2012: l`anno dei Maya

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2012: l`anno dei Maya
2012:
l’anno dei Maya
Arte dal Mesoamerica
Arner Quaderni
La civiltà dei Maya
“Tutto era mistero, tenebroso, impenetrabile mistero
e ogni nuovo passo lo infittiva”.
John Lloyd Stephens (1805-1852)
Esploratore nelle terre dei Maya
La complessa civiltà dei Maya che suscita da
sempre fascino, mistero e inquietudine ha la
sua antica genesi in una storia parallela a quella
dei popoli di altri continenti, percorsi da uomini nomadi per circa due milioni di anni; società
di piccoli gruppi tribali, vita nelle foreste e
nelle caverne, sussistenza dalla raccolta di frutti
e con i prodotti della caccia e della pesca.
Una teoria possibile sui primi abitatori delle
Americhe si basa sull’ipotesi che circa 17 000
anni fa (ma altri dicono 40 000) alcune tribù
dell’Asia attraversarono lo stretto di Bering
grazie all’abbassamento delle acque intrappolate nei ghiacciai dell’ultimo periodo glaciale.
L’assenza d’acqua negli oceani ridusse di oltre
90 metri il livello del mare che separa l’Asia
dall’America con una profondità fra 30 e 50
metri, trasformandolo in un ponte terrestre
verso l’Alaska, usato dai nomadi per inseguire i
branchi di animali e poi per espandersi sempre
più a sud.
Nel secondo decennio del XXI secolo, con lo
spostamento dell’asse economico a Oriente e la
crescente importanza della Cina anche nello
scacchiere politico e culturale mondiale, questa
ipotesi plausibile di una lontana origine dei
popoli americani dal continente asiatico sta
assumendo un particolare rilievo. Da parte
cinese, infatti, si tende a indicare, pur senza
prove conclusive, un rilevante rapporto dei
Maya con la Cina che sarebbe suggerito, ad
esempio, dal largo e frequente impiego della
giada e dal fatto che le tombe dei Maya fossero
rivolte a Oriente. La giada era il materiale più
prezioso per i Maya (più dell’oro che veniva
usato per i gioielli) perché il verde-blu rappresenta il centro del mondo ed è il massimo
simbolo della fertilità.
Circa diecimila anni fa, in tutti i continenti, e quasi contemporaneamente, i nomadi si
trasformarono in agricoltori. La Cina scoprì
il riso, il grano si diffuse in Mesopotamia e in
Egitto, in America il mais, alla base dell’economia maya, seguito da cotone, fagioli, manioca,
zucche e dal cacao. Con la coltivazione, l’uomo
stabilì un legame forte e stabile con la madre
Terra e la sua vita venne sempre più scandita
dalle stagioni e dal tempo. I Maya mettevano
in parallelo il grano di mais, che deve morire
nella terra per rigermogliare, con la sepoltura
dei morti. L’agricoltura, con il suo spazio e i
suoi cicli, si rivelò un paradigma essenziale per
il graduale sviluppo della matematica, della
cultura e del pensiero. Con lo sviluppo del calcolo, nacque il complesso dei calendari maya,
il più accurato dell’antichità, che considerava
la creazione del mondo avvenuta l’11 agosto
del 3114 a.C. quando il Conto Lungo, uno dei
calendari maya, cominciò a scandire i giorni
dell’era presente, con l’anno di 365 giorni che
iniziava il 16 luglio, con il sole allo zenit, diviso
in 28 settimane di 13 giorni.
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Splendore e declino
di un grande popolo
Chichén Itzá,
Tempio di Kukulkan
(Quetzalcoatl)
o El Castillo
I primi insediamenti della civiltà Maya si possono far risalire al 1500 a.C. mentre le prime
città furono costruite attorno al 317 d.C. (la
prima data che si desume da un monumento
Maya). L’impero dei Maya occupava un’area
di circa 320.000 chilometri quadrati, poco
più estesa di Svizzera, Austria e Italia insieme,
entro i confini del Messico (Chiapas, Tabasco,
Campeche, Yucatan, Veracruz e territorio di
Quintana Roo), del Guatemala, del Belize,
dell’Honduras, del Salvador, influenzando
anche le terre centro-americane delle attuali repubbliche di Nicaragua, Costa Rica e
Panama.
