Il problema delle estensioni e la coomologia dei gruppi

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Il problema delle estensioni e la coomologia dei gruppi
Università degli studi di Pavia
Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali
Corso di Laurea in Matematica
Tesi di Laurea di
Francesco Genovese
Il problema delle estensioni e la
coomologia dei gruppi
Relatore
Prof. Ludovico Pernazza
Anno Accademico 2008-2009
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Introduzione
Una delle problematiche principali in teoria dei gruppi è il cosiddetto problema delle estensioni, che può sostanzialmente essere formulato come segue:
dati due gruppi K e H, determinare tutti i gruppi G (“estensioni di K mediante H”) che contengono un sottogruppo normale isomorfo a K tale che il
quoziente sia isomorfo a H. Il matematico austriaco Otto Schreier dimostrò
nel 1926 un teorema che fornisce una classificazione delle estensioni di un
gruppo abeliano a meno di una certa relazione di equivalenza. Tale relazione di equivalenza risulta essere in generale più restrittiva della relazione
di isomorfismo, e ad oggi non è ancora conosciuta una classificazione delle
classi di isomorfismo delle estensioni di un dato gruppo.
La classificazione di Schreier delle estensioni di un gruppo abeliano A
mediante un gruppo π è fatta attraverso classi di equivalenza di particolari
funzioni π × π → A dette sistemi di fattori. D’altra parte, gli anni ’40 e
’50 del ’900 videro il forte sviluppo delle teorie (co)omologiche, in algebra
e in topologia. Gli algebristi di allora introdussero in termini generali la
coomologia dei gruppi : ad un dato gruppo viene associata una successione
di gruppi abeliani H i (i ∈ N) detti gruppi di coomologia, e vengono studiate
le proprietà di questi ultimi.
Il fatto interessante è che le classi di equivalenza delle funzioni π ×π → A
sfruttate da Schreier nel suo teorema di classificazione si rivelano essere
esattamente gli elementi del secondo gruppo di coomologia H 2 . Anche il
primo gruppo di coomologia H 1 si rivela essere esattamente il gruppo delle
classi di equivalenza di omomorfismi crociati da π ad A, introdotti – come
per i sistemi di fattori – precedentemente allo sviluppo della coomologia dei
gruppi, e utili nello studio dei prodotti semidiretti.
In questa tesi, studiamo il problema delle estensioni e sviluppiamo la
coomologia dei gruppi come strumento teorico per affrontarlo. Quest’ultima
viene presentata in termini “concreti”; tale approccio non ci permette di
sfruttare la potenza dei metodi più avanzati di algebra omologica, tuttavia
ha il pregio di essere più immediato nelle applicazioni di teoria dei gruppi,
sulle quali concentriamo il nostro interesse.
Nel primo capitolo sviluppiamo la teoria dei gruppi che viene utilizzata
nel seguito, e introduciamo formalmente il problema delle estensioni. Nel
secondo capitolo dimostriamo due importanti teoremi di classificazione: il
iii
iv
INTRODUZIONE
primo riguarda i prodotti semidiretti, il secondo è proprio il teorema di
Schreier sulle estensioni; tale classificazioni sono collegate rispettivamente
ai gruppi H 1 e H 2 , che vengono introdotti e calcolati in qualche caso particolare. Nel terzo e ultimo capitolo diamo un cenno sulla teoria generale della
coomologia dei gruppi, definendo i gruppi H n e mostrando qualche risultato
basilare che collega tale coomologia alle teorie coomologiche generali; infine,
accenniamo al calcolo della coomologia di alcune classi di gruppi finiti.
Capitolo 1
Complementi di teoria dei
gruppi
1.1
Azioni di gruppo
Diamo qualche cenno sulle azioni di gruppo, le quali compariranno in modo
ubiquitario in questa tesi. Salvo diversamente specificato, denotiamo con 1
l’elemento neutro di un gruppo in notazione moltiplicativa, con 0 l’elemento
neutro di un gruppo in notazione additiva; utilizzeremo sistematicamente
quest’ultima quando avremo a che fare con gruppi abeliani.
Definizione 1.1. Sia G un gruppo, S un insieme non vuoto. Un’azione
(sinistra) di G su S è una funzione G × S → S : (g, s) 7→ gs tale che, per
ogni s ∈ S, g, h ∈ G:
gh
s = g(hs),
(1.1)
1
(1.2)
s = s.
Un G–insieme è il dato di un insieme S e di un’azione di G su S.
Nota 1.2. Per amor di brevità, diremo semplicemente che “G agisce su S”
e che “S è un G–insieme”, intendendo che vengono fissati S e un’azione di
G su S.
Inoltre, La notazione gs per indicare l’immagine di (g, s) tramite un’azione di G su S sarà utilizzata sistematicamente, salvo ove diversamente
specificato.
Per ogni g ∈ G, definiamo la mappa ϕg : S → S mediante la formula
ϕg (s) = gs. ϕg è una bigezione dell’insieme S in sé, infatti è facile dimostrare
che ϕg−1 è la sua inversa, grazie alle (1.1) e (1.2). È noto che le bigezioni di
S in sé formano un gruppo con l’operazione di composizione; tale gruppo è
denotato Perm(S).
1
2
CAPITOLO 1. COMPLEMENTI DI TEORIA DEI GRUPPI
Ora, se consideriamo la mappa ϕ : G → Perm(S) tale che g 7→ ϕg , otteniamo un omomorfismo di gruppi (sempre grazie alla (1.1) e (1.2)). Viceversa, dato un qualunque omomorfismo di gruppi ϕ : G → Perm(S) : g 7→ ϕg , si
può dimostrare che definendo una mappa G×S → S mediante (g, s) 7→ ϕg (s)
si ottiene un’azione (sinistra) di G su S. Più nello specifico, vale il seguente
risultato.
Proposizione 1.3. Dati G un gruppo e S un insieme non vuoto, le azioni
(sinistre) di G su S sono in corrispondenza biunivoca con gli omomorfismi
di gruppo G → Perm(S).
La corrispondenza è ottenuta nel modo descritto sopra. Forti di tale
risultato, nel seguito della tesi non faremo più alcuna distinzione sostanziale
tra azioni (sinistre) di G su S e omomorfismi G → Perm(S).
Nota 1.4. È possibile definire in modo analogo le azioni destre. Ne risulta
una teoria del tutto speculare a quella sviluppata con le azioni sinistre. In
questa tesi opereremo quasi esclusivamente con azioni sinistre, e d’ora in poi
il termine “azione” indicherà sempre un’azione sinistra, salvo diversamente
specificato.
1.1.1
Azioni di gruppi su gruppi; coniugio
Siano G, H gruppi, e supponiamo che G agisca su H, quest’ultimo visto come
insieme. Abbiamo dunque un omomorfismo di gruppi ϕ : G → Perm(H) :
g 7→ ϕg . Inoltre, poiché H è un gruppo, possiamo richiedere in aggiunta che,
per ogni g ∈ G, ϕg sia un omomorfismo di H in sé stesso; questo chiaramente
implica che ϕg sia di fatto un automorfismo di H. In tal caso, troviamo un
omomorfismo di gruppi (denotato con lo stesso simbolo) ϕ : G → Aut(H),
ove Aut(H) denota il gruppo degli automorfismi di H. Diamo allora la
seguente definizione.
Definizione 1.5. Un G–gruppo è il dato di un gruppo H e di un omomorfismo ϕ : G → Aut(H). Se il gruppo H è abeliano, usiamo il termine
G–modulo.
Nota 1.6. Per brevità, diremo semplicemente “H è un G–gruppo” o “H è
un G–modulo”, sottintendendo la dipendenza dall’omomorfismo ϕ : G →
Aut(H).
Osservazione 1.7. Grazie alla Proposizione 1.3, possiamo dimostrare che gli
omomorfismi G → Aut(H) sono in corrispondenza biunivoca con le azioni
del gruppo G su H (quest’ultimo visto come insieme) tali che, per ogni
g ∈ G, la mappa h 7→ gh è un omomorfismo di H in sé stesso – e quindi un
automorfismo di H. Dunque, nel seguito, con le espressioni “il gruppo G
agisce sul gruppo H” e “azione di G su H” intenderemo sistematicamente
che H sia un G–gruppo; inoltre, non faremo alcuna distinzione sostanziale
tra le azioni di G su H e gli omomorfismi G → Aut(H).
1.2. PRODOTTI SEMIDIRETTI
3
Osservazione 1.8. Nel caso in cui H sia un G–modulo (ϕ : g 7→ ϕg l’omomorfismo che lo definisce), la notazione ϕg (h) = gh è particolarmente espressiva.
Infatti, le proprietà di omomorfismo di ϕg (g ∈ G) si scrivono nel seguente
modo:
g
(h1 + h2 ) = gh1 + gh2 ,
g
(−h) = −gh.
È interessante notare un’analogia formale tra queste uguaglianze e le proprietà del prodotto per scalare in un qualsiasi spazio vettoriale o modulo.
Descriviamo ora un esempio fondamentale. Se G è un gruppo, definiamo
una funzione c : G → Aut(G) : g 7→ cg tale che per ogni g ∈ G, h ∈ G,
cg (h) = ghg −1 . Si può dimostrare che effettivamente cg è un automorfismo
di G per ogni g, e che c è un omomorfismo di gruppi.
Definizione 1.9. L’azione di G su sé stesso data dall’omomorfismo c è
detta coniugio. L’immagine di c è un sottogruppo di Aut(G) denotato con
Inn(G) e detto gruppo degli automorfismi interni di G.
Osservazione 1.10. Per ogni g ∈ G e per ogni H sottogruppo di G, abbiamo
che cg (H) = gHg −1 è ancora un sottogruppo di G. In generale, dati due
sottogruppi H e K di G, diciamo che H è coniugato a K se esiste g ∈ G
tale che K = gHg −1 . È facile dimostrare che il coniugio è una relazione di
equivalenza nell’insieme dei sottogruppi di G, e che la classe di equivalenza
di un dato H ≤ G è l’insieme {gHg −1 : g ∈ G}; tale classe di equivalenza è
detta classe di coniugio di H, e denotata con Cl(H).
Osservazione 1.11. Sia G un gruppo e sia K un sottogruppo normale di G.
Questo equivale ad affermare che, per ogni g ∈ G, gKg −1 = K; in altri termini, che cg (K) = K per ogni g ∈ G. Ma allora possiamo “restringere” l’azione
di coniugio c e ottenere un’azione c|K : G → Aut(K) : g 7→ (cg )|K . Anche
questa azione è detta coniugio; quando non vi sarà ambiguità, scriveremo
semplicemente c al posto di c|K .
1.2
Prodotti semidiretti
Esponiamo una costruzione in teoria dei gruppi che generalizza il ben noto
prodotto diretto.
Definizione 1.12. Sia G un gruppo, siano K e H sottogruppi di G. Diciamo
che G è il prodotto semidiretto interno di K e H se:
G = KH = {kh : k ∈ K, h ∈ H},
(1.3)
K è normale in G,
(1.4)
K ∩ H = {1}.
(1.5)
4
CAPITOLO 1. COMPLEMENTI DI TEORIA DEI GRUPPI
Dalla condizione (1.5) deduciamo in particolare che ogni g ∈ G si scrive
in modo unico come prodotto g = kh, con k ∈ K e h ∈ H. Notiamo che
il prodotto diretto interno di due sottogruppi di G è il caso particolare di
prodotto semidiretto interno nel quale richiediamo per entrambi la normalità
in G.
La normalità di K in G implica senz’altro che H agisce su K mediante
il coniugio c : H → Aut(K) (si veda l’Osservazione 1.11). Notiamo che, per
g1 , g2 ∈ G:
g1 · g2 = k1 h1 · k2 h2 = k1 (h1 k2 h−1
1 )h1 h2 = k1 ch1 (k2 ) · h1 h2 ,
(1.6)
e tale scrittura è unica, per quanto osservato sopra. Questo suggerisce la
possibilità di definire “esternamente” il prodotto semidiretto di due gruppi
qualunque, nel modo che presentiamo di seguito.
Proposizione 1.13. Siano K, H due gruppi, sia poi ϕ : H → Aut(K) un
omomorfismo. Nel prodotto cartesiano K × H definiamo l’operazione data
da
(k1 , h1 ) · (k2 , h2 ) := (k1 ϕh1 (k2 ), h1 h2 ).
(1.7)
Tale operazione è associativa, ammette elemento neutro (1K , 1H ) e ogni
elemento (k, h) ha rispetto ad essa inverso dato da (ϕh−1 (k −1 ), h−1 ).
Definizione 1.14. Il gruppo (K × H, ·), ove · è l’operazione definita sopra,
è denotato con K oϕ H ed è detto prodotto semidiretto esterno di K per H
relativo all’omomorfismo ϕ.
Notiamo che, prendendo ϕ come l’omomorfismo banale che manda tutto
in idK ∈ Aut(K), ritroviamo esattamente il prodotto diretto esterno di K
per H.
È naturale aspettarsi che le due costruzioni “interna” ed “esterna” del
prodotto semidiretto siano strettamente collegate fra loro. Questo legame è
esemplificato dal seguente risultato.
Proposizione 1.15. Sia G il prodotto semidiretto interno di K e H. Allora
G è isomorfo al prodotto semidiretto esterno K oc H, ove c : H → Aut(K)
è il coniugio.
Viceversa, se K oϕ H è il prodotto semidiretto esterno di due gruppi
K e H relativo ad un dato omomorfismo ϕ : H → Aut(K), K oϕ H è
il prodotto semidiretto interno dei sottogruppi K ∗ = {(k, 1H ) : k ∈ K} e
H ∗ = {(1K , h) : h ∈ H}, rispettivamente isomorfi a K e a H.
Nota 1.16. Operando con i prodotti semidiretti esterni, sarà prassi identificare K ∗ a K e H ∗ ad H e semplificare la notazione, scrivendo kh per
(k, h) = (k, 1H )(1K , h).
1.3. ESTENSIONI
5
Osservazione 1.17. Dati k ∈ K e h ∈ H, in K oϕ H si ha:
(1, h)(k, 1)(1, h)−1 = (ϕh (k), 1).
