Una manovra con deficit liberale se non parte la riforma dello Stato

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Una manovra con deficit liberale se non parte la riforma dello Stato
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IDEE & OPINIONI CAMBIAMENTI
Una manovra con deficit liberale se non parte la riforma dello Stato
C' è solo un modo, ora, per questo governo di tecnici, di mostrare di non essere un governicchio come tutti i governi politici che l' hanno preceduto. Dopo aver
presentato la manovra fiscale - che fa fronte, nell' immediato, all' emergenza - formulare un piano «a tappe», e da realizzarsi entro un ragionevole lasso di
tempo, di radicale riforma dello Stato. Aver chiesto altro sangue ai cittadini, senza alcuna prospettiva di cambiamento, sarebbe la riproposizione della regola
che ha guidato la politica finora: cambiare qualcosa, sempre sulla pelle della gente, affinché nulla cambi. Per ridurre la spesa e la pressione fiscale, e facilitare
la crescita occorre mettere mano ad alcune cose. La Funzione pubblica, legislativamente e burocraticamente sovradimensionata, su quattro livelli
amministrativi - Stato, Regioni, Province, Comuni, che generano complicazioni, inefficienze, sprechi, corruzione - cancellando le Province (cosa in parte già
programmata); la Giustizia civile (lenta e inadeguata), penale (lunatica), amministrativa (di nessuna tutela per il cittadino); le relazioni industriali; il valore
legale del titolo di studio e il corporativismo sociale, incarnato dagli Ordini professionali; il diritto societario e la natura (anomala) del capitalismo e del
mercato nazionali. A tutt' oggi, Monti e i suoi ministri hanno dato prova di un certo delirio di onnipotenza che neppure le lacrime del ministro del welfare , Elsa
Fornero - uno sprazzo di umanità di fronte all' indecoroso blocco della perequazione delle pensioni al costo della vita - ha attenuato. L' imposizione di una
(ulteriore) tassa dell' 1,5 per cento sui capitali scudati non è un segno di equità e di giustizia fiscale, ma un colpo alla certezza del diritto e alla credibilità dello
Stato di diritto; che aveva fatto un patto con alcuni suoi cittadini - per il rientro di capitali esportati in cambio di una (lieve) tassazione - e ora si rimangia,
contravvenendo al principio pacta sunt servanda . La riforma della previdenza sociale, da retributiva (e a ripartizione) a contributiva, è una delle (poche) cose
liberali finora annunciate. Ma rivela una contraddizione. Da un lato, prescrive che tutti i lavoratori passino al contributivo; dall' altro, impone loro una data
per andare in pensione (come prevedeva il sistema retributivo). Il contributivo - che raccorda la pensione percepita ai contributi personalmente versati dovrebbe consentire al lavoratore di decidere autonomamente quando smettere di lavorare sulla base delle proprie aspettative di pensione rispetto ai
contributi versati. La fissazione di un termine per andare in pensione o è un residuo del sistema retributivo - che, di fatto, ne perpetua il carattere
redistributivo - o è un ossimoro. Altra contraddizione da sanare, dopo la (re)introduzione della tassa su una casa che spesso il contribuente sta ancora pagando
con un mutuo a lunga scadenza. Recita l' art. 47 della Costituzione: «La Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme; disciplina, coordina e
controlla l' esercizio del credito. Favorisce l' accesso del risparmio popolare alla proprietà dell' abitazione, alla proprietà diretta coltivatrice e al diretto e
indiretto investimento azionario nei grandi complessi produttivi del Paese». In una «società aperta» non c' è bisogno che lo Stato «favorisca l' accesso del
risparmio» agli investimenti; il risparmio ci va da solo, quando e come vuole, non si aspetta altri «incoraggiamenti» se non quelli del mercato. Una
Costituzione che subordina l' iniziativa privata «ai fini sociali» (art. 41) e assegna alla proprietà una «funzione sociale» (art. 42) o è condannata a essere
disattesa o è fonte di continui equivoci e contraddizioni che la politica cerca di sanare con criteri spesso incoerenti e eccessiva discrezionalità. Più che di
riformare la Costituzione, si tratta di ripensare criticamente la cultura politica, statalista, dirigista e populista che l' ha generata. Ma le premesse non sono
incoraggianti. Gli entusiasmi con i quali era stato accolto il governo tecnico e, ora, le (tiepide) reazioni di gran parte dei partiti e dei media alla «stangata»
riflettono, invece, più che la capacità critica di una matura democrazia liberale, una provinciale soggezione alla (personale) autorevolezza del presidente del
Consiglio e alla (supposta) competenza tecnica dei suoi ministri. Allo stato delle cose, non mi è parso, perciò, irriverente, nei confronti del presidente del
Consiglio che è uomo di provata fede democratica, immaginare una scena già vista. Il sobrio professor Monti a petto nudo, in cima a una trebbiatrice, fra
contadini al lavoro, celebrato da una folla di italiani osannanti. Qualsiasi riferimento a un lontano (e irripetibile) passato e al mai sopito vizio nazionale di
tradurre le vicende della politica in retorica è voluto. [email protected] RIPRODUZIONE RISERVAT A
Ostellino Piero
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(7 dicem bre 2 01 1 ) - Corriere della Sera
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