Dislessia evolutiva, disturbo specifico di lettura e apprendimento:il
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Dislessia evolutiva, disturbo specifico di lettura e apprendimento:il
Rivista Italiana di Optometria Volume 23, n° 2 - Aprile/Maggio/Giugno 2000 Dislessia evolutiva, disturbo specifico di lettura e apprendimento: il contributo dell’optometria allo studio e all’intervento interdisciplinare di Silvio Maffioletti - Optometrista Silvia Arrigoni - Psicopedagogista Relazione presentata al XXV Congresso nazionale dell’Albo degli Optometristi, Milano 1999. Autori corrispondenti: Silvio Maffioletti - Silvia Arrigoni c/o ISSO ‘Giuseppe Ricco’ via Soderini 24 20146 Milano Parole chiave: lettura, dislessia acquisita, dislessia evolutiva, apprendimento, cattivi lettori, interdisciplinarità. Abstract Pur essendo dotati di buone e a volte eccellenti risorse cognitive, i bambini dislessici hanno storie scolastiche travagliate e costellate di precoci insuccessi. La dislessia è una di quelle barriere architettoniche della mente che impediscono al bambino di salire i primi gradini dell’apprendimento e stanno alla base delle sue difficoltà scolastiche. La dislessia va diagnosticata precocemente. Il trattamento dei bambini dislessici è interdisciplinare e coinvolge neuropsichiatra infantile, psicologo, medico pediatra, logopedista, psicomotricista, optometrista, genitori, insegnanti. Il contributo dell’optometrista è importante. Anzitutto egli è il professionista che verifica se il sistema visivo del bambino è adeguato ai compiti di lettura richiesti. In secondo luogo l’optometrista, conoscendo la dislessia evolutiva, può mettere la famiglia del bambino in condizione di rivolgersi precocemente a istituti o centri specializzati. Infine l’optometrista partecipa, con la sua competenza specifica, alla valutazione e al trattamento riabilitativo del bambino: per il raggiungimento di un buon risultato finale il lavoro interdisciplinare è indispensabile. La lettura, una capacità complessa e relativamente giovane Imparare a leggere è stato uno dei progressi più significativi dell’evoluzione umana. E’ un compito tutt’altro che facile; l’apprendimento della lettura, che i cuccioli d’uomo affrontano a partire dai 5-6 anni di età, è complesso e faticoso: ‘Imparare a leggere è il più difficile compito cognitivo affrontato dai bambini in età scolare. E’ formato da molti sottocompiti: analizzare le caratteristiche delle lettere, combinarle per l’identificazione, trasformarle in suoni per poterle pronunciare, capire il significato delle parole, combinare i singoli significati per arrivare alla comprensione della frase. L’apprendimento della lettura dipende soprattutto dall’utilizzo dell’elaborazione automatica; infatti la lettura è un compito talmente complesso e multideterminato che, se i processi che la compongono non fossero automatici, la quantità di attenzione necessaria diventerebbe semplicemente troppo grande ed eccederebbe la capacità attentiva disponibile’. 1 La specie umana è in grado di leggere da circa 5.000 anni, che sono stati preceduti da 750.000 anni di balbettii e gesticolazioni seguiti da altri 200.000 di linguaggio e arti grafiche; si può affermare che, considerando la filogenesi, la lettura è entrata a far parte delle competenze dell’umanità solo recentemente ed è un’abilità relativamente giovane, che ‘non ha ancora superato il collaudo del tempo’.2 Ancor più recente è la sua diffusione su larga scala. Per secoli l’apprendimento della lettura e della scrittura sono stati riservati ai rampolli delle famiglie facoltose, cioè a una ristrettissima porzione di popolazione. In Italia l’introduzione generalizzata dei bambini in un percorso scolastico istituzionale riguarda soltanto le ultime cinque generazioni. Quando a Torino, nel 1861, Cavour ha costituito il primo governo del Regno d’Italia, gli analfabeti erano il 75% della popolazione. Insegnare a tutti i fanciulli a leggere, scrivere e far di conto è stato l’ambizioso obiettivo verso cui il giovane Stato italiano ha canalizzato le proprie fresche energie