Dunque, sfruttando la notazione semplificata di cui sopra, si può pensare ϕ
proprio come coniugio, e scrivere direttamente:
ϕh (k) = hkh−1 .
1.3
Estensioni
Introduciamo ora la problematica centrale di questa tesi. A tal proposito è
necessario introdurre le successioni esatte, che sfrutteremo anche più avanti.
Definizione 1.18. Una successione (finita o infinita) di gruppi e omomorfismi
fi+1
fi
· · · −→ Gi+1 −→ Gi −→ Gi−1 −→ · · ·
si dice esatta in Gi se Im fi+1 = ker fi . Si dice inoltre esatta se è esatta in
Gi per ogni indice i.
Nota 1.19. Scriveremo sistematicamente 0 per indicare il gruppo banale
costituito da un solo elemento. Inoltre, non daremo alcun nome agli omomorfismi del tipo 0 → G o H → 0, essendo chiaro che l’unica possibilità è
che si tratti degli omomorfismi banali.
Definizione 1.20. Siano dati due gruppi K e H. Un’estensione (o ampliamento) di K mediante H è una terna (G, i, p) tale che la seguente successione
è esatta:
p
i
0 −→ K −→ G −→ H −→ 0.
(1.8)
Nota 1.21. A volte faremo riferimento ad un’estensione (G, i, p) come la
stessa successione esatta che la definisce.
Nota 1.22. Segnaliamo che, per alcuni autori, ciò che abbiamo definito come
“estensione di K mediante H” è invece detta “estensione di H mediante K”.
Vediamo ora una semplice proprietà delle estensioni, che ha il pregio di
dare un’idea più “concreta” del concetto.
Proposizione 1.23. Siano K e H due gruppi, e sia (G, i, p) un’estensione
di K mediante H. Allora i(K) è un sottogruppo normale di G tale che
G/i(K) è canonicamente isomorfo a H.
Dimostrazione. Per ipotesi, la (1.8) è esatta. Notiamo che l’ ipotesi implica
che i sia iniettivo e che p sia surgettivo. Allora, per il primo teorema di
isomorfismo, abbiamo un isomorfismo canonico p : G/ ker p → H. Inoltre,
per esattezza, ker p = Im i = i(K), e siamo arrivati.
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CAPITOLO 1. COMPLEMENTI DI TEORIA DEI GRUPPI
Nota 1.24. Alcuni autori definiscono un’estensione di K mediante H come
un gruppo G che contiene un sottogruppo normale K1 isomorfo a K tale che
G/K1 sia isomorfo ad H. Tale definizione, a differenza di quella che diamo
noi, non tiene conto degli isomorfismi tra K e K1 e tra G/K1 e H e risulta
meno funzionale, per quanto indubbiamente più “concreta”.
Il problema delle estensioni può essere ora posto, in generale, nel modo
seguente: dati due gruppi qualunque, determinare tutte le estensioni del
primo mediante il secondo. Tale problema ha sempre soluzioni, come mostra
il risultato seguente.
Proposizione 1.25. Siano K,H due gruppi, ϕ : H → Aut(K) un omomorfismo, e K oϕ H il prodotto semidiretto esterno di K e H relativo a ϕ.
Allora, dette i : K → K oϕ H e p : K oϕ H → H le mappe canoniche rispettivamente di inclusione e di proiezione sul secondo fattore, (K oϕ H, i, p) è
un’estensione di K mediante H.
Dimostrazione. Consideriamo la successione di gruppi e omomorfismi
i
p
0 −→ K −→ K oϕ H −→ H −→ 0.
Sappiamo che i : K → K oϕ H è definito da i(k) = (k, 1H ), e che p :
K oϕ H → H è definito da p(k, h) = h. Allora è chiaro che i è iniettivo, p è
surgettivo e che Im i = {(k, 1H ) : k ∈ K} = ker p. Dunque quella successione
è esatta, e per la Proposizione 1.23 abbiamo la tesi.
Nota 1.26. Con un piccolo abuso di notazione, talvolta scriveremo semplicemente “K oϕ H” e “prodotto semidiretto” per indicare non il gruppo, ma
l’effettiva estensione (K oϕ K, i, p), ove i e p sono le mappe canoniche di cui
sopra.
L’insieme degli omomorfismi da H a Aut(K) non è mai vuoto, infatti
comprende senz’altro l’omomorfismo banale. Come già osservato in precedenza, il prodotto semidiretto di K per H relativo all’omomorfismo banale è
proprio il prodotto diretto K × H. Le estensioni di K mediante H, dunque,
comprendono almeno il prodotto diretto dei due.
D’altra parte, non tutti le estensioni sono prodotti semidiretti, come
mostra il seguente esempio. Per n ≥ 2 intero, è chiaro che Z è un’estensione
di nZ mediante il gruppo degli interi modulo n, Zn . Però Z non è isomorfo
a nZ oϕ Zn , per nessun omomorfismo ϕ : Zn → Aut(nZ). Se infatti fosse
cosı̀, Z conterrebbe al suo interno un sottogruppo isomorfo a Zn , il che è
falso.
Il seguito della tesi sarà dedicato allo studio di alcuni strumenti teorici
che ci permetteranno di affrontare il problema delle estensioni.
Capitolo 2
Estensioni e coomologia
2.1
Prodotti semidiretti e H 1
Fissiamo una volta per tutte un gruppo π e un π–gruppo G (ϕ : π →
Aut(G) : σ 7→ ϕσ , ϕσ (g) = σg sia l’omomorfismo che lo definisce). Identifichiamo G e π alle loro copie isomorfe contenute in G oϕ π, e utilizziamo la
notazione semplificata di cui si è discusso nella Nota 1.16.
L’obiettivo di questa sezione è quello di indagare in maggiore profondità
la struttura del prodotto semidiretto di due gruppi, che – ricordiamo – è il
più immediato esempio di estensione. Cominciamo con una definizione.
Definizione 2.1. Un complemento di G in G oϕ π è un sottogruppo ω di
G oϕ π tale che G ∩ ω = {1} e Gω = G oϕ π.
Osservazione 2.2. Ogni complemento di G in G oϕ π è evidentemente isomorfo a π.
Ovviamente, lo stesso π è un complemento di G in G oϕ π; è importante però notare che non è necessariamente l’unico. A titolo di esempio,
si consideri il prodotto diretto Z × Z: è semplice dimostrare che l’insieme
{(n, n) : n ∈ Z} è un complemento di Z in Z×Z, tuttavia con tutta evidenza
è diverso da Z.
2.1.1
Omomorfismi crociati
A questo punto, si pone il problema di classificare tutti i complementi di G
in G oϕ π. Vediamo come ciò sia possibile mediante particolari funzioni f :
π → G. Fissiamo dunque un complemento ω di G nel prodotto semidiretto
e cominciamo dimostrando il seguente risultato tecnico.
Lemma 2.3. Per ogni σ ∈ π esiste unico g ∈ G tale che gσ ∈ ω.
Dimostrazione. Sia σ ∈ π. In particolare σ ∈ G oϕ π = Gω, poiché ω è un
complemento, dunque σ = gx con g ∈ G, x ∈ ω, quindi g −1 σ = x ∈ ω, e per
l’esistenza siamo arrivati.
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CAPITOLO 2. ESTENSIONI E COOMOLOGIA
Per quanto riguarda l’unicità, supponiamo che gσ ∈ ω e hσ ∈ ω, con
g, h ∈ G. Allora gσ(hσ)−1 = gσσ −1 h−1 = gh−1 ∈ ω. Ma ovviamente
gh−1 ∈ G, e poiché G ∩ ω = {1}, abbiamo che gh−1 = 1, cioè g = h.
Il lemma appena dimostrato ci permette di definire una funzione fω :
π → G tale che σ 7→ g, ove g è l’unico tale che gσ ∈ ω.
Proposizione 2.4. La funzione fω verifica la seguente uguaglianza:
fω (στ ) = fω (σ)ϕσ (fω (τ )) = fω (σ)σfω (τ )σ −1 ,
(2.1)
per ogni σ, τ ∈ π.
Dimostrazione. Fissiamo σ, τ ∈ π. Allora, per definizione di fω , si ha che
f (σ)σ, f (τ )τ ∈ ω. Abbiamo inoltre che:
f (σ)σf (τ )τ = f (σ)(σf (τ )σ −1 )στ ∈ ω.
Dunque, ancora per definizione di fω , troviamo l’uguaglianza
f (στ ) = f (σ)σf (τ )σ −1
che, ricordando l’Osservazione 1.17, equivale proprio alla tesi.
Definizione 2.5. Una funzione f : π → G che verifica la (2.1) è detta
omomorfismo crociato (da π a G).
Osservazione 2.6. Se l’azione di π su G è banale, gli omomorfismi crociati
sono tutti e soli gli omomorfismi di gruppo da π a G.
Osservazione 2.7. Se f : π → G è un omomorfismo crociato, valgono le
seguenti uguaglianze:
f (1) = 1,
f (σ
−1
(2.2)
−1
) = ϕσ−1 (f (σ)
)=σ
−1
−1
f (σ)
σ,
(2.3)
per ogni σ ∈ π.
Abbiamo visto come, a partire da un complemento di G nel prodotto
semidiretto, si possa definire un omomorfismo crociato da esso dipendente.
Vale però anche il viceversa, come ora mostriamo.
Proposizione 2.8. Sia f : π → G un omomorfismo crociato. Allora
l’insieme ωf ⊆ G oϕ π definito da
ωf = {f (σ)σ : σ ∈ π}
è un sottogruppo di G oϕ π, ed è un complemento di G in G oϕ π.
2.1. PRODOTTI SEMIDIRETTI E H 1
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Dimostrazione. Siano x, y ∈ ωf , cioè x = f (σ)σ, y = f (τ )τ per qualche
σ, τ ∈ π. Allora xy = f (σ)σf (τ )τ = f (σ)(σf (τ )σ −1 )στ = f (στ )στ ∈ ωf .
Inoltre, se x = f (σ)σ ∈ ωf , allora x−1 = σ −1 f (σ)−1 = (σ −1 f (σ)−1 σ)σ −1 =
f (σ −1 )σ −1 ∈ ωf (abbiamo usato la (2.3)). Dunque ωf è un sottogruppo di
G oϕ π.
Verifichiamo che ωf è anche un complemento di G nel prodotto semidiretto. Se x ∈ Gωf , allora x = gf (σ)σ ∈ Goϕ π, poiché gf (σ) ∈ G; viceversa, se
x ∈ G oϕ π, abbiamo che x = gσ = gf (σ)−1 f (σ)σ, e gf (σ)−1 ∈ G, f (σ)σ ∈
ωf , quindi x ∈ Gωf . Abbiamo cosı̀ dimostrato che Gωf = G oϕ π. Infine,
sia x ∈ ωf ∩ G, cioè x = f (σ)σ = g ∈ G. Allora σ = f (σ)−1 g ∈ G ∩ π = {1},
quindi σ = 1, e per la (2.2) f (σ) = 1, da cui deduciamo che x = 1. Dunque
ωf ∩ G = {1}, e ciò conclude la dimostrazione.
Quanto visto sinora ci permette di giungere ad un primo importante
teorema di classificazione dei complementi di G nel prodotto semidiretto.
Teorema 2.9. Esiste una corrispondenza biunivoca tra i complementi di G
in G oϕ π e gli omomorfismi crociati f : π → G.
Inoltre, tale corrispondenza associa l’omomorfismo crociato banale f ,
definito da f (σ) = 1 per ogni σ ∈ π, al “complemento banale” π in G oϕ π.
Dimostrazione. Consideriamo le due mappe F : ω 7→ fω (ω complemento
di G) e Ω : f 7→ ωf (f : π → G omomorfismo crociato), ove fω e ωf sono
quelli definiti in precedenza. Dimostriamo che tali mappe sono una l’inversa
dell’altra.
Sia ω un complemento di G. Allora, Ω(F (ω)) = {fω (σ)σ : σ ∈ π} = ω.
Infatti, per ogni σ ∈ π, fω (σ) è tale che fω (σ)σ ∈ ω, e questo mostra
un’inclusione. Per l’altra, sia x ∈ ω. Allora sicuramente x ∈ G oϕ π, cioè
x = gσ ∈ ω per g ∈ G e σ ∈ π (univocamente determinati). Ma allora, per
definizione di fω , g = fω (σ), e x = fω (σ)σ ∈ {fω (σ)σ : σ ∈ π}.
Ora, sia f : π → G un omomorfismo crociato. Allora, F (Ω(f )) =
F (ωf ) = f . Infatti, per ogni σ ∈ π, F (ωf )(σ) è tale che F (ωf )(σ)σ ∈ ωf , e
d’altra parte f (σ) è – per definizione di ωf – tale che f (σ)σ ∈ ωf . Ma allora, per unicità, troviamo che F (ωf )(σ) = f (σ). Per l’arbitrarietà di σ ∈ π,
concludiamo che F (ωf ) = F (Ω(f )) = f . La prima parte della tesi risulta
infine dimostrata.
La seconda parte è immediata, per la definizione stessa delle mappe F e
Ω.
2.1.2
Omomorfismi crociati e coniugio
Siano ω1 , ω2 due complementi di G in G oϕ π, siano poi f1 e f2 gli omomorfismi crociati corrispondenti rispetto alla bigezione stabilita nel Teorema
2.9. Vogliamo ora determinare quale relazione si stabilisce tra f1 e f2 se
supponiamo che ω1 e ω2 siano coniugati.
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CAPITOLO 2. ESTENSIONI E COOMOLOGIA
Proposizione 2.10. Siano ω1 , ω2 , f1 , f2 come sopra, e supponiamo che ω1
sia coniugato ad ω2 in G oϕ π. Allora esiste g ∈ G tale che vale la seguente
uguaglianza:
f2 (σ) = g −1 f1 (σ)ϕσ (g) = g −1 f1 (σ)σgσ −1 ,
(2.4)
per ogni σ ∈ π.
Dimostrazione. Supponiamo che ω2 = xω1 x−1 per qualche x ∈ G oϕ π.
