il panettone prima del panettone

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il panettone prima del panettone
Tutti sanno cos’è, troneggia in tutte le vetrine
delle pasticcerie e imperversa al supermercato
per interi scaffali; a volte si presenta in versione
“gourmand”, arricchito con creme sontuose e
confezionato in scatole allegre; a volte fa la sua
comparsa fasciato in nastri e carte molto chic
e un po’ pretenziose, soprattutto se pensiamo
alle sue origini… Ma sappiamo davvero quali
sono le origini del panettone? Da dove viene
questo dolce che ha conquistato tutti gli italiani,
diventando un simbolo del Natale? A parte il
legame con la sua città, Milano, ha una lunga
storia e, come succede per tutte le ricette tradizionali, un esordio a dir poco nebuloso.
Questo agile libretto ripercorre le avventure del
panettone ai suoi inizi: è una specie di atto di
nascita colto, istruttivo e filologicamente ben
documentato di un impasto che, pensato per
diventare un pane, si è trasformato nel tempo,
grazie all’estro di fornai e pasticceri, in qualcosa
di dolce e confortante, per celebrare la magia del
Natale e il senso di condivisione che ne deriva.
10 € IVA inclusa
ISBN: 978 88 67530 373
A cura di
Stanislao Porzio
IL PANETTONE PRIMA
DEL PANETTONE
Da un manoscritto ambrosiano
di Giorgio Valagussa
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Cum grano salis
Biblioteca di gastronomia storica diretta da Luigi Ballerini
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Il panettone prima del panettone
Da un manoscritto ambrosiano di Giorgio Valagussa
A cura di Stanislao Porzio
Saggio introduttivo di Antonella Campanini
Trascrizione diplomatica, note e conclusioni di Silvia Donghi
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Sommario
PREMESSA L’origine di un mito di Stanislao Porzio
SAGGIO INTRODUTTIVO Pan per focaccia, ovvero La poligenesi del panettone
di Antonella Campanini
Note
IL MANOSCRITTO AMBR. P 245 SUP. E L’ORIGINE DEL PANETTONE MILANESE
La opera che trata perché il zocho se mette su la vigilia de Natale, e de tutte
le vivande che sono consueto a fare il dì de Natale, retrata de latino in vulgare
1. Osservazioni preliminari
2. Bibliografia essenziale su Giorgio Valagussa
3. Trascrizione diplomatica del testo ai ff. 220r-226v, unità codicologica n. 14
4. Appendice: i manoscritti Ambr. T 8 sup. e S 21 sup. e la loro relazione
testuale con il P 245 sup.
5. Considerazioni finali
Note
BIOGRAFIE DEGLI AUTORI
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L’origine di un mito
Un panettone è un panettone. Tutti sanno che cos’è. Non c’è bisogno di
altre spiegazioni. La sua notorietà ha raggiunto livelli tali, che il suo nome in
Lombardia è diventato un topos: ossimoro cementizio (il “panettone” stradale, lo spartitraffico a forma di cilindro sovrastato da una semisfera, non potrebbe essere più duro), metafora piccante (“Che bel panettone” è l’apostrofe politically incorrect di un lato B femminile ben tornito) o metonimia allusiva
(“Quello non mangia il panettone”, si dice di qualcuno che rischia il posto,
facendo gli scongiuri nella speranza di non trovarsi mai nella stessa situazione).
Oggi, varcati i confini della sua regione d’origine grazie alla diffusione industriale e al recente rinascimento artigianale, il dolce milanese ha conquistato
tutt’Italia ed è diventato per i suoi cittadini un simbolo del Natale.
Curioso pensare che anche una realtà apparentemente astorica e mitica
come questa abbia avuto un inizio. Un momento che abbia segnato il passaggio dal suo non-essere (e quello precedente doveva essere un periodo ben
amaro) alla sua apparizione nel mondo. Per alcuni prodotti dolciari questo
istante è chiaro e distinto, certificato da un vero e proprio atto di nascita.
Uno a caso: quello del cugino pandoro. Padre: Domenico Melegatti. Luogo:
Verona. Data di nascita: 14 ottobre 1894. Il panettone no. Nasce da una tradizione condivisa. E, come tutte le ricette tradizionali, ha un esordio nebuloso. Un esordio in cui non è ancora quello che sarà, ma contiene in germe tutto il suo futuro.
