Il mio impegno corre lungo il sentiero di un pensiero ricorrent

Transcript

Il mio impegno corre lungo il sentiero di un pensiero ricorrent
IX FORUM
PICCOLA INDUSTRIA
IL FUTURO NEL FARE
PER UNA POLITICA DEI PROGETTI E DEI TEMPI
Intervento di apertura della II giornata
della Presidente
del Comitato Strategico UIR Femminile Plurale
dell’Unione degli Industriali e delle imprese di Roma
Ing. Monica Lucarelli
Caserta, 26-27 ottobre 2007
Hotel Crowne Plaza, viale delle Industrie
“quando tutto si fa piccolo le donne restano grandi”. Victor Hugo
Il mio impegno corre lungo il tracciato di un pensiero ricorrente, comune a molte di
noi: in quale punto si trovano le donne nel loro viaggio storico verso l’evoluzione del
proprio ruolo e verso il potere condiviso? Uno sguardo a quanto ci circonda
disorienta per gli estremi che si riscontrano.
In occasione dell’ultima Mostra del Cinema di Venezia i quotidiani hanno constatato
i pochi ruoli femminili, la quasi totale assenza di registe donne e le pellicole ad alto
tasso di violenza, come il film vincitore del Leone d’Oro [“Lust, Caution” di Ang
Lee]. La Festa del Cinema di Roma, al contrario, ha presentato il progetto triennale
“Le storie del cinema per le Pari Opportunità”, con 21 film che affrontano i temi dei
diritti sociali delle donne e dei bambini.
L’Herald Tribune commenta l’appoggio che Oprah Winfrey, la più nota anchor
woman americana, ha offerto a Barack Obama per la candidatura democratica negli
Stati Uniti, mettendo in ombra Hillary Clinton. Un esempio di rete debole fra donne
di grande potere, al di là dell’Atlantico.
Sullo stesso quotidiano risalta anche il dettagliato ricordo di Anita Roddick,
l’imprenditrice figlia di immigrati italiani da poco scomparsa che, dal nulla, ha creato
la catena di negozi Bodyshop, ceduta poi all’Oréal per 650 milioni di sterline.
E ancora, a fronte dei significativi esempi di presenze femminili ai vertici di aziende
e istituzioni che operano nel mondo dell’economia e della finanza, assistiamo al
moltiplicarsi degli episodi di violenza verso le donne: in Italia, nei primi sei mesi del
2007, oltre 12.000 casi, con più di 60 omicidi; l’omicidio in famiglia ha superato nel
2005 il numero di assassini della criminalità organizzata.
Lo stesso Consiglio Europeo ha da tempo sottolineato che questo tipo di violenza è il
più grave problema strutturale della nostra società, poiché si basa sull’ineguale
distribuzione del potere nelle relazioni fra uomini e donne.
Come si fa a conciliare estremi così stridenti della condizione femminile?
La prima opzione non può prescindere dall’analisi della vita di tutti i giorni, per
reimpostare i rapporti fra donne e uomini sotto il segno del rispetto reciproco e della
reale condivisione di diritti e doveri.
La partecipazione delle donne al mercato del lavoro, all’economia e alla società,
cresce da quarant’anni con un ritmo tenace e rappresenta ogni decennio di più una
delle basi su cui si costruisce la sopravvivenza e la continuità del modello di sviluppo
degli Stati europei.
2
Questo processo comporta l’elaborazione di un nuovo contratto di genere, che non si
limiti a considerare la parità come un “affare di donne”, ma che riconosca i bisogni
espressi dalla componente femminile.
In Italia il mondo del lavoro resta organizzato sul modello lavoratrice/lavoratore
senza impegni familiari ed il nostro welfare poggia ancora sul «modello Ford»,
progettato intorno alla grande impresa e sul lavoratore maschio.