Poiché ω1 è un complemento di G, G oϕ π = Gω1 , da cui x = g1 y con
g1 ∈ G, y ∈ ω1 univocamente determinati. Allora, ω2 = g1 (yω1 y −1 )g1−1 =
g1 ω1 g1−1 . Inoltre, grazie al Teorema 2.9, ω1 = {f1 (σ)σ : σ ∈ π} e ω2 =
{f2 (σ)σ : σ ∈ π}. Quindi, senz’altro, per ogni σ ∈ π esiste τ ∈ π tale
che f2 (σ)σ = g1 f1 (τ )τ g1−1 . Deduciamo che f2 (σ) = g1 f1 (τ )(τ g1−1 τ −1 )τ σ −1 .
G è normale in G oϕ π, dunque τ g1−1 τ −1 ∈ G. Per unicità della scrittura degli elementi nel prodotto semidiretto, troviamo che τ = σ, e che
f2 (σ) = g1 f1 (σ)σg1−1 σ −1 . Ponendo g = g1−1 e ricordando l’Osservazione
1.17, abbiamo la tesi.
Il risultato appena dimostrato suggerisce di definire una relazione nell’insieme degli omomorfismi crociati da π a G, che risulterà strettamente
collegata alla relazione di coniugio nell’insieme dei complementi di G nel
prodotto semidiretto.
Definizione 2.11. Siano f1 , f2 : π → G omomorfismi crociati. Diciamo che
f1 è equivalente a f2 , in simboli f1 ∼ f2 , se esiste g ∈ G tale che per ogni
σ ∈ π è verificata l’uguaglianza (2.4).
Proposizione 2.12. La relazione definita sopra è una relazione di equivalenza nell’insieme degli omomorfismi crociati da π a G.
Inoltre, dato f : π → G omomorfismo crociato, la classe di equivalenza
di f è [f ] = {fg : g ∈ G}, ove per ogni g ∈ G, fg : π → G è definita dalla
(2.4), cioè da fg (σ) = g −1 f (σ)ϕσ (g) .
Dimostrazione. Per la prima parte, si tratta di controllare le proprietà riflessiva, simmetrica e transitiva. Per la seconda parte, è sufficiente far vedere
che, se f : π → G è un omomorfismo crociato e f1 : π → G è una funzione
tale che f1 (σ) = g −1 f (σ)ϕσ (g) per ogni σ ∈ π e per qualche g ∈ G, allora f1
è un omomorfismo crociato. I dettagli della dimostrazione sono omessi.
È possibile, a questo punto, riassumere il contenuto della Proposizione
2.10 dicendo che, se ω1 e ω2 sono complementi di G in G oϕ π fra loro coniugati, allora i corrispondenti omomorfismi crociati f1 e f2 sono equivalenti.
In realtà vale anche il viceversa, che dimostriamo di seguito.
Proposizione 2.13. Siano f1 , f2 : π → G omomorfismi crociati, e siano
ω1 , ω2 i corrispondenti complementi di G in G oϕ π. Se f1 ∼ f2 , allora ω1
e ω2 sono coniugati.
2.1. PRODOTTI SEMIDIRETTI E H 1
11
Dimostrazione. Per definizione abbiamo che ω1 = {f1 (σ)σ : σ ∈ π} e ω2 =
{f2 (σ)σ : σ ∈ π}. Inoltre, per ipotesi, f2 (σ) = g −1 f1 (σ)σgσ −1 , per ogni
σ ∈ π e per qualche g ∈ G, da cui f2 (σ)σ = g −1 f1 (σ)σg per ogni σ ∈ π. Ma
allora è chiaro che ω2 = g −1 ω1 g, e siamo arrivati.
Finalmente, enunciamo il teorema che ci permette di classificare le classi
di coniugio dei complementi di G nel prodotto semidiretto.
Teorema 2.14. Esiste una corrispondenza biunivoca tra le classi di coniugio
dei complementi di G in G oϕ π e le classi di equivalenza di omomorfismi
crociati.
Inoltre, tale corrispondenza associa la classe dell’omomorfismo crociato
banale f definito da f (σ) = 1 alla classe del “complemento banale” π in
G oϕ π.
Dimostrazione. Riprendiamo le mappe F e Ω definite nella dimostrazione
del Teorema 2.9. Le Proposizioni 2.10 e 2.13 assicurano che esse inducono rispettivamente due mappe F e Ω tra gli insiemi quoziente, definite da
F (Cl(ω)) = [fω ] e Ω([f ]) = Cl(ωf ), le quali risultano chiaramente essere una
l’inversa dell’altra.
La seconda parte della tesi, infine, è immediata, tenendo conto delle
definizioni di F e Ω.
Omomorfismi crociati principali
Caratterizziamo la classe di equivalenza dell’omomorfismo crociato banale
f tale che f (σ) = 1 per ogni σ ∈ π. Per la Proposizione 2.12, la classe di
equivalenza di f è data da {fg : g ∈ G}, ove in questo caso, per ogni g ∈ G,
fg è definita da:
fg (σ) = g −1 ϕσ (g) = g −1 σgσ −1 .
(2.5)
Definizione 2.15. Un omomorfismo crociato f : π → G che verifica la (2.5)
per qualche g ∈ G è detto principale.
Dunque, la bigezione definita nel Teorema 2.14 mette in corrispondenza
la classe di coniugio del “complemento banale” π con l’insieme degli omomorfismi crociati principali. Possiamo inoltre dedurre il seguente – ovvio –
risultato.
Corollario 2.16. I complementi di G in G oϕ π sono tutti coniugati fra
loro se e solo se ogni omomorfismo crociato f : π → G è principale.
2.1.3
Il primo gruppo di coomologia
Ora, sia A un π–modulo (denotiamo sempre con ϕ : σ 7→ ϕσ , ϕσ (a) = σa
l’azione che lo definisce). L’uguaglianza che caratterizza un omomorfismo
12
CAPITOLO 2. ESTENSIONI E COOMOLOGIA
crociato f : π → A si scrive dunque:
f (στ ) = f (σ) + σf (τ ),
per ogni σ, τ ∈ π. Inoltre, la formula che definisce un omomorfismo crociato
principale fa (a ∈ A) diventa:
fa (σ) = σa − a.
Definizione 2.17. Un omomorfismo crociato da π ad A è detto 1–cociclo
(da π ad A), e l’insieme degli 1–cocicli è denotato con Z 1 (π, A).
Un omomorfismo crociato principale da π ad A è detto 1–cobordo (da π
ad A) , e l’insieme degli 1–cobordi è denotato con B 1 (π, A).
L’abelianità di A ci permette di definire in Z 1 (π, A) una somma: dati f1
e f2 omomorfismi crociati da π ad A, definiamo f1 + f2 mediante la formula
(f1 + f2 )(σ) = f1 (σ) + f2 (σ).
Proposizione 2.18. Z 1 (π, A) è un gruppo abeliano rispetto all’operazione
di somma definita sopra. L’elemento neutro è l’omomorfismo crociato banale
definito da f (σ) = 0 per ogni σ ∈ π, e l’opposto di ogni f ∈ Z 1 (π, A) è
l’omomorfismo crociato −f definito da (−f )(σ) = −f (σ).
Inoltre, B 1 (π, A) è un sottogruppo di Z 1 (π, A).
Finalmente, possiamo definire il primo gruppo di coomologia.
Definizione 2.19. Il gruppo abeliano quoziente Z 1 (π, A)/B 1 (π, A) è detto primo gruppo di coomologia di π a coefficienti in A ed è denotato con
H 1 (π, A).
Nota 2.20. Nelle definizioni date di Z 1 (π, A), B 1 (π, A) e H 1 (π, A) è sottointesa la dipendenza dall’azione ϕ : π → Aut(A).
Osservazione 2.21. Le classi di equivalenza di omomorfismi crociati (si veda la Definizione 2.11) sono esattamente gli elementi di H 1 (π, A), in altre
parole le classi laterali di B 1 (π, A) in Z 1 (π, A). Basta infatti notare che,
per l’abelianità di A, l’equivalenza tra due omomorfismi crociati f1 e f2 è
definita dall’uguaglianza:
f2 (σ) = f1 (σ) + σa − a,
per ogni σ ∈ π, per qualche a ∈ A.
I teoremi di classificazione visti nelle pagine precedenti possono ora essere
rienunciati nel modo seguente.
Teorema 2.22. Z 1 (π, A) è in corrispondenza biunivoca con l’insieme dei
complementi di A in A oϕ π, e tale corrispondenza manda l’elemento neutro
nel complemento π.
H 1 (π, A) è in corrispondenza biunivoca con le classi di coniugio dei complementi di A in Aoϕ π, e tale corrispondenza manda l’elemento neutro nella
classe del complemento π.
2.1. PRODOTTI SEMIDIRETTI E H 1
13
Corollario 2.23. H 1 (π, A) = 0 se e solo se ogni complemento di A in
A oϕ π è coniugato a π.
Alla luce di questi risultati, diventa importante riuscire a determinare
esplicitamente il primo gruppo di coomologia in quanti più casi possibili.
Di seguito riportiamo due condizioni sufficienti affinché esso sia banale –
e quindi affinché i complementi di A nel prodotto semidiretto siano tutti
coniugati. Faremo uso del seguente lemma.
Lemma 2.24. Supponiamo che π sia finito, e |π| = n. Allora si ha che
nH 1 (π, A) = 0
Dimostrazione. È chiaro che la tesi segue se dimostriamo che, per ogni f ∈
Z 1 (π, A), nf ∈ B 1 (π, A).
Sia dunque f ∈ Z 1 (π, A), e sia σ ∈ π. Per definizione, abbiamo che
f (στ ) = f (σ) + σf (τ ) per ogni τ ∈ π. Poiché π è finito e A è abeliano,
possiamo sommare membro a membro su tutti i τ ∈ π, e trovare quindi:
!
X
X
X
X
X
σ
f (στ ) =
f (σ) +
f (τ ) =
f (σ) + σ
f (τ ) .
τ ∈π
τ ∈π
τ ∈π
τ ∈π
τ ∈π
Ora, ricordiamo che la mappa τ 7→ στ (τ ∈ π) è una bigezione di
π in sé. Dunque, π = {τ1 , . . . , τn } = {στ1 , . . . , στn }. Ciò implica che
{f (τ1 ), . . . , f (τn )} = {f (στ1 ), . . . , f (στn )}, e quindi:
!
X
X
X
X
σ
f (τ ) =
f (στ ) =
f (σ) +
f (τ )
τ ∈π
τ ∈π
τ ∈π
τ ∈π
!
= nf (σ) +
σ
X
f (τ ) .
τ ∈π
Ora, posto a = −
P
τ ∈π
f (τ ) ∈ A, l’uguaglianza trovata si riscrive come:
nf (σ) = σa − a.
Per l’arbitrarietà di σ ∈ π, ciò significa proprio che nf ∈ B 1 (π, A), come
volevamo.
Teorema 2.25. Supponiamo che π e A siano finiti, e che gcd(|π|, |A|) = 1.
Allora H 1 (π, A) = 0.
Dimostrazione. Sia |π| = n e |A| = m. Per coprimalità, esiste un intero non
nullo r tale che rn − 1 = km per qualche k intero non nullo.
Ora, fissiamo f ∈ Z 1 (π, A). Per il Lemma 2.24, nf ∈ B 1 (π, A), cioè
esiste a ∈ A tale che, per ogni σ ∈ π, nf (σ) = σa − a. Allora, rnf (σ) =
σra − ra per ogni σ ∈ π. A questo punto, notiamo che (rn − 1)b = k(ma) =
k0 = 0 per ogni b ∈ A (poiché m = ord A). Deduciamo che (rn)b = b
14
CAPITOLO 2. ESTENSIONI E COOMOLOGIA
per ogni b ∈ A, e in particolare, rnf (σ) = f (σ) per ogni σ ∈ π. Quindi,
f (σ) = σra − ra per ogni σ ∈ π, da cui concludiamo che f ∈ B 1 (π, A). La
tesi segue immediatamente, per l’arbitrarietà di f ∈ Z 1 (π, A).
Teorema 2.26. Supponiamo che π sia finito, e |π| = n. Supponiamo inoltre
che A sia un gruppo n–divisibile (cioè: per ogni x ∈ A esiste y ∈ A tale che
x = ny) e privo di torsione (cioè: nessun elemento ha ordine finito). Allora
H 1 (π, A) = 0.
Dimostrazione. Dimostriamo che Z 1 (π, A) = B 1 (π, A). Sia dunque f ∈
Z 1 (π, A). Per il Lemma 2.24, nf ∈ B 1 (π, A), cioè esiste a ∈ A tale che
nf (σ) = σa−a per ogni σ ∈ π. Poiché A è n–divisibile, esiste a1 ∈ A tale che
a = na1 . Troviamo quindi che nf (σ) = n(σa1 −a1 ), cioè n(f (σ)−(σa1 −a1 )) =
0, per ogni σ ∈ π. Sfruttiamo ora che A è privo di torsione, e deduciamo
che f (σ) − (σa1 − a1 ) = 0 per ogni σ ∈ π, da cui chiaramente f ∈ B 1 (π, A).
Per l’arbitrarietà di f , la tesi è dimostrata.
2.1.4
Esempi
Vediamo ora qualche esempio concreto di calcolo del primo gruppo di coomologia, collegandolo anche con la struttura dei complementi di un gruppo
nell’opportuno prodotto semidiretto.
H 1 (π, A) se A è un π–modulo banale. Fissiamo un gruppo π e un
π–modulo A tale che l’azione ϕ di π su A sia quella banale. Allora, è
immediato notare che gli omomorfismi crociati da π ad A sono tutti e soli
gli omomorfismi di gruppo da π ad A; dunque, Z 1 (π, A) = Hom(π, A).
Inoltre, un qualunque omomorfismo crociato principale è tale che f (σ) =
σa − a = a − a = 0 per ogni σ ∈ π. Ciò significa che B 1 (π, A) = 0, e in
definitiva che H 1 (π, A) ∼
= Hom(π, A).
Ora, supponiamo in aggiunta che π sia finito e che A sia il gruppo degli
interi Z. È noto che in tal caso Hom(π, Z) = 0; deduciamo dunque che
Z 1 (π, Z) = 0 e a fortiori H 1 (π, Z) = 0. Questo, visto nei termini della corrispondenza del Teorema 2.22, significa esattamente che l’unico complemento
di Z in Z oϕ π = Z × π (l’azione ϕ è banale!) è π stesso.
