La glaciale fotografia (nonostante sia la lampada
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La glaciale fotografia (nonostante sia la lampada
Scheda filmica e didattica di Giancarlo Visitilli (ogni diritto è riservato) Gomorra (Italia, 2008) Regia: Matteo Garrone Sceneggiatura: Maurizio Braucci, Ugo Chiti, Gianni Di Gregorio, Matteo Garrone, Massimo Gaudioso, Roberto Saviano Scenografia: Paolo Bonfini Fotografia: Marco Onorato Interpreti: Toni Servillo, Gianfelice Imparato, Salvatore Cantalupo Genere: drammatico Durata: 135 min. Produzione: Domenico Procacci La trama Cinque vicende separate si svolgono all‟interno del quartiere napoletano di Scampia, in Campania, integralmente controllato dalla camorra. Due giovani banditi, come fossero pazzi, pretendono di svolgere la loro attività, senza rendere conto al boss che comanda a Scampia; un porta-soldi della camorra si ritrova nel mezzo della lotta intestina tra la cosca dominante e il clan degli scissionisti; un sarto di un‟azienda di abbigliamento controllata dalla camorra rischia la propria vita, lavorando clandestinamente anche per un gruppo di cinesi; un imprenditore degli smaltimenti di rifiuti tossici lavora con metodi totalmente illegali, avvelenando la stessa terra in cui vive; un adolescente inizia la sua scalata all‟interno della camorra. I temi * legalità/illegalità * periferie * camorra * omertà * devianza minorile NEL FILM… L’estetica dell’illegalità Terrificanti sono le prime sequenze*, che immediatamente, per mezzo di una fotografia* raggelante (nonostante il contrasto con l‟abbronzatura dei personaggi), dai colori desaturati e una grana dell‟immagine fortemente impastata, ruvida, che determina nello sguardo del fruitore una sensazione di feroce realismo, ci introduce nel vissuto di uomini balordi, già nelle sembianze dei loro volti e nello stile di vita, che senza ancora alcun racconto, mostra i volti della delinquenza e dell‟illegalità. Queste, quasi si vogliano fare belle, utilizzano tutto quanto è possibile per apparire con l‟abito migliore, per mistificarsi: abbronzature, manicure, gel e muscoli, messi a disposizione dell‟imminente morte, che giunge improvvisa, mostrandoci, successivamente al titolo del film (una scritta dal colore intenso su sfondo nero, come il romanzo di Roberto Saviano, da cui il film è ispirato, riuscendo a farsi complementare al testo, ovvero tradendolo con fedeltà), la stessa morte in primo piano. L‟unico raccordo*, fra ciò che era prima vivo ed ora appare sotto gli occhi privo di vita, è la musica di uno dei tanti cantanti neomelodici, che quasi sempre, nelle loro canzoni, cantano di vite di coloro che, come nel film, vivono di delinquenza, carcere, donne gravide e abbandonate, ecc. E‟ difficile, infatti, trovare uno fra questi cantanti che si discosti da certe tematiche o che riesca a cantare anche dell‟amore da un altro punto di vista che non sia quello di chi è in carcere, o comunque uomo, infedele, ecc. Anche l‟utilizzo della musica per Garrone è assolutamente personale: si tratta di un uso diegetico, poiché ogni intervento musicale presente in pellicola é ad esso strettamente connesso. Esso nasce dalle mura di Scampia, è una musica figlia delle autoradio e degli impianti dei locali di quel luogo. La stessa illegalità, che poco prima, per mezzo dei suoi uomini, ha cercato di „farsi bella‟, nonostante i tanti morti nella cabina d‟estetica, continua ad abitare per le strade: fa bene attenzione a quanti sono i minori, gli adolescenti e i bambini in strada, la maggior parte dei quali adescati da adulti per operazioni losche e di malaffare. Non ci sono bambini che giocano, che sorridono, liberi di starsene anche senza far nulla. Totò, il tredicenne, che aiuta la madre a portare la spesa a domicilio nelle case del vicinato, sogna di affiancare i grandi, quelli che girano in macchina invece che in motorino, che indossano i giubbotti antiproiettile, che contano i soldi e i loro morti. Per una buona parte della prima metà del