In memoria di mio fratello Aurelio (Elio), persona

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In memoria di mio fratello Aurelio (Elio), persona
In memoria
di mio fratello Aurelio (Elio),
persona indimenticabile
per tutti coloro
che l'hanno conosciuto.
Una fredda mattina di febbraio, in una ricca cittadina del nord, dove tutto è pulito e ordinato, accade
un evento che sconvolgerà la vita di tutte le persone coinvolte: nulla lascia presagire la tragedia, ma
all'improvviso un tonfo e Corina è testimone involontaria della morte di una bambina. Ginevra è
caduta dal balcone e ora, vestita di bianco, giace distesa a braccia aperte, come quando si gioca a
fare l'angelo sulla neve, è bellissima, ma a poco a poco i suoi capelli biondi si tingono del rosso del
sangue. È stato un incidente, una disgrazia o forse l'apparente serenità di quella famiglia nasconde
un segreto... Riuscirà il maresciallo Tito Lo Bianco a risolvere il caso?
Anche oggi Davide non era andato a scuola. Ormai aveva imparato come fare.
La mattina sua madre lo svegliava accarezzandogli i capelli e dicendo: — Alzati la scuola ti aspetta. — Allora lui, a
volte, rispondeva: — Io ho l'emicrania; Così Corina, la mamma gli permetteva di restare a casa con lei. Certo tutto questo succedeva da quando il papà
non c'era più, Corina sembrava meno attenta alle bugie. Davide si sentiva benissimo e non conosceva neppure il
significato della parola "emicrania" perchè, non ostante avesse ormai 14 anni, era down. Un giorno l'aveva sentita
dire proprio dalla mamma e la vicina le aveva consigliato: — Allora stai in casa e riposati. Questa risposta era piaciuta molto a Davide. Così quella mattina era riuscito a rimanere a letto e a farsi coccolare un
po', poi la mamma era andata dalla vicina per chiederle di comperarle un litro di latte e il pane, perché non si fidava
a lasciare il figlio solo in casa per tutto il tempo che occorreva per arrivare dalla periferia al centro. Davide sentì la
porta chiudersi, si alzò dal letto e andò nello studio, con molta precauzione estrasse la cinepresa dalla custodia. La
mamma non voleva che toccasse le cose del papà, ma lui un giorno gli aveva mostrato come usarla. Si diresse alla
finestra, a piedi nudi, e cominciò a filmare gli uccelli.
***
Ginevra aveva solo due anni ed era bellissima. I capelli biondi a boccoli, gli occhi azzurri e la boccuccia sempre
atteggiata allo stupore o al sorriso. Il suo gioco preferito era un angioletto che le assomigliava.
Sua madre quel giorno era nervosa, aveva rovesciato il caffè sul fornello e per tutto l'appartamento si levava un
odore acre di bruciato, riordinava la cucina, compieva i soliti gesti, ma i suoi pensieri seguivano percorsi dolorosi.
Suo marito la tradiva, Barbara l'aveva scoperto proprio quella mattina. Era entrata in bagno per fare la doccia, ma ne
era uscita subito perché aveva dimenticato il nastro per capelli nella borsa del trucco che teneva in camera e,
all'improvviso, aveva sbattuto contro la verità. Aveva sentito Michele che, con voce mielosa, diceva al telefono — Si
ti amo, lo sai che appena posso corro da te. Se sabato convinco mia moglie ad andare in centro con le sue amiche
e la bimba staremo insieme e ti bacerò tutta... — Era scappata e si era rinchiusa in bagno senza che lui la vedesse.
Non riusciva a credere che ciò che aveva scoperto fosse vero. Cercava lei stessa le giustificazioni che avrebbe
voluto sentire da suo marito. Temeva di affrontare la discussione con lui, temeva che lui ammettesse tutto e lei non
era pronta, l'amava troppo per rischiare di perderlo, ma non riusciva a pensare ad altro, come poteva tenerlo legato
a se stessa? Come fargli dimenticare l'altra? Suo marito era andato dalla camera alla sala, senza entrare in cucina,
aveva acceso lo stereo, si sentiva la musica ad alto volume: ia cavalcata delle Valchirie, la sua preferita. Presto
sarebbe passato in cucina per salutarle e poi sarebbe uscito per andare al lai um. Barbara non sapeva decidere che
fare... cosa dirgli, come guardarlo negli occhi e sapere, come abbracciare quell'uomo che le preferiva un'altra?
***
La vicina di Corina aveva appena preparato il caffè, l'aroma usciva dalla caffettiera e si spandeva nell'aria fredda del
mattino. — Corina, fermati a bere una tazza di caffè in compagnia. La mamma di Davide si schernì: — No grazie, non mi fido a lasciare solo mio figlio, sai non sa prendersi cura da
solo di se stesso. — e così tornò verso casa. Camminava a testa bassa per non 'netterei piedi nella neve che sulla
strada non si era ancora sciolta al sole freddo di febbraio. La mattina era limpida, luminosa, azzurra e bianca. Le
due file di villette della zona residenziale erano bianche e ben curate, nei giardini fra un mese sarebbero fioriti
bucaneve bianchi, narcisi gialli, primule lilla, allietando con macchie di colore il paesaggio. Sembrava che in quelle
case vivessero solo famiglie felici alle quali ogni giorno reca una gioia, anche la natura si preparava alla festa della
primavera... ma Corina pensava che nella sua vita non sarebbe più cambiato niente. Il marito era morto da poco e
Leyla, la figlia, era tornata a casa per il funerale poi era subito ripartita per l'Inghilterra. Una figlia persa, una brava
ragazza. Aveva fatto carriera, ma non sopportava la famiglia. Cosa le abbiamo fatto? A questo pensava Corina
mentre tornava a casa, quando sentì un tonfo, come il rumore di un cocomero spaccato, ma più forte. Di scatto
guardò nella direzione da cui era giunto e vide una grande macchia rossa che si allargava e tingeva la neve. Una
bambina vestita di bianco giaceva distesa a braccia aperte come quando si gioca a fare l'Angelo nella neve, era
bellissima, ma i suoi capelli biondi si tingevano del rosso del sangue che usciva dalla sua testolina.
Corina urlò, forse senza voce, alzò gli occhi per vedere da dove era precipitata la piccola. Sul balcone della villetta
vide una donna immobile, le mani avvinte alla ringhiera, i loro occhi si incrociarono, quelli della sconosciuta erano
vuoti, sembravano quelli di una statua e a Corina sembrò le si gelasse il sangue. Urlò ancora e questa volta un altro
grido si sovrappose al suo quello di un uomo alla finestra accanto al balcone, qualcuno sentì e accorse.
***
Arrivarono i carabinieri. Il maresciallo Tito Lo Bianco si avvicinò al cadavere ed ebbe un moto di collera, possibile
che i genitori non badassero mai ai propri figli? Guardò in alto per capire da dove potesse essere precipitata la
bambina e vide di poco a lato sulla destra un balcone, mentre sulla sinistra vi era una finestra. Diede l'ordine di
fotografare ogni dettaglio, prima che fosse rimosso il corpo. parlò col medico legale e si fece forza per andare a fare
le domande di rito ai genitori della piccola. Sicuramente non voleva trovarsi nelle loro situazione, pensò a sua figlia
di appena 11 anni e resistette all'impulso di telefonarle per accertarsi che stesse belle. L'angoscia che lo aveva
assalito vedendo quel corpicino senza vita gli aveva fatto venire un nodo in gola, ma all'esterno nulla trapelava del
suo stato d'animo, come sempre sembriva freddo e distaccato. In segreto i suoi attendenti lo chiamavano "iceberg".
Lui lo aveva scoperto, ma questo soprannome non Io infastidiva, era solo la dimostrazione che agiva senza lasciarsi
trasportare dagli umori personali. A casa ci scherzava pure con la figlia, diceva: — Giuditta mi hanno affibbiato un
soprannome da nordico: iceberg."—
Entrò al piano alto della villetta, tutto era pulito, in ordine. La donna stava accasciata su una poltrona, il suo corpo
aveva quasi perso la forma umana tanto era abbandonato, sembrava devastata dalla disperazione. Appena vide il
maresciallo gli corse incontro: — Dove avete portato la mia bambina? Sta bene? Ora mi portate da lei? — Tito
guardò il marito che stava poco più indietro e costui disse: — Lo sa, l'ha vista, è corsa giù, subito dopo... - Coraggio signora, ora arriva il dottore, le darà un sedativo, intanto se la sente di rispondere a qualche domanda?
Fu il marito a dare le risposte per lei che ora aveva preso a singhiozzare — Sì, maresciallo, cosa vuole sapere? Da dove è precipitata la bambina? Dal balcone della cucina. — rispose il marito
—
Lei dove era? Qui in sala. - E ha visto sua figlia mentre, Tito Lo Bianco si schiarì la voce e proseguì, cadeva? - Sì. —
—
E come è successo? No come è successo non Io so, io l'ho vista che era già a terra. Io ero in questa stanza, mi sono affacciato
alla finestra e l'ho vista. Sua figlia in che stanza si trovava? —
•
— Ma, credo... di là in cucina con mia moglie. Il maresciallo guardò la madre della bimba, si era calmata? Non piangeva più, ma gli occhi erano imperscrutabili e il
dottore non era ancora arrivato. Signora mi perdoni, ma lo faccia per sua figlia, è importante che mi dica dove eravate lei e la bambina prima
dell'incidente? Non lo so Ci pensi, per favore, cosa stava facendo sua figlia? - Non so, giocava. - E lei signora? Lei era con la bambina? Non ricordo.
—
Come si chiama sua figlia? –
Ginevra, come sta? È morta? No, non è morta vero? Quanti anni ha Ginevra? —
—
Due, due li ha compiuti questo mese. Bene, ha ... aveva due anni, la bambina rimaneva sola a volte? No, no, mai. La guardavo sempre, sempre. — e proruppe in un pianto disperato.
Finalmente arrivò il dottore, accompagnò la signora in camera .e le fece un'iniezione per calmarla.
Il maresciallo Lo Bianco si guardò attorno. poi si recò in cucina, c'era q t laiche giocattolo sul pavimento, tinto il resto
era in ordine. La band)ina quindi aveva giocato quella mattina. Si avvicinò alla porta l i i iestra chiusa. Osservò la
maniglia, provò a girarla, aprì e uscì sul balcone. C'erano alcuni vasi da fiori vuoti, la ringhiera era pini tosto alta, a
norma. Guardò giù, il corpo di Ginevra era stato rimosso, ma vi era ancora una chiazza rossa di sangue. Povera
bimba, pensò, chissà come sarebbe stata la tua esistenza?