Il gruppo diedrale infinito D∞ . Sia π = {1, σ} = Aut(Z), e l’azione
ϕ = π → Aut(Z) sia l’identità. Definiamo il gruppo diedrale infinito come
D∞ = Z oϕ π.
Vogliamo calcolare H 1 (π, Z). Per cominciare, abbiamo che Z 1 (π, Z) =
{fn : n ∈ Z}, con fn definito da fn (1) = 0 e fn (σ) = n per ogni n ∈ Z;
inoltre, B 1 (π, Z) = {fn ∈ Z 1 (π, Z) : n ∈ 2Z} (omettiamo i dettagli della –
semplice – dimostrazione di questi fatti). Allora, è chiaro che H 1 (π, Z) ∼
= Z2 .
Vediamo in dettaglio come sono fatti i complementi di Z in D∞ . Per la
natura della corrispondenza costruita nel Teorema 2.9, possiamo descrivere
2.1. PRODOTTI SEMIDIRETTI E H 1
15
l’insieme di tali complementi come {ωn : n ∈ Z}, ove ωn è definito da
ωn = {(0, 1), (n, σ)} per ogni n ∈ Z. Inoltre, ωn e ωm sono coniugati se e
solo se n e m hanno la stessa parità. Vi sono dunque esattamente due classi
di coniugio di complementi: {ω2k : k ∈ Z} e {ω2k+1 : k ∈ Z}.
H 1 (π, A) con π ciclico. Cominciamo con una breve digressione. Notiamo
che, in generale, se f : π → A è un 1–cociclo, allora
2
f (σ k ) = f (σ) + σf (σ) + σ f (σ) + · · · + σ
k−1
f (σ)
(2.6)
per ogni σ ∈ π, per ogni k ∈ N. Tale formula si dimostra con un semplice
argomento induttivo. Se poi f è un 1–cobordo, cioè esiste a ∈ A tale che
f (σ) = σa − a per ogni σ, troviamo che:
2
f (σ k ) = f (σ) + σf (σ) + σ f (σ) + · · · + σ
σ
σ σ
= ( a − a) + ( a − a) + · · ·
σ2
σ
f (σ)
σ k−1 σ
( a − a)
σk
σ
k−1
= a − a + a − a + ··· + a − σ
k−1
a
k
= σ a − a,
(2.7)
per ogni σ ∈ π, per ogni k ∈ N.
Supponiamo ora che π = hσi sia un gruppo ciclico. Poiché sussiste
anche la formula (2.3), abbiamo in sostanza che ogni 1–cociclo f : π → A è
completamente determinato una volta nota l’immagine f (σ) del generatore
di π. Inoltre, diventa chiaro che f ∈ B 1 (π, A) se e solo se f (σ) = σa − a per
qualche a ∈ A.
A questo punto, definiamo una funzione F : Z 1 (π, A) → A mediante
la formula F (f ) = f (σ). F è banalmente un omomorfismo di gruppi, ed
è iniettivo. Se infatti f1 (σ) = f2 (σ), allora f1 = f2 , per la discussione
precedente. Notiamo inoltre che F (B 1 (π, A)) = {σa − a : a ∈ A}. Ciò detto,
distinguiamo due casi.
1. π sia finito, |π| = n. Per a ∈ A, definiamo la norma di a:
X
σ
N (a) =
a.
σ∈π
È semplice dimostrare che l’insieme {a ∈ A : N (a) = 0} è un sottogruppo di A. Inoltre, poiché |π| = n, ogni f ∈ Z 1 (π, A) è tale che
f (σ n ) = f (1) = 0. Ciò significa che, usando la formula (2.6):
n
f (σ ) =
n−1
X
σk
f (σ) = N (f (σ)) = 0.
k=0
D’altra parte, se a ∈ A è tale che N (a) = 0, possiamo porre f (σ) = a
ed estendere la definizione ad un 1–cociclo su tutto π, che risulta essere
16
CAPITOLO 2. ESTENSIONI E COOMOLOGIA
ben definito. Abbiamo quindi dimostrato che F (Z 1 (π, A)) = {a ∈
A : N (a) = 0}. Poiché F è un omomorfismo iniettivo, concludiamo
senz’altro che
H 1 (π, A) =
Z 1 (π, A) ∼ F (Z 1 (π, A))
{a ∈ A : N (a) = 0}
=
.
=
B 1 (π, A)
F (B 1 (π, A))
{σa − a : a ∈ A}
2. π sia infinito. In questo caso, dimostriamo che F è surgettiva (e quindi un isomorfismo tra Z 1 (π, A) e A). Sia infatti a ∈ A. Poniamo
f (σ) = a ed estendiamo f ad un 1–cociclo da π ad A. La definizione
data è buona grazie al fatto che π è ciclico infinito. Possiamo dunque
concludere che
A
H 1 (π, A) ∼
.
= σ
{ a − a : a ∈ A}
2.2
Estensioni con nucleo abeliano e H 2
In questa sezione, consideriamo solo estensioni con nucleo abeliano. Fissiamo dunque un gruppo abeliano A, un gruppo π e un’estensione (E, i, p) di
A mediante π:
p
i
0 −→ A −→ E −→ π −→ 0.
Poiché i(A) è normale in E, il gruppo E agisce su A mediante coniugio; più
precisamente abbiamo un omomorfismo c : E → Aut(A), x 7→ cx , tale che
i(cx (a)) = xi(a)x−1 .
(2.8)
Notiamo che, se x ∈ i(A) (x = i(b), b ∈ A), allora cx (a) = i(b)i(a)i(b)−1 =
i(b + a − b) = i(0) = 1, poiché A è abeliano. In altre parole, i(A) ⊆ ker c.
Ciò implica che l’azione c passa al quoziente, è cioè ben definita un’azione
c : E/i(A) → Aut(A), c([x]) = cx (x ∈ E). Ora, dalla dimostrazione della
Proposizione 1.23, ricordiamo che l’isomorfismo tra π e E/i(A) è naturale
e realizzato dalla funzione p : E/i(A) → π tale che p([x]) = p(x) per ogni
x ∈ E. Consideriamo quindi l’azione
ϕ : π → Aut(A),
ϕ = c ◦ p−1 .
(2.9)
Scriveremo, come al solito, ϕσ (a) = σa.
A questo punto, facciamo intervenire le sezioni di p: una sezione di p è
una funzione s : π → E tale che p ◦ s = idπ . L’esistenza di una s siffatta è
assicurata dalla surgettività di p.
Lemma 2.27. Per ogni sezione s : π → E di p, si ha che p−1 (σ) = [s(σ)]
per ogni σ ∈ π.
Inoltre, per ogni [x] ∈ E/i(A) esiste un unico σ ∈ π tale che per ogni
sezione s di p, [x] = [s(σ)].
2.2. ESTENSIONI CON NUCLEO ABELIANO E H 2
17
Dimostrazione. Sia s una sezione di p. Allora, per ogni σ ∈ π, p(s(σ)) =
σ. Ma, d’altra parte, σ = p(s(σ)) = p([s(σ)]) e p è un isomorfismo.
Concludiamo allora che p−1 (σ) = [s(σ)].
La seconda parte dell’enunciato è ora immediata, sfruttando semplicemente la bigettività di p−1 .
Mediante le sezioni, possiamo dare un’utile caratterizzazione dell’azione
ϕ. Infatti, se s è una qualunque sezione di p, ϕσ = c(p−1 (σ)) = c([s(σ)]) =
cs(σ) . Ciò significa che, grazie all’uguaglianza (2.8), possiamo scrivere:
i(σa) = s(σ)i(a)s(σ)−1 ,
(2.10)
per ogni σ ∈ π, per ogni a ∈ A. In definitiva, abbiamo dimostrato il seguente
risultato.
Teorema 2.28. Sia A un gruppo abeliano e π un gruppo, sia poi
i
p
0 −→ A −→ E −→ π −→ 0
un’estensione di A mediante π. Allora A ha una struttura di π–modulo con
l’azione ϕ definita dalla (2.9). Inoltre, tale azione verifica l’uguaglianza
(2.10) per ogni sezione s di p.
Ciò detto, possiamo finalmente precisare il problema delle estensioni di
cui si è discusso all’inizio della tesi, almeno per quanto riguarda le estensioni con nucleo abeliano. Consideriamo un gruppo π e un π–modulo A,
ϕ sia l’azione che lo definisce; diciamo che un’estensione E = (E, i, p) di A
mediante π realizza ϕ se quest’ultima verifica la (2.10). Il problema delle
estensioni può dunque essere riformulato nel modo seguente: determinare
tutte le estensioni di A mediante π che realizzano ϕ.
Osservazione 2.29. Il problema delle estensioni cosı̀ posto ha sempre almeno
una soluzione: il prodotto semidiretto A oϕ π con le due mappe canoniche
i : A → Aoϕ π e p : Aoϕ π → A, ove ϕ è la data azione di π su A. Sia infatti
s una sezione di p; notiamo che, scrivendo s(σ) = (s1 (σ), s2 (σ)), troviamo
p(s1 (σ), s2 (σ)) = s2 (σ) = σ per ogni σ ∈ π, per definizione di sezione. In
definitiva s è data da s(σ) = (s1 (σ), σ). La verifica della (2.10) è un semplice
calcolo:
−1
s(σ)i(a)s(σ)−1 = (s1 (σ), σ)(a, 1)(σ (−s1 (σ)), σ −1 )
−1
= (s1 (σ) + σa, σ)(σ (−s1 (σ)), σ −1 )
−1
= (s1 (σ) + σa + σσ (−s1 (σ)), 1)
= (σa, 1)
= i(σa).
18
CAPITOLO 2. ESTENSIONI E COOMOLOGIA
Come vedremo, il prodotto semidiretto non è l’unica soluzione del problema delle estensioni. Nel seguito, presentiamo gli strumenti teorici che ci
permetteranno di classificare tutte le estensioni di un dato π–modulo che
realizzano la data azione, a meno di un’opportuna equivalenza. Tale equivalenza risulterà in generale più restrittiva della relazione di isomorfismo:
in altre parole, troveremo estensioni non equivalenti che daranno luogo a
gruppi isomorfi.
2.2.1
2–cocicli
Fissiamo una volta per tutte un gruppo π e un π–modulo A (ϕ sia la data
azione), e consideriamo un’estensione (E, i, p) che realizza ϕ. Sia inoltre
una sezione s : π → E di p. Grazie al Lemma 2.27, è immediato accorgersi
che [s(σ)s(τ )] = [s(στ )] in E/i(A), per ogni σ, τ ∈ π. Quindi, per ogni
(σ, τ ) ∈ π × π, esiste un unico f (σ, τ ) ∈ A tale che:
s(σ)s(τ ) = i(f (σ, τ ))s(στ ).
(2.11)
Resta dunque definita una funzione f : π × π → A, chiaramente dipendente dall’estensione E e dalla sezione s. Tale f è detta sistema di fattori
corrispondente all’estensione E e alla sezione s.
Proposizione 2.30. La funzione f definita sopra verifica la seguente identità:
f (σ, τ ) + f (στ, η) = σf (τ, η) + f (σ, τ η),
(2.12)
per ogni σ, τ, η ∈ π.
Dimostrazione. Sfruttiamo la (2.11):
[s(σ)s(τ )]s(η) = i(f (στ ))s(στ )s(η) = i(f (στ ))i(f (στ, η))s(στ η).
D’altra parte:
s(σ)[s(τ )s(η)] = s(σ)i(f (τ, η))s(τ η)
= i(σf (τ, η))s(σ)s(τ η)
= i(σf (τ, η))i(f (σ, τ η))s(στ η),
ove per la seconda delle uguaglianze abbiamo usato la (2.10). Ora, grazie
all’associatività del prodotto in E e all’iniettività di i, deduciamo l’identità
(2.12).
Definizione 2.31. Una funzione f : π × π → A che verifica la (2.12) è detta
2–cociclo (da π ad A).
2.2. ESTENSIONI CON NUCLEO ABELIANO E H 2
19
Osservazione 2.32. Se f : π × π → A è un 2–cociclo, valgono le seguenti
uguaglianze:
f (σ, 1) = σf (1, 1),
f (1, σ) = f (1, 1),
(2.13)
per ogni σ ∈ π. La dimostrazione consiste in semplici applicazioni dell’uguaglianza (2.12).
La Proposizione 2.30 ci mostra che la scelta di un’estensione E e di una
sezione s dà origine ad un sistema di fattori f che è a tutti gli effetti un
2–cociclo. Il fatto interessante è che vale il viceversa, come vediamo nel
seguito.
Proposizione 2.33. Sia f : π × π → A un 2–cociclo. Nel prodotto cartesiano A × π consideriamo l’operazione definita da:
(a, σ)(b, τ ) = (a + σb + f (σ, τ ), στ ).
(2.14)
Tale operazione è associativa, ha elemento neutro (−f (1, 1), 1) e l’inverso
−1
−1
−1
di ogni elemento (a, σ) è dato da (−σ a − σ f (σ, σ −1 ) − σ f (1, 1), σ −1 ).
Dimostrazione. Si tratta di controlli di routine, i cui dettagli omettiamo.
L’associatività è conseguenza dell’identità (2.12).
Osservazione 2.34. Se f è il 2–cociclo banale tale che f (σ, τ ) = 0 per ogni
(σ, τ ) ∈ π×π, il gruppo (A×π, ·) ottenuto sopra è proprio uguale al prodotto
semidiretto A oϕ π.
Per ogni 2–cociclo f , denotiamo d’ora in poi con Ef il gruppo (A × π, ·)
che abbiamo costruito. Esistono due omomorfismi canonici:
if : A → Ef ,
if (a) = (a − f (1, 1), 1),
pf : Ef → π,
pf (a, σ) = σ.
(2.15)
È semplice dimostrare che Im if = ker pf = {(a, 1) : a ∈ A}. Ciò significa
che la successione
if
pf
0 −→ A −→ Ef −→ π −→ 0
è esatta, cioè che (Ef , if , pf ) è un’estensione di A mediante π. Con un piccolo
abuso di notazione, denoteremo sistematicamente anche quest’ultima con
Ef .