film, noterai che il punto di vista* è sempre quello di un minore e in modo particolare quello di Totò. E‟ lui che guarda, osserva e tace: gli altri suoi coetanei in strada, chi sul motorino, lo spaccio sotto gli occhi di tutti e i tossici che come tanti affamati, dietro le inferriate, aspettano il loro „pane quotidiano‟, un panorama di case popolari ricche di cancelli e inferriate, che fanno pensare a come la gente si barrichi in casa per la paura, le ronde di altri ragazzi sui palazzi delle case, bambini che giocano in una improvvisata piscina di plastica, in giardini di cemento, le fabbricazioni che sembrano mostri, ecc. Tutto richiama alla memoria le immagini proprie del libro della Genesi e della descrizione della città peccaminosa che dà il titolo al film di Garrone. Anche se nel testo sacro non ci sono i palazzi, le armi da fuoco e la droga, tutto è indice dell‟allontanamento dell‟uomo da Dio, dal bene, dalla giustizia e dall‟ordine che regola ogni cosa. Nel romanzo di Saviano e nel film di Garrone tutto mostra tale smarrimento. Nel film, reso maggiormente attraverso un uso eccezionale del montaggio*, che intreccia gli episodi tra loro, mediante il montaggio parallelo* esasperato: i personaggi si affannano nel perseguire i loro destini di fronte ad una macchina da presa che si fa muto testimone di un esito scontato e di morte. Dal bambino che impara la logica del tradimento, a Ciro e Marco, trucidati perché volevano giocare a Scarface con le pistole rubate alla banda della zona. Neanche al giovane avvocato che lascia il lavoro di riciclaggio delle immondizie e che pure della camorra aveva conosciuto appena gli aspetti meno violenti e sanguinari, è concesso di farsi portatore di un messaggio positivo. In Gomorra non c‟è redenzione per nessuno: lo dimostrano gli arresti di questi ultimi mesi e la violenza che ancora si perpetua nelle strade di Casal di Principe, Scampia, ecc. Tutto è ciò che appare Matteo Garrone è uno dei registi italiani che è riuscito a caratterizzarsi per un suo stile di regia: ogni inquadratura* nei suoi film ha una sua precisa connotazione, sempre il suo sguardo (da regista) corrisponde al nostro (di spettatori), sulla realtà, che sempre appare in tutta la sua crudeltà, mediante i totali* o nella sua piccolezza, attraverso i primi piani* e dei fuori fuoco*, che all‟interno della storia hanno un preciso valore, soprattutto reale: di chi guarda e non riesce ad afferrare a pieno, o evita di volerci guardare chiaramente (l‟omertà). In tutto ciò è molto interessante l‟instabilità, il movimento fluttuante, angosciosamente mobile della macchina da presa*. Infatti, in modo particolare in questo film, il regista romano utilizza delle inquadrature senza speranza, dunque vere, atroci: si tratta di inquadrature che raccontano oltre la violenza e il degrado, nonché il fallimento di un intero progetto sociale, anche il senso penoso della paura individuale e l‟infinita meschinità degli esseri umani. Tant‟è che Gomorra si apre e si chiude con due sequenze disperate e speculari. Si tratta di due sentenze di morte, applicate dalla camorra ora con freddezza e precisione, ma soprattutto con il cinismo di una società ch‟è intorno, omertosa, che non osa reagire, anche perché, in un certo senso fa comodo, al modo di chi ammette che “per quarant‟anni ho servito il boss con onestà”. Può esistere l‟ingiustizia e l‟illegalità onesta? Sarebbero vere come la guerra giusta. Si tratta di ciò che in Letteratura è definito ossimoro (“il ghiaccio bollente”), ma che può esistere solo sulle pagine scritte, perché ciò che esiste in natura con tali caratteristiche è definito, appunto, l‟Anti- Stato: si tratta di quella parte di popolazione che vive in una dimensione alternativa di regole, giustizia e relative sentenze. Così avviene anche in posti molto più vicini alla tua città, da parte di giovani e meno giovani che preferiscono adeguarsi, in primo luogo per sopravvivere, nel qualunquismo, nella silente e vigliacca partecipazione