approvando la legge Coppino che, nel 1877, ha reso l’istruzione scolastica triennale, gratuita e obbligatoria. L’istituzione della scuola dell’obbligo dalle Alpi alla Sicilia ha ridotto drasticamente gli analfabeti, che nel 1921 erano scesi al 17% della popolazione italiana.3 Ma ancora oggi, se si allarga l’osservazione oltre l’Italia, l’alfabetismo è radicato in poche, selezionate porzioni del pianeta. In altre aree, vastissime e densamente popolate, è ancora un sogno: ‘Sono 900 milioni gli analfabeti presenti nei paesi in via di sviluppo; tra loro le donne sono il 65%. E’ di sesso femminile anche il 60% dei 130 milioni di bambini che non hanno accesso alle scuole elementari’.4 E’ una situazione drammatica, che impedisce la crescita di popoli e nazioni: ‘Agli indici economici e sociali del sottosviluppo vanno aggiunti altri indici egualmente negativi, anzi ancor più preoccupanti, a cominciare dal piano culturale. Essi sono l’analfabetismo, la difficoltà o l’impossibilità di accedere ai livelli superiori di istruzione, la conseguente incapacità di partecipare alla costruzione della propria nazione’.5 In quei luoghi il processo di emancipazione fondato sull’apprendimento della lettura e della scrittura deve ancora iniziare oppure sta muovendo, faticosamente e tra mille difficoltà, i suoi primi passi. La dislessia, acquisita o evolutiva La lettura, in senso stretto, è ‘la capacità di riconoscere, dai segni della scrittura, le parole e il loro significato’.6 In realtà la nozione di lettura ha un’accezione più ampia e rimanda a un insieme di pratiche diffuse, inseparabili dalla scrittura. ‘La lettura può essere intesa come tecnica, pratica sociale, esercizio spirituale, metodo critico, ma anche come forma di passatempo o di piacere. Leggere implica anzitutto l'apprendimento di una tecnica che permette di comprendere un testo scritto come dotato di senso e organizzato secondo le regole proprie di un sistema semiotico. Nel caso del linguaggio verbale, tale tecnica prevede la successione di focalizzazioni dello sguardo su porzioni di testo, attraverso cui particolari segni codificati sono riconosciuti come parole e restituiti oralmente. In questo modo la lettura fa emergere ciò che è stato immagazzinato nella scrittura. Il livello empirico della lettura, quello del riconoscimento e della comprensione immediata e letterale delle parole, avviene contemporaneamente alla decifrazione del senso contenuto nei segni o nelle porzioni di testo isolate dalla lettura. Tali segni peraltro non appartengono necessariamente al linguaggio verbale, bensì a quello visivo, rappresentativo, musicale. In questo senso si può parlare di lettura delle immagini, del paesaggio, di partiture musicali’.7 Per qualcuno leggere è un’esperienza che procede con naturalezza e fluidità, suscitando talvolta piacevoli emozioni: ‘Quelli che mi lasciano proprio senza fiato sono i libri che, quando li hai finiti di leggere e tutto quel che segue, vorresti che l’autore fosse un tuo amico per la pelle, e vorresti poterlo chiamare al telefono tutte le volte che ti gira. Non succede spesso, però’.8 Per altri la lettura è un’esperienza faticosa e frustrante. Fanno parte di questa categoria anche i soggetti dislessici, cioè persone caratterizzate da uno specifico disturbo che impedisce una normale fluidità e accuratezza nella lettura. La dislessia è una sindrome che va diagnosticata precocemente; dopo la diagnosi, il soggetto dislessico segue uno specifico trattamento riabilitativo condotto da personale specializzato. La dislessia è classificata in due forme: 1. Dislessia acquisita (DA): riguarda persone, perlopiù adulte, che vedono decadere la loro capacità di leggere in seguito a eventi patologici o traumatici che comportano danni cerebrali. E’ possibile, nella loro storia personale, collegare l’episodio lesivo con la successiva insorgenza del disturbo. 