Inoltre, con un calcolo sostanzialmente simile a quello svolto nell’Osservazione 2.29, troviamo che, per ogni sezione s : π → Ef di pf e per ogni
σ ∈ π, a ∈ A:
s(σ)if (a)s(σ)−1 = (σa − σf (1, 1) + f (σ, 1) − f (1, 1), 1)
= (σa − f (1, 1), 1)
= if (σa),
20
CAPITOLO 2. ESTENSIONI E COOMOLOGIA
ove, per la seconda uguaglianza, abbiamo sfruttato la prima delle (2.13).
Quanto visto ci dà, di fatto, la dimostrazione del seguente teorema.
Teorema 2.35. Sia f : π × π → A un 2–cociclo. Allora, l’estensione Ef è
un’estensione di A mediante π che realizza l’azione ϕ.
Cosı̀ come avevamo utilizzato gli omomorfismi crociati da π ad A per
classificare i complementi di π nel prodotto semidiretto A oϕ π, vorremmo
ora mettere in corrispondenza i 2–cocicli con le estensioni di A mediante π
che realizzano l’azione ϕ. Nel risultato che dimostriamo di seguito vediamo
in che termini una tale corrispondenza può realizzarsi.
Teorema 2.36. Sia f : π × π → A un 2–cociclo, sia poi Ef l’estensione
descritta sopra. Sia sf : π → Ef la sezione canonica di pf definita da
sf (σ) = (0, σ). Allora f è il sistema di fattori corrispondente ad Ef e sf .
In altre parole, considerata la mappa Φ : f 7→ (Ef , sf ) (f sia un 2–
cociclo), essa ha come inversa sinistra Ψ : (E, s) 7→ f(E,s) , ove E = (E, i, p)
è un’estensione che realizza l’azione ϕ, s è una sezione di p, e f(E,s) è il
sistema di fattori corrispondente a E e s. In particolare, Φ è iniettiva e Ψ
è surgettiva.
Dimostrazione. Dobbiamo far vedere che f e sf verificano l’uguaglianza
(2.11). Abbiamo che, fissati σ, τ ∈ π:
sf (σ)sf (τ ) = (0, σ)(0, τ ) = (f (σ, τ ), στ ).
D’altra parte:
if (f (σ, τ ))sf (στ ) = (f (σ, τ ) − f (1, 1), 1)(0, στ )
= (f (σ, τ ) − f (1, 1) + f (1, στ ), στ )
= (f (σ, τ ), στ ),
ove per l’ultima uguaglianza abbiamo usato la seconda delle (2.13). Dunque,
siamo arrivati.
La seconda parte dell’enunciato, a questo punto, è una mera riformulazione di quanto già visto.
2.2.2
2–cobordi ed equivalenza di estensioni
Il Teorema 2.36 ci dà un modo per collegare 2–cocicli ed estensioni, però
è ben lontano dall’essere un risultato soddisfacente. Infatti, fissata una
qualsiasi estensione (E, i, p) che realizza ϕ, osserviamo che basta scegliere
due differenti sezioni s0 e s00 di p per ottenere due sistemi di fattori (e quindi
due 2–cocicli) f e f 0 distinti. In tal caso, però, f e f 0 sono collegati da una
particolare relazione, come mostriamo di seguito.
2.2. ESTENSIONI CON NUCLEO ABELIANO E H 2
21
Proposizione 2.37. Sia E = (E, i, p) un’estensione di A mediante π che
realizza ϕ. Siano poi s, s0 sezioni di p, siano inoltre f e f 0 i sistemi di fattori
corrispondenti. Allora esiste una funzione h : π → A tale che:
f 0 (σ, τ ) − f (σ, τ ) = σh(τ ) − h(στ ) + h(σ)
(2.16)
per ogni σ, τ ∈ π.
Dimostrazione. Fissiamo σ ∈ π. Per il Lemma 2.27, s(σ) e s0 (σ) sono
rappresentanti della medesima classe laterale di i(A) in E. Dunque esiste un unico elemento g ∈ i(A) tale che s0 (σ) = gs(σ). Poiché i è iniettiva,
g = i(h(σ)) per un unico h(σ) ∈ A. Resta dunque definita una funzione
h : π → A tale che s0 (σ) = i(h(σ))s(σ) per ogni σ ∈ π. Inoltre:
s0 (σ)s0 (τ ) = i(h(σ))s(σ)i(h(τ ))s(τ )
= i(h(σ))i(σh(τ ))s(σ)s(τ )
(l’estensione realizza ϕ)
σ
= i(h(σ) + h(τ ))i(f (σ, τ ))s(στ ),
e d’altra parte:
s0 (σ)s0 (τ ) = i(f 0 (σ, τ ))s0 (στ ) = i(f 0 (σ, τ ))i(h(στ ))s(στ ).
Dunque, mettendo assieme quanto trovato, abbiamo che:
i(f 0 (σ, τ )) + i(h(στ )) = i(h(σ) + σh(τ ) + f (σ, τ )),
il tutto per ogni σ, τ ∈ π. Utilizzando l’iniettività di i e riordinando i termini,
deduciamo immediatamente la tesi.
Definizione 2.38. Una funzione g : π × π → A è detta 2–cobordo (da π ad
A) se esiste una funzione h : π → A tale che:
g(σ, τ ) = σh(τ ) − h(στ ) + h(σ),
(2.17)
per ogni σ, τ ∈ π.
Definizione 2.39. Siano f e f 0 due 2–cocicli. Diciamo che f 0 è equivalente
a f , in simboli f 0 ∼ f , se la funzione f 0 − f (definita nel modo usuale) è un
2–cobordo.
Lemma 2.40. L’equivalenza di 2–cocicli definita sopra è una relazione di
equivalenza.
La Proposizione 2.37 suggerisce che la classificazione delle estensioni di
A mediante π che realizzano ϕ debba passare per le classi di equivalenza
di 2–cocicli rispetto alla relazione definita sopra. Nondimeno, è opportuno
introdurre una relazione di equivalenza anche per le estensioni stesse; di
seguito, diamo la definizione generale.
22
CAPITOLO 2. ESTENSIONI E COOMOLOGIA
Definizione 2.41. Siano K e G due gruppi, siano E = (E, i, p) e E 0 =
(E 0 , i0 , p0 ) due estensioni di K mediante G. Diciamo che E è equivalente ad
E 0 , in simboli E ∼ E 0 , se esiste un omomorfismo γ : E → E 0 tale che il
seguente diagramma è commutativo:
7 E OOO
ooo
OOpO
o
o
o
OOO
o
o
'
γ
/ K Oo
o7 G
0
OOO i0
o
p
o
o
OOO
OO' ooooo
i
0
/0
(2.18)
E0
Vediamo ora due risultati tecnici.
Lemma 2.42. Siano E, E 0 come nella definizione sopra. Allora l’omomorfismo γ : E → E 0 è un isomorfismo.
Dimostrazione. Si tratta un semplice esempio di “caccia al diagramma”.
Per semplicità, ometteremo il simbolo “◦” nell’indicare la composizione di
due funzioni.
Sia x ∈ ker γ. Allora γ(x) = 1, da cui p0 γ(x) = 1. Ma per la commutatività del diagramma, p0 γ = p, dunque p(x) = 1, cioè x ∈ ker p. Per esattezza,
ker p = Im i, quindi esiste a ∈ K tale che x = i(a), e in particolare γi(a) = 1.
Ma, ancora per la commutatività del diagramma, γi = i0 , e troviamo cosı̀
che i0 (a) = 1. Per esattezza, i0 è iniettiva, dunque necessariamente a = 0,
da cui i(a) = x = 1. Ciò dimostra l’iniettività di γ.
Poi, sia y ∈ E 0 . Allora, p0 (y) ∈ G, e per la surgettività di p (implicata
dall’esattezza), esiste x ∈ E tale che p0 (y) = p(x). Per la commutatività,
p(x) = p0 γ(x), da cui p0 (y) = p0 (γ(x)), dunque yγ(x)−1 ∈ ker p0 = Im i0 ,
quindi esiste a ∈ K tale che yγ(x)−1 = i0 (a) = γ(i(a)), ove l’ultima uguaglianza è vera per la commutatività del diagramma. Poiché γ è un omomorfismo, deduciamo in definitiva che y = γ(x)γ(i(a)) = γ(xi(a)), e ciò ci
garantisce la surgettività voluta, giacché x, i(a) ∈ E.
Lemma 2.43. L’equivalenza di estensioni definita precedentemente è una
relazione di equivalenza.
Inoltre, date due estensioni E, E 0 di A mediante π tali che E ∼ E 0 ,
abbiamo che E realizza l’azione ϕ se e solo se E 0 la realizza.
Dimostrazione. Per la prima parte dell’enunciato, si tratta di controlli di
routine, che omettiamo.
Per quanto riguarda la seconda parte, sfruttiamo il lemma appena mostrato, che assicura l’esistenza di un isomorfismo γ : E → E 0 che fa commutare il diagramma (2.18). A questo punto supponiamo che E realizzi ϕ, e
osserviamo che, se s0 è una sezione di p0 , allora s = γ −1 ◦ s0 è una sezione di
p. Per ipotesi, abbiamo che:
i(σa) = γ −1 (s0 (σ)i(a))γ −1 (s(σ)),
2.2. ESTENSIONI CON NUCLEO ABELIANO E H 2
23
per ogni a ∈ A e per ogni σ ∈ π. Se componiamo a sinistra con la funzione
γ in ambo i membri dell’uguaglianza e sfruttiamo che i0 = γ ◦ i, concludiamo
subito – grazie all’arbitrarietà di s0 – che E 0 realizza ϕ. Il viceversa segue
immediatamente, grazie alla simmetria dell’equivalenza tra E 0 ed E.
Osservazione 2.44. Se due estensioni (E, i, p) e (E 0 , i0 , p0 ) sono equivalenti,
allora i gruppi E ed E 0 sono isomorfi. Tuttavia, non è vero il viceversa:
esistono gruppi isomorfi che danno luogo ad estensioni non equivalenti, come
mostriamo nel seguente esempio.
Fissiamo un numero primo q > 2 e consideriamo gli omomorfismi i1 , i2 :
Zq → Zq2 definiti da i1 ([n]) = [qn] e i2 ([n]) = [2qn]. È chiaro che i1 (Zq ) =
[q]Zq2 e i2 (Zq ) = [2q]Zq2 . Inoltre, poiché gcd(2, q 2 ) = 1 e [2] ha un inverso
moltiplicativo in Zq2 , è immediato mostrare che [q]Zq2 = [2q]Zq2 . Detta
p : Zq2 → Zq2 /[q]Zq2 la proiezione canonica al quoziente, abbiamo quindi che
(Zq2 , i1 , p) e (Zq2 , i2 , p) sono estensioni di Zq mediante Zq2 /[q]Zq2 . Notiamo
che il gruppo che compare nelle due estensioni è lo stesso, Zq2 , tuttavia
vediamo di seguito che esse non sono equivalenti.
Per assurdo, infatti, supponiamo esista un isomorfismo γ : Zq2 → Zq2 tale
che il diagramma (2.18) sia commutativo. Siccome γ è un automorfismo di
Zq2 , sappiamo che esiste un unico intero r con 0 < r < q 2 e gcd(r, q 2 ) = 1,
tale che γ([n]) = [rn] per ogni [n] ∈ Zq2 . Inoltre, la commutatività di
(2.18) implica che γ(i1 ([1])) = γ([q]) = i2 ([1]) = [2q], cioè [rq] = [2q] in
Zq2 . Ciò significa che q 2 | (r − 2)q, ed equivalentemente che q | r − 2, cioè
r ≡ 2 (mod q). Abbiamo d’altra parte che p(γ([n])) = p([rn]) = p([n])
per ogni [n] ∈ Zq2 , da cui deduciamo che p([(r − 1)n]) = 0, per ogni [n] ∈
Zq2 . Ma r − 1 ≡ 1 (mod q), e poiché q è primo troviamo senz’altro che
gcd(r − 1, q 2 ) = 1. È noto altresı̀ che la funzione βr−1 : Zq2 → Zq2 data da
βr−1 ([n]) = [(r − 1)n] è un automorfismo di Zq2 . Dunque, fissato [n] ∈ Zq2 ,
esiste un unico elemento [m] ∈ Zq2 tale che [n] = [(r − 1)m]. Da ciò abbiamo
che p([n]) = p([(r − 1)m]) = 0. Grazie all’arbitrarietà di [n], deduciamo che
p è l’omomorfismo banale, e questo è un evidente assurdo.
2.2.3
Il teorema di Schreier
Abbiamo ora gli strumenti per enunciare e dimostrare il risultato principale
di questa sezione e anzi dell’intera tesi, che permette la classificazione delle classi di equivalenza delle estensioni di A mediante π che realizzano ϕ,
attraverso le classi di equivalenza dei 2–cocicli.
Teorema 2.45 (Schreier). Esiste una corrispondenza biunivoca tra classi di
equivalenza di 2–cocicli da π ad A e classi di equivalenza di estensioni di A
mediante π che realizzano ϕ.
Inoltre, tale corrispondenza manda la classe del 2–cociclo banale, definito
da f (σ, τ ) = 0 per ogni (σ, τ ) ∈ π × π, nella classe del prodotto semidiretto
A oϕ π.
24
CAPITOLO 2. ESTENSIONI E COOMOLOGIA
Per cominciare, definiamo le funzioni che ci daranno la corrispondenza
voluta. Riprendiamo interamente le notazioni del Teorema 2.36, e inoltre
denotiamo con E(π, A) l’insieme delle estensioni di A mediante π che realizzano ϕ. La Proposizione 2.37 ci assicura che Ψ induce una mappa definita su
E(π, A) e a valori nell’insieme delle classi di equivalenza di 2–cocicli, denotata per semplicità ancora Ψ e data da Ψ(E) = [f(E,s) ]. Con un altro piccolo
abuso di notazione, denotiamo sempre con Φ la mappa definita sull’insieme
dei 2–cocicli e a valori in E(π, A), data da Φ(f ) = Ef .
Ora, definiamo sui rispettivi insiemi quoziente le mappe Φ : [f ] 7→ [Ef ]
e Ψ : [E] 7→ [f(E,s) ]. Si pone il problema della loro buona definizione, che
discutiamo nei seguenti risultati.