a un sistema esistenziale che in Italia attraversa in maniera trasversale tutti i ceti sociali e gli ambienti professionali. Un altro punto sul quale, come attenti spettatori, dovremmo porre molta attenzione, nel caso di questo film, in modo particolare, è l‟uso del sonoro*: dal frusciare delle mazzette di denaro, alle voci che percorrono incessantemente le Vele di Scampia, ai rumori delle macchine da cucire, al lavoro tra le mani di napoletani e/o cinesi, il tappeto sonoro che accompagna il film è fondamentale per l‟assorbimento dello spettatore nello spazio che racconta. Anzi, in più scene c‟è come la sensazione di sentire davvero il puzzo di gas di una motoretta, l‟odoraccio di un locale semibuio, dove sudano decine di persone, le esalazioni tossiche di una discarica o quelle palustri di una spiaggetta, miste all‟odore di polvere da sparo. Tutto questo grazie alla perizia dell‟operatore di macchina e a quella dei tecnici del suono. Tale maestria, frutto del lavoro d‟insieme, all‟interno della „fabbrica cinematografica‟, permette al film di raccontare l‟uomo contemporaneo, immerso nell‟ambiente ch‟esso stesso s‟è costruito, ma racconta anche come l‟ambiente costruisce, a sua volta, l‟uomo che lo abita. Gomorra: da Mark Twain a Molnàr, passando per Truffaut Ti potrà sembrare strano, ma nel film Gomorra, più che nel romanzo di Saviano, ci sono molte caratteristiche dei personaggi di romanzi, i cui autori sono accennati in questo titolo: da Tom Sawyer di Twain, che come Ciro e Marco, ma anche gli altri adolescenti presenti nel film, vivono la loro vivacità, irrequietezza, chi indirizzandola nella malavita e chi, come il giovane Tom combinando sempre guai, ma riuscendo sempre e comunque a salvarsi dalle punizioni della zia Polly. Per i ragazzi di Gomorra, invece, non c‟è scampo. La loro devozione ai modelli diseducativi, compresi quelli che provengono dai film di mafia che loro guardano, si confonde con la loro stessa vita. Ad un certo punto del film, quando Marco e Ciro scoprono il nascondiglio con le armi, viene in mente l‟immagine di quando Tom e i suoi amici, nel romanzo di Twain, giocano a fare la guerra in strada e scoprono anche loro i sotterfugi per nascondersi l‟uno allo sguardo dell‟altro; ma, a differenza del gioco di Tom e compagni, quella di Marco e Ciro è l‟inizio di una guerra combattuta con le armi vere, che avrà le più pesanti conseguenze sulle loro stesse giovani vite. La scena del film, che ha maggiormente sconvolto milioni di spettatori nel mondo, quella dei due adolescenti che sparano all‟impazzata nel mare, indossando le mutande e le Nike, mette bene in mostra l‟atrocità e le conseguenze di quanto ormai i due adolescenti non siano coscienti delle gravi conseguenze di cui sono vittime. Eppure, tutto è nato quasi per gioco, per spirito di imitazione. Per questo i due sparano stando nudi, soprattutto privati del „vestito‟ della loro coscienza, sorridono e si divertono come bambini, giocando con giocattoli che sono tutt‟altro, mentre lo sguardo adulto (per mezzo della camera da presa) è addosso ai loro corpi, possente, li „osserva‟ dalle spalle, sotto un cielo livido. Inoltre, è facile accostare Gomorra ad un altro straordinario film, I quattrocento colpi, di Francois Truffaut, che ti invitiamo a guardare dopo la visione del film di Garrone, opera famosa del regista francese nell‟ambito della storia del cinema. Anche quel film raccontava della vita di un adolescente in modo particolare. In questo come in Gomorra ci sono molti elementi che si richiamano, ma due in particolare: la fuga di Antoine, come una liberazione, dopo una lunga corsa, al pari di quella di Marco e Ciro si svolge sul mare, con la grande differenza, però, che ne I quattrocento colpi il mare è una vera e propria via di scampo dalla disperazione che Antoine viveva in famiglia, per Ciro e Marco, invece, il mare, quello stesso che solo poco tempo prima avevano abitato con indosso armi-mutande-e-Nike, alla fine, diventa il luogo che accoglierà