Non hai avuto niente dalla vita, sei stata invitata alla festa e subito messa alla porta violentemente. Dio che senso
ha tutto questo? Perché lo permetti? — I suoi pensieri furono interrotti dalla voce del padre della bimba che lo aveva
raggiunto: — Maresciallo io non capisco che cosa stia cercando. Sospetta qualcosa? Ci sono alcune cose da chiarire. --Cosa?Ne riparleremo più avanti, ora stia con sua moglie, ha bisogno di lei. Se permette dò un'occhiata
all'appartamento prima di andarmene. —
***
Tito Lo Bianco tornò in caserma. I carabinieri bisbigliavano qualcosa: — Non ha rispetto... quella povera madre... lui
è insensibile come sempre... ha voluto interrogarli tutti, subito. Non ha aspettato neppure il tempo che portassero via
il cadavere... Lo sapeva, avrebbero continuato a criticarlo, ma riteneva fosse molto importante cercare di chiarire la situazione
prima che tutto si con I ti esse nella memoria o nell'inganno meditato dei protagonisti. Si (li rese verso il suo ufficio
chiamando: — Brambilla, venga dentro. Il brigadiere lo raggiunse.
— Comodo, si sieda e facciamo il punto della situazione. - Ma, Maresciallo nessuno ha visto niente: I testimoni sono arrivati quando la bimba era già a terra. - Brigadiere, lo sa, noi dobbiamo vagliare ogni ipotesi. Dunque, vediamo... La villetta è su due piani, al piano
inferiore c'è il garage e non so cos'altro, farete un sopralluogo. Sì maresciallo, ma cosa cerchiamo? Niente, niente e tutto. Niente e tutto, pensò Brambilla, cosa vuol dire? Niente: se scopro una cosa non è quella giusta, se mi sfugge un
particolare è quello che serviva per risolvere il caso. Se lui sa già cosa devo cercare potrebbe dirmelo e faremmo
tutti prima.
— Dunque, al primo piano c'è l'abitazione, vera e propria. — proseguì Lo Bianco — E fatta più o meno così — prese
carta e matita fece uno schizzo per illustrare meglio la sua spiegazione — Qui c'è l'ingresso, qui la sala, e che sala:
un salone, qui c'è la cucina con la porta finestra, ecco così. Il disimpegno sta al centro dell'appartamento e attorno ci
sono le porte per le camere da letto e il bagno. Allora ho disegnato tutto?— chiese a se stesso — Ah, no, ecco qui
c'è un'ampia veranda. —
È un quartiere di lusso, ci sono solo villette ben tenute, tutte bianche, la gente parla sottovoce, gli alberi sono curati,
i cani non mordono, hanno ciondoli sui collari e le bambine in questo paradiso possono morire volando giù e
nessuno sa come sia successo. Anzi tutti lo sanno, tutti dicono è caduta dal balcone, ma nessuno lo sa, nessuno
l'ha vista mentre cadeva. Non si sa neppure con sicurezza se la bimba era in vocina, nessuno ricorda o ha visto il
prima, il durante, tutti hanno visto Ginevra morta nel cortile e tutti hanno immaginato il volo della bimba in te hanno
creduto vero e reale quello che invece hanno solo dedotto. Povera piccola, sembrava un angelo. - Ma maresciallo
cosa pensa? Che non sia caduta? - Brambilla aspettiamo l'esito del medico legale e poi torneremo a trovare i genitori. È nostro dovere indagare,
intanto vada a interrogare i vicini, senta se qualcuno ha visto qualcosa. Vada, vada. - Va bene maresciallo, vado,
vado. —
***
Barbara si sentiva annegare in un mare denso, non poteva credere che sua figlia fosse morta e infatti a tratti lo
dimenticava e chiedeva di lei. Le sembrava che avrebbe potuto fare qualcosa o non avrebbe dovuto fare un'altra
cosa e Ginevra sarebbe ritornata in vita. Ginevra, il suo angelo, non avrebbe più potuto stringerla a sé?
Uno strazio terribile la faceva sentire vuota, senza pancia, senza viscere, cava, come un albero morto.
E sempre quel pensiero, quell'ansia di dover fare qualcosa, ma in fretta, per riportare tutto indietro, a prima
dell'evento, ma cosa poteva fare? Le sfuggi un grido strozzato: — Aiuto, cosa devo fare? Aiutatemi. Il marito la guardò allarmato. Il medico disse: — Le stia vicino, si faccia forza per lei. C'è qualche parente che può
chiamare per aiutarvi? - Lei è orfana — disse Michele e poi pensò mia madre è morta ed era più pazza di mia moglie, con mio padre non
parlo da una vita. Non abbiamo altri parenti, ah si ecco e mentre lo pensava gli sali alle labbra il nome: — Patrizia, è
una sua amica, telefono a lei. - Bene, disse il medico, lei come si sente? Sollevato, incredulo. travolto... Pensò.
— Io me la caverò — disse.
Il medico avvertì una leggera stonatura in quella frase, sarebbe stato più giusto dire: ce la farò, ma cavarsela era
come dire la farò franca?
Si accomiatò: — Io vado, se avete bisogno non esitate a chiamarmi. —
***
Quando Leyla pensava alla propria vita, ricordava sempre un prima e un dopo.
Il “prima" era la sua esistenza prima che nascesse Davide.
Film a 15 anni aveva vissuto coi suoi genitori, le sembrava una famiglia normale, anche se non si occupavano
particolarmente di lei, ma non avendo misure di paragone, le sembrava giusto questo loro pacato affetto che lei
percepiva come amore. Suo padre era un giornalista affermato, un volto della televisione, viaggiava molto per
reportage anche in zone di guerra, il suo lavoro era importante, serviva all'umanità, lei non poteva competere col
mondo intero, ma la causa elle teneva il genitore distante da lei era di grande valore. Sua madre ,pe,so la lasciava
sola, a volte per seguire il marito, ne era innamoratissima, altre volte partecipava a buffet, a party, a cenno(t i i ie, al
comitato per la beneficenza, si precipitava dal parrucchiere, dall'estetista, dal fiorista perché in casa voleva sempre
fiori freschi, insomma aveva mille cose da fare e la prima fra tutte era dedicarsi al marito, lei veniva dopo tutto
questo. Era la loro vita di famiglia, Leyla l'aveva accettata e si era creata il suo mondo: la scuola, poche amiche,
tante letture e il sogno di diventare giornalista come il padre.
Poi era nato Davide con lui era arrivato il "dopo".
I suoi genitori erano cambiati. Improvvisamente avevano il tempo da dedicare al figlio down. Sua madre che prima
era sempre chic, aveva rinunciato ai vestiti eleganti per quelli più pratici, si lavava i capelli in casa per non lasciare
solo Davide andando dal parrucchiere, non partecipava più a nessun evento, si era trasformata in una scialba e
inutile donnetta.
Suo padre l'aveva delusa anche di più. Si era addirittura licenziato e aveva rinunciato a servire l'umanità per stare
vicino ad un ritardato.
Quello che non aveva mai osato chiedere per sé, che tuttavia, avendo sempre dato delle soddisfazioni ai suoi
genitori, se lo sarebbe meritato, ora lo vedeva riversare sul fratello, anzi vedeva un amore di cui non aveva mai
neppure immaginato l'esistenza: era dedizione. Si sentì non solo rifiutata, ma offesa.
Così a 15 anni chiese e ottenne di andare in collegio e fu un'altra delusione constatare che la sua richiesta non
incontrava nessuna resistenza da parte dei suoi genitori.
Accantonò anche il grande sogno di diventare giornalista, non voleva più seguire le orme del padre, lo disprezzava
troppo. Terminò il liceo classico, ma poi si iscrisse ad economia e commercio per rinnegare completamente la sua
famiglia.
Riuscì a finire l'università senza mai andare fuori corso, non ostante in cuor suo odiasse le materie che studiava, si
adoperò anche a fare mille lavoretti per chiedere meno soldi ai genitori. Le accadeva di prendere a cuore certi mali
dell'umanità: la fame nel mondo, l'infibulazione delle bambine, le donne maltrattate, le guerre. Scriveva per sfogarsi,
ma soprattutto scriveva perché non poteva farne a meno, così cominciò a mandare questi pezzi ad alcuni giornali
con l'intenzione di guadagnare qualcosa in attesa di diventare commercialista.
I giornali li pubblicarono, ne chiesero altri, lei li mandò e continuò a studiare nascondendosi la verità fino al
conseguimento della laurea, quando si accorse che ormai era diventata una giornalista importante, quasi come suo
padre.
***
Un giorno era passato, iniziava un'altra timi fina di febbraio, al contrario di quella precedente, questa era umida e
nebbiosa.
A Corina piaceva anche la nebbia, la faceva sentire protetta. Veramente le piacevano tutti gli eventi naturali: la
pioggia, la neve, il vento, persino la grandine, le nuvole e, naturalmente il sole. Pensava che ciascuno di questi
fenomeni, oltre ad essere bello di per sé, contribuiva a rendere più piacevole gli altri a causa dello stupore che
procurava il continuo alternarsi degli stessi.
Il giorno prima, subito dopo aver scoperto il corpicino della bimba morta e dato l'allarme era tornata a casa,
preoccupata per Davide che non voleva lasciare solo troppo a lungo.
Poi era passato da lei il brigadiere Brambilla, le aveva fatto alcune domande e l'aveva convocata in caserma per
quella mattina. Lei si era vestita col tailleur bianco e nero di Chanel, aveva indossato il cappotto nero di Prada
bordato di visone ed era uscita col figlio.
Ora entravano nel I. ufficio del maresciallo Tito Lo Bianco, questi si alzò dalla poi r rona dietro la scrivania e andò
loro incontro. Fece i convenevoli, li mise a proprio agio, li invitò a sedersi e intanto mentalmente prendeva nota del
tipo di donna che aveva davanti. Era sui 50 anni, gli avevano detto che era la vedova del famoso giornalista Baroni,
senz'altro lei era più giovane rispetto al marito, morto da poco all'età di 70 anni. La signora aveva un'eleganza innata
accentuata dalla magrezza del corpo e dei lineamenti del viso, vestiva con abiti di classe, forse residui di una vita
diversa fatta di mondanità, ma in contrasto con quella che conduceva ora, che come gli avevano già riferito era tutta
dedita al figlio handicappato. I capelli della donna tradivano questo suo trascurarsi, erano puliti, ma grigi, senza un
taglio preciso. Osservò il ragazzo, ben tenuto, educato, se ne stava seduto guardandosi attorno per la stanza,
tranquillo. Fatte queste osservazioni Lo Bianco considerò la testimone degna di fiducia.
—
Signora, grazie per essere venuta. Può dirmi per favore come ha trovato il corpo della bambina. si insomma
come sono andati i fatti. — Si sentiva anche un po' int i intimidito da questa donna? Non era da lui, che gli stava
capitando?