Lemma 2.46. La mappa Φ è ben definita.
Dimostrazione. Fissiamo due 2–cocicli f1 e f2 tali che f1 ∼ f2 ; poniamo
poi Efj = (Efj , ij , pj ) per j = 1, 2. Per definizione, esiste un 2–cobordo
h tale che è verificata l’uguaglianza (2.16). Definiamo allora la funzione
γ : Ef1 → Ef2 mediante la formula γ(a, σ) = (a + h(σ), σ).
Dimostriamo che γ è un omomorfismo di gruppi. Fissiamo (a, σ), (b, τ ) ∈
Ef1 . Allora:
γ((a, σ)(b, τ )) = γ(a + σb + f1 (σ, τ ), στ )
= (a + σb + f1 (σ, τ ) + h(στ ), στ ),
e inoltre:
γ(a, σ)γ(b, τ ) = (a + h(σ), σ)(b + h(τ ), τ )
= (a + h(σ) + σb + σh(τ ) + f2 (σ, τ ), στ ).
Ma, d’altra parte, sfruttando l’uguaglianza (2.16) è immediato osservare che
a + σb + f1 (σ, τ ) + h(στ ) = a + h(σ) + σb + σh(τ ) + f2 (σ, τ ),
da cui si conclude subito che γ((a, σ)(b, τ )) = γ(a, σ)γ(b, τ ), come volevamo.
Ora, controlliamo che γ faccia commutare il diagramma (2.18). Sia a ∈
A. Allora abbiamo che:
γ(i1 (a)) = γ(a − f1 (1, 1), 1) = (a − f1 (1, 1) + h(1), 1).
D’altra parte, sempre dalla (2.16), notiamo che:
f2 (1, 1) − f1 (1, 1) = h(1) − h(1) + h(1) = h(1),
da cui deduciamo:
γ(i1 (a)) = (a − f2 (1, 1), 1) = i2 (a),
2.2. ESTENSIONI CON NUCLEO ABELIANO E H 2
25
da cui γ ◦ i1 = i2 , grazie all’arbitrarietà di a ∈ A. Poi, è praticamente
immediato osservare che p1 = p2 ◦ γ.
In definitiva, abbiamo dimostrato che, se f1 ∼ f2 come 2–cocicli, allora
Ef1 ∼ Ef2 come estensioni. Ciò significa proprio che la mappa Φ è ben
definita.
Lemma 2.47. La mappa Ψ è ben definita.
Dimostrazione. Fissiamo due estensioni (di A mediante π che realizzano ϕ)
E1 = (E1 , i1 , p1 ) e E2 = (E2 , i2 , p2 ) tali che E1 ∼ E2 , e sia γ : E1 → E2
l’omomorfismo che rende commutativo il diagramma (2.18). Consideriamo
una sezione s1 di p1 e una sezione s2 di p2 , e siano poi f1 = f(E1 ,s1 ) ed
f2 = f(E2 ,s2 ) i sistemi di fattori associati rispettivamente ad E1 e s1 e ad E2
e s2 . Per definizione abbiamo che, per ogni σ, τ ∈ π:
s(σ)s(τ ) = i1 (f1 (σ, τ ))s(στ ).
Se applichiamo γ ai membri di tale uguaglianza e utilizziamo che, per ipotesi,
γ ◦ i1 = i2 , troviamo:
γ(s(σ))γ(s(τ )) = i2 (f1 (σ, τ ))γ(s(στ )).
per ogni σ, τ ∈ π. Inoltre, poiché p1 = p2 ◦ γ, è chiaro che γ ◦ s è una
sezione di p2 . Dunque l’uguaglianza trovata sopra ci assicura che f1 =
f(E2 ,γ◦s) . D’altra parte, per la Proposizione 2.37, abbiamo sicuramente che
f2 ∼ f(E2 ,γ◦s) . In definitiva, f1 ∼ f2 e ciò dimostra la buona definizione di
Ψ.
Ora che siamo certi che sono ben definite, dimostriamo che le mappe Φ
e Ψ sono una l’inversa dell’altra.
Sia [f ] la classe di equivalenza di un 2–cociclo. Allora Ψ(Φ([f ])) =
Ψ([Ef ]) = [f(Ef ,s) ], ove s è una qualsiasi sezione di p : Ef → π. Possiamo
senz’altro scegliere s come la sezione canonica sf : σ 7→ (0, σ) e sfruttare il
Teorema 2.36, il quale asserisce proprio che f = f(Ef ,sf ) , da cui deduciamo
direttamente che Ψ(Φ([f ])) = [f(Ef ,sf ) ] = [f ].
Poi, sia [E] la classe di equivalenza di un’estensione E = (E, i, p) di A
mediante π che realizza ϕ. Allora, Φ(Ψ([E])) = Φ([f(E,s) ]) = [Ef(E,s) ], ove s
è una qualsiasi sezione di p.
Lemma 2.48. Ef(E,s) è equivalente ad E.
Dimostrazione. Definiamo γ : Ef(E,s) → E mediante la formula γ(a, σ) =
i(a)s(σ), e dimostriamo che γ è un omomorfismo che fa commutare il diagramma (2.18). Siano (a, σ), (b, τ ) ∈ Ef(E,s) . Allora, scrivendo per semplicità
f al posto di f(E,s) :
γ((a, σ)(b, τ )) = γ(a + σb + f (σ, τ ), στ )
= i(a + σb + f (σ, τ ))s(στ ).
26
CAPITOLO 2. ESTENSIONI E COOMOLOGIA
D’altra parte:
γ(a, σ)γ(b, τ ) = i(a)s(σ)i(b)s(τ )
= i(a)i(σb)s(σ)s(τ )
(E realizza ϕ)
σ
= i(a)i( b)i(f (σ, τ ))s(στ ).
Confrontando quanto trovato, è immediato osservare che γ((a, σ)(b, τ )) =
γ(a, σ)γ(b, τ ), come volevamo.
Inoltre, se a ∈ A, abbiamo che:
γ(if (a)) = γ(a − f (1, 1), 1) = i(a − f (1, 1))s(1),
ma d’altra parte la (2.11) ci assicura che s(1) = i(f (1, 1)), e quindi che
γ(if (a)) = i(a). Per finire, fissiamo (a, σ) ∈ Ef(E,s) . Allora p(γ(a, σ)) =
p(i(a)s(σ)), ma p(i(a)) = 1 per esattezza e p(s(σ)) = σ perché s è una
sezione di p. In definitiva, p(γ(a, σ)) = σ = pf (a, σ), da cui deduciamo
che p ◦ γ = pf . Ciò dimostra la commutatività del diagramma (2.18), e ci
permette di concludere che Ef(E,s) ∼ E, come volevamo.
Abbiamo dunque mostrato che Φ(Ψ([E])) = [E], e quindi che Φ e Ψ sono
una l’inversa dell’altra, come volevamo.
Ora, grazie all’Osservazione 2.34, è immediato osservare che, se f è il
2–cociclo banale, allora Φ([f ]) = [A oϕ π]. Ciò conclude finalmente la
dimostrazione del Teorema 2.45.
2.2.4
Il secondo gruppo di coomologia
D’ora in poi, denotiamo con Z 2 (π, A) l’insieme dei 2–cocicli da π ad A,
e con B 2 (π, A) l’insieme dei 2–cobordi. È possibile definire in Z 2 (π, A)
un’operazione di somma. Se f1 , f2 : π × π → A sono 2–cocicli, definiamo
f1 + f2 : π × π → A nel modo usuale: (f1 + f2 )(σ, τ ) = f1 (σ, τ ) + f2 (σ, τ )
per ogni (σ, τ ) ∈ π × π.
Proposizione 2.49. Z 2 (π, A), insieme con l’operazione di somma definita
sopra, costituisce un gruppo abeliano. L’elemento neutro è dato dal 2–cociclo
banale f tale che f (σ, τ ) = 0 per ogni (σ, τ ) ∈ π × π, e ogni 2–cociclo g ha
come opposto il 2–cociclo −g definito da (−g)(σ, τ ) = −g(σ, τ ) per ogni
(σ, τ ) ∈ π × π.
Inoltre, B 2 (π, A) è un sottogruppo di Z 2 (π, A).
Finalmente, definiamo il secondo gruppo di coomologia.
Definizione 2.50. Il gruppo abeliano quoziente Z 2 (π, A)/B 2 (π, A) è detto
secondo gruppo di coomologia di π a coefficienti in A ed è denotato con
H 2 (π, A).
2.2. ESTENSIONI CON NUCLEO ABELIANO E H 2
27
È immediato notare che gli elementi di H 2 (π, A) sono esattamente le
classi di equivalenza di 2–cocicli discusse nelle pagine precedenti. Possiamo
dunque riformulare il teorema di Schreier nel modo seguente.
Teorema 2.51 (Schreier). Denotato con E(π, A)/∼ l’insieme delle classi di
equivalenza di estensioni di π mediante A che realizzano la data azione ϕ,
esiste una corrispondenza biunivoca
H 2 (π, A) ←→ E(π, A)/∼
tale che l’elemento neutro 0 ∈ H 2 (π, A) viene mandato nella classe del
prodotto semidiretto [A oϕ π] ∈ E(π, A)/∼ .
Corollario 2.52. H 2 (π, A) = 0 se e solo se l’unica estensione di A mediante
π che realizza ϕ è, a meno di equivalenza, il prodotto semidiretto Aoϕ π.
Concentriamoci ora sul calcolo del secondo gruppo di coomologia. Al
tal proposito, forniamo due condizioni sufficienti affinché H 2 (π, A) = 0, del
tutto analoghe a quelle già viste per il primo gruppo di coomologia.
Lemma 2.53. Supponiamo che π sia finito, e |π| = n. Allora nH 2 (π, A) =
0.
Dimostrazione. Procediamo analogamente a quanto fatto per il Lemma 2.24.
Fissiamo f ∈ Z 2 (π, A), σ, τ ∈ π e sommiamo su η ∈ π membro a membro
nell’uguaglianza (2.12):
X
X
X
X
f (σ, τ ) +
f (στ, η) = σ
f (τ, η) +
f (σ, τ η).
η∈π
η∈π
η∈π
η∈π
Per ogni τ ∈ π, la mappa data da η 7→ τ η (η ∈ π) è una bigezione di π in
sé, quindi:
{f (σ, τ η) : η ∈ π} = {f (σ, η) : η ∈ π},
e deduciamo che:
X
X
X
X
f (σ, τ ) +
f (στ, η) = σ
f (τ, η) +
f (σ, η).
η∈π
η∈π
η∈π
η∈π
Ora, se definiamo la funzione g : π → A mediante g(σ) =
l’uguaglianza trovata si riscrive nel modo seguente:
P
η∈π
f (σ, η),
nf (σ, τ ) + g(στ ) = σg(τ ) + g(σ).
Per l’arbitrarietà di σ, τ ∈ π, abbiamo dunque che nf ∈ B 2 (π, A), e ciò
dimostra la tesi.
Teorema 2.54. Supponiamo che entrambi π e A siano finiti, e tali che
gcd(|π|, |A|) = 1. Allora H 2 (π, A) = 0.
28
CAPITOLO 2. ESTENSIONI E COOMOLOGIA
Dimostrazione. Poniamo |π| = n e |A| = m. Per coprimalità, esiste un
intero r tale che rn ≡ 1 (mod m).
Sia poi f ∈ Z 2 (π, A). Per il Lemma 2.53 nf ∈ B 2 (π, A), quindi esiste
h : π → A tale che, per ogni σ, τ ∈ π:
nf (σ, τ ) = σh(τ ) − h(στ ) + h(σ).
Moltiplicando per r l’uguaglianza trovata, chiaramente troviamo:
f (σ, τ ) = σrh(τ ) − rh(στ ) + rh(σ).
Ciò significa che f ∈ B 2 (π, A), come volevamo.
Teorema 2.55. Supponiamo che π sia finito con |π| = n, e che A sia
n–divisibile e privo di torsione. Allora H 2 (π, A) = 0.
Dimostrazione. Sia f ∈ Z 2 (π, A). Allora, per il Lemma 2.53, nf ∈ B 2 (π, A),
cioè esiste una funzione h : π → A tale che, fissati σ, τ ∈ π:
nf (σ, τ ) = σh(τ ) − h(στ ) + h(σ).
Poiché A è n–divisibile, per ogni ζ ∈ π esiste h̃(ζ) tale che h(ζ) = nh̃(ζ).
Resta dunque definita una funzione h̃ : π → A tale che:
nf (σ, τ ) = nσh̃(τ ) − nh̃(στ ) + nh̃(σ).
Poiché A è privo di torsione, da quest’ultima uguaglianza deduciamo che:
f (σ, τ ) = σh̃(τ ) − h̃(στ ) + h̃(σ).
Quindi, grazie all’arbitrarietà di σ, τ ∈ π, abbiamo che f ∈ B 2 (π, A). La
tesi risulta cosı̀ dimostrata.
2.2.5
Esempi
Vediamo ora qualche applicazione dei risultati visti sinora, tra cui il calcolo
del secondo gruppo di coomologia in qualche caso specifico.
Un risultato di teoria dei gruppi. La coomologia ci permette di dare
una semplice dimostrazione del seguente teorema di teoria dei gruppi.
Proposizione 2.56. Sia E un gruppo finito di ordine mn, con gcd(m, n) =
1. Supponiamo che E contenga un sottogruppo normale abeliano A di ordine
m. Allora E contiene sottogruppi di ordine n, e due qualsiasi di questi
sottogruppi sono coniugati.
2.2. ESTENSIONI CON NUCLEO ABELIANO E H 2
29
Dimostrazione. Consideriamo l’estensione:
0 −→ A −→ E −→ E/A −→ 0,
ove gli omomorfismi sono quelli ovvi. Consideriamo poi A come E/A–
modulo rispetto all’azione ϕ descritta nella prima parte di questa sezione;
sappiamo che l’estensione scritta realizza ϕ.
