L`icona della Trinità
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L`icona della Trinità
“L’icona della Trinità nella tradizione iconografica d'oriente e d'occidente” don Gianluca Busi Poi il Signore apparve a lui alle Querce di Mamre, egli sedeva all'ingresso della tenda nell'ora più calda del giorno. Egli alzò gli occhi e vide che tre uomini stavano in piedi presso di lui. Appena li vide, corse loro incontro dall'ingresso della tenda e si prostrò fino a terra, dicendo: «Mio Signore, se ho trovato grazia ai tuoi occhi, non passar oltre senza fermarti dal tuo servo. Si vada a prendere un po' di acqua, lavatevi i piedi e accomodatevi sotto l'albero. Permettete che vada a prendere un boccone di pane e rinfrancatevi il cuore; dopo, potrete proseguire, perché è ben per questo che voi siete passati dal vostro servo». Quelli dissero: «Fa' pure come hai detto». Allora Abramo andò in fretta nella tenda, da Sara, e disse: «Presto, tre staia di fior di farina, impastala e fanne focacce». All'armento corse lui stesso, Abramo, prese un vitello tenero e buono e lo diede al servo, che si affrettò a prepararlo. Prese latte acido e latte fresco insieme con il vitello, che aveva preparato, e li porse a loro. Così, mentre egli stava in piedi presso di loro sotto l'albero, quelli mangiarono. (Gn 18, 1-8) L’obiettivo - semplice ed ambizioso - che mi propongo, è cercare di comprendere, attraverso le immagini della tradizione, come la rappresentazione della Trinità sia legata a diverse interpretazioni legate ai contesti. La mia idea è che tale diversità dipenda soprattutto dalla teologia delle immagini presente nelle due tradizioni d’oriente e d’occidente. 1 Tuttavia, se si considera il contesto nativo delle opere d’arte, create per il culto liturgico e la santificazione del popolo di Dio, questo soggetto – la Trinità appunto – rivela aspetti di sorprendente continuità e coincidenza. Nei primi secoli, la rappresentazione della Trinità nelle immagini dipende da un presupposto biblico-narrativo contenuto nel capitolo diciottesimo del libro della Genesi. Mi limito tuttavia alla citazione dei versetti 1-8: proseguendo la lettura del capitolo leggeremmo l'episodio in cui i tre angeli (che sono il Signore stesso) 2 , annunciano ad Abramo e Sara che presto concepiranno un figlio (quando a causa della loro età non è materialmente possibile). Genesi al capitolo 18 è un brano di rivelazione in cui viene annunciato il senso profondo del mistero della salvezza: è uno dei punti “sensibili” in cui nell' Antico Testamento è adombrato il mistero del Nuovo Testamento. Si tratta del noto annuncio dato dal profeta Isaia: “La Vergine concepirà un figlio e sarà chiamato l'Emmanuele cioè “il Dio con noi” (Is 7,14). Questo mistero è prefigurato in maniera evidente nell’annuncio dei tre angeli Presento una selezione di immagini ridotta e adattata alla pubblicazione, per ovvi motivi di spazio; è possibile tuttavia visualizzare tutte le immagini a cui mi riferisco nel testo seguendo il video pubblicato al link: http://www.youtube.com/watch?v=Ta_GNq_ZwAo. L’articolo è un’estratto rielaborato da una conferenza tenuta da me a Roma nel marzo 2012, e pubblicata in rete. 2 Ho evidenziato questo aspetto attraverso l’utilizzo del grassetto. Il testo biblico utilizza una forzatura letteraria, nel nominare gli Angeli al plurale e al singolare, per indicare la presenza del Signore (un singolare) cui vengono accordati verbi al plurale (accomodatevi, rinfrancatevi, lavatevi, quelli dissero, ecc..) 1 presentato ad Abramo e Sara. Questo testo rappresenta la base per la riflessione sulla Trinità nell'Antico Testamento e lo ripercorriamo soffermandoci su alcune immagini, seguendo un itinerario storico. Divido in tre grandi parti questo mio intervento: la prima è una sequenza di immagini proveniente dalla tradizione della cosiddetta Chiesa Indivisa cioè precedente lo scisma del 1054; la seconda è riferita alla tradizione orientale. In particolare mi concentro sul cammino della Chiesa russa, dedicando attenzione per l’icona della Trinità di Rublev (considerata secondo il Concilio moscovita dei Cento Capitoli “l'icona delle icone”) 3 . Nella terza mi concentro sulla tradizione occidentale: al suo interno vedrò di approfondire una lettura tipologica tratta da un testo di un noto teologo cattolico (Monsignor Timothy Verdon) riguardante il coevo affresco della Trinità di Masaccio che si conserva nella Chiesa di Santa Maria Novella a Firenze4. 1) La Chiesa Indivisa Inizio la sequenza dalla tradizione della Chiesa Indivisa, a partire da una delle primissime immagini della Trinità, che ritroviamo in un calco in pietra a due facce rinvenuto a Gerusalemme, risalente al I o II secolo e contemporaneo alle primissime generazioni cristiane. Scorgiamo i tre angeli che visitano Abramo e Sara mentre questi preparano per loro la tavola per il banchetto. La stessa composizione, senza differenze salienti, la potremmo osservare anche nell’affresco delle catacombe sulla via Latina al cubicolo B del IV secolo: Abramo prepara la tavola e benedice i tre visitatori e riceve di rimando, egli stesso, una benedizione da parte di Dio. [01] Proseguendo l’itinerario storico, consideriamo i mosaici nel presbiterio di San Vitale a Ravenna del VI secolo, che presentano la tipologia della Trinità nel contesto di una spiegazione del mistero eucaristico che viene celebrato. Vi troviamo, nei diversi riquadri alcuni episodi riferiti al ciclo di Abramo. Al centro del mosaico della lunetta a sinistra, soprattutto, è collocato proprio l’episodio del capitolo 18, laddove Abramo e Sara presentano