La questione dell`età pensionabile delle donne
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La questione dell`età pensionabile delle donne
La questione dell’età pensionabile delle donne nel pubblico impiego per UGL - Marina Porro In seguito alla sentenza della Corte di Giustizia UE1 sulla pari età pensionabile fra uomini e donne nel comparto pubblico, e sottolineo pubblico, è scaturito un importante dibattito sull’allungamento dell’età lavorativa delle donne. Dopo quanto espresso in modo esauriente dall’esame giuridico espresso dal Professor Mario Patrono, possono essere tratte alcune considerazioni: L’UE ci ha dato molte altre indicazioni su vari argomenti, che, però, il nostro Paese non ha voluto prendere in considerazione, per lo meno non nell'interezza, e che oggi ci hanno portato alla situazione di difficoltà economica e sociale che conosciamo. Abbiamo avuto delle indicazioni per raggiungere gli obiettivi di Lisbona, ossia un aumento dell'occupazione generale ed in particolare di quella femminile, mediante riforme che dovevano sostanzialmente lavorare su due filoni; da un lato flessibilizzare il mercato del lavoro e quindi inserire nuove tipologie contrattuali che potessero essere più facilmente utilizzabili dalle aziende, ma, nello stesso tempo, si doveva rimodulare o riscrivere un sistema di welfare che prevedesse anche un nuovo sistema di ammortizzatori sociali. Tuttavia di questi due filoni di intervento individuati dall’Europa se ne è realizzato solo uno, quello relativo alle nuove tipologie contrattuali, mentre l’altro, il nuovo welfare, è sempre, in qualche modo, andato in maniera più lenta o in qualche caso addirittura non è stato minimamente affrontato, poiché, contrariamente al primo, comportava un costo. E quindi ci siamo trovati con una massa di lavoratori, specialmente donne, che è entrata nel mercato del lavoro, impiegata attraverso le nuove forme contrattuali, cosiddette flessibili, ma che poi, molto spesso, si sono tradotte in forme precarie, proprio perché non sono state sostenute da un sistema di welfare e tanto meno di ammortizzatori sociali. I più danneggiati sono stati soprattutto i giovani e – quindi – le donne giovani. Quindi se occorre ascoltare l’Europa, occorre farlo anche quando essa indica di investire nel welfare. In merito all’allungamento dell’età lavorativa delle donne, il fatto di aumentare l'età pensionabile delle donne non è un tabu, se ne può discutere, ma tenendo conto di tutti i fattori in campo. Si debbono tenere in considerazione tutte le tipologie di lavoratrici, impiegate ed operaie, donne che fanno lavori più o meno gravosi, lavoratrici che spesso sono anche madri, o che si occupano di parenti bisognosi di cure. Bisogna considerare tutte queste situazioni quando si parla di età pensionabile delle donne, in un paese, come l’Italia, in cui l’onere dei compiti di cura è retto sostanzialmente solo dalle donne e nel quale i servizi di assistenza all’infanzia, all’adolescenza, ai non autosufficienti giovani e non, ed alla famiglia sono estremamente carenti. Inoltre, quando parliamo dell'età pensionabile delle donne, occorre partire da una 1 Sentenza del 13/11/2008 causa C-46/07 del 13 novembre scorso, con cui la Corte di Giustizia Europea ha condannato l'Italia. semplice considerazione: è vero, noi donne siamo uguali agli uomini, forse oggi siamo anche più brave, però abbiamo una diversità fondamentale rispetto agli uomini che in qualche modo lo Stato deve valorizzare: la maternità. Essa infatti non è solo un fatto privato, ma anche sociale, poiché è fondamentale per la stessa tenuta demografica del Paese. Un fatto al quale la donna, fino a prova contraria, dà un contributo sicuramente ineguagliabile. Proprio per questo già da tempo l’UGL ha avanzato una proposta: riconoscere alle donne che hanno dei figli un bonus in termini previdenziali, in modo che, giunte all’età pensionabile, possano usufruire del bonus per andare in pensione prima o, invece, in alternativa, possano utilizzarlo andando in pensione più tardi per avere un riconoscimento economico maggiore, andando così verso una maggiore la libertà di scelta e verso il riconoscimento concreto del contributo che la donna, attraverso la maternità, dà al Paese. In questo modo non