Tra il 300 e il 900 d.C. si situa il periodo
classico dei Maya, le cui principali città-stato
furono Bonampak, Copan, Palenque, Piedras
Negras e Tikal, centri d’irradiazione cultu-
Chichén Itzá,
Osservatorio El Caracol
rale, politica, tecnologica. Attorno al 900,
le città cominciarono a essere abbandonate
per ragioni ancora ignote, forse per carestie o
cataclismi naturali, e la popolazione si trasferì
nello Yucatan, dove sorsero i centri di un
nuovo potere, come Chichén Itzá, Labnà,
Mayapan e Uxmal, che raggiunsero il loro vertice attorno al 1000 d.C. cui seguì una graduale decadenza nell’epoca detta maya-tolteca. In
realtà, la società maya continuò a svilupparsi
anche nell’epoca post-classica, ma in senso
più democratico, con le opere d’arte maggiore
progressivamente sostituite da manufatti di
uso comune.
Il declino non avvenne per un improvviso
cataclisma, ma fu dovuto anche a catastrofi
naturali e siccità che, distruggendo i raccolti,
portarono carestie e continue guerre con città
e popoli confinanti e quindi la popolazione abbandonò i grandi centri urbani, facendo crollare i commerci e minando l’intera
società. Come scrisse Hernán Cortés: Omne
regnum in seipsum divisum desolabitur.
I Maya furono gradatamente assoggettati dagli
Aztechi che i Conquistadores spagnoli, sbarcati
nel 1527, rovesciarono con facilità, anche se
l’ultima città maya cadde solo nel 1697.
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Alla ricerca
della città perduta
I Maya emergono tra le antiche civiltà per
aver saputo esprimere opere architettoniche
straordinarie, seppure non conoscessero la
statica dell’arco né la ruota e neppure gli
attrezzi di metallo. La riscoperta delle città
perdute, in gran parte invase dalla giungla e
ormai scomparse dalla memoria degli stessi
abitanti della regione è dovuta dapprima agli
Spagnoli. Tipico è l’esempio di Palenque,
le cui architetture nel 1567 furono visitate per la prima volta dal frate domenicano
Pedro Lorenzo de la Nada, condottovi su una
portantina per 112 chilometri nella giungla,
quando ancora si chiamava Otolum, terra
dalle case forti, che ribattezzò Palenque ovvero fortificazione, ma la chiamò anche Gran
città dei serpenti nel suo libro Una Historia
de la Creación del Cielo y la Tierra. Seguì nel
1730 Antonio de Solis, poi nel 1773 Don
Ramon de Ordonez y Aguilar, e quindi, nel
1784, con José Calderòn, dall’arquitecto real
Antonio Bernasconi (X-1785, un ticinese,
Palenque
ricostruttore di Città del Guatemala dopo i
terremoti del 1773) che fece mappa e disegni
di Palemke. Gli seguì nel 1787 Antonio Del
Rio che con 79 Indios riuscì a liberare dalla
vegetazione i templi. Nel 1805-6-7, il capitano
austriaco dei Dragoni di Almansa Guillermo
Dupaix e l’artista José Luciano Castañeda
fecero rilievi e disegni, modificati dall’editore
inglese Lord Edward Kingsborough in uno
strano stile egizio-ebraico, non senza sottrarre
uno dei “pannelli della Croce” che venne restituito solo vari anni dopo dallo Smithsonian
Institute. Si credeva allora che le figure delle
sculture e dei bassorilievi di Palenque rappresentassero Egizi, Cartaginesi, Polinesiani o le
Dieci tribù perdute di Israele, attribuzioni del
tutto errate, quanto nel XX secolo le assurde
attribuzioni ad alieni di altri mondi. Solo
nel 1831, l’esploratore militare Juan Galindo
osservò che le figure di Palenque erano semplicemente identiche ai tratti somatici della
popolazione locale.