il vitello ai tre Angeli che sono venuti a visitarli, e preparano una tavola per loro. E’ importante sottolineare la collocazione dell’affresco nel presbiterio all’interno di un contesto ampio che comprende sia l'altare che la celebrazione eucaristica. L’affresco va soprattutto compreso come una iniziazione al Mistero, in cui un episodio biblico viene collegato strettamente alla celebrazione dell’Eucarestia. In epoca posteriore prendo in considerazione i mosaici della Cappella Palatina (del 1140) che riprendono gli episodi del ciclo della Genesi: in una scena è raffigurato Abramo che si inginocchia fino a terra per baciare i tre visitatori, mentre nel riquadro successivo egli stesso presenta la cena imbandita per i tre Angeli. Nel coevo Duomo di Monreale [02] incontriamo la stessa tipologia dei tre angeli che All’interno di questa parte tratterò inoltre delle immagini non canoniche della Trinità nella tradizione russa dipinte nel XVI secolo. 4 Per la scelta delle immagini, soprattutto le prime due parti, dipendo molto dal libro di Gabriel Bunge “Lo Spirito Consolatore” edito dalla Casa di Matriona: la quasi totalità delle immagini della tradizione orientale le ho attinte da quel testo. Ringrazio inoltre la Dottoressa Patrizia Vivarelli, che ha raccolto le immagini con grande pazienza e che compone con alacrità e precisione dei database da cui io attingo a piene mani. 3 2 vengono serviti a tavola da Abramo e Sara5. Una tipologia simile, infine, la riscontriamo ugualmente nei mosaici del Duomo di San Marco a Venezia. Pur essendo queste ultime immagini posteriori allo scisma della Chiesa del 1054, le possiamo ancora considerare ancora “tradizione indivisa” della Chiesa. La tipologia si ripete fino a diventare un vero e proprio stereotipo di un riquadro unico sdoppiato in due grandi scene: da una parte Abramo che si inchina per accogliere i tre Angeli, dall'altra parte Abramo e Sara con la loro tenda piantata alle querce di Mamre, che accolgono nei pressi delle loro tende i tre visitatori e imbandiscono la tavola per loro. In una miniatura della fine del IX secolo conservata nella Biblioteca Apostolica Vaticana, [03] troviamo un particolare interessante: come di consueto scorgiamo i tre visitatori attorno alla tavola imbandita ma con una particolarità molto importante che arricchisce la rappresentazione con un dettaglio rilevante, cioè la diversità cromatica. Questo soggetto inizia, da un certo punto in poi, a subire un’evoluzione e diviene più preciso in senso teologico, richiamandosi alle acquisizioni elaborate nei concili ecumenici: i tre angeli sono considerati come un'unica natura che sussiste in tre persone. Questa sommaria considerazione, che si delinea a larghi tratti, attraverso le immagini più salienti provenienti dalla tradizione della Chiesa Indivisa ci può servire soprattutto per indicare questo aspetto: all’interno della tradizione primigenia, tutte le rappresentazioni della Trinità sono raffigurazioni dipendenti dell'episodio di Genesi 18: per questo vengono designate con il titolo di “Trinità dell'Antico Testamento”. Purtroppo a causa di una teologia delle icone non ancora sufficientemente elaborata, si utilizzano, tanti termini impropri, poichè vi sono molteplici stratificazioni, per cui ci sono alcune interpretazioni dei termini che non sono sempre univoche. Cosa si intenderebbe allora con la dicitura non sempre propriamente utilizzata di “Trinità dell'Antico Testamento”? Non si tratterebbe propriamente del mistero espresso dalla teologia -così come la Chiesa lo ha elaborato nei secoli soprattutto a partire dai concili ecumenici- quanto piuttosto e più semplicemente, della raffigurazione dell’episodio biblico che ci racconta dell'incontro dei tre angeli con Abramo alla querce di Mamre e dell'annuncio secondo cui Abramo e Sara diventeranno padre e madre di Isacco che è considerato il “figlio della promessa”. 2) La tradizione Russa All’interno della tradizione orientale che segue lo Scisma del 1054, è la tradizione russa quella che presenta una tipologia abbastanza ben identificabile e univoca per la raffigurazione della Trinità. Ma, da una certa epoca in poi, l’influsso della pittura italiana, si introduce negli stilemi russi, entra in intersezione con le figurazioni originarie e produce nuovi moduli iconografici. Saranno proprio queste nuove Nel dettaglio si può notare che fino in questo periodo i tre Angeli vengono raffigurati relativamente “non-diversificati” fra di loro; perché abbiamo il concetto che ci sono tre persone e un'unica natura, però in questa immagine i tre angeli tendono ad una identica fisionomia; durante il nostro percorso storico ci accorgeremo man mano come la tradizione sia arrivata ad un certo punto in poi a distinguere la diversità delle persone. 