ciò che rimane della loro deriva: i corpi, privi di vita, quasi scavati da terra, privati delle loro radici sulla terra ferma, per mezzo di una pala meccanica, saranno „sradicati‟ e affidati al mare. Un mare, che a differenza di quello di Truffaut, ci piacerebbe pensare almeno come un ritorno alla prima forma di vita: l‟acqua. Può essere questa l‟unica speranza che il film suggerisce, ma a quale prezzo? E‟ difficile immaginare il sacrificio di così giovani vite, nel caso della camorra, la „nadrngheta e la mafia. Purtroppo, le didascalie*, alla fine del film, ci dicono che tutto ciò avviene ogni giorno e sotto i nostri occhi: “In Europa la camorra ha ucciso più di ogni altra organizzazione terroristica o criminale: 4000mila morti negli ultimi trent‟anni. Uno ogni tre giorni. Scampia è la piazza di spaccio di droga a cielo aperto più grande del mondo. Per un solo clan il fatturato è di circa 500mila euro al giorno. Se i rifiuti tossici gestiti dai clan fossero accorpati, diverrebbero una montagna di 14.600 metri. L‟Everest è alto 8850 metri. L‟aumento del cancro nei territori avvelenati è del 20%. I proventi delle attività illecite vengono reinvestiti in numerose attività legali, che si estendono in tutto il mondo. La camorra ha investito nelle azioni per la ricostruzione delle Torri Gemelle a New York”. DAL FILM… Qui ti proponiamo “Lettera a Gomorra tra killer e omertà” del giovane scrittore e giornalista, Roberto Saviano, oggi sotto scorta perché pesantemente minacciato dalla camorra. Leggila attentamente, con l‟aiuto dell‟insegnante, insieme ai tuoi compagni. Confrontatevi sui contenuti e ricavatene degli slogan utili per delle pubblicità progresso contro la violenza da voi ideate e affisse, poi, sui muri della vostra scuola. I responsabili hanno dei nomi. Hanno dei volti. Hanno persino un'anima. O forse no. […]. Tra di loro si sentiranno combattenti solitari, guerrieri che cercano di farla pagare a tutti, ultimi vendicatori di una delle più sventurate e feroci terre d'Europa. Se la racconteranno così. Ma […] sono vigliacchi, in realtà: assassini senza alcun tipo di abilità militare. Per ammazzare svuotano caricatori all'impazzata, per caricarsi si strafanno di cocaina e si gonfiano di Fernet Branca e vodka. Sparano a persone disarmate, colte all'improvviso o prese alle spalle. Non si sono mai confrontati con altri uomini armati. Dinnanzi a questi tremerebbero, e invece si sentono forti e sicuri uccidendo inermi, spesso anziani o ragazzi giovani. Ingannandoli e prendendoli alle spalle. E io mi chiedo: nella vostra terra, nella nostra terra sono ormai mesi e mesi che un manipolo di killer si aggira indisturbato massacrando soprattutto persone innocenti. Cinque, sei persone, sempre le stesse. Com'è possibile? Mi chiedo: ma questa terra come si vede, come si rappresenta a se stessa, come si immagina? Come ve la immaginate voi la vostra terra, il vostro paese? Come vi sentite quando andate al lavoro, passeggiate, fate l'amore? Vi ponete il problema, o vi basta dire, "così è sempre stato e sempre sarà così"? Davvero vi basta credere che nulla di ciò che accade dipende dal vostro impegno o dalla vostra indignazione? Che in fondo tutti hanno di che campare e quindi tanto vale vivere la propria vita quotidiana e nient'altro. Vi bastano queste risposte per farvi andare avanti? Vi basta dire "non faccio niente di male, sono una persona onesta" per farvi sentire innocenti? Lasciarvi passare le notizie sulla pelle e sull'anima. Tanto è sempre stato così, o no? O delegare ad associazioni, chiesa, militanti, giornalisti e altri il compito di denunciare vi rende tranquilli? Di una tranquillità che vi fa andare a letto magari non felici ma in pace? Vi basta veramente? Questo gruppo di fuoco ha ucciso soprattutto innocenti. In qualsiasi altro paese la libertà d'azione di un simile branco di assassini avrebbe generato dibattiti, scontri politici, riflessioni. Invece qui si tratta solo di crimini connaturati a un territorio considerato una