Palenque venne visitata nel 1832 per due
anni dall’esploratore, antiquario e cartografo
francese Jean Frédéric Waldeck e disegnata
in schizzi che alternavano realtà e miti. Nel
1840 il governatore del Honduras Britannico
inviò Patrick Walker e Herbert Caddy, ma
la sua maggior fama si deve ai due intrepidi
Palenque
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esploratori, Frederick Catherwood e John
Lloyd Stephens che ne lasciarono un’eccezionale descrizione illustrata. Un pioniere
della fotografia francese fu Désiré Charnay
che scattò, sviluppandole subito sul posto, le
prime foto di Palenque nel 1858, ritornandovi
nel 1881-1882 per trovare crolli e danni intervenuti nel frattempo. Un ottimo fotografo di
Palenque fu Teobert Mahler nel 1877. Nel
1890, l’esploratore inglese Alfred Maudslay
pose l’accampamento a Palenque, dove fece
numerose fotografie per poi realizzare dei
modelli tridimensionali. Con lui si apre la fase
delle esplorazioni scientifiche. L’antropologo
americano William Holmes arrivò a Palenque
nel 1895, ma la rivoluzione messicana, quella
con Pancho Villa ed Emiliano Zapata, impedì
altre esplorazioni fino al 1922, con una delle
più importanti, quella di Frans Blom nel
1923-25-27 che scoprì aree meno esplorate
e promosse la conservazione delle rovine. La
scoperta sotto il Tempio delle Iscrizioni della
tomba del re Pacal il Grande (K’inich Janaab’
Pakal), la più importante ritrovata in tutta
l’area mesoamericana, avvenne tra il 1949 e
Catherwood
Catherwood
il 1952, a opera dall’archeologo messicano
Alberto Ruz Lhuillier.
Le città perdute, i templi e le iscrizioni hanno
consentito agli archeologi di conoscere sempre meglio l’arte sacra dei Maya che è di rara
potenza ed efficacia, ma anche una scienza matematica sorprendente, con l’uso della
cifra 0 che era rappresentata dal disegno di
una conchiglia, mentre un punto rappresentava ogni unità fino a 4 e una linea il 5. La
loro organizzazione economico-sociale, inoltre,
costituisce un riuscito esempio d’integrazione
ecologica tra uomo e natura, in una geografia
che presenta tuttora immani difficoltà naturali.
Charnay
Maudslay
Hergé
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Divinità spietate e arte sacra
Matrice disciplinare del pensiero magico e mitico dei Maya è il Sole, il dio supremo che genera il tempo, signore delle quattro stagioni cui
si affianca il vasto universo delle deità legate ai
fenomeni naturali, connesse prevalentemente
all’agricoltura, come la pioggia. Le figure delle
divinità maya sono una stilizzazione di esseri
sovrannaturali ispirati ad animali, vegetali e
forme umane. Le sculture che li rappresentano
danno figura al pensiero che l’uomo è dominato dalle diaboliche forze del male del dio
della guerra, il giaguaro, che combatte contro
l’aquila della luce e della cultura. Le divinità
maya si evolsero nei secoli e nel periodo tardo
della civiltà maya-tolteca venne introdotto il
nuovo culto di Quetzalcoatl (da quetzal, piume preziose e còatl, serpente) degli Aztechi,
chiamato dai Maya Kukulcán, che da iniziale
benefico dio del vento, del verde e portatore di
piogge, in seguito incrementò l’attività guerriera e il sacrificio umano, accentuando anche
l’idolatria e un rituale più elaborato. Gli antichi Maya avevano un sacro rispetto dei loro
sacerdoti-artisti custodi del sapere e responsabili della compilazione del calendario, della
cronologia e della scrittura che chiamavano
“uomini veri”. Gli scultori maya, abilissimi nel
lavorare pietra, legno, stucco, giada, ossidiana,
realizzarono monumentali altari, lapidi, steli,
architravi, colonne, ma anche troni, tavoli e stipiti, tutti a rilievo, rifiniti a colori, fitti di segni
calligrafici e ornamentali. Notevoli le steli di
Copán, Quiriguá, e Tikal, i pannelli di Palenque, i palazzi e i templi coperti d’iscrizioni che
fissano nella pietra l’universo della religione
maya. Le maschere funerarie di giada, secondo
la credenza dei Maya, potevano trasfigurare il
volto del defunto nel personaggio rappresentato nella pietra, così se ne conservava l’essenza,
ovvero la sua anima. Per questo, le maschere
erano lo strumento e il veicolo per comunicare
con i tre livelli del cosmo: il mondo degli Inferi; la superficie terrestre verde-blu del giovane
Yum Kaax dio del mais, della Natura e della
caccia; il cielo.