5 3 elaborazioni che verranno contestate in seguito dal Concilio moscovita dei Cento Capitoli (1551). A Suzdal [4] si trova questa immagine della Trinità proveniente della Chiesa della Natività di Maria dove appare una tipologia peculiare: i tre angeli (rappresentati con la decorazione all'assist su di uno sfondo monocromatico) seduti attorno alla mensa con Abramo che serve per loro il vitello: l’opera risale indicativamente alla prima metà del XIII secolo. Successivamente, Teofane il Greco rappresenta (nella zona corrotta i due non sono più visibili, ma possiamo dedurne la presenza nell’impianto originale dell’affresco) Abramo e Sara che intrattengono i tre ospiti divini attorno a questa mensa preparata per loro. Successivamente, nel XIV secolo Teofane il Greco inizierà a distinguere questi angeli grazie ad un artificio cromatico: per esempio mette al primo angelo, quello alla sinistra, un chitone di un colore vivace e il manto di colore bianco, mentre assegna agli altri due colori diversi. Gli altri due hanno il chitone bianco e un mantello che per uno è marrone un po' più scuro mentre per l'altro un colore ocra. A partire dall’opera di questo autore comprendiamo come il fenomeno della sottolineatura personale, già accennato nella tradizione, riceva una accentuazione. Nell’icona quadripartita, custodita al museo russo e risalente al XV secolo, troviamo uno stilema che farà scuola, (sono modelli molto importanti, in cui si già arrivati alla distinzione cromatica dei tre personaggi) probabilmente questa icona è vicina a quel tipo che Andrej Rublev vedeva nel suo monastero o quando andava a fare i suoi viaggi di monastero in monastero per espletare le sue commissioni. Ci tengo a sottolineare questo dettaglio, perché, attualmente nell’ambito della critica storicoartistica, dipendiamo da una sorta di mitologia secondo cui l’artista ed il suo genio si crea da sé stesso. Al contrario vorrei sottolineare attraverso questa osservazione, come anche la cosiddetta “invenzione” della Trinità di Andrej Rublev fosse in realtà inserita ed iscritta all’interno di una lunga tradizione. Personalmente non ne ha inventato l’impianto, si tratta piuttosto di un’elaborazione squisitamente personale che tuttavia dipende e si rifà a ciò che la tradizione custodiva fin dalle origini. [05] Le icone che abbiamo considerato, e lo stesso si potrebbe dire di altre immagini coeve, pur essendo immagini di periodi diversi e provenienti da tradizioni e collocazioni geografiche diverse, sembra che “si guardino fra di loro”. Ci troviamo cioè di fronte ad una vera tradizione: in qualunque punto siamo, troviamo sempre gli stessi elementi tipologici. Qui possiamo davvero “toccare con mano” la forza della tradizione nella raffigurazione peculiare del soggetto della Trinità. Queste cose le possiamo notare nell’icona del Monastero di Vatopedi del Monte Athos, del XIV secolo e quindi attraverso questa immagine in particolare, iniziamo ad avvicinarci al periodo in cui Teofane il Greco e Andrej Rublev dipingono ed iniziamo ad intravvedere delle immagini già molto simili a quelle che ci sono più note. L’icona del museo Benaki di Atene del XIV secolo presenta una tipologia che si inizierà ad affermare sempre di più. Possiamo osservare un primo personaggio raffigurato a sinistra: l'angelo che chiamiamo il Padre, un secondo al centro che chiamiamo il Figlio, un terzo a destra, che identifichiamo con la persona dello Spirito Santo. In mezzo a loro Abramo e Sara che li servono. Queste icone, inoltre, suggeriscono una evoluzione dei modelli antichi poichè inizierà progressivamente a farsi luce la tipologia in cui verranno raffigurate dietro i tre angeli: la casa di Abramo a sinistra, le querce di Mamre al centro e la roccia dove Isacco è stato 4 sacrificato a destra6. In questo caso peculiare vediamo per esempio soltanto la città in cui Abramo accoglie i tre Angeli, per indicare che questa tipologia che ho accennato non sempre viene rispettata, ma si tratta di un dettaglio non rilevante. [06] Segue una icona che costituisce un’interpretazione ulteriore e risale al XVI secolo, cioè ad un’epoca posteriore ad Andrej Rublev: i tre angeli vengono serviti a loro volta da altri due angeli e che sostituiscono le classiche raffigurazioni di Abramo e Sara. Questa “novità” è interessante. In precedenza, infatti, vedevamo delle raffigurazioni di tipo storico; ci è noto che i pittori e i teologi che li consigliavano, vedessero in filigrana il racconto di Genesi 18: i tre angeli che vanno a visitare Abramo e Sara alle querce di Mamre, ma qui è cambiato qualche cosa: è rimasto lo stilema dei tre angeli attorno all'altare, e fin qua è una citazione dei modelli precedenti. Poi vi è un’inserzione “ex-novo” perché i tre Angeli sono serviti a loro volta da angeli: di fatto sembra inserirsi un altro tema - cioè che Dio è servito dalla sua corte di Angeli- per cui possiamo dire che in questo soggetto peculiare, vi sia una riflessione sistematica sulla teologia della Trinità, che è l'operazione che probabilmente ha coinvolto anche la formazione peculiare del modello di Andrej Rublev. Ci si stacca qui dal percorso storico-narrativo per accentuare un percorso di tipo speculativo: si cerca di affermare con forza cioè, che Dio in sé stesso è un'unica natura in tre Persone che, nella sua corte celeste, viene servita dalle schiere dei suoi angeli. In questo modello direi che c'è già un cambiamento apprezzabile e probabilmente è stato prodotto dalla riflessione dell'icona di Andrej Rublev: ho fatto di proposito qui alcune riflessioni retrospettive mentre altre volte ho voluto suggerire anticipazioni di modelli futuri per mettere a fuoco il discorso. [7] Nel museo di Sergiev Posad nel 1411 si trova un modello coevo alla Trinità di Andrej Rublev. Negli stessi anni in cui il pittore dipingeva la sua Trinità, un pittore suo contemporaneo ricorre a quello schema antico che noi conosciamo e che proviene da una tradizione più antica. Benchè i tre Angeli siano dipinti con i colori diversificati: lo Spirito Santo con il vestito verde e blu, il Figlio vestito di blu e di rosso, e il Padre vestito in rosa, ma in mezzo a loro, tuttavia, ci sono ancora Abramo e Sara che li servono a tavola. Ci troviamo di fronte, quindi ad una ripresa del modulo storico-narrativo che si riferisce al capitolo diciottesimo della Genesi. Nella regione di Pskov alla fine del XV secolo si assiste ad un ritorno dei modelli antichi: per esempio in questa icona i tre Angeli hanno un cromatismo simile e Abramo e Sara sono rappresentati anch’essi, mentre c'è anche uno schiavo (che viene qui introdotto come ulteriore elemento aggiunto) che taglia la testa al vitello che viene preparato per i tre visitatori.