2. Dislessia evolutiva (DE): riguarda persone che non hanno mai raggiunto una normale capacità di lettura nonostante possiedano un’istruzione idonea, un’intelligenza adeguata e un ambiente socioculturale favorevole. ‘La loro lettura orale è caratterizzata da distorsioni, sostituzioni e omissioni; inoltre sia la lettura orale sia quella mentale sono caratterizzate da lentezza ed errori di comprensione’.9 Il percorso iniziale del concetto di dislessia In Europa lo studio della dislessia è cresciuto contemporaneamente alla diffusione dell’istruzione pubblica. ‘L’insegnamento primario, nei paesi industrializzati, è stato reso obbligatorio per l’infanzia alla fine del XIX secolo e a quell’epoca risalgono i primi studi sulla dislessia’.10 Il neurologo tedesco Kussmaul, nel 1877, è stato il primo a definire clinicamente la dislessia, un’inabilità alla lettura da parte di soggetti adulti dotati di una vista normale che egli ha definito ‘cecità alla parola’.11 Alcuni anni dopo, nel 1896, il medico britannico Pringle Morgan ha modificato tale definizione in ‘cecità congenita alla parola’ 12 ipotizzando una causa strutturale, cioè un difettoso sviluppo del giro angolare sinistro del cervello. La prima dettagliata descrizione clinica della dislessia è stata fornita all’inizio del Novecento da un medico britannico, James Hinshelwood, che ha ripreso e sviluppato alcuni concetti esplicativi utilizzati da Morgan. Hinshelwood, così come altri ricercatori dell’epoca, ha considerato la dislessia come una sindrome unitaria avente origine in un diffuso e generico deficit strutturale del cervello, senza però riuscire a individuarne i meccanismi con maggior precisione. Un rilevante salto di qualità nello studio della dislessia ha coinciso con le ricerche del medico britannico S. T. Orton, attorno agli anni Venti; egli, in contrasto con le precedenti ipotesi strutturaliste di Morgan e Hinshelwood, ha ipotizzato un problema funzionale, cioè un ritardo evolutivo nello sviluppo della dominanza emisferica cerebrale. Secondo Orton il mancato sviluppo della dominanza di un emisfero avrebbe comportato una confusione direzionale nella percezione visiva dei simboli, inducendo nei dislessici i tipici errori di inversione di lettere speculari (ad esempio b/d, p/q) e di parole palindromiche (ad esempio eva/ave, roma/amor, ora/aro, otre/erto, arco/ocra). Con le sue ricerche, Orton è stato il primo studioso che ha rivalutato qualitativamente i dislessici, sostenendo che i loro problemi di lettura non erano consequenziali alla scarsa intelligenza. Un nuovo modello riguardante la dislessia è stato plasmato dal medico danese Knud Hermann negli anni Cinquanta. Egli sosteneva che la dislessia derivasse da un inadeguato sviluppo (ereditario) della funzione direzionale. Hermann considerava tale disturbo come una mancanza di orientamento laterale con riferimento allo schema corporeo; spiegava così sia la confusione nell'orientamento sinistra-destra, sia gli errori di inversione, rotazione e sequenza osservabili nella lettura e nella scrittura dei soggetti dislessici. Hermann, a differenza di Orton, riteneva che il disturbo di orientamento spaziale dei dislessici non dipendesse da una diversa rappresentazione della lettera nei due emisferi, bensì dallo scorretto orientamento spaziale utilizzato dai dislessici, indipendentemente dalla forma della lettera. Il disturbo dei dislessici, secondo Hermann, consisteva quindi nella loro difficoltà interpretativa quando dovevano distinguere mentalmente forme speculari come b/d oppure q/p. L’evoluzione del concetto di dislessia Negli anni Cinquanta l’approccio ai bambini dislessici era esclusivamente medicospecialistico, mentre i primi timidi tentativi riabilitativi si dimostravano inefficaci. ’Se un bambino manifestava problemi di lettura, si tendeva a cambiare il metodo d’insegnamento della lettura o il materiale usato; quando, come accadeva costantemente, si falliva nonostante il cambiamento di metodo e di materiale didattico, il bambino era inviato da medici e psichiatri’.13 All'inizio degli anni Sessanta lo statunitense H. Birch ha elaborato un’ipotesi più articolata, indicando tre meccanismi deficitari nel processo di lettura dei bambini dislessici:14 1. difficoltà nella capacità di integrare informazioni