Nel 2006, grazie a uno spunto lungimirante dell’editore Guido Tommasi
caduto (lo spunto, non l’editore) nel fertile terreno del mio amore per il dolce
milanese, ho cominciato a occuparmene in maniera sistematica. In quell’occa9
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sione ho messo a fuoco che tutti gli sguatteri di cucina di nome Toni, tutte le
Suor Ughette e i nobili Ughetti degli Atellani erano frutto della fantasia di
scrittori milanesi dell’Otto-Novecento. Ho anche scoperto, e non certo per
primo, che il primo testo a diffusione relativamente larga a parlare dell’origine
del panettone è stato la Storia di Milano di Pietro Verri, edita tra il 1783 e il
1798. Il grande illuminista racconta che anticamente, nella sua città, alla vigilia di Natale si usava far ardere un ciocco ornato di fronde e mele, sul quale si
spargeva per tre volte vino e ginepro, mentre la famiglia era tutta riunita intorno al camino. Questo rito, vivo fino al XV secolo, veniva celebrato anche dallo stesso duca di Milano, Galeazzo Maria Sforza. Inoltre, Verri ci informa che
Si usavano in quei giorni dei pani grandi; e si ponevano sulla mensa anitre e
carni di maiale; come anche oggidì il popolo costuma di fare (op. cit., tomo primo, Milano, 1783, pag. 105).
Sono, questi pani grandi, l’origine – o una delle possibili origini concomitanti – del panettone odierno. Ai tempi di Verri l’usanza era ormai decaduta.
Lo storico, perciò, doveva aver tratto la notizia da una fonte scritta. Con tutta
probabilità attinse queste informazioni dall’opera di Lodovico Antonio Muratori (1672-1750). L’erudito modenese trattò il rito del ciocco all’interno della
sua dissertazione Antiquitates italicae medii aeuii (Milano, 1738-42), affermando che sull’argomento esisteva un manoscritto conservato nell’istituzione milanese presso la quale trascorse lunghi anni in qualità di Dottore: la Biblioteca
Ambrosiana. Lo scritto, che s’intitola De origine et causis caeremoniarum quae
celebrantur in Nataliciis, riporta secondo Muratori un dialogo avvenuto intorno all’anno 1470 tra i figli di Francesco I Sforza, duca di Milano, e Giorgio Vallagusa, l’autore del testo e loro precettore. Nella sua dissertazione Muratori
passa in rassegna tutte le fasi del rito del ciocco descritto dall’aio di casa Sforza: le fronde, le mele, il vino, il ginepro, l’allegria che regna in casa durante le
sere della vigilia, le monete offerte dal pater familias a tutti. Ricorda, poi, che i
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figli del duca si chiedono come abbia avuto origine la cerimonia, ma non riescono a darsi una risposta. Questa è una prova indiretta della sua antichità. Ed
ecco che cosa ci riferisce il Muratori a proposito del “pane grande”, citando il
Vallagusa:
Panes tres magnitudine praestantes, ut scis, his diebus conficiuntur, quorum
limbum per totum annum observandum abscindimus.
Ovvero: «In questi giorni, come sai, vengono preparati tre pani di grandi
dimensioni, dei quali tagliamo una fetta, da conservare per tutto l’anno». Il rito
del ciocco, che culminava nel taglio del pane, era nient’altro che «una sorta di
rievocazione dell’Ultima Cena, durante la quale una fetta veniva conservata
fino al Natale successivo per rappresentare il rinnovarsi dell’incarnazione, passione e morte di Gesù Cristo», come ci dice Giorgio Mauri, studioso di tradizioni, nel suo Leggende di Milano (Nuoveparole, Como, 2005).
Del manoscritto citato parla anche Carlo Casati, studioso di fine Ottocento, nel suo articolo “L’antica usanza del ciocco natalizio presso i milanesi”,
comparso nella rivista trimestrale Archivio per lo studio delle tradizioni popolari (Palermo) nel 1887, riportandone i passi salienti. Oltre a essere stato il primo, in tempi recenti, ad aver indagato sull’argomento in maniera scientifica,
Casati ha anche il merito di aver citato un piccolo volume a stampa, «un libretto senz’anno e senza luogo, ma che pe’ suoi caratteri detti vulgarmente gotici,
e pel dialetto lombardo assai rozzo in cui è scritto, lascia supporre che sia stato stampato in Milano verso la fine del XV secolo, col titolo: Opera, che tratta
perché il Ciocco se mette su la vigilia de Natale, e de tutte le vivande, che sono
consueto a fare il dì del Natale retrata da latino in vulgare».
Consultando il catalogo della Biblioteca Ambrosiana si scopre che a Giorgio Valagussa (e non Vallagusa come scrive Muratori) è attribuito il manoscrit11
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to in latino e un’opera in volgare dal titolo quasi identico a quello citato da
Casati, anch’essa in versione manoscritta. Dell’opera a stampa di fine Quattrocento citata da Casati, invece, non v’è traccia.