[7b] Presento di seguito un'icona del monaco Paisij custodita oggi al museo Rublev di Mosca e qui possiamo toccare con mano come (questo circa cinquanta anni dopo la Trinità di Andrej Rublev) ci sia già una tradizione consolidata legata alla rappresentazione dell'icona delle icone, che poi è stata copiata all'infinito attraverso modelli che l’hanno eventualmente variata attraverso minimi dettagli. Presento poi un altro modello di questa icona a due facce della cattedrale di Santa Sofia di Novgorod della fine del XV secolo: notate come rappresenti quelle stesse particolarità che vedevamo nell’icona di Andrej Rublev cioè la casa o tenda di Abramo sopra la figura del Padre, l'albero o le querce di Mamre sopra la figura del Figlio, la roccia del sacrificio di Isacco cioè il monte Moriah sopra la figura dello Spirito Santo. Iniziamo ad avere una riflessione di genere tipologico: il Padre rappresenta il tempio, il Figlio rappresenta il legno della croce, e lo Spirito Santo 6 Cioè il contesto a cui ci si riferisce nell’episodio di Genesi al capitolo 18. 5 rappresenta la roccia che battuta da Mosè si apre per sgorgare l'acqua cioè l'effusione dello Spirito Santo; vedete come da modelli storici si arriva sempre di più a modelli tipologici, quindi come la riflessione speculativa entra dentro questo modello, abbandona e accantona quello di tipo biblico-storico-narrativo e si centra su di un altro genere. La copia della Trinità che è stata eseguita nel 1598 per ordine dello zar Boris Godunov a Sergiev Posad dove è custodita attualmente, presenta un particolare davvero interessante. Centocinquanta anni dopo la pittura dell’originale, lo zar ha voluto per sé, una copia, pressoché conforme, della Trinità di Andrej Rublev. Questo rivela immediatamente la sorprendente fortuna del peculiare modello iconografico. [8] Questa icona non ha bisogno di grandi spiegazioni: è la famosa icona della “Trinità di Rublev”: tuttavia è indispensabile notare che cosa Andrej Rublev abbia proposto nella sua icona alla luce delle riflessioni fatte in precedenza: qui scompaiono Abramo e Sara e rimangono soltanto gli elementi tipologici (l'albero, la casa e la roccia). Egli sembra aggiungere alla riflessione comunicata dalla tradizione precedente le intuizioni che si trovano nel prologo del Vangelo di Giovanni (Gv 1,118), ci presenta cioè la Trinità come il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, in un certo senso esulando dal percorso di narrativo di Gn 18, o forse per meglio dire intensificandone il significato teologico. Quindi, dall'immagine di tipo storiconarrativo che era tipica della tradizione precedente, Rublev arriva attraverso i tratti peculiari dati a questa icona, ad una rappresentazione più ricca ed esauriente, che aggiunge una riflessione tratta da alcuni passi del Nuovo Testamento e poi portata avanti successivamente dai grandi concili cristologici. Nei concili del IV e del V secolo infatti, si elaborano quei concetti che permettono di affermare che Dio è una natura in tre persone e da cui questa immagine sembrano prendere spunto. Esulando quindi dal percorso narrativo, Rublev, toglie i personaggi di Abramo e Sara mentre sembra aggiungere una lettura tipologica evidenziando i tre simboli alle spalle dei tre angeli: il Padre è il tempio o colui che abita il tempio, il datore della vita e il creatore del cielo e della terra. Il Figlio che è stato inchiodato all'albero che è diventato per lui morte ma per noi è diventato vita, quindi l'albero della vita che si alza al di sopra delle sue spalle. Lo Spirito, indicato dal simbolo della montagna, indica l’effusione dell’acqua dalla roccia per mezzo della verga di Mosè e che esprime il dono permanente dello Spirito Santo effuso sulla Chiesa. Sotto quell'altare che per i tre visitatori costituiva una semplice mensa, inoltre, diventa per la Chiesa il simbolo dell’altare su cui si celebra l'Eucarestia: il pranzo sacrificale in cui l'uomo presenta tutto sé stesso, fa un sacrificio di sé per ricevere in cambio un cibo che dura per la vita eterna. Tenendo fermo questo registro del genere tipologico si capisce immediatamente come la forza teologica diventa fortissima in questa icona. [09] Oggi noi conosciamo così la Trinità di Rublev, tuttavia l’icona in questa forma ci è stata consegnata soltanto dopo la rivoluzione d'ottobre. Vi faccio vedere delle immagini che forse non avete mai visto; è difficile da credere, assuefatti come siamo dall’immagine visibile in tutti i libri sulle icone, ma i restauratori nel 1917 la Trinità l'hanno trovata in questa forma. Era custodita in una Riza, quando è stata scoperta al di sotto c'era un modello ridipinto molte volte, si dice ridipinta fino a sette volte. Osservandola si coglie una grande dipendenza dalla scuola veneziana. Dopo la pulitura ci è stata riconsegnata la Trinità originale, quella conosciuta oggi e 6 all’unanimità, come “la cosiddetta Trinità di Rublev”, Questo modello noi lo riconosciamo in questa forma -in realtà- da ottant’anni soltanto: vi dico questo perché, la critica storico artistica sulle icone è una scienza recente e tante cose non le sappiamo perché spesso siamo riempiti di luoghi comuni ed è giusto che in questo intervento ci sia un po' di erudizione e che tocchiamo con mano il percorso cui sono andati soggetti