sensoriali di diverso tipo (vista e udito); 2. insufficiente sviluppo di un'organizzazione gerarchica dei sistemi sensoriali ovvero, più specificamente, ritardato o insufficiente predominio della modalità visiva nella gerarchia delle funzioni sensoriali; 3. sviluppo carente dei processi di analisi e sintesi visiva, ad esempio nella capacità di scomporre una configurazione visiva nelle sue parti e di stabilire relazioni tra una parte e il tutto. Nello stesso periodo gli statunitensi H. R. Myklebust e D. J. Johnson hanno ipotizzato che il deficit alla base della dislessia potesse riguardare l'una o l'altra modalità sensoriale, introducendo il principio di una diversificazione tra i profili dei dislessici e sostenendo che vi fossero più tipi di dislessia (ad esempio una dislessia visiva e una uditiva). Tale classificazione è stata ripresa dalla loro connazionale E. Boder che, partendo dall'analisi dei diversi tipi di errori, ha classificato i dislessici in tre sottogruppi: 1. diseidetici, con difficoltà prevalenti nell'elaborazione visiva; 2. disfonetici, con difficoltà prevalenti nell'elaborazione fonologica; 3. misti, con difficoltà generalizzate in entrambe le modalità. La Boder stimava che il sottogruppo prevalente fosse costituito dai disfonetici, che rappresentavano circa il 65% del campione da lei studiato. I dati della Boder, poi confermati da altre ricerche, hanno ridimensionato l’importanza che, negli anni precedenti, era assegnata ai fattori visuospaziali nella dislessia. Successivamente l’attenzione dei ricercatori si è spostata sugli aspetti fonologici del linguaggio. Nel corso degli anni Settanta numerosi autori hanno enfatizzato l'importanza dei fattori linguistici, in particolare dell'elaborazione fonologica, qualificandoli come i fattori principali nell'eziologia della dislessia. In anni più recenti essi hanno ipotizzato che i problemi di letto-scrittura osservati nella dislessia siano conseguenti a difficoltà nell'elaborazione degli aspetti fonologici del linguaggio. Queste teorie sono avvalorate dal fatto che i dislessici hanno lacune quando sono chiamati a: - codificare (cioè rappresentare) l'informazione fonologica in memoria; - recuperare i codici fonologici dalla memoria; - utilizzare i codici fonologici (mnestici) per mantenere l'informazione verbale nella memoria di lavoro; - avere esplicita consapevolezza della struttura fonologica del linguaggio. Questi deficit, secondo le teorie basate sul linguaggio, dapprima interferirebbero con l'abilità di riconoscimento della parola scritta; in un secondo tempo, insieme con deficit linguistici collocati a livello superiore, sarebbero responsabili delle difficoltà lamentate dai soggetti dislessici nella comprensione dei testi scritti. La moderna definizione di dislessia evolutiva Oggi, anche tra ricercatori che si riferiscono a modelli diversi, c’è accordo su tre punti fondamentali che definiscono la dislessia evolutiva:15 1. La dislessia evolutiva è un disturbo specifico che si presenta isolato rispetto al resto delle prestazioni cognitive, generalmente buone, e che si manifesta in soggetti indenni da deficit grossolani o da condizioni socioeconomiche e relazionali non adeguate. 2. La dislessia evolutiva è un disturbo di origine costituzionale che si presenta in soggetti senza lesioni cerebrali clinicamente evidenziabili. E’ presente dalla nascita, anche se le manifestazioni più evidenti appaiono con la scolarizzazione; per questo motivo la dislessia evolutiva è una difficoltà inattesa, che coglie di sorpresa. 