delle province del buco del culo d'Italia. E quindi gli inquirenti, i carabinieri e poliziotti, i quattro cronisti che seguono le vicende, restano soli. Neanche chi nel resto del paese legge un giornale, sa che questi killer usano sempre la stessa strategia: si fingono poliziotti. Hanno lampeggiante e paletta, dicono di essere della Dia o di dover fare un controllo di documenti. Ricorrono a un trucco da due soldi per ammazzare con più facilità. E vivono come bestie: tra masserie di bufale, case di periferia, garage. […] Il 18 settembre, trivellano prima Antonio Celiento, titolare di una sala giochi a Baia Verde, e un quarto d'ora dopo aprono un fuoco di 130 proiettili di pistole e kalashnikov contro gli africani riuniti dentro e davanti la sartoria "Ob Ob Exotic Fashion" di Castel Volturno. Muoiono Samuel Kwaku, 26 anni, e Alaj Ababa, del Togo; Cristopher Adams e Alex Geemes, 28 anni, liberiani; Kwame Yulius Francis, 31 anni, e Eric Yeboah, 25, ghanesi, mentre viene ricoverato con ferite gravi Joseph Ayimbora, 34 anni, anche lui del Ghana. Solo uno o due di loro avevano forse a che fare con la droga, gli altri erano lì per caso, lavoravano duro nei cantieri o dove capitava, e pure nella sartoria. Sedici vittime in meno di sei mesi. Qualsiasi paese democratico con una situazione del genere avrebbe vacillato. Qui da noi, nonostante tutto, neanche se n'è parlato. Neanche si era a conoscenza da Roma in su di questa scia di sangue e di questo terrorismo, che non parla arabo, che non ha stelle a cinque punte, ma comanda e domina senza contrasto. Ammazzano chiunque si opponga. Ammazzano chiunque capiti sotto tiro, senza riguardi per nessuno. La lista dei morti potrebbe essere più lunga, molto più lunga. E per tutti questi mesi nessuno ha informato l'opinione pubblica che girava questa "paranza di fuoco". Paranza, come le barche che escono a pescare insieme in alto mare. Nessuno ne ha rivelato i nomi sino a quando non hanno fatto strage a Castel Volturno. Ma sono sempre gli stessi, usano sempre le stesse armi, anche se cercano di modificarle per trarre in inganno la scientifica, segno che ne hanno a disposizione poche. Non entrano in contatto con le famiglie, stanno rigorosamente fra di loro. Ogni tanto qualcuno li intravede nei bar di qualche paesone, dove si fermano per riempirsi d'alcol. E da sei mesi nessuno riesce ad acciuffarli. Castel Volturno, territorio dove è avvenuta la maggior parte dei delitti, non è un luogo qualsiasi. Non è un quartiere degradato, un ghetto per reietti e sfruttati come se ne possono trovare anche altrove, anche se ormai certe sue zone somigliano più alle hometown dell'Africa che al luogo di turismo balneare per il quale erano state costruite le sue villette. […] Non è la prima volta che si compie da quelle parti una mattanza di immigrati. Chiedo di nuovo alla mia terra che immagine abbia di sé. Lo chiedo anche a tutte quelle associazioni di donne e uomini che in grande silenzio qui lavorano e si impegnano. A quei pochi politici che riescono a rimanere credibili, che resistono alle tentazioni della collusione o della rinuncia a combattere il potere dei clan. A tutti coloro che fanno bene il loro lavoro, a tutti coloro che cercano di vivere onestamente, come in qualsiasi altra parte del mondo. A tutte queste persone. Che sono sempre di più, ma sono sempre più sole. Come vi immaginate questa terra? Se è vero, come disse Danilo Dolci, che ciascuno cresce solo se è sognato, voi come ve li sognate questi luoghi? Non c'è stata mai così tanta attenzione rivolta alle vostre terre e quel che vi è avvenuto e vi avviene. Eppure non sembra cambiato molto. I due boss che comandano continuano a comandare e ad essere liberi. […] È storia antica quella dei latitanti ricercati in tutto il mondo e poi trovati proprio a casa loro. Ma è storia nuova che ormai ne abbiano parlato più e più volte giornali e tv, che politici di ogni colore abbiano promesso che li faranno arrestare. Ma intanto il tempo passa e nulla accade. E