Le sculture maya erano eseguite con tecnica
neolitica, impiegando martelli e scalpelli di
pietra e mazze di legno, dato che non disponevano di attrezzi di metallo e il lavoro si basava
su abilità, costanza e tempo. Nella ceramica,
non esistendo la ruota, i vasi erano formati a
mano senza il tornio da vasaio. Se questo popolo non conosceva metalli da utensili, si lavoravano rame oro, argento, ed esisteva una vasta
rete idrica caratterizzata da piccoli canali per
alimentare le cisterne naturali cenotes e per
irrigare i campi. Va anche notato che nell’austera arte maya praticamente non si trovano
raffigurazioni femminili. Il denaro era rappresentato da campanelli di rame, chicchi di caffè,
conchiglie e piume colorate ornamentali.
Uxmal
San Lorenzo
La Venta
Xiuhtec
Codice maya
Testa di giada
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Colossi nella giungla
I Maya si procuravano le enormi rocce per realizzare le stele da cave nella giungla, trasportandole per lunghe distanze senza carri, non
usando veicoli a ruote, né bestie da traino.
Le pietre erano poi lavorate ed erette in loco.
La più grande è la stele E a Quiriguá che pesa
65 tonnellate e misura 10,5 metri, con otto
metri di pannelli scolpiti.
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I Maya e la fine del mondo
dicembre 2012 si dovrebbe verificare la fine del
mondo o una grande rivoluzione dell’umanità
in senso spirituale. Questo evento tanto caro
ai catastrofisti non è mai riuscito prima né con
l’anno Mille e non più mille, né con il 2000 e
il Millennium Bug, né con la cometa di Halley.
Nessuna di queste profezie ha alcun fondamento scientifico e sono state più volte smentite dalla comunità geofisica e astronomica.
Da un’iscrizione sul Monumento 6 si desume
la data del 2012, in cui potrebbe verificarsi
qualcosa che coinvolgerebbe la misteriosa divinità maya Bolon Yokte, associata in genere alla
guerra e alla creazione. Tuttavia, molte altre
tavolette riportano date successive al 2012.
Nel Popol Vuh - uno dei principali documenti
storici dei Maya - si legge che gli dei avrebbero
distrutto col diluvio quattro precedenti creazioni imperfette e non sarebbero contenti
nemmeno del solstizio con la congiunzione di
Marte, Giove, Saturno. Si tratta di uno spettacolo astronomico insolito, ma che non comporta la fine del mondo, né che la rotazione
della Terra sul proprio asse dovrà subire una
fermata che durerà 72 ore per poi ruotare in
senso inverso, con l’inversione dei poli magnetici e catastrofi immani.
Per gli archeologi, il calendario Maya è ciclico,
quindi non farà altro che ripartire, esattamente come il calendario gregoriano non fa finire
il mondo il 31 dicembre, ma riprende (per
pura convenzione) il primo gennaio. La fine
di un ciclo del calendario era, infatti, vista dal
popolo Maya semplicemente come occasione
di grandi celebrazioni per festeggiare l’ingresso nella nuova epoca, in questo caso il 14º
b’ak’tun.