3. La dislessia evolutiva, così come è definita nell’uso comune, comprende sovente anche i disturbi della scrittura (disgrafia e disortografia) e quelli del codice numerico e del calcolo (discalculia); i disturbi in queste tre aree sono più frequentemente associati che disgiunti. I dislessici e i cattivi lettori Il bambino dislessico presenta precise caratteristiche che lo differenziano da quello con disturbi dell’apprendimento: ‘Il dislessico generalmente è un bambino intelligente, con un linguaggio ben strutturato, che si esprime con disinvoltura e ama la conversazione. Egli però cambia completamente atteggiamento quando si pone di fronte a un testo scritto: diviene insicuro, si agita, gli sudano le mani, è pervaso da uno stato d’ansia’.16 Nella sua lettura fioccano abbondanti sostituzioni, elisioni, inversione di fonemi, confusione tra suoni omologhi. La sua comprensione della lettura è appena sufficiente a causa delle difficoltà che egli incontra nell’analisi del testo e che sono conseguenti agli errori che egli commette quando legge. Quando invece deve analizzare e fare deduzioni su un argomento trattato oralmente oppure letto da un’altra persona, il bambino dislessico dimostra una buona comprensione e un’adeguata capacità critica. Sia i dati clinici, sia quelli ricavati dalle ricerche longitudinali, mostrano che la storia personale dei dislessici è in parte indipendente dalla quantità di stimoli ricevuti. Certamente la differenza nella velocità e nell'accuratezza della decodifica dipendono in larga misura dall'esercizio, per questo tutti i dislessici migliorano le loro prestazioni nel corso del tempo; tuttavia gli studi mostrano che i dislessici adulti mantengono sempre significative difficoltà di codifica rispetto ai loro coetanei in possesso di pari livello di istruzione 14. Inoltre numerose ricerche evidenziano profili devianti nei processi di lettura dei dislessici: ad esempio essi sembrano mostrare inefficienza selettiva solo di fronte alle parole irregolari o alle non-parole, mentre sono in grado di leggere adeguatamente le parole regolari. Questa circostanza, cioè la presenza di differenze qualitative fra i dislessici e i buoni lettori, avvalora la ‘teoria della discrepanza’ che considera la dislessia evolutiva come un disturbo specifico e non come la manifestazione di un generico deficit aspecifico di apprendimento. ‘La disabilità aspecifica nella lettura (problema di apprendimento) è causata dalla combinazione di fattori come scarsa intelligenza, carenza educativa, deprivazione socioculturale, problemi emotivi di carattere primario, menomazione sensoriale (visiva, uditiva), scarsa motivazione. Invece la disabilità specifica nella lettura (dislessia) è un deficit settoriale causato da una minima disfunzione cerebrale’.17 I ricercatori concordano sulla necessità di tenere distinti i due gruppi: ‘La distinzione tra dislessia e disturbi dell’apprendimento appare non solo legittima ma necessaria, per le macroscopiche differenze cliniche tra le due popolazioni e per il fatto che non si possono confrontare bambini intellettualmente normali (i dislessici) e bambini con grave ritardo intellettivo (i ‘cattivi lettori’), pur accomunati dalla difficoltà di lettura.18 Tale differenziazione diagnostica è di fondamentale importanza in quanto ‘consente di discriminare un disturbo specifico, e quindi una difficoltà settoriale nelle attività coinvolte nell’uso del linguaggio scritto, da un disturbo di apprendimento più generico che si riferisce ad attività più diffuse’.19 Nel corso della lettura i due gruppi usano strategie di elaborazione diverse: - i dislessici usano strategie di tipo ‘top-down’, cioè sono i processi ‘alti’ che guidano le fasi esecutive nel corso della lettura consentendo la compensazione delle eventuali difficoltà che il soggetto incontra a questo livello; - i ‘cattivi lettori’ mettono in pratica strategie di tipo ‘bottom-up’, cercano cioè prevalentemente la costruzione dei processi dal basso, ricomponendo le unità costruttive dei processi di lettura attraverso l’apprendimento e l’automazione di procedure di costruzione.20 Anche le caratteristiche cognitive sono diverse; infatti ‘i dislessici sono in grado di anticipare le difficoltà di lettura molto meglio dei ‘cattivi lettori’, sia per la capacità di comprendere il testo nonostante la scadente decifrazione, sia per la maggiore abilità a compensare le lacune. Anche la memoria di lavoro è migliore nei dislessici che nei cattivi lettori’.21 La diagnosi di dislessia evolutiva La diagnosi di dislessia evolutiva può essere formulata alla fine della prima classe