sono lì. Passeggiano, parlano, incontrano persone. Ho visto che nella mia terra sono comparse scritte contro di me. Saviano merda. Saviano verme. E un'enorme bara con il mio nome. E poi insulti, continue denigrazioni a partire dalla più ricorrente e banale: "Quello s'è fatto i soldi". Col mio lavoro di scrittore adesso riesco a vivere e, per fortuna, pagarmi gli avvocati. E loro? Loro che comandano imperi economici e si fanno costruire ville faraoniche in paesi dove non ci sono nemmeno le strade asfaltate? Loro che per lo smaltimento di rifiuti tossici sono riusciti in una sola operazione a incassare sino a 500 milioni di euro e hanno imbottito la nostra terra di veleni al punto tale di far lievitare fino al 24% certi tumori, e le malformazioni congenite fino all'84% per cento? Soldi veri che generano, secondo l'Osservatorio epidemiologico campano, una media di 7.172,5 morti per tumore all'anno in Campania. E ad arricchirsi sulle disgrazie di questa terra sarei io con le mie parole, o i carabinieri e i magistrati, i cronisti e tutti gli altri che con libri o film o in ogni altro modo continuano a denunciare? Com'è possibile che si crei un tale capovolgimento di prospettive? Com'è possibile che anche persone oneste si uniscano a questo coro? Pur conoscendo la mia terra, di fronte a tutto questo io rimango incredulo e sgomento e anche ferito al punto che fatico a trovare la mia voce. Perché il dolore porta ad ammutolire, perché l'ostilità porta a non sapere a chi parlare. E allora a chi devo rivolgermi, che cosa dico? Come faccio a dire alla mia terra di smettere di essere schiacciata tra l'arroganza dei forti e la codardia dei deboli? Oggi qui in questa stanza dove sono, ospite di chi mi protegge, è il mio compleanno. Penso a tutti i compleanni passati così, da quando ho la scorta, un po' nervoso, un po' triste e soprattutto solo. Penso che non potrò mai più passarne uno normale nella mia terra, che non potrò mai più metterci piede. Rimpiango come un malato senza speranze tutti i compleanni trascurati, snobbati perché è solo una data qualsiasi, e un altro anno ce ne sarà uno uguale. Ormai si è aperta una voragine nel tempo e nello spazio, una ferita che non potrà mai rimarginarsi. E penso pure e soprattutto a chi vive la mia stessa condizione e non ha come me il privilegio di scriverne e parlare a molti. Penso ad altri amici sotto scorta, Raffaele, Rosaria, Lirio, Tano, penso a Carmelina, la maestra di Mondragone che aveva denunciato il killer di un camorrista e che da allora vive sotto protezione, lontana, sola. Lasciata dal fidanzato che doveva sposare, giudicata dagli amici che si sentono schiacciati dal suo coraggio e dalla loro mediocrità. Perché non c'era stata solidarietà per il suo gesto, anzi, ci sono state critiche e abbandono. Lei ha solo seguito un richiamo della sua coscienza e ha dovuto barcamenarsi con il magro stipendio che le dà lo stato. Cos'ha fatto Carmelina, cos'hanno fatto altri come lei per avere la vita distrutta e sradicata, mentre i boss latitanti continuano a poter vivere protetti e rispettati nelle loro terre? E chiedo alla mia terra: che cosa ci rimane? Ditemelo. Galleggiare? Far finta di niente? Calpestare scale di ospedali lavate da cooperative di pulizie loro, ricevere nei serbatoi la benzina spillata da pompe di benzina loro? Vivere in case costruite da loro, bere il caffè della marca imposta da loro (ogni marca di caffè per essere venduta nei bar deve avere l'autorizzazione dei clan), cucinare nelle loro pentole […]? Mangiare il loro pane, la loro mozzarella, i loro ortaggi? Votare i loro politici che riescono, come dichiarano i pentiti, ad arrivare alle più alte cariche nazionali? Lavorare nei loro centri commerciali, costruiti per creare posti di lavoro e sudditanza dovuta al posto di lavoro, ma intanto non c'è perdita, perché gran parte dei negozi sono loro? Siete fieri di vivere nel territorio con i più grandi centri commerciali del mondo e insieme uno dei più alti tassi di povertà? Passare