Ora, poiché |A| = m, chiaramente |E/A| = n. Possiamo allora applicare
il Teorema 2.54, e dedurre che H 2 (E/A, A) = 0. Per il Corollario 2.52,
l’estensione costruita è equivalente al prodotto semidiretto A oϕ E/A, e in
particolare E è isomorfo a A oϕ E/A, e contiene quindi al suo interno un
sottogruppo isomorfo a E/A, che ha ordine n. Abbiamo cosı̀ mostrato la
prima parte dell’enunciato.
Per quanto riguarda la seconda parte, mostriamo innanzitutto che ogni
sottogruppo di ordine n di A oϕ E/A è un complemento di A nel prodotto
semidiretto. Infatti, sia H un tale sottogruppo. Se x ∈ A ∩ H, allora xm = 1
e xn = 1. Ma allora ord x | n e ord x | m, dunque ord x = 1 per coprimalità
di m e n, e in definitiva x = 1. Abbiamo quindi che A ∩ H = {1}; perciò,
|AH| = |A||H| = mn = |A oϕ E/A|, e questo implica necessariamente che
AH = A oϕ E/A, visto che AH ⊆ A oϕ E/A e sono entrambi insiemi
finiti con stessa cardinalità. A questo punto, il Teorema 2.25 ci assicura
che H 1 (E/A, A) = 0. Per il Corollario 2.23, tutti i complementi di A in
A oϕ E/A sono coniugati. Ma abbiamo dimostrato che ogni sottogruppo di
A oϕ E/A di ordine n è un complemento di A. Ciò, evidentemente, ci porta
alla tesi.
H 2 (π, A) se π è ciclico infinito. Supponiamo che π = hσi sia un gruppo
ciclico infinito, e dimostriamo che H 2 (π, A) = 0.
Fissiamo f ∈ Z 2 (π, A) e costruiamo una funzione h : π → A tale che sia
verificata la (2.17). Per cominciare, è chiaro che siamo forzati a porre h(1) =
f (1, 1). Scegliamo h(σ) ∈ A ad arbitrio. Poi, fissiamo n ≥ 1 e supponiamo
induttivamente di aver definito h(σ n ); definiamo h(σ n+1 ) tenendo presente
la (2.17):
h(σ n+1 ) = σh(σ n ) − f (σ, σ n ) + h(σ).
Per quanto riguarda h(σ −1 ), poniamo:
−1
h(σ −1 ) = −σ h(σ) + f (σ −1 , σ) + h(1).
Ancora, fissiamo n ≥ 1 e supponiamo di aver definito h(σ −n ); definiamo
h(σ −n−1 ) sempre tenendo presente la (2.17):
−1
h(σ −n−1 ) = σ h(σ −n ) − f (σ −1 , σ −n ) + h(σ −1 ).
Abbiamo cosı̀ costruito induttivamente una funzione h : π → A. Dobbiamo dimostrare che essa rende vera la (2.17), per ogni (σ i , σ j ) ∈ π × π
(i, j ∈ Z). Ragioniamo in più passaggi.
30
CAPITOLO 2. ESTENSIONI E COOMOLOGIA
1. f (σ, σ j ) verifica l’uguaglianza voluta per ogni j ≥ 0. Si vede direttamente dalla definizione di h, e tenendo conto che f (σ, σ 0 ) = f (σ, 1) =
σf (1, 1) = σh(1).
2. f (σ, σ −j ) verifica l’uguaglianza per ogni j > 0. Innanzitutto, sfruttiamo l’identità (2.12) ponendo σ = σ, τ = σ −1 e η = σ. Troviamo:
f (σ, σ −1 ) = σf (σ −1 , σ) + f (σ, 1) − f (1, σ)
= h(σ) − σh(1) + σh(σ −1 ) + σh(1) − h(1)
= σh(σ −1 ) − h(1) + h(σ),
ove nella seconda uguaglianza abbiamo usato la definizione stessa di
h(σ −1 ). Ora, fissiamo j > 0 e poniamo σ = σ, τ = σ −1 , η = σ −j+1
nella (2.12):
f (σ, σ −j ) = f (σ, σ −1 ) + f (1, σ −j+1 ) − σf (σ −1 , σ −j+1 )
= σh(σ −1 ) − h(1) + h(σ) + h(1) − h(σ −j+1 ) + σh(σ −j ) − σh(σ −1 )
= σh(σ −j ) − h(σ −j+1 ) + h(σ),
ove nella seconda uguaglianza abbiamo usato quanto trovato poco sopra per f (σ, σ −1 ), nonché la definizione di h(σ −j ) se j − 1 > 1 (nel
caso in cui j = 1, si ha direttamente che σf (σ −1 , σ −j+1 ) = h(1) =
h(σ −j+1 )).
3. f (σ −1 , σ j ) verifica l’uguaglianza per ogni j ≥ 0. Se j = 0 è tutto ovvio,
se poi j = 1 basta usare la definizione di h(σ −1 ). Supponiamo allora
che j > 1 e sfruttiamo l’identità (2.12) con σ = σ −1 , τ = σ, η = σ j−1 :
−1
f (σ −1 , σ j ) = f (σ −1 , σ) + f (1, σ j−1 ) − σ f (σ, σ j−1 )
−1
−1
−1
= σ h(σ) − h(1) + h(σ −1 ) + h(1) − h(σ j−1 ) + σ h(σ j ) − σ h(σ)
−1
= σ h(σ j ) − h(σ j−1 ) + h(σ −1 ),
ove abbiamo sempre usato la definizione di h.
4. f (σ −1 , σ −j ) verifica l’uguaglianza per ogni j > 0. Basta applicare
direttamente la definizione di h.
5. f (σ i , σ j ) verifica l’uguaglianza voluta per ogni i ≥ 0 e per ogni j ∈ Z.
Se i = 0 è tutto ovvio. Fissiamo allora j e ragioniamo per induzione
su i. Il passo base (i = 1) è stato già visto in uno dei punti precedenti.
Consideriamo dunque i ≥ 1 e vediamo il passo induttivo. Poniamo
2.2. ESTENSIONI CON NUCLEO ABELIANO E H 2
31
σ = σ i , τ = σ e η = σ j nella (2.12):
i
f (σ i+1 , σ j ) = σ f (σ, σ j ) + f (σ i , σ j+1 ) − f (σ i , σ)
=σ
i+1
i
i
i
h(σ j ) − σ h(σ j+1 ) + σ h(σ) + σ h(σ j+1 ) − h(σ i+j+1 )
i
+ h(σ i ) − σ h(σ) + h(σ i+1 ) − h(σ i )
=σ
i+1
h(σ j ) − h(σ i+j+1 ) + h(σ i+1 ),
ove abbiamo usato sia l’ipotesi induttiva sia il passo base. Per induzione, arriviamo alla tesi.
6. f (σ −i , σ j ) verifica l’uguaglianza per ogni i > 0 e per ogni j ∈ Z.
Fissato j, come prima ragioniamo per induzione su i. Il passo base (i =
1) è già stato visto in uno dei punti precedenti, consideriamo dunque
i ≥ 1 e occupiamoci del passo induttivo. Poniamo σ = σ −i , τ = σ −1 e
η = σ j nell’uguaglianza (2.12):
−i
f (σ −i−1 , σ j ) = σ f (σ −1 , σ j ) + f (σ −i , σ j−1 ) − f (σ −i , σ −1 )
=σ
−i−1
−i
−i
−i
h(σ j ) − σ h(σ j−1 ) + σ h(σ −1 ) + σ h(σ j−1 ) − h(σ −i−1+j )
−i
+ h(σ −i ) − σ h(σ −1 ) + h(σ −i−1 ) − h(σ −i )
=σ
−i−1
h(σ j ) − h(σ −i−1+j ) + h(σ −i−1 ),
ove abbiamo usato l’ipotesi induttiva e il passo base, analogamente a
quanto visto nel passo precedente. Per induzione, la tesi segue.
I passaggi svolti ci mostrano proprio che f e h sono tali che (2.17) è
verificata per ogni coppia di elementi di π × π. Ciò significa che f ∈
B 2 (π, A). Per l’arbitrarietà di f , concludiamo che Z 2 (π, A) = B 2 (π, A),
da cui direttamente H 2 (π, A) = 0.
H 2 (π, A) se π è ciclico finito. Diamo solo il risultato senza dimostrazione, rimandando per quest’ultima a [Mac07]. Ricordiamo che, dato a ∈ A, la
sua norma N (a) è definita da:
X
σ
N (a) =
a.
σ∈π
Si può dimostrare che l’insieme {N (a) : a ∈ A} è un sottogruppo di A.
Inoltre, denotiamo con Aπ l’insieme degli elementi di A fissati da tutti gli
elementi di π attraverso l’azione ϕ:
Aπ = {a ∈ A : σa = a
∀ σ ∈ π}.
È chiaro che anche Aπ è un sottogruppo di A.
(2.19)
32
CAPITOLO 2. ESTENSIONI E COOMOLOGIA
Supponiamo ora che π = hσi sia un gruppo ciclico finito di ordine n. È
possibile mostrare che:
Z 2 (π, A) ∼
= Aπ ,
B 2 (π, A) ∼
= {N (a) : a ∈ A},
e quindi, con tutta evidenza, che:
H 2 (π, A) =
Aπ
.
{N (a) : a ∈ A}
È interessante osservare qualche caso particolare di questo risultato. Ad
esempio, supponiamo che l’azione di π su A sia banale. Allora Aπ = A,
e inoltre per ogni a ∈ A abbiamo chiaramente che N (a) = na, da cui
deduciamo che {N (a) : a ∈ A} = nA. Con tale ipotesi, quindi, H 2 (π, A) =
A/nA. Se poi A è n–divisibile, per definizione nA = A, e H 2 (π, A) = 0.
Capitolo 3
Coomologia dei gruppi
generale
3.1
I gruppi di coomologia H n per n ≥ 0
Nel capitolo precedente, abbiamo definito i gruppi di coomologia H 1 e H 2
e ne abbiamo dato un’interpretazione “concreta” in teoria dei gruppi. A
questo punto, ci si può chiedere se esistano gruppi di coomologia H n definiti
per qualsiasi n ≥ 0. In effetti è proprio cosı̀, e la coomologia dei gruppi si
occupa in generale dello studio di tali oggetti. In questa sezione ne vediamo
una possibile definizione e qualche proprietà basilare.
3.1.1
n–cocatene e operatori di cobordo
Fissiamo per tutto il discorso un gruppo π e un π–modulo A; denotiamo
con ϕ : π → Aut(A), σ 7→ ϕσ l’omomorfismo che lo definisce, e scriviamo
al solito σa per ϕσ (a). Se n ≥ 0 è un intero, denotiamo con π n il prodotto
cartesiano di π con sé stesso fatto n volte, con la convenzione che π 0 sia un
insieme con un solo elemento: π 0 = {1}. Inoltre, d’ora in poi denoteremo
sistematicamente con 0 qualsiasi omomorfismo di gruppi banale (che manda
ogni elemento nell’elemento neutro), e per brevità scriveremo sovente gf al
posto di g ◦ f , per indicare la composizione di funzioni.
Definizione 3.1. Una n–cocatena (da π ad A) è una funzione f : π n → A.
L’insieme delle n–cocatene è denotato con C n (π, A).
L’insieme C n (π, A) ha una ovvia struttura di gruppo abeliano rispetto
all’operazione di somma definita nel modo usuale: se f, g ∈ C n (π, A), f + g
è data da (f + g)(σ1 , . . . , σn ) = f (σ1 , . . . , σn ) + g(σ1 , . . . , σn ); l’elemento
neutro è la n–cocatena banale che manda tutto in 0 ∈ A, e l’opposto di f ∈
C n (π, A) è la n–cocatena −f definita da (−f )(σ1 , . . . , σn ) = −f (σ1 , . . . , σn ).
Poiché π 0 = {1} per convenzione, è chiaro che C 0 (π, A) ∼
= A mediante la
corrispondenza f ↔ f (1).
33
34
CAPITOLO 3. COOMOLOGIA DEI GRUPPI GENERALE
Per ogni n ≥ 0, definiamo ora il cosiddetto operatore di cobordo, cioè la
funzione δ n : C n (π, A) → C n+1 (π, A) : f 7→ δ n f , data da:
(δ n f )(σ1 , . . . , σn+1 ) = σ1f (σ2 , . . . , σn+1 ) − f (σ1 σ2 , . . . , σn+1 )
+ f (σ1 , σ2 σ3 , . . . , σn+1 ) − . . . + (−1)n+1 f (σ1 , . . . , σn ).
(3.1)
Lemma 3.2. δ n è un omomorfismo di gruppi. Inoltre, δ n δ n−1 = 0 per ogni
n ≥ 1.
Dimostrazione. Si tratta di verifiche di routine, che omettiamo.
3.1.2
L’n–esimo gruppo di coomologia
Cominciamo dando qualche definizione.
Definizione 3.3. Per ogni n ≥ 0, poniamo Z n (π, A) = ker δ n . Gli elementi
di Z n (π, A) sono detti n–cocicli (da π ad A).
Per n ≥ 1, poniamo B n (π, A) = Im δ n−1 e inoltre definiamo d’arbitrio
0
B (π, A) = 0. Gli elementi di B n (π, A) sono detti n–cobordi (da π ad A).
Il Lemma 3.2, con tutta evidenza, ci assicura che Im δ n−1 ⊆ ker δ n , per
ogni n ≥ 1. Ciò giustifica la seguente definizione.
Definizione 3.4. Il gruppo abeliano quoziente Z n (π, A)/B n (π, A) è detto
n–esimo gruppo di coomologia di π a coefficienti in A ed è denotato con
H n (π, A).
È quasi immediato osservare che tale definizione, nel caso in cui n = 1 o
n = 2, è proprio quella già vista nel capitolo precedente.
Vediamo invece come caratterizzare il gruppo H 0 (π, A). Poiché per definizione B 0 (π, A) = 0, abbiamo che H 0 (π, A) = Z 0 (π, A) = ker δ 0 . D’altra
parte, se f ∈ C 0 (π, A):
δ 0 f (σ) = σf (1) − f (1),
per ogni σ ∈ π. Dunque, δ 0 f = 0 se e solo se, per ogni σ ∈ π, σf (1) − f (1) =
0. Dunque:
H 0 (π, A) = {f ∈ C 0 (π, A) : σf (1) = f (1) ∀ σ ∈ π}.