—
Stavo tornando a casa quando, all'improvviso, ho udito un tonfo, anzi un rumore forte. Mi sono girata di
scatto e ho visto quella bambina. Ho capito che il rumore secco che avevo sentito era quello della testolina che si
spaccava sul cemento del cortile. Lo strato di neve era troppo sottile per attutirne l'impatto. — Fu lei stessa
disgustata dalla spiegazione cruda che aveva dato, si schiarì la voce e proseguì. — Guardai in quella direzione e
vidi il corpo della piccola. Maresciallo, come avrà notato sono tutte villette all'americana senza recinzioni attorno,
così mi sono avvicinata. Mi dica tutto, anche le cose insignificanti, qualsiasi cosa, chi c'era, cosa ha visto, se ha notato qualche
particolare che stonava con gli altri. -
Ho visto la bimba, poi ho guardato in alto, sul balcone c'era la madre, attaccata alla ringhiera, alla finestra a
lato c'era il padre che ha urlato insieme a me. Quindi il padre e la madre si sono affacciati prima o dopo che lei gridasse? Dopo, no, erano già lì, non so. Io prima ho guardato la bambina, forse ho urlato, comunque quando ho
alzato gli ot.el i i loro erano già fuori. ma non so valutare bene il tempo di quei momenti, probabilmente erano istanti,
ma sembrava si svolgesse tutto al rallentatore. Mi scusi, commissario. Non si preoccupi, va benissimo così, mi dica liberamente tutto quello che si ricorda. Dunque la mamma era
sul balcone, quindi in quel momento la porta finestra era aperta, il padre era alla finestra, la bambina era nel cortile,
caduta fra il balcone e la finestra. È così? - Sì. Sembrava... un angelo, aveva la braccia aperte e un vestitino o una
camiciola da notte, non so, bianca. Strano anche a lui aveva dato l'impressione di un angioletto caduto, provò un peso enorme al petto, il pensiero di
quella povera bambina morta gli procurava un dolore sordo e continuo.
—
Signora Baroni, la finestra da dove guardava il padre era aperta? - Si, lui si era sporto in fuori e poi ci siamo guardati. —
—
Come? Cosa vinti dire? Non so. la madre sembrava avesse uno sguardo da pazza, non volevo dire pazza, volevo dire disperata. Il
padre ha urlato, ma nei suoi occhi non ho letto niente, però si c'è qualcosa che non...
— si interruppe.
—Continui la prego, qualsiasi cosa. - Ma non so, sbaglio a dire questo, è solo una sensazione. - La prego, ho la massima fiducia nel suo istinto, lei è una donna concreta e intelligente, mi dica. Non so cosa sia. ma c'era qualcosa di stonato nel padre, ma non vuol dire niente. Se la bambina è caduta,
perché mi fa queste domande? Lei l'ha vista mentre cadeva? - No, mi sono girata quando ho sentito il rumore, quando l'ho vista era già in terra. - Nessuno l'ha vista mentre cadeva? - Che io sappia no, nessuna delle persone accorse l'ha detto e poi sono stata io la prima ad arrivare. Cosa ha notato di strano nel padre? È una sensazione, ma non saprei dire precisamente. Certo ha urlato, non posso dire che non fosse scosso,
ma non so, davvero non so, mi spiare. Ci pensi con calma e se dovesse ricordalo, mi chiami, per favore. Grazie signora è stata molto utile, grazie
per la sua disponibilità. - Brambilla! — chiamò a gran voce il maresciallo Tito Lo Bianco.
— Andiamo. —
***
Nella villetta furono accolti da una ragazza bionda che si presentò come t'amica di Barbara, Patrizia.
Lo Bianco pensò che se le affinità emotive fra le due erano pari
alla somiglianza fisica senz'altro le univa una profonda amicizia.
—
Come sta la signora? - Non bene, lei capisce. Ora è in camera, spero riposi un po', stanotte non ha dormito.
—
Certo, certo, il signore è in casa?- No, è uscito per affari, ha approfittato della mia presenza per non lasciare sola Barbara. Posso approfittare anch'io della sua presenza e rivolgerle qualche domanda? Certo, commissario, sono a sua disposizione. — disse con un certo modo seduttivo.
—
Sono maresciallo, maresciallo Tito Lo Bianco, signorina. E lui è il brigadiere Mario Brambilla. Signora. Bene maresciallo, brigadiere... cosa volete sapere?Mi parli un po' della sua amica, che lavoro fa il signor Ronconi Michele. E avrebbe voluto aggiungere: e lei
cosa fa stasera? Decisamente era attratto dalle donne, forse a causa della sua origine siciliana, ma era sempre
rimasto sentimentalmente fedele alla
moglie morta e in cuor suo si vantava di questo. Il suo aspetto era piacevole, un siciliano alto, moro, con gli occhi
verdi, un misto di tipo mediterraneo e normanno, sui 35 anni. Aveva avuto alcune relazioni, ma si erano tutte
esaurite nel giro di qualche giorno. Non desiderava sostituire la moglie con un'altra donna, anzi piuttosto era il
contrario, se cercava una donna era per stordirsi e non soffrire pensando a Claudia. Patrizia lo guardava e non
sapeva conciliare quel nome meridionale con quei bellissimi occhi
verdi, le mani affusolate e l'atteggiamento gentile, ma efficiente... — Sì, ma non capisco a cosa serva. — rispose
Patrizia.
— Signora, la prego, io devo fare il mio lavoro. - Va bene. Conosco Barbara dalla prima elementare, è la mia migliore amica, è una persona buona e sensibile. Ha
sempre desiderato avere un figlio, ma tardava ad arrivare e lei era disperata per questo. Poi finalmente, all'età di 40
anni ha avuto Ginevra, lei lo chiamava il suo miracolo, si figuri quanto la amava, quanto ami sua figlia. - Capisco. —
innanzitutto ha difeso la madre di Ginevra, giustamente sono amiche, pensò Lo Bianco. — e del padre che mi dice?- Michele è architetto, trascorre molto tempo fuori casa. È intelligente, una persona normale. Non le è molto simpatico, vero?Non ho detto questo. Sì è vero, non è molto simpatico, è freddo, distaccato, anche con Ginevra era assente.
Lui non ha mai condiviso le angosce di Barbara per avere figli, forse lui non li desiderava veramente. Non ha mai
accompagnato Barbara dal ginecologo, era più facile che ci fossi io. È stato presente al parto, questo sì, ma
comunque ho visto padri più affettuosi coi figli. Ma perché le racconto questo, non c'entra niente. Mi dica
lei cosa vuole sapere. Mi ha già detto molto, grazie. Ora vorrei parlare con la signora Barbara, per favore. Vado a vedere se è sveglia. Poco dopo Patrizia tornò sorreggendo Barbara, sembravano sorelle, minute bionde, le bocche carnose e i nasi
impertinenti, alla francese. Barbara era avvolta in una coperta eppure tremava.
Il brigadiere pensò che non era il caso di disturbare ancora quella povera madre, ma sembrava proprio che
l'efficientissimo iceberg desiderasse fare un rapporto meticoloso sull'accaduto. Tito Lo Bianco si avvicinò a Barbara
e l'aiutò a sedersi. — Signora, mi scusi se la disturbo ancora, ma avrei bisogno di sapere se ha ricordato qualcosa in
più di quello che mi ha detto ieri. — Lei lo guardò negli occhi e lui vide in quelli della donna, velati dalle
lacrime, una domanda muta.
— Signora c'è qualcosa che vuole chiedermi? - Io, potevo fare qualcosa per salvarla? Cosa dovevo fare? Io non dovevo avere figli, non sono stata una buona
madre. Non è vero — intervenne Patrizia, abbracciandola — sei la migliore mamma. Signora — riprese a chiedere il maresciallo — ieri lei dove si trovava quando sua figlia è precipitata? Io, credo, forse ero in cucina. Ero andata un attimo in bagno o in camera, non ricordo. Poi sono tornata in
cucina e poi ricordo solo che ero sul balcone e l'ho vista giù nel cortile distesa sulla neve con quella macchia rossa
sotto la testa. — Riprese a piangere.
Il brigadiere e Patrizia guardarono con disapprovazione il maresciallo e lui se ne accorse, ma proseguì: — Si faccia
coraggio, lo faccia per sua figlia e mi dica se la porta finestra della cucina era aperta o chiusa ieri mattina, la giornata
era fredda. Chiusa, era chiusa. Sua figlia arrivava alla maniglia per aprire la porta finestra?
Mi sembra sia posta molto in alto e poi ieri ho visto anche una catenella di sicurezza più in alto. È così? - Sì l'avevamo fatta mettere proprio per maggior sicurezza, vede avevo chiuso tutte le prese della luce, credevo di
aver pensato a tutto per proteggere Ginevra e... invece. Dove ho sbagliato? Cosa ho fatto?- Allora, lei era in cucina o forse in camera o in bagno? Ginevra era in cucina? Suo marito in sala, mi pare. È giusto?
- Credo, ma io ero uscita dalla cucina e forse anche Ginevra non era più in cucina. Già, forse era andata in sala, con suo marito. L'ultima volta che
ricorda di aver visto la bambina... viva, cosa stava facendo? Chi io o Ginevra?-
Ginevra, se le ho chiesto l'ultima volta che l'ha vista, so già cosa stava facendo lei. Lei la stava guardando.
— Accidenti ecco ci era ricascato, la sua non era cattiveria, era logica, ma anche questo lato del suo carattere aveva
contribuito a fargli dare quel soprannome.
—
Stava giocando con l'angelo cha avevamo messo sulla punta dell'albero di Natale, le era piaciuto tanto e
l'aveva tenuto fra i
suoi giochi. - Bene ricominciamo dall'inizio, da quando si è svegliata. No, ora basta, non capisco dove vuole arrivare, l'ha già stancata troppo e forse non può neppure farlo. Io
voglio sapere se sospetta che non sia stato un incidente. — Intervenne Patrizia. — Potrebbe non essere stato un
incidente, se le finestra della sala e la porta finestra della cucina erano chiuse, la bambina non poteva aprirle da sola
e buttarsi. Dio mio, cosa dice? — urlò Barbara.
—
Se ne vada e non torni più o la prossima volta troverà un avvocato a riceverla. — e Patrizia lo accompagnò
alla porta. Il brigadiere dal canto suo aveva già quasi guadagnato l'uscita da prima, durante la spiegazione del capo,
desiderava proprio andarsene, dissociarsi da quelle parole, rispettare il dolore di quelle
persone, non accusarle.
— Signorina, la capisco, ma io cerco la verità e la verità non è mai nemica degli innocenti, come non lo sono io. - Signora, se non le dispiace. — puntualizzò lei furibonda.
***
Barbara si lasciò andare ad un pianto dirotto — Ha detto che è stata uccisa. - Calmati, non sa quello che dice. La crisi della donna però andava crescendo e così fu chiamato il marito, il medico e poi l'avvocato.
Barbara desiderava a tutti i costi ricordarsi ogni attimo del giorno prima per sapere, cosa era veramente accaduto,
ma non ci riusciva.