Riguardo al mio incontro con il manoscritto in latino (che ho lasciato alle
cure di chi mi ha introdotto all’Ambrosiana, il professor Massimo Venuti) e a
quello con il manoscritto in volgare (che ho consultato personalmente) ho già
scritto in Il panettone. Storia, leggende e segreti di un protagonista del Natale, la
mia monografia edita da Guido Tommasi nel 2007. Da allora, sono stato sempre convinto dell’utilità di stampare il documento in volgare, che considero
essenziale per far luce sulle origini del dolce natalizio italiano più celebre. Prima di pubblicare le sue poche pagine, però, rimanevano da approfondire alcune questioni e da fugare alcuni dubbi sulle opere in latino e in volgare del Valagussa.
Per soddisfare al meglio queste esigenze, era necessario ampliare il respiro
del progetto editoriale. Ho pensato, quindi, di coinvolgere l’ente che per statuto era più interessato alla cosa: l’associazione senza scopi di lucro “Amici del
Panettone”, di cui sono stato co-fondatore e presidente, e mi onoro di essere
socio. Gli altri associati hanno dato con entusiasmo il loro benestare, a cominciare dalla nostra Presidente, Sabrina Dallagiovanna.
Ho coinvolto, quindi, due studiose in grado di affrontare con la massima
competenza i loro complessi compiti. Alla dottoressa Silvia Donghi – storica e
paleografa, bibliotecaria presso l’Associazione Culturale Biblioteca Famiglia
Meneghina-Società del Giardino di Milano, conosciuta per una precedente
collaborazione con il suo prestigioso ente, ho chiesto di eseguire la trascrizione diplomatica del manoscritto, in modo da prepararlo per la stampa. La dottoressa è andata oltre, redigendo un vasto apparato di note e mettendo bene a
fuoco la natura del manoscritto come una copia settecentesca della volgarizzazione a stampa del manoscritto latino di Valagussa (quello che cita Casati, ipo12
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tizzo); volgarizzazione a stampa che oggi risulta introvabile. Alla professoressa
Antonella Campanini, ricercatore in Storia medievale presso l’Università degli
Studi di Scienze Gastronomiche di Pollenzo (CN), conosciuta grazie a un prezioso suggerimento del professor Alberto Capatti, ho proposto di verificare
con approccio critico il progetto editoriale e di stendere un’introduzione storico-gastronomica al manoscritto. La professoressa nel suo saggio non solo ha
dispiegato tutta l’erudizione necessaria per illuminare l’epoca in cui scriveva
Valagussa, ma ha anche aggiunto sue inedite quanto documentate ipotesi circa
altri possibili co-antenati del panettone, condendo la sua scienza con una
penna particolarmente felice.
Infine, ho pregato il paziente Guido Tommasi di stampare il tutto a tempo
di record, per presentare il lavoro il 30 novembre 2013, durante la sesta edizione di Re Panettone, la festa del dolce milanese che organizzo dall’anno successivo a quello dell’uscita del mio libro.
I miei ringraziamenti vanno a tutti loro, nonché alla dottoressa Giusy Marzano, editor di lunga esperienza benché giovane d’età, e alla dottoressa Bianca
Girardi, Conservatrice della Biblioteca Comunale Sormani di Milano, che in
passato mi ha dispensato innumerevoli consigli e mi ha offerto la sua collaborazione per altri progetti.
Dulcis in fundo, a chi si rivolge questo volumetto? A mio giudizio è fondamentale per tutti gli studiosi di storia della gastronomia interessati al panettone, o alle tradizioni alimentari medievali e/o milanesi in genere. Resta una chicca per tutti gli appassionati di cibo che non siano spaventati, ma attratti dalla
pagina scritta.
4 novembre 2013
Stanislao Porzio
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Tutti sanno cos’è, troneggia in tutte le vetrine
delle pasticcerie e imperversa al supermercato
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“gourmand”, arricchito con creme sontuose e
confezionato in scatole allegre; a volte fa la sua
comparsa fasciato in nastri e carte molto chic
e un po’ pretenziose, soprattutto se pensiamo
alle sue origini… Ma sappiamo davvero quali
sono le origini del panettone? Da dove viene
questo dolce che ha conquistato tutti gli italiani,
diventando un simbolo del Natale? A parte il
legame con la sua città, Milano, ha una lunga
storia e, come succede per tutte le ricette tradizionali, un esordio a dir poco nebuloso.
Questo agile libretto ripercorre le avventure del
panettone ai suoi inizi: è una specie di atto di
nascita colto, istruttivo e filologicamente ben
documentato di un impasto che, pensato per
diventare un pane, si è trasformato nel tempo,
grazie all’estro di fornai e pasticceri, in qualcosa
di dolce e confortante, per celebrare la magia del
Natale e il senso di condivisione che ne deriva.
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Stanislao Porzio
IL PANETTONE PRIMA
DEL PANETTONE
Da un manoscritto ambrosiano
di Giorgio Valagussa