua gola mentre osserva
l’ingresso di quel garage situato nella zona a Sud di Londra, a Brixtol.
Prende un respiro profondo, controllando per l’ennesima volta l’indirizzo scritto a penna sul
foglietto che tiene nella tasca destra della sua giacca scamosciata di seconda mano che le arriva
poco sotto i glutei: nessuno sbaglio, il posto in cui si trova è esatto, oltre quella saracinesca grigio
scuro la stanno aspettando i tre ragazzi che, con un po’ di fortuna, nel giro di qualche giorno
diventeranno ufficialmente la sua band.
Il suo sguardo ricade su di un piccolo campanello nascosto nell’angolo destro del muro, un
pulsantino rosso che non ha notato fino a quel momento; titubante, Zoe avvicina il dito, tentenna
un paio di volte prima di premerlo – probabilmente, pensa un attimo prima di schiacciare il
bottone rosso, ha sbagliato a non far venire Andrea con lei, a persuaderla a non accompagnarla in
quella che potrebbe essere la volta della sua vita.
Trattiene il fiato, in attesa, e sussulta quasi impercettibilmente quando la serranda si alza
emettendo un rumore stridulo, così acuto da provocarle la pelle d’oca: un ragazzo con lineamenti
spigolosi e neri capelli che gli ricadono sulle spalle si guarda intorno, accennando un fugace
sorriso quando il suo sguardo gentile incontra quello della ragazza, indentificandola
immediatamente come colei che ha chiamato qualche giorno prima e con cui lui stesso ha parlato.
«Devi essere Zoe! – esclama serafico e la rossa annuisce – Avanti, entra, così ti presento gli altri.
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Sai, ti stavamo tutti aspettando con una certa impazienza.»
Zoe lo segue, meravigliandosi di come all’interno l’ambiente sia più luminoso di quanto abbia
precedentemente immaginato: pallidi raggi di luce obliqua entrano da due finestre, una molto più
grande dell’altra, e le pareti sono dipinte di una calda tonalità di beige, tappezzate da poster di
rock band famose o locandine di concerti.
Qua e là ci sono delle chitarre, un basso acustico e uno elettrico, mentre sul fondo della stanza c’è
la batteria; al centro della stanza è stato messo un divano di pelle marrone rovinato e mezzo
sfondato da un lato, mentre attorno a un piccolo tavolino di plastica ci sono tre sedie fatte dello
stesso materiale.
«Da dove vieni? – chiede curioso Jeff – Non hai un accento di queste parti, l’ho capito quasi
immediatamente quando ci siamo parlati per telefono.»
«Vengo dal Galles, ma vivo a Londra da qualche anno.»
«La ridente Valley! – esclama con tono palesemente sarcastico – Come biasimarti? A parti
invertite, anche io sarei fuggito da quella massa di pecoroni bigotti dell’Ovest, stando ben attento
a non tornarci.»
Zoe non replica, sapendo che quelle parole rispecchiano tutto il suo malessere nei confronti della
sua terra natia: da quando è andata via di casa si è ben tenuta lontana da quel luogo, da quella
comunità bigotta, persino dai suoi stessi genitori.
Solo una volta ha chiamato sua madre per farle gli auguri di Natale, ma ben presto quella stessa
telefonata aveva assunto toni piuttosto freddi, concludendosi con parole piene di astio e di
biasimo, ammonimenti circa la vita sregolata e peccaminosa che, a dire dei suoi genitori, la
ragazza stava conducendo.
«Tu devi essere Zoe! – una voce femminile e squillante la desta dai suoi pensieri astratti – Io sono
Leslie, Lex, ragazza di Jeff e bassista della band.»
Le sorride, come sorridenti sono i suoi grandi occhi verdi, trasmettendole uno strano senso di
tranquillità: la biondina dal viso leggermente punteggiato di lentiggini emana una vitalità e una
strana euforia che metterebbe di buon umore il più burbero degli anziani, delle vibrazioni positive
tali da riuscire a calmare i nervi di Zoe, farle credere per la prima volta da giorni che tutto andrà
bene, che troverà dei buoni amici in quei tre.