Aveva scoperto il tradimento del marito e da quel momento non era più stata lucida, agiva come un automa. Ecco
cosa la torturava, senz'altro aveva fatto qualcosa che aveva provocato la morte di Ginevra e non sapeva darsene
pace.
Lei non meritava quella figlia, lei non meritava neppure di esistere. Aveva preteso troppo dalla vita, aveva preteso di
essere una persona normale con una famiglia, ma dentro di sé aveva sempre sentito di non meritare niente, di
essere una persona di serie "b" le cui necessità dovevano essere meno importanti di quelle degli altri.
Aveva tre anni quando sua madre morì e suo padre aveva cominciato a trattarla come un pesante fardello.
Ripeteva: — Se non avessi una bambina così piccola potrei risposarmi, sì ho dovuto cambiare lavoro con una figlia
piccola cosa potevo fare? Non sono neppure libero di vedere gli amici perché non posso lasciarla in casa sola e se
la porto con me si lamenta perchè ha sonno. La zia materna addirittura le aveva detto: — Tua mamma era troppo
felice quando sei nata e così è morta, forse se tu non fossi nata, chissà... Barbara si sforzava di passare inosservata, di non disturbare nessuno, di essere accettata. Avrebbe voluto dire a
suo padre: — Non ti accorgerai neppure che esisto, ma tienimi vicino a te. Avrebbe fatto qualsiasi cosa per essere amata.
Ora ripensava alla più grande gioia della sua vita: Ginevra. L'aveva chiamata in questo modo ricordando la saga di
re Artù e del mondo migliore che volevano costruire. Anche per lei con Ginevra iniziava un mondo nuovo fatto di
amore, ma in fondo al cuore pensava che forse era stata egoista a farla nascere. Che diritto hanno i genitori di
mettere al mondo degli esseri che certamente soffriranno e sicuramente moriranno? È amore o egoismo? Lei
sarebbe stata in grado di sopportare i drammi che avrebbero sconvolto la vita della figlia, sapendo che la causa
prima di tutti era proprio il dono della vita? A quale paradiso l'aveva strappata per portarla su questa terra cruenta?
Valeva la pena vivere, soffrire, gioire, innamorarsi, tradirsi e poi morire? O forse era meglio non vivere affatto, non
conoscere, non sapere, rinunciare a tutto prima di essere travolti? Poteva salvare sua figlia?
***
I dubbi del maresciallo Lo Bianco trapelarono e il carrozzone dei giornalisti si mise, in moto e li trasformò in sospetti.
Arrivarono con telecamere, macchine fotografiche, microfoni. Pochi volevano conoscere la verità, tutti volevano fare
notizia e così cominciarono ad inventare quello che non sapevano.
Il colonnello Delindati aveva fatto carriera più per furbizia che per intelligenza. Era pronto a piangere e ad adulare i
superiori al momento giusto e traeva una sorta di soddisfazione personale a tiranneggiare i più deboli. Tutto questo
gli derivava da una scarsa virilità e da una statura che lui riteneva inadeguata all'importante grado che ricopriva. In
realtà, siccome il valore delle persone non si misura in centimetri, la sua altezza di m. 1,74 non era criticabile. Era
più rilevante il suo sgradevole aspetto fisico: una pinguedine accentuata, un viso grossolano composto di particolari
rozzi, le sopra ciglia irsute che contrastavano col riporto sulla fronte. Insomma non era neppur lontanamente bello,
ma lui non lo sapeva. Si pavoneggiava per le caserme del suo territorio avanzando come un gallo con la cresta al
vento. Si credeva perfetto perchè era incapace di introspezione. Attribuiva al prossimo ogni colpa. Le sue mancanze
divenivano i difetti degli altri e quel che è peggio, ne era convinto. Non si fidava di nessuno e non aveva mai un
gesto di generosità: così aveva fatto carriera. Ma il potere, a quelli che lo posseggono, non basta mai, per cui viveva
in un perenne stato di ansia temendo tutti e pianificando ogni giorno il modo di essere di vantaggio a se stesso.
Parole come: indagini, bene comune, giustizia, non ,1 110 non esistevano nel suo vocabolario, ma non ne
conosceva neppure il significato.
Così non appena il Colonnello Delindati capì che il caso della piccola Ginevra offriva un palcoscenico e
un'occasione per fare carriera si mise a coordinare le indagini e, soprattutto, si mise a disposizione della stampa,
rilasciando questa intervista: — Stiamo lavorando alacremente per smascherare l'assassina. - L'assassina allora è la
madre? - Ci sono buone probalità, ora resta da scoprire se aveva premeditato l'atto o se ha agito in stato di infermità
mentale. —
***
— No, no, no! — Urlò il maresciallo Tito Lo Bianco leggendo l'articolo sul giornale. — Adesso è troppo, non doveva
arrivare a questo, che prove ha per affermare che la madre è l'assassina? Ma veramente il primo a sospettarla è stato proprio lei maresciallo ed ora elle fa, cambia idea? No, Brambilia, no, non è così. Io non capivo e non capisco ancora come possa essere accaduto che una
bambina di due anni, apra una porta o una finestra senza arrivare alla o la o iglia e si butti di sotto. Io indago per
conoscere la verità equa odo la scoprirò se incriminerà la madre o il padre o il virino di casa o 1)i° in persona io
l'accuserò pubblicamente, ma non ora. Se non sappiamo ancora come è successo come possiamo dire chi è stato?
***
Barbara era schiacciata da queste accuse, sospettavano di lei? Allora era così, era stata lei veramente? Ecco la
cosa che le sfuggiva la cosa che non avrebbe dovuto fare, aveva preso Ginevra fra le braccia e l'aveva lasciata
cadere. No, era doloroso anche solo pensarlo.
Fu sottoposta a perizia psichiatrica su richiesta del colonnello elindati che voleva agli atti il profilo psicologico
dell'unica sospettata.
Fu accompagnata dai carabinieri a Castiglione delle Stiviere, la linica dove sono ricoverate le madri assassine.
Barbara lo sa. peva e credeva che la sua vita le sfuggisse, che fossero gli altri a sapere chi era veramente lei.
Patrizia chiese e ottenne di andare con lei, il marito era assente anche in quella occasione.
Barbara entrò da sola nello studio bianco del professor Cesare Marchetti, i carabinieri e Patrizia dovettero attendere
fuori dalla porta. Le gambe le tremavano, non vedeva niente attorno a sé, il professore le andò incontro, le prese
entrambe le mani nelle sue e le chiese: — Come si sente signora? Barbara alzò gli occhi velati di lacrime e rispose: — Vorrei morire. - Invece è morta sua figlia. Me ne vuole parlare? No! Non voglio parlarne qui in questo posto orribile, almeno Ginevra non dovrà vivere. La vita è sofferenza
non c'è speranza nella vita. —
Lei amava sua figlia? Era il mio cuore, era la fiamma che mi scaldava dal freddo dell'inverno. - Assomigliava a lei quando era piccola? Credo di sì, a me a due anni, sì. Poi io sono cambiata. Perché è cambiata? E morta mia mamma. Nessi i i lo me ne parlava, ma io lo capivo.
Strano non si parla mai di morte ai bambini, ma c'erano cose che già conoscevo era come attingere all'inconscio
collettivo. Ho letto Jung professore, sono laureata in psicologia con specializzazione in turbe dell'età evolutiva anche
se non ho mai esercitato. Volevo bene a tutti i bambini, amo mia figlia. Forse quello che volevo era riuscire ad amare
anche quella bambina che ero io. - Perché lei non ama la bambina che era? —
— Non l'amava nessuno, non meritavo di essere amata. Sono arrivata io e dopo pochi anni è morta mia madre. - Ma che male aveva fatto lei da bimba, non è stata colpa sua la morte di sua madre. - Io ero marcia e gli altri lo sapevano prima di me. Anche adesso, tutti sanno che sono stata io ad uccidere mia figlia
ed io non riesco a ricordare nulla prima di quell'immagine: Ginevra che finge la neve col rosso del suo sangue. Sono
stanca di lottare, se dite che è andata così, va bene io non ricordo niente. - Perché ha detto che era una bambina marcia? Era marcia anche Ginevra? No, lei era un angelo. ... Io ero marcia, corrotta, io non meritavo una figlia. Perché non la meritava? - Io sono sporca dentro, non valgo nulla. Che importa ormai tenermelo dentro ancora? Mi hanno presa da piccola,
avevo 9 anni, ho temuto per la mia vita e per questo l'ho assecondato, era come se fossi uscita da me stessa e mi
dicessi devi fare così e così per non irritarlo, assecondalo e te la caverai, ti salverai la vita. Ero sporca io l'ho fatto
senza essere picchiata o trattenuta a forza, non ho provato a fuggire, mi inchiodava con lo sguardo, con un dito, è
bastata la sua volontà e io non ero niente. — La interruppe un piano dirotto.
— Lui chi era? Quanti anni aveva? - Lui era grande, era il mio maestro delle elementari. - Non era colpa sua, lei era solo una bambina. Poi è successo ancora? Sì, una volta, poi non lo vidi più, seppi che era morto investito da una macchina e ne fui felice. Temeva che questo potesse succedere anche a sua figlia? - No, io l'avrei capito prima, subito, io l'avrei
compresa sempre. - Nessuno si è accorto di quello che era capitato a lei? - Di me non si è mai occupato nessuno, ricordo di aver pensato che non dovevo odiare il maestro perché in fondo
era l'unica persona che si era accorta di me. - Anche suo marito si è accorto di lei. - Mio marito ha un'altra, non mi vuole. Gliel'ha detto lui? L'ho sentito al telefono quella mattina, lui non Io sa, non ne
abbiamo ancora parlato io e lui, dopo è successo che... - Mi sta dicendo che la mattina che è morta sua figlia lei aveva appena scoperto che suo marito la tradisce? - Sì..., ma ormai che importa. Io voglio solo scomparire. - È importante invece. - Stavo entrando in camera e ho sentito un brano della telefonata,
lui le diceva: ti amo e poi, quello che mi ha fatto impazzire, è stata la voce. Era così tenero con lei come non è mai
stato con me. Poi cosa ha fatto? Mi sono chiusa in bagno a piangere. Sua figlia dov'era? In cucina coi suoi giochi. —
—
E poi? —
—
Poi ho riordinato la cucina, ho sentito che mio marito usciva dalla camera e non sapevo come affrontarlo, ero agitata, ho rovesciato il caffè, lui non è entrato in cucina è passato
davanti alla porta ed è andato in sala. Ha acceso lo stereo, io sono andata... Dove? -
Sono andata in camera a cercare il suo cellulare per vedere il numero dell'ultima chiamata, ma il cellulare
non c'era, ho pensato che l'avesse preso lui. —
—
E poi? —
—
Poi mia figlia è morta. —
Perizia del medico legale: nessun trauma precedente alla caduta. Causa della morte: rottura del cranio.