Una scarsa rete di servizi alla famiglia, dagli asili nido fino alle strutture per gli
anziani, si unisce visibilmente a tale contesto, poiché invisibilmente il ruolo della
donna si associa sempre a quello di cura dei suoi cari.
A questo si contrappone quello che gli studiosi hanno definito «modello Lego», un
nuovo approccio di welfare – seguito già da tempo da diversi Paesi europei – che
mette al centro le persone sostenendo la società nel suo complesso. Ispirandosi alla
filosofia della nota casa di giocattoli danese, il modello Lego sostiene i bisogni di
tutto il ciclo di vita degli individui e attribuisce un ruolo fondamentale ai servizi per
l’infanzia, la scuola e la famiglia.
Nel nostro Paese, dal 1970 in poi, molte leggi, dalla tutela della maternità fino alle
azioni positive per le pari opportunità, hanno tentato di modificare il contesto
culturale, ma è mancata la capacità strategica di edificare un sistema che permetta
alle donne di dimostrare il proprio talento nel lavoro senza dover dimenticare di
essere madri, trovando nella comunità l’organizzazione necessaria per non
essere penalizzate.
Un sistema che preveda condizioni di uguaglianza, al pari degli uomini, in tutte le
fasi dei percorsi professionali, che portino a guardare al merito della “risorsa”.
Le persistenti disparità di genere ostacolano fra l’altro lo sviluppo economico poiché,
come è stato affermato dalle Nazioni Unite, “tale disuguaglianza sperpera il
capitale umano facendo un uso inefficiente delle capacità individuali”.
Fra le diversità, quella di genere resta la più spinosa da estirpare. Oggi, per superarla,
si parla sempre più spesso di empowerment e di mainstreaming.
Due vocaboli che attribuiscono alle donne responsabilità e potere, che tendono a
valorizzare le loro abilità e competenze, allontanando quelle posizioni “femministe”
che hanno contribuito in modo determinante a far emergere le difficoltà del ruolo
delle donne nel XX secolo, ma che oggi devono essere ripensate in un’ottica di
complementarità.
3
Due settimane fa, quando è stata insignita del Premio Nobel per la Letteratura ad 88
anni (e se ne parlava da 30), la scrittrice Doris Lessing ha affermato: «il
femminismo, dichiarando guerra agli uomini, ha perso un’occasione importante
per cambiare il mondo».
Doris Lessing può insegnarci molto. Può insegnarci a cogliere fin da principio
l’opportunità rappresentata dal costruire liberamente un mondo a partire dal nostro
modo di intendere la realtà.
Da quasi un secolo si è state donne il meno possibile per accedere ai “posti” degli
uomini. Scrive la filosofa francese Luce Irigaray: “La donna forse così otterrà un
posto sociale e culturale, ma spesso al prezzo di conformarsi a norme e valori che non
le sono propri”.
È arrivato dunque il momento di crescere ed imparare tutti, donne e uomini, a
convivere accettando di buon grado che l’altro non sia solo una nostra immagine
deformata ma un’altra specifica possibilità di essere. Dobbiamo crescere ed insieme a
noi possono crescere le imprese e, per questa via, il contesto economico.
Infatti, lo sviluppo di lungo periodo dell’economia e l’obiettivo delle Piccole
Imprese di una maggiore competitività si legano sempre più alla valorizzazione
delle risorse umane, e su questo presupposto la componente femminile
dell’offerta di lavoro potrà giocare un ruolo di prim’ordine.
Non è più rinviabile una strategia politica finalizzata alla costruzione di un sistema in
cui le imprese siano libere di selezionare indifferentemente risorse umane
maschili o femminili, valorizzando le specificità ed il merito delle une e delle
altre.
I numeri delle donne italiane fanno riflettere.
Assistiamo ad un continuo aumento del numero di donne occupate (+21% fra il 1997
ed il 2006, rispetto all’8% degli uomini), accompagnato da un più elevato livello di
istruzione (a 25 anni il 28% delle ragazze è laureato, a fronte del 19% dei ragazzi).