il tempo nei locali gestiti o autorizzati da loro? Sedervi al bar vicino ai loro figli, i figli dei loro avvocati, dei loro colletti bianchi? E trovarli simpatici e innocenti, tutto sommato persone gradevoli, perché loro in fondo sono solo ragazzi, che colpa hanno dei loro padri. E infatti non si tratta di stabilire colpe, ma di smettere di accettare e di subire sempre, smettere di pensare che almeno c'è ordine, che almeno c'è lavoro, e che basta non grattare, non alzare il velo, continuare ad andare avanti per la propria strada. Che basta fare questo e nella nostra terra si è già nel migliore dei mondi possibili, o magari no, ma nell'unico mondo possibile sicuramente. Quanto ancora dobbiamo aspettare? Quanto ancora dobbiamo vedere i migliori emigrare e i rassegnati rimanere? Siete davvero sicuri che vada bene così? Che le serate che passate a corteggiarvi, a ridere, a litigare, a maledire il puzzo dei rifiuti bruciati, a scambiarvi quattro chiacchiere, possano bastare? Voi volete una vita semplice, normale, fatta di piccole cose, mentre intorno a voi c'è una guerra vera, mentre chi non subisce e denuncia e parla perde ogni cosa. Come abbiamo fatto a divenire così ciechi? Così asserviti e rassegnati, così piegati? Come è possibile che solo gli ultimi degli ultimi, gli africani di Castel Volturno che subiscono lo sfruttamento e la violenza dei clan italiani e di altri africani, abbiano saputo una volta tirare fuori più rabbia che paura e rassegnazione? Non posso credere che un sud così ricco di talenti e forze possa davvero accontentarsi solo di questo. Non posso credere che riescano a resistere soltanto pochi individui eccezionali. Che la denuncia sia ormai solo il compito dei pochi singoli, preti, maestri, medici, i pochi politici onesti e gruppi che interpretano il ruolo della società civile. E il resto? Gli altri se ne stanno buoni e zitti, tramortiti dalla paura? La paura. L'alibi maggiore. Fa sentire tutti a posto perché è in suo nome che si tutelano la famiglia, gli affetti, la propria vita innocente, il proprio sacrosanto diritto a viverla e costruirla. Ma non avere più paura non sarebbe difficile. Basterebbe agire, ma non da soli. La paura va a braccetto con l'isolamento. Ogni volta che qualcuno si tira indietro crea altra paura, che crea ancora altra paura, in un crescendo esponenziale che immobilizza, erode, lentamente manda in rovina. […] Se i vostri figli dovessero nascere malati o ammalarsi, se un'altra volta dovreste rivolgervi a un politico che in cambio di un voto vi darà un lavoro senza il quale anche i vostri piccoli sogni e progetti finirebbero nel vuoto, quando faticherete ad ottenere un mutuo per la vostra casa mentre i direttori delle stesse banche saranno sempre disponibili con chi comanda, quando vedrete tutto questo forse vi renderete conto che non c'è riparo, che non esiste nessun ambito protetto, e che l'atteggiamento che pensavate realistico e saggiamente disincantato vi ha appestato l'anima di un risentimento e rancore che toglie ogni gusto alla vostra vita. Perché se tutto ciò è triste la cosa ancora più triste è l'abitudine. Abituarsi che non ci sia null'altro da fare che rassegnarsi, arrangiarsi o andare via. Chiedo alla mia terra se riesce ancora ad immaginare di poter scegliere. Le chiedo se è in grado di compiere almeno quel primo gesto di libertà che sta nel riuscire a pensarsi diversa, pensarsi libera. Non rassegnarsi ad accettare come un destino naturale quel che è invece opera degli uomini. Quegli uomini possono strapparti alla tua terra e al tuo passato, portarti via la serenità, impedirti di trovare una casa, scriverti insulti sulle pareti del tuo paese, possono fare il deserto intorno a te. Ma non possono estirpare quel che resta una certezza e, per questo, rimane pure una speranza. Che non è giusto, non è per niente naturale, far sottostare un territorio al dominio della violenza e dello sfruttamento senza limiti. E che non deve andare avanti così perché così è sempre stato. Anche