Perizia dello psichiatra: Personalità debole e suggestionabile causa sensi di colpa. Non ricorda il momento della
disgrazia. Possibile incapacità temporanea di intendere e volere possibile
sindrome di Medea. Il colonnello si pavoneggiava nell'ufficio di Tito Lo Bianco, sventolava le perizie dopo averle lette - Vede che
progressi, maresciallo? Abbiamo l'assassina, non sapremo mai come è successo esattamente perchè, non ricorda,
ma è stata lei, c'è scritto qui. Balle! Avrebbe voluto urlare Lo Bianco, ma riuscì a richiudere la bocca un attimo prima.
Pensò conte ribattere, ma non c'era niente da dire, non sarebbe riuscito a far ragionare il colonnello, L’unica cosa
che poteva fare era continuare a indagare. Uscì. Si incarnminò senza meta, ma presto si accorse che si stava
dirigendo verso la casa delle verità recondite, come la chiamava fra sé e sé.
***
Nel frattempo anche una bambina di 7 anni era uscita a far passeggiare il cane. Cercava di seguire una linea retta
sul lato della strada, ma il cane la trascinava a zig zag nei giardini delle case senza recinzioni i. di nuovo sulla strada
e poi di nuovo fra l'erba che spuntava fra la neve che si scioglieva lenta. Poi il cane si fermò, il muso a terra,
scodinzolando. - Fiocco, cosa fai. vieni, via. Il cane si girò, aveva in bocca un angelo, quelli. fatti di stoffa e brillantini che si mettono sulla punta degli alberi di
Natale. - Bello - disse la bimba. - Grazie Fiocco. - E se ne tornarono a casa senza incontrare nessuno.
***
Fu un vero peccato, se il maresciallo fosse arrivato un minuto prima avrebbe assistito alla scena e forse avrebbe
capito che si trattava dell'angelo con cui stava giocando Ginevra. Ma non fu così. Rimuginava sulla sindrome di
Medea, la donna che aveva ucciso i figli per vendicarsi del marito che l'aveva tradita. La peggiore delle vendette
privare il marito della prole, più di così non poteva colpirlo. Medea in questo modo feriva se stessa, ma puniva
Giasone nel modo più atroce, uccideva la sua discendenza. - Balle. balie - finalmente potè urlare liberamente. Però
qualcosa di importatile era emerso dalla perizia psichiatrica: Barbara aveva appena scoperto che suo marito la
tradiva. Come reagisce una donna a questa rivelazione? Si vendica? Si annienta? Si accusa? Aggredisce il marito?
La figlia?
E se invece fosse stato il marito?
Si ritrovò davanti la casa della vedova Baroni, suonò il campanello.
***
Lei venne ad aprire la porta. I capelli grigi raccolti in una coda di cavallo. Indossava un paio di jeans e un pullover
azzurro con un foulard annodato al collo. Lo Bianco si chiese come facesse a stare fermo quel pezzo di stoffa
scivolosa, Corina era sempre compostamente perfetta.
Gli fece un sorriso e lo invitò ad entrare.
Maresciallo, prego si accomodi. Posso offrirle una tazza di the? Davide ed io stavamo per sorbirlo. Grazie, accetto volentieri. Non può è in servizio - protestò Davide
Lo scusi maresciallo, mio figlio vede troppi telefilms. Davide, hai ragione, ma vedi ora non sono in servizio e poi il the non è alcolico. Davide fu soddisfatto della ria )osta e riprese a intingere i biscotti.
Lei pensa che la signora Ronconi possa aver ucciso sua figlia? - Scusi, ma sarebbe solo la m li i opinione,
perché lo vuole sapere? -
—
Io credo che lei sappia distinguere il bene dal male, il reale e l'immaginario e sia meno coinvolta di me. Mi
spiego, a volte è necessario fare un passo indietro per vedere meglio, per non perdere la visione dell'insieme. La
prego, mi dica la sua opinione. Credo che nessuna madre ucciderebbe i figli, ma i fatti mi smentiscono, so che a volte succede, tuttavia non
è la norma, ma l'eccezione. La sua prima impressione, subito dopo che ha scoperto il corpo della bambina? La madre aveva gli occhi da pazza, ma forse era pazza di dolore. Il padre, mi guardava ma... - Mi disse che
aveva notato qualcosa che stonava, ci ha ripensato. Ci ho pensato ancora e credo... credo di aver scorto un sorriso sul viso del padre. Impercettibile, appena un
po' le labbra tirate in su. Forse è stata solo un'impressione. Già. Anche la vita forse è un'illusione, ma se è solo questo che abbiamo allora l'illusione è la nostra realtà. Maresciallo, mi stupisce. Parla come un filosofo. O come uno stolto, signora.
E se ne andò.
***
Il colonnello Delindati era al settimo cielo. Le perizie degli esperti, a suo giudizio, indicavano chiaramente che la
madre era l'assassina. Ecco come risolvere velocemente un caso e ricevere la giusta promozione. Immaginava già
gli articoli sui giornali:
Il colonnello Marco Delindati risolve il caso della piccola Ginevra. Ora non restava che interrogare la madre e
raccogliere la sua confessione.
La fecero accomodare, Barbara era accompagnata dall'avvocato che entrò con lei, mentre Patrizia fu costretta ad
attendere fuori.
—
Signora — cominciò il colonnello — mi dica come si sono svolti i fatti la mattina in cui Ginevra è morta. - Io, io... Credo di averla uccisa. L'avvocato la interruppe. — Può non rispondere alle domande, le consiglio di non rispondere, prima di essersi
consultata con me. Voglio finire questa storia, non ne posso più. In cucina c'ero solo io con lei, ero disperata, avevo scoperto
che mio marito mi tradiva. Non c'era nessun altro, mio marito era in sala, Ginevra era con me, io l'ho uccisa. Come, in che modo? Gettandola dal balcone. Poi, non so, avrei dovuto buttarmi anch'io. Non so perché non l'ho fatto. Ricordo
che ero sul balcone e lei era laggiù: morta. Io mi sentivo fuori di me, non ero una persona, ero là con lei, ero già
morta anch'io, perché non mi sono gettata? Ho incontrato lo sguardo di quella donna, quegli occhi mi hanno
riportato alla realtà, mi hanno fermata.
— Bene — si lasciò sfuggire il colonnello — firmi la deposizione. — Chiederemo lo stato di infermità mentale. —
dichiarò l'avvocato.
***
Fidenza 20 febbraio 2011
È la madre l'assassina della piccola Ginevra.
Non possiamo crederlo eppure siamo costretti
a prendere atto che esistano i mostri e, a volte, il mostro
dei nostri incubi peggiori si nasconde nel corpo
di una madre.
L'articolo continuava coi toni enfatici di chi vuole fare notizia a tutti i costi.
Ormai comunque si affrontasse la vicenda interessava tutti. Purtroppo, pensò Leyla. Il direttore del giornale, per cui
lavorava
come corrispondente dall'estero, le aveva affidato un incarico. Era costretta a fare un articolo sulla morte di Ginevra,
ciò significava ritornare a casa. Senz'altro l'incombenza era toccata a lei proprio perchè era la figlia della prima
testimone.
Non sopportava di rivedere sua madre
Non l'aveva ancora perdonata. Leyla si trascinava questo grumo di risentimenti che le impedivano di costruirsi un
futuro. Lei non se ne rendeva conto, ma la sua fuga dagli affetti era proprio la catena che la teneva ancorata al
passato. Se ne era andata senza affrontare la situazione, senza chiarire i sentimenti e questo nodo che teneva
chiuso dentro di lei, l'aveva resa diffidente verso tutti. Viveva contratta.
Era una bellissima dotala di 29 anni, i capelli ramati naturali e gli occhi azze rri, slanciata e magra. Aveva l'innata
grazia di sua madre, pure era più rigida nei movimenti, a volte si muoveva a scatti. Anche le sue parole arrivavano a
raffica o erano rare come le perle nelle ostriche. Viveva in un bilocale a Londra, l'aveva riempito di giornali, appunti,
libri, CL), DVD, c'era il computer, la stampante, la macchinetta per il caffè in cialde che aveva portato dall'Italia,
qualche tazza, pochi vestiti buttati in un baule, perché il piccolo armadio era pieno di fascicoli, insomma
assomigliava più ad un ufficio che a una casa. Non aveva amici, solo colleghi, coi quali usciva qualche volta, più per
mantenere i rapporti su basi civili che per divertimento. Non si lasciava mai andare.
Aveva avuto pochi amori. Il primo era stato al liceo a 14 anni. un ragazzo tenero e bellissimo. Il leader nella sua
classe, ma poi lei aveva preteso dai suoi genitori che la mettessero in collegio in una città distante 100 chilometri.
dal suo paese e così lei e Aldo non si erano più visti.
Poi all'università era uscita con un ragazzo, lui la corteggiava con la leggerezza dei vent'anni, senza impegnarsi
troppo. Lei aveva deciso che a 19 anni non poteva continuare a rimanere illibata. Alla prima uscita insieme, dopo la
pizza, finirono a letto.
Per Leyla fu un rapporto veloce e doloroso. Lui, Massimo, si arrabbiò con lei perché non gli aveva detto che era
vergine. Cosa si era messa in testa? Voleva incastrare proprio lui? Che non ci provasse, lui voleva rimanere libero.
Leyla uscì dalla camera sbattendo la porta, senza rispondergli, ma appena fuori cominciò a piangere e giurò a se
stessa di rimanere sola per tutta la vita.
In realtà aveva avuto qualche altro rapporto sessuale dopo quello, ma prima di cominciare dichiarava al partner: —
Per me si tratta di ginnastica, quindi non sprecarti a fare il romantico. Rifiutava gli altri per non essere rifiutata,
sarebbe stato troppo doloroso per lei.
***
Davide era preoccupato. Sua sorella era tornata e si chiudeva spesso nello studio a curiosare fra le cose del padre.
Prima o poi l'avrebbe scoperto, lui doveva impedirlo.
Quel giorno in cui era rimasto solo in casa, aveva preso la cinepresa del padre per riprendere gli uccelli. C'era un
pettirosso sul davanzale. Davide conosceva il nome di tutte le specie di uccelli, glieli mostrava sua madre,
sfogliando il grande libro della natura. Lui voleva fare un film col titolo: Uccellini nella natura. Ma quando accese la
cinepresa il pettirosso era sfocato, non come quando la usava con suo padre e vedeva tutto benissimo. Aveva
provato a toccare qualcosa, per farla funzionare meglio, ma era sicuro di averla rotta, per questo doveva
nasconderla. Attese che la mamma e la sorella fossero distratte e corse nello studio, prese la cinepresa e andò a
nasconderla nella sua cameretta.
***
A Michele sembrava di aver scampato un pericolo.
Non sapeva come lasciare la moglie, come raccontarle dell'altra ed ora all'improvviso non doveva più farlo. Il gesto
che i carabinieri attribuivano a Barbara giustificava pienamente l'annullamento del matrimonio, lui non doveva
spiegare niente, anzi era la vittima.