A fonte di tale positiva evoluzione, il nostro indice di fecondità è tra i più deboli nel
panorama europeo: 1,35 figli per donna nel 2006.
La riduzione delle nascite e il connesso processo di invecchiamento hanno
determinato, nel mercato del lavoro, una forte riduzione della popolazione in età
lavorativa, nel sistema di welfare, un forte impatto sulla finanza pubblica e, nel
percorso di crescita dell’economia, minori tassi di sviluppo.
Appare allora evidente che solo un disegno più coerente delle politiche a
sostegno dei carichi familiari potrebbe sciogliere le contraddizioni esistenti e
consentire uno sviluppo durevole dell’economia.
4
Noi imprenditori possiamo fare la nostra parte affinché si compiano progressi in
questo ambito. E sottolineo il nostro ruolo – come quello che da sempre ha avuto
Confindustria nel sostenere processi di riforma fondamentali per il nostro Paese,
mediante un impegno concreto e di responsabilità - perché a noi spetta, con il
supporto delle Istituzioni, sviluppare condizioni di lavoro favorevoli alla
famiglia.
L’esperienza mostra come le grandi imprese che adeguano le loro strutture a questa
esigenza dei dipendenti abbiano notevoli benefici di ritorno. Ovviamente, le piccole
imprese non dispongono di risorse paragonabili a quelle delle grandi, e spesso non
possono realizzare programmi di vasta portata. Tuttavia anche esse hanno un
potenziale da sfruttare, adottando linee flessibili, informali e non burocratiche.
Le nostre imprese hanno tutto l’interesse a intraprendere questa strada.
Una gestione aziendale che punta sulla conciliabilità tra lavoro e famiglia può trarre
innumerevoli vantaggi in termini di concorrenza:
– una più ampia ripartizione delle responsabilità e del know how diminuisce i
rischi per l’impresa;
– una maggiore motivazione dei collaboratori aumenta la produttività;
– la riduzione delle assenze e del turnover del personale consente una
diminuzione delle spese di assunzione e di inserimento;
– le misure a favore della famiglia migliorano l’attrattiva dell’azienda sul
mercato del lavoro.
Inoltre, l’assenza di formalismi e di ostacoli gerarchici, la buona conoscenza
reciproca fra il titolare e i dipendenti consentono di individuare rapidamente le
esigenze degli uni e degli altri e di sperimentare soluzioni adeguate ai singoli casi.
Molti piccoli imprenditori hanno già collaudato una conduzione aziendale in linea
con questi presupposti e non sembrano rimpiangere le proprie decisioni, ritenendole
anzi vantaggiose per la loro attività.
Avremo modo di ascoltare più tardi, nel corso della tavola rotonda su “Politica ed
Economia per le PMI”, un nostro collega imprenditore che è un brillante interprete di
questo nuovo modo di intendere la gestione aziendale.
Mi riferisco a Francesco Casoli e all’azienda Elica, la cui conduzione è stata
decisamente improntata al miglioramento della qualità della vita del personale,
attraverso un programma di iniziative a supporto delle famiglie dei dipendenti.
Un orientamento che mira ad elevare il benessere lavorativo e che alimenta sempre
più il senso dell’appartenenza all’azienda, incentivando l’impegno dei dipendenti e
coinvolgendoli nel raggiungimento di un interesse comune.
5
Alcuni anni fa, Alberto Arbasino consigliava agli intellettuali italiani, la famosa “gita
a Chiasso”: non era un invito ad imitare il Canton Ticino, ma voleva dire aprire porte
e finestre ed imparare dagli esempi e dalle buone prassi praticate in tanti Paesi non
distanti da noi.
Il modello Lego, di cui vi parlavo all’inizio, altrove già esiste.