«Piacere di conoscerti, Leslie.» risponde accennando un sorriso, prima che il suo sguardo cada
oltre la bionda, verso un ragazzo con i capelli biondi e ricci che se ne sta seduto a gambe
penzoloni su di un amplificatore.
«Lui è Mike, il nostro batterista. – informa Lex, intercettando il suo sguardo e leggendole nella
mente – Non è un grande oratore, anzi il più delle volte se ne sta zitto in un angolo.»
«Basti tu per tutti e tre in fatto di parlantina. – ghigna e accenna un saluto con il capo in direzione
di Zoe – Felice di conoscerti, ginger. Spero vivamente che ci salverai da questa tetra situazione in
cui siamo caduti.»
«Mike!» Leslie lo ammonisce: sebbene il batterista abbia ragione, è troppo orgogliosa per
ammettere davanti ad un’estranea che la loro band, la sua band, la cosa più importante che ha
costruito nella sua vita, sta andando a pezzi. È troppo orgogliosa anche solo per ammettere che
Zoe sembra la loro ultima possibilità, la sua unica speranza per risollevare le sorti di tutti loro. Lei
e un chitarrista non ancora trovato.
«Non starlo a sentire, - continua, questa volta rivolgendosi esclusivamente a Zoe – la nostra band
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va alla grande, andrà ancor meglio quando avrai finito di cantare e stupirci tutti con la tua voce.
Hai detto che canti nei pub e nei bar da un paio d’anni, giusto?»
«Sì, esatto. – conferma la rossa, annuendo – Principalmente bluse, ma me la cavo bene anche con
il rock. Sai, roba alla Patti Smith, Blondie, alle volte canto anche qualcosa di Janis, ma solo
quando ho la voce al massimo della potenza.»
«Che ne dici allora di farla ascoltare anche a noi questa soave voce?» interviene per la seconda
volta Mike, provocatorio, e per la seconda volta sia Lex che Jeff vorrebbero metterlo a tacere.
«Magari prima potremmo bere qualcosa, magari una birra o qualcosa del genere. – propone Jeff,
cercando di mettere la rossa a proprio agio – In frigo abbiamo abbastanza assortimento.»
«No, grazie, sto apposto così. – Zoe abbozza un sorriso che non nasconde nervosismo – Se per voi
va bene, vorrei cantare.»
«Certo, nessun problema. – Lex ricambia il sorriso – È già tutto pronto, puoi iniziare quando
vuoi.»
E così Zoe si posiziona dietro il microfono, ne regola l’altezza e, preso un respiro profondo, si
appresta a cantare: ha passato due giorni interi a decidere cosa cantare, se optare per qualcosa di
più soft oppure su qualcosa di più graffiante, incisivo, qualcosa capace di far venire la pelle
d’oca.
Ha provato vari pezzi, ognuno dei quali è stato minuziosamente studiato ed eseguito davanti ad
Andrea, la quale le ha dato preziosi consigli; alla fine, Zoe ha optato per ciò che da sempre sa
eseguire meglio, per una canzone del 1965 reinterpretata da Nina Simone, la prima cantante che
ha ascoltato nella sua vita grazie ad un vinile impolverato nascosto tra i tanti collezionati da suo
padre e di cui si è immediatamente innamorata.
Le note di I put a Spell on You iniziano a vibrare nell’aria per mezzo della sua voce ferma e
decisa, graffiante quando serve; la reinterpreta a modo suo, dandole una sfumatura più selvaggia,
più rock, senza però dimenticare le sue radici bluse, il suo groove intenso.
Leslie, Jeff e Mike l’ascoltano in silenzio, seduti sul divano di pelle malandato, si lasciano cullare
da quella voce calda e fredda allo stesso tempo, una voce che da tanto tempo stavano cercando e
che, si dice Lex mentre l’ascolta ad occhi chiusi, porterà tutti loro lontano.
Nessuno ha il coraggio di interromperla, così Zoe continua a cantare fino alla fine, fino all’ultima
nota che si espande leggera nell’aria tiepida di quel garage, accarezza le orecchie dei tre ragazzi
e svanisce improvvisamente.