si darebbe un bonus indiscriminato a tutte le donne in quanto tali, ma si riconoscerebbe concretamente il contributo importante, specie in un Paese dove non si fanno figli, che le lavoratrici madri danno, rimettendoci qualcosa anche in termini fisici. Se si introducesse il bonus previdenziale legato alla maternità, credo che troveremmo una maggiore disponibilità, anche da parte delle donne, a guardare in futuro ad un aumento dell'età pensionabile, che, comunque, per la UGL deve essere solo realizzato su base volontaria per le donne che abbiano la condizione e l’interesse per prolungare la permanenza nel proprio posto di lavoro, fermo restando che – a nostro parere – sarebbe opportuno, se proprio si deve, ripristinare la flessibilità dell’età pensionabile sia per le donne che per gli uomini, in modo tale da salvaguardare quanto richiesto della sentenza che parla di pari opportunità. Inoltre c’è un altro elemento che la UGL considera prioritario nell’ambito della questione della piena inclusione femminile nella società e nel mercato del lavoro: l’inserimento della maternità nella fiscalità generale. Una “rivoluzione” che avrebbe sicuramente un costo, ma avrebbe anche un significato importantissimo, perchè sarebbe lo Stato e non l'impresa a riconoscere, anche in termini fiscali, il valore sociale della maternità. Invece non possiamo certo affrontare la questione chiedendo alle donne di andare in pensione più tardi, offrendo in contraccambio di utilizzare le risorse che così si risparmierebbero per realizzare più asili nido. Questa è un’argomentazione poco convincente per la UGL. Riforme delle pensioni, infatti, ne sono state fatte tante, elevando l'età pensionabile non soltanto delle donne ma anche degli uomini, ed i risparmi che si sono ottenuti sono stati maggiori rispetto a quelli previsti con l’eventuale allungamento dell’età lavorativa delle donne nel pubblico impiego, ma quei reinvestimenti in quegli specifici settori nei quali era stato promesso che ci sarebbero stati degli interventi non ci sono stati. Occorre, inoltre, ricordare che troppo spesso, quando si parla di servizi per le donne e per le famiglie, ci si limita ad esaminare la questione, importante ma non certo esaustiva, dei nido per la prima infanzia. Le famiglie necessitano di molti altri servizi, oltre ai nidI per la prima infanzia, per poter affrontare serenamente le richieste, sempre più pressanti, del mercato del lavoro: dall’organizzazione dei tempi della città (orari degli uffici pubblici, delle scuole e degli esercizi commerciali, servizi di trasporto), ai servizi di assistenza all’infanzia ed all’adolescenza, dal sostegno per i non autosufficienti, giovani e non, al supporto per contrastare le devianze. Tutti elementi necessari al fine di sostenere le famiglie e per favorire concretamente l’occupazione femminile ed al fine di rendere le donne pronte e disponibili a dedicare più tempo al lavoro. Nel complesso la possibilità di uscire prima dal mercato del lavoro nel nostro Paese è uno dei pochi riconoscimenti concessi alle donne, data la difficoltà di occuparsi contemporaneamente del lavoro e degli aspetti familiari, una delle poche “discriminazioni positive” rispetto alle, moltissime, discriminazioni negative. Il nostro Paese si deve necessariamente occupare di risolvere queste ultime prima di poter pensare di eliminare le prime, altrimenti sarà ancora maggiore l’esclusione sociale femminile. Molti dati attestano l’arretratezza italiana nel tema delle pari opportunità, fra questi il recente Rapporto sul divario di genere nel 2008 del World Economic Forum (presentato lo scorso dicembre) su 130 paesi, che rappresentano il 90% della popolazione mondiale, ha, ad esempio collocato l’Italia al 67° posto (con un miglioramento rispetto al 2007), con un dato negativo particolare proprio relativo alla vita economica ed al lavoro, settore nel quale l’Italia si è classificata 85ª. Questa classifica, come molte altre riguardanti le donne - sull’occupazione femminile, la rappresentanza nei luoghi decisionali (istituzioni, partiti, consigli d’amministrazione, ecc.), il tasso di povertà etc. – offre una eloquente dimostrazione del fatto che il nostro Paese ha ancora moltissime lacune da colmare nei confronti delle donne.