Sì ricordò all'improvviso di un giorno a scuola, aveva 12 anni, si era azzuffato con un compagno e gli aveva rotto il
naso. Mentre il professore di ginnastica accompagnava quel ragazzo in ospedale, lui era stato convocato dal preside
che aveva iniziato la ramanzina, parlava di sospensione dalla scuola e diceva che avrebbe chiamato subito suo
padre perché venisse a prenderlo, ma fu interrotto da una telefonata.
Era proprio suo padre che chiedeva al preside di permettergli di uscire in anticipo dalla scuola perché era morta la
nonna materna. Il preside non aveva avuto il coraggio di dire in quel momento ai genitori quello che lui aveva
combinato e si era limitato a fare le condoglianze.
Michele se ne era andato impunito al capezzale della nonna, in seguito anche i genitori del ragazzo ferito avevano
rinunciato a qualsiasi accusa, un po' per compassione un po' per come il preside aveva loro spiegato i fatti, per cui
quando, era ormai passato un po' di tempo anche a Michele sembrava di non aver fatto nulla, tutto si riduceva ad
una zuffa e forse ad una caduta.
Pure adesso gli sembrava che gli eventi avessero deciso per lui. Era stata accusata sua moglie, lei era una
"matricida", no matricida è chi uccide la madre, come si chiama chi uccide la figlia? Non esiste neppure il termine
tanto è atroce e impensabile il delitto.
Lui si era liberato della moglie e non doveva neppure pensare alla figlia, alle liti dall'avvocato per il mantenimento,
agli orari per le visite alla bambina, alle discussioni con Sara, la sua donna, per le inevitabili gelosie che sarebbero
scaturite.
Era tutto risolto, poteva cominciare una nuova vita. Lui era un vincente non come suo padre che era rimasto
incastrato con sua madre perennemente preda di depressioni. A Michele avevano fatto comodo le crisi della
mamma. Come quella volta che aveva preso di nascosto la macchina del papà, non aveva ancora la patente, era
finito fuori strada. Era stato costretto a telefonare a suo padre che aveva chiamato il carro attrezzi, si era fatto
accompagnare da un amico per andarlo a prendere e gli aveva raccomandato: — Non diciamo niente alla mamma,
altrimenti si preoccupa troppo e sta male. Ancora una volta la fortuna era dalla sua parte, decise che sarebbe stato sempre così, bastava approfittare delle
occasioni, i rimedi poi venivano da soli.
***
Il maresciallo Lo Bianco sospettava anche del marito già dal primo momento. Lo giudicava un uomo anafettivo, in
balia dei suoi piaceri e col culto di se stesso.
La moglie per lui era un peso, l'aveva già lasciata per vivere con l'altra. Rilasciava interviste dipingendosi il martire di
tutta la situazione: — Avevo una figlia, mia moglie l'ha uccisa, non posso più guardarla in faccia. Il divorzio? No,
chiederò l'annullamento per pazzia del coniuge. Tutto questo gli faceva troppo comodo, inoltre se la moglie era in camera, lui aveva il tempo di andare in cucina,
aprire la porta finestra, prendere la bambina, tornare in sala e gettarla fuori dalla finestra.
Tutto era possibile.
Poteva essere stata la madre oppure il padre e fra i due lui disprezzava più l'uomo, mentre lei gli faceva pietà.
La cosa più normale sarebbe stata la caduta accidentale, ma era escluso che la bambina fosse arrivata da sola ad
aprire la maniglia e rimuovere la catenella di sicurezza o ad arrampicarsi sulla finestra.
***
Come aveva fatto a non pensarci prima, Tito si diede una botta in testa. La madre di Ginevra aveva detto che
l'ultima volta che aveva visto la bambina stava giocando con un angelo dell'albero di Natale. Fu così che si
ripresentò con alcuni carabinieri a casa di Barbara. Lei non c'era, era stata ricoverata in clinica con una forte
depressione, in attesa di essere citata in giudizio.
Dal momento in cui aveva confessato la perseguitavano numerose immagini: vedeva se stessa prendere Ginevra fra
le braccia e buttarla nel vuoto, non guardava mai quando c'era l'impatto con la terra, non sapeva neppure dire se
fossero ricordi o congetture, a volte non capiva se era il passato o se stava per• accadere. Lei voleva evitarlo, ma
inesorabilmente la parte cattiva di sè afferrava Ginevra, la strattonava e la buttava come una bambola di pezza fuori
dal balcone sul cemento, si scostava dalla ringhiera per non guardare l'istante dell'impatto, sentiva il rumore secco
del cranio spaccato, poi si riaffacciava e incontrava lo sguardo di una donna, quegli occhi le chiedevano: che hai
fatto? Quando Tito Lo Bianco suonò il campanello venne il marito ad aprire, non abitava più in quella casa, ma vi era
stato convocato.
—
Buongiorno architetto, come le ha già spiegato al telefono il brigadiere, dovremmo fare un sopralluogo. Certo, non c'è problema, ma ormai mia moglie ha confessato, cosa cercate? Un angelo. Precisamente l'angelo dell'albero di Natale. Ah, si. Dovrebbe essere fra i giochi che sono in cucina. I carabinieri e il maresciallo frugarono per un po', ma
non lo trovarono.
—
Sono tutti qui i giochi della bambina? No, ce ne sono anche nella sua cameretta, ma quelli che usava quella mattina non sono più stati toccati, è
rimasto tutto com'era, l'angelo dovrebbe essere fra quelli. Provate a cercare anche di là. — disse Lo Bianco, lui provò a rovistare anche in sala e nel resto della casa,
ma inutilmente.
—
Cosa significa? — chiese il padre.
—
Non lo so ancora, ma logica dice che da qualche parte deve essere e che ci sarà un motivo per cui sia in un
posto piuttosto che in un altro. Vedremo. La saluto architetto Ronconi. Poi rivolto ai carabinieri disse: — Andate in caserma e fate rapporto su questa perquisizione, io torno a piedi. —
***
Si ritrovò a suonare il campanello di casa Baroni, ma la persona che venne ad aprire non l'aveva mai vista. Aveva la
delicatezza e la grazia di Corina, gli stessi occhi azzurri, ma una chioma ramata e qualche lentiggine sul volto. Lui
rimase incantato a guardarla, Leyla si perse per• un attimo nei suoi occhi, poi le salì alle labbra un sorriso
canzonatorio e gli disse: — Oltre a suonare i campanelli sa anche parlare? Di solito sono io che dico frasi logiche, ma maleducate. Desidera fare una gara per ristabilire il primato? Temo che con lei perderei. E questo sarebbe un complimento? Potrebbe essere un inizio e se non ha paura e crede di poter tenermi testa potrebbe anche farmi entrare. Leyla chi c'è? — si sentì dall'interno la voce della madre. Odio quando parla da una stanza all'altra alzando
la voce, pensò Leyla.
—
Nessuno mamma, per ora non si è ancora presentato. — e poi rivolta a lui: — Da quali lidi venite straniero?
Chi siete e qual cagion vi spinse a frequentare le umide strade del mare. Mercante o pirata che in forse l'altrui vita
tenete? Nessuno, ma voi dunque siete Polifemo! Come ho fatto a non capirlo subito? Nel frattempo arrivò Corna: —
Oh maresciallo prego entrate. Venite preparo subito una tazza di the da bere insieme, o preferite qualcosa di più
forte? —
—
Grazie una tazza di the andrà benissimo, qualcosa di più forte l'ho già avuto, sì grazie una tazza di the. A Leyla piaceva molto l'uomo che aveva di fronte, le piaceva pure che fosse maresciallo, ma si convinse che il
motivo era strettamente professionale dal momento che doveva scrivere l'articolo per il giornale. Lui era rimasto
abbagliato da lei, ritrovava la grazia che apprezzava in Corina e in più scopriva in questa ragazza un'indomabilità
selvaggia e acerba ancora come quella delle adolescenti.
—
Dunque Maresciallo, cosa possiamo fare per lei? — esordì Leyla.
—
Dunque signorina Leyla, lei abita qui? Fa parte dell'indagine? Certo, la mia indagine. —
Tornò Corina col vassoio del the. Si accomodò sulla poltrona e chiamò Davide perché si unisse a loro. — Allora
maresciallo il caso è chiuso? È stata la madre? Non lo so ancora signora. Ma ha confessato. È stata accusata dalla stampa e da se stessa, ma ci vogliono prove. Io voglio chiarire il movente, la
modalità, poi potrò chiudere il caso. -
Cosa non la convince maresciallo? — intervenne Leyla.
—
Le dirò una cosa molto confidenziale signorina. Io guardo le persone prima di tutto, la madre della bimba mi
sembra una brava persona, fragile, ma più vittima che carnefice. Questa non è una prova è un'impressione, in un
rapporto non conta niente, non posso neppure scriverlo, però la sensazione che suscitano le persone per me è
fondamentale nelle indagini. Inizio da questa traccia e da questo elaboro il racconto, cerco le prove. Mi pare sia stato lei il primo a sospettare della madre. Dovevo sospettare di tutti, ma non sono convinto della sua colpevolezza. Potrebbe essere stato il padre, il
corpo della bambina è stato trovato a uguale distanza dal padre e dalla madre ed entrambi sono stati visti affacciati,
da sua ... — guardò Corina e chiese: — Siete sorelle? Lei è molto cortese con me Maresciallo, ma lo è meno con mia figlia. Trovo che siate entrambe bellissime. Signora Corina, se mi permette ero passato per farle un'altra
domanda. Quando ha assistito alla disgrazia non ha notato se in terra c'era un pupazzetto, esattamente un angelo?
-- No, ho visto solo la bambina, mi spiace era importante? Chissà, poteva aiutare, ma non so ancora come. Comunque non si trova più ed era il gioco preferito di
Ginevra. —
***
Quando il maresciallo tornò verso casa si sentiva leggero, aveva trascorso un pomeriggio con una compagnia
piacevole, anzi se ripensava a Leyla la prima parola che gli veniva in mente era: stuzzicante. Senza accorgersene il
suo passo divenne più leggero, voleva invitare a cena quella ragazza, ma temeva un rifiuto per questo aveva
esitato. Eppure lui, solitamente era sempre sicuro di sé e sapeva mascherare i suoi stati d'animo, non per niente lo
chiamavano iceberg. Si, ma ora si sentiva sciogliere.
***
Fidenza 21 febbraio 2011
IL MARESCIALLO TITO LO BIANCO
ACCUSA IL PADRE DELLA BAMBINA
La madre una donna debole, ma innocente. Mi sono
sempre fidato del mio istinto, afferma il maresciallo
Tito Lo Bianco, e la ritengo innocente. Nella casa c'erano entrambi i genitori e tutti e due avevano la possibilità di
uccidere, ritengo che sia stato il padre. E così dopo le accuse iniziali tutto viene rimesso in discussione. Ma tutto
questo porterà veramente a trovare l'assassino o solo a confondere le poche certezze che già c'erano?