questi modelli. La Trinità a dunque subito diversi rimaneggiamenti ed è stata ricorperta da una preziosa Riza dorata e tempestata di perle preziose. [10] Aggiungo, a mò di conclusione, un schizzo realizzato con Photoshop per dare voce a questa domanda: che cosa vorrebbe esprimere ultimamente questa icona di Andrej Rublev? Alcune cose le ho già indicate: i tre angeli sono le tre Persone divine e quindi il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo che a loro volta sono supportate da questi simboli: il tempio, l'albero della vita, la roccia da cui scaturisce lo Spirito, al di sotto la celebrazione dell'altare. Soprattutto l’icona sembra rispondere a questa domanda: che cos'è Dio in sé stesso, e che cos'è l’uomo pensato in relazione con lui? E' questo il significato più profondo adombrato nelle due coppe: mentre l'uomo, cioè Abramo, ha messo nella coppa piccola, quella che sta sull'altare, tutto quello che aveva di meglio da presentare a Dio, cioè il suo vitello grasso; il Padre ha messo in una coppa ben più grande di quella che ha presentato Abramo tutto quello che aveva cioè suo Figlio. Come potete vedere dal disegno, infatti, c'è una grande coppa iscritta fra il Padre e lo Spirito che contiene la figura di Gesù Cristo. Allora probabilmente il significato più profondo di questa icona sembrerebbe essere un significato di tipo eucaristico, cioè riassume fondamentalmente tutto il sacrificio della celebrazione eucaristica. Nel sacrificio eucaristico infatti, l'uomo dà tutto ciò che ha a Dio, presentando i doni della terra e frutto del suo lavoro (ed è una evocazione del Passo di Mc 6, la moltiplicazione dei pani), ma in realtà questa coppa pur rappresentando il massimo delle possibilità date all’uomo resta, tuttavia, una cosa molto piccola. Tuttavia, nella logica di questa icona il sacrificio di sé dell'uomo, presentato sull'Altare, trova come risposta un sacrificio ben più pieno e totale in cui Dio dà il proprio Figlio come cibo e nutrimento per noi uomini.[11] Il significato è profondissimo e non soltanto teologico, cioè non soltanto “mentalespeculativo” poiché adombra un significato ulteriore che è profondamente radicato nella celebrazione liturgica. Questa chiave di lettura centrata sull’analogia dei due sacrifici è una delle interpretazioni più pregnanti e convincenti a cui i grandi commentatori iconografi dell'ultimo secolo arrivano ad accordare a questa immagine. Se leggiamo infatti alcune pubblicazioni, pertinenti l’argomento, a partire da Daniel Ange ed altri autori che si sono occupati di accordare una posizione teologica al soggetto iconografico della Trinità, sembra che l’interpretazione più profonda per questo modello sia proprio l'interpretazione eucaristica, cioè ed ultimamente, l’analogia delle due coppe: la piccola coppa (visibile) che contiene il vitello grasso che Abramo offre a tre visitatori, e la della grande coppa (invisibile) che contiene il Figlio. Tale analogia, come avevo evidenziato in precedenza, sottolinea la singolare economia dei due sacrifici, dell’uomo e di Dio, di cui l’ultimo è incommensurabilmente maggiore del primo. 7 2a Immagini non canoniche Nel periodo storico che va sotto il nome di “periodo aureo moscovita”, (Andrej Rublev ha dipinto questa immagine fra il 1427 e il 1429) le rappresentazioni della Trinità erano multiformi: alcuni iconografi contemporanei di Rublev, ad esempio, erano rimasti tradizionalmente legati al modello classico della Trinità cosiddetta dell'Antico Testamento e continuavano a rappresentare questo soggetto inserendo Abramo e Sara nella composizione e riaffermavano un’intenzione di tipo storiconarrativo. Altri iconografi la rappresentavano in modo teologico, seguendo la lezione di Andrej Rublev; altri iconografi infine, attraverso quelle immagini della Trinità cosiddette “non canoniche”. Le immagini “non canoniche” derivano fondamentalmente da una peculiare interpretazione in cui si rappresentava il Padre e il Figlio seduti in trono e che, amministrano e governano la creazione mentre al di sopra delle loro figure viene indicata la presenza dello Spirito Santo, identificato attraverso il simbolo della colomba. In questa icona ad esempio, il Padre tiene in braccio il Figlio che a sua volta porta in grembo la mandorla con all’interno lo Spirito Santo; queste immagini derivano da un influsso occidentale. Sappiamo che c'è sempre stata una sorta di “porta aperta” fra la pittura veneziana e la pittura russa, per cui si sono trovati in Russia e anche ai tempi di Andrej Rublev ad avere tanti pittori che sotto l'influsso della pittura italiana rappresentavano la Trinità in questo modo. [12] In seguito cercherò di mostrarvi che in occidente una rappresentazione di questo tipo può essere congrua, perché si è elaborata una peculiare teologia dell'immagine, mentre in oriente si è elaborato un diverso statuto dell’immagine (rispondente in senso stretto alle definizioni date nel secondo Concilio di Nicea del 787), per cui alcune icone sono ritenute incompatibili e non canoniche. Per paradosso, quindi, la stessa immagine in una tradizione può esistere e la stessa immagine in una tradizione diversa viene condannata come non canonica. Il Concilio dei Cento Capitoli nel 1551 a Mosca, ad un certo punto ha dovuto dare una disciplina perché era stato suscitato questo problema: si percepiva che le Trinità cosiddette “non canoniche” (che venivano chiamate impropriamente “Trinità del Nuovo Testamento”) non rappresentavano adeguatamente il Mistero delle tre Persone nell’unica natura. il Concilio moscovita, prende posizione riguarda a queste icone ed