elementare, precedentemente si può solo parlare di ‘rischio di dislessia’. Lo specialista (neuropsichiatra infantile o psicologo) formula la diagnosi dopo un’analisi complessiva del bambino. Essa comprende le seguenti indagini:22 - esame degli apparati sensoriali implicati, in particolare vista e udito; - osservazione psicomotoria; - esame neurologico; - esame del linguaggio e della competenza linguistica; - prove mirate a individuare eventuali carenze nell’apprendimento; - test specifici per la dislessia e/o disortografia; - indagine cognitiva, che definisca il livello di intelligenza; - osservazione psicologico-relazionale. La dislessia evolutiva si evidenzia con livelli di gravità diversi. ‘I nostri dati suggeriscono come la popolazione scolastica italiana non possa essere divisa fra bambini che sanno leggere e bambini che non sanno leggere, ma vi siano infinite gradazioni di prestazioni, cioè numerosi casi intermedi che presentano difficoltà più o meno lievi’.23 In Italia la rilevante frequenza della dislessia, tale da conferire al problema un carattere sociale, è in stridente contrasto con la scarsità di pubblicazioni di autori italiani che si rivolgano ai genitori e agli insegnanti dei bambini dislessici. Implicazioni scolastiche della dislessia evolutiva La dislessia evolutiva si evidenzia nel bambino all’inizio del percorso scolastico. Già a metà del primo anno, all’impatto con l’apprendimento della lettura e della scrittura, il bambino dislessico perde rapidamente contatto dal gruppo dei coetanei: ‘A nulla valgono i ripetuti e stringenti inviti di genitori e insegnanti; egli arranca affannosamente e la lettura diventa per lui pesante come un macigno’.24 La dislessia evolutiva lo ostacola nella costruzione di una corretta ed efficiente capacità di leggere e impedisce che la lettura divenga, come dovrebbe, uno dei suoi canali privilegiati di comunicazione con il mondo esterno. In Italia l’incidenza della dislessia evolutiva è significativa ed è foriera di difficoltà scolastiche: ‘L’incidenza della dislessia vera, cioè della dislessia inequivocabile, primaria, isolata, severa, in Italia è di circa l’1,5% tra i bambini della scuola elementare; tra questi, l’80% va incontro a un insuccesso scolastico, nel senso di un abbandono precoce dello studio’.25 L’insuccesso scolastico ha spesso pesanti effetti secondari. I bambini dislessici infatti, ostacolati nello sviluppo delle loro potenzialità nel percorso dell’apprendimento, sono esposti a difficoltà di ordine relazionale, a squilibri nella formazione del sé, a incertezze e inquietudini riguardo alla propria futura collocazione sociale ed economica. In passato, e anche oggi dove è ignorata la reale natura del problema, i dislessici sono stati considerati scolari svogliati, disattenti, colpevoli di non dedicare sufficiente impegno e costanza all’attività scolastica e in particolare alla lettura. Tale approccio scambiava l’effetto con la causa del loro problema. Anche la normativa scolastica attuale è inadeguata e va rapidamente aggiornata: ‘La legislazione scolastica italiana si è mostrata finora del tutto carente, mantenendo dizioni generiche come ‘disadattamento scolastico’ e ancora poco discostandosi dall’idea che si tratti di ragazzi che potrebbero ma sono svogliati, non si applicano, non assimilano, e per i quali la conseguenza più tipica è la bocciatura o la minaccia della bocciatura’.26 E così, pur essendo dotati di buone e a volte eccellenti risorse cognitive, i bambini dislessici continuano ad avere storie scolastiche molto travagliate e costellate di precoci insuccessi: ‘La dislessia è una di quelle barriere architettoniche della mente che impediscono di salire i primi gradini dell’apprendimento e sono alla base delle sue difficoltà scolastiche’.27 Le ricerche italiane riguardanti il percorso scolastico dei bambini con dislessia evolutiva segnalano un tempo di completamento della scolarità obbligatoria mediamente superiore di un anno rispetto alle attese. In un recente studio28 condotto su 24 soggetti con dislessia evolutiva seguiti fino al termine