Ora, consideriamo il sottogruppo Aπ ≤ A definito nella (2.19). In virtù
dell’isomorfismo tra C 0 (π, A) e A, è immediato ottenere il seguente risultato.
Proposizione 3.5. H 0 (π, A) è isomorfo a Aπ .
Diamo ora condizioni sufficienti perché H n (π, A) sia banale. Osservando
in dettaglio le dimostrazioni del Lemma 2.24 e del Lemma 2.53, realizziamo che esse sono sostanzialmente identiche, e differiscono solo per aspetti
formali. In effetti, tale risultato è perfettamente generale, e con un argomento tecnicamente più complicato ma basato sulle stesse idee, possiamo
dimostrare ciò che segue.
3.1. I GRUPPI DI COOMOLOGIA H N PER N ≥ 0
35
Lemma 3.6. Supponiamo che π sia finito, con |π| = n. Allora, per ogni
i ≥ 1, nH i (π, A) = 0.
Questo lemma ci permette di generalizzare i teoremi di annullamento del
gruppo di coomologia già dimostrati nel caso di H 1 e di H 2 ; anche in questo
caso, basta applicare gli argomenti già visti con le dovute correzioni formali.
Teorema 3.7. Supponiamo che π e A siano finiti, e tali che gcd(|π|, |A|) =
1. Allora H i (π, A) = 0 per ogni i ≥ 1.
Teorema 3.8. Supponiamo che π sia finito, |π| = n, e che A sia n–divisibile
e privo di torsione. Allora H i (π, A) = 0 per ogni i ≥ 1.
3.1.3
L’omomorfismo indotto
Siano A e B due π–moduli. Utilizziamo la notazione usuale per denotare
l’azione di π su ciascuno dei due gruppi, essendo chiaro dal contesto a quale
delle due azioni ci si starà riferendo.
Definizione 3.9. Un omomorfismo di π–moduli tra A e B è un omomorfismo di gruppi α : A → B tale che α(σa) = σ(α(a)), per ogni a ∈ A e per
ogni σ ∈ π.
Per ogni omomorfismo di π–moduli α : A → B e per ogni i ≥ 0, definiamo α#,i : C i (π, A) → C i (π, B) mediante la formula α#,i (f ) = αf . Nel
seguito, scriveremo sistematicamente α# al posto di α#,i , sottintendendo la
dipendenza da i.
È chiaro che α# è un omomorfismo di gruppi, e viene detto omomorfismo
indotto da α sulle cocatene. Esso gode di alcune proprietà interessanti, come
mostriamo nelle proposizioni seguenti.
Proposizione 3.10. Se id : A → A è l’identità, allora l’omomorfismo
id# : C i (π, A) → C i (π, A) è anch’esso l’identità per ogni i ≥ 0: id# = id.
Se α : A → B e β : B → C sono omomorfismi di π–moduli, allora
β# α# = (βα)# : C i (π, A) → C i (π, C), per ogni i ≥ 0.
Dimostrazione. Ovvia, sfruttando l’associatività della composizione di funzioni.
Proposizione 3.11. Il seguente diagramma è commutativo per ogni i ≥ 0:
C i (π, A)
δi
α#
/ C i+1 (π, A)
α#
C i (π, B)
δi
/ C i+1 (π, B)
(3.2)
36
CAPITOLO 3. COOMOLOGIA DEI GRUPPI GENERALE
Dimostrazione. Sia f ∈ C i (π, A). Per definizione, α# δ i (f ) = α ◦ δ i f , e in
particolare:
α(δ i f (σ1 , . . . , σi+1 )) =
= α(σ1f (σ2 , . . . , σi+1 ) − f (σ1 σ2 , . . . , σi+1 )
+ f (σ1 , σ2 σ3 , . . . , σi+1 ) − . . . + (−1)i+1 f (σ1 , . . . , σn ))
= σ1αf (σ2 , . . . , σi+1 ) − αf (σ1 σ2 , . . . , σi+1 )
+ αf (σ1 , σ2 σ3 , . . . , σi+1 ) − . . . + (−1)i+1 αf (σ1 , . . . , σn )
= δ i (αf )(σ1 , . . . , σn+1 ).
Ciò significa proprio che α# δ i = δ i α# , come volevamo.
Partendo dall’omomorfismo indotto sulle cocatene α# , vogliamo ora definire un omomorfismo indotto in coomologia. Il modo più naturale è quello
di far passare α# al quoziente.
Definizione 3.12. Dato un omomorfismo di π–moduli α : A → B e un
intero i ≥ 0, l’omomorfismo indotto da α in coomologia è la funzione α∗ :
H i (π, A) → H i (π, B) definita da α∗ ([f ]) = [α# (f )] = [αf ].
Lemma 3.13. α∗ è ben definito.
Dimostrazione. Se f ∈ Z i (π, A), allora δ i α# (f ) = α# δ i (f ) = 0, dunque
α# (f ) ∈ Z i (π, B). Poi, sia g ∈ B i (π, A). Allora g = 0 se i = 0 e g = δ i−1 f
per qualche f ∈ C i−1 (A) se i > 0. Quindi, α# (g) = 0 se i = 0 e α# (g) =
α# (δ i−1 f ) = δ i−1 α# (f ) se i > 0. In ogni caso, α# (g) ∈ B i (π, B).
Abbiamo dimostrato, di fatto, che α# (Z i (π, A)) ⊆ Z i (π, B) e altresı̀ che
α# (B i (π, A)) ⊆ B i (π, B), per ogni i ≥ 0. Tanto basta a garantire la buona
definizione di α∗ .
Per come è definito, è evidente che l’omomorfismo indotto α∗ eredita da
α# le proprietà mostrate nella Proposizione 3.10.
Proposizione 3.14. Se id : A → A è l’identità, allora l’omomorfismo
id∗ : H i (π, A) → H i (π, A) è anch’esso l’identità per ogni i ≥ 0: id∗ = id.
Se α : A → B e β : B → C sono omomorfismi di π–moduli, allora
β∗ α∗ = (βα)∗ : H i (π, A) → H i (π, C), per ogni i ≥ 0.
Corollario 3.15. Se α : A → B è un isomorfismo di π–moduli (cioè: è un
omomorfismo bigettivo tale che l’inverso è un omomorfismo di π–moduli),
allora α∗ : H i (π, A) → H i (π, B) è un isomorfismo per ogni i ≥ 0.
Dimostrazione. Sia β : B → A l’inverso di α. Sfruttiamo le proprietà appena viste dell’omomorfismo indotto in coomologia. Abbiamo che α∗ β∗ =
(αβ)∗ = id∗ = id : H i (π, B) → H i (π, B), e che β∗ α∗ = (βα)∗ = id∗ =
id : H i (π, A) → H i (π, A), per ogni i ≥ 0. Ciò significa che α∗ ammette
come inverso β∗ , e quindi è un isomorfismo tra H i (π, A) e H i (π, B), per
ogni i ≥ 0.
3.2. COOMOLOGIA DEI GRUPPI FINITI: CENNI
37
L’omomorfismo indotto ci serve per parlare di una caratteristica basilare della coomologia dei gruppi, e anzi di qualsiasi teoria coomologica,
cioè l’esistenza di una peculiare successione esatta lunga in coomologia.
Esemplifichiamo tale proprietà nel seguente teorema, che enunciamo senza
dimostrazione.
Teorema 3.16. Sia
β
α
0 −→ A −→ B −→ C −→ 0
una successione esatta di π–moduli. Allora per i ≥ 0 esistono omomorfismi
“di connessione” ∆ : H i (π, C) → H i+1 (π, A) tali che la seguente successione
è esatta:
α
β∗
∆
∗
0 −→ H 0 (π, A) −→
H 0 (π, B) −→ H 0 (π, C) −→ H 1 (π, A) −→ . . .
Gli omomorfismi indotti di cui abbiamo discusso finora sono legati al
π–modulo dei coefficienti dei gruppi H i . È lecito chiedersi se esistano analoghi risultati per quanto concerne i gruppi veri e propri di cui consideriamo
la coomologia. La risposta è in effetti affermativa. A titolo di esempio,
consideriamo un gruppo π e un suo sottogruppo ω. Se A è un π–modulo,
è chiaro che è anche un ω–modulo rispetto all’azione ottenuta mediante la
semplice restrizione, e in tal modo verrà considerato in coomologia. Si può
dimostrare che l’omomorfismo di inclusione i : ω ,→ π induce per ogni n ≥ 0
un omomorfismo i∗ : H n (π, A) → H n (ω, A), detto restrizione. Per maggiori
dettagli, si veda [Ser79].
3.2
Coomologia dei gruppi finiti: cenni
In quest’ultima sezione diamo un breve cenno ad alcuni metodi che ci consentono di determinare la coomologia di particolari classi di gruppi finiti. Ci
limitiamo a citare gli enunciati principali senza dimostrazione, rimandando
a [Bro82] o a [Ser79] per una trattazione dettagliata.
Fissiamo una volta per tutte un gruppo finito π e un π–modulo A, definito dall’azione ϕ. Come già osservato alla fine della precedente sezione, se
ω è un sottogruppo di π, A risulta essere un ω–modulo restringendo ϕ a ω.
Nel seguito, quando considereremo la coomologia di un sottogruppo ω ≤ π
a coefficienti nel π–modulo A, intenderemo sistematicamente che A sia un
ω–modulo definito dall’azione ϕ|ω .
3.2.1
Coomologia dei p–gruppi
Vediamo qualche risultato riguardante i cosiddetti p–gruppi, ossia i gruppi
finiti con ordine pari ad una potenza di un dato numero primo p.
38
CAPITOLO 3. COOMOLOGIA DEI GRUPPI GENERALE
Proposizione 3.17. Sia π un p–gruppo, e supponiamo che pA = 0. Allora
A = 0 se e solo se H 0 (π, A) = 0.
Teorema 3.18. Sia π un p–gruppo, e supponiamo che pA = 0. Allora, se
esiste un intero i > 0 tale che H i (π, A) = 0, abbiamo che H i (ω, A) = 0 per
ogni sottogruppo ω ≤ π e per ogni i > 0.
Grazie a questi risultati riusciamo a mostrare un importante fatto: esistono gruppi π tali che H i (π, B) è non banale per ogni i ≥ 0, per qualche
π–modulo B. È anzi possibile fornire esempi diretti, come vediamo.
Proposizione 3.19. Sia π un p–gruppo non banale. Allora H i (π, Zp ) 6= 0
per ogni i ≥ 0, qualunque sia l’azione di π su Zp .
Dimostrazione. È evidente che p divide |π|, per ipotesi. Il teorema di Cauchy
ci assicura che π contiene un sottogruppo ω isomorfo a Zp . Notiamo che
necessariamente l’azione di ω su Zp è banale. Infatti, Aut(Zp ) ha ordine p−1,
e qualsiasi omomorfismo f : Zp → Aut(Zp ) è tale che ord f ([1]) | ord[1], cioè
ord f ([1]) | p, da cui inevitabilmente ord f ([1]) = 1, cioè f ([1]) = 0. Poiché
[1] è generatore di Zp , deduciamo che f è l’omomorfismo banale.
Siccome ω è ciclico, sappiamo (si vedano gli esempi alla fine del Capitolo
2) che H 2 (ω, Zp ) ∼
= Zp /pZp ∼
= Zp (pZp = 0). Possiamo dunque applicare il
Teorema 3.18 nella sua formulazione contronominale: deduciamo in definitiva che H i (π, Zp ) 6= 0 per ogni i > 0. Inoltre, la Proposizione 3.17 ci assicura
che H 0 (π, Zp ) 6= 0, e la tesi segue.
3.2.2
Gruppi con coomologia periodica
Concludiamo la tesi occupandoci di una speciale classe di gruppi finiti, la
cui peculiarità è quella di avere gruppi di coomologia si ripetono con una
determinata periodicità. Formalmente, diciamo che π ha coomologia periodica 1 se esiste un intero d > 0 tale che per ogni π–modulo B e per ogni
intero n > 0, H n (π, B) ∼
= H n+d (π, B). Il minimo degli interi positivi d con
tale proprietà è detto periodo. Osserviamo subito una proprietà basilare.
Proposizione 3.20. Se π è non banale e ha coomologia periodica di periodo
d, allora d è un numero pari.
Diamo ora qualche condizione sufficiente affinché un gruppo abbia coomologia periodica.
Teorema 3.21. Se esistono interi d > 0 e n > 0 tali che H n (π, B) ∼
=
n+d
H
(π, B) per ogni π–modulo B, allora π ha coomologia periodica con
periodo che divide d.
1
Attenzione: in questa tesi diamo una definizione di coomologia periodica semplificata
e leggermente diversa da quella che si trova in letteratura: si veda [Bro82] per la definizione
“giusta”.
3.2. COOMOLOGIA DEI GRUPPI FINITI: CENNI
39
Se esiste un intero d > 0 tale che H d (π, Z) ∼
= Z/|π|Z (considerando Z
come π–modulo banale), allora π ha coomologia periodica con periodo che
divide d.
Per finire, utilizziamo questo teorema per calcolare esplicitamente la coomologia di un gruppo ciclico finito, ricollegandoci cosı̀ con gli esempi visti
nel Capitolo 2.
Proposizione 3.22. Sia π un gruppo ciclico di ordine n > 1. Allora, per
ogni i > 0:
H 2i−1 (π, A) ∼
=
{a ∈ A : N (a) = 0}
,
{σa − a : a ∈ A}
H 2i (π, A) ∼
=
Aπ
.
{N (a) : a ∈ A}
Dimostrazione. Abbiamo già visto (Capitolo 2) che tali formule sono vere
per i = 1. Inoltre, H 2 (π, Z) = Z/nZ, giacché l’azione di π su Z è supposta banale. Per il teorema precedente, concludiamo che π ha coomologia
periodica di periodo d tale che d | 2. Ma per la Proposizione 3.20, il periodo è un intero positivo pari, dunque sicuramente d = 2. Da ciò segue
immediatamente la tesi.
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CAPITOLO 3. COOMOLOGIA DEI GRUPPI GENERALE
Bibliografia
[Bro82] Kenneth S. Brown. Cohomology of Groups, volume 87 of Graduate
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