Un altro mistero sul quale si sta indagando è la sparizione dell'ultimo gioco usato dalla piccola Ginevra: un
pupazzetto raffigurante un angelo. Che motivo aveva l'assassino per farlo scomparire?
Tito non terminò di leggere l'articolo e corse alla firma: Leyla Baroni.
Casa pri — urlò. Mai fidarsi, credevo di aver trascorso un pomeriggio piacevole ed ecco che quella troiana
mi ha fregato. Fa la giornalista, ecco perché era così interessata a quello che dicevo ed io che pensavo di invitarla a
cena. Io che la trovavo acerba come un'adolescente e facevo la figura del pirla. Cazzarola. - Papà stai urlando? —
disse sua figlia sedendosi a tavola con lui per la prima colazione. — Non ti ho mai sentito urlare. Dimentica di avermi sentito. Stavo facendo le prove per una commedia che rappresenteremo per gli anziani
della casa di riposo. Papà, non hai mai fatto questa cose. E chi è la troiana?
Cassandra. Ed ora corri a scuola o farai tardi e quando dirò tre
dimenticherai tutto quello che hai sentito. Uno, due, tre. Ciao. Bacio papi. —
***
Il maresciallo Tito Lo Bianco si precipitò a casa di Leyla col giornale del mattino in mano. Suonò il campanello. Una
sacrosanta indignazione tirava i lineamenti del suo volto e ne agitava i gesti. La porta si aprì con troppa lentezza per
il suo umore furibondo, tanto che l'afferrò e aiutò Paperi uni della stessa con la sua mano, ma quando si ritrovò
faccia a faccia con Cofina, si vergognò del suo gesto. — Mi scusi signora, buongiorno signora Baroni. Mi perdoni, se
posso vorrei parlare con sua figlia. Mi spiace maresciallo, ma al momento Leyla non è in casa. È andata a fare jogging nel parco. Se lo
desidera posso farle telefonare quando torna. No grazie, non era importante. Buongiorno signora. Si girò e si diresse a tutta velocità verso il parco.
La riconobbe da lontano, di spalle, la tuta grigia bordata d'azzurro e quell'indomabile chioma rossa legata a coda di
cavallo che dondolava col ritmo della corsa.
La raggiunse col passo della carica in guerra, le mise una mano sulla spalla, lei si girò, i suoi occhi azzurri
indagarono guardando dritti negli occhi del maresciallo, a lui venne voglia di baciarla.
Si ritrasse, cercò di darsi un contegno, poi disse: — Signorina, credo che là deontologia professionale preveda che
chi intervista debba prima presentarsi per quello che è e non estorcere confidenze facendosi credere un'altra
persona.
Maresciallo, forse ha ragione per la prima parte del discorso, dico forse perché cottili! u ue lei sapeva il mio
nome, non mi sono spacciata per un'altra persona. Oh, sì invece. Credevo di ammirare una farfalla e invece sono stato preso nella ragnatela di un ragno. Ma lei non è mio sprovveduto, non dovrebbe cadere nelle trappole, ammesso e non concesso che le sia
stata tesa una trappola. Lui non resistette più, la prese per le spalle, si avvicinò pericolosamente alle sue labbra,
quasi le sfiorò, ma poi disse: — Gliela farò chiudere io la bocca. La smetta di scrivere su di me e sulle indagini o la
denuncerò all'ordine dei giornalisti per raggiro. — e se ne andò, prima di baciarla veramente.
***
Fidenza, 22 febbraio 2011
TITOLO BIANCO
e in bianco pure l'articolo. Infatti le indagini del maresciallo Tito Lo Bianco procedono con assoluta
segretezza, tanto da far pensare che non procedano affatto.
Si meriterebbe un articolo come questo pensò Leyla, così imparerebbe a rispettarmi. È fortunato perché io sono una
professionista e non mischierei mai la mia vita privata col lavoro.
Ma cosa sto dicendo? Quale vita privata? Io non ho una vita mia, ho solo la professione che ho rubato a mio padre,
l'unica cosa di famiglia che mi sono tenuta, questo gene che mi fa scrivere e indignare per i mali del mondo.
Questione di cromosomi, già mentre mio fratello ne ha preso uno in più di me e per questo ha avuto diritto ai miei
genitori.
Ma chi se ne frega, ancora un altro articolo e me ne vado e allora, addio maresciallo, mamma e Fidenza, ritornerete
a far parte del prima, di una parte di realtà che non mi tocca, che quasi non esiste. Però sentiva un malessere simile
a malinconia che andava cre- scendo. Cosa le mancava? Cominciò a girare come un'anima in pena per la casa. Si
ripeteva sono stata brava a trattarlo così. Ora scrivo un altro articolo e vedrà come lo sistemo, ma allora perché non
era soddisfatta?
Anche il maresciallo Tito si aggirava in caserma come un'anima in pena, quella ragazza lo faceva uscire di senno,
era insopportabile e terribilmente sexy, il suoi impulsi oscillavano dalla voglia di strozzarla alla voglia di baciarla.
Tornò a casa di malumore e dormì poco e male.
***
Il maresciallo Tito Lo Bianco si imbatté in ufficio col colonnello Delendati e questa volta non riuscì a trattenersi: —
Colonnello veramente è convinto che la madre sia colpevole? È talmente fragile che potrebbe più facilmente essere
una suicida che un'assassina, anche la perizia psichiatrica si limita a definirla debole e incapace. Maresciallo lei è un ingenuo. Pensa veramente che io creda alle perizie psichiatriche? No! Non ci credo e
non credo neppure alla confessione della madre. Ma, allora ...? Eh, maresciallo, lei è ancora giovane! Senza offesa, ma non ha ancora la mia esperienza. Non capisco. Le spiego. Dunque, la madre ha ucciso la figlia. Può anche essere che tema che prima o poi un testimone
che fin'ora ha taciuto, parli. Potrebbe essere un vicino di casa o forse il marito stesso. Ma se ha confessato, anche se è innocente, se non vede l'ora di essere accusata per essere punita di
essere nata. Attento, maresciallo! Lei potrebbe essere scoperta da un momento all'altro. L'unico modo per far tacere il
testimone è parlare per prima. Così confessa, in questo modo non c'è bisogno che chi sa si faccia avanti.
Se il testimone è il marito può preferire di non parlare per non infierire sulla moglie, se è un estraneo può ritenere
inutile farsi coinvolgere se la verità è già emersa. Quindi lei confessa, tutti tacciono. Ma è una confessione che serve
solo a discolparla, fa acqua da tutte le parti. Si dipinge come una vittima, fa scordare la vicenda della povera figlia e
si mette lei come martire al centro della vicenda. Punitemi implora, tutti si impietosiscono, come ha fatto lei
maresciallo, perfino i possibili testimoni non sono più sicuri di quello che hanno visto e comunque, pensano: povera
donna, ha già sofferto tanto. Intanto il tempo passa e i ricordi si fanno più confusi e poi come spiegare il motivo per
cui non hanno parlato prima? Mi capisce maresciallo? La signora Ronconi, piange, confessa: se dite che sono stata
io, allora è così. Automaticamente per lei maresciallo la madre diventa innocente. Se mi permette, lei troppo
sensibile al fascino delle donne. Prenda una visione più ampia delle vicenda. Il maresciallo Tito Lo Bianco si sentì come deve sentirsi un cuscino sprimacciato e una federa rivoltata. Poteva
essere, certo poteva proprio essere questa la verità.
Ci sono donne che si convincono tanto delle loro falsità da crederle reali.
Per alcuni esseri è più facile mentire che dire la verità, perché la verità scopre, mentre la menzogna è una coperta
che protegge. Cosa si sapeva di questa donna oltre a quello che lei aveva voluto farci sapere?
***
Brigadiere! - chiamò Lo Bianco
Comandi maresciallo. - rispose Brambilla rovesciandosi addosso il caffè che stava bevendo.
Ma che ha fatto? Guardi in che stato si è ridotto. Ora mi pulisco. Mi dica maresciallo. Puzza come una torrefazione, rende nervosi solo ad annusarla. Quante storie, pensò Brambilla, si
decidesse a dirmi cosa vuole. Deve aver preso una strigliata dal colonnello, ecco forse è così e adesso è il mio
turno, su qualcuno bisogna pur rivalersi. Allora, mi ascolta? Certo, maresciallo, sono qui, dica. Deve scoprire tutto quello che riesce sulla vita della signora Ronconi. Ha capito, brigadiere? E non intendo
cose pietose del tipo hanno abusato di lei, ha capito? No maresciallo, forse lei sa già cosa devo scoprire? Se me lo dice facciamo prima. - Ma cosa dice, brigadiere, se lo sapessi non starei qui a parlare con lei. Vada, per favore vada. Vada, vada, finisce sempre così ogni ordine che impartisce. Prima mi chiama e poi mi caccia, altro che iceberg
ultimamente sembra un usciere, pensò il brigadiere Brambilla e poi con fare perentorio chiamò:
Loiacono! Venga, usciamo per un'indagine. Alla fine però si stupì di quello che aveva scoperto.
***
Il Maresciallo Tito Lo Bianco cominciò a leggere il rapporto che il brigadiere Brambilla gli aveva consegnato.
INDAGINE SULLA SIGNORA BARBARA FERRARI IN RONCONI
Nata a Fiorenzuola d'Arda il 05.11.1969.
Frequenta il liceo a Fiorenzuola e poi prende il dottorato a Pavia. Si sposa a 30 anni. La bambina nasce quando la
mamma ha già 40 anni.
Il maresciallo lesse con impazienza questi dati che già conosceva e proseguì a scorrere il foglio.
All'età di 18 anni frequenta un certo Alinovi Samuele che verrà poi arrestato per incitamento alla prostituzione. La
sera del 09.08.1987, il comando dei carabinieri di Piacenza riceve una chiamata per schiamazzi notturni in un
appartamento del centro. Intervengono e scoprono un'orgia alla quale partecipano 6 persone, fra cui Barbara,
mentre altre quattro persone ubriache incitano agli accoppiamenti.
Un anno dopo Barbara frequenta un gruppo di tossicodipendenti, è segnalata dalla polizia come sospetta tossica,
ma non è mai stata fermata per spaccio, al riguardo non risulta niente altro. Prosegue comunque gli studi con
successo.
A 23 anni conosce Michele, cambia completamente stile di vita. Il marito è all'oscuro di tutto quello che riguarda il
passato burrascoso della moglie, che comunque da quando è sposata risulta esclusivamente dedita alla famiglia.