afferma che questi soggetti della Trinità (cioè Trinità “non economiche”) che rappresentano il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo senza riferimento storiconarrativo quanto piuttosto di tipo essenzialista-teoretico sono da condannare perché non sono rivelatrici in maniera esaustiva del mistero di Dio. Sono da condannare, da togliere alla venerazione pubblica, e viene consegnata –conclusivamente- la Trinità di Rublev quale modello canonico. Il Concilio si spinge ancora più avanti ed arriva a designare questo modello con il titolo di “icona delle icone” quale modello ideale per rappresentare il Mistero della Trinità. Andrej Rublev che l'ha concepita, anche grazie ad un cammino di santità personale è considerato l'iconografo ispiratore di tutti gli altri iconografi. All’interno della tradizione l’immagine della Trinità di Rublev, è servita di conseguenza come modello “canonico” che fissa e indica i criteri per una rappresentazione consona al Mistero, mentre, le altre icone (cosiddette del Nuovo Testamento) sono state condannate perché ritenute “non canoniche”. 8 3) Tradizione Occidentale All’interno tradizione Occidentale considero alcune immagini singolari e “ardite”. Come iconografi ci siamo abituati alle rappresentazioni della Trinità come quella di Andrej Rublev, queste immagini orientali di cui ci siamo già riempiti gli occhi, su cui abbiamo riposato i nostri sguardi e la nostra riflessione spirituale. Tuttavia in occidente, ad esempio nel XIV secolo, la Trinità veniva comunemente rappresentata con queste peculiarità: il Padre che tiene nelle sue braccia il Figlio crocifisso con l'effusione dello Spirito Santo. [13] Segue una rappresentazione diversa, ancora più interessante, perché in questo dipinto viene rappresentata oltre al Padre, al Figlio, e alla colomba anche la Madre di Dio che viene incoronata: di fatto rappresentazioni di questo tipo sono dipinte con grande libertà da parte dei pittori nella tradizione occidentale. Il Maestro di Flémalle nel XV secolo ha rappresentato la Santa Trinità in maniera così fisica da sembrare un po' inquietante, le figure sono ritratte a monocromo, ma vedete comunque la tipologia classica che si ripropone: il Padre, il Figlio, e la colomba dello Spirito Santo, che si posa sulla spalla di Cristo. Altri modelli coevi rappresentano il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo: questi artisti dipingono indicativamente nello stesso periodo in cui Andrej Rublev ha dipinto la sua Trinità. Si può constatare che in questo periodo c'è una grandissima divaricazione fra le due tradizioni, in seguito cercherò di spiegarne il motivo e cercherò di rivalutare la tradizione occidentale che non è soltanto una tradizione deteriore, come forse troppo sbrigativamente alcuni affermano. Se si è dipinto in questa maniera c'è un suo motivo: se osserviamo il contesto, cioè se ci chiediamo dove venivano collocate queste immagini ci accorgiamo che hanno sempre dato un profondo nutrimento spirituale al popolo di Dio che le venerava. Osservando altre immagini del periodo si constata che le tipologie rappresentative si ripetono: un angelo sorregge il Cristo in piedi e il Padre lo benedice in questo dipinto di un artista ungherese sempre nel XV secolo: il Padre, il Figlio e la colomba sopra di loro. Potrei indicare centinaia di immagini all’interno della tradizione occidentale, ma non mi interessa più di tanto soffermarmi sulle singole immagini: vorrei al contrario, comunicare un concetto, che avevo già evidenziato in precedenza: diversi artisti, in diversi periodi ripetono sempre lo stesso stilema, e questo significa che c'è una forte tradizione, come in Oriente c'è un'immagine iconografica che risponde ad una tipologia ben definita, altrettanto in Occidente c'è una diversa tipologia, tuttavia entrambe attestano della presenza di due tradizioni molto forti. Circa 70 anni dopo la Trinità di Rublev, viene dipinta la stanza della Segnatura nei palazzi vaticani. Osservando uno degli affreschi, cioè la disputa sul Santissimo Sacramento possiamo osservare come Raffaello dipinga la Trinità. Sembra davvero distante dalle icone, ma potremmo considerare, paradossalmente, a come siamo vicini all’interpretazione tipologica alla Trinità di Rublev. [15] Se le osservazioni sono corrette, si può concordare dicendo che assomiglino nei contenuti, perché il Padre manda il Figlio nello Spirito Santo e nel riquadro sottostante c'è l'adorazione del Santissimo Sacramento sull'Altare; si deduce che quando la rappresentazione della Trinità, anche in occidente, inizia molto spesso a non fermarsi su rappresentazioni di tipo manieristico come abbiamo visto prima, (indugiare su una certa corporeità, indugiare su una certa direi impressività dell'immagine), ma si va a cercare il significato vero e reale della Trinità e che cos'è la Trinità per noi oggi nel Mistero di Dio, si arriva a concetti e tipologie molto simili fra la tradizione d'oriente e d'occidente. Aggiungerei altre immagini della tradizione occidentale: Tiziano, e Ludovico Carracci: ad esempio, rappresentano il Padre che sostiene il Figlio con lo Spirito al di sopra, lo stesso potremmo vedere nella pittura dei fiamminghi. A volte si è arrivati a interpretazioni al limite della plausibilità. Ad esempio in un dipinto di Grebber Pieter del 1645 il Padre indossa gli abiti papali e indossa la Tiara mentre tiene il mondo in mano, sotto di lui a destra il Figlio, vestito come colui che è stato flagellato ed è stato rivestito della porpora. E’ un Cristo re ma raffigurato come servo e sopra entrambi c'è la colomba dello Spirito Santo. 