La cultura Maya ha ispirato letteratura e cinema, ma anche archeologi e studiosi, che hanno
ripreso, e spesso travisato, gli enigmi di quella civiltà scomparsa. Grande protagonista di
questa ricerca del mistero è il calendario maya
utilizzato anche da Aztechi e Toltechi, molto
elaborato, che parte dall’11 agosto 3114 a.C.,
data ritenuta la nuova creazione del mondo,
dopo un’immane catastrofe. L’era attuale è
detta dai Maya l’Età dell’oro ed è governata
dal dio Quetzalcoatl. Il 20 dicembre 2012
terminerà un ciclo del calendario maya, il 13º
b’ak’tun (12.19.19.17.19) e il 21 inizierà il 14º
b’ak’tun (13.0.0.0.0) e, secondo alcuni, il 21
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Arte dal Mesoamerica
Divinità di giada
Tlahuizcalpantecuhtli, o Venere
Pietra cerimoniale
per macinare il grano
Coperchio d’incensiere
Chorotega di terracotta
Incensiere maya di terracotta
Chichén Itzá, Tempio dei mille guerrieri
Coperchio d’incensiere
Chorotega di terracotta
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Guerriero maya di pietra vulcanica
Tikal
Cane di pietra
Testa di iguana
Uxmal
Figura votiva
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Testa di giaguaro
di terracotta
Fungo cerimoniale
Testa di idolo di pietra
Fungo cerimoniale
Tulum
Area della civiltà maya
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I giochi
Il gioco della palla per i Maya assumeva un significato religioso e divinatorio. Una palla di
caucciù contesa fra due squadre di cinque uomini doveva essere lanciata attraverso un anello di pietra nel muro, senza essere toccata con
le mani o i piedi. I perdenti rischiavano spesso
di finire vittime di un sacrificio rituale.
Uxmal
Tikal
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Il cioccolato
I Maya furono i primi agricoltori a coltivare la pianta del prezioso cacao, il kakaw
da cui trassero il kakaw uhanal, il cibo
degli dei, nasceva così il chocolatl, dal
maya chocol che significa caldo e dall’azteco atl che significa acqua, la cioccolata.
Dal burro dei semi del cacao si ottiene
il cioccolato che i Maya preparavano
tostando i semi e riducendoli in polvere
che mescolavano ad acqua e spezie piccanti. I semi erano utilizzati anche come
merce di scambio o moneta.
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La Malinche o Doña Marina
e il conquistador Rodríguez de Ocana. La figura della Malinche è stata protagonista di molti
romanzi, come Montezuma’s Daughter (1893)
di H. Rider Haggard, dell’opera La conquista
(2005) del compositore italiano Lorenzo Ferrero e in Star Trek una nave spaziale porta il
suo nome, la USS Malinche.
Nel capitolo della conquista spagnola
dell’America centrale, ha svolto un ruolo chiave una giovane, bellissima donna, detta La Malinche o Doña Marina (1496 - 1529), l’interprete del condottiero Hernán Cortés.
Malinalli, dal nome indigeno della dea dell’erba, era una nobile azteca. Dopo una guerra fu
ceduta come schiava nel territorio maya. Per
questo parlava sia il nahuatl azteco, sua lingua
madre, che la lingua dei vincitori, il maya yucateco. Dopo essere stata donata a Hernán Cortés
il 15 marzo 1519 dagli abitanti di Tabasco con
altre 19 donne, alcuni pezzi d’oro e un completo di mantelli, imparò da lui lo spagnolo.
Ribattezzata Marina e nota come La Malinche, dal nahuatl Mãlintzin, poté evitare incomprensioni ed errori con un’opera che andò
ben oltre a quella di interprete, tanto che la
sua figura è tuttora venerata come un’eroina
nazionale. Da Cortés ebbe un figlio, Martín,
considerato il primo dei Mestizos e anche per
questo La Malinche è considerata la fondatrice
del Messico attuale. Il suo rilievo fondamentale fu riconosciuto da subito, come testimoniano Bernal Díaz del Castillo nella Historia
Verdadera de la Conquista de la Nueva España
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Arner e la cultura
I valori che sono alla base del modo di essere e
di operare di Banca Arner si riflettono anche
nel suo interesse per il mondo della cultura,
un patrimonio della collettività che va diffuso,
protetto e conservato.
Arner interviene in ambito culturale a diversi
livelli: la tutela e la valorizzazione della propria sede storica di rilevante interesse architettonico, il patrocinio dell’opera di artisti e ricercatori, l’organizzazione di esposizioni d’arte,
di collezioni etnografiche e di mostre fotografiche, progettate e realizzate autonomamente o
in collaborazione con collezionisti o musei.

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