21 febbraio 2011 — Brigadiere Mario Brambilla
—
Nessuno è mai completamente come sembra. — disse Lo Bianco
—
Bene brigadiere ha fatto un ottimo lavoro. Mi dica lei ora cosa ne pensa? Non so maresciallo, mi sembrano due persone diverse, quella che è scritta qui e quella che piange per la
morte della bambina. Già non ci sono due persone più diverse della stessa persona colta in due momenti diversi della vita. La
stessa persona può essere vittima o carnefice, prostituta e poi santa, pensi a San Agostino... Santo Agostino? Non riesco proprio a pensarci maresciallo. e chi è questo santo che non ho mai sentito
nominare? meditò Brambilla, non sarà molto importante se è la prima volta che sento il suo nome. Decise che non
era il caso di approfondire.
***
Quando il maresciallo Tito Lo Bianco ripensava alla sua infanzia vedeva le cose dal basso in alto, infatti lui era
l'ultimo di dodici figli, il più piccolo. La madre era un donnone resa forte dai chili delle gravidanze mai completamente
smaltiti. Suo padre era un contadino, spesso dormiva nei campi, perché il viaggio con l'asina per ritornare in una
casa piena di figli rumorosi era più scomodo che una notte all'addiaccio sotto le stelle.
Nessuno si curava particolarmente di Tito, oramai tutti erano abituati al ritmo di vita, alle nascite, alla crescita dei
neonati, all'angelo custode che si prendeva cura di tutti i bambini, per cui non era necessario badare troppo a lui.
E l'Angelo custode proteggeva veramente Tito che ogni giorno si gettava a capofitto in giochi pericolosi e se la
cavava con pochi graffi o qualcosa di appena più grave, ma mai tanto importante da attirare l'attenzione dei familiari.
Crescendo aveva mantenuto questo spirito temerario, si era appassionato alla storia, ai libri polizieschi e alla
giustizia, avrebbe voluto laurearsi in legge, ma c'erano troppi figli prima di lui, per qualsiasi cosa lui era arrivato
dopo, troppo tardi. Il primo giorno di scuola, il primo dentino caduto, la prima comunione non erano mai il "primo",
ma il dodicesimo e ormai tutto l'entusiasmo degli altri era scemato, lui viveva solo.
Così quando si arruolò nell'Arma dei Carabinieri e quando iniziarono i trasferimenti non fu doloroso separarsi dalla
famiglia, tanto si era sempre sentito bastante a se stesso.
Poi a 22 anni aveva conosciuto Claudia e si erano sposati dopo appena tre mesi. Avevano capito subito di essere
fatti l'uno per l'altra, la gioia pura li univa e ne faceva una copia bellissima e felice. Dopo pochi anni era arrivata
Giuditta, una bimba dolcissima con gli occhi verdi e i capelli neri, come il padre.
A sei armi Giuditta aveva perso la madre per un tumore maligno e Tito si era impegnato al massimo sia per
assistere la moglie sia per prendersi cura della bambina. Avevano condiviso la quotidianità lui e la figlia nel loro
isolamento, pur rimpiangendo ogni giorno la moglie. Tito pensava che si sentiva più solo nella famiglia d'origine che
in questa composta unicamente da lui e Giuditta. L'aveva fatta crescere e aveva gioito con lei per ogni conquista,
era fiero di come si era condotto e temeva di rovinare tutto innamorandosi di una donna, che sarebbe diventata una
matrigna.
Quando qualcuna lo affascinava particolarmente, e capitava spesso, chiariva subito che tutto sarebbe finito nell'arco
di una notte. Temeva di lasciarci il cuore in quei rapporti, ma non poteva rischiare di far soffrire sua figlia e d'altronde
era troppo sollecitato dall'altro sesso per lasciar perdere.
***
—
E questa che ci fa qui? — chiese Corina trovando la custodia della cinepresa sotto il letto di Davide.
—
Io non sono stato. — rispose Davide.
Leyla che stava spolverando disse: — Ma è la cinepresa di papà. Fammi vedere mamma. L'accese. — C'è un film registrato, guardiamo. No, no non l'ho rotto. — disse Davide.
—
Non è rotta. Ora la facciamo funzionare, la collego al computer e vediamo il filmato. - Sì, sì, anche papà mi
faceva sempre vedere e mi insegnava. Lo so a te non è mai mancato niente. Cosa vuoi dire? — chiese Corina.
—
Voglio dire che lui ha avuto i genitori, io sono sempre stata sola. Ma sei stata tu che hai voluto andartene, prima hai chiesto di andare in collegio, poi di fare la corrispondente
dall'estero e... - Sì, ma voi mi avete lasciato andare... — e pianse.
—
Tu, tu hai voluto andare, credevamo che non sopportassi tuo fratello, che ti vergognassi, pensavamo che
volessi rinnegare tutta la tua famiglia. Tuo padre parlava di te ogni sera, eri la sua speranza, eri il suo frutto più bello,
potevi realizzare tutte le tue aspirazioni e facendolo avresti realizzato le nostre, tu eri la concretizzazione della vita
come dovrebbe essere: sana, perfetta, proba. Ma io volevo restare e voi non mi avete fermata. Ho chiesto di andarmene per sentirmi dire che mi volevate
vicino, che mi amavate quanto volevate bene a Davide, invece mi avete lasciata andare... Oh, Leyla, ti abbiamo sempre amato, ci sei sempre mancata. Non puoi neppure immaginare quanti pianti ci
siamo fatti io e tuo padre ogni volta che ti cercavamo e tu ci respingevi. Mamma, anch'io piangevo, mi mancavate tanto e non sapevo dirvelo. Mi costringevo a bastare a me stessa,
ma avevo bisogno di voi. Mamma, ti voglio bene. Anch'io tanto, tanto, per sempre. — confermò Corina, piangendo.
—
Anch'io ti voglio bene. — asserì Davide e le lacrime delle due donne si trasformarono in un sorriso e in un
abbraccio a tre.
***
—
Ma avete notato come è cambiato il maresciallo Tito Lo bianco? — chiese il brigadiere Brambilla ai suoi
colleghi di turno.
—
Sembra meno controllato. —
—
Secondo me è colpa del colonnello che lo manda in bestia.
—
disse Loiacono.
—
Non è solo questo — sentenziò Ferrari — stamattina è arrivato profumato, per me: il faut chercher la femme.
Intanto Tito uscì dal suo ufficio. Pensò di andare a chiedere qualche altra informazione alla signora Corina Baroni. In
realtà voleva rivedere Leyla, anche se non l'ammetteva neppure con se stesso. Dopo che l'aveva biasimata per il
suo comportamento, non si erano più né visti, né sentiti e lui era agitatissimo. Voleva calmarsi, desiderava avere un
chiarimento, una riappacificazione, ma ogni volta che vedeva Leyla lei lo stuzzicava e lui reagiva come non avrebbe
voluto.
Si presentò col suo aspetto migliore, uniforme pulita, capelli lavati, barba accuratamente rasata, leggero profumo e
suonò il campanello.
Venne ad aprire Leyla, gli occhi arrossati come pure la punta del naso — Buongiorno Maresciallo, mi scusi per
l'articolo, non l'importunerò più, mi creda. Era preparato a tutto, ma non a questo. Si era imposto che sarebbe rimasto calmo, qualsiasi cosa lei gli avesse
detto, ma questa Leyla remissiva era una sconosciuta, pure sentiva forte il bisogno di stringerla a sé e rassicurarla.
—
Leyla, io non sono mai stato importunato da lei, da te, anzi vorrei invitarti a cena, se ti va. Lei alzò il viso per guardarlo negli occhi. Incredibile, aveva appena scoperto l'amore che sua madre provava per lei e
ora scopriva che Tito non la detestava, anzi per un attimo le sembrò che stesse per baciarla.
—
Passo a prenderti stasera alle 9, se ti va. — proseguì prima che qualcosa intervenisse a guastare il
momento magico.
—
Sì, ti aspetterò — rispose Leyla.
***
La cena era stata raffinata e leggera, il vino pregiato, il servizio degno del locale elegante. Leyla si era sentita
coccolata e apprezzata da Tito. Si erano raccontati tutte le cose di sé che avevano custodito gelosamente per anni
nei loro animi. Si alzarono. Tito voleva riaccompagnarla a casa e dimostrarle il suo rispetto salutandola sulla soglia,
ma una volta giunti lì, la baciò. Fu un bacio breve, si staccò per guardarla negli occhi. Lei sembrava agganciata al
suo sguardo, lui la baciò ancora, questa volta fu un bacio lungo, possessivo, appassionato, Leyla ebbe un piccolo
abbandono, si sentiva sciogliere tutta, il tempo e i pensieri scomparirono nell'infinito. Si sdraiarono sul sofà della
veranda e, incuranti del freddo e delle scomodità, si amarono. Lui entrò in lei delicatamente, guardandola negli
occhi, lei si aprì come cera molle, ciascuno scopriva nell'altra quello che aveva sempre desiderato, lo scopo della
vita: il paradiso in terra. Onde di piacere salirono alla superficie, avvolsero i sensi, li percorsero, fecero dei loro corpi
un unico essere, una vibrazione divina, un'estasi. Si guardarono felici e si scambiarono una promessa muta: era per
sempre. Lo sapevano entrambi, si erano riconosciuti come predestinati da un disegno del fato che esisteva da
sempre. Non vi era nessun dubbio, nessun discorso da fare, loro erano tutt'uno.
***
La mattina dopo Leyla era felice e come capita a chi è innamorato di una persona, amava l'universo intero,
compreso Davide. Fu così che ricordò quanto si fosse preoccupato per aver rotto la cinepresa del padre.
—
Davide vieni, guardiamo il film che hai fatto con la cinepresa di papà. La colleghiamo al computer, vedi non
l'hai rotta. Non l'ho rotta. No, ecco questo è un pettirosso, un po' sfocato, ma ... —
***
Leyla telefonò a Tito: — Devi venire immediatamente è importante. —
Lui si era precipitato subito, il cuore in gola. Temeva già di perderla. Lei non aveva spiegato niente e lui voleva
sapere di persona, se era una cosa grave, voleva essere lì accanto a lei mentre ascoltava la notizia, non distante.
Suonò il campanello, lei aprì con un sorriso smagliante e lui si sentì passare un balsamo sul cuore. Quanto era
bella, pensò. Si baciarono con la gioia di ritrovarsi e con l'impellenza dell'istinto sempre così rapido ad avvicinare i
corpi degli amanti, più veloce del pensiero, una forza di attrazione pari alla calamita col ferro. — Entra, devo
mostrarti una cosa importante. — disse Leyla e mise in moto una cinepresa collegata al computer.
Beatrice Marossa è nata a Busseto, il 16 febbraio 1957,
dove attualmente lavora presso gli uffici comunali in qualità di istruttore di polizia amministrativa e commercio.
È sposata, vive a Fidenza e ha un cagnolino barboncino che adora.
Ama viaggiare per conoscere posti, cibi, popoli e idee nuove.
I suoi interessi: la fotografia, la lettura, il teatro, le mostre d'arte,
l'invenzione della vita ad ogni istante.
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