perché non è vero che tutto è sempre uguale, ma è sempre peggio. Perché la devastazione cresce proporzionalmente con i loro affari, perché è irreversibile come la terra una volta per tutte appestata, perché non conosce limiti. Perché là fuori si aggirano sei killer abbrutiti e strafatti, con licenza di uccidere e non mandato, che non si fermano di fronte a nessuno. Perché sono loro l'immagine e somiglianza di ciò che regna oggi su queste terre e di quel che le attende domani, dopodomani, nel futuro. Bisogna trovare la forza di cambiare. Ora, o mai più. Il regista Matteo, figlio del critico teatrale Nico Garrone e di una fotografa, abbraccia il cinema fin da giovane: lavora come aiuto-operatore per poi dedicarsi a tempo pieno alla pittura. Nel 1996 vince il Sacher d'Oro con il cortometraggio Silhouette, che diventerà uno dei tre episodi del suo primo lungometraggio Terra di mezzo. Lo stesso anno gira assieme a Carlo Cresto-Dina un documentario a New York sul pentecostalismo dal titolo Bienvenido Espirito Santo. Nel 1998 dirige, a Napoli, il documentario Oreste Pipolo, fotografo di matrimoni e sempre nello stesso anno il suo secondo lungometraggio Ospiti viene premiato alla Mostra d‟Arte Cinematografica di Venezia (Premio Kodak), seguito due anni più tardi da Estate romana. Il successo di pubblico e critica gli giunge nel 2002 con L'imbalsamatore, con cui si aggiudica il David di Donatello per la migliore sceneggiatura. Nel 2004 dirige Primo amore, drammatica vicenda di un uomo ossessionato dalla magrezza femminile. Nel 2008 Gomorra, il regista approda per la prima volta in concorso al Festival di Cannes dove vince il Grand Prix. Lo stesso film è candidato all‟Oscar. Leggi “Emily la stramba” di Cosmic Debris, Salani, 2002 “Il duello” di David Grossman, Mondadori, 2001 “I fratelli Neri” di Hannes Binder, Lisa Tetzner, Zoolibri, 2004 “A testa alta” di Bianca Stancanelli, Einaudi, 2003 “La mafia in casa mia” di Felicia Bartolotta Impastato, La Luna, 2003 Guarda Vito e gli altri di Antonio Capuano Certi bambini di Fratelli Frazzi I cento passi di Marco Tullio Giordana Alla luce del sole di Roberto Faenza I quattrocento colpi di Francois Truffaut Naviga http://www.robertosaviano.it/ Sito ufficiale dello scrittore, giornalista, autore del romanzo “Gomorra” http://www.peppinoimpastato.com/ Sito ufficiale di uno dei più grandi testimoni di legalità, che ha lottato contro la mafia http://www.padrepinopuglisi.net/ Sito ufficiale del sacerdote, testimone di giustizia e vittima della mafia http://www.memoriacondivisa.it/ Sito molto completo sulle vittime delle stragi per mafia, camorra, „ndrangheta http://www.progettolegalita.it/it/home/ Sito molto utile e ricco di notizie sulla legalità Ascolta “Pensa” di Fabrizio Moro “Il mio nome è mai più” di Pelù-Jovanotti-Ligabue “Buoni o cattivi” di Vasco Rossi “Finestre rotte” di De Gregori “Povera patria” di Battiato Frasi “Noi fummo i gattopardi, i leoni. Chi ci sostituirà saranno gli sciacalli, le iene. E tutti quanti, gattopardi, leoni, sciacalli o pecore, continueremo a crederci il sale della terra” dal film “Il gattopardo” di Luchino Visconti “E questo non si può fare e quello è avventurismo e le masse non sono pronte...qui un compagno impara solo a deprimersi, a sentirsi uno sconfitto a vita! L'obbedienza, la disciplina...hanno deciso così a Palermo...hanno deciso così a Roma...e noi quando decidiamo?” dal film “I cento passi” di Marco Tullio Giordana Domenico: Mio padre dice che qua la gente è divisa in due: quelli che camminano a testa bassa e gli uomini d'onore. Don Pino Puglisi: E tu che dici? Domenico: Niente. Don Pino Pugliesi: Io sono qua per aiutare la gente perbene... a camminare a testa alta. dal film “Alla luce del sole” di Roberto Faenza “Chi ti vuole fare male veramente, non te lo viene a dire, te lo fa e basta!” dal film “Certi bambini” dei Fratelli Frazzi “I camorristi ragionano sempre con il cervello e mai con il cuore…” dal film “Il camorrista” di Giuseppe Tornatore