della scuola media inferiore, 20 soggetti hanno avuto almeno una bocciatura, verificatasi prevalentemente nel corso della scuola media; alcuni sono stati bocciati due volte. Non è emersa alcuna correlazione fra l’insuccesso scolastico e fattori quali il quoziente d’intelligenza, la provenienza familiare, il sesso. Fra i bocciati vi sono infatti soggetti con un quoziente di intelligenza superiore alla media (fino a 122), mentre fra i pochi non bocciati vi è chi ha un quoziente più basso, così come si trovano ugualmente rappresentati maschi e femmine provenienti da famiglie di buono, medio o basso livello culturale. In Italia i dislessici sono candidati all'insuccesso scolastico in misura molto superiore alla media dei coetanei già fin dalle prime fasi di scolarizzazione, la loro mortalità scolastica rimane alta anche al termine della scolarità obbligatoria o all'inizio della scuola media superiore. E’ assai diversa la situazione negli Stati Uniti, dove esiste una consolidata organizzazione per il supporto didattico ai dislessici: il tempo di completamento degli studi dei dislessici statunitensi è superiore di un anno rispetto quello dei coetanei, ma considera l'intero arco di studi e quindi comprende anche l'università. Inoltre la loro percentuale di abbandono scolastico è addirittura dimezzata rispetto a quella dei non dislessici. Ciò significa che, quando da parte della scuola sono previsti supporti opportuni per sostenere le loro difficoltà, i dislessici mostrano più stabilità e maggiore impegno rispetto a coloro che non hanno difficoltà.29 Implicazioni sociali della dislessia evolutiva Per i dislessici più gravi un recupero completo pare impossibile.30 I dislessici non gravi che, con il tempo e l’esercizio, raggiungono una soddisfacente prestazione nelle attività di lettura e scrittura (alcuni proseguono gli studi fino alla laurea) mantengono lo stesso una maggior lentezza se messi a confronto con coetanei di pari scolarità. La dislessia appare tutt’altro che incompatibile con elevate prestazioni mentali. Vari personaggi del passato hanno espresso capacità intellettuali e imprenditoriali straordinarie, pur essendo dislessici: lo scienziato e artista italiano Leonardo da Vinci, l’inventore statunitense Thomas Edison, lo statista britannico Winston Churchill, lo scrittore danese Hans Christian Andersen, il produttore cinematografico statunitense Walt Disney, la scrittrice britannica Agatha Christie. Il loro ingegno, così in contrasto con i loro modesti risultati scolastici, conferma recenti ricerche riguardanti le caratteristiche decisive di chi eccelle nella società: ‘Per esprimere uno straordinario talento, l’intelligenza emotiva conta più del quoziente di intelligenza e dell’esperienza; la realtà imprenditoriale lo dimostra in modo convincente. Fanno parte dell’intelligenza emotiva capacità specifiche basate sul dominio di sé (fra le quali l’iniziativa, la fidatezza, la fiducia in se stessi, la ferrea volontà) e abilità fondamentali nelle relazioni (come l’empatia, la consapevolezza politica, la persuasione, la capacità di catalizzare i cambiamenti).31 L’Associazione Italiana Dislessia (AID) Parallelamente all'acquisizione di maggiori informazioni sul disturbo dislessico e al conseguente aumento delle diagnosi, sono nate in tutto il mondo associazioni per la diffusione delle conoscenze sulla dislessia. Forniscono informazioni e sostegno a genitori, insegnanti, operatori sanitari, datori di lavoro e amministratori locali servendosi di incontri, pubblicazioni e conferenze pubbliche. Sul territorio nazionale opera dal 1997 l’Associazione Italiana Dislessia (AID), un’organizzazione di volontari nata per: sensibilizzare il mondo professionale, scolastico e l’opinione pubblica sul problema della dislessia; - promuovere la ricerca e la formazione nei servizi sanitari e nella scuola; - offrire ai dislessici e ai loro familiari un punto di riferimento per ottenere informazioni e aiuto per l’identificazione del problema o per l’approccio riabilitativo e scolastico. L’AID, aderente all’Associazione Europea