«Cazzo! – Jeff è il primo a parlare, sbalordito da quella ragazza minuta e dalla sua energia – Sei
stata grande, cazzo, grande! Non sentivo una voce così da… bè, probabilmente qui a Londra non
ho mai sentito una voce come la tua.»
«Dici sul serio?»
«Certo che sì, - interviene Leslie – la tua voce è tutto ciò che stavamo cercando, è graffiante, calda
e decisa. In giro non c’è nulla di simile e te lo dice una che ogni sera gira pub e american bar alla
ricerca di qualcosa di nuovo; ora che ci penso, forse non ne ho girati abbastanza, perché mi sono
persa una bomba come te.»
Lex si avvicina a Zoe, la guarda dritto negli occhi e poi, supplichevole, dice: «Entra a far parte del
nostro gruppo, Zoe. Insieme, ne sono sicura, andremo lontano e… - sospira – odio ammetterlo, lo
odio, ma abbiamo dannatamente bisogno di te!»
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Zoe guarda Jeff e Mike, anche loro impazienti di sapere la sua risposta, desiderosi di averla con
loro; neanche nei suoi sogni più remoti si è immaginata una cosa del genere, di fare colpo alla
prima canzone, di conquistarli tutti così facilmente. Finalmente, quella è la sua occasione,
l’occasione che stava cercando. Loro erano quelli giusti: intraprendenti, caparbi, testardi anche,
delle persone che non si sarebbero fermate davanti al primo ostacolo e avrebbero conquistato a
tutti i costi successo e fama.
«Mi farebbe molto piacere suonare con voi.»
Leslie urla dopo aver ricevuto quella domanda e, un attimo dopo, la sta abbracciando.
«Sapevo che saresti stata quella giusta. Lo sapevo. – sorride euforica – Benvenuta tra noi, Zoe,
benvenuta negli Helter Skelters.»
**
È sera quando Zoe lascia il garage di Brixtol, ma non è ancora così tardi come crede.
I negozi sono ancora aperti, c’è tempo per fare qualche commissione, per passare dal negozio di
musica di Peter e ringraziarlo per averle consigliato quell’annuncio, per averla spronata a
provarci nonostante le porte in faccia ricevute nei mesi passati, a non arrendersi.
Si sente leggera mentre cammina per la strade di Londra, merito sia dell’euforia che delle tre
lattine di birra che si è scolata con gli altri, mentre milioni di pensieri le affollano la testa:
cambierà davvero la sua vita? Sarà davvero una svolta, riuscirà ad essere all’altezza delle
aspettative dei ragazzi e non rovinare tutto?
Entra nel negozio di musica come un fulmine, accompagnata dal rumore della campanella che
annuncia la sua presenza, e sta iniziare il suo lungo ed entusiasmante monologo quando nota che
quello dietro il bancone della cassa non è Peter, il proprietario, ma un ragazzo con lunghi capelli
castani legati in una coda morbida che arriva fino poco meno di metà spalla e degli occhi verdi
indagatori.
Il suo fisico è slanciato, è abbastanza alto, ma le sue braccia sembrano muscolose da sotto la felpa
che indossa; ha la barba, una barba folta ma curata e, deve ammettere Zoe, è davvero un bel
ragazzo.
«Posso fare qualcosa per te?» chiede il tipo dal nome misterioso, restando impassibile.
«Cercavo Peter.»
«È impegnato con i ragazzini e ha lasciato il negozio a me. – informa – Sono una sottospecie di
commesso, anche se praticamente Peter mi fa fare qualsiasi cosa gli passi per quella testa malata.»
«In questo caso ripasserò domani. – dice con calma – Magari potresti dirgli che Zoe è passata e
che tutto è andato per il meglio?»
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«Non ho idea di cosa significhi ma certo, nessun problema. – il ragazzo abbozza un sorriso algido
– Allora ci si vede, Zoe.»
«Grazie mille, te ne sono molto grata. Alla prossima…»
«Lip! – esclama il ragazzo, concludendo per lei la frase — Mi chiamo Lip.»
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