I paesi scandinavi hanno ampiamente investito nei servizi per l’infanzia e nel
sistema dei congedi parentali, spendendo in scuola e formazione più che nel sistema
pensionistico. Sono oggi un modello di eccellenza, anche in forza dell’elevata
partecipazione delle donne al mercato del lavoro: il 71% in Svezia, il 73% in
Danimarca.
Nell’ultimo decennio Gran Bretagna ed Irlanda hanno ricalibrato i propri sistemi di
welfare verso donne e bambini; la Francia, ancor prima, ha attuato politiche familiari
fortemente legate all’obiettivo di incentivare la natalità.
Anche la Spagna, con l’approvazione nel marzo di quest’anno della Ley de igualdad,
ha introdotto misure concrete per la parità di genere. Il nuovo approccio sta ispirando
le riforme sociali in Estonia e in Slovenia.
L’Italia segna il passo.
E’ auspicabile che dal confronto europeo la Politica tragga qualche conseguenza
pragmatica, che la faccia uscire dal novero dei paesi che sulla famiglia si
impegnano in molti discorsi, ma attuano pochissime azioni di policy.
Occorre, innanzi tutto, un’attenta riflessione sul livello della spesa sociale. Nel nostro
Paese il valore pro-capite della spesa sociale arriva a quota 6.200 euro, inferiore a
quella di Paesi come il Regno Unito (7.700 euro), la Germania (7.900) e la Francia
(8.300) ed al di sotto anche della media europea, pari a 7.155 euro.
Il nostro sistema di welfare è inoltre concentrato sull’elemento previdenziale –
secondo il modello Ford – che assorbe il 61% delle risorse disponibili.
Restano davvero scarsi i fondi per la maternità e l’infanzia: la spesa pro-capite è di
276 euro, vale a dire la metà della media europea, che si colloca a 560 euro.
L’importanza di un intervento legislativo nel campo della maternità e della paternità,
del diritto alla cura ed alla formazione, e del coordinamento dei tempi delle città, si è
avvertita per lungo tempo.
Dopo un’elaborazione teorica, normativa e una mobilitazione sociale più che
decennale, il più importante risultato conseguito è la legge 53 del 2000. Tuttavia, a
distanza di sette anni dalla sua emanazione, la legge è ancora poco conosciuta e
applicata.
Nei fatti, gli obiettivi del legislatore non sono stati raggiunti.
6
L’utilizzo del congedo parentale è infatti pressoché esclusivo da parte delle
donne (il 74%, contro l’8% dei padri).
Le forme di flessibilità degli orari e dell’organizzazione del lavoro sono ancora
poco diffuse presso le imprese, nonostante le opportunità economiche e finanziarie
messe a disposizione dalla legge.
A quest’ultimo proposito, recenti indagini sullo stato d’attuazione dell’art. 9 della
Legge 53 hanno evidenziato che le criticità all’origine dello scarso successo della
norma sono soprattutto l’insufficiente informazione e le difficoltà tecnicoburocratiche nella stesura dei progetti.
Proponiamo, a tale riguardo, l’avvio di un tavolo di confronto con le Istituzioni
sull’applicazione della Legge 53, per risolvere insieme le criticità esistenti.
Sono comunque numerosi gli argomenti che andrebbero discussi tra mondo delle
imprese ed Istituzioni in tema di politiche di conciliazione, tenendo presente, tuttavia,
che l’obiettivo deve essere quello di intervenire a monte del problema, incidendo
sulle rappresentazioni sociali della maternità e dei ruoli familiari, e indirizzando
la cultura aziendale ad una maggiore flessibilità per le esigenze di genere.
Un timido segnale proviene dal Protocollo sul Welfare, che prevede interventi mirati a
incentivare i regimi d’orario legati alla necessità di conciliare lavoro e vita familiare,
nonché il rafforzamento dei servizi per l’infanzia e per gli anziani non autosufficienti.