9 Il dipinto di Murillo al contrario è molto interessante, molto bello:[16] il Padre, lo Spirito, il bambino e la Sacra famiglia di Nazareth, qui c'è tutto un discorso sulle famiglie. In occidente si dipingono rielaborazioni dell’icona della Trinità, che è stata spesso presentata in proprio come già la presentava Murillo: la famiglia di Dio (la Trinità) sopra e sotto la rappresentazione della Sacra famiglia di Nazareth. Per esempio c'è un'icona molto famosa di un iconografa italiana contemporanea, Lia Galdiolo che rappresenta le due Trinità in questo modo, cioè la famiglia di Nazareth e la famiglia celeste del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Altre tipologie le potremmo cogliere in Tiepolo e Maulbertsch: il Padre, il Figlio e lo Spirito al di sopra che appaiono fra ampi squarci di cieli che si aprono collocati nelle volte delle chiese. Potremmo indubbiamente andare avanti all'infinito. presentando le diverse sfumature con cui è stata rappresentata la Trinità nella tradizione occidentale. 3a. Una lettera tipologica: Mons. Timothy Verdon Non intendo proseguire oltre nell’analisi dei dettagli, mentre desidero fermarmi su di una lettura tipologica della rappresentazione della Trinità in occidente che traggo da un testo di Monsignor Timothy Verdon. L’interpretazione iconografica della tradizione occidentale deve molto all’opera di Monsignor Verdon, un professore di origine americana del New Jersey, che ha studiato a Firenze fin dalla giovinezza ed è poi diventato professore di storia dell'arte, ha insegnato all'università di quella città per trent’anni occupandosi della pittura italiana come esperto del Rinascimento. In età matura è stato ordinato Sacerdote cattolico. Al culmine della sua competenza di studioso ha incontrato la tradizione teologica e sembra averla messa in contatto con la sua erudizione di storico dell'arte. Ne è uscita una lettura interessantissima che era stata praticamente perduta nella nostra tradizione, così dipendente dalle critiche del Vasari e più recentemente del Longhi; cioè quell'idea secondo cui la nostra tradizione occidentale potesse custodire una teologia molto più profonda di quanto non si creda, quando interpretava le immagini. Verdon ha proposto questa intuizione in opere molto importanti, in particolare il primo libro che ha scritto per la prestigiosa casa editrice italiana Mondadori dal titolo: “L'arte sacra in Italia” ed è andato esaurito velocemente. Attualmente ne esiste una versione in tre volumi chiamata allo stesso modo: ciò che vi dirò è contenuto all’interno del secondo volume che si chiama “Il Rinascimento” edito sempre in Italia, dalle edizioni Paoline7. Mi soffermo su di un’interpretazione teologico-tipologica data da Monsignor Verdon di un'immagine molto famosa: l’affresco della Trinità dipinta da Masaccio custodita nella Basilica di Santa Maria Novella a Firenze. [17] La descrivo per sommi capi: al di sotto c'è una tomba con uno scheletro, sopra ci sono due committenti, quelli che hanno pagato l'opera, sopra ancora ci sono Maria e Giovanni, sopra ancora il Padre che tiene nelle proprie braccia il Figlio morto e più in alto lo Spirito Santo nel simbolo della colomba. Manca una cosa molto importante che è stata tolta probabilmente dopo il Concilio Vaticano II, in questa cappella d'altare, vi era una sporgenza in marmo sorretta da colonne. Quella sarebbe la base dell'altare a muro: prima del Concilio si celebrava di spalle al popolo; allora questa è una cappella di famiglia fatta erigere dai donatori in cui veniva celebrata l'Eucarestia. Inoltre è una cappella laterale della Basilica di Santa Maria Novella, e vi se consideriamo la sua collocazione nella navata di sinistra, si capiscono molte cose. Se noi entrassimo oggi nella Basilica di Santa Maria Novella per la porta centrale la vedremmo così: in fondo vediamo il crocifisso e l'altare maggiore [18], nella navate scorgiamo innumerevoli altari per le celebrazioni private risalenti al XV secolo. Non conosco opere di questo autore tradotte in altre lingue. Per l’italiano cfr il link: http://www.ibs.it/libri/verdon+timothy/libri+di+timothy+verdon.html 7 10 Sembra però che i fedeli, in quel periodo, non entrassero comunemente dal portale centrale. Se facciamo uno sforzo di immaginazione e pensiamo di entrare nella Basilica come entravano i fiorentini al tempo di Masaccio (cioè nel 1430) vedremo uno scenario molto diverso. Da dove entravano i fedeli in Santa Maria Novella a quei tempi? Non dalla porta centrale: piuttosto entravano dalla porta laterale dove c'è il Camposanto. Entravano da un ingresso adiacente la Basilica, quindi entravano nel piccolo Camposanto, facevano una visita ai loro morti e poi entravano in chiesa. Lo stesso impianto introitale lo osserviamo attualmente, ad esempio, nelle chiese del Tirolo ad esempio, dove non sono stati applicati gli editti napoleonici. Con un importante editto del 1806, infatti, Napoleone ha sancito l’obbligo di spostare tutti i cimiteri dalla prossimità delle chiese ad una collocazione lontana per motivi medici, e quindi dove non è stato applicato questo editto la tipologia resta spesso quella antica. Per esempio a tutt’oggi le chiese del Tirolo hanno conservato questo impianto: vicino alla chiesa c'è il cimitero. Tuttavia questo è un impianto tipico nel medioevo: qui vedete Piazza dei Miracoli a Pisa con il battistero, la Cattedrale e di fianco il Camposanto (bombardato e ricostruito dopo la seconda guerra mondiale). [19] Questo discorso è funzionale ad una acquisizione importante. Nel XV secolo il fedele accede al luogo di culto, (cioè