Dislessia, è formata da operatori sanitari, insegnanti e genitori che vogliono, attraverso la loro disponibilità e la loro competenza specifica, aiutare i bambini dislessici. La sede nazionale dell’Associazione Italiana Dislessia è a Bologna, in via Arienti 8 (telefono 051-380924). L’AID è presieduta da Giacomo Stella, psicologo, studioso di disturbi del linguaggio e dell’apprendimento (sia in ambito clinico che in ambito di ricerca) e autore di numerosi articoli e libri sull’argomento. - L’optometria nell’approccio interdisciplinare alla dislessia evolutiva I genitori del bambino che a scuola ha difficoltà nella letto-scrittura consultano varie figure professionali. Uno dei primi ad essere interpellato è l’optometrista. L’esame e la valutazione dei problemi visivi che egli effettua sono specifici e seguono un protocollo di lavoro consolidato e verificato, che ha reso l’optometria ‘una professione sanitaria, non medica, autonoma e diffusa nel mondo’.32 L’esame optometrico valuta le funzioni deputate alla raccolta e al trasferimento alle aree corticali visive degli stimoli luminosi percepiti. In studio il bambino è sottoposto a un’analisi completa che prende in considerazione vari aspetti della visione: condizione rifrattiva, oculomotricità, funzione binoculare, abilità visuo-spaziali, percezione cromatica. Il contributo dell’optometrista è importante perché il sistema visivo è l’apparato neurosensoriale maggiormente implicato nei processi di lettura e scrittura; egli è in grado, attraverso l’analisi visiva, di verificare se il sistema visivo del bambino è adeguato ai compiti di lettura richiesti. ‘La professione optometrica deve essere più consapevole circa il suo ruolo potenziale verso molte persone per le quali la lettura non è un piacere’.33 L’optometrista rappresenta un filtro di primo livello che, conoscendo l’esistenza e i connotati della dislessia evolutiva, può mettere la famiglia del bambino in condizione di prenderla in considerazione, indirizzandola a centri specializzati competenti. L’optometrista partecipa inoltre, con la sua professionalità specifica, alla valutazione e al trattamento riabilitativo: per il raggiungimento di un buon risultato finale il lavoro interdisciplinare è indispensabile. Imparare a leggere è di fondamentale importanza per ogni bambino. Lo è ancora di più nella società occidentale dove ‘apprendimento e guadagno sono inestricabilmente intrecciati, e lo diventeranno sempre di più. L’attività del futuro sarà in misura preponderante attività mentale; in un futuro assai vicino i nuovi poveri, i nuovi emarginati della società saranno coloro che non sono disposti o capaci di imparare. Per questo motivo è in atto una crescente pressione sui cittadini perché apprendano nuove nozioni e competenze e sviluppino la loro capacità di imparare’.34 E’ importante riconoscere e sostenere i bambini dislessici. Anzitutto affinchè migliorino la loro lettura e quindi abbiano migliori prospettive scolastiche, economiche e sociali. Ma altresì per consentire loro, attraverso la lettura, di accumulare un piccolo, personale e prezioso tesoro: ‘Leggere non è un dovere, né un amaro calice da bere fino in fondo con la speranza di chissà quali benefici. Leggere vuol dire accumulare un proprio piccolo tesoro personale di ricordi e di emozioni, un tesoro che non sarà uguale a quello di nessun altro e che tuttavia potremo mettere in comune con altri’.35 Bibliografia 1 Stephen K. Reed (1989): ‘Psicologia cognitiva’; Bologna, Il Mulino. Ray Jackendoff (1999): ’Linguaggio e natura umana’; Bologna, Il Mulino. 3 Autori vari (1991): ‘Storia d’Italia’; Novara, Istituto Geografico De Agostini. 4 Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo (1995): ‘Rapporto sullo sviluppo umano’; in ‘Mani Tese’, anno XXXI, numero 321, ottobre 1995. 5 Giovanni Paolo II (1987): ‘Sollecitudo Rei Socialis’; Roma, Edizioni Paoline. 6 ‘Lo Zingarelli 1994 - Vocabolario della lingua italiana’; Bologna, Zanichelli. 7 ‘Enciclopedia Encarta 99’; Microsoft Corporaton. 8 J. D. 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