Certamente non si tratta di una risposta esaustiva da parte delle Istituzioni, ma ciò
nonostante leggibile e interpretabile come un cambiamento di tendenza nelle
politiche del nostro Paese.
Per sollecitare, partendo dal nostro territorio, una società dove le politiche per la
famiglia non siano imbavagliate dalla retorica, ma si nutrano sempre più di una
cultura condivisa, è nato UIR Femminile Plurale, Comitato Strategico
dell’Unione degli Industriali e delle imprese di Roma.
A sette anni dalla sua costituzione, il nostro impegno è sempre più determinato verso
la promozione di nuovi modelli organizzativi mirati alla gestione innovativa delle
risorse umane, individuata come opportunità per incrementare la competitività
delle imprese.
È in questo senso che riteniamo fondamentale valorizzare e sostenere le risorse
femminili e creare una rete di servizi dove la parola “cura” diventi sinonimo di
intelligenza domestica, vale a dire di un modello di lavoro che si gioca tanto in
azienda quanto in casa e in famiglia.
Ma per procedere in questa direzione, è fondamentale stabilire un rapporto
costante con le Istituzioni locali.
7
L’opportunità è quella di farsi interlocutrici proattive con proposte operative ed
efficaci, che offrano indicazioni per un progetto di welfare locale attento alla famiglia
e che trasferiscano la cultura della parità moltiplicando la rete fra imprese: sono
questi i binari lungo i quali si snoda il percorso che desideriamo portare avanti.
“Allargare la rete” è una delle azioni fondamentali per promuovere l’eccellenza
donna verso un reale cambiamento culturale.
È quanto abbiamo fatto con l’istituzione del Comitato AIB Femminile Plurale, il 31
maggio 2007, presso l’Associazione Industriale Bresciana e continueremo a fare con
altre realtà aderenti al sistema, a partire da Confindustria Caserta e da Assolombarda,
che hanno appena costituito il loro “Femminile Plurale”.
L’obiettivo è non soltanto di incidere sul trasferimento della cultura delle pari
opportunità, ma di divenire partner delle Istituzioni nella nuova determinazione di
politiche economiche, sociali, territoriali dove donne e uomini condividano ogni
giorno di più - davvero insieme - pratiche di governo e di “rigoverno”.
La nuova partecipazione femminile al mercato dell’impresa e del lavoro, i nuovi
modi di essere e di fare “famiglia”, le difficoltà del nostro sistema di welfare, sono
tutti temi che non possono attendere a lungo risposte adeguate di policy.
Attraverso l’azione di Femminile Plurale intendiamo allora sollecitare concretamente
queste risposte, partendo dal nostro territorio, evidenziando il nuovo trade-off che
esiste nella divisione delle responsabilità fra Istituzioni, mercato e famiglia nella
determinazione di politiche di successo.
Il cambiamento culturale deve partire proprio dalle donne imprenditrici e manager.
Siamo noi a doverci impegnare su questi temi così importanti per l’avvenire della
società, in quanto portatrici di una nuova linea di pensiero, di una nuova cultura della
parità e di un nuovo modo di agire.
Non servirà cercare di prendere la parola ed il ruolo con o senza quote, con i bollini
rosa, con le certificazioni, in politica, nei consigli di amministrazione, in piazza, in
televisione, se le donne dovranno continuare a parlare in una lingua che non è la loro,
dire cose che non le somigliano e permanere, seppure con maggiori responsabilità, in
un esilio faticoso e dissimulato.
Non servirà neppure basarsi soltanto sulla propria differenza collettiva per costruire il
valore aggiunto che le donne potranno portare nella dialettica economica e politica.
Semmai {usando un gioco di parole} sarà sempre più la differenza individuale –
questa sì da scoprire, difendere, coltivare e considerare – a fare la vera
differenza, se verrà lasciata libera di crescere il più possibile al di là degli
stereotipi di genere vecchi e nuovi.
8