la chiesa) attraverso un passaggio per il cimitero e una memoria dei propri morti, e quando entra in chiesa, e si trova di fronte (come prima cosa visibile) proprio la Trinità dipinta da Masaccio e al di sotto l’Altare con lo scheletro. Cioè, se uno entra per il Camposanto e successivamente dalla porta laterale di Santa Maria Novella, la prima cosa che vede non è il crocifisso o l'Altare maggiore ma è questa Cappella, e deve riflettere su questo soggetto -la Trinità- ricordando la memoria dei propri morti. Fermando l’attenzione sotto l'altare trova lo scheletro con su una scritta in Volgare che traduco, dice: “Io fui già ciò che voi siete, e quel che son, voi lo sarete”. “Una volta ero vivo anch’io e tutti voi che ora siete in vita, diverrete uno scheletro come me”. E’ un discorso sul memento mori. E’ notevole la potenza creata da questo intreccio di immagini; questi fiorentini del 1430 sono andati al cimitero, hanno fatto visita ai loro morti (quindi hanno ricordato la morte dei loro cari), lo scheletro gli ricorda che tutti noi siamo mortali, cioè che la morte è una cosa da prendere sul serio, non è qualcosa che riguarda solo i loro parenti, è una cosa che riguarda tutti noi esseri umani. Quale messaggio adombra questo percorso catechistico? Questo sembrerebbe il messaggio: in questa casa nella quale i fiorentini entrano, Santa Maria Novella, il Padrone di casa (Dio) conosce molto bene il tema della morte e della morte di un figlio unico, perché egli tiene fra le sue braccia il proprio Figlio che è morto a causa dei nostri peccati. Scorgiamo immediatamente la riflessione teologica che si innesta e la potenza evocativa che contiene. Il fedele entra triste e rattristato dal fatto che sa che deve morire, dal fatto che i propri cari sono morti, e sotto l’immagine della Trinità riceve un annuncio dove gli si dice che il Padre comprende molto bene il dolore di tutti noi uomini, perché lui più di tutti gli altri comprende questa cosa in quanto ha avuto il proprio Figlio messo a morte da noi a causa dei nostri peccati. Poi il livello si alza ulteriormente e si intravvede questo messaggio: come egli è in grado di accogliere il proprio Figlio fra le sue braccia, altrettanto può accogliere noi nello stesso abbraccio. Infatti, quando noi diciamo che la vita cristiana è diventare figli nel Figlio diciamo proprio questo: noi veniamo accolti dall'abbraccio di un Padre che ci accoglie nella sua stessa famiglia. Vedete come queste immagini che sembravano così banali e senza significato, se le collochiamo all'interno del loro significato originario hanno una grandissima forza. [20] Per cui a che conclusione arrivo? Al solito pensiero che il Papa Giovanni Paolo II ci ha consegnato nella lettera Enciclica Orientale Lumen nel 1995, ed alla famosa frase “imparare a respirare a due polmoni”, cioè riconsiderare le tradizioni d’oriente e d’occidente in una visione d’insieme. Cerchiamo di tenere vicine due immagini apparentemente così distanti: la Trinità di Masaccio -la tradizione italiana- con la Trinità di Rublev -la tradizione russa-, in realtà abbiamo nient'altro che questa vera differenza: cioè una diversa lettura dell'immagine. Gli Orientali sono tuttora legati in maniera molto forte al Concilio di Nicea 11 II secondo cui l'immagine è una finestra che rimanda alle realtà invisibili e c'è una partecipazione fra la realtà celeste che è il Prototipo e quello che viene rappresentato nell'immagine (Icona). Si può capire immediatamente che secondo la tradizione orientale un'immagine deve essere molto ben codificata perché l'immagine partecipa della realtà celeste invisibile, quindi deve avere un codice molto stretto quando rappresenta una teologia o un concetto teologico. In Occidente abbiamo perso questa concezione peculiare dell'immagine: io continuo ad essere convinto che il grande passaggio è avvenuto nel Concilio Lateranense IV del 1215 dove sono state assunte le categorie della Metafisica di Aristotele e laddove, soprattutto, è stata applicata all'Eucarestia la categoria di transustanziazione, cui segue l’istituzione della festa del Corpus Domini del 1264. Si è voluto venerare (adorare) la visione dell'Eucarestia: tutta l'attenzione alla partecipazione al Mistero si è legata progressivamente al Sacramento per eccellenza che è l'Eucarestia. Di conseguenza, in Occidente, le immagini sono scese ad un secondo piano come tutti gli altri sacramentali e sono diventate di tipo allegorico o narrativo. Se questa tesi ha un fondo di verità, ci aiuta a capire per quale motivo per ritrovare la teologia profonda delle immagini “all’occidentale” dobbiamo sempre rifarci ad un concetto molto più ampio che è quello del senso della fede del popolo, della tradizione della chiesa che insegna una particolare teologia, e soprattutto quello del popolo di Dio che partecipa ai santi misteri. Se dimentichiamo questo apparato molto più complesso che c'è nella Chiesa d'occidente iniziamo a dire cose superficiali e i soliti luoghi comuni secondo cui queste immagini sono povere di contenuti al contrario di quelle orientali sono sarebbero molto ricche. Il mio obiettivo, appunto era mostrar come, attraverso questo piccolo saggio di lettura, le immagini della tradizione occidentale, in realtà, hanno tantissimo da dirci se le conosciamo al di fuori dei luoghi comuni. Questo era per dire che queste due immagini della Trinità (Rublev e Masaccio) sembrano in realtà così lontane, così inassimilabili, però in realtà dobbiamo riabituarci a respirare a “due polmoni”, per restituire